Rivista DMA - Povertà e Missione (Marzo - Aprile 2010)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE POVERTÀ E MISSIONE damihi animas 2010 Anno LVII Mensile n. 3/4 Marzo/Aprile Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) rt.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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damihianimas2010Anno LVII Mensile n. 3/4 Marzo/Aprile

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) rt.1, comma 2 - DCB Roma

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4 EditorialePovere per amare di piùdi Giuseppina Teruggi

5IncontriPovertà e missione:intervista alla Madre

13Primopiano14Il perchè di TeresaQuale comunità?

16Radici di futuroMichele Rua un “altro” don Boscoe “altro” da don Bosco

18Amore e Verità Per una collaborazione responsabile

20Filo di AriannaSperavamo...

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas

Mara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola Pignaltelli

Lucia M. Roces • Maria Rossi

foto Unicef/

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27In ricerca 28CultureL’origine dell’eclissidi Sole e Luna

30 PastoralmenteFormarsi e lavorare insieme

32Donne in contestoSemi di speranza

33Parole chiaveUnità e Missione

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ANNO LVII • MENSILE / MARZO APRILE 2010

35Comunicare36Faccia a facciaLa comunicazione in famiglia

38Comunicare la fedePastorale della Comunicazione

40Video Flash of Genius

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroOlive Kitteridge

46CamillaL’età dei miracoli

n.3/4 marzo-aprile 2010Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

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Madre Yvonne, nella sua Intervista, sottoli-nea di aver “conosciuto molte realtà in cuipovertà e semplicità fanno parte del vis-suto quotidiano delle nostre sorelle.Quando diventano uno stile di vita, le gio-vani ne restano affascinate e si interroganosulla possibilità reale di seguirci perchépossono costatare in noi la gioia vocazio-nale che scaturisce dalla scelta libera di es-sere povere e distaccate, dalla messa in co-mune di ciò che siamo e abbiamo”.

“La povertà bisogna averla nel cuore perpraticarla”, sosteneva don Bosco. Come direche importante è soprattutto vivere poverisecondo il Vangelo. E ripeteva che per la“salvezza dei suoi poveri giovani” sarebbestato disposto ad affrontare ogni povertà, fa-tica, disagio. Il medesimo atteggiamento erain Maria Mazzarello, che animava le comu-nità di Mornese e di Nizza a superare lamentalità “del mondo” per assumere unapovertà felice. Su questa linea, anche lo stiledi vita di don Michele Rua, di cui è statoscritto: “Aveva imparato fin da ragazzo a ‘nonascoltarsi mai’, non certo per il gusto dellamortificazione in se stessa, ma per rendersipiù docile al servizio della carità”.

Oggi come ieri, la scelta di povertà è testi-monianza di un amore più grande.

[email protected]

Povere per amare di piùGiuseppina Teruggi

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Siamo state volute così da don Bosco e daMaria Mazzarello: educatrici di giovani, conpreferenza delle più povere. Una scelta as-sunta da sempre con coerenza, maturatacon più consapevolezza in questi anni. Nellarubrica “Donne in contesto”, sono eviden-ziati i progetti di sviluppo sostenuti dalleFMA in diverse parti del mondo, dove ren-diamo protagoniste le giovani donne fino atrasformare il corso della loro vita perso-nale e familiare.

La Rivista DMA sta condividendo riflessionie spunti sulla povertà. Molti ne sono i mo-tivi. A partire dalla situazione globale di pro-gressivo impoverimento oggi. Per risolverel’emergenza, gran parte delle responsabilitàspettano ai governi, alle loro scelte politichee sociali. Noi crediamo che molto dipendeanche dalle scelte consapevoli dei singoli.

Parliamo spesso di autodelimitazione, di de-cisione personale di fare a meno di moltecose in sobrietà e solidarietà. È una sceltapreferenziale che può attivare una rea-zione a catena fino a coinvolgere giovani,famiglie, laici/che con cui condividiamo lamissione educativa. È una scelta che si staaffermando. Le recenti catastrofi chehanno colpito Haiti, le Filippine, molti Paesidei vari Continenti, hanno fatto esplodereuna solidarietà espressa nei tanti segni cheogni comunità FMA ha saputo porre.

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Povertàe missioneeducativa

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pegno di vivere radicalmente la relazionecon Cristo che qualifica le nostre relazionie ci pone, con la profezia dell’insieme, alservizio della vita delle/dei giovani più po-veri. Nel CG XXI si parlava del grido di co-munione come urgenza che interpella lenostre comunità e le sollecita a scelte corag-giose di vita e di cultura della solidarietà, leimpegna in percorsi di economia solidalenella sobrietà della vita personale e comu-nitaria, nell’autodelimitazione, nell’ammini-strazione trasparente. Le domande perve-nute dalle Ispettorie al CG XXII sul temadella povertà sono state numerose e hannointerpellato con forza l’assemblea capito-lare. In un tempo di crescente impoveri-mento e di crisi economica che investe or-mai tutti i paesi del mondo e le nostre stessecomunità, la missione di servire le/i giovanipiù poveri è stata sentita con particolare ur-genza. Come continuare a scegliere i piùpoveri a partire dall’esperienza di esserenoi stesse povere in tutte le dimensionidella povertà? È chiamata in causa la radica-lità della nostra vita consacrata e la rispostacarismatica nella missione di educare le gio-vani generazioni.Gli Atti del CG XXII, al se-condo orientamento (n. 42), esplicitano l’ur-genza della testimonianza profetica dellapovertà e dell’opzione prioritaria delle/deigiovani più bisognosi e indicano una seriedi passi concreti. Tra essi, promuovere unacultura solidale alternativa a quella capitali-sta, favorire progetti di sviluppo orientatatialla sostenibilità delle opere e a suscitare il

Povertà e missione:intervista alla MadreEmilia Di Massimo, Giuseppina Teruggi

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Abbiamo detto a Madre Yvonne: “Parlaci della povertà e della missione; ricor-daci la via della condivisione, perché nonvogliamo vivere un solo giorno senza che il‘cuore’ dei poveri sia giunto sino al nostro.Parlaci della bellezza della povertà visibilesoltanto al cuore. Insegnaci a saper vedereche l’annuncio di Gesù ai giovani passa at-traverso il segno di una vita sobria. È bellosentire ancora, mediante le tue parole, il fa-scino di Gesù povero e metterci sulle suetracce; desideriamo continuare a stupirci ri-scoprendo, come se fosse la prima volta, lagrandezza della nostra identità carismatica”.

La Madre ci ha risposto traducendo in paroleciò che vive e comunica. “Povertà e missione”: tra stoltezza per ilmondo e beatitudine per chi ha trovato “laperla preziosa”, per chi vuole vivere il Van-gelo e usa i beni, vigilante perché da essinon scaturisca mai il “mio” che si chiude aglialtri. Gli altri per noi hanno un nome e unvolto: i giovani, quelli per i quali decidiamodi vivere una vita semplice ed essenziale.

Dei due orientamenti emersi dal CG XXII, unoè sulla povertà. Come si è arrivate a tale scelta?

L’attenzione alla povertà appartiene all’i-dentità stessa della vita consacrata edemerge in ogni nostro Capitolo gene-rale. Negli ultimi si è voluto dare mag-giore forza attuativa a questa dimensioneche più immediatamente ci fa ricono-scere come discepole di Gesù. Il CG XX invitava a dare concretezza all’im-

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protagonismo dei poveri difendendo i dirittidei più deboli, promuovere frequenti e co-raggiose verifiche sul modo di vivere la po-vertà nello stile salesiano, sull’autodelimita-zione e condivisione dei beni. La fedeltàalla povertà è questione di fedeltà a Cristoe alle giovani generazioni nel tempo storicoche ci è dato di vivere. Non possiamo disat-tendere un impegno così urgente e vitalesancito dalla forza di un orientamento.

