Ucuntu n.108

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110411 www.ucuntu.org – [email protected] Rapporto da Lampedusa Caruso Mineo: Un giorno di libertà Camilleri Mafia e massoneria Mazzeo Inchiesta Sicilia nucleare: i sottomarini Sono ricominciati i rastrellamenti di bambini in Europa Chi non si oppone, è complice Solidarietà. Resistenza e e Ancora Ancora Appello al Csm per un Appello al Csm per un giudice libero giudice libero a Catania a Catania e e || 11 aprile 2011 || anno IV n.108 || www.ucuntu.org || Ricordo di Rino Bertoloni Europa

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il numero del 10 aprile 2011

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110411 www.ucuntu.org – [email protected]

Rapporto daLampedusa

Caruso Mineo:Un giorno di libertàCamilleri Mafiae massoneriaMazzeo InchiestaSicilia nucleare:i sottomarini

Sono ricominciati i rastrellamenti di bambini in EuropaChi non si oppone, è complice

Solidarietà.Resistenza

e e AncoraAncora Appello al Csm per un Appello al Csm per un giudice liberogiudice libero a Catania a Catania ee

|| 11 aprile 2011 || anno IV n.108 || www.ucuntu.org ||

Ricordodi Rino Bertoloni

Europa

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Persone Persone

Due giorni di normalelibertà

A Mineo con uomini donne e bambini in fuga dalla guerraA Mineo con uomini donne e bambini in fuga dalla guerra

Un bel giorno di primavera, qui da noi in Sicilia. Una domenica di sole caldo, rinfre-scato, da una brezza che porta con se gli odori nostri. Una domenica che ti fa dire:" che meraviglia! che pace!".

E difatti in quel pezzo di campagna si sentiva silenzio e pace, ma qualcosa ti ri-porta alla realtà. Una striscia di asfalto, che taglia la campagna, una strada che ci separa da torrette abitate da uomini armati che sor-vegliano e proteggono Sigonella.

Siamo li, uomini e donne, per sfidare con i nostri sguardi e le parole la guerra. Non siamo molti e rappresentiamo la società reale catanese, la prima cosa che facciamo appena arrivati è di vestire il cartello “Sigo-nella” con la bandiera arcobaleno.Ma la nostra giornata non la vogliamo fini-re lì vogliamo andare a Mineo, nel villag-gio che fino a qualche tempo fa era abitato dalle famiglie dei soldati americani, con un bel nome folkoristico: “Villaggio degli Aranci”. Facciamo pochi chilometri e arri-viamo in quell’agglomerato di case ribat-tezzato da Berlusconi “Villaggio della soli-darietà”. Subitoci raggiungono gli emi-granti, solo gli uomini, sono tunisini, sono arrivati prima a Lampedusa nei primi mesi dell’anno, poi trasferiti a Brindisi e a Cro-tone, e poi nuovamente in Sicilia, a Mineo. I tunisini fino a qualche settimana fa erano 450; la stragrande maggioranza è fuggita e ora di questi ce saranno una cinquantina più qualche pakistano e afgano. Gli altri re-stano al CARA (centro accoglienza richie-denti asilo), vogliono asilo politico per poi trovare una sistemazione fra l’Italia, la Francia e la Germania.

I tunisini si avvicinano a noi e sono tutti giovani fra i 25 e i 30 anni, stanno abba-stanza bene, sono contenti di vederci, ci raccontano pezzi della loro vita, più che al-tro le cose vissute negli ultimi mesi, la ri-voluzione come loro l’hanno vissuta, hanno tanta voglia di parlare.

Fra noi ci sono avvocati che danno infor-mazioni sui loro diritti, c’è anche Luciano, un medico, che visita due ragazzi. Uno ha una gamba rotta, e così si è fatto il viaggio in mare così come se l'è fatto un ragazzo ferito alla gamba da un proiettile, al medico non sembra grave ma sarebbe il caso di portarlo in ospedale. Lo chiediamo ai fun-zionari di polizia, garantiscono che lo fa-

ranno in settimana. Abbiamo portato da mangiare, cibi sem-

plici, cercando di rispettare le usanze di questi ragazzi. Il gruppo del movimento studentesco monta l’amplificazione: il mi-crofono è aperto, tutti possono intervenire. Parlano i sindacati e la sinistra antagonista, parlano le organizzazioni antirazziste e i tre ragazzi di Mineo che cercano di costruire un punto di riferimento in paese, come un centro internet, per comunicare con le fa-miglie. Nella mia auto ci sono le cose da mangiare, c’è l’acqua fresca e diventa un piccolo centro di ritrovo.

Arriva l’interprete dell’Arci e mi da una mano per parlare con i ragazzi, il primo è Jafar, in Tunisia faceva lo studente e colla-borava con gli studenti del partito di Ben Ali, organizzavano concerti e campagne elettorali e quando è scoppiata la rivoluzio-ne: “Sono fuggito perché avevo paura delle vendette, c’è casino in Tunisia, non c’è più pubblica amministrazione, i soldati senza ordini, c’è un casino”. Mi racconta che qualche giorno fa un poliziotto in perfetto siciliano gli ha ordinato di rispettare la fila e gli ha mollato uno schiaffo.

Abdullah invece faceva il bagnino negli eleganti alberghi di Jerba, poi è scoppiata la rivoluzione e gli albergatori hanno preferito chiudere: “Sono rimasto senza lavoro, ho preferito fuggire”. Per lo più sono ragazzi istruiti, oppressi per decenni da una ditta-tura che li ha oppressi e non scappano solo per la povertà e la violenza ma anche per una gran voglia di vedere il mondo, di vi-vere una vita da giovani.

Noi italiani dovremmo riflettere sul fatto che i nostri governi, in particolare Berlu-sconi e Lega, in tutti questi anni hanno dato soldi, armi e fatto affari col clan mafioso dei Ben Ali per fsrgli chiudere le frontiere e non disturbare la nostra “pace” .

Le donne dell’Arci, di Sinistra Critica e di Città felice si avvicinano alla recinzione, dove hanno visto delle donne e subito si mettono a parlare, ci raccontano che oltre loro ce ne sono ancora delle altre e alcune con i loro figli, le compagne non capiscono perché non sono uscite per incontrarci, ci viene un dubbio, forse i loro i loro uomini non glielo hanno permesso? Propongono a loro di tornare e perché no, parlare farci raccontare e far giocare i loro figli.

* * *La strada è sempre quella, la Catania Gela, e siamo diretti al villagio, chiamato "della "solidarietà", certo un bel nome per na-scondere la verità. Ma la verità arriva subi-to. Arriva coi primi emigranti che vanno verso Catania in fila sul ciglio della statale, ci fermiamo, per chiedere, per dare volanti-ni informativi. Poi si arriva sullo spiazzale del villagio, e sono tutti li, gli emigranti, tutti li ad aspettarci.

Subito scarichiamo le scatole contenenti abiti di ogni tipo, e accade una cosa che forse non ci aspettavamo. Un assalto, di uomini e donne, che ti tolgono abiti, scar-pe, zainetti da viaggio. Riusciamo a salvare alcuni indumenti per donne e bambini (sta-volta c'erano anche loro).Sicuramente eravamo pochi, troppo pochi. Eppure quello che avremmo fatto questa mattina l'avevamo comunicato, avevamo fatto girare le email. Ma dove sono le orga-nizzazioni cattoliche, e quelle vicine ad esse? Eppure il vangelo la dice lunga sulla solidarietà e l'accoglienza.

Poi, parlando tra di noi, capiamo il per-chè di quell'assalto, sintetizata, in una sola parola. Povertà! Una povertà sbattuta in faccia, capace di trasformarsi in un vocio di canti e balli, che ci coinvolgono, come se chiedessero il nostro perdono, per quell'as-salto di disperati.

E mentre si balla, si canta, li incontriamo e parliamo.

Hanno tanta voglia di parlare e di raccon-tare la loro vita sospesa.

Le donne, i racconti delle donne sono re-citati con il sorriso e la tenerezza.

Due in particolare, due giovani donne Eritree: Jasmin e Fatima.

Fuggono dalla guerra, hanno venti anni, vogliono vivere una vita normale in Italia, quella che l'occidente, per la sua avidità, gli ha scippato.

Fatima è arrivata con Isac, un bambino di tre mesi che si fa prendere in braccio e ci sorride.

Fatima ci chiede un paio di scarpine e un futuro per Isac.

Vado via immaginando il viso di Isac, pensando ad una risposta a quella doman-da: quale futuro per Isac?

Giovanni CarusoI Cordai

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Politica Politica

Dopo Dachauprima di Auschwitz

Il regime è illegale. Traiamone le conseguenzeIl regime è illegale. Traiamone le conseguenze

I tedeschi non cominciarono subito ad ammazzare gl ebrei. Prima dichiararono che non erano cittadini come gli altri, e anzi probabilmente neanche esseri umani. Poi cominciarono a vessarli in tutti i modo, cogliendo qua e là le occasioni per estor-cergli del denaro. Nel 1933, “per ragioni di ordine pubblico”, istituirono dei “campi di raccolta” (Konzentration Lager) che presto, per brevità, cominciaronmo a essere chia-mati semplicemente “campi” (Lager). Infi-ne, sette anni dopo, esaurito tutto il dibatti-to e stabilita la piena incompatibilità fra una “razza” e l'altra, fu aperto Auschwitz (1940). Qua l'obiettivo era la “soluzione fi-nale” del problema, visto che tutte le altre soluzioni si erano rivelate insufficienti e, come si direbbe oggi, “buoniste”:

I campi di concentramento in Italia esi-stono già, e si chiamano campi temporanei di raccolta. Le persecuzioni sono già in atto da molti anni, e così pure la teorizzazione scientifica dell'incompatibilità di fondo fra una razza e l'altra. L'estorsione dei soldi, fra una cosa e l'altra, non è stata assente: il disavanzo Inps è pagato dagli immigrati, e in più di un'occasione (per i rinnovi, per le “regolarizzazioni” e chi più che ha più ne metta) la razza inferiore ha dovuto pagare in moneta la tolleranza della razza eletta.

Manca, finora, la “soluzione finale”. Ma già diciassettemila Untermensch sono stati annegati (per scelta politica: in mare i bian-chi viaggiano su regolari traghetti) nel no-stro bel mare. Ma, quanto a teorizzazioni, non siamo molto lontani.

Sia Bossi che Goebbels, sia Calderoli che Herr Streicher, hanno fatto capire in più oc-casioni che la cosa importante, per gli uo-mini-non-umani, non è di sopravvivere, ma di togliersi di mezzo. “Foera di ball”, si dice in tedesco. Che il resto debba seguire non è una mera ipotesi, ma - ragionevol-mente - una probabilità molto forte.

