Rivista DMA - FIDUCIA E TENEREZZA (Gennaio - Febbraio 2014)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE FIDUCIA E TENEREZZA damihi animas 2014 Anno LXI Mensile n. 1/2 Gennaio/Febbraio Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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RIVISTADELLEFIGLIEDIMARIAAUSILIATRICE

FIDUCIA E TENEREZZA

damihianimas

2014Anno LXI Mensilen. 1/2 Gennaio/Febbraio

Poste Italiane SpASpedizione in AbbonamentoPostaleD.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeEventi speciali per il 2014Giuseppina Teruggi

5DossierParole e gestidi fiducia e tenerezza

13Primopiano14Spiritualità missionaria“Eccomi, manda me!”

16Anima e dirittoUn figlio ad ogni costo

18Cultura ecologicaLa terra, nostra casa comune

20Filo di AriannaIn/Gratitudine

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Maria Pia Giudici Gabriella Imperatore • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiMaria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi•

Bernadette Sangma Martha Séïde

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sommario

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27In ricerca 28SGS-CultureVivere con passione

30PastoralmenteGMG: tappadi un lungo cammino

32Uno sguardo sul mondoUniteper una società migliore

35Comunicare36Si fa per direConnettere

38Donne in contestoIl riflesso della tenerezzain economia

40Video La prima neve

42LibroL’anima del mondo

44Musica e teatroI giochi teatralinella formazione

46CamillaAnime oranti

n. 1/2 Gennaio Febbraio 2014Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettorie austriaca e tedesca

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

3 ANNO LXI • MENSILE / SETTEMBRE OTTOBRE 2013dma damihianimas

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La Chiesa apre il nuovo anno con la primaGiornata mondiale per la pace celebrata dapapa Francesco, dal tema: “Fraternità, fonda-mento e via per la pace”. Nei mesi successivi, altre Giornate mondia-li accompagneranno i fedeli a vivere eventiche rimandano ai valori fondamentali dellavita secondo il Vangelo. A livello mondiale, da parte delle NazioniUnite, sono previste varie iniziative per evi-denziare il tema dell’Anno internazionaledell’agricoltura familiare.

Nell’incontro dell’agosto 2013 a Cesuna, ilgruppo di redazione della Rivista DMA hatenuto presenti le proposte mondiali, eccle-siali e salesiane del 2014, con un’attenzionespecifica alle tematiche di fondo che immet-tono nell’orizzonte del CG 23°. Le possiamo sintetizzare nell’ottica del co-struire relazioni per l’evangelizzazione, conparticolare riferimento a parolee gestidi pa-pa Francesco. Si è scelto di procedere per ogni Dossier conla metodologia del Vedere, analisi della situa-zione con le sue luci e le sue ombre;Giudi-care, a partire dalla questione “che cosa diceDio su questo?”; Agire, per rispondere alladomanda “che cosa Dio ci sta chiedendo difare per collaborare alla costruzione del suoRegno?”. Come gruppo di redazione DMA,auguriamo a Lettrici e Lettori un buon anno,accompagnati dalle idee condivise e dalleemozioni che la Rivista intende [email protected]

Eventi speciali per il 2014Giuseppina Teruggi

Siamo all’inizio di un anno particolarmentesignificativo: un anno che approderà alla ce-lebrazione del Capitolo generale 23°, a par-tire dal prossimo settembre. Tra gli eventi che le partecipanti al Capitolovivranno, è di rilievo l’incontro con MadreAngela Vallese, la pioniera delle missioni diAmerica, di cui quest’anno ricorre il cente-nario della morte. La sosta a Lu Monferrato(Alessandria), sua terra di origine, al termi-ne degli Esercizi spirituali a Mornese, ha il si-gnificato di un omaggio alla sua memoria eal radicarsi del carisma salesiano in terraamericana. Sarà Madre Vallese ad accompa-gnarci in una nuova Rubrica, per un interes-sante percorso missionario.

Nei primi mesi dell’anno, anche i Confratel-li Salesiani vivranno l’evento capitolare, cheli vede da tempo impegnati nell’approfon-dimento del tema “Testimoni della radicalitàevangelica”. E, come per le FMA, il Capitolo impegneràall’elezione della Guida che, con il suo Con-siglio generale, è chiamata ad animare e go-vernare la Congregazione per il prossimosessennio. Il 2014 introduce, inoltre, al pe-riodo culminante della preparazione al Bi-centenario della nascita di Don Bosco. La strenna del Rettor Maggiore, don PascualChávez Villanueva, si colloca nella prospet-tiva di questo evento, e intende sostenerel’impegno della Famiglia salesiana nell’ap-profondimento dell’esperienza spirituale diDon Bosco, fonte della santità salesiana.

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Parole e gesti

di fiducia e tenerezza

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di vita, con la coerenza di vita. Ma in questomondo a cui le ricchezze fanno tanto male,è necessario che noi preti, che noi suore, chetutti noi, siamo coerenti con la nostra po-vertà! Ma quando tu trovi che il primo inte-resse di una istituzione educativa o parroc-chiale è il denaro, questo non fa bene. È unaincoerenza! Dobbiamo essere coerenti, au-tentici. Per questa strada, facciamo quelloche dice san Francesco: predichiamo il Van-gelo con l’esempio, poi con le parole! Maprima di tutto è nella nostra vita che gli altridevono poter leggere il Vangelo! Anche quisenza timore, con i nostri difetti che cerchia-mo di correggere, con i nostri limiti che il Si-gnore conosce, ma anche con la nostra ge-nerosità nel lasciare che Lui agisca in noi»(Cf Incontro con i seminaristi, i novizi e lenovizie - Roma, 6/07/2013).

Parole e gesti di nuova evangelizzazione

È nel suo stile, nei suoi gesti, prima ancorache nelle parole, che papa Francesco parlaurbi et orbi. «La nostra vita è un cammino equando ci fermiamo la cosa non va», affer-mava nell’omelia il giorno successivo all’e-lezione. Partendo dalla parola di Dio, met-teva a fuoco il concetto di movimento:«Camminare, edificare, confessare. Camminare sempre, in presenza del Signo-re, alla luce del Signore, cercando di vive-re con quella irreprensibilità che Dio chie-deva ad Abramo nella sua promessa». E ancora: «Io vorrei che tutti noi dopoquesti giorni di grazia abbiamo il corag-gio, proprio il coraggio, di camminare in

Parole e gesti di fiducia e tenerezzaGiuseppina Teruggi

La recente Enciclica “Fidei Donum”; il Sino-do dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazio-ne: sono eventi che rafforzano nella Chiesal’impegno a rimanere “come Gesù al pozzodi Sicar” e a sedersi “accanto agli uomini ealle donne di questo tempo per rendere pre-sente il Signore nella loro vita, così che pos-sano incontrarlo”.Come fma, ci lasciamo illuminare dal cam-mino ecclesiale per rinnovare il nostro esse-re e l’essere in relazione come via di Evange-lizzazione, consapevoli che la priorità stanella coerenza di vita. La Nuova Evangeliz-zazione, infatti, si compie unicamente nellasincronia di parole e gesti, come testimoniapapa Francesco. Su questo tema condutto-re iniziamo le riflessioni dei Dossier, che ciaccompagneranno nel corso di tutto l’anno.

“Annunciare il Vangelo anche con la parola”

Molti segni ed eventi ci convincono che stia-mo vivendo una stagione singolare della sto-ria della Chiesa, guidata dallo Spirito attra-verso la mediazione di figure straordinariedi Pontefici.A stupire uomini e donne di tutto il mondooggi è, in particolare, papa Francesco. Fin da-gli inizi del suo pontificato ha rivolto un in-vito pressante alla Chiesa: annunziare il Van-gelo con la coerenza di vita. «Io dico semprequello che affermava san Francesco d’Assi-si: Cristo ci ha inviato ad annunciare il Van-gelo anche con la parola. La frase è così: “An-nunciate il Vangelo sempre. E, se fosse ne-cessario, con le parole”. Cosa vuol dire que-sto? Annunziare il Vangelo con l’autenticità

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presenza del Signore, con la croce del Si-gnore, di edificare la Chiesa sul sanguedel Signore versato sulla croce e di con-fessare l’unica gloria, Cristo crocifisso, ecosì la Chiesa andrà avanti».Fin dall’inizio, papa Francesco ha inteso farcamminare la Chiesa su vie di Vangelo, as-sunto e vissuto non “all’acqua di rose”, macapace di impregnare la vita e trasformarla.

Siamo state affascinate dalla sua omelia diinizio pontificato, il 19 marzo in Piazza SanPietro, quando ha dato la percezione imme-diata di una calda umanità. «Non dobbiamoavere paura della bontà; anzi, neanche del-la tenerezza! E qui aggiungo, allora, un’ulte-riore annotazione: il prendersi cura, il custo-dire chiede bontà, chiede di essere vissutocon tenerezza. Nei Vangeli San Giuseppe appare come unuomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nelsuo animo emerge una grande tenerezza,che non è la virtù del debole, anzi, al contra-rio, denota fortezza d’animo e capacità di at-tenzione, di compassione, di vera apertura

all’altro, di amore. Non dobbiamo avere ti-more della bontà, della tenerezza!».

Fiducia e tenerezza: che cosa? Come?

Viviamo in un tempo di forti opportunitàumane e tecnologiche, ma anche segnato dalimiti che talvolta impediscono di sperimen-tare la bellezza della relazione tra persone,il gusto di stare insieme, la dolcezza di sen-timenti profondi e freschi. Si tende, oggi, a privilegiare in tutto la rapi-dità, la fretta e si va accentuando un “razio-nalismo” che pretende di trovare in ogni co-sa e subito una spiegazione. E questo passaper “saggezza”. Spesso le relazioni sono im-postate sulla base del profitto, dell’interes-se personale, della paura che crea distanze.

In un libro pubblicato alcuni anni fa dal tito-lo “Teologia della tenerezza, un ‘vangelo’ dariscoprire” (Ed. Dehoniane, Bologna, 2000),il teologo Carlo Rocchetta chiarisce il signi-ficato del termine tenerezza, che si associacon l’atteggiamento della fiducia. Ci può essere, infatti, un fraintendimento sul

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Gesti di bellezza della Chiesa

La strada della tenerezza può costituire unadimensione importante per il futuro dellaChiesa, un aspetto che può affascinare an-che i non credenti, una via per uscire dallesecche che stanno vivendo oggi molte co-munità ecclesiali. Permette di riscoprire ilsenso straordinario dell’essere cristiani nel-la dimensione di una vita realizzata nella bel-lezza, nell’amore, nella solidarietà, nell’at-tenzione delicata soprattutto ai poveri, ai pic-coli, agli indifesi.

Alcuni parlano della tenerezza come “sognodi Dio per l’umanità”. Il CG 21° (2002) ha pro-posto a tutte le fma l’impegno di vivere la co-munione “sogno di Dio per l’umanità”. Cre-do che ci possa essere complementarietà eintegrazione tra tenerezza e comunione,realtà intercambiabili. Non esiste l’una sen-za l’altra. Per questo, anche noi possiamo au-spicare «una Chiesa di tenerezza che viva ilcomandamento nuovo dell’amore come sua‘norma normans’ e faccia della tenerezza lasua anima e il suo segno distintivo. UnaChiesa che, come il carpentiere di Nazaret,si faccia povera, superando la tentazione diessere chiesa del dominio e delle condan-ne. Una Chiesa dell’amicizia, anti-autoritariae anti-accentratrice, dove alla logica del ‘do-minium mundi’ subentri la logica del ‘servi-tium mundi’, la logica della tenerezza».È una strada da imboccare per costruire unanuova umanità dove profitto, egoismo, vio-lenza, diffidenza non possono prevaricare.La fiducia in Dio, la fiducia sempre ricostrui-ta nel fratello e nella sorella, la tenerezza, l’a-more sono forze che danno speranza all’u-manità. E sono vie di evangelizzazione.

Radicati su solide fondamenta

Il parlare e l’agire di Gesù sono impregnatidi gesti di tenerezza, di misericordia: i Van-geli abbondano di testimonianze del suo“passare tra la gente facendo del bene a tut-

termine, confuso con sdolcinatura, con latendenza al sentimentalismo, con una sortadi romanticismo a buon mercato. Si corre anche il rischio di far passare la te-nerezza come debolezza e il parlarne comesegno di immaturità.La tenerezza è “forza, segno di maturità e vi-goria interiore, che sboccia solo in un cuo-re libero, capace di offrire e ricevere amo-re”. È la stessa accezione data da papa Fran-cesco nella sua prima omelia pubblica. Possiamo allora affermare che la tenerezzaè la forza più umile e, allo stesso tempo, è lapiù potente per immettere germi di novitànel mondo.Capita ad alcuni di attribuirle una connota-zione prevalentemente femminile e comun-que scarsamente virile. Ma, fa notare il teo-logo, «Si tratta di un pregiudizio infondato,che va smascherato con energia. Sarebbecome dire che la sensibilità e la capacità diesprimere l’affetto, l’attenzione alla vita, ladolcezza dell’amore di Dio o la squisitezzaevangelica della carità, costituiscono attitu-dini precluse all’orizzonte maschile. Il sentimento della tenerezza riguarda inrealtà, in modo totale e incancellabile, sial’uomo che la donna, la loro umanità e la lo-ro vocazione all’amore e alla comunione». Ed è proprio l’armonica integrazione tra ma-schile e femminile che dà risalto a questosentimento. Per i credenti, inoltre, è Dio lasorgente inesauribile e il vertice di ogni te-nerezza, che si costruisce nella fiducia reci-proca e favorisce lo sbocciare di sentimentiprofondi, liberi, delicati. Questo atteggiamento caldo e umano puòcostituire una forza positiva per la vita di fe-de, perché sostiene la formazione di unapersonalità ricca di umanità, configurata al-l’umanità del Signore Gesù. Il cristianesimo, senza tenerezza, rischia diapparire in chiave riduttiva, quasi “soltantoritualista o moralista”.