A partire dalla conoscenza che lei ha dell’I-stituto, come vede la relazione tra povertàe missione educativa?

L’accentuarsi del fenomeno dell’impoveri-mento porta a una progressiva disumaniz-

zazione della persona e delle sue relazioniin un processo che coinvolge la sua dimen-sione spirituale, la sua intelligenza e vo-lontà. Milioni di persone nelle periferiedelle megalopoli vivono un’esistenza disu-manizzante. Il degrado ambientale e un’ir-razionale distribuzione delle risorse accen-tua il fenomeno di una crescente povertàche minaccia la pace.La crisi economica mondiale è un chiaroappello a cambiare il modo di progettare ilfuturo, ripensandolo nell’ottica della inter-dipendenza e della condivisione solidale. Laterra non è indefinitamente disponibile aglisprechi, all’abuso e manipolazione dellesue risorse. Ai grandi progetti politici de-

Madre Yvonne

Yvonne Reungoat, Superiora generale delle Figlie di MariaAusiliatrice, è la 9ª successora di Maria D. Mazzarello. Di ori-gine francese, nei primi anni di vita salesiana è docente discuola superiore. Nominata Direttrice e poi Ispettrice dellaprovincia con sede a Parigi, amplia la sua conoscenza dell’I-stituto soprattutto quando riceve il mandato di delegatadelle Ispettrici di Francia e di Spagna per l’Africa Ovest(1990). Eletta Superiora della provincia africana con sede aLomé (Togo), rivela notevole capacità di inculturazione. Pri-vilegia costantemente la relazione con le persone, incorag-gia le comunità formate da membri di diversa nazionalità avivere nell’unità il carisma salesiano.Dà la priorità alla formazione delle giovani, collabora con al-tri membri della Famiglia salesiana per la preparazione di ani-matori e animatrici, si fa carico della povertà e sofferenza de-gli ultimi. Eletta Consigliera Visitatrice (1996) ha modo di co-noscere altre realtà dell’Istituto, in particolare le province la-tino-americane, europee e asiatiche.Divenuta Vicaria generale (2002), oltre a seguire le comunitàinternazionali di Roma, coordina l’organizzazione di incon-tri formativi per neo-Ispettrici e accompagna la collabora-

zione dell’Istituto con l’Associazione Cultori di Storia Salesiana (ACSSA). Durante il Capitolo generale XXII (2008) è chiamata ad animare l’Istituto delle Figlie di Ma-ria Ausiliatrice come Madre generale.

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Posso dire che non sono le grandi strutturepensate per le/i giovani a impressionare insenso negativo la gente, ma il nostro mododi vivere quando esso non rivela la Sor-gente che lo alimenta e non è segno diGesù, quando il da mihi animas non è au-tentico perché separato dal cetera tolle.

A volte povertà ed economia vengono iden-tificate. Vuole aiutarci a fare chiarezza suitermini e sul loro significato?

La povertà evangelica è sicuramente distintada un tipo di economia intesa come rispar-mio e accumulo di ricchezza, anche se il ri-sparmio e una sana previdenza sono aspettiimportanti dell’amministrazione econo-mica. Credo però che il motivo più fortedella distinzione sia il “per chi” e “per checosa” essere poveri. Un motivo che ri-manda alla nostra relazione personale conGesù per assumere i suoi sentimenti e vi-

vere i suoi atteggiamentidi spoliazione, umiltà,passione nel fare la vo-lontà del Padre, che èamorevole e misericor-dioso verso tutti i suoifigli e figlie. La povertàevangelicamente vissutacomporta l’esodo dallesicurezze e la disponibi-lità alla missione educa-tiva in qualunque situa-zione, vivendo così il damihi animas cetera tolle.Nella nostra vita è im-portante anche l’econo-mia che aiuta ad avereuna giusta cognizionedel costo della vita e del-l’importanza della deli-mitazione personale ecomunitaria. Nel Pro-

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vono però affiancarsi comportamenti escelte individuali e comunitarie.Visitando le Ispettorie, ho trovato grandesensibilità al problema della povertà e allapossibilità di offrire il nostro contributo apartire dall’educazione. L’educazione è, in-fatti, opera di umanizzazione, scuola di re-lazione, ambiente di fiducia e di condivi-sione frutto dell’amore. In generale, dove c’è una più grande di-sponibilità a seguire Gesù assumendo lasua mentalità, il suo stile di vita, c’è più at-tenzione fattiva alla missione, più disponi-bilità a vivere la passione educativa, a spen-dersi per le /i giovani poveri. Per vivere lamissione con e per i più poveri è necessa-rio, infatti, essere povere, testimoniandocosì di condividere la loro vita e educan-doli alla solidarietà. La povertà permette direndere i giovani e i laici protagonisti, aprealla fiducia e ad orizzonti di speranza.

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getto formativo dell’Istituto viene indivi-duata come necessaria la formazione alla di-mensione economica della vita. Se povertàed economia non si possono identificare,non sono però neanche da contrapporre. La povertà salesiana riempie di senso lescelte economiche orientandole a favorirela missione tra i giovani più poveri e una be-nintesa economia consente di prevedere eprovvedere individuando le strade legisla-tive per un cammino di autonomia anchedelle realtà più povere.

Molti giovani sono attratti da una vita consa-crata povera e semplice, ma spesso è quelladi altri Istituti. Come mai dal nostro stilenon si coglie povertà e semplicità?

Osservo anzitutto che non sempre è così.Personalmente ho conosciuto molte realtàin cui povertà e semplicità fanno parte del

vissuto quotidiano delle nostre sorelle.Quando diventano uno stile di vita, le gio-vani ne restano affascinate e si interroganosulla possibilità reale di seguirci perché pos-sono costatare in noi la gioia vocazionaleche scaturisce dalla scelta libera di esserepovere e distaccate, dalla messa in comunedi ciò che siamo e abbiamo. Vorrei aggiun-gere l’aspetto di complessità che la gestionedi grandi opere in alcune nostre presenzecomporta. Spesso ci vuole più impegno epovertà evangelica in questo servizio che inaltri. Tali opere, se assunte nell’ottica delcarisma educativo tipico del nostro Istituto,sono una testimonianza evangelica di di-sponibilità a tutta prova, che implica di-stacco e ascesi. Alcune giovani potrebberonon sentirsi di seguirci su una strada cosìimpegnativa che fa tanto pensare al pergo-lato di rose di don Bosco. Tuttavia non pos-

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trebbero avvantaggiare la nostra missione,quando siano assicurate legalità e libertànel perseguire gli obiettivi istituzionali. Unagestione autonoma, o in processo di diven-tarlo, così da assicurare sostenibilità e con-tinuità nel tempo di opere e attività; che siaimpregnata di spiritualità salesiana. L’econo-mia, infatti, non è indifferente alla missionedell’Istituto, ma ne è interlocutrice attiva ecritica. Una gestione che sia condivisa e ve-rificabile dalla comunità nelle sue scelte,capace di far posto ai laici fino a cederne laconduzione, dove questo sia necessario;che sia ispirata al criterio della sobrietà e so-lidarietà, capace di innovazione alla lucedella Dottrina Sociale della Chiesa e, in par-ticolare, dell’enciclica Caritas in veritate.

Quali atteggiamenti pensa che dobbiamomaggiormente vivere e quali scelte realizzareper una testimonianza profetica della povertà?