Il regime italiano, come quello tedesco del '36, avrà forse consenso (e nel nostro caso è molto dubbio, visto che lo vota meno d'un quarto dei cittadini). Ma non è sicuramente legale. Qualunque cittadino te-desco, nel regime di Goebbels, aveva il di-

ritto - e spesso il dovere - di non tener conto alcuno delle ingiunzioni delle autori-tà, trattandosi di disposizioni illegittime, in violazione delle costituzioni e delle leggi, e soprattutto dei comuni principi della mora-le umana.

Maroni, Calderoli, Bossi, Streicher e tutti gli altri razzisti non godono di autorità maggiore. I loro ordini non hanno peso, nessun pubblico ufficiale o cittadino è te-nuto a obbedire, ed è anzi dovere civico, e doveroso tributo all'onor militare, boicotta-re apertamente gli ordini disumani. Lo fe-cero carabinieri, Regia Marina, ufficiali del Re, sotto il fascismo. La loro pietà umana, e il rispetto delle stellette, indicò loro la via del dovere, contro ogni burocratica – ma vile e illecita “obbedienza”.

Son questi i termini della questione. Il re-gime è illegale, bisogna disobbedirgli aper-tamente. Non per le Rudy e le Noemi, sto-rie tristi e grottesco che rendono ridicolo ogni italiano nei paesi normali. Ma per la strage voluta, per la criminale teorizzazione e messa in pratica della persecuzione siste-matica di una “razza”.

In Libia, in Egitto, in Italia stessa i ditta-tori e i subalterni responsabili dovranno pa-gare, quando la legalità sarà ristabilita. Nei Paesi feroci, come nella Germania d'ante-guerra, nulla dovrà restare impunito.

A questo nuovo nazismo dovrà corri-spondere una nuova Norimberga. Una Cor-te internazionale che giudichi gli stragisti e i i loro seguaci, non a Ginevra o all'Aja ma in un paese-vittima, a Nuova Delhi, a Bra-silia, in una delle potenze democratiche dell'avvenire.

Si ebbe anni addietro un Tribunale inter-nazionale, presieduto da Lord Russell, per i crimini contro l'umanità in Vietnam. Biso-gna che personaggi autorevoli, gli scienzia-ti, i Nobel, i sapienti del mondo, assumano un'iniziativa del genere, in attesa di una vera e propria Corte Penale delle nazioni. Nulla deve restare impunito e nulla, fin d'ora, deve restare non denunciato. Perché la politica è finita e quella di oggi - decine di bambini annegati, per volontà di un regi-me, e forse di una nazione, è un'altra cosa.

E questo è quanto. Avremmo dovuto scri-vere delle ultime risultanze giudiziarie, da cui emerge che per la seconda volta conse-cutiva il Governo della Sicilia è ufficial-mente colluso con la mafia. Avremmo volu-to scrivere della disperata resistenza dei quartieri poveri catanesi, della rinascita dell'Experia (unico presidio civile, in alcuni di essi, oltre al Gapa).

Ma anche questi argomenti, per quanto importantissimi, passano in secondo piano dinanzi alla drammaticità di questa sempli-ce cosa: viviamo in un regime illegale.

Non è questa o quella legge ad essere violata, lo sono tutte. Non è questo o quel crimine di cui accusiamo il governo, il cri-mine è lui stesso.

Certo: è “estremistico” dirlo, è impopo-lare, è rozzo. Ma era impopolare anche a Weimar, era “estremista”. Noi siamo a Wei-mar, fuor d'ogni dubbio. L'eccessiva pru-denza, in quegli anni, creò milioni di morti.

Riccardo Orioles

www.vociumane.orgUNA VOCE LIBERADAL TELEFONINOA DAPPERTUTTO

Lavori in corso, Ucuntu e il Linux User Group di Catania stanno mettendo in piedi una rete per consentire agli immigrati di raccontare liberamente le loro storie (senza microfoni e giornalisti) e di comunicare con le famiglie riraste in patria.Ci sonoproblemi tecnici per convertire I vari alfabeti (arabo, pashtu, ecc.) ma a poco a poco li stiamo risolvendo tutti. Fra una decina di giorni le stori edegli immigrati dovrebbero essere in rete.su:www.vociumane.org

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“Qui a Mineo” “Qui a Mineo” Foto di Maria Vittoria Trovato

Alla fine del mare...arrivarono qui, dopo un lunghissimo viaggio......arrivarono qui, dopo un lunghissimo viaggio...

NOTIZIE D'AGENZIARECUPERATI 68 CADAVERI A LARGO DELLA LIBIA - SONO 68 I CADAVERI DI MIGRANTI MORTI DURANTE LA TRAVERSATA VERSO L'ITALIA, RECUPERATI DAVANTI ALLE COSTE DELLA LIBIA - LA NOTIZIA, ANTICIPATA DAI GESUITI, VIENE CONFERMATA ALL'AGI DA DON MOSE' ZERAI - IL

SACERDOTE AVEVA RICEVUTO UNA RICHIESTA DI AIUTO LANCIATA ATTRAVERSO UN SATELLITARE DAGLI STESSI IMMIGRATI - IL RITROVAMENTO RISALE A GIOVEDÌ SCORSO MA DON ZERAI SPIEGA CHE NON È POSSIBILE VERIFICARE SE SI TRATTA DEI MIGRANTI A BORDO

DEL BARCONE CON 335 PERSONE A BORDO CHE RISULTA DISPERSO DA DUE SETTIMANE, O DEL BARCONE CHE AVEVA 68 PERSONE A BORDO E DI CUI NON SI HA PIÙ NOTIZIA - I CORPI INFATTI SONO STATI GIÀ SEPOLTI, SENZA ALCUNA IDENTIFICAZIONE.

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“Qui a Mineo” “Qui a Mineo” Foto di Maria Vittoria Trovato

TRENDSETTING/ GLI ITALIANI CONTRO AGLI IMMIGRATIUN PAESE PER NIENTE SOLIDALE. ANZI, GLI ITALIANI SEMBRANO DIVENTATI EGOISTI, TROPPO PRESI DAI PROPRI PROBLEMI PER PENSARE AGLI IMMIGRATI. E' SORPRENDENTE IL RISULTATO DI TRENDSETTING, IL SONDAGGIO REALIZZATO DA AFFARITALIANI

IN COLLABORAZIONE CON SWG.INFATTI SOLTANTO IL 29% DEI CITTADINI PENSA CHE GLI IMMIGRATI CHE SBARCANO A LAMPEDUSA DEBBANO ESSERE ACCOLTI E SMISTATI. IL 37% DEL CAMPIONE RITIENE CHE I CLANDESTINI DEBBANO ESSERE

BLOCCATI PRIMA CHE ARRIVINO SULLE COSTE, MENTRE SECONDO IL 34% DEGLI ITALIANI GLI IMMIGRATI ANDREBBERO RIMANDATI SUBITO NEI PAESI DI PROVENIENZA.

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“Qui a Mineo” “Qui a Mineo” Foto di Giovanni Caruso

“Ecco i vecchi fratelli”...Era nel mondo un figlioe un giorno andò in Calabria:era estate, ed eranovuote le casupole,nuove, a pandizucchero,da fiabe di fate colordella fame. Vuote.Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campisenza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne.Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonioscuoteva paglia neracome nei sogni profetici:e la luna color della famecoltivava terreniche mai l'estate amò.Ed era nei tempi del figlioche questo amore potevacominciare, e non cominciò.Il figlio aveva degli occhidi paglia bruciata, occhisenza paura, e vide tuttociò che era male: nullasapeva dell'agricoltura,delle riforme, della lottasindacale, degli Enti Benefattori,lui - ma aveva quegli occhi.Ogni oscuro contadinoaveva abbandonatoquelle sue casupole nuovecome porcili senza porci,su radure color della fame,sotto montagnole rotondein vista dello Jonio profetico.Tre millenni passarononon tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell'aria malarical'attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano,lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?Quasi come un padrone.Ti porterebbero sudalla loro antica regione,frutti e animali, i lorofeticci oscuri, a deporli

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“Qui a Mineo” “Qui a Mineo” Foto di Giovanni Caruso

con l'orgoglio del ritonelle tue stanzette novecento,tra frigorifero e televisione,attratti dalla tua divinità,Tu, delle Commissioni Interne,tu della CGIL, Divinità alleata,nel sicuro sole del Nord.Nella loro Terra di razzediverse, la luna coltivauna campagna che tugli hai procurata inutilmente.Nella loro Terra di BestieFamigliari, la lunaè maestra d'anime che tuhai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapereè un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall'Africae tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. Se egli poi non sorrideè perchè la speranza per luinon fu luce ma razionalità.E la luce del sentimentodell'Africa, che d'improvvisospazza le Calabrie, sia un segnosenza significato, valevoleper i tempi futuri! Ecco:tu smetterai di lottareper il salario e armeraila mano dei Calabresi.Alì dagli Occhi Azzurriuno dei tanti figli di figli,scenderà da Algeri, su navia vela e a remi. Sarannocon lui migliaia di uominicoi corpicini e gli occhidi poveri cani dei padrisulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,a milioni, vestiti di stracciasiatici, e di camicie americane.Subito i Calabresi diranno,come da malandrini a malandrini:«Ecco i vecchi fratelli,coi figli e il pane e formaggio!»Da Crotone o Palmi salirannoa Napoli, e da lì a Barcellona,a Salonicco e a Marsiglia...

(da Alì dagli occhi azzurriPier Paolo Pasolini, 1965)

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Bambini Bambini

Lettera alla Gelmini da una maestra del Sud

Da un povero quartiere di Catania una insegnante scrive... Da un povero quartiere di Catania una insegnante scrive...

Gentile ministro Gelmini,mi rivolgo a Lei in quanto autrice della

riforma scolastica che porta appunto il suo nome.

Molti vociferano sul fatto che non sia Lei la effettiva ideatrice della riforma che sta impoverendo la Scuola Italiana, se così fosse, mi rivolgo a chiunque ne sia l'artefice.

Quello che è stato fatto alla Scuola Pub-blica è fuori da ogni logica pedagogica, come dire...è assurdo!

Le riforme andrebbero fatte da chi co-nosce da dentro la scuola, neanche da illu-stri studiosi che della scuola hanno solo conoscenze teoriche, bensì da persone come me che lavorano da decenni in scuole pubbliche denominate " a rischio ". Figuriamoci gli effetti di una riforma ra-gionata a tavolino dal ministro Tremonti che pensa da "commercialista" e fatta pas-sare per opera di una delle donne-fantoccio del governo Berlusconi!