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ti”. Il Maestro non nega la sua fiducia a nes-suno, a meno che si trovi di fronte a cuori ir-rigiditi dal pregiudizio, dal rifiuto della suapersona e della sua parola.Veramente “la sua tenerezza si espande suogni creatura” (Sal. 144). «Dio non può che amare», affermava fr. Ro-ger, priore di Taizé, facendo notare che peril credente è insistente oggi la chiamata adaprire vie di fiducia fin nelle notti dell’uma-nità. «Vi sono persone – diceva – che, attra-verso il dono di se stesse, testimoniano chel’essere umano non è votato alla disperazio-ne. La loro speranza consente di guardarel’avvenire con una profonda fiducia. Attraverso loro, non vediamo sorgere persi-no tra le situazioni più inquiete del mondo,segni di una innegabile speranza?». Queste persone sanno che “né le disgra-zie, né l’ingiustizia provengono da Dio”,perché Dio è Amore. Egli guarda ognicreatura con infinita tenerezza e conprofonda compassione. La nostra fiduciain Dio è riconoscibile quando si esprimecon il semplicissimo dono di noi stessi pergli altri: la fede diventa allora credibile e si

comunica innanzitutto quando è vissuta.«Ama e dillo con la tua vita», scriveva S.Agostino tre secoli dopo Cristo.

Alle radici del carisma salesiano c’è una fi-ducia sconfinata soprattutto per i giovani ele giovani. Essi hanno letteralmente “rubatoil cuore” a don Bosco! «Il Signore mi ha man-dato per i giovani – sosteneva – perciò biso-gna che mi risparmi nelle altre cose estraneee conservi la mia salute per loro». «La mia vi-ta è consacrata al benessere dei poveri gio-vanetti e nessuno mai mi farà deviare dallastrada che il Signore mi ha tracciata».Per le ragazze di Mornese e per quelle di tut-to il mondo, Madre Mazzarello ha dedicatola sua vita, affrontando ogni difficoltà pur dipoter fare loro del bene. Lo stile dello “stare con i giovani” scelto dainostri Fondatori è quello dell’amorevolezza,sintesi armonica di fiducia e tenerezza, amo-re educativo manifestato e percepito.È indispensabile, infatti, «che i giovani nonsolo siano amati, ma che essi stessi cono-scano di essere amati». E ognuno, a Val-docco e a Mornese, percepiva effettiva-

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Per il Papa, ci vuole una Chiesa “più facilita-trice della fede che controllore della fede”.A volte, ci sono «pastorali ‘lontane’, pastora-li disciplinari che privilegiano i principi, lecondotte, i procedimenti organizzativi, sen-za vicinanza, senza tenerezza, senza carez-za. Si ignora la ‘rivoluzione della tenerezza’che provocò l’incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale do-se di distanza che sono incapaci di raggiun-gere l’incontro: incontro con Gesù Cristo,incontro con i fratelli». «Come sono le no-stre omelie? - domanda il Papa - Ci avvicina-no all’esempio di nostro Signore, che ‘par-lava come chi ha autorità’ o sono meramen-te precettive, lontane, astratte?» (Cf Discorso al Comitato coordinamento delCelam, 28 luglio 2013).

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mente di essere il più amato, la più amata! Nella casa salesiana, l’educazione/evangeliz-zazione “è cosa di cuore”!

In quanto custodi di un carisma educativoconnotato dall’amorevolezza, avvertiamouna forte sintonia con lo stile che papaFrancesco sta indicando alla Chiesa. Una Chiesa vicina alla gente: «Perché laChiesa è madre, e non conosciamo unamadre per corrispondenza. La madre cicoccola, ci tocca, ci bacia, ci ama. Quando la Chiesa, impegnata con mille co-se, trascura questa vicinanza, trascura ciò ecomunica solo con i documenti, è comeuna madre che comunica con suo figliocon le lettere» (Cf Intervista alla tv Brasilia-na ‘O Globo’, 28 luglio 2013).

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Nella concretezza della vita

La tenerezza è un atteggiamento maturo,che rende attenti alle ricchezze dell’altro epermette di partecipare, con il calore dellapropria sensibilità, alle sue emozioni, ai suoisentimenti. Si esprime con lo stile della cor-dialità, dell’accoglienza, dell’attenzione aipiccoli gesti di affetto che dicono fiducia,gioia, valorizzazione dell’altro. È saper salu-tare e rispondere con un sorriso, evitare dialzare la voce nei momenti difficili, saperascoltare, dare una carezza inaspettata.

È attenzione continua a far felice l’altro at-traverso i mille gesti dettati dalla fantasia del-l’amore. Nelle circostanze usuali della vita,come in quelle straordinarie.

Qualche tempo fa le cronache hanno parla-to a lungo di Eleonora, uccisa mentre stavasoccorrendo in strada un uomo gravemen-te ferito, dopo un litigio con alcuni suoi con-nazionali. Eleonora era di passaggio per ca-so e non aveva esitato a bloccare all’improv-viso la sua auto quando aveva capito che c’e-ra una persona da soccorrere.

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Il primo giorno di papa Francesco

Quanto il Papa sottolinea e propone alle/aigiovani in formazione, è un riflesso delsuo stile di vita, mai smentito, e tale da co-stituire il filo rosso di tutta la sua esisten-za. L’abbiamo colto appena eletto Succes-sore di Pietro, la sera del 13 marzo 2013.Interessante la cronaca del suo primogiorno da Papa. La prima messa di JorgeMario Bergoglio eletto Pontefice è quasiun debutto come Papa, che punta a unpontificato con un chiaro stile. Nella Cap-pella Sistina, appena eletto, non sale sultrono. Al momento del giuramento d’ob-bedienza dei cardinali al Papa, è lui ad an-dare verso il cardinale Ivan Dias, impaccia-to nel movimento dalla malattia. Si affac-cia dal loggione di San Pietro senza moz-zetta e con la sua croce semplice daVescovo, accanto ad un cerimoniere dalvolto un po’ perplesso. Si rivolge ai fedeli in piazza dopo la fuma-ta bianca iniziando con “Buonasera...”, poichiede la loro preghiera. Prende il pulmi-no con gli altri cardinali anche dopo l’ele-zione. Quando brindano, scherza con i

suoi elettori: “Dio vi perdoni per quelloche avete fatto”. Lascia l’auto d’ordinanza,targata ‘SCV1’ - Stato della Città del Vatica-no 1 - anche quando la mattina presto, alprimo appuntamento pubblico del Ponti-ficato, va a pregare la Madonna nella ba-silica di santa Maria Maggiore.Ai confessori domenicani che prestano illoro servizio in Basilica, raccomanda la mi-sericordia. All’uscita saluta con la mano glistudenti del vicino liceo che si sbraccianodalle finestre. Tornando verso il Vaticano,fa deviare l’auto verso la Casa internazio-nale del clero dove ha pernottato primadel Conclave. Scende, va a prendere le va-ligie, ringrazia il personale. E, nella sorpre-sa generale, salda il conto della stanza.In serata, di nuovo in cappella Sistina perla Messa con i cardinali, pronuncia l’ome-lia a braccio, con un italiano calmo e ve-nato di accento ispanico. Rinuncia a vivere in permanenza nellestanze pontificie. Del resto, a Buenos Ai-res abitava in un appartamento, prendevala metro e, stando a Roma, arrivava allecongregazioni generali dei Cardinali a pie-di: uno dei pochi senza papalina rossa,schivando senza essere notato i crocchi digiornalisti a caccia di papabili.

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a Mentre era chinata sull’uomo, il suo aggres-sore ha lanciato la propria macchina a tuttavelocità sui due. «Mi hanno riferito – afferma Mariella, lamamma di Eleonora – che l’uomo uccisoaveva quattro bambini e io non riesco a nonpensare a loro, a quello che stanno passan-do. Allora ho fatto questo ragionamento: seEleonora è morta per aiutare il padre, lei cheamava così tanto i bambini, di sicuro vorreb-be che si facesse qualcosa per dare una ma-no ai figli, anche economicamente». E decide con il marito che le offerte raccol-te al funerale della figlia vengano devoluteper gli orfani. «Mi chiedono se provo odio –confida – ma io non sento niente. Non so perché, non so se è per Eleonora,che amava tutti e prima di tutti gli ultimi. Ma non provo rabbia. Non mi sento neanche di parlare di perdo-

• Che cosa sono per me, nelconcreto della vita, tenerezza efiducia?

• Quale e quanta fatica, sono di-sposta a fare per uscire da mestessa, per offrire a chi mi viveaccanto il profumo della tene-rezza, per ritessere continua-mente la fiducia?

• Sono convinta che uno stileimpregnato di fiducia e tenerez-za è via di evangelizzazione? Come lo so esprimere?

no. Cosa vuol dire perdono? Sarà il Padreeterno a perdonare. L’unica cosa che mi sento di fare è aiutare iquattro bambini orfani. E non mi interessaincontrarli o sapere chi sono, quanto sonograndi, dove abitano, cosa fanno».Eleonora, dottoressa ginecologa di 44 anni,è descritta da tutti come persona «dolce,espansiva, generosa, che voleva il bene de-gli altri, sempre pronta a venire in aiuto. Una donna coraggiosa, altruista all’eccesso!La sua enorme sensibilità la spingeva con na-turalezza verso i più umili. Viveva la carità intensamente. Nella sua carriera ha fatto nascere centinaiadi bambini e assistito tante mamme, renden-dosi disponibile gratuitamente a chi era indifficoltà o senza mezzi».

Il mondo in cui viviamo ci abitua alla fretta,a non aver tempo per gesti e parole di tene-rezza, di consolazione. Forse la cosa più importante da fare è pro-prio riempire il nostro tempo di questi ge-sti, scegliendo la sfida della solidarietà, deldono gratuito e discreto. Come quello di Meghan, giovane atleta ame-ricana impegnata nei 3200 metri. Nel bel mezzo della competizione nota unasua avversaria in difficoltà per un attacco dicrampi. Decide di rinunciare alla vittoria eaccompagnare la ragazza al traguardo. Finiranno rispettivamente ultima e penulti-ma, ma la loro sconfitta viene accolta conuna standing ovationdal pubblico che riser-va a Meghan un trattamento da vincitrice!Sono senza numero i gesti e le parole di at-tenzione agli altri, a volte sconosciuti, manon meno preziosi. Gesti e parole di fiducia e tenerezza che pro-fumano di buono la vita.

[email protected]

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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non cataloga, non divide, ma abbraccia, acco-glie, si fa uno con e per gli altri. Appartiene al-la «chiesa del grembiule», così come la defi-niva don Tonino Bello, vive la dimensione delservizio sempre, dovunque, a tutti! Un/a missionario/a impara continuamente, edimpara con umiltà a inserirsi nel mondo so-cio-culturale e religioso di coloro ai quali è in-viato/a, assumendo la loro lingua, conoscen-do le espressioni significative della cultura lo-cale, scoprendo i valori presenti in quellarealtà (cf RM 53). La vocazione missionaria pri-ma ancora di essere azione, è testimonianzae esige una specifica spiritualità e comunio-ne intima con Cristo. Il/lla missionario/a sa chela sua forza interiore gli viene dallo Spirito, èLui la sorgente a cui attingere continuamen-te le proprie energie per adempiere sempree dovunque la volontà del Padre.Le nostre Costituzioni, già al primo articolo,rivelano quanto il nostro Istituto sia missiona-rio: «Don Bosco ha fondato il nostro Istituto[…] e gli ha impresso un forte impulso mis-sionario». Per cui, «la dimensione missiona-ria – elemento essenziale dell’identità dell’I-stituto e espressione della sua universalità –è presente nella nostra storia fin dalle origi-ni». Cercando di mantenere vivo lo slanciomissionario della prima ora, le FMA sono chia-mate a lavorare per il Regno di Dio ovunque,nei paesi cristiani e in quelli non ancora evan-gelizzati o scristianizzati (C 6), «tra le popola-zioni a cui non è ancora giunto l’annuncio del-la Parola, perché possano trovare in Cristo ilsignificato profondo delle loro aspirazioni edei loro valori culturali» (C 75).

«Eccomi, manda me!»Maike Loes

La FMA chiamata alla vocazionemissionaria ad gentes, si impegna a rispondere sì con la vita e con la generosità del «vado io» (C 32), si impegna a rinnovarel’identità carismatica, a vivere con radicalità la Parola, a ravvivarel’ardore missionario perché le/i giovani “lontani” di tutto il mondo abbiano vita.

Ogni vocazione missionaria nasce dalla Mis-sio Dei. «Dio ha tanto amato il mondo da da-re il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16). Per que-sto, ogni vocazione missionaria ha le sue ra-dici e il suo fondamento in Gesù, Parola delPadre. Col desiderio di radunare insieme tut-ti i figli dispersi (cf. Gv 11,52), Gesù consegnaai suoi discepoli il mandato missionario, di-mostrando in parole ed opere che Dio è amo-re: «Andate in tutto il mondo e predicate ilVangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15).L’impegno di diffondere la fede appartiene aqualsiasi discepolo di Cristo. La vocazionemissionaria è una vocazione speciale. Dio pre-para accuratamente il cuore di un/a missiona-rio/a perché sia nel mondo espressione visi-bile del Suo amore. Il/la missionario/a è un uo-mo/donna di carità, che annuncia, più con lavita che con le parole, che ogni persona èamata da Dio e che siamo fatti dall’Amore eper l’amore. È dotato/a di un cuore universa-le che riesce a superare le frontiere e le divi-sioni di nazionalità, etnia, cultura, ideologia,religione. Ha spazio per tutti: non esclude,

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Angela Vallese nasce l’8 gennaio 1854 a LuMonferrato, un paese piccolo ma fecondonel donare tante vocazioni alla Chiesa.Angela porterà in cuore, per tutta la vita, ilricordo di questa grazia: essere nata nel-l’anno della proclamazione del dogmadell’Immacolata Concezione.