Possiamo leggerli nell’obiettivo della Pro-grammazione del Consiglio generale,

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siamo nasconderci che, a volte, l’attivismorischia di sopraffarci e l’imborghesimentomina la qualità evangelica della nostra esi-stenza. E questo non costituisce per le gio-vani un invito a seguire il Signore nella no-stra Famiglia religiosa.Riorganizzare le nostre presenze nell’otticadi Gesù povero richiede discernimento pernon scegliere ciò che è più facile, ma ciòche è più evangelico e salesiano.

Che cosa suggerisce perché la gestione eco-nomica favorisca la missione educativa?

La mia risposta non si situa a livello deimezzi, ma dei criteri. Non possiamo dimenticare che siamo nellaChiesa per esprimere l’amore di Gesù BuonPastore alle giovani e ai giovani attraversol’educazione. Suggerisco perciò una ge-stione economica che sia attenta al criteriocarismatico, competente e trasparente, sen-sibile alle opportunità legislative che po-

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così formulato: «Ravvivare l’identità cari-smatica nella sua dimensione di profeziaper il mondo di oggi, in un processo diconversione all’amore che si esprime nel-l’impegno di assumere, come comunità,la missione educativa, con l’audacia delda mihi animas cetera tolle».Tali atteggiamenti procedono perciò da uncammino di conversione all’Amore e impe-gnano ad assumere come comunità la mis-sione educativa. Quando questa è realiz-zata con l’audacia del da mihi animas ceteratolle, genera speranza, apre alla fiducia,rende creative nel condividere scelte cherendono chiaramente leggibile e credibilela testimonianza della nostra povertà.Tali scelte vanno continuamente confron-tate con il vangelo e il criterio carismaticoche privilegia le/i giovani più poveri. A que-sta luce siamo chiamate a verificare tanto leopere tradizionali (che sono frontiere sem-pre nuove della missione), quanto quelle

innovative (nuove frontiere). Non basta in-fatti averle catalogate con questo nome per-ché siano davvero “nuove”. La novità risiedenel vangelo e nella passione carismatica chesempre ci interpellano e ci scomodano.

Quale rapporto e quale differenza tra po-vertà comunitaria e personale?

L’aspetto comunitario della povertà costitui-sce l’ambiente, il clima in cui si esprime lapovertà personale. La povertà vissuta co-munitariamente è una dimensione dellaformazione permanente, ed è ciò che piùvisibilmente la gente percepisce del nostroessere consacrate. Una comunità che vive lapovertà evangelica è protesa verso il regnodi Dio e ne assume tutte le esigenze. È im-pegnata a promuovere una cultura della so-lidarietà, alternativa alla logica capitalista,realizza l’ascesi, potenzia reti di collabora-zione con organismi che difendono i dirittidei più deboli, esprime uno stile di parteci-

“…Con filiale abbandono alla Provvidenza del Padre ci rendiamo disponibili senzariserve per un servizio alla gioventù bisognosa, divenendo segno della gratuità del-l’amore di Dio. Testimoniamo così che Egli è l’unico nostro Bene e che tutte le cosecreate ci sono donate soltanto per aprirci alla carità”. Costituzioni FMA art.18

“Le giovani e i giovani, specialmente i più poveri, sono la ricchezza e il tesoro piùgrande che Dio ci affida. Sono il luogo teologico, la terra santa dove Egli ci parla in-vitandoci alla conversione per vivere il carisma della preventività come rinnovata al-leanza con Lui e con tutte le persone corresponsabili della missione educativa”.Atti CG XXII n. 31

“In una società fortemente centrata sull’avere, l’esperienza del dono gratuito e delservizio disinteressato è proposta ricca di virtualità educative. (…)Nel servizio ai più poveri, le giovani e i giovani possono esprimere la propria citta-dinanza evangelica e prepararsi ad intervenire a diversi livelli nella polis come per-sone pensose, responsabili, e promotrici della giustizia e della pace”. Linee orientative della missione educativa delle FMA n. 90

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gno molto eloquente dell’amore preve-niente di Dio nel mondo di oggi.

Abbiamo colto che una tematica ricorrentedel suo magistero è la gioia. Questa come sicolloca in rapporto alla povertà?

«Con Maria – abbiamo riflettuto nel CG XXII– guardiamo al mondo assetato di amore».La gioia nasce dal cuore credente aperto alsoffio dello Spirito. Nel Cenacolo, con gliApostoli, c’è Maria che condivide le loro

preoccupazioni e speranze, liaiuta ad affrontare la realtà concoraggio e audacia. Dove c’èMaria, c’è passione educativa emissionaria, c’è gioia, che non èassenza di sfide, ma speranza inun futuro abitato dal Dio dellavita. Un Dio che sta dalla partedei poveri, come canta Marianel Magnificat. L’assunzionedella spiritualità del magnificatrende disponibili anche a per-dere la propria vita per Gesù,per le sorelle e per le/i giovani.Ritornano allora le comunitàdei cuori aperti, della condivi-

sione profetica tra noi e con le/i giovanicon i quali creare ambienti familiari ricchidi valori umani e cristiani. Maria, la donnaforte, ci dà il coraggio di scoprire dove sisoffre per carenza di amore, dove la vitamanca di senso, di gioia e non si avverte lapresenza di Gesù. Essere credenti con Ma-ria è una potente risorsa che fa convergereverso la missione, libera il cuore da coseinutili che possono intristire la vita e smi-nuire la gioia del dono. La povertà evange-lica crea spazio e accoglienza dove Dio puòabitare e dare futuro e gioia alla vita.

[email protected]@cgfma.org

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pazione e di comunione dei beni anche ol-tre l’ambito comunitario e della propriaIspettoria, coltiva una solidarietà proget-tuale, è aperta al confronto e impegnata inuna frequente e coraggiosa verifica.La povertà, vissuta comunitariamente, so-stiene le singole FMA nell’assunzione per-sonale di uno stile di vita povero. Il clima difamiglia, il senso di appartenenza, l’atten-zione e la cura per le persone, il prevenirei bisogni delle sorelle aiutano a sentirsi

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bene e incoraggiano scelte anche esigentidi vita. La povertà comunitaria porta alla co-munione e condivisione dei beni attraversoscelte fatte insieme, nel discernimento, allaluce dei criteri evangelici e carismatici.D’altra parte, il clima comunitario è creatoda persone decise a vivere personalmenteuno stile di vita secondo il vangelo. Niente può sostituire questo tipo di impe-gno, prezioso apporto alla qualità della te-stimonianza comunitaria, che porta a colti-vare atteggiamenti di dono nella linea delvado io salesiano, e a privilegiare l’atten-zione alle esigenze degli altri piuttosto chealle proprie. L’intreccio della dimensionecomunitaria e personale costituisce un se-

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Approfondimenti biblici

educativi e formativi

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legria interiore ed esteriore, di serenità e li-bertà di spirito, di giovialità e senso dell’u-morismo che rende simpatici e attraenti.Ricercò l’equilibrio tra la solitudine e lagioiosa comunicazione, fra la monotoniadei giorni e le celebrazioni festive. Non pre-tese di formare persone segnate dalla peni-tenza, ma oranti e serve dell’amore».