La scuola ne esce, da questa azione mortificante, peggio di quanto ancora si possa vedere; nelle cosiddette scuole a ri-schio delle periferie del Sud, la scuola do-vrebbe avere il compito di accogliere i bambini per un tempo massimo e fungere da sostegno a quelle famiglie che scelgo-no di lavorare onestamente e non hanno a chi lasciare i propri figli. Dovrebbe garan-tire l'offerta formativa e rimuovere gli ostacoli che ne impediscano la piena rea-lizzazione, ostacoli che al momento sono rappresentati da quei tagli che assumono l'effetto di coltellate a scuole come la mia.

Quando ancora si lavorava con i modu-li, ricordo lontano di isole felici, ci auspi-cavamo che la Scuola pensasse ad affian-care a noi insegnanti delle figure profes-sionali specializzate, come psicologi del-l'età evolutiva o psichiatri infantili, poiché molti dei bambini con cui lavoriamo pro-vengono da situazioni di forte deprivazio-ne, a volte vittime di violenze inaudite a cui noi insegnanti non sappiamo come far fronte: possiamo offrire loro comprensio-ne ed affetto ma laddove ci siano delle

violenze, degli abusi, non si può mettere un cerotto, dare un bacetto alla bua e con-tinuare come se tutto fosse passato.Questo per noi era uno dei punti principali che un ministro della Pubblica Istruzione dovesse prendere in considerazione, allargare l'or-ganico con figure specializzate e invece abbiamo subito l'amputazione a carne viva del "team" docente, il nostro punto di forza. Lei ci ha profondamente deluso si-gnora ministro. La sua riforma ha ridotto il tempo scuola, ha annullato le compre-senze, ha fatto sì che quelle discipline che molto contribuiscono ad affinare la sensi-bilità e la logica del bambino venissero fortemente penalizzate. Mi riferisco a di-scipline come l'educazione musicale o al-l'arte o l'educazione motoria che sviluppa-no armonia nel corpo e nella mente, "mens sana in corpore sano", che invece di essere affidate a degli insegnanti spe-cializzati, sono affidate al docente preva-lente che avendo già una mole di lavoro non indifferente ( le chiarisco che i nostri alunni non parlano un italiano corretto e neanche il dialetto ma un miscuglio tra i due) spesso è costretto a sacrificare ore preziose ad esse destinate. Io ritengo di conoscere a fondo la Lingua Italiana, le regole matematiche, adoro trasmettere ai miei alunni l'amore per la Storia , per i viaggi in Paesi con culture diverse dalla nostra e amo l'arte in ogni sua forma. Oggi so di poter contare unicamente su queste mie risorse. Ma mettiamo il caso io pesassi cento chili e dovessi portare i miei alunni in palestra, o che fossi insensibile a qualunque forma d'arte, su quale risorsa potrei contare? E se poi fossi una persona problematica, con scarsa empatia verso i bambini, volta solo a seguire il program-ma e interessata esclusivamente alla stabi-lità di un posto fisso? Ce ne sono tante persone così nella scuola, sa? Se io fossi così, ma ringrazio il cielo di non esserlo, i miei alunni non avrebbero scampo e do-vrebbero rassegnarsi a me. L'organizza-zione modulare consentiva invece la plu-ralità dell'insegnamento e una impostazio-ne democratica della vita scolastica. Era

taggiati, i quali oggi sono abbandonati ad un unico destino: la bocciatura. Lei non può immaginare l'infinita solitudine a cui è costretto un alunno che non riesce a se-guire il programma della classe, egli viene privato non solo dei suoi diritti sociali, quelli di una scuola imparziale ma anche della propria dignità d'alunno. D'altro can-to gli alunni che godono del sostegno sono spesso dislocati in classi diverse per cui un insegnante coscienzioso che non voglia destinar loro solo 5 ore la settima-na, suo malgrado crea dei gruppi di lavoro che ricordano tanto le classi differenziate.

E allora se la Scuola Italiana è destinata a tornare quella degli anni '50, non si do-vrebbero avere programmi ambiziosi come quelli delle scuole europee: si do-vrebbero riprendere i programmi minimi che consentissero di scrivere, leggere e fare di conto!

Io sono convinta che ci sia un interesse ben preciso dietro a questa rifirma che non è soltanto quella di evitare gli sprechi ma un fine politico, quello di lasciare le masse nell'ignoranza e nell'inconsapevo-lezza. Tanto i vostri figli andranno nelle scuole private, finanziate anche con dena-ro pubblico! Ma finché avrò fiato io sti-molerò i miei alunni a usare la loro testa, a sganciarsi dall'omologazione di massa a cui li sottopone la cultura televisiva, ad amare la lettura che amplifica la loro im-maginazione. Sono le battaglie quotidiane che ci hanno consentito di salvare tanti bambini che ci rendono forti e fiduciosi di un futuro migliore, di una scuola che con-sideri loro degli orticelli fertili e non fred-di numeri di un elenco!

Dedico queste mie riflessioni ai bambi-ni della Doria di via Della Concordia con i quali ho vissuto 11 anni al massimo del-le emozioni possibili.

Monia Frizzi,insegnante di scuola primaria

I Cordai

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Bambini Bambini

Rapportoda Lampedusa

Centinaia di bambini senza nome Centinaia di bambini senza nome

In tutta l'isola pare siano presenti (al 1 aprile) oltre 3000 migranti, di cui 350 mi-nori e tra questi almeno 200 non identifi-cati.

150 minori ad oggi sono dispersi ovve-ro non presenti all'appello.

120 minori si trovano nell'ex base mili-tare Loran, circondata da filo spinato e da carabinieri decisamente poco amichevoli. Rispetto alla visita sull'isola effettuata due settimane fa, i minori oggi hanno un letto, composto da una rete e da un materasso sporco in gomma piuma. I letti sono attac-cati gli uni agli altri senza spazio in mez-zo. I bagni sono esterni. Cinque moduli composti ciascuno da tre wc e una doccia.

Non ci è possibile parlare da soli con i minori, siamo seguiti e sorvegliati a vista da carabinieri e personale dell'ente gesto-re, la Lampedusa accoglienza, che non ci lasciano mai.

Ci riferiscono che ci sono adulti nella base: 6 donne somale ed 1 adulto nigeria-no. E che prima erano presenti anche di-versi bamini in tenera età poi portati. Chiediamo dove, alzano le spalle e dicono che non sanno rispondere.

Intanto, mentre noi effettuiamo la visita ufficiale del Centro i ragazzi parlano con Karim il nostro interprete e si lamentano: hanno freddo, hanno addosso sempre gli stessi vestiti che gli hanno dato i lamedu-sani o la caritas appena sbarcati e li hanno addosso anche da venti giorni.

Non mangiano adeguatamente: il cibo è immangiabile: sempre pasta al sugo da quando sono arrivati sull'isola (alcuni anche dal 13 marzo) due volte al giorno, fredda e semi cruda. A volte la rifiutano a volte la vomitano subito. Si lamentano anche della sporcizia. Hanno poche docce e l'acqua calda si esaurisce subito. E poi non riescono a chiamare casa: è stata consegnata loro solo una scheda di cinque euro ed finita subito.

Ma la cosa che li tormenta di più e non sapere cosa sarà di loro: nessuno gli dice nulla.L'unica parola che viene ripetuta loro all'infinito è: "aspetta". Ma non sanno cosa aspettare: dove li porteranno; in Tu-nisia, in Sicilia o nell'altra Italia? Alcuni di loro dicono di avere parenti in Francia o in Italia. Hanno tutti storie uniche e si-mili: un viaggio di paura e speranza, sti-

pati in barche lunghe pochi metri (nove metri per 74 persone ci dice un ragazzo), con il coltello in tasca o la bomboletta al peperoncino per difendersi dai più grandi, perch quando il mare crea problemi e bi-sogna alleggerire il carico, loro, che sono i più piccoli son quelli che rischiano di più.

Alcuni sono orfani.Alcuni bimbi sono davvero piccini,

avranno dieci o undici anni. Non riesco a non abbracciarne uno che mi siede accan-to. Si chiama Khalil e ha dieci anni. E' bellisimo. Gli chiedo dove sono i suoi ge-nitori , se sono vivi, se sono partiti con lui. Lui mi dice che sono vivi ma sono in Tunisia. Gli altri lo prendono crudelmente in giro: dicono che i genitori si sono volu-ti liberare di lui. Si offende, gli si velano gli occhi neri di lacrime e scappa via.

Tutti hanno dovuto lavorare per guadar-si il viaggio: le tariffe variano da 500 a 1100 euro. Chi conduce la barca paga un pò meno o viaggia gratis. Chissà chi ha pagato il viaggio di Khalil.

Hanno paura, sono stanchi e confusi. Alcuni si toccono la testa e dicono che stanno perdendo la ragione. Passano le giornate a far niente. Dormono e appena le guardie si distraggono scappano dal centro scavalcando un'alta rete. Perchè l'assurdo è questo: gli è vietato uscire dal centro ma possono scappare rischiando di rompersi ossa o ferirsi nella grata. Nessu-no li rincorre e nessuno gli vieta di scap-pare. Fanno tutti finta di non vederli.

E così vagano sull'isola per ingannare il tempo, per cercare del cibo commestibile distribuito dall'accoglienza (quella vera) dei singoli lampedusani e del prete.

Oppure tentano di telefonare a casa. E poi vanno al porto per vedere se arrivano le navi che dovrebbero portarli via da questa prigione a cielo aperto. E se sento-no notizie di possibili partenze si mesco-lano agli adulti, si fingono più grandi per poter imbarcarsi con loro.

Poi proviamo a visitare la casa della fra-ternità: un edificio della curia normalmen-te utilizzato per convegni oggi adibito a dormitorio. Qui ci dormano duecento per-sone: molti bambini, ma anche adulti. E' impossibile avere notizie certe sui numeri.

Chiediamo ai carabinieri di entrare in

visita, abbiamo l'autorizzazione del pre-fetto ma solo per ntrare nella base Loran: Il carabiniere inflessiile ci nega l'accesso. Gli chiediamo alcuni dati: quanti sono i minori, di quale nazionalità, se ci sono ri-chienti asilo. Non sa rispondere a nulla.

Solo quando gli parliamo dei sopravvi-suti all'ultimo naufragio in cui èono morte undici persone ed un neonato ci dice che di queste notizie non ci sono prove (anche se sono confermate dalla capitaneria e sono state pubblicate su tutti i giornali) perchè secondo lui spesso gli stranieri mentono per suscitare pietà.

Andiamo via. Proveremo ad entrare il giorno dopo.

* * *Nella casa della fraternità ci sono circa

duecento persone tra adulti e bimbi. Ci fanno vedere delle specie di tende costrui-te con cartoni e plastica. Hanno dormito lì dentro stanotte i minori perchè hanno paura dei "grandi": Molti di loro di notte vengono rapinati di tutto il niente che hanno: pochi spiccioli, i più fortunati un cellulare e una scheda telefonica.