La famiglia è povera materialmente, intantonon le mancano i valori cristiani e l’affetto. A sei anni frequenta la scuola, ma dopo quat-tro anni deve lasciarla perché la famiglia habisogno di aiuto economico, così che Ange-la impara il mestiere di sarta e sfida la povertàoffrendo il dono del suo lavoro per solleva-re i suoi cari. Angela frequenta la chiesa delsuo paese, insieme ai suoi genitori, come lofanno tanti altri bambini. Ha circa sette anni,quando da lontano arrivano due missionariper parlare alla gente sull’Opera della Pro-pagazione della Fede e della Santa Infanzia. Angela ascolta tutto con molta attenzione erimane colpita dal fatto che esistano perso-ne che ancora non conoscono Gesù e bam-bini bisognosi di aiuto. È la prima ad offrirsi per fare la raccolta, im-maginandosi come quel denaro servirà perportare a Gesù i poveri bimbi trascurati, la-sciati morire senza la possibilità di conoscer-lo e senza essere battezzati. Forse a causa del suo aspetto minuto, ange-lico, la gente dà a lei più offerte che alle suecompagne. Nel suo cuore un’unica e spon-tanea preghiera: “Il Signore mi conceda disalvare tante anime quanti sono i soldi cheho raccolto!”. Angela, in quel momento, in-

tuisce bene cosa desidera fare da grande, inlei si fa strada il desiderio intimo di far cono-scere Gesù e di condurgli tanta gente!Nonostante sia soltanto una bambina, non hapaura del sacrificio, sa donarsi nei lavori piùpesanti, e diventa anche catechista. Il parroco, vedendo la buona stoffa, le affidal’insegnamento del catechismo ai suoi coeta-nei e ad alcuni persino più grandi di lei. All’età di quindici anni comincia a frequenta-re il gruppo delle Figlie di Maria Immacolata.Sa coniugare la vita quotidiana con l’impegnonella virtù, la dedizione alla preghiera e il rac-coglimento, che raccomanda con grande af-fetto anche alle sue sorelle minori, di cui siprende cura. E arriva il giorno in cui conosce Don Bosco!Ormai ventenne scopre che questo sacerdo-te ha aperto una casa di suore a Mornese. An-gela non dubita: “Ecco dove mi vuole il Signo-re, lo sento!”. Il 15 novembre del 1875 raggiun-ge Mornese e conosce l’Istituto fma nato daappena tre anni. Madre Mazzarello accogliecon bontà materna questa figlia umile e sem-plice, che rispecchia nello sguardo l’innocen-za del cuore e intravede in lei un tesoro divirtù e di saggezza. I passi sono rapidi: il 24maggio 1876 fa la vestizione, e il 29 agosto del-lo stesso anno, la prima professione. Un anno dopo, il 14 novembre 1877, a soli 23anni, parte per l’America, come guida dellaprima spedizione missionaria fma, piena dientusiasmo missionario, contagiata dall’ariache si respirava a Mornese. E qui “il Signorele concede di salvare tante anime quanti i sol-di che aveva raccolto” da bambina. Nei suoi36 anni di vita missionaria, Angela ha saputotradurre il Vangelo in vita. “Chi comanda siacome colui che serve”, è il suo motto di don-na instancabile, capace di affrontare viaggi,spostamenti, distanze, solitudine, distacchi,povertà e difficoltà di ogni genere.

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Angela Vallese: vocazionemissionaria fin dall’infanzia

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razione di far crescere un figlio ordinato daaltri e a loro destinato per contratto.Ebbene sì, oltre alla vendita dei gameti (ovo-citi e/o spermatozoi) a coppie sterili o omo-sessuali, è di gran moda oggi “noleggiare”appunto una donna per il periodo gestazio-nale, usando il suo corpo alla stregua di una“macchina”, per ottenere una “cosa”: il figlioche naturalmente non arriverebbe mai. A parto avvenuto poi la coppia committen-te ritira la merce (il figlio) sborsando da8mila a 60mila dollari (e più) a seconda delpotere di ricatto esercitabile sulla “mam-ma a termine”.

Stati Uniti, Gran Bretagna, India, Ucraina oGuatemala: tutti paesi dove questo commer-

Un figlio ad ogni costo!Rosaria Elefante

Le mani sulla vita. È possibile dare un prezzo al proprio figlio? La risposta oggi non è purtroppo scontata.

Il processo di “normalizzazione” ci ha abi-tuato ormai da tempo a parole che sembra-no uscire da un romanzo di fantascienza, mache in verità cristallizzano una surreale realtàche accade già da anni in troppi Paesi.Utero in affitto, maternità surrogata, contrat-to di mamma a termine, sono parafrasi checomprendono le ipotesi in cui una donna,“affitta ” il proprio grembo per nove mesi co-me incubatore naturale per l’innaturale ope-

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«La dignità umana e cristia-na della procreazione, in-fatti, non consiste in un“prodotto”, ma nel suo le-game con l’atto coniugale,espressione dell’amore deiconiugi, della loro unionenon solo biologica, ma an-che spirituale. L’IstruzioneDonum vitae ci ricorda, aquesto proposito, che “perla sua intima struttura, l’at-to coniugale, mentre uni-sce con profondissimo vin-colo gli sposi, li rende attialla generazione di nuovevite, secondo leggi iscritte

nell’essere stesso dell’uo-mo e della donna” (n. 126).(…) La Chiesa presta moltaattenzione alla sofferenzadelle coppie con infertilità,ha cura di esse e, proprioper questo, incoraggia la ri-cerca medica. La scienza,tuttavia, non sempre è ingrado di rispondere ai de-sideri di tante coppie. Vor-rei allora ricordare agli spo-si che vivono la condizionedell’infertilità, che non perquesto la loro vocazionematrimoniale viene frustra-ta. I coniugi, per la loro stes-

sa vocazione battesimale ematrimoniale, sono semprechiamati a collaborare conDio nella creazione di un’u-manità nuova. La vocazioneall’amore, infatti, è vocazio-ne al dono di sé e questa èuna possibilità che nessunacondizione organica puòimpedire. Dove, dunque, lascienza non trova una ri-sposta, la risposta che donaluce viene da Cristo». (Discorso di Benedetto XVIai partecipanti all’Assembleadella Pontificia Accademiaper la Vita, febbraio 2012)

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cio è fiorente. Qual è la differenza? Solo unaquestione di prezzo. È proprio il rapporto diforza – economico, geografico, sociale – traaspiranti genitori (se tali possono essere de-finiti) e gestante reale che detta le condizio-ni e sposta la scelta della mamma momen-tanea sul mappamondo. Questo si chiama mercificazione della vitaumana, non solo e soprattutto per il figlio,ma, anche, per lo sfruttamento delle don-ne, per l’umiliazione dei loro corpi, per l’au-tentico sfiguramento del volto femminile,fino a colpirlo nell’essenza magnifica im-macolata della procreazione: il senso ma-terno, il legame di sangue e psicologico conuna creatura che germoglia, cresce, si muo-ve e vive dentro a una madre.

Vietato vietare

Riflettiamo un attimo. Una coppia paga deisoldi ad una donna che li incassa per una vi-ta umana “commissionata”, “prodotta” e ad-dirittura “venduta”, magari anche in base adeterminati requisiti prescelti. La bancarella delle mucche da parto è aper-ta. Con il velo delle “nobili intenzioni” è di-ritto conclamato “vietato vietare”.

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Sì perché ora tutto questo, in ogni sua fase,è un diritto: al figlio, alla maternità, alla pa-ternità, alla progenie. Diritto e libertà. Altro non è che normaleprassi contrattuale. Con meno di 7mila dol-lari la vita di una giovane indiana “assolda-ta” nei tuguri cambia radicalmente, l’impor-tante è che sia sana e nel caso di malforma-zioni della “merce” non faccia storie e abor-tisca velocemente senza fiatare. Inutile dirlo:il figlio deve essere sano.Il silenzio assordante che grava su questapratica odiosa, è insopportabile! Quasi stes-simo sostanzialmente accettando tutto. Certo meglio non parlare. Pare sia quasi opportuno non farlo. Forse con troppa evidenza verrebbe fuori ilnichilismo assoluto. Come si giustifica la distorsione tra la dignitàfemminile tanto sventolata e pretesa e lacondizione avvilente in cui vivono migliaiadi donne nel mondo per accontentare il de-siderio di un figlio da parte di chiunque ab-bia soldi e si senta giustificato sia legalmen-te che culturalmente, a farselo fare?Un figlio non ha prezzo.

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Il bene vero è quello che sgorga da un attolibero di amore. Pertanto, questa bontà nonriguarda solo la dimensione morale ma in-clude la capacità delle creature di rispecchia-re la gloria e la perfezione di Dio. In questo senso il valore del creato rappre-senta un valore in sé, in riferimento al Crea-tore. “Il mondo subumano raggiunge il suopieno significato a partire dal suo riferimen-to all’uomo. Allo stesso tempo, l’uomo rag-giunge il suo pieno significato col suo rap-porto con Dio” (Haffner, Verso una teologiadell’ambiente, 123).Il Nuovo Testamento presenta il Signore Ri-sorto come il mediatore dell’intera creazio-ne: per mezzo di Lui ogni cosa è stata crea-ta ed in lui tutto trova senso e pienezza (Gv1,1-3; Col 1,15-20; Eb 1,3). Il Verbo che si è fatto carne in Gesù Cristooperava, infatti, fin dal principio, come Sa-pienza creatrice del Padre. La stessa Pasqua del Signore, poi, rivela unadimensione cosmica: è la terra stessa ad es-sere coinvolta nella risurrezione, così da es-sere orientata alla pienezza di vita. Il creato è il primo grande dono di Dio, la pri-ma radicale espressione del suo amore po-tente: un cosmo ordinato e prezioso, capa-ce di sostenere quella realtà misteriosa e fra-gile che è la vita (Cf CEI, Giornata per la sal-vaguardia del creato 2006).

Una eredità da custodire

Una delle sfide del secolo XXI è costruireuna cultura ecologica imperniata sul rappor-to tra uomo e habitat, tra l’ecologia umana e

La terra, nostra casa comuneJulia Arciniegas, Martha Sèïde

L’umanità è parte di un vasto universo evolutivo. La terra, la nostra casa comune, è viva con una comunità singolare di vita. La protezione della vitalità,della diversità e della bellezza del pianeta è un dovere sacro (Cf. Carta della Terra).

Il grido della terra

È un fatto indiscutibile che la crisi ambienta-le abbia assunto ormai una dimensione glo-bale. L’inquinamento nelle sue diverse for-me, il mutamento climatico, la crisi delle ri-sorse idriche, la riduzione irreversibile del-la biodiversità, l’esaurimento di tante risorsealimentari, petrolifere, geologiche riduconoprogressivamente la qualità della vita. Di fronte a questo degrado ambientale pro-gressivo cresce anche la coscienza e la ne-cessità di costruire una cultura ecologica cherafforzi l’alleanza tra l’essere umano e l’am-biente. Per questo è urgente recuperare lacapacità di riconoscere nella creazione undono da valorizzare e rispettare.

«E Dio vide... che era cosa buona»

Nel libro della Genesi si trova sette volte laformula: «E Dio vide... che era cosa buona»;e questo è detto per la luce, per la terra, pergli astri del cielo, per gli animali e infine perl’essere umano, in quanto uomo e donna(Cf. cap 1).L’opera creata è buona perché il Creatore laproduce per amo re, per una finalità buona.

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l’ecologia ambientale. «Oggi è forte la do-manda di convertirci da consumatori-sfrut-tatori a custodi del creato. È dall’interno della persona che deve parti-re l’inversione di marcia con grande sensodi responsabilità» (Cir. 934, p.10).Custodire è prendersi cura, responsabiliz-zarsi del mondo in cui viviamo, favorire unpiù equilibrato rapporto dell’uomo con lanatura. Non si tratta solo di rafforzare la con-servazione degli ecosistemi e dell’ambien-te naturale, ma di rivedere in profondità lemodalità con cui le nostre società generanobenessere e sviluppo economico e sociale.Molte sono già, oggi, le azioni che possonoessere intraprese per mettere in atto concre-ti comportamenti rivolti a ridurre il consu-mo della natura, la distruzione delle risorsenaturali e lo spreco dei beni ambientali pri-mari quali l’acqua, la terra, l’aria, la biodiver-sità, l’energia. Allo stesso tempo, sono nu-merose le iniziative da promuovere per atti-vare percorsi di sviluppo capaci di dare di-gnità e benessere a gran parte dell’umanità

che oggi ne è esclusa. Inoltre, custodire lacreazione in ambito economico, politico esociale è anche orientare con appropriatistrumenti normativi e sostenere con ade-guate risorse tutte quelle misure che con-sentono di alleggerire l’impronta ecologica,cioè il peso di una comunità sull’ambientenaturale, e di migliorare la condizione e laqualità della vita delle persone (Cf. CEI, 8a

Giornata per la custodia del creato 2013).Per custodire il creato, infine, occorre edu-care ed educarci a una cultura ecologica peruno stile di vita più sostenibile.