Stile di vita

Soprattutto nel Cammino di perfezioneTeresa esprime le sue attese rispetto allavita comunitaria. Lei crede che custoden-do l’amore scambievole si fa regnare il Si-gnore. Per questo stigmatizza le comunitàche con la loro divisione si privano dellapresenza di Gesù: «Se per caso si verificaqualche leggero screzio (parabrilla), vi siponga subito rimedio; diversamente qua-lora vedessero che la cosa va avanti conpiccole fazioni o desiderio di primeggia-re o un punto d’onore, sappiano che han-no cacciato di casa il Signore». Sylwia Ciezkowska, FMA polacca, ha di-scusso lo scorso anno la sua tesi di dotto-rato su Teresa d’Avila educatrice eviden-ziando la relazione reciproca tra la santae la sua comunità. «Furono le consorelle– scrive – ad educarla come essere madre.Se non ci fosse la comunità non avremmoTeresa educatrice e se non ci fosse lei nonavremmo la comunità capace di educar-la». E questo la dice lunga anche sullo sti-le di animazione. Teresa si colloca all’in-

Quale comunità?Graziella Curti

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Le doti personali di Teresa d’Avila, che abbiamo scoperto nel numeroprecedente di DMA, si giocano tutteall’interno della relazione con Dio e con gli altri, in particolare con le sorelle della comunità, luogo della spiritualità del quotidiano,spazio che la santa chiamava Castellodi Sua Maestà e che Maria Domenicaindicherà come la casa dell’amor di Dio.

La nuova Betania

Girolamo Gracian, il più stretto e impor-tante collaboratore di Teresa insieme conGiovanni della Croce, scrive: «Teresa avevaun modo di fare molto amabile e amiche-vole, così che tutti quelli che la conosce-vano o avevano a che fare con lei ne eranoconquistati e sentivano di amarla. Ella pro-vava avversione per il comportamento rudee antipatico di certi santi, che così rende-vano antipatici non solo se stessi , ma anchela perfezione». Una nipote di Teresa con-ferma in modo simpatico: «Mia zia era cosìvivace e spontanea che la gente non po-teva credere che fosse una grande santa».Questi atteggiamenti luminosi Teresa liesprimeva particolarmente tra le mura do-mestiche, giorno dopo giorno, gomito a go-mito con le sue monache. «Perché, affasci-nata da Gesù, Teresa lo cerca ovunque eglisi trovi, in particolare nella comunità». «S. Teresa volle infondere alla convivenzafraterna – scrive P. Cavaglià – un tono di al-

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terno della comunità come una del grup-po, la quale vuole vivere nel vissuto ciòche proclama nel suo insegnamento. Lostile di vita che lei sogna è molto sempli-ce, in funzione della persona, segnato daquell’umanesimo realistico che la distin-gue. Alle sorelle propone la santità attra-verso l’immagine di una fontana che ver-sa abbondantemente acqua con moda-lità diverse «… nella sua bontà non forzanessuno, ma a coloro che lo seguono,Cristo dà da bere in mille modi».

La ricreazione

Teresa introduce nella vita monastica iltempo della ricreazione, una novità as-soluta per quell’epoca, pensata comeun’esigenza naturale della comunica-zione tra persone che vivono insieme. È un’espressione dell’umanesimo tere-siano suggeritagli dalla libertà interiore

a cui giunse e dalla “ lettura” intelligen-te della psiche umana. Per S. Teresa la re-ligiosa che cerca la solitudine durante laricreazione non solo si sbaglia, ma pre-senta sintomi pericolosi. Anna di S. Barto-lomeo, segretaria e infermiera della San-ta, scrive a proposito: «Alcune volte qual-che religiosa chiedeva di non andare allaricreazione, per un maggior raccoglimen-to, desiderando appartarsi dalla comu-nità. Ma nostra Madre insisteva molto chequesto non si facesse, e la rimproverò di-cendo che tutto era amor proprio e in-ganno del demonio e che, con la scusadello spirito, si rendeva singolare e per-deva l’amore alle sorelle». La ricreazioneè dunque un momento culminante di re-lazione fraterna, uno dei grandi impegniper cui lottò S. Teresa di Gesù.

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Il comandamentodella gioia

Molto significativo nella spiritualità diTeresa è il valore della gioia come unarealtà condivisa e comune. È difficiletrovare testi in cui la santa parli dellagioia al singolare. Lei immagina il cielocome un’allegria comune, un godimentodella gioia degli altri. Questo è pure l’at-teggiamento di don Bosco che insegna aisuoi ragazzi che stile di santità è staremolto allegri e che, nell’incipit della Let-tera da Roma, afferma: «Uno solo è il miodesiderio, quello di vedervi felici neltempo e nell’eternità». Tale disposizionealla gioia diviene pure il tema generatoredella vita di Maria Domenica, che nelle

sue lettere, osserva il cardinale Garrone,«la esige dalle sue figlie, quante volte laindica come la prova autentica della sa-nità interiore dello Spirito della Congre-gazione! Perderla sarebbe perdere di vi-sta il fine». È spesso ricorrente, nella suacorrispondenza, la domanda che inter-pella il loro cuore: “ Siete allegre?”.

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gnata a Dio e ai giovani da educare, da es-sere considerato “don Bosco risuscitato”.Don Rua è stato uno dei Salesiani che hacondiviso con don Bosco in prima personail processo della fondazione della Congre-gazione (1859) e il faticoso travaglio dell’ela-borazione delle Costituzioni fino all’appro-vazione (1874). Per questo qualche studiosogli vorrebbe attribuire l’appellativo di co-fondatore! Aveva condiviso tutte le fatichedel processo di fondazione e scorgeva inogni parola delle Regole il desiderio di donBosco che in esse aveva codificato l’idealedella sua Famiglia religiosa. Essere fedelealla Regola significava voler bene al Padre,essergli fedele. Don Rua è perciò chiamatola “regola vivente” perché l’ha incarnata finoalle sfumature conformandosi in tutto adessa. Nella sua vita il punto di riferimento in-discutibile fu sempre don Bosco. Egli si pro-pose di restare intenzionalmente all’ombradel Padre. Il card. Cagliero lo definisce:«L’occhio, la mente, il cuore di don Bosco».Ci sono rimasti degli appunti di una confe-renza di don Rua tenuta alle FMA alla chiu-sura degli esercizi spirituali il 21 marzo 1909.Dopo aver detto di non meritare tutti glielogi che le suore gli avevano attribuito, cosìcontinuò: «Li accetto solo perché sono se-guiti dalla promessa che pregherete per meche ne ho molto bisogno. Desidererei essere una copia di don Bosco,e mentre ne sto leggendo la vita, la con-fronto con la mia e me ne trovo umiliato edevo dire che ne sono invece una brutta

Michele Rua: un altro don Boscoe… altro da don BoscoPiera Cavaglià

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Numerose biografie del primo successoredi don Bosco, presentano Michele Rua(1837-1910) come un “altro” don Bosco,tanto sono attente a mettere in luce le so-miglianze del figlio al padre. I contributi distudio più recenti, basati su fonti in granparte inedite, e la stessa Mostra allestita inoccasione del centenario della morte didon Michele Rua ne evidenziano, oltre chela fedeltà, l’originalità e la diversità.