Hanno freddo. Di notte l'isola è fredda e l'umidità di bagna i vestiti. Ma non hanno scelta. Per questo i bimbi non dovrebbero mai dormire in condizioni di promiscuità con gli adulti, per tutelarni l'incolumità. Ma anche questa legge di buon senso an-cor prima che giuridica viene disapplicata a Lampedusa.

Ci parliamo attraverso le grate perchè la polizia non ci fa entrare e non li lascia uscire. Possono, così come gli altri minori rinchiusi nell'ex base militare Loran, solo scappare scavalcando una grata a loro ri-schio e pericolo, mentre gli agenti fingono di non vederli.

Hanno sonno, paura e freddo. E, come tutti i migranti sull'isola ci chiedono cosa ne sarà di loro.

Lascia sgomenti il fatto che sembra che nessuno abbia infomato i migranti, neppu-re i minori dei loro diritti e delle procedu-re legali che li riguardano.

Neanche loro sono stati identificati ed è difficile pensare che uno Stato si prenda cura di bambini invisibili.

Alessandra Ballerini,missione Terre des Hommes

www.nandodallachiesa.it

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Eserciti Eserciti

PortaereiSicilia

I marines a Sigonella, l’aviazione a Trapani, le santabarbare ad Augusta,I marines a Sigonella, l’aviazione a Trapani, le santabarbare ad Augusta,gli hangar a Pantelleria e i radar dappertutto.gli hangar a Pantelleria e i radar dappertutto.

Armi e basi in Sicilia asse portante della guerra d'Africa Armi e basi in Sicilia asse portante della guerra d'Africa

Tre scali aerei, i porti, numerose posta-zioni radar, depositi di munizioni e carbu-rante. Il conflitto scatenato contro la Libia ha trasformato la Sicilia in un’immensa portaerei da dove decollano 24 ore al gior-no i caccia e gli aerei-spia della coalizione multinazionale anti-Gheddafi.

Il cuore di buona parte dei raid pulsa tra le decine di comandi ospitati a Sigonella, alle porte di Catania, la principale stazione aeronavale delle forze armate statunitensi nel Mediterraneo. A Sigonella vivono qua-si 5.000 marines che hanno combattuto ne-gli scacchieri di guerra mediorientali e africani, nei Balcani e in Caucaso.

Dal 2004 ospita il Combined Task Force 67, il comando che sovrintende alle opera-zioni delle forze aeree della Marina USA, come i cacciaintercettori F-15, i pattuglia-tori marittimi P3-C “Orion”, i velivoli di sorveglianza elettronica EP-3E e per il ri-levamento dei segnali radar EA-18G “Growlers”, determinanti per annientare le postazioni della contraerea libica.

Lo scalo offre il supporto tecnico logisti-co e il rifornimento munizioni e carburante agli aerei a decollo verticale V-22 “Ospreys” e agli elicotteri d’assalto CH-46 “Sea Knight” e CH-53E “Super Stallion” del Corpo dei marines, imbarcati sulle uni-tà che assediano la costa nordafricana, e ai 15 cacciabombardieri F-15, F-16 e B-2 (gli “aerei invisibili”) che l’US Air Force ha

trasferito nel Canale di Sicilia.Da Sigonella partono anche gli aerei ci-

sterna KC-130 e KC-135 utilizzati per il ri-fornimento in volo dei velivoli impegnati nei raid.

Oltre ai mezzi statunitensi, dalla base sono operativi sei caccia F-16 dell’aero-nautica danesi, a cui potrebbero aggiunger-si gli intercettori di Canada, Norvegia e Spagna. Coinvolti nella missione in Libia sono infine i reparti USA schierati stabil-mente a Sigonella, come l’Helicopter Combat Support Squadron HC-4, il Fleet Logistic Support Squadron VR-24 e il 25° Squadrone Antisommergibile della US Navy.

* * *Un cocktail di strumenti di morte a cui

l’aeronautica militare italiana non fa man-care il suo contributo: a nove pattugliatori “Atlantic” del 41° Storno antisommergibi-le è stato affidato infatti il controllo dello spazio aereo e marittimo prospiciente del Mediterraneo centrale.

La cosiddetta operazione Odissey Dawn ha però il pregio di offrire una concreta opportunità per sperimentare sul campo i nuovi aerei senza pilota UAV “Global Hawk” che l’US Air Force ha iniziato a di-slocare a Sigonella nell’ottobre 2010 in vi-sta della sua trasformazione in “capitale internazionale” dei giganteschi aerei utiliz-zati per lo spionaggio e la direzione degli

attacchi, convenzionali e nucleari, contro ogni possibile obiettivo nemico in Europa, Asia ed Africa.

Stando ai piani del Pentagono, nella base siciliana dovrebbe operare entro il 2012 un plotone di 4-5 “Global Hawk”, mentre altri 5 velivoli UAV potrebbero essere assegnati entro anche ai reparti della Marina USA presenti in Sicilia.

A questo fine si sta realizzando un enor-me complesso per la manutenzione dei “Global Hawk”, un programma considera-to “strategico” dal Dipartimento della dife-sa, e i cui lavori multimilionari sono stati appaltati alla CMC di Ravenna (Lega-coop).

La NATO, da parte sua, nel febbraio 2009, ha scelto la stazione aeronavale qua-le “principale base operativa” dell’Allian-ce Ground Surveillance – AGS, il nuovo sistema di sorveglianza terrestre dell’Al-leanza Atlantica.

Entro il 2014, giungeranno a Sigonella 800 militari, sei velivoli “Global Hawk” di ultima generazione e le stazioni fisse e tra-sportabili progettate per supportare il di-spiegamento in tempi rapidissimi e in qualsiasi scacchiere internazionale delle unità terrestri, aeree e navali della Forza di Risposta (NRF) della NATO.

Scalo di dimensioni più ridotte ma di uguale importanza strategica per la guerra alla Libia è quello di Trapani-Birgi.

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Eserciti Eserciti

Sede dal 1984 della NATO Airborne Early Warning and Control Force dotata dei velivoli radar Awacs, Trapani-Birgi ospita i cacciabombardieri F-16 del 37° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, disponibili per le intercettazioni aeree e il bombardamento di obiettivi terrestri.

È in questo scalo che il ministro della di-fesa La Russa ha fatto confluire i “gioielli” di morte destinati al fronte libico: quattro caccia “Tornado” del 50° Stormo di Pia-cenza nella versione Ecr (specializzati nel-la guerra elettronica e nella distruzione delle difese aeree), e due “Tornado” Ids del 6° Stormo di Ghedi per il rifornimento in volo e/o l’attacco contro target terrestri.

A secondo della missione, i “Tornado” possono essere armati con i missili “anti-radar” Agm-88 Harm, con gli aria-aria Aim-9 e con gli aria-suolo “Storm Sha-dow”, questi ultimi con caratteristiche Stealth, una testata esplosiva perforante in grado di distruggere bunker protetti ed una gittata di circa 500 km.

A Trapani sono pure atterrati i caccia su-personici Eurofighter 2000 “Typhoon” del 4° Stormo di Grosseto, velivoli con una bassa superficie riflettente al radar e forniti di missili aria-aria a guida infrarossa “Die-hIris” per l’attacco ravvicinato ed Aim 120 per bersagli a 40 km di distanza.

Completano lo schieramento quattro cacciabombardieri F-18 dell’aeronautica militare canadese, tra i più impegnati nei bombardamenti.

Tutti i velivoli della coalizione possono utilizzare in qualsiasi momento le due pi-ste di volo e il mega-hangar “Pier Luigi Nervi” ricavato all’interno di una collina dell’isola di Pantelleria - la postazione più avanzata di Odissey Dawn - capace di

ospitare sino ad una cinquantina di aerei da guerra. Nello scalo sono stati completati di recente i lavori di ampliamento delle piste e di ristrutturazione dell’aerostazione che ha assunto un ruolo chiave nelle attività anti-migranti.

D’importanza strategica pure alcuni im-pianti radar disseminati in Sicilia, a partire dal centro di Mezzogregorio (Siracusa), a cui è assegnato il compito di elaborare le informazioni raccolte da aerei, unità navali e dalle squadriglie radar dell’Ami presenti nell’isola di Lampedusa e a Marsala.

I dati vengono poi trasferiti al Comando operativo delle forze aeree (COFA) di Poggio Renatico (Ferrara), il più grande centro di intelligence delle forze armate in

Italia.Il Dipartimento della difesa USA può

contare invece sui sofisticati sistemi di te-lecomunicazione di Sigonella e sulla sta-zione di Niscemi (Caltanissetta), dove sor-gono una quarantina di antenne a bassissi-ma frequenza per la trasmissione degli or-dini di attacco ai sottomarini a propulsione nucleare.

Tre di questi, in immersione nel Medi-terraneo, hanno già lanciato contro la Libia decine di missili da crociera “Tomahawk” contenenti al proprio interno uranio impo-verito.

La centralità di Niscemi nell’assetto del-le comunicazioni belliche è destinato a crescere: la base è stata prescelta per ospi-tare una delle quattro stazioni mondiali del nuovo sistema di telecomunicazione satel-litare USA, il cosiddetto “MUOS”, la cui emissione di microonde comporterà inso-stenibili rischi per la salute e la sicurezza della popolazione locale.

Ad assicurare le operazioni di riforni-mento delle navi da guerra e dei sottomari-ni statunitensi, italiani e dei paesi partner è la base navale di Augusta (Siracusa), in una delle aree a più alto rischio ambientale d’Italia per la presenza di raffinerie, indu-strie chimiche, depositi di armi, ecc..

Augusta è classificata in ambito militare quale NATO facility ed è utilizzata dal-l’Alleanza atlantica e dalla VI Flotta USA per lo stoccaggio delle munizioni e deposi-to POL (petrolio, nafta e lubrificanti).

Decine di elicotteri da trasporto fanno da ponte con la vicina base Sigonella, sorvo-lando popolati centri urbani.

I morti di questa guerra sono invisibili. Gli angeli sterminatori, no.

Antonio Mazzeo

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Eserciti Eserciti

Quegli squali nuclearinei mari

del nostro sud I sottomarini a propulsione nucleare sono lo strumento di distruzione più micidialeI sottomarini a propulsione nucleare sono lo strumento di distruzione più micidiale

della coalizione internazionale in guerra nel Mediterraneo.della coalizione internazionale in guerra nel Mediterraneo.Hanno sganciato centinaia di missili “Tomahawk” all’uranio impoverito, spargendoHanno sganciato centinaia di missili “Tomahawk” all’uranio impoverito, spargendo

polveri radioattive nelle città e nei villaggi della Libiapolveri radioattive nelle città e nei villaggi della Libia

Sono lo strumento di distruzione più mi-cidiale della coalizione internazionale in guerra contro Gheddafi.