Che cosa possiamo fare?

La nostra vita quotidiana ci presenta un in-sieme di opportunità per tradurre in atteg-giamenti concreti la convinzione che la ter-ra è un dono sacro da amministrare per il be-ne dell’umanità. L’Ufficio JPIC dell’Ordine dei Frati Minori cioffre dei suggerimenti interessanti e opera-tivi. Per realizzare questo processo, ad es., alivello della gestione dei rifiuti, sono ancoravalide le tre R ecologiche: Ridurre, Riutilizza-re e Riciclare.

Ridurre: l’uso di prodotti “usa e getta”, la pla-stica, i vassoi fabbricati con poliestere, l’ec-cesso di imballaggi, il materiale inquinante,ecc.

Riutilizzare: borse, scatole, buste di carta edi plastica e altri contenitori ...; dare prioritàai prodotti con l’etichetta ecologica, sceglie-re prodotti fabbricati con materiale riciclatoe prodotti con contenitori riutilizzabili.

Riciclare: cartone, carta, giornali, plastica,bottiglie, recipienti…; vetro e alluminio, re-sidui domestici.Infine: è indispensabile mettere in pratica laraccolta differenziata dei rifiuti.

[email protected]@yahoo.com

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Educarci ed educare

Che prodotti “usa e getta” utilizziamo più spesso?

Quali potremmo sostituire o evitare?

Che prodotti potremmo riciclare e riutilizzare?

Effettuiamo regolarmente la raccolta differenziata?

Prendiamo decisioni concrete al riguardo.

LUCECONTRO

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soprattutto adolescenti che confidano le lo-ro prime esperienze con la sofferenza di untradimento: «L’anno scorso era mia amica, leportavo anche la merenda. Quest’anno va conun’altra e dice a tutti i miei segreti». «Fin da pic-cola veniva a casa mia, giocavamo e facevamoi compiti insieme. Adesso non viene più e par-la male di me e della mia famiglia». E questi vissuti spesso incidono negativa-mente sui risultati scolastici e sulle relazioniinterpersonali. Ma possono anche diventareoccasioni di crescita personale.Per gli adulti e gli anziani, ancor più che pergli adolescenti e i giovani, l’ingratitudine puòavere un peso insopportabile. Le persone alle quali si è aperto il cuore econ le quali si è condivisa la vita (il partner,un’amica/o, una figlia/o, una persona cara,un’Istituzione di appartenenza) e per le qua-li si è investito molto emotivamente, quan-do rispondono con il travisamento dellarealtà, con tradimenti, calunnie, umiliazioni,rifiuti e abbandoni (reali o così percepiti),possono infliggere danni paragonabili aquelli provocati da uno tsunami. Possono disorientare, far mettere in discus-sione la propria identità, far chiudere in sestessi, far perdere il senso della vita e del do-no. Lo testimoniano frasi come: «È molto tri-ste, non me l’aspettavo proprio»; «Non biso-gna credere né aiutare nessuno»; «Ecco quel-lo che guadagni: dopo anni di sacrifici, tipiantano in asso. È meglio pensare a se stes-si e lasciare che gli altri si arrangino». E cose anche peggiori.

In/Gratitudine Maria Rossi

Di fronte a situazioni di sofferenza emergo-no, generalmente, sentimenti di compassio-ne con il desiderio di soccorrere, aiutare, al-leviare gli ostacoli. A volte è possibile interve-nire solo con una sofferta preghiera di inter-cessione. Altre volte, avendone i mezzi econsentendolo le circostanze, la compassio-ne si trasforma in gesti di accoglienza, di dife-sa, di sostentamento, di tenerezza. Sono ge-sti concreti che provengono da un profondosenso di umanità e dalla compassione nei con-fronti di chi, spesso ingiustamente, soffre. Sono contrassegnati dal desiderio di dona-re sollievo, possibilità di una crescita serenae anche dall’entusiasmo di poter contribui-re a una causa importante. Nascono all’inse-gna della gratuità, ma non si può ignorareche «il desiderio di fare del bene inconscia-mente contiene una richiesta di riceverne al-meno il riconoscimento» (PARSI Maria Rita,Ingrati. La sindrome rancuorosa del Benefi-cato, Mondadori, Milano 2012).

Un peso insopportabile

Una persona che dona aiuto, accoglienza,amore e tenerezza, si espone, diventa vulne-rabile e può trovarsi in difficoltà non indiffe-renti. Può restare bloccata e soccombere sot-to il peso degli aspetti diversi dell’ingratitudi-ne, soprattutto se parte con l’entusiasmo el’ingenuità del giovane neofita, con poca con-sapevolezza delle proprie dinamiche intrapsi-chiche e scarsa conoscenza delle possibili ri-sposte di chi è beneficato.L’esperienza dell’ingratitudine si affaccia pre-sto nella vita. Non è raro sentire fanciulli, ma

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Beneficati e benefattori

L’ingratitudine viene definita come un “com-portamento che misconosce o rinnega la so-stanza umana e morale del beneficio ricevu-to” (Devoto-Oli). È un atteggiamento moltodiffuso che, secondo le occasioni e le età del-la vita, può emergere non solo nel benefica-to, ma anche nel benefattore. Secondo l’Autrice citata, fa parte del nostroessere al mondo e nasce con il dono dellavita: grande dono d’amore, ma non richie-sto e che comporta l’espulsione dall’uteromaterno che manteneva in un perfetto be-nessere e in una incondizionata protezio-ne. «Nasciamo da un atto viscerale di tradi-mento, tanto maggiore quanto più grandeè stato l’amore che lo ha preceduto. E na-scendo, transitiamo verso una vita autono-ma che non abbiamo chiesto». L’imprinting dell’amore contiene quello del-l’ambivalenza e il rancore del beneficato è«nelle nostre corde originariamente: dobbia-mo imparare a riconoscerlo anche in noi stes-si per controllarlo e impedire che volga in di-

mensioni patologiche». L’accoglimento in-condizionato e le cure materne che seguo-no la nascita aiutano a rimarginare la feritainiziale. L’amore dei genitori diventa «quel-la palestra emotiva che aiuta i figli ad esserebuoni beneficati, cioè persone capaci dichiedere con serenità, se avranno bisogno,e dire “grazie” a chi darà loro, capaci di rico-noscere il dono ricevuto perché l’amore lorenderà loro possibile. Il disagio dell’ambi-valenza si trasforma in rancore quando nonsa trasformarsi in gratitudine, se gliene èmancato il modello e l’alimento».Coloro che, o per carenze di cure e di amo-re o per mancata autoconoscenza e rifles-sione, non hanno superato l’ambivalenzadell’amore, potrebbero: o essere incapaci diriconoscere i benefici ricevuti, perché inte-si come risarcimenti a quanto è stato loro in-colmabilmente sottratto, oppure diventarebenefattori a oltranza per mostrare agli altricome si fa a beneficare. I beneficati che intendono il dono come unrisarcimento di quanto loro è stato tolto, conle loro pretese e il travisamento della realtà,possono diventare un incubo e anche un pe-ricolo. Per non lasciarsi travolgere, per nonpermettere che sentimenti di odio e di ven-detta si radichino nell’ animo e per non chiu-dersi e fermarsi, è necessario distanziarsiemotivamente e, potendolo, anche fisicamen-te e affidarsi a Colui che riconosce anche ildono di un bicchiere d’acqua. Maria Rita Par-si scrive: «Il destino degli ingrati, quello cheessi meritano, è l’oblio». Siamo tutti beneficati e benefattori. E se nonè facile essere un buon beneficato, è pur dif-ficile essere un buon benefattore. Alcuni be-nefattori (fra questi ci possiamo essere anchenoi) tendono a far sentire troppo il peso delloro aiuto o a donare per rendersi la personaservizievole o comunque per ingraziarsela,per avere in seguito dei favori. L’interesse, spe-cialmente se è subdolo, provoca, in chi lo ri-ceve, umiliazione, disagio, imbarazzo e anche

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contro e infliggergli sofferenza e dolore. Partendo dall’indignazione, dal dolore e daldisorientamento che la mancanza di ricono-scenza provoca, si può apprendere ad essereprudenti, realisti e umili, a non prodigarsi nelfare il bene con incosciente bonomia, ma aprepararsi responsabilmente a qualsiasi eve-nienza. Dice Bunuel: «Non fare del bene senon sei pronto a sopportare il male che te neverrà in cambio». Anche Don Bosco ha impa-rato dagli ingrati. Dopo che i ragazzi alloggia-ti si erano portati via, con le coperte e le len-zuola, anche la paglia, su consiglio di MammaMargherita, ha deciso di continuare ad acco-gliere, ma con maggior prudenza.L’esperienza dell’ingratitudine porta con sé latentazione di chiudersi e di desistere. Ma laconsapevolezza della propria e dell’altrui uma-nità illuminata dalla fede, aiuta a continuarecon umiltà e a credere che il bene fatto è ungrande valore indipendentemente dal ricono-scimento. «Gli ingrati, scrive l’Autrice citata,sono, per me, fango senza anima né luce. So-no la mia parte senza luce che debbo illumi-nare e che, grazie a loro, potrei trasformare inoro. L’essere umano autentico è colui cheguarda alle stelle. Anche nel fango e dal fangodal quale proviene». E, un buon benefattore èuna persona autenticamente umana «che aspi-ra a fare il bene perché ne avverte la Bellezza.E vibra ogni volta che il bene si compie, pro-vando un’interna realizzazione che, comeenergia strutturante, connette insieme la suamente, il suo corpo, il suo immaginario».

La riconoscenza ha un grande valore educa-tivo. Don Bosco ha voluto che fosse eviden-ziata addirittura con una festa. Chi riconosceserenamente il beneficio ricevuto, riconoscese stesso e la sua condizione. E questo gli con-ferisce identità e libertà e capacità di essereun buon benefattore, una persona generosache non soltanto dona, ma che anche accet-ta di ricevere e si mostra riconoscente.

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rifiuto del beneficio. Alcuni benefattori pos-sono provare invidia e sentirsi depauperatiper il successo professionale o per il presti-gio raggiunto dal beneficato; altri ancora pos-sono chiudersi in un triste risentimento e di-ventare incapaci di trovare serenità e gustonel donare. Un dono è, comunque, un pesoche non tutti riescono a sopportare serena-mente e tanto meno ad esserne riconoscen-ti. Cacciaguida, nel diciassettesimo canto delParadiso nella Divina Commedia, in riferi-mento all’accoglienza che sperimenterà inesilio, dice a Dante: «Tu proverai sì come sadi sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ loscendere e ‘l salir per l’altrui scale».

Imparare dagli ingrati

L’esperienza dell’ingratitudine può portaredanni irreparabili, ma potrebbe anche diven-tare un’importante occasione di crescita. L’Au-trice citata scrive: «Debbo ringraziare le tante,troppe persone ingrate. Alcune di loro lo so-no state in modo veramente incomprensibile,altre in modo decisamente indegno. Le ho in-contrate e le incontro continuamente nella miavita. Sono state e sono i miei veri maestri. Daloro ho appreso e apprendo quotidianamen-te tutto ciò che ora conosco sui miei limiti, suimiei vuoti, sulle mie miserie, indegnità, incom-petenze, inefficienze». L’ingratitudine può aiutare a conoscere me-glio la propria umanità e anche quella deglialtri. La conoscenza profonda di se stessi con-sente di ritenersi aperti, disponibili, disinte-ressati e, contemporaneamente, di fare i con-ti con la parte oscura di sé; consente di ren-dersi conto che il desiderio di fare del benecontiene inconsciamente la richiesta di rice-verne un riconoscimento e questo può esse-re sentito dall’altro come un peso eccessivo. A volte, costretto dalla necessità, uno può di-mostrarsi riconoscente, ma se sente ecces-sivamente il peso del beneficio che conside-ra come risarcimento della deprivazione,può o ignorare il benefattore o rivolgersi

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SE L’INVERNO DICESSE: HO NEL CUORE LA PRIMAVERA, CHI GLI CREDEREBBE?

KAHLIL GIBRAN

canto alla vita

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canto alla vita

LA VITA, QUALUNQUE LINGUAGGIO USI,ESPRIME SEMPRE LA VITA

MARY HASKELL

Da un dipinto di Emanuela Colbertaldo

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canto alla vita

DALL’AMORESCATURISCELA VITAE LA VITADESIDERAE CHIEDE AMORE

KAHLIL GIBRAN

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Letturaevangelicadei fatti

contemporanei

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dimorato nella nostra povertà e debolezza,chi vive la spiritualità salesiana crede nellapresenza di Dio che circonda continuamen-te d’amore e di protezione i suoi figli, rico-nosce che non c’è bisogno di staccarsi dal-la vita ordinaria per cercare il suo volto. An-zi è proprio lì che lo troviamo.Assumere con coerenza l’aspetto ordinariodell’esistenza; accettare le sfide, gli interro-gativi, le tensioni della crescita; cercare la ri-composizione dei frammenti nell’unità rea-lizzata dallo Spirito nel Battesimo; operareper il superamento delle ambiguità presen-ti nell’esperienza quotidiana; fermentarecon l’amore ogni scelta: è questo il passag-gio obbligato per scoprire e amare il quoti-diano come una realtà nuova in cui Dio ope-ra nella sua misericordia e magnanimità.

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Vivere con passione Mara Borsi

La Spiritualità salesiana incoraggia i giovani ad affrontare le sfide e le domande della vita quotidianacon gioia e sacrificio. È una spiritualità che li incontra al loro livello e sa come identificare il movimento dello Spirito nei loro cuori.