Un “altro” don Bosco

Così l’aveva descritto il card. José Calasanz,ponente della causa di venerabilità di donBosco nel 1907: “un altro don Bosco”, “unareliquia vivente di don Bosco”. Chi avevaconosciuto l’uno e l’altro scorgeva in donRua la stessa dolcezza, la stessa semplicità divita, la stessa grandezza d’animo e lo stessodinamismo apostolico. Michele ebbe il pri-vilegio di restare all’oratorio di Valdoccoininterrottamente fin dalla fanciullezza, adeccezione della breve parentesi di due annivissuti a Mirabello, e quindi per più di 40anni! Vicinissimo spiritualmente e fisica-mente al Padre, fu il suo collaboratore di fi-ducia, sempre responsabile, fedele fino allafine a quanto gli era stato affidato.L’intensa consuetudine di vita l’ha plasmatocome “il successore di don Bosco”, una fi-gura tutta relativa al Padre. Aveva talmenteassimilato il suo spirito, la sua creatività edu-cativa, il suo amore a Gesù e a Maria Ausilia-trice, la sua profondità di vita tutta conse-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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copia di D.Bosco. E nonlo dico perumiltà, maperché è così,

e pregate affin-ché io possa di-

venire una veracopia del nostro Ve-

nerabile Padre». Alla mortedi don Rua, a molti parve che don Boscoavesse prolungato di 22 anni la sua esi-stenza, tanto il suo primo successore avevasaputo imitarlo in totale fedeltà. Don Rua –come proclamò Paolo VI nella Beatifica-zione – è stato il fedelissimo a don Bosco!

“Altro” da don Bosco

Nel confronto tra il figlio e il Padre emer-gono evidenti differenze. Diverso è il con-testo in cui Michele è vissuto: la città e nonla campagna. L’educazione familiare rice-vuta in un ambiente operaio che si misuravacon la precarietà del lavoro e numerosi lutti;le classi elementari comunali frequentatepresso i Fratelli delle Scuole cristiane e il di-ploma di idoneità all’insegnamento conse-guito all’Università degli Studi di Torino. Diverso il carattere, il modo di essere e diaffrontare i problemi. Michele era di tempe-ramento riflessivo, sensibile, riservato; eradotato di un’intelligenza acuta e di un’affet-tività ricca e controllata; era preciso, minu-zioso, attento al dettaglio.

Accanto a don Bosco, e in un cammino dicostante autoformazione, riuscì ad addol-cire punte di intransigenza e di rigore per di-venire come il Padre, fratello e amico di tutti.La raccomandazione di don Bosco, incisivae azzeccata, ha segnato per sempre il suocammino spirituale: “Fatti amare!”.L’immagine di un don Rua solo austero emortificato è certamente falsa. Lo studio

delle fonti smentisce questa precompren-sione forse dovuta alla sua magrezza, o alsuo ruolo di Prefetto della Congrega-zione, compito che lo portava ad assu-mere precise responsabilità relative alladisciplina e alla regolarità.Sotto un aspetto ieratico e sempre calmo,don Rua era bruciato da una passione: l’a-more di Dio e del prossimo. Sotto le sue ru-ghe si coglieva la tenerezza e la gioia cheDio dà a coloro che lo amano.La missione di Michele Rua non è quella didon Bosco. Spetta a lui non il fondare, mail dare consistenza e solidità, sviluppare elanciare la Congregazione sulle frontieredei continenti in un tempo di mutate situa-zioni sociali. Vediamo in lui l’uomo dell’e-quilibrio che sa armonizzare fedeltà e crea-tività. Accoglie, assimila ma supera ereinterpre ta. Non è solo il garante della tra-dizione, ma l’interprete di un carisma dasviluppare in modo nuovo salvando l’es-senziale ma inculturandolo in situazionidiverse da quelle del Fondatore.

È stato il Rettor Maggiore del nuovo secolo,quindi ha scrutato in profondità i segni deitempi nuovi, si è lasciato interpellare e hacercato di dare risposte pertinenti allenuove chiamate in un mutato periodo sto-rico. Ha proiettato la Congregazione sunuove frontiere: gli operai, i minatori, gliemigranti e per l’Istituto FMA i convitti perle operaie. La sua è quindi una fedeltà a donBosco vissuta creativamente in situazionidiverse, sconosciute al Fondatore. Don Ruaè l’uomo di fiducia di don Bosco, docil-mente fedele al Padre, e al tempo stessol’uomo del discernimento e della lungimi-ranza apostolica che sa portare la Congrega-zione in fedeltà a don Bosco “oltre don Bosco”.

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cuori, presupposto di ogni costruttiva col-laborazione sociale (n.59).Una politica di cooperazione internazio-nale, condizione per affrontare il feno-meno delle migrazioni (n.62)Forme innovative per un ordinamento po-litico, giuridico ed economico che incre-menti ed orienti la collaborazione inter-nazionale verso lo sviluppo solidale di tuttii popoli. (n.67).

C’interroghiamo

In una cultura della specializzazione ad ol-tranza si corre il rischio della frammenta-zione del sapere e di conseguenza dellepersone. Come attivare una collabora-zione interdisciplinare che sia efficace alivello educativo? La rottura del dialogo tra ragione e fedecomporta un costo molto gravoso per losviluppo dell’umanità. Come si favoriscequesto dialogo all’interno della comunitàeducante? La sussidiarietà rispetta la di-gnità della persona ed è l’antidoto più ef-ficace contro ogni forma di assistenziali-smo paternalista. Quali segni di collaborazione rispecchianola sussidiarietà nelle nostre relazioni?

In azione

Alcuni passi per rendere operativo l’ap-profondimento fatto:La Dottrina Sociale della Chiesa ha un’im-portante dimensione interdisciplinare e,

Per una collaborazione responsabile Martha Séïde, Julia Arciniegas

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Lo sviluppo umano integrale richiede unintervento educativo convergente e coor-dinato. La comunità educante è chiamatapertanto a vivere una esperienza di colla-borazione responsabile nella realizzazionedel progetto istituzionale.Anche se l’enciclica Caritas in Veritate nonfa allusione diretta alla corresponsabilitàeducativa, in almeno 8 numerali parla inmodo esplicito della collaborazione in rife-rimento a diversi aspetti e ci sono tante al-tre espressioni collegate con questa tema-tica, come sussidiarietà, cooperazione, re-lazione, reciprocità, fraternità…

Rileggiamo l’Enciclica

Superamento della settorialità del sapere afavore della collaborazione interdiscipli-nare a servizio dell’uomo (n.31)Collaborazione reciproca tra gli Stati perarrivare ad essere in grado di orientare laglobalizzazione economica e salvaguar-dare i fondamenti della democrazia (n.41)Dialogo fecondo tra la ragione e la fede re-ligiosa, esigenza della collaborazione nellafamiglia umana (n.56).Collaborazione fraterna tra credenti e noncredenti nella condivisa prospettiva di la-vorare per la giustizia e la pace dell’uma-nità (n.57)Il principio di sussidiarietà, manifestazioneparticolare della carità e criterio guida perla collaborazione fraterna (n.57).Adesione alla legge morale scritta nei

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“Mai come oggi ci troviamo dinanzi allanecessità di stabilire nuove relazioni trai popoli e di inventare con una grandedose di creatività i meccanismi atti ascuotere la comunità internazionaleper raggiungere il rispetto effettivo deidiritti umani e garantire uno sviluppointegrale, senza discriminazioni, al finedi porre le basi per la costruzione diuna nuova società” (E.Burgos – Michiamo Rigoberta Menchù – ed. Giunti).

“Quando i cristiani permangono inuna grande semplicità e in una infi-nita bontà del cuore, quando sono at-tenti a scoprire la bellezza profondadell’animo umano, sono portati ad es-sere in comunione gli uni con gli altrinel Cristo” (Fr. Roger di Taizè, Dio nonpuò che amare, Ed. Elledici)

in questa prospettiva, può svolgere unafunzione di straordinaria efficacia. Indivi-duiamo alcuni atteggiamenti che favori-scono il dialogo interdisciplinare e le con-dizioni per viverli nella comunità educante.La ragione ha sempre bisogno di esserepurificata dalla fede. A sua volta, la religione ha sempre bisognodi venire purificata dalla ragione per mo-strare il suo autentico volto umano. Cerchiamo alcune strategie per rafforzare ildialogo ragione-fede nell’offerta formativa.La sussidiarietà favorisce la libertà e la par-tecipazione in quanto assunzione di re-sponsabilità. Identifichiamo alcuni cammini per poten-ziare la collaborazione secondo il principiodi sussidiarietà.