Hanno sganciato centinaia di missili “Tomahawk” all’uranio impoverito, spar-gendo polveri radioattive nelle città e nei villaggi della Libia.

Transitano in immersione nei mari del sud Italia, attraversando i corridoi maritti-mi più trafficati come lo stretto di Messina.

Per le loro soste scelgono le popolatissi-me baie ai piedi di due vulcani, l’Etna e il Vesuvio, accanto a depositi di carburante e munizioni, raffinerie e industrie chimiche.

Si tratta dei sottomarini a propulsione nucleare della marina militare USA, im-pianti antiquati e pericolosi tipo “centrale Chernobyl”, con l’aggravante che se ne vanno a spasso liberi per i nostri mari.

Uno di essi è approdato il 4 aprile ad Augusta (Siracusa), in un’area ad altissimo rischio ambientale, sede di un’importante base della Marina militare italiana e del principale polo navale delle forze USA e NATO nel Mediterraneo.

L’arrivo del sottomarino è stato comuni-cato dalla Capitaneria di Porto della citta-dina siciliana. “Visto il vigente piano di emergenza e le norme per la sosta di unità militari a propulsione non convenzionale nel porto di Augusta - si legge nell’ordi-nanza firmata dal comandante Francesco Frisone - è fatto divieto a tutte le unità na-vali non specificatamente autorizzate di avvicinarsi, transitare o sostare ad una di-stanza inferiore a 1.000 metri dalla unità a propulsione non convenzionale posta alla fonda nel punto di latitudine 37° 10′ 18”N e longitudine 015° 14′ 36”E”.

Durante le manovre di ingresso e uscita dell’unità militare è stato pure sospeso il traffico mercantile nel golfo di Augusta.

Con la guerra la Sicilia è sempre più a sovranità limitata: il più grande porto indu-striale dell’isola è dichiarato off limits per consentire le spericolate manovre dei sot-tomarini atomici, l’aeroporto di Trapani-Birgi viene chiuso al traffico civile, l’uso dello spazio aereo di Catania-Fontanarossa viene limitato per non disturbare le missio-ni dei caccia e dei velivoli senza pilota del-la vicina base di Sigonella.

Le autorità italiane hanno mantenuto il più stretto riserbo sul sottomarino in rada ad Augusta.

* * *Fonti del Pentagono riferiscono che le

unità subacquee dislocate nel Canale di Si-cilia per bombardare gli obiettivi militari e civili libici sono tre: l’USS Providence (SSN 719), l’USS Scranton (SSN 756) e l’USS Florida (SSGN 728). Ma all’area operativa della VI flotta è pure assegnato l’USS Newport News (SSN 750).

Il Providence ha effettuato una sosta tec-nica a Gibilterra dal 24 al 28 marzo e pare improbabile che all’equipaggio sia stata concessa un’altra licenza-premio dalla guerra in nord Africa.

È presumibile dunque che il sottomarino nucleare approdato in Sicilia sia lo Scran-ton (già fotografato nelle acque di Augusta il 6 marzo 2011), il Florida (tra il 3 e il 4 marzo in sosta nel porto di Napoli) o il Newport News, transitato da Napoli, se-condo il Comando delle forze navali statu-nitensi in Europa ed Africa, lo scorso 8 marzo.

In tutti e tre i casi c’è assai poco da star tranquilli.

Scranton e Newport News (come il Pro-vidence) appartengono alla classe “Los Angeles”: realizzati nella prima metà degli anni ’80, sono lunghi 110 metri, pesano 6.184 tonnellate, imbarcano 110 uomini e dispongono di un imponente arsenale di morte (siluri Mk48 ADCAP, missili per at-tacco a terra “Tomahawk” block 3 SLCM con una gittata di 3.100 km.

e missili anti-nave “Harpoon”).La loro spinta è assicurata da un reattore

ad acqua pressurizzata S6G, dove la S sta per Submarine platform, il 6 per Sixth ge-neration e la G per General Electric, la so-cietà realizzatrice dell’impianto nucleare con una potenza di 165 MW.

Ancora più imponente l’USS Florida, sottomarino della classe “Ohio”: varato nei primi anni ’80, è lungo 170 metri e pesa 18.750 tonnellate, mentre il reattore nu-cleare è indicato con il codice S8G PWR (di ottava generazione) con una potenza di 26,1 MW.

Il suo carburante è l’uranio arricchito nell’isotopo U235, sostituito di norma ogni 7-8 anni invece dei 18 mesi previsti per i reattori degli impianti “civili” di terra.

Nel 2003 il Florida è stato convertito da sommergibile con lanciatori di missili nu-cleari balistici intercontinentali (SSBN) a piattaforma lanciamissili per l’attacco a terra (SSGN), 22 gruppi di lanciatori con 7 missili ciascuno BGM-109 “Tomahawk” TLAM.

L’attacco sferrato contro la Libia ha se-gnato il battesimo di fuoco per le unità SSGN della classe “Ohio”.

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Eserciti Eserciti

“Questo nuovo guided missile submari-ne dispone di un potere dodici volte mag-giore dei vecchi sommergibili d’attacco della classe “Los Angeles”, e di gran lunga superiore perfino agli incrociatori lancia-missili”, scrive l’attivista Phil Rushton di Peacelink.

“Oltre all’equipaggio composto da 159 uomini, il Florida può imbarcare 60 milita-ri SEAL delle Special Operations Forces (SOF), specializzati in operazioni di incur-sioni segrete, sabotaggio e intelligence, e che dispongono dei propri mezzi sommer-gibili per arrivare al bersaglio”. L’unità è pure dotata di un sistema di comunicazio-ne di ultima generazione con antenne “High Data Rate”, che le consente di ope-rare da struttura di comando e coordina-mento dell’attacco di più mezzi, organizza-ti intorno al concetto militare di Small Combatant Joint Command Center (picco-lo centro di comando congiunto).

Secondo quanto denunciato nel 2004 dall’allora parlamentare dei Verdi Mauro Bulgarelli, oltre ad Augusta e Napoli ci sa-rebbero altri nove porti italiani in cui ven-gono periodicamente ospitati sottomarini o unità navali a propulsione nucleare (Brin-disi, Cagliari, Castellamare di Stabia, Gae-ta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Ta-ranto e Trieste).

“Per motivi di sicurezza e per l’impossi-bilità delle autorità militari di ottemperare secondo legge alle disposizioni delle auto-rità civili, in nessuno degli attuali porti ita-liani è ammissibile la presenza di unità nu-cleari”, afferma l’ingegnere Massimo Zuc-chetti, professore ordinario di “Impianti nucleari” presso il Politecnico di Torino.

Autore del prezioso studio sull’utilizzo nel conflitto in Libia di missili “Tomaha-

wh” all’uranio impoverito, il professore Zucchetti ha avuto modo di esaminare i cosiddetti “piani di emergenza esterna” re-lativi alla sosta di unità militari a propul-sione nucleare nei porti di La Spezia, Ta-ranto, Gaeta e La Maddalena.

“L’elaborazione dei piani e la loro pub-blicità è richiesta dalla vigente legislazione civile sulla radioprotezione”, spiega il do-cente. “È indispensabile una informazione completa sui dettagli tecnici relativi all’im-pianto per effettuare un’analisi incidentale credibile e stimare adeguatamente il ri-schio.

Nel caso di reattori nucleari a bordo di unità navali militari, molte di queste infor-mazioni mancano o sono insufficienti.

Quanto sarebbe necessario acquisire, co-noscere, ispezionare ed accertare si scontra molto spesso con il segreto militare.

Mancano molte delle informazioni che sarebbe necessario ottenere, oppure sono inottenibili o vengono trasmesse mediante comunicazioni da parte della Marina Mili-

tare o addirittura della US Navy, con una modalità di autocertificazione che è inac-cettabile nel caso dell’analisi di sicurezza di un impianto nucleare”.

Massimo Zucchetti ricorda inoltre come le normative prevedano intorno ai reattori nucleari un’area in cui non sia presente po-polazione civile (la cosiddetta “zona di esclusione”), mentre è richiesta, in una fa-scia esteriore più ampia, una scarsa densità di popolazione per ridurre le dosi collettive in caso di rilasci radioattivi, sia di routine che incidentali.

Normalmente, la fascia di rispetto ha un raggio di 1.000 metri e vi sono requisiti di scarsa densità di popolazione per un raggio di non meno di 10 km dall’impianto.

“Nell’ambito della localizzazione e del licensing di reattori nucleari civili terrestri, questi requisiti vengono rispettati nella fase di selezione del sito e dell’installazio-ne della centrale”, spiega Zucchetti.

“Cosa del tutto diversa nel caso dei reat-tori nucleari a bordo di unità navali milita-ri, dato che molti dei porti si trovano in aree metropolitane densamente popolate e i punti di attracco e di fonda delle imbarca-zioni sono, in alcuni casi, posti a distanze minime dall’abitato”.

“La presenza di reattori nucleari in zone densamente popolate – conclude l’inge-gnere - provoca poi, in caso di incidente, evidenti difficoltà di gestione dell’emer-genza.

Anche in caso di messa in opera di av-venturose soluzioni di rimedio, l’impatto ambientale è comunque assai rilevante”.

L’orrore di Fukushima è tutt’altro che re-moto per milioni di inconsapevoli cittadini italiani.

Antonio Mazzeo

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Generazioni Generazioni

“Il nostro tempo è adessoLa vita non aspetta”

Lo sciopero dei precari – organizzato sull'internet – del 9 aprileLo sciopero dei precari – organizzato sull'internet – del 9 aprile

Non c’è più tempo per l’attesa. E’ il tem-po per la nostra generazione di prendere spazi e alzare la voce. Per dire che questo paese non ci somiglia, ma non abbiamo al-cuna intenzione di abbandonarlo. Soprat-tutto nelle mani di chi lo umilia quotidia-namente.Siamo la grande risorsa di questo paese. Eppure questo paese ci tiene ai mar-gini. Senza di noi decine di migliaia di im-prese ed enti pubblici, università e studi professionali non saprebbero più a chi chiedere braccia e cervello e su chi scari-care i costi della crisi. Così il nostro paese ci spreme e ci spreca allo stesso tempo.

* * *Siamo una generazione precaria: senza

lavoro, sottopagati o costretti al lavoro in-visibile e gratuito, condannati a una lun-ghissima dipendenza dai genitori. La pre-carietà per noi si fa vita, assenza quotidia-na di diritti: dal diritto allo studio al diritto alla casa, dal reddito alla salute, alla possi-bilità di realizzare la propria felicità affet-tiva. Soprattutto per le giovani donne, su cui pesa il ricatto di una contrapposizione tra lavoro e vita.