Oggi viviamo una stagione che sembra se-gnalarsi per il mito ubriacante dell’efficien-za e della qualità: se sei al massimo delle pre-stazioni conti; se non lo sei, non conti. La vita deve essere bella, perfetta, intelligen-te, ricca di successo, la vita conta se appare.Conseguenza di questa visione dell’esisten-za è la riproduzione di maschere. Si fa di tutto perché non appaia la fragilità, ladebolezza, il limite.La spiritualità salesiana educa ad amare la vi-ta nella sua interezza, con le sue luci e le sueombre, come anche con la sua lentezza: sela neghi perdi il colore e il sapore della vita,quella autentica s’intende.Giovanni Bosco e Maria Mazzarello, attra-verso i loro figli e figlie e tutti coloro che con-dividono la stessa spiritualità, anche oggi in-segnano a innumerevoli ragazze e ragazzi avivere con passione, a leggere la pagina del-la vita che stanno vivendo, il volto di chi stan-no incontrando, l’emozione che li sta sfio-rando, in una parola ad essere presenti aquello che fanno. Presenti nel frammento divita che avviene. Alla scuola dell’Incarnazio-ne di un Dio che ha abitato il frammento, ha

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Le sfide e le domandedella vita quotidiana

Ore 9.00: lezione di religione con glialunni del 5° grado della scuola ele-mentare. L’insegnante vede una manoalzata e dà la parola al giovanissimostudente che esordisce: «Come si fa asalvare un’anima?».L’insegnante ha un brivido lungo laschiena. La questione arriva e scompa-gina il piano della lezione. Cala il silenzio, gli occhi degli alunnicorrono dal volto del compagno aquello dell’insegnante. Stupore, atte-sa di una risposta. Nella mente dell’insegnante molti pen-sieri si accavallano, corrono velocissimi,sgorga dal cuore un’invocazione alloSpirito: “Chiudere velocemente la que-stione e andare alla lezione program-mata o percorre la via dell’inatteso?”. Inizia a narrare la storia di Laura Vi-cuña, ragazzina che offre le sue soffe-renze e anche la vita perché sua madresi converta alle esigenze del Vangelo.Ad un certo punto l’insegnante chie-de ai suoi studenti di chiudere gli oc-chi e pensare a qualcuno che cono-scono che potrebbe prendere una de-cisione sbagliata per la propria vita. L’insegnante incalza: “Come vi senti-te?, perché vi sentite così?”.Inizia una condivisione che porta glialunni a esprimere preoccupazioniper familiari, amici, conoscenti. Un dialogo vivace e sempre piùprofondo che, a poco a poco, porta a

comprendere che la preoccupazione èradicata nell’amore.L’insegnante fa capire che questo è lostesso amore che Laura Vicuña aveva persua madre. Per salvare un’anima, quindi,si può essere generosi come lei, e attra-verso questa generosità si può mettereuna speciale intenzione per la conversio-ne di coloro che amiamo.Una nuova mano alzata, lo studente perrendere più solenne quello che sta perdire si alza in piedi: «Questo significa chedobbiamo dare la nostra vita per salvareun’anima?».L’insegnante spiega che non tutti sonochiamati a dare la propria vita come Ge-sù, Laura e tanti altri testimoni del Vange-lo, ma si può essere generosi in molti al-tri modi, e inizia con una raffica di esem-pi, di situazioni concrete che a partire dal-la vita quotidiana parlano di disponibilità,di sacrificio, di attenzione agli altri.Aiutare i fratelli e le sorelle più piccoli neicompiti assegnati dalla scuola, offrire lapropria disponibilità per pulire la casa deinonni ecc., gli esempi sembrano non fi-nire mai.E così accade che, in un giorno fresco diautunno, gli studenti del 5° grado di unapiccola scuola elementare cattolica nelSud degli Stati Uniti, raccolgono la sfidadi essere più generosi, vanno oltre unalezione semplicemente attesa e vissuta. L’insegnante tocca con mano l’azione del-lo Spirito Santo e rinnova la sua offerta ditempo e talento per la salvezza e l’educa-zione delle nuove generazioni.

Jeanette Palasota fma, Stati Uniti

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quotidiana, cioè con la proposta di itinerarieducativi che favoriscono l’interiorizzazio-ne della fede, si è fatta sempre più chiara inquesti anni. Tuttavia, si continua a sperimen-tare un gap tra l’esperienza forte delle gran-di convocazioni, e pensando all’esperienzasalesiana, ad esempio, quelle del Movimen-to Giovanile Salesiano realizzate ormai in tut-ti i contesti, e il quotidiano. Persiste una cer-ta difficoltà ad accompagnare i giovani nell’e-sperienza universitaria, nel mondo del lavo-ro, per i pochi che vi riescono ad entrare, adintercettare la realtà giovanile, soprattutto,quella che sta alla periferia dei grandi eventi.

Entrare nella notte

Papa Francesco parlando dei giovani ai ve-scovi brasiliani ha detto: «Serve una Chiesache non abbia paura di entrare nella loro not-te, capace di incontrarli nella loro strada, ingrado di inserirsi nella loro conversazione».Non si può ignorare la notte delle donne edegli uomini di oggi, verso cui la Chiesa èchiamata ad incamminarsi senza timori e pre-giudizi. Un mandato da rispettare e reso con-creto dal fatto che Francesco ha scelto laGMG di Rio de Janeiro per dire a tutti i cre-denti in Gesù che sono chiamati ad essereservitori della comunione e della cultura del-l’incontro, senza essere presuntuosi, guida-ti dall’umile e felice certezza di chi è stato tro-vato, raggiunto e trasformato dalla verità cheè Cristo e non può non annunciarlo.Il Papa ha offerto ai giovani un esempiopersonale, una indicazione concreta di co-me vivere da cristiani, oggi, mettendo al

GMG: tappa di un lungo camminoMara Borsi, Palma Lionetti

Il messaggio chiave della GMG di Rio,che è stata nuova nella forma e nella sostanza, è il farsi compagni di viaggio dei giovani, che come i discepoli di Emmaus,appaiono sfiduciati verso una Chiesapercepita distante. Farsi compagni di strada parlando di Dio attraverso i gesti della condivisione.

Le parole e i gesti di Papa Francesco nel cor-so della GMG di Rio de Janeiro hanno rive-lato al mondo un po’ della rotta che intendetracciare per il futuro della Chiesa. I giovani non costituiscono una realtà a séstante, sono parte integrante della società, ilPapa l’ha dimostrato personalizzando il pro-gramma di una GMG ereditata da altri. Letappe nel centro di cura e riabilitazione pertossicodipendenti, la visita in una delle oltre1.100 favelas della città, l’incontro con ottodetenuti, due ragazze e sei ragazzi, hannovoluto dire che anche le nuove generazioninon sono esentate dal fare i conti con il do-lore, il limite, la povertà, il peccato, il delitto,la pena, il riscatto personale e sociale.Il Papa stesso, tracciando il bilancio di que-sto grande evento, ha ricordato a tutti che legiornate mondiali della gioventù non sono“fuochi d’artificio”, momenti di entusiasmofine a se stessi, ma sono tappe di un lungocammino. Negli operatori di pastorale gio-vanile la consapevolezza dell’importanza diconiugare la pastorale degli eventi, di cui laGMG è il vertice, con la pastorale della vita

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primo posto i sofferenti, gli esclusi, i di-menticati, gli scartati dalla società. Il mes-saggio è arrivato forte e chiaro.

Cosa resta dopo

Martina 18 anni: «Mi aspettavo tanto, ma hotrovato di più. A casa mi sono portata una ca-rica formidabile. Da catechista, ai miei bambi-ni, voglio comunicare quello che ho vissuto».Maria Elena, 20 anni: «Mi resta la voglia disorridere e comunicare amore. Ma soprat-tutto degli obiettivi chiari: non smettere maidi cercare nella fede e servire il prossimo nelquotidiano».Chiara, 19 anni: «Ho capito che papa France-sco crede in noi, in una generazione soffo-cata che non ha modo e spazio per espri-mersi. Lui ci ha dato fiducia senza se e sen-za ma. Fiducia è il tesoro che mi resta».Gabriel, 22 anni: «La gioia e la consapevolez-za che ora tocca a noi».Fausto, 25 anni:«Scendete dai balconi, ci hadetto il Papa. Questo mi dà il coraggio di nonfare lo spettatore».Luca, 28 anni, educatore: «Impegno, lavoro

pastorale, quotidianità. Consapevolezza chequello che si fa non è per nulla inutile o trop-po piccolo, ma rende migliore un pezzo dimondo. Condivisione della vita nelle nostrecase, negli ambienti educativi, nei momen-ti ordinari che, a volte succede, diventanoeccezionali, perché brillano di semplicità edi amore. Oasi di senso nei deserti della ba-nalità, sorrisi, abbracci, gesti che mostranoil segno dell’amore di Gesù».

Nella vita di tutti i giorni

Per coniugare i grandi eventi alla vita quoti-diana, per progettare in modo sensato la pa-storale giovanile è necessario insistere sullacentralità della figura di Gesù. È l’umanità diGesù che “insegna a vivere” ed educa la no-stra umanità. Leggere insieme ai giovani, co-me comunità credente, i Vangeli, cercandoquale umanità muove Gesù nei suoi incon-tri con gli altri, come parla Gesù, che vita in-teriore rivela. Testimoniare la fede e, quin-di, mostrare la fede come cammino del sen-so, capace di dare sapore, direzione e signi-ficato alla vita dei giovani.

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In luoghi abbandonatinoi costruiremo con mattoni nuovivi sono mani e macchinee argilla per nuovi mattonie calce per nuova calcinadove i mattoni son caduticostruiremo con pietra nuovadove le travi son marcitecostruiremo con nuovo legnamedove parole non son pronunciatecostruiremo con nuovo linguaggioc’è un lavoro comuneuna Chiesa per tuttie un impiego per ciascunoognuno al suo lavoro.

Thomas Stearns EliotCori da “La rocca”

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be relegare solo ai lavori in casa senza dare lo-ro voce. Alfabetizzare le donne quindi è as-solutamente necessario per dare loro consa-pevolezza delle proprie potenzialità.Suor Anna Thekkekandathil, FMA dell’ispetto-ria INK ci racconta: «Vedendo le condizioni diestrema povertà delle donne, dei giovani e deibambini nei vari stati dell’India, specialmentein Karnataka, Andhra Pradesh e Kerala, neglislum e nei villaggi, abbiamo dato vita ad unaONG chiamata Centro per lo Sviluppo e Em-powerment delle Donne (CDEW), per pro-muovere la condizione delle donne attraver-so diversi interventi e attività».Come in tutta l’India, le Figlie di Maria Ausilia-trice qui hanno scelto di alleviare la povertà epromuovere l’alfabetizzazione attraverso unacampagna in cui le donne acquistino abilità dibase per rendere le loro vite più sostenibili. Per le FMA le donne costituiscono la carta vin-cente per ridurre la povertà e migliorare glistandard di vita della famiglia in termini di ci-bo, cure sanitarie e istruzione dei bambini. Silavora per la loro dignità e i loro diritti attra-verso la promozione dell’autocoscienza, lapartecipazione sociale, l’istruzione, la forma-zione culturale, l’autonomia economica e l’as-sistenza sanitaria. Il CDEW, è l’organo di azio-ne sociale ufficiale delle FMA dell’ispettoria. Ènato nel 2003 come un’organizzazione di vo-lontariato e pianifica il suo lavoro seguendo 5strategie di empowerment: nell’organizzazio-ne, nell’istruzione, nell’autosufficienza eco-nomica, nella cura della persona e nella capa-cità di prendere decisioni. Nel nostro viaggio incontriamo donne dal vol-to segnato dalla sofferenza e dal dolore, ma

Unite per una società miglioreAnna Rita Cristaino

“Credo fermamente che la salvezzadell’India dipenda dall’abnegazione e dall’emancipazione delle sue donne”(M. Gandhi).