[email protected]@cgfma.org

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dizione morale della famiglia”. I genitori,oltre a sentirsi delusi dai figli, spesso sichiedono anche in che cosa hanno sba-gliato. Le persone consacrate esprimonogeneralmente il loro disagio con risenti-mento, pur riconoscendo, a volte, ancheil bene ricevuto.“Credevo che le religiose, i religiosi fos-sero migliori, invece, sono peggio degli al-tri”. “Pensavo che nelle comunità ci fosseentusiasmo, comprensione, maggior tem -po per la preghiera, invece…”. “Speravo di poter esprimere la mia creati-vità, ma non riesco. In comunità ci sono troppe gelosie, prefe-renze, controlli”. E, nella delusione, pen-sano di lasciare il campo, sperando di po-tersi realizzare meglio altrove. E se ne vanno tristi.

Dall’idealizzazione ad un sano realismo

I motivi delle delusioni e delle crisi cheportano ad abbandonare il partner o la vitaconsacrata o a trascinarla tristemente, sonomolti e complessi. Non si può semplificarecome può accadere commentando a caldosituazioni di questo tipo. Anche le deci-sioni di lasciare, sono generalmente moltotravagliate, con strascichi penosi e conse-guenze pesanti e indesiderate.Riguardo alla vita consacrata, Madre Anto-nia, nella Relazione sulla vita dell’Istitutopresentata al Capitolo generale XXII, enu-mera le motivazioni espresse con maggior

“Speravamo…”Maria Rossi

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Mai, come in questi ultimi tempi, mi è suc-cesso di ascoltare confidenze in cui le pa-role “speravo”, “credevo”, “pensavo” torna-vano con frequenza nel discorso cariche diangoscia, di sconforto e anche accompa-gnate dal pianto. Erano espressione di crisiprofonde dovute a delusioni di uno o del-l’altro dei membri della coppia, di genitorie di persone consacrate alla ricerca di spie-gazioni, di responsabilità, di colpevoli.“Credevo che il nostro amore fosse persempre. Lui, invece, non provando più nes-suna attrattiva per me, pare che se ne vadacon una più giovane”. “Speravo… ma nonc’è stata collaborazione da parte sua. Non dà una mano. È rigido e non cambia”.“Pensavo che fosse più donna, prendessecura della casa, comprendesse le mie diffi-coltà”. “Confidavo che maturasse e, in-vece... Spende e sperpera per cose inutili.Non ci capiamo e litighiamo anche per ba-nalità”. Così esprimono generalmente laloro delusione i membri delle coppie, col-pevolizzando e colpevolizzandosi.E i genitori: “Abbiamo investito molto suinostri figli, anche economicamente. Spera-vamo un po’ di riconoscenza e di aiuto.Una volta cresciuti, invece, hanno presole distanze. Si fanno vivi ogni tanto, ma piùper chiedere aiuti che per aiutare”. “Per dare ai nostri figli un futuro sereno,abbiamo fatto molti sacrifici. Loro, invece di riconoscere le nostre fati-che, vantano pretese, non seguono la tra-

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frequenza nelle domande di dispensa daivoti. Una di queste motivazioni, comuneanche al matrimonio e, a mio parere, pre-sente come sottofondo anche quando nonespressa verbalmente, è la difficoltà di pas-sare dalla idealizzazione a un sano realismo.Madre Antonia la esprime così: «Difficoltàdi integrazione comunitaria, idealizzazionedelle comunità e conseguente fatica nel-l’accettarne i limiti. La vita delle comunità concrete e i votisono considerati ostacoli alla libertà e allarealizzazione dei progetti personali».Le crisi matrimoniali avvengono a qualsiasietà, ma pare siano più frequenti fra ilquarto e il settimo anno di matrimonio,quando le difficoltà e i limiti della convi-venza si presentano nella loro evidenterealtà e concretezza quotidiana. E così puòessere anche nella vita consacrata.La piena maturità umana si raggiunge af-frontando e superando le crisi evolutiveproprie di ogni età. La crisi che spinge adabbandonare l’idealizzazione delle per-sone e delle comunità umane e di appro-dare a un sano realismo avviene general-mente nell’età adulta. Chi la sta attraversando, sperimentandotristezza, smarrimento, sconforto, la puòscambiare per una crisi vocazionale, per unfallimento. La distinzione fra crisi evolu-tiva e crisi vocazionale non è facile. Chi ha elaborato positivamente le tappeevolutive precedenti, è facilitato a supe-rarla. Chi, invece, è rimasto centrato su sestesso e su un certo “dover essere” mora-listico, fatica ad uscire dalla idealizzazionee resta in perenne e illusoria attesa che sial’altro, l’altra, la comunità a cambiare. Nel processo di crescita personale, i dina-mismi psichici con l’esperienza, la rifles-sione e la preghiera, mettono la personain grado di fare un salto di qualità e di ac-

cettare la realtà del vivere anche con isuoi limiti. Il superamento della crisi èmotivato e sostenuto soprattutto dal dina-mismo dell’amore che rompe le chiusureegocentriche. Non è facile, né indolore,né fatto una volta per sempre. Esso consente alla persona di uscirne piùunificata e libera, più forte e flessibile,più umile e feconda. Chi non evolve, anche nella consapevo-lezza e accettazione dei propri limiti, enon passa dalla idealizzazione a un sanorealismo, è destinata/o a restare ango-sciata/o, delusa/o e in perenne attesa cheil partner, i figli, la comunità, la chiesa, lapolitica, il mondo cambi. Mentre è solo il cambiamento perso-nale, frutto di un cammino di matura-zione umana e spirituale che, consen-tendo di cogliere il senso del vivere an-che nei fallimenti e nei limiti della realtà,permette di continuare a crescere e diesprimere la propria creatività restandogioiosamente fedeli.

Noi speravamo

Lo dicono anche due discepoli, lasciandoalle spalle Gerusalemme e andando versoEmmaus (Lc 24, 21). Sono in crisi, delusi dalfatto che Gesù, creduto il liberatore d’I-sraele, sia andato a finire sulla croce. Nell’andare discutono animatamente fraloro. Sono lacerati, divisi. Cercano spiegazioni, responsabilità, col-pevoli. Non capiscono il senso degli avve-nimenti e quel fallimento impensabile lirende tristi e smarriti.Sono talmente centrati su di sé che non ri-conoscono il Viaggiatore che si avvicina.Vivono una crisi evolutiva che sta diven-tando una crisi vocazionale. Gesù si accosta, cammina accanto, prende

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missione. Gesù, conclusa felicemente lasua azione terapeutica, sparisce.Quando nella nostra vita ci imbattiamo insituazioni dolorose che ci mettono in crisi,non manca mai Qualcuno/a che si accostaal nostro disagio e senza plagiarci ci aiutaa cogliere il senso delle sconfitte, dei falli-menti, dei limiti della realtà e ad andareavanti e oltre. Riconoscerlo non è scon-tato: potrebbe avere il volto di un estraneo,di una superiora, di un non credente pro-vocatorio, di un bambino bisognoso, diun’amica/o, di un evento.Lui si fa presente: in chiunque condividele nostre delusioni, ascolta le nostre diffi-coltà, raccoglie le nostre lacrime; in chiun-que ci scuote dalla nostra rassegnazionee ci fa uscire dalle nostre paralisi ango-sciose; in chiunque ci aiuta a metterci inascolto della Parola per ritrovare il sensodel vivere e per rifondare su di essa e sullacondivisione i nostri saperi, i nostri pro-getti, le nostre esistenze. Lui è presente in chiunque condivide connoi, sia pure per un solo tratto di viaggio,l’esperienza della comunione e dell’unità.Chi l’ha intravvisto e, senza abbandonarei grandi ideali, è riuscita/o ad accettareserenamente la realtà con i suoi limiti erestarne all’interno per farla evolvere, an-che se non professionista, basandosi sul-l’esempio di Gesù e sulla propria espe-rienza, potrebbe sentirsi abilitata/o a ten-tare questa azione terapeutica con chi èin difficoltà. Accostarsi rispettosamente, prestare unascolto attivo e paziente, non plagiare enon sgomentarsi per atteggiamenti scon-trosi, offrire condivisione e prossimità,fanno comunque bene, anche se il risul-tato non è sempre quello sperato.