Non siamo più disposti a vivere in un paese così profondamente ingiusto. Lo spettacolo delle nostre vite inutilmente fa-ticose, delle aspettative tradite, delle fughe all’estero per cercare opportunità e garan-zie che in Italia non esistono, non è più tollerabile.

Come non sono più tollerabili i privilegi e le disuguaglianze che rendono impossibile la liberazione delle tante po-tenzialità represse.

Non è più tempo solo di resistere, ma di passare all’azione, un’azione comune, per-ché ormai si è infranta l’illusione della sal-vezza individuale. Per raccontare chi sia-mo e non essere raccontati, per vivere e non sopravvivere, per stare insieme e non da soli.

Vogliamo tutto un altro paese. Non più schiavo di rendite, raccomandazioni e clientele. Pretendiamo un paese che per-metta a tutti di studiare, di lavorare, di in-ventare. Che investa sulla ricerca, che va-lorizzi i nostri talenti e la nostra motiva-zione, che sostenga economicamente chi perde il lavoro, chi lo cerca e chi non lo trova, chi vuole scommettere su idee nuo-ve e ambiziose, chi vuole formarsi in auto-nomia. Vogliamo un paese che entri davve-ro in Europa.

* * *Siamo stanchi di questa vita insostenibi-

le, ma scegliamo di restare. Questo grido è un appello a tutti a scendere in piazza: a chi ha lavori precari o sottopagati, a chi non riesce a pagare l’affitto, a chi è stanco di chiedere soldi ai genitori, a chi chiede un mutuo e non glielo danno, a chi il lavo-

ro non lo trova e a chi passa da uno stage all’altro, alle studentesse e agli studenti che hanno scosso l’Italia, a chi studia e a chi non lo può fare, a tutti coloro che la precarietà non la vivono in prima persona e a quelli che la “pagano” ai loro figli. Lo chiediamo a tutti quelli che hanno inten-zione di riprendersi questo tempo, di scommettere sul presente ancor prima che sul futuro, e che hanno intenzione di farlo adesso.

tutt* in piazza il 9 aprile!

Salvo Barrano, archeologo freelance,Associazione nazionale archeologi

Eleonora Voltolina, giornalista,Repubblica degli Stagisti

Pierpaolo Pirisi, portuale interinale,Rete precari portuali di CivitavecchiaLuca Schiaffino, ricercatore precario,

Coordinamento precari universitàIlaria Lani, sindacalista,

Giovani NON+ disposti a tutto-CgilMarco Palladino, imprenditore,fondatore del progetto Mashape

Alessandro Pillitu,avvocato a p.iva,Associazione praticanti 6° pianoClaudia Cucchiarato, giornalista,

autrice del libro "Vivo altrove"Raffaella Ferrè, scrittrice,

Coordinamento giornalisti precari CampaniaIlaria Di Stefano, operatrice precaria

dello spettacolo, Duncan 3.0Francesco Vitucci, assegnista di ricerca,

Associazione dottorandi e dottori di ricerca Teresa Di Martino, giornalista precaria,

Diversamente occupateFrancesco Brugnone, operatore call center,

4U di PalermoImane Samia Oursana, redattrice precaria,

associazione Going to Europe

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Mafiae massoneria

IL CENTRO STUDI“SCONTRINO”

Come prova incontrovertibile della parteci-pazione della massoneria al sistema di po-tere politico – affaristico –mafioso stanno le risultanze processuali sul Centro Studi “Scontrino, con sede a Trapani nella centra-lissima via Carreca. “Stavano tutti assieme, mafiosi, politici, imprenditori, nobili, sacer-doti, funzionari comunali, ufficiali dei vigi-li urbani. Tutti iscritti alla loggia massonica Iside 2”. (Repubblica, 11 aprile 1989)Dalla relazione della Commissione parla-mentare sulla mafia:"Le affiliazioni massoniche offrono al-l'organizzazione mafiosa uno strumento formidabile per estendere il proprio potere per ottenere favori e privilegi in ogni cam-po, sia per la conclusione di grandi affari sia per l'aggiustamento" di processi, come hanno rilevato numerosi collaboratori di giustizia …”Giovanni Grimaudo era il presidente del Centro Studi e coordinava gli “affari” nelle sei logge dai nomi esotici di Iside, Osiride, Iside 2, Ciullo d’Alcamo, Cafiero e Hiram.“sulle quali incombeva, con funzioni da immaginare ben più concrete ed impegnati-ve di quelle rituali solitamente attribuite ai “gran maestri” l’autorevole e facoltoso commercialista Pino Mandalari, amministratore personale di Totò Riina”.Ecco dimostrato il legame tra mafia e massoneria nella persona del Mandalari, fra l’altro, amministratore di numerose altre società che facevano capo ai Vernengo, ai

Badalamenti, a Giuseppe Giacomo Gambi-no, ai Greco, a Diego Madonia e a molti al-tri boss.Era assolutamente prevedibile e naturale che Cosa Nostra e i suoi sodali siciliani fossero, per così dire, attratti ed inseriti nel circuito nazionale ed internazionale non solo per gestire ingenti capitali, ma anche per rafforzare i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico cui erano interessati la NATO, la CIA e il Vaticano per bloccare il comunismo e la P2 con la schiera di fac-cendieri interessati ad assumere il controllo dello Stato.

LA PREGHIERADELL'ASSASSINO

“Come mai Filippo Marchese- prima di torturare, strangolare e sciogliere nell'acido una vittima invocava la benedizione di Dio, facendosi il segno della croce?[ … ] Ed erano pazzi gli altri sicari, che usavano rin-graziare Dio ogni volta che una loro esecu-zione era andata in porto?". (A. Cavadi. Il Dio dei mafiosi. Edizioni San Paolo. Mila-no. 2009. Pag.218)Nei “pizzini” di Bernardo “Binno” Pro-venzano era frequente, costante, quasi os-sessivo il richiamo al “Volere di Dio” e la sua tana sembrava una sacrestia.Pietro Aglieri è il più religioso ed è uno di quelli che decisero di ammazzare Paolo Borsellino:“il suo rifugio sembra una cappella. Ci sono le panche allineate come in una chie-

sa, c’è un altarino, c’è una statua della Ma-donna illuminata dai ceri”. (A. Bolzoni. Pa-role d’onore. RCS. Milano. 2008. Pag. 78)Nel vissuto quotidiano del perfetto mafioso la domenica si va alla Messa, non ammazza di venerdì perché di venerdì fu ucciso Gesù, non va a prostitute e non ha amanti, “non si frequentano né taverne e né circoli, "si ci deve portare rispetto alla moglie". (estratti da un decalogo, riportati in-tegralmente, trovato tra le carte di Salvato-re Lo Piccolo).Per trovare una risposta alla domanda di Augusto Cavadi che ho riportato all’inizio e per capire come è possibile che un mafio-so possa essere anche un cattolico osser-vante ho telefonato al teologo don Franco Barbero che, in sostanza, mi ha ribadito quanto scritto nella sua recensione on line al libro di Cavadi:“Non che il fenomeno mafia costituisca una "creatura cattolica", ma la teologia cattolica contribuisce alla concreta configurazione di questa mafia. Fu addirittura Paolo VI a sostenere l'esistenza di un legame, di una "relazione pericolosa" fra mens mafiosa e mens cattolica,due mentalità associate, intrecciate, complicate”. (http://donfranco-barbero.blogspot.com/2009/09/un-libro-scomodo-e-coraggiosoda-leggere.html)Al telefono mi ha indotto a trovare effettive similitudini tra mafia e chiesa cattolica: organizzazione verticale e rigida, principio di autorità, di ubbidienza, di espiazione, di ossequio alla “verità”, ecc. …Gli ho detto che lo andrò a trovare, a fine aprile, quando sarò a Torino.

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”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva epiacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore,la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antiche è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse non siamo d'accormafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia èdo. La storia è un insieme di cronache di tante persoun insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte diventano anne comuni. E tutte diventano anch'esse storia, prima o poi.ch'esse storia, prima o poi. ComunComunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualisque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, sicilianesime, siciliane

<< Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie scheggele facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >>

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

SINDONA FRA POLITICA,MAFIA E MASSONERIA

Andreotti lo definì il “salvatore della lira” e quella volta Sindona aveva visto giusto nel prevedere la crisi mondiale del 1973 e poi fu anche puntuale e generoso finanziatore della DC.Fu uno dei fondatori del sistema tangen-tizio, poi denominato “Tangentopoli”; un sistema praticamente blindato, che si con-solidò in Italia e che ebbe come protagoni-sti massoni, faccendieri, militari, prelati, politicanti, ruffiani e, naturalmente Cosa Nostra con tutti quei miliardi del narcotraf-fico da ripulire e da investire negli appalti, nelle speculazioni finanziarie ove il denaro era diventato esso stesso merce di scambio.Secondo la testimonianza del “pentito” Gaspare Mutolo:“A Sindona erano state affidate ingenti somme di denaro da parte dei principali esponenti di Cosa Nostra». (Gianni Barba-cetto. introduzione a "Il mistero Sindona" di Nick Tosches. Alet Edizioni).Pippo Calò, Stefano Bontade, Salvatore Inzerillo, Totò Riina lo avevano nominato loro consulente di fiducia ed anche dei loro alleati negli Stati Uniti. Cosa Nostra fece il grande salto imprenditoriale ed era diventa-ta monopolista del traffico dell’eroina raffi-nata in Sicilia e venduta in America.Sindona dimostrò a tutto il mondo la straordinaria abilità di gestire incredibili somme di denaro, anche il Papa Paolo VI si fidò di lui, divenne il padrone della Frank-lin National Bank di New York, acquistò il

Watergate, quel palazzo che segnò la fine politica del suo amico Nixon. Anche in Ita-lia divenne padrone di un pezzo importante del mondo finanziario, poi pensò di puntare tutto sul dollaro, ma il dollaro andò giù e Sindona pure con migliaia di risparmiatori che gli avevano dato fiducia.Rimase potente, protetto e difeso da mafia, massoneria e politica e Giorgio Ambrosoli, che stava indagando per conto dello Stato sulle gravissime responsabilità fu abbattuto a colpi di pistola.

LEONARDO VITALEPAZZO? NO. PENTITO!