Quest’anno la rubrica “Uno sguardo sul mon-do”, sarà un diario di viaggio, con il raccontodi incontri e l’ascolto di storie che ci apronoalle diverse culture del mondo. La prima tap-pa è Bangalore in India. Visitiamo questa città e gli Stati di Karnataka,Andhra Pradesh e Kerala con l’intenzione diguardare a questa terra attraverso gli occhi del-le donne; questo ci dà la possibilità di entrarein questa grande Nazione con una prospetti-va ricca di suggestioni e soprattutto ci dà lapossibilità di cogliere quanto il loro contribu-to sia importante per la crescita di questo Pae-se. Bangalore è la capitale dello stato di Karna-taka nella punta sud-occidentale dell’India. Solo il 28% di Bangalore è urbano e la maggiorparte della sua popolazione si basa su impre-se agricole. La differenza economico-cultura-le diventa sempre più grande e il puntare sul-le tecnologie ad alto livello rispetto ai princi-pi dell’economia agraria ha dato due facce al-la stessa città. La prima è vibrante, innovativaed estremamente moderna, mostra il succes-so di una nazione in sviluppo. La seconda favedere gente che vive ai margini, per strada,con servizi pubblici inadeguati e con enormidifferenze di reddito, con poca salute e op-portunità. A soffrire di questa situazione so-no in particolare donne e bambini. Per le don-ne si tratta di lottare contro la povertà, ma an-che contro le discriminazioni di chi le vorreb-

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te 6 mesi. Quando mio marito era vivo, io nonuscivo quasi mai di casa, nemmeno per anda-re al mercato. Alcuni dei miei vicini mi aveva-no consigliato di vendere il forno e di compra-re delle bufale per guadagnarmi da vivere.Con bambini così piccoli ho dovuto lottare persostenere la mia famiglia. Poi, una delle orga-nizzatrici della Centro di Sviluppo delle Don-ne “Auxilium Akhila Vikas”, la Signorra Rani èvenuta a visitare la mia famiglia. Mi aveva chie-sto di far parte del loro Gruppo di Auto-Aiutoper poter mettere dei soldi da parte e poi ri-cevere un prestito dal gruppo e dalla banca.Diventata membro del gruppo, ho guadagna-to fiducia in me stessa e ho iniziato ad apprez-zare il valore del lavoro duro. Dopo 6 mesi ho

anche dalla determinazione di fare qualcosache renda il loro futuro e quello dei loro figlimigliore. Donne il cui sguardo è intenso, checonoscono la preziosità di ogni attimo dellavita, che hanno trascorso momenti difficili, mache hanno saputo rialzarsi trovando in sé laforza per migliorare le proprie condizioni. Tra queste c’è Mahalakshmi: «Vengo dal villag-gio Palipalem in Kottapatnam Mandal. I mieigenitori hanno disposto per me un matrimo-nio combinato qui in Mahendra Nagar, Ongo-le. Mio marito possedeva un forno per la pro-duzione dei mattoni. Un giorno, durante unalite con un vicino, è stato pugnalato ed è mor-to sul colpo. Ho quattro figli: 3 ragazze ed unragazzo. A quel tempo l’ultimo aveva solamen-

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davano con disprezzo. Mio marito lavorava inun negozio come ragioniere e io ero casalin-ga. Mi sentivo fortemente demoralizzata e nonricevevo aiuto da nessuno. Un giorno, una del-le suore del Centro di Sviluppo delle Donne“Auxilium Akhila Vikas”, insieme ad una orga-nizzatrice della comunità, sono venute a visi-tare la mia famiglia e mi hanno consigliato difare parte del Gruppo di Auto-Aiuto Laxmi. Apoco a poco ho potuto superare il mio doloree loro mi hanno incoraggiato ad avviare un pic-colo negozio. Quindi ho preso un prestito edho comprato riso all’ingrosso per venderlo aldettaglio. Dopo avere rimborsato il primo pre-stito i membri del gruppo mi hanno consigliatodi prenderne un altro, e così ho potuto ingran-dire il mio negozio di riso. Ora, col lavoro duro,mi sono resa conto della mia potenzialità inte-riori e ho costruito delle buone relazioni coi mieivicini. Ho trovato molti clienti a cui vendere il ri-so. Sebbene non sono più tanto giovane, ho de-ciso di adottare una bambina. Anche se mio ma-rito e tanti dei miei vicini mi avevano criticato perquesta decisione. Io li ho sfidati dicendo cheogni giorno con la vendita dei pochi pacchettidi riso avrei potuto allevare la bambina. Poco apoco mio marito ha ceduto. Ho chiamato mia figlia Sri Harsavardhini. Ades-so anche mio marito è felice di avere questa fi-glia e le vuole molto bene».Anche suor Padma Latha lavora nei centri di svi-luppo e condivide con noi la sua esperienza:«Le Donne hanno acquistato potere e consa-pevolezza. Sono uscite dalla loro schiavitù.Ora sono indipendenti e sono capaci di pen-sare a loro stesse. Sono capaci di motivare i loro figli ad andare ascuola rendendosi conto delle loro capacità etutelando i loro diritti. Attraverso i gruppi diSHG, le donne sono cresciute a tutti i livelli ehanno acquisito, sicurezza, autostima e fidu-cia. Hanno più conoscenze e speranze. Oggile donne sono più libere, e posso dire che ilcammino fatto con queste donne è stato uncammino di liberazione».

[email protected]

preso il mio primo prestito dal gruppo ed hocomprato un’altra bufala. Ho mandato i mieifigli a scuola, anche se più andavano avanticon lo studio più diventava costoso. Con l’aiu-to di un altro prestito della banca ho potutocomprare un’altra bufala. Attualmente ho trebufale da cui posso guadagnare un reddito re-golare per prendermi cura della mia famiglia.Prima, abitavamo in una capanna, ma man ma-no sono riuscita a costruire una casa di matto-ni. Due dei miei figli continuano i loro studi, duefiglie sono sposate. Far parte del gruppo mi haaiutato ad avere fiducia in me stessa, a crescerenella dignità e a lavorare senza dover dipende-re dagli altri per andare avanti nella vita. All’ini-zio ero molto timida, poi prendendo coscienzadelle mie potenzialità, sono diventata capacedi parlare di fronte alla gente, di dire il mio pen-siero e raccontare la mia storia». Anche Saguna è una donna determinata, cheha dovuto lottare per farsi accettare e per di-mostrare che nonostante l’impossibilità di ave-re figli, la sua vita non era inutile. «Ora sonoleader del Gruppo di Auto-Aiuto Laxmi. Sonosposata da 25 anni. Non ho avuto figli e perquesto tutti i miei vicini e mia suocera mi guar-

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Nel corso degli anni il CDEW ha attuatocon successo diversi progetti e program-mi: la formazione e la crescita di circa 700Centri di Auto Aiuto che formano una fe-derazione; Programmi di generazione diReddito, costruzione di case, scuole, pro-grammi di promozione dell’alfabetismoper bambini poveri in tre Stati raggiun-gendo circa 3000 bambini, programmi diprevenzione e informazione sull’HIV/AIDS. La costruzione di più di 500 pozziper la raccolta dell’acqua piovana, pro-grammi per bambini esclusi dalla scuola.10 mila persone guarite dall’alcolismo coni gruppi degli Alcolisti Anonimi. Il lavoro del CDEW di Bangalore è raccon-tato nel video di Missioni don Bosco “Uni-te per una società migliore”.

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Informazioninotizie e novi

dal mondodei media

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stione, la formazione. In un contesto carat-terizzato dall’incertezza e dalla comples-sità, per acquisire visione d’insieme è ne-cessario unirsi ed esprimere una visione di-namica delle relazioni, puntare all’interdi-sciplinarietà, al lavoro di squadra, allacondivisione delle conoscenze, per supe-rare i limiti di un sapere settoriale, di unavisione parcellizzata e statica della realtà,dei problemi, delle idee e del confronto. Connettere dice l’agire comunicativo neltempo della Rete: collegamenti con o senzafili che uniscono due o più estremi sia a li-vello tecnico, come pure di persone: idee,convinzioni, emozioni, azioni. Sono le relazioni che stanno al centro del si-stema e dello scambio dei contenuti, sem-pre più legati a chi li produce o li segnala.Occorre comprendere che concetti comepersona, autore, relazione, coerenza, re-

ConnettereMaria Antonia Chinello

Nella comunicazione, come nella nuova evangelizzazione, è determinante lasciare aperto il canale per stabilire l’ascoltoreciproco, presupposto del dialogo.

Il dizionario della lingua italiana alla voce“connettere” spiega che significa «Unire dueo più cose; collegare le idee, metterle in unasuccessione logica; mettere a contatto unacosa con un’altra; porre in relazione una co-sa con un’altra; ragionare; unirsi l’uno all’al-tro; collegarsi a qualcuno». Le definizioni pro-cedono dal porre in successione o in relazio-ne oggetti, idee all’unione tra le persone. Nell’orizzonte contemporaneo, aziende pri-vate, organizzazioni, enti pubblici privile-giano sempre più l’approccio sistemico nel-lo studio, nella progettazione e nello svi-luppo di soluzioni per il marketing, la ge-

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sponsabilità, amicizia, intimità, altro, prossi-mo si evolvono proprio con l’avvento del-la Rete. La connessione dice disponibilitàa entrare in contatto, a tenere aperto il ca-nale, a essere presenti con squilli, SMS, po-st e tweet: “uno-a-uno-sempre-disponibi-le”, “tutti-sempre-raggiungibili”.Se la connessione non ha un aggancio conla realtà, il rovescio della medaglia è la chiu-sura, perché: «Se la Rete, chiamata a connet-tere, in realtà finisce per isolare, allora tradi-sce se stessa, il suo significato. Il nodo pro-blematico consiste nel fatto che connessio-ne e condivisione di rete non si identificanocon “incontro”, che è un’esperienza moltoimpegnativa a livello di relazione». La connessione è chiamata ad essere spaziodi comunione, spianando la strada a nuoviincontri, assicurando sempre la qualità delcontatto umano.

Connessione luogo di comunione

L’esistenza dell’uomo è “detta” non dall’iso-lamento e dall’autosufficienza, ma unica-mente dalla vita di relazione con il suo Crea-tore, costitutiva del suo essere più profon-do. Dio stesso non è solitudine, ma relazio-ne perché è “amore” (1Gv 4,8). Relazione, amore, significano vita: Dio ha fat-to esistere l’uomo per renderlo partecipedella sua stessa vita.La connessione esprime la Rete come il con-testo in cui la fede è chiamata ad esprimer-si, non per una semplice volontà di “esser-ci” ma per una connaturalità del cristianesi-mo con la vita degli uomini. Come Gesù, il Verbo che «ha compiuto lasua missione scendendo, calandosi inogni nostra oscurità, con umiltà e con unprofondo amore per gli uomini, per tuttinoi peccatori. Anche la Chiesa, allora, nonpotrà seguire altra via che quella della kè-nosisper rivelare al mondo il Servo del Si-gnore» (Comunicare il Vangelo in un mon -do che cambia, 63).

WhatsApp Messenger

È un’applicazione di messaggistica istantaneamobile, multi-piattaforma che consente discambiarsi messaggi coi propri contatti sen-za dover pagare gli SMS. WhatsApp Messen-ger è disponibile per iPhone, BlackBerry, An-droid, Windows Phone e Nokia. Si possonoscambiare messaggi, condividere foto, video,registrazioni audio e rilevamenti della pro-pria posizione geografica con chiunque ab-bia uno smartphone connesso alla Rete. Poiché si serve dello stesso abbonamento In-ternet usato per le e-mail e la navigazioneweb, non vi sono costi aggiuntivi per manda-re messaggi e restare in contatto coi propriamici. L’applicazione viene aggiornata perio-dicamente sulle varie piattaforme, miglioran-do le offerte e le opportunità. Anche questa applicazione, che dilaga tra igiovanissimi (e non), esige responsabilitànel-l’uso e nella produzione dei contenuti. Nonmancano casi di cronaca dove ragazzi e ra-gazze diffondono, a volte inconsapevolmen-te, autoscatti, video, messaggi compromet-tenti per sé e per gli altri. Quanto si vuole chesia riservato, finisce invece per viaggiare nel-la Rete e non si ferma più. Le conseguenzenon si fa fatica ad immaginarle.

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La Chiesa è casa e scuola di comunione,dimora ospitale che fa spazio, portando“i pesi gli uni degli altri”, aprendosi al dia-logo e non chiudendo il contatto, perché«Ciò che noi abbiamo udito... lo annun-ziamo anche a voi, perché anche voi sia-te in comunione con noi.Queste cose vi scriviamo, perché la no-stra gioia [di noi e di voi tutti] sia perfet-ta» (1Gv 1,1-4). È grazie all’ascolto, all’e-sperienza e alla contemplazione del Ver-bo, che la nostra vita e noi stessi veniamotrasformati per diventare capaci di comu-nicare quanto abbiamo ricevuto.

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gita verso la frontiera del Libano. È al no-no mese di gravidanza. Il marito è mortocolpito da una pallottola, mentre un gior-no ritornava verso casa. Ora la donna è so-la con il secondo bimbo nato da poco for-tunatamente sano e salvo perchè assistitoda un gruppo umanitario. Durante l’attacco terroristico del Westgate aNairobi in Kenya, due fidanzati erano anda-ti a fare le ultime compere per il matrimonioprevisto esattamente due settimane dopo.Mentre stavano acquistando gli anelli sonostati sorpresi dai terroristi. Sono stati uccisientrambi. Il giovane è figlio unico di una ma-dre che l’aveva tirato su da sola. Due episodi che parlano di dolore strazian-te conseguenza di sistemi che hanno dimen-ticato l’umano per sostituirlo con l’odio, l’in-giustizia, la vendetta e la violenza.

I bambini: punto di partenza dell’economia

L’economia del prendersi cura di Riane Ei-sler è tanto originale quanto umana, toccan-te e protesa verso il futuro. L’autrice propo-ne di pensare ad una nuova economia pun-tando l’attenzione non sulle borse, sul vin-colo, sui derivati o sugli altri strumentifinanziari, bensì sui bambini. Le politiche e le pratiche economiche devo-no avere come punto di partenza il benes-sere dei bambini e la loro validità dovrebbeessere misurata dai seguenti indicatori: la sa-lute dei bambini, il loro accesso all’educa-zione, la qualità della vita. Continuando il di-scorso Riane sostiene che bisogna interro-garsi su quale sia il tipo di sistema economi-

Il riflesso della tenerezzanell’economiaBernadette Sangma

Ascoltare i pensieri e le proposte alternati-ve di alcune donne nel settore dell’econo-mia mondiale in un momento di forte crisi,ci fa pregustare la capacità di riscatto dellalogica femminile. Esse offrono orientamen-ti inediti per transitare da una economia or-ganizzata intorno agli interessi individuali-stici, competitivi e centrati sul guadagno aquella dell’economia di cura espressa in ter-mini di tenerezza e di attenzione a misuradelle persone e non del mercato o del pro-fitto. È l’economia di cura di Rianne Eisler.