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il loro passo e fa un’azione terapeutica. Simette in ascolto attivo, fa domande, entrain sintonia con loro, con i loro sentimenti,con il loro vissuto. Fa venir fuori il pro-blema in tutti i suoi aspetti per individuareil punto più indicato per intervenire. Non ha fretta di dare risposte; sa che nonsono ancora disposti all’ascolto. Alla risposta aggressiva di Cleopa – “Tusolo sei così forestiero in Gerusalemmeda non sapere ciò che è accaduto in que-sti giorni?” – non si scoraggia, ma con pa-zienza e dolcezza rilancia la domanda:“Che cosa?” La tristezza spesso rendescontrosi, incattiviti.Nel rispondere a Gesù dimostrano di co-noscere tutto quello che c’è da sapere, madi non capirne il significato per la loro esi-stenza. Nello “speravamo”, i discepoli,come i genitori, i consacrati e i coniugatiesprimono, non solo un problema di at-tese, ma anche di investimento emotivoed economico fallito.Gesù, dopo aver ascoltato pazientementeil loro problema, interviene con fermezzaper impedire l’autocommiserazione, farliuscire da se stessi, metterli in ascolto delloro stesso annuncio e scoprirne il signifi-cato. Mentre proseguono, Gesù, “comin-ciando da Mosè e da tutti i profeti” offre lachiave di interpretazione degli eventi. Gradualmente passano dall’attenzione ase stessi, all’ascolto attento della sua parolae, quando lui accenna a proseguire, lo in-vitano a sostare, a condividere la cena, aprolungare la compagnia. E, nell’esperienza dello spezzare il pane,non solo riconoscono Gesù nel viaggia-tore che si è fatto prossimo, ma compren-dono il senso del fallimento e si guar-dano in volto sorpresi. La tristezza è sparita. Possono tornare aGerusalemme gioiosi e continuare la loro

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Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli,

soli e perduti, vicini ma non abbastanza

per sfiorarsi davvero. A lei non l’aveva mai detto.

LA SOLITUDINEDEI NUMERI

PRIMI

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L’idea di poter diventare tanto sottile da essere invisibile le procurò una piacevole stretta allo stomaco...

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«A te non importa nulla se io non piaccio a nessuno»disse, «se non piacerò mai a nessuno». Suo padre la guardò interrogativo, poi tornò alla sua cena, come se nessuno avesse parlato. Lui si lasciava trasportare e i suoi piedi non facevano rumore sulle piastrelle. Le sue cicatrici erano nascoste e al sicuro dentro la mano di lei.

Testi tratti da Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Milano, Mondadori 2008.

A TE NON IMPORTA...

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Lettura evangelica

dei fatti contemporanei

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scurità, hanno sempre cercato di sottrarsi alloro destino, ma inutilmente, finché, ungiorno... Il sovrano del Paese delle Tenebredecise di smuovere il Sole o la Luna dalla loroposizione abituale nel cielo, in modo da far ri-cevere al proprio regno la luce di almenouno dei due corpi celesti. Scelse perciò il piùgrande e feroce dei suoi cani e gli ordinò diprendere il Sole e di portarlo vicino al proprioregno. Il cane obbedì al Re e, dopo aver rag-

Il racconto: L’origine delle eclissi di Sole e di Lunaa cura di Mara Borsi

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In Cielo, così come sulla Terra, esistono variregni e varie nazioni. Si dice, tra l’altro, che inCielo esista un Paese dove regna sempre lapiù totale oscurità, e che per questo motivo èchiamato “Paese delle Tenebre”. In questo particolarissimo Paese, dove nonbrillano mai né il Sole né la Luna, si allevanodei cani enormi e molto feroci, mai visti innessun altro posto della Terra. I re di questoPaese, stanchi di vivere continuamente nell’o-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Intervista a Teresa KIM

Appartengo all’Ispettoria coreana e sono FMA da diciotto anni. Ho lavorato per diverso tempo negli uf-fici diocesani dell’educazione e della ca-techesi della mia Nazione. Sono stata responsabile di un centro giovanile e hoanimato vari gruppi di giovani volontari.

Quali sono i valori della tuacultura che più ami?

Benché fortemente in-fluenzata dalla Cina,la cultura coreana hasaputo sviluppareuna sua personalitàcaratteristica, ricca dihumour e amante dei

colori sgargianti e degli accostamenti raf-finati, sia nel campo specifico delle arti fi-gurative, che in tutte le altre arti, dallaletteratura alla musica, dall’architetturaalla danza. La mia nazione, fin dai tempiantichi, è conosciuta per la sua ricca tra-dizione culturale. Il popolo coreano èpieno di risorse, con una storia millenariadi lotte e di vita che hanno contribuito alprogresso delle scienze e della culturadel genere umano. Abbiamo un caratterevibrante, dinamico, la nostra identità as-

socia le caratteristiche dei popoliche abitano le isole con quelli

delle popolazioni continen-tali. A causa della sua posi-zione geografica, la Coreaè stata continuamenteesposta alle invasioni dialtri popoli. Per questo ilpopolo coreano ha svilup-

pato una cultura amante

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giunto il Sole, colta l’occasione buona lo af-ferrò con la bocca. Ma il Sole era troppo caldoe il cane fu ben presto costretto a risputarlofuori. Fece altri tentativi, ma l’eccessivo caloredel Sole lo convinse, alla fine, a desistere de-finitivamente dai suoi propositi. Così, il canenon poté far altro che tornare sconsolato dalproprio padrone e riferirgli quanto era acca-duto. Il Re delle Tenebre andò su tutte le fu-rie, ma era chiaro che non c’era nulla da fare.Allora ordinò al cane di impossessarsi dellaLuna che, non essendo calda come il Sole,poteva essere rubata più facilmente. Così il cane raggiunse la Luna e, colto il mo-mento propizio, l’afferrò con le sue pode-rose mascelle. La Luna, però, si dimostrò an-ch’essa una preda indigesta, poiché era gelidacome il ghiaccio al punto da indolenzire tutti

i denti del cane, che dovette rapidamente ri-sputarla fuori. Come era accaduto anche conil Sole, la bestia provò più volte, ma a nullavalsero tutti i suoi sforzi. Il Re delle Tenebre,saputo del nuovo fallimento, fu preso dalla di-sperazione, ma questo non lo aiutò certo a ri-solvere il problema. Da quel momento, co-munque, nel tentativo disperato di sottrarsi alloro destino, i sovrani del Paese delle Tenebreaffidano di tanto in tanto ai loro cani l’impos-sibile impresa di impossessarsi del Sole odella Luna. Ogni volta, però, i cani sono pun-tualmente costretti a risputar fuori i due corpicelesti, ed è a questo eterno prendere e la-sciare che sono dovute le eclissi di Sole e diLuna visibili dalla Terra. Fiaba Coreana

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della pace, contemplativa, ottimista, sen-timentale e questi sono gli aspetti cheammiro di più della mia cultura.