Leonardo Vitale non fu un capo di Cosa Nostra come Tommaso Buscetta, ma nep-pure Bruno Contrada che raccolse il suo pentimento fu come Giovanni Falcone.Assolutamente “esemplare” l’apprendistato mafioso gestito e valutato dallo zio Giovan Battista “Titta” Vitale, rappresentante della “famiglia” di Altarello di Baida. Leonardo, ancora giovanissimo, fu sottoposto a numerose prove di crudeltà e di violenza fino ad abbattere un cavallo. Lo zio era felice e capiva che Leonardo sarebbe presto diventato un “uomo d’onore”, ma prima doveva dimostrare di sapere ammazzare un uomo.Lo zio gli indicò la vittima e lui ne studiò i movimenti, individuò il luogo ed il mo-mento più adatti e superò alla grande anche questa prova. Ed ecco l’affiliazione secon-

do il rito del dito punto con una spina di arancio amaro, dell’immagine sacra che brucia mentre lui pronuncia la formula del giuramento, del bacio in bocca di tutti i presenti.Da “uomo d’onore” commise altri delitti, ammazzò altre persone, ma quell’infinito ed improvviso bruciore esplosivo provoca-to dalla lupara, improvviso ed infinito prese lui e Leonardo Vitale si pentì profondamen-te.Era la primavera del 1973 e varcò la soglia di un commissariato per raccontare i suoi omicidi e poi quelli commessi dai suoi “fratelli” e poi ancora per liberarsi di ogni peso e di ogni rimorso, per chiedere perdo-no a Dio ed agli uomini riferì nomi e co-gnomi dei capi e dei membri delle “fami-glie” di Cosa Nostra di Palermo e provin-cia.Lo presero per pazzo più che per pentito: di Cosa Nostra non se ne sapeva tanto e quello che aveva raccontato Leonardo Vita-le era proprio troppo.Lo rinchiusero in manicomio per una de-cina d’anni dalle parti di Messina, poi uscì dal manicomio e quella mattina del 2 di-cembre 1982, appena fuori dalla chiesa, sentì, improvviso ed infinito, il bruciore esplosivo della lupara dei “fratelli” traditi di Altarello di Baida.

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Satira Satira

Un voto

Un altro voto

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Satira Satira

Una firma

Un'altra firma

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Catania Catania

Facoltàdi Bavaglio

Offendo la reputazione, l'onore e il deco-ro del Rettore dell'Università di Catania, Prof. Antonino Recca. Questo ho scoperto la mattina del 22 marzo, per puro caso, at-traverso una telefonata amica che mi infor-mava di una lettera del Magnifico al Presi-de della mia Facoltà, Scienze Politiche. Non riuscivo a crederci. Già, durante un Consiglio di Facoltà, il Rettore mi aveva velatamente citato, parlando di uno studen-te di scienze politiche irrispettoso. Aveva parlato di una eventuale lettera ma non ave-va pronunciato un nome specifico. Nessuno lo aveva preso seriamente.

Mi precipito in Facoltà. La lettera esiste. Protocollata al numero 17791, una carta uf-ficiale dell'Ateneo, inoltrata a tutti i docenti e ricercatori della Facoltà di Scienze Politi-che, avente ad oggetto: comportamenti te-nuti dallo studente Iannitti Matteo.

Vado al Rettorato, mi faccio consegnare il documento di cui sono l'oggetto, e co-mincio a leggere. Due pagine corredate da altre diciassette contenenti articoli, email, comunicati stampa.

Scrive il Magnifico: “Lo studente Matteo Iannitti ha dato ampia diffusione a comunicati, a propria firma o a firma d'altri, nei quali sono contenuti termini ed espressioni gravemente diffamatori e ingiuriosi che offendono la reputazione, l'o-nore e il decoro del rettore dell'Ateneo, e al contempo ledono dell'Ateneo il prestigio e la dignità”. E ancora: “il comportamento te-nuto da Iannitti è certamente perseguibile

sul piano disciplinare”. Poi si supera: “i do-cumenti (…) potrebbero riguardare anche responsabilità politiche, qualificandosi lo studente come responsabile scuola e uni-versità di Rifondazione Comunista”. Infine la minaccia “ ritengo necessario che il pre-side della Facoltà di Scienze Politiche inviti lo studente a tenere comportamenti dignito-si, corretti e rispettosi, anche per non incor-rere in conseguenze penalmente perseguibi-li e in procedimenti disciplinari dai quali potrebbero derivare gravi sanzioni discipli-nari”.

Cosa può portare il Rettore dell'Ateneo più antico e prestigioso della Sicilia, che accoglie 64 mila iscritti, a scrivere cose del genere su uno studente? Mi faccio un esa-me di coscienza. Poi mi metto a leggere gli allegati. Le prove dell'accusa.

Il 17 marzo 2009 ho inoltrato un comuni-cato stampa a firma Pierpaolo Montalto e Valerio Marletta, rispettivamente Segretario e Consigliere Provinciale di Rifondazione Comunista. Del comunicato Recca sottoli-nea una frase: “Il Rettore non ha dato rispo-ste sullo scandalo di Farmacia: sulle morti di cui è anch'egli responsabile”. Responsa-bile chiaramente in quanto istituzione, es-sendo stata sequestrata la Facoltà di Farma-cia nel 2008, dopo due anni dall'elezione di Recca. Chiedere chiarezza è forse diffama-torio? Rilevare responsabilità istituzionali? E forse può essere accusato uno studente di inoltrare comunicati dalla propria email personale?

Il 18 marzo 2009 ho invece inoltrato un comunicato a firma del Movimento Studen-tesco Catanese in cui si raccontavano le azioni svolte dagli studenti durante il corteo convocato in occasione dello sciopero del-l'istruzione. In quel comunicato si definisce la gestione dell'Ateneo “fallimentare e cri-minale”. Per Farmacia si sono appena chiu-se le indagini e 13 persone sono imputate per gestione di discarica, disastro ambienta-le, falso ideologico e turbativa d’asta. Alcu-ni imputati non lavorano più in Ateneo, al-tri continuano a farlo. La magistratura farà il suo lavoro ed accerterà la verità. Ma è reato dare un giudizio politico?

Il 27 aprile 2009 un altro comunicato sul-la ricandidatura di Recca a Rettore per il secondo mandato.

“ Rifondazione Comunista invita il Retto-re ad usare la campagna elettorale per for-nire delle spiegazioni a chi ogni giorno vive l'Università, sulle responsabilità del tragico scandalo di Farmacia e sul futuro della Fa-coltà, sull'applicazione dei numeri chiusi, sulla gestione dei tagli, sui veri sprechi del-l'Ateneo come la convenzione col giornale La Sicilia”. Questa la parte segnalata dal Rettore.

Il 29 aprile 2009 un nuovo comunicato sulla rielezione di Recca a Rettore. Di nuo-vo accusati di aver scritto :“I commenti en-tusiasti di destra e PD alla rielezione di Recca sono il segnale inquietante del con-sociativismo che attanaglia la città di Cata-nia e le sue istituzioni”.

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Uno studente di Rifondazione fa un comunicato politico criticando il Rettore.Uno studente di Rifondazione fa un comunicato politico criticando il Rettore.Parte una circolare: “Invitate lo studente a tenere comportamenti rispettosi.Parte una circolare: “Invitate lo studente a tenere comportamenti rispettosi.

Sennò, conseguenze penali e procedimento di disciplina”.Sennò, conseguenze penali e procedimento di disciplina”.Ma l'Università, qualche secolo fa, non s'era resa autonoma dall'Inquisizione?Ma l'Università, qualche secolo fa, non s'era resa autonoma dall'Inquisizione?

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Catania Catania

Ultimo comunicato riportato, quello del 4 febbario 2011, riguardante la nomina della Commissione Statuto d'Ateneo.

“È raccapricciante che Antonino Recca abbia deciso di non avviare nessun processo democratico per la scelta dei componenti della Commissione, organo fondamentale per il futuro dell'Università etnea. In nessun altro Ateneo d'Italia si sta conducendo un iter così autoreferenziale e così autoritario. È altresì grave che l'Ateneo di Catania sia nuovamente ridotto a strumento funzionale alla carriera politica del Rettore e dei suoi galoppini, a scapito di migliaia di studenti, ricercatori, funzionari e docenti che desiderano un'Istituzione indipendente e democratica quale dovrebbe essere l'Università di Catania.

Antonino Recca, per incompatibilità con la Legge Gelmini, ha deciso di dimettersi dall'incarico di Presidente Regionale del-l'UDC. Crediamo che abbia fatto male. Recca doveva dimettersi da Rettore, come più volte richiesto da Rifondazione Comu-nista e dal Movimento Studentesco Catane-se.

È infatti assurdo che un Ateneo presti-gioso come quello di Catania debba essere schiavo di un Rettore che si è reso compli-ce del silenzio sul Caso Farmacia, che ha introdotto i numeri chiusi in tutte le facoltà, che ha aumentato le tasse universitarie, che ha trasformato il rettorato in comitato elet-torale e che ora ha illegittimamente nomi-nato la Commissione Statuto senza nemme-

no confrontarsi con Senato Accademico e comunità studentesca.”

Queste le prove.Sì è vero, faccio politica dentro l'Univer-

sità di Catania e, guarda un po', sono iscrit-to alla Facoltà di Scienze Politiche. Confes-so, sono iscritto a Rifondazione Comunista e milito nel Movimento Studentesco Cata-nese. Guardo un'università che non mi pia-ce e cerco di migliorarla.

Per farlo, insieme a tante compagne e tanti compagni, denuncio ciò che succede. Ci facciamo un'opinione attraverso riunioni e assemblee e la diffondiamo. Attraverso la rete, su dei volantini, attraverso la stampa.

* * *Sono colpevole di fare politica. Reo di

criticare aspramente la gestione dell'Ateneo e il suo Rettore che, per sua scelta, ha de-ciso di diventare – ora non lo è più per l'in-compatibilità sancita dalla Riforma – Pres-idente Regionale dell'UDC. Il partito che fu di Cuffaro, Romano e Fagone.

Nell'Ateneo di Catania, per il Rettore, che gli studenti facciano politica non inse-guendo le poltrone ma denunciando le ne-fandezze, è punibile e diffamatorio.

Il Preside della Facoltà di Scienze Politi-che, Prof. Giuseppe Barone, ha risposto al Rettore il 30 marzo 2011.

Sembrava, alla luce di alcuni incontri fatti, che volesse prendere le mie difese e volesse tutelare la libertà democratica della facoltà.

Invece scrive: “Ho espresso il mio fermo

rincrescimento per le espressioni ed i giud-izi contenuti nelle dichiarazioni che pos-sono considerarsi lesive nei confronti della carica istituzionale e della dignità personale del Rettore”. E conclude: “Nell'esprimerle la solidarietà personale come Preside, le confermo che è mia intenzione inserire un punto all'o.d.g. su tale argomento nel prossimo Consiglio di Facoltà”.