La via alternativa delle donne

Guardando al mondo dell’attuale crisi eco-nomica finanziaria, molte donne studioseed attiviste fanno la loro analisi della situa-zione e concordano che alla radice di tut-to resta un sistema individualistico centra-to sulle priorità fallaci, sul potere oppres-sivo e disfunzionale. Tale sistema ha ignorato i bisogni umanifondamentali cau sando l’emar ginazione diuna vasta categoria di persone e generan-do l’aumento della povertà, del degradoambientale, della violazione dei dirittiumani e dell’ineguaglianza. Altre conseguenze sono l’escalation del-la guerra, del terrorismo e del conflittoviolento che vediamo in ogni parte delmondo. Siamo ormai abituati alla contadelle vittime. Purtroppo, dietro quei nu-meri, ci sono persone innocenti con no-mi e cognomi la cui vita è infranta in mo-do irreversibile. Cito due esempi. In Siria, una donna con il suo piccolo è fug-

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co che aiuta o blocca i bambini nella realiz-zazione delle loro grandi potenzialità, nellacoscientizzazione, nell’empatia, nella cura enella creatività, ossia nella capacità di ren-derli pienamente umani.

Verso un’economia del prendersi cura

Riane Eisler tratteggia alcuni passi necessariper camminare verso un’economia sosteni-bile in armonia con la natura. Il modello chelei propone si fonda sul principio di parte-nariato evidenziando che esso orienta ver-so la costruzione di relazioni di reciproco ri-spetto e di accountability. Il primo passo che Riane suggerisce è quel-lo di approfittare dell’attuale momento dismarrimento e regressione come opportu-nità per riformulare l’economia. Riane suggerisce di pensare al di là dalle ca-tegorie sociali ed economiche come il capi-talismo, il socialismo e gli altri ‘ismi’. Dice in-fatti, citando Einstein, che non possiamo ri-

solvere i problemi con la stessa logica del si-stema che li ha creati. Il passo importantesarà quello di porre le fondamenta peruna economia del prendersi cura. Questasi poggia sulla convinzione che la vera ric-chezza delle Nazioni non si basa sulla fi-nanza. La vera ricchezza delle Nazioni, in-vece, è costituita dal popolo e dalla natu-ra! Passa poi a suggerire ciò che potrebbeessere chiamato il cuore del modello chepropone e cioè lo sviluppo di nuove misureeconomiche che diano visibilità e valore rea-le al lavoro di cura delle persone e della na-tura. Citando gli Stati Uniti, Riane dice che sipaga un idraulico da 50 a 100 dollari all’ora,mentre le babysitter sono pagate in media10 dollari all’ora. Dice Riane, con molta en-fasi, che tale differenza non è logica ma pa-tologica, perchè quando i bisogni umanifondamentali sono trascurati, cresce la di-sperazione e la distruzione ecologica con lederivanti tensioni sociali e i conflitti.Uno dei passi importanti per questa eco-nomia del prendersi cura è il potenziamen-to delle donne. Citando la ricerca intitola-ta Donne, uomini e la qualità globale di vi-ta, in cui sono stati presi in considerazionei dati statistici di 89 Nazioni che rilevano lostatus delle donne in relazione all’indicedella qualità di vita, Riane afferma che lostudio ha messo in evidenza che lo statusdella donna costituisce il migliore indicedella qualità della vita.

Riane Eisler è una donna di grande attualità.Leggere le sue pubblicazioni è respirare lafreschezza di un pensare differente. I suoi libri “Bambini di domani. Il piano perun partenariato nell’educazione nel ven-tunesimo secolo” e “La vera ricchezza del-le nazioni” potrebbero offrire molti spun-ti alle comunità educanti nella realizzazio-ne di una educazione e di una economiadi trasformazione radicale.

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scandalo nel fattoche l’oggi sia costi-tuito dalla sovrap-

posizione inevitabile e necessaria tra gli aspettipiù tradizionali della cultura italiana, come quel-li legati ad una famiglia che vive in una sperdutaValle del Trentino, e quelli più instabili di un mi-grante dei nostri giorni: un immigrato sopravvis-suto male al trauma dei barconi che – nonostan-te tutto – non sa ancora quale sarà la sua nuova‘casa’, l’habitat esistenziale in cui realizzarsi. «Documentario e finzione sono solo due moda-lità di raccontare qualcosa al cinema – spiega ilregista. A volte il confine è molto sottile. In questo film, per esempio, sono andato nel luo-go in cui è ambientata la storia per conoscere lepersone e capire come vivono le loro quotidia-nità. E più volte mi sono reso conto che la finzio-ne iniziava nel momento in cui la narrazione diqueste vite finiva. Il film è costruito proprio neldialogo tra regia documentaria e finzione, tra ilrapporto diretto con la realtà e la scelta di mo-menti più intimi costruiti con attenzione ai det-tagli della messa in scena. Così è anche nel lavoro con gli attori: persone delluogo e professionisti interagiscono tra loro, conil privilegio di lavorare in questo caso con l’ener-gia e l’imprevedibilità di bambini e ragazzi». È così che Segre fa incontrare i due protagonisti:in una Val dei Moicheni che la cinepresa ripren-de, esaltandone in modo estatico l’incontamina-ta bellezza naturale. Dani, ha lasciato il Togo manello sbarco ha perso la moglie partoriente. Il troppo dolore gli impedisce ancora di fare il pa-dre con la piccola nata e sogna un’altra meta: Pa-rigi. Michele, invece è un adolescente locale la-cerato negli affetti per la morte prematura del pa-dre. Vive con il nonno falegname-apicultore e lamadre vedova. Sono loro due i pezzi principalidi un puzzle di personaggi che, prevedibilmen-

LA PRIMA NEVEdi Andrea Segre – Italia – 2013

Mariolina Perentaler

Reduce dal grande successo di critica e dai premiottenuti con il magnifico ‘Io sono Li’, il regista An-drea Segre (solido passato da documentarista allespalle) riprova di nuovo con il cinema di finzione:La prima neve, film splendido. Presentato al Festival di Venezia 2013 nella sezio-ne Orizzonti, debutta nelle sale italiane collegatoal progetto ‘La prima scuola’. Ancora una volta Segre racconta un presente dovel’innesto tra la cultura italiana e quella degli immi-grati nel nostro paese è passaggio necessario per lariscoperta della propria identità e il passaggio ver-so un futuro nuovo. Abbandonato il Veneto, si arrampica sulle monta-gne di un Trentino straordinariamente fotografatoda Luca Bigazzi e, nella splendida, incontaminatavalle dei Mocheni, descrive l’incontro tra Dani, im-migrato del Togo, e una famiglia di locali in cui Mi-chele undicenne è orfano di padre. È il bosco il luogo centrale del loro incontro, dovei due si cercano, si respingono, si conoscono. Uno spazio in cui la natura diventa ‘teatro’ e Segrecontinua efficacemente la sua personale ricerca sulrapporto tra esseri umani e luoghi che ne ospitanole vicende. Uno spazio, tra luci ed ombre, dove tro-vare una solitudine che può trasformarsi in incon-tro, cammino comune.

Uno spaccato di vita della nostra società

Padri, madri, figli: è di questo che parla La primaneve. Parla di un’eredità pesante nel proprio pas-sato, di un ‘valico alpino’ – aspro e simbolico adun tempo – che conduce al futuro. Parla di lutti econseguenti vuoti da riempire, di differenze dalivellare, di case da trovare e costruire. La prima neve parla dell’oggi, e non c’è nessuno

camilla

Si fa per dire

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scandalo nel fattoche l’oggi sia costi-tuito dalla sovrap-

posizione inevitabile e necessaria tra gli aspetti

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te, senza scossoni, con il passo regolare e caden-zato del montanaro, troverà composizione e ar-monia, rivelando la figura di una casa che è quel-la del cuore e degli affetti. Due pezzi che s’incastrano, ma questo incastroprevedibile Segre non lo forza mai. Lascia che tut-ti i pezzi che sparge sul tavolo in apertura di filmsi studino fra loro mentre gli spettatori li osser-vano, filtrati da una regia partecipe ma non inva-dente. Lascia che si avvicinino progressivamen-te nel nome delle polarità opposte e complemen-tari che si attraggono e che caratterizzano tuttoil film. Se Dani impara nuovamente a essere pa-dre, a essere uomo, grazie a un ragazzino che a

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sua volta re-impara a essere figlio, è perché han-no imparato ad ascoltarsi. Si cresce solo ascoltan-dosi, incontrandosi. Guardando il diverso nel no-me di un senso comunitario che va allargato e ri-definito perché tutti possano essere a casa. Dani è arrivato in un’Italia di cui non conosce letradizioni e non subisce le offese del razzismostrisciante. L’emarginazione ce l’ha dentro comeil piccolo Michele, per il dolore che vivono e sem-bra impossibile elaborare. Hanno entrambi biso-gno di quella prima neve che offra loro una nuo-va visione del mondo, esteriore ed interiore.

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L’idea del film

Raccontare il rapporto con il padre, con i genitori,con i figli e il dolore di perderli. Sia per chi è nato inItalia – Val dei Mocheni, una tra le più isolate delTrentino – sia per chi ci può arrivare da chissà dove.

Si tratta di due situazioni drammatiche, due cri-si molto profonde, che trovano però una svoltaproprio nel momento in cui i due protagonisti siincontrano nel loro essere diversi ma comple-mentari. «È un caso un po’ portato al limite – rileva Segrein Note di regia – ma d’altra parte questo è quel-lo che fanno la letteratura, la narrativa ed ancheil cinema: cercare in storie particolari, a volte mi-noritarie-minime, delle tendenze e dinamicheprofonde, universali, nelle relazioni umane. Ed è quello che ho provato a fare anch’io in que-sta piccola valle del Trentino. La prima neve racconta il superamento di un do-lore ineliminabile attraverso la condivisione, ildialogo, l’affetto e l’ascolto. Forse proprio la parola “condivisione” ne è lachiave. Caratterizza anche il nostro modo di fare cinemacon un gruppo di lavoro in cui tutti conoscono afondo la storia, ne parlano e ne discutono. Chiarezza, ascolto e appunto condivisione sonodiventate le caratteristiche principali dell’approc-cio produttivo, della strada che abbiamo percor-so e vogliamo indicare».

Il sogno del film

Portare temi reali e sociali all’interno del grandeschermo. Innovare, promuovere il sistema cinemae più in generale il sistema della produzione cultu-rale, che oggi stanno ‘arrancando’.

«l cinema è un elemento fondamentale dell’edu-cazione di un paese. Ma il cinema è una cosa elo spettacolo commerciale è un’altra – puntua-lizza Segre presentando La prima neve. I film del mainstream commerciale, quelli chenon vanno ai festival e non cercano alcun tipo dirapporto con la qualità, puntano esclusivamen-te allo spettacolo. Ripetono anche nella loro pro-duzione e nella loro scrittura figure stereotipe,gusti omologati, modi abusati di costruire unanarrazione, in modo che lo spettatore li possaconsumare rapidamente. Cito sempre l’esempio di un ragazzino di 14 an-ni che ad una proiezione di Io sono lì a Udine, siè alzato alla fine della visione del film e di frontea 300 compagni di scuola mi ha voluto ringrazia-re. Diceva di non sapere dell’esistenza di questotipo di cinema: da quando aveva 9 anni venivaportato al multisala del centro commerciale a ve-dere ciò che veniva proposto dovendo abituarsia quel gusto. A quel ragazzino ed ai compagniche lo hanno applaudito dobbiamo garantire lapossibilità di conoscere un altro pezzo della pro-duzione narrativa, culturale, etica ed estetica diquesto paese. La prima neve nasce ‘con e per’ ibravissimi ragazzi protagonisti in Val dei Moche-ni, e quanti nel mondo come loro».

PER FAR PENSARE

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stanno iniziando e che dovrà durare solopochi mesi. In passato, quand’era ancoragiovane, ha rinunciato a una promettentecarriera di valente violoncellista per stareaccanto al marito, famoso direttore d’or-chestra, e seguirlo nelle frequenti trasfer-te: una scelta fatta per amore, ma che ha la-sciato in lei un forte rimpianto.I due vivranno in appartamenti separati e leloro relazioni si limiteranno a quelle di buonvicinato, con incontri casuali e sporadici. Viene loro assegnata temporaneamente lastessa assistente, non essendo per il mo-mento disponibile nel personale un’altrapersona adatta. La mattina sarà a disposizione della signoraClea Ross, nel pomeriggio offrirà la sua com-pagnia al signor Otto Stephens. Tranne la di-rettrice della casa, nessuno conoscerà che idue ospiti sono marito e moglie.