2. Vivendo in un ambiente internazionaleche cosa apprezzi di più di altre culture?

Vivere in un ambiente internazionale midà la possibilità di guardare all’identitàdel mio Paese con maggiore chiarezza,così con più consapevolezza intravedorisorse e limiti.A contatto con la cultura occidentale hoaffinato la coscienza storica, attualmentedebole in Corea a causa della cultura noncristiana, dell’influsso della postmoder-nità e della mentalità neoliberale. Vivendo insieme a sorelle provenienti daaltri continenti si impara a valorizzare usi,costumi, modalità espressive differentidai propri. Delle sorelle dell’America La-tina apprezzo l’apertura, la capacità di

esprimersi con semplicità gioiosa. Misembra di poter dire che noi asiaticisiamo un po’ individualisti e perciò dellacultura africana mi colpisce molto ilsenso della famiglia allargata, della co-munità. L’esperienza che sto facendo miha aiutato a capire quanto sia importanteinculturare il Vangelo a partire dalle ri-sorse e dai valori della cultura coreana.

Incontrando persone di altri Paesi e culturequali difficoltà sperimenti?

Per vivere in un ambiente interculturaleci vuole coraggio. A volte non è facile su-perare la barriera della lingua, del pregiu-dizio e per questo le relazioni rimangonoad un livello superficiale. Non sempre si riesce ad andare inprofondità. È perciò molto importanteaprire il cuore con la consapevolezza chegli altri sono sempre un dono.

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tirsi parte della Comunità Educante:«Luogo d’incontro e di complementarietàtra persone convocate da una comune mis-sione … comunità che per qualificarsicome educante è chiamata a porsi nellaprospettiva della crescita continua» (CfrLOME n 67). Si tratta di una comunità dipersone disposte a mettere in gioco le lororicchezza e le loro idee per affrontare deiproblemi sempre più complessi.

Apprendere ad apprendere

Lo scrittore Kostantin Kavafis afferma:«Quando ti metterai in viaggio per Itaca deviaugurarti che la strada sia lunga, fertile in av-venture e in esperienze. Soprattutto, non af-frettare il viaggio; fa che duri a lungo, peranni, e che da vecchio metta piede sull’isola,tu, ricco dei tesori accumulati per stradasenza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti hadato il bel viaggio, senza di lei mai ti sarestimesso sulla strada: che cos’altro ti aspetti? ».Il viaggio indica il senso della ricerca conti-nua, che è propria della persona umana.Sentirsi viaggiatori sempre in cammino ècondizione essenziale perché la sete di ve-rità non sia affievolita dal tempo, disincan-tata dalle delusioni, vanificata dal sentirsiarrivati. In questa logica l’arte umana è ap-prendere ad apprendere. Sentirsi continua-mente pellegrini di umanità e di solidarietà,navigatori instancabili e ricercatori della sag-gezza di chi sa (come Ulisse) che per navi-gare deve tener ben a mente la forza dei

Formarsi e lavorare insiemeAnna Mariani

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Insieme è possibile

Persona e Comunità sono gli “attori” ingioco in ogni processo formativo parago-nabile ad un cammino dentro il quale lapersona si dipana per i sentieri, più o menocomplessi del mondo e che necessita di unorientamento e riorientamento continuoper non perdere se stessi e per non farperdere i compagni di viaggio. È un viag-giare che mette in relazione persone e ge-nerazioni diverse, varie culture, vari stili,vari ritmi. Il luogo privilegiato in cui av-viene il processo formativo è l’azione quo-tidiana e la comunità lo spazio relazionaleentro il quale si sperimenta la bellezza delformarsi insieme e reciprocamente cre-scere nella propria vocazione personale.L’essere partecipi di un unico processo for-mativo ci aiuta a guardare all’azione educa-tiva come il ‘luogo teologico’ nel quale Diosi manifesta e ci chiama, affidandoci i gio-vani e le giovani perché lo incontrino. Ed èin questa esperienza che si scopre cheeducatori non si nasce, ma si diventa. L’a-dulto, che vive oggi una fase problematicadi disorientamento, interpellato dai gio-vani, si sente, infatti, sollecitato a risco-prire, valorizzare e rafforzare la propriafunzione educativa, a pensare l’impegnoeducativo non come singolo, ma comeopera comune ad un insieme di personepiù o meno della stessa età che vivono inun certo periodo storico e in un contestosocio-culturale. Da qui l’importanza di sen-

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venti delle situazioni e che per raggiungerela meta deve sottomettersi ad un lungo viag-gio non privo di insidie e pericoli. Pur cono-scendo l’importanza di ogni momento edevento affronta il nuovo, apprende manmano che per poter essere se stesso deveaccettare di essere chiamato in causa, “di-sfatto” a più riprese e di poter trionfaresolo assumendo sconfitte e cadute. L’ac-cettazione del temporaneo, dell’effimero,del lavoro che va sempre ricominciatocome la tela di Penelope: è questa la sag-gezza di chi accoglie l’esistenza come unasfida che conduce a mete sempre nuove.

Formarsi, ma come? Riflessioni dall’esperienza

«Gli umani sono esseri da storie, si com-prendono tra loro raccontandosi delle sto-rie, su se stessi e sugli altri, ascoltando sto-rie su se stessi e sugli altri». Bruner consi-dera la formazione quasi come una storiadi vita, un percorso biografico di chi la fa ela riceve, o la vicenda di un romanzo indi-viduale che riguarda la specificità esisten-ziale della persona. Dalla formazione come

in-formazione alla formazione come tras-formazione, evoluzione, cambiamento. Unaformazione che si gioca nella soggettivitàcon un atteggiamento di tipo ermeneutico-interpretativo riguardo a ciò che avvienedentro e fuori di noi, abituando ogni per-sona a leggere in profondità e a ri-signifi-care ciò che passa nella propria interiorità,ad ascoltare se stessa e gli altri, a saper-si in-terpretare. La vita è fonte di formazione;non contano prima di tutto i risultati da ot-tenere, ma i processi. La prospettiva auto-biografica diviene così “una via alla forma-zione in età adulta che attraverso praticheriflessive, argomentative, narrative e meta-cognitive mette al centro del processo for-mativo stesso l’adulto considerato nelle suasoggettività e singolarità, con i suoi saperi,teorie, processi di significazione e apprendi-mento strettamente intrecciati all’esperienzavissuta dove si rafforza sempre più la compe-netrazione, costantemente riformulata, tragli apprendimenti della formazione e gli ap-prendimenti riconducibili alla biograficitàdell’adulto e alla sua vicenda di vita vissuta”.Raccontarsi è vitale, costruisce le nostre“identità narrative” (P. Ricoeur), “aiuta a vi-vere” (R. Tonelli). “E’ – come scrive EnzoBiemmi - un modo prezioso di prendersicura di sé. Vivere e lavorare insieme, formarsi e pro-gettare insieme esige mettersi in camminocome Comunità Educante. Percorrere in-sieme la strada della “memoria” per aprirsia prospettive nuove; trovare spazi per con-dividere la vita, per ricercare e per riascol-tare ogni giorno la chiamata ad “esseresempre più” per “divenire sempre più