Non sappiamo come andrà a finire tutta questa vicenda. Può scomparire tutto nel si-lenzio, come accade spesso nella nostra ter-ra. Potrebbe verificarsi una sollevazione della comunità accademica contro gli atteg-giamenti intimidatori ed antidemocratici del Rettore che, al di là della mia persona, costituiscono un precedente grave che po-tenzialmente può colpire indistintamente tutti i componenti dell'Ateneo che si per-mettono di dissentire. Oppure il Rettore po-trebbe insistere con la richiesta di sanzioni nei miei confronti.

Ad oggi non possiamo fare altro che at-tendere ciò che si deciderà nelle segrete stanze del Rettorato e al tempo stesso non possiamo che dare la risposta più naturale al Magnifico: continuare con più forza di prima la nostra azione di denuncia e critica alla gestione dell'Università di Catania. Solo così non gliela daremo vinta.

Noi non ci lasciamo intimidire. Non un passo indietro, neanche per prendere la rin-corsa.

Matteo Iannitti

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Società civile Società civile

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Caso Catania Caso Catania

Le associazioni sottoscritte,nel momento in cui vengono da più

parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Ca-tania, manifestano la propria preoccupa-zione per la nomina prevista in conse-guenza del pensionamento del Dott. Vin-cenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca final-mente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”.

Come cittadini abbiamo il diritto di spe-rare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una persona-lità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politi-co, che sia capace di operare al di fuori del-le logiche proprie del sistema politico-affa-ristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una per-sonalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità.

Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Poli-tica Onlus, La Città Felice, Assoc. Stu-dentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Li-brino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

* * *

La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evi-denziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali.

La mafia ha esteso da tempo i suoi inte-ressi nell'economia “legale”, dove l'accu-mulazione della ricchezza avviene attraver-so relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali.

Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistio-ne. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed eco-nomia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di con-trasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo.

Gli inquirenti si sono divisi sui provvedi-menti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizio-ne pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sem-bra esprimere contrarietà per le considera-zioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania.

Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea.

Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affin-ché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistra-to che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese.

Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Lucia-no Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio No-vembre, Massimo Blandini, Marzia Ge-lardi, Maria Concetta Siracusano, Fran-cesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raf-faella Montalto, Giovanni Grasso, Fede-rico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mira-bella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscu-so, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Ro-saria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna In-terdonato, Lucia Sardella, Federica Ra-gusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fi-chera, Stefano Veneziano, Pinelda Garoz-zo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giu-seppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosen-tino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Can-gemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fi-chera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimo-lo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Ma-rio Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Con-soli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Oc-chipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, An-tonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosen-tino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concet-ta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccia-noce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

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APPELLI

PER LA GIUSTIZIA

A CATANIAAl Vicepresidente del CSM

Alla Commissione Uffici Direttivie p.c.

Al Presidente della Repubblica

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Compagni Compagni

Ricordodi Rino Bertoloni

“Chi possiede in sé purezza e semplicità è un uomo vero”.

Questa frase impressa nello striscione degli studenti dell’istituto tecnico indu-striale Torricelli di S.Agata Militello, che hanno affettuosamente e con enorme parte-cipazione vissuto le esequie del prof. Rino Bertoloni, è il testamento spirituale di una persona molto speciale, che viveva la sua vita con gioia e amore verso sé stesso, il prossimo, la natura, la vita. Un uomo, la cui intelligenza, onestà intellettuale e bon-tà d’animo erano note a chiunque si ap-procciasse a lui. Chi lo ha conosciuto o an-che solo incontrato nelle tante manifesta-zioni di cui era promotore sa esattamente che la più grande capacità di questo vero grande uomo non era la capacità di sintesi ma quella di integrare la diversità.

Quando Rino sposava un’iniziativa era il centro focale, il vero elemento aggregante, e la sua immensa bellezza d’animo mette-vano subito tutti sulla strada del risultato, sul decisionismo e mai sull’inazione. Chi pensa che Rino fosse un uomo di poche parole preterisce la enorme comunicatività di questo maestro del nostro tempo: il sor-riso sincero e coinvolgente, dolce come una carezza amorevole, l’intensità del suo sguardo. I suoi interessi erano tantissimi.

Rino era un uomo colto che non faceva della cultura un’arma o un mezzo di distin-zione sociale, Rino sapeva qual è il vero valore della conoscenza. Era il nipote dello scrittore Vincenzo Consolo, suo fratello Ninni scrive per il quotidiano “Il Messag-gero”, mai però ostentava di avere in fami-glia importanti uomini di cultura: la cono-scenza per Rino serviva all’uomo per cre-scere, per capire, per confrontarsi con la propria coscienza. La sua passione per la filosofia orientale, che ha veicolato con piccoli opuscoli che distribuiva a studenti ed amici, non gli aveva fatto cambiare idea sugli strumenti con cui rapportarsi alla vita, anzi lo aveva ancor più persuaso del-l’importanza della semplicità, che gli con-sentiva di insegnare un modo nuovo di vi-vere gli eventi della vita a chiunque gli esponesse i suoi patemi, le difficoltà o le speranze che lo animavano. Rino non era un uomo immobile, semplicemente non

era interessato al superfluo. Rino sapeva cosa significava l’amicizia.

Non dimenticherò mai le lacrime sincere dei suoi amici di lunga data, fra tutti Santi, Biagio e Fina, la disperazione di chi sa di non aver perso solo un compagno di giochi e di vita ma un costante riferimento di eti-ca. Rino era un uomo leale, onesto e coe-rente.

Aveva fondato il partito dei Verdi a S. Agata ma non aveva mai preteso di rico-prire cariche politiche; aveva capeggiato le proteste popolari contro la realizzazione della discarica nello stesso comune ma in alcun modo ha mai preteso di cavalcare il consenso che i cittadini gli tributavano in ragione della sua autorevolezza; ha ferma-to la rimozione degli alberi di piazza Duo-mo, ma mai ha chiesto che gliene venisse attribuito il merito.

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Alcuni di noi hanno conosciuto Rino negli anni Settanta, nel movimentoAlcuni di noi hanno conosciuto Rino negli anni Settanta, nel movimento studentesco di Milano o a Lotta Continua di Milazzo, dove aveva aiutatostudentesco di Milano o a Lotta Continua di Milazzo, dove aveva aiutato gli operai della Raffineria e della Metallurgica a lottare per un miglioregli operai della Raffineria e della Metallurgica a lottare per un migliore avvenire e a difendere il posto di lavoro. Negli ultimi anni era tornato alavvenire e a difendere il posto di lavoro. Negli ultimi anni era tornato al suo paese natale, Sant'Agata di Militello, dove viveva insegnando, amatosuo paese natale, Sant'Agata di Militello, dove viveva insegnando, amato dai suoi studenti e rispettato da tutti i cittadinidai suoi studenti e rispettato da tutti i cittadini

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Compagni Compagni

Rino non era un uomo lento, lui non cre-deva nel bieco vivere senza valori e per trasmetterli e ponderarli si fermava ad im-parare, ad osservare, per poi poterli dona-re.

Rino era un uomo solidale: quando la frana colpì rovinosamente i comuni di San Fratello e Caronia organizzò una manife-stazione studentesca in cui i ragazzi avreb-bero potuto confrontarsi de visu con la di-sperazione degli sfortunati sfollati e co-gliere il senso profondo della solidarietà. Regalò la sua bicicletta, compagna di lun-ghe passeggiate, proprio ad uno studente di Caronia, che stava vivendo quella dram-matica situazione.

Rino amava la natura e gli animali, sape-va che avevano molto da insegnargli. Ti-gre, il suo barboncino bianco che neanche per un istante lo abbandonava, era il suo fedele amico di tante escursioni.

Neanche per un istante Tigre si è sposta-to da sotto il feretro del suo Rino, come avrebbe potuto mai abbandonare il suo amato padrone?! All’inizio lo aspettava dietro la porta dell’ascensore, poi ha capi-to, ha sentito il suo odore in quella fredda bara e si è accucciato per condividere con lui anche quegli ultimi momenti.

Ogni mattina Rino si alzava prestissimo per i suoi esercizi meditativi e per ammira-re il bellissimo panorama che offre il ter-razzo della sua casa, da cui si vede il mare,

le isole, l’incontro felice dell’orizzonte con lo sconfinato cielo, e anche l’ultimo giorno della sua vita la mattinata era iniziata così: si è alzato di buon ora, dopo aver fatto la doccia, proprio mentre ammirava il suo bellissimo regalo naturale, qualcosa lo ha portato via per sempre. Non crederò mai che Rino ha scelto la morte, non era nella sua indole pacata, e totalmente dissonante con il suo desiderio di crescere e amare.

Rino non era un uomo solo: aveva tan-tissimi amici che lo adoravano, la moglie Luciana sempre affettuosa e premurosa, di cui la sera prima della sua morte aveva detto ai suoi amici di essere fortunato ad averla accanto, la stessa sera in cui aveva anche giocato a pallone e mangiato un dol-ce in compagnia, perché era golosissimo e sapeva apprezzare la buona cucina.

Hanno scritto in qualche giornale che Rino non aveva figli: Rino aveva tanti fi-gli, se ho già detto dei suoi alunni, non posso non soffermarmi su sua nipote Pa-mela, che viveva con lui e la zia da ormai quasi quattro anni, con cui condivideva la vita quotidiana, le ansie e le gioie, un rap-porto di vero amore filiale, come dimostra l’inconsolabile tristezza che adesso oscura il suo viso, lo sgomento e la disperazione di chi ha avuto accanto un uomo così buo-no, dolce e comprensivo, che ha dato tutto il suo amore, ed è stato padre senza esser-lo.

Rino aveva perso diversi chili e aveva avuto qualche tempo prima un mancamen-to che lo aveva fatto impattare con la mac-china contro un albero, rimanendo vivo quasi per miracolo.

Rino preparava il suo ritorno a scuola e studiava il pomeriggio per le lezioni da im-partire ai suoi amati alunni. Rino, il giorno della sua scomparsa, aveva un appunta-mento in libreria per ritirare il suo ultimo lavoro letterario.

Non sembra vero che tu sia scomparso, ma la tua vita servirà a tanti d’esempio. E’ grazie a te, che ci hai insegnato alcune cose importanti davvero senza che quasi ce ne accorgessimo, che oggi possiamo cerca-re di ricominciare a vivere senza la tua presenza fisica, ma con il cuore pieno dei tuoi sorrisi. Un volo senza fine il tuo per-ché non hai mai toccato terra: quello era solo il tuo corpo.

Solo ora abbiamo in molti capito chi eri davvero: bisogna perdere per capire. Que-sta vita spesso è ingiusta, così è stata la tua morte, ma tu sei stato un uomo vero perché solo chi possiede in sé purezza e semplici-tà è un uomo vero.

Grazie Rino.Giorgio Alfonso

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Attualità Attualità

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