Incontro con Ilona

A questo punto entra così in scena un altropersonaggio, Ilona, che avrà un peso deter-minante sull’esito del singolare esperimen-to intrapreso dagli anziani coniugi; la giova-ne donna ha alle spalle un passato di soffe-renza: prima gli anni del regime comunista,che l’hanno segnata fortemente, sia nel fisi-co che nel carattere divenuto schivo e diffi-dente, poi, la fuga dalla terra d’origine, la du-ra fatica dell’inserimento in un paese diver-so per lingua e cultura, un storia d’amore, làin Spagna, con un liutaio di nome Miguel, fi-nita nel nulla per l’improvviso richiamo inUngheria ad assistere la madre gravemente

Alejandro PalomasL’anima del mondoAdriana Nepi

Singolarissimo romanzo, frutto di una fan-tasia che potremmo definire rocambole-sca, dove le situazioni, pur nella loro ogget-tiva inverosimiglianza, presentano unaplausibile logica interna. Due anziani coniugi, Otto e Clea, ricchi e so-li (un figlio è morto da tempo, una figlia èlontana, estraniata dalla vita dei vecchi geni-tori) si accorgono con sgomento del vuotoin cui scorrono ormai i loro giorni e decido-no insieme di dare una sterzata alla piattauniformità di una vita divenuta priva di sen-so. Sanno che esiste una villa signorile, si-tuata in amena posizione, chiamata Buena-vista, che non vuol essere una casa di ripo-so per anziani: la padrona l’ha organizzata inmodo da renderla una piacevole Casa fami-glia. Ad ogni ospite è assegnata una speciedi badante che si offre come una vera damadi compagnia, e per questo non facile com-pito, deve possedere qualità e competenza. I due vecchi coniugi non si propongono unavera separazione, ma di provare, partendoper così dire da zero, a tessere una nuovaamicizia, dando un senso a quel loro vivereinsieme. Sono molto diversi: Otto è invec-chiato bene, a ottantasei anni è ancora viva-ce e spigliato e si gode la vita momento permomento con sorridente ottimismo. Clea, carattere forte ed esuberante, patiscein segreto, reagendovi con ostentata arro-ganza, il dramma tutto femminile della vec-chiaia: insieme alla perdita dell’avvenenzafisica, avverte con insofferenza le inesora-bili limitazioni dell’età che avanza. È statalei a escogitare la piccola avventura che

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inferma, la delusione dell’abbandono subì-to al ritorno in Spagna, infine l’approdo aBuenavista con il suo diploma d’infermiera,la solitudine e la prospettiva di un futuro in-certo e angosciante. Ogni giovedì, che è il suo giorno di tempolibero, si mette in viaggio, senza dare spie-gazioni. Suscita qualche curiosità quel suopuntuale misterioso scomparire: dove an-drà? Sanno che lei è una profuga unghere-se, che non ha in Spagna parenti né una fa-miglia propria.In realtà la poveretta insegue l’illusoria spe-ranza di riportare a sé Miguel, il liutaio cheavrebbe dovuto sposarla: da lui attende unbambino! Un giorno però deve arrendersiall’evidenza: nel suo laboratorio, Miguel nonè più solo, lo scorge da lontano, teneramen-te vicino a una giovane donna.Una vita, quella di Ilona, che sembra un cru-dele susseguirsi di frustrazioni, che non le

hanno però indurito l’animo. Accanto ai dueoriginali assistiti, Ilona è una presenza mol-to discreta, ma tutt’altro che assente. La sensibilità e l’intuizione, affinate da unalunga esperienza di dolore, la renderannoalla fine mediatrice di rinnovata amicizia trai due vecchi signori.Ha imparato, durante la convivenza con illiutaio, a costruire i delicati strumenti a cor-de. Otto si servirà di lei per riavvicinarsi allamoglie, collaborando alla costruzione di unvioloncello, con cui farsi perdonare quelloche a lei sembra il torto di averle tarpato lavocazione musicale. Senza questo vistoso escamotage, a scioglie-re il nodo della vicenda bastava forse il biso-gno di dedizione materna suscitato nellavecchia signora dalla presenza di Ilona, di-venuta cara come una figlia, mentre ancheOtto prova verso di lei una calda simpatia,insieme alla speranza di diventare nonno.In realtà la stanchezza del vivere che opprime-va la vecchia signora, l’incapacità del coniugeche tanto l’ama a riempire quello stanco sen-so di vuoto si rivelano per quello che sono: ilbisogno di avere qualcuno da proteggere eamare, che ridoni senso e calore alla vita.

Passati i tre mesi che erano stati programma-ti per lo stravagante esperimento, arriva peril signor Stephens e la signora Clea Ross ilmomento di ripartire. Lo comunica a Ilona,senza alcun riguardo, la direttrice di Buena-vista, preoccupata solo di non perdere unbuon elemento del suo personale. Sembra un ultimo duro colpo per la giova-ne donna che si sentiva ormai legata a loroquasi da un vincolo di famiglia, ma ecco: sul-lo sfondo di lampi e tuoni e scrosciar di gran-dine di uno scenografico temporale, final-mente si conclude felicemente la vicenda.Sotto un cielo finalmente sereno, partonoinsieme i vecchi signori e presto Ilona li rag-giungerà, come una figlia ritrovata, nellagrande casa signorile.

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inferma, la delusione dell’abbandono subì-

hanno però indurito l’animo. Accanto ai dueoriginali assistiti, Ilona è una presenza mol-to discreta, ma tutt’altro che assente. La sensibilità e l’intuizione, affinate da unalunga esperienza di dolore, la renderannoalla fine mediatrice di rinnovata amicizia trai due vecchi signori.Ha imparato, durante la convivenza con illiutaio, a costruire i delicati strumenti a cor-de. Otto si servirà di lei per riavvicinarsi allamoglie, collaborando alla costruzione di unvioloncello, con cui farsi perdonare quelloche a lei sembra il torto di averle tarpato lavocazione musicale. Senza questo vistoso escamotage, a scioglie-re il nodo della vicenda bastava forse il biso-gno di dedizione materna suscitato nellavecchia signora dalla presenza di Ilona, di-venuta cara come una figlia, mentre ancheOtto prova verso di lei una calda simpatia,insieme alla speranza di diventare nonno.In realtà la stanchezza del vivere che opprime-va la vecchia signora, l’incapacità del coniugeche tanto l’ama a riempire quello stanco sen-

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vorare, formano una unità, con il predomi-nio intoccabile del gioco.

La più umana di tutte le arti

C’è tuttavia un altro problema fondamenta-le da risolvere: quando si converte in artel’attuazione teatrale di un contesto pedago-gico? In questo caso è valida la seguente di-sposizione: un’attività umana consegue laqualità di una attività artisticaquando la eser-citiamo in un modo estetico, come per dire:se costruiamoo modelliamoqualcosa di sce-nico. La legittimazione del teatro pedagogi-co si basa sul suo valore di formazione equesto a sua volta è legato alla qualità este-tica dell’attualizzazione. Questo offre al soggetto che gioca un accor-do con se stesso per mezzo dell’arte. In que-sto senso “giocare al teatro” è una forma diauto-formazione. Nella società postmoderna viviamo una ten-denza alla estetizzazione totale della realtà.Incluso il pensare e l’azione pedagogica sot-tostanno a questa pressione. I pedagogisti presentano le loro strategie di-dattiche per l’estetica, mettendole in scenao presentandole in modo performativo. Altri trasformano la classe in laboratori distudio e creano con questo uno scenario.Dato che il teatro – almeno secondo BertoltBrecht – è la più umana di tutte le arti, non èstrano che si contempli come rimedio uni-versale che deve dare nuova vita alla scuolaaccanto alle altre forme di insegnamento, ac-cademicamente altisonanti ma spesso concontenuti lontani dalla realtà.

I giochi teatrali nella formazione artisticaSara Cecilia Sierra, Wolf Rüdiger Wilms

Con gli articoli di questa rubricadedicati al teatro, quest’annovogliamo incoraggiare a guardare al vasto campo dei giochi teatrali e ad accettarli con la loro funzionepedagogica e artistica significativa.

Giochiamo a teatro?

Se concepiamo la persona come un esserein evoluzione e caratterizzato dalla cultura,allora vale la seguente definizione: per cul-tura si intende come la persona gioca, ap-prende e lavora, tanto da considerare que-ste tre forme di crescita come attività fonda-mentali. Nella società moderna tali forme diattività erano concepite come fasi della vitasistematicamente consecutive. Nella società postmoderna si può parlare,nella maggioranza dei casi, di attività domi-nanti che accompagnano la biografia di unapersona nelle sue varie tappe. Per questo si ritengono concepibili gli incro-ci di queste attività in ogni fase della vita. Nella tradizione di don Bosco il teatro è con-cepito in primo luogo come gioco: gio-chiamo al teatro (come giochiamo al cal-cio o a scacchi). Chi ha giocato al teatro olo ha diretto alcune volte, probabilmenteha avuto l’esperienza di come la realizza-zione di un prodotto teatrale di buonaqualità è legata ad un lavoro dispendioso,con il quale anche le attrici, gli attori e i di-rettori in generale apprendono molto. Così, fare teatro appartiene a quelle formedi attività nelle quali, giocare, studiare e la-

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La magia del momento estetico

Un altro problema di fondo è quello di chia-rire la questione intorno alla relazione trateatro pedagogico e teatro professionale. All’inizio dell’espansione del teatro fatto dadilettanti, del teatro amatoriale e del teatropedagogico, la comparazione dei dilettan-ti e degli amatori con i professionisti pro-vocava giudizi che mettevano in inferioritàcoloro che non erano esperti agli occhi de-gli spettatori. In passato ci sono stati, e an-cora ci sono, direttori di teatro pedagogi-co che si sforzano, con prove e tanto lavo-ro, di accorciare la differenza di qualità neigruppi dilettantistici, i quali tuttavia esco-no bene in casi eccezionali. D’altro canto i professionisti guardano alteatro amatoriale e al teatro pedagogico co-

me ad una minaccia alla loro pretesa di mo-nopolio artistico. Tuttavia, la pedagogia del teatro si è in granparte staccata dalla semplice imitazione delteatro professionale e almeno in parte hasviluppato una propria estetica qualitativa-mente distinguibile da questa, per la qua-le si è formato un proprio pubblico che sisente ugualmente attratto.

Prima che un attore professionista entri sulpalco in esercizio della sua professione, ac-quisisce un potere artigianale molto gran-de. Nel teatro pedagogico si insegna neces-sariamente ai bambini e ai giovani attitudi-ni teatrali fondamentali. Una particolarità estetica del gioco teatra-le nel lavoro con giovani, forse a partire giàdai preadolescenti, è la possibilità di unaperdita parziale della consapevolezza del-la realtà. Conosciamo questo fenomenochiamato in effetti “flow” nel quale i giova-ni attori possono generare la magia del mo-mento estetico. Si perdono in questa situa-zione, stanno “totalmente in sé” e si lascia-no cadere in una sensibilità e profonditàglobale, nella quale si sentono legati contutto il mondo e con il cosmo. Direttori di teatro esperti possono crearequesti effetti sulle orme di una cultura ele-vata di saggi, però i giovani sono moltoaperti in generale per questi momenti,che possono riattivarsi completamentenelle presentazioni pubbliche. Aprirsi e mostrare indifesi le proprie fragi-lità emozionali, contribuisce essenzialmen-te alla creazione di uno spazio comune traattori e spettatori, marcati da una emozio-nalità intensiva. Questa prova di credibilità nella sua attua-zione è un’altra cosa in cui non c’è da te-mere il confronto con i professionisti, no-nostante, naturalmente, con questo non siliberano dell’obbligo di seguire un attentomodello teatrale.

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La seconda parola vorrei spenderla per ilmodo in cui occupiamo lo spazio duran-te la preghiera; capisco benissimo cheadesso tante nostre cappelle sono gran-di per il numero esiguo di persone chedevono contenere, ma davanti al Croci-fisso riusciamo a disporci così accurata-mente distanti le une dalle altre da solle-vare, in chi osserva, un legittimo interro-gativo sull’autenticità di quell’“attireròtutti a me” dichiarato dal Signore.

L’ultima parola la spendo per le voci cheleviamo a Dio quando preghiamo insieme;vorrebbero essere all’unisono, ma non dirado spicca tra esse quella di una sorellapiù zelante che forse pensa che Dio sia unpo’ duro d’orecchi; vorrebbero essere con-cordi, ma sovente c’è un cuore (e dunqueanche una voce) che riesce a partire sem-pre mezzo secondo prima delle altre nel-l’intento – io credo – di mostrare a Dio(quando non alle sorelle) che lei c’è.Insomma, forse la novità della vita ini-zia da una preghiera accurata in ognidettaglio, perché il Padreterno non sen’abbia a male quando stentiamo adaprire le labbra davanti a Lui e, uscite dichiesa, ritroviamo all’improvviso tutta lanostra loquacità.

Parola di C.

Anime oranti

Care amiche, anche questa volta – aiuta-te dal buon Dio – siamo riuscite a metterpiede nell’anno nuovo, che porta con sé,come sempre, tanto desiderio di rinno-vamento. Ebbene sì, persino nelle attem-pate come me la passione per qualcosadi inedito spinge il cuore e le gambe tra-ballanti a nuovi traguardi! La riflessione che vi propongo parte dal-l’idea che ogni meta verso cui tendiamopresuppone un punto di partenza che nonpuò essere che il cuore di ogni nostro slan-cio, cioè la preghiera. In questi giorni di fe-sta mi sono dedicata ad un’osservazioneaccurata della preghiera nella mia comu-nità e ho bisogno di confidare a voi, chemi capite, alcune considerazioni.

Una parola lasciate che la spenda per l’ap-puntamento della prima mattina che sem-bra ormai il ritrovo delle quattro o cin-que insonni della comunità: si sa che lasera molte fanno tardi impegnate in unapastorale sempre più notturna e virtua-le, ma tante della mia generazione face-vano notte fonda a rammendare, studia-re, aggiustare e progettare e il giorno do-po, di buon’ora, le trovavi davanti a Ge-sù, come se niente fosse! Non giudico: probabilmente oggi ci siorganizza meglio e, per meditare in tut-ta calma, si riesce a ritagliare il temponecessario a margine di giornate frene-tiche di lavoro.

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illa

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Nel prossimo Numero

DOSSIER: Parole e gesti: rispetto e misericordia

FILO DI ARIANNA: Di fronte all’altro

UNO SGUARDO SUL MONDO Mai più Vidomegon

PASTORALMENTE: Paura dei giovani?

SI FA PER DIRE Esplorare

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CORAGGIO, SONO IO,NON ABBIATE

PAURA...MARCO 6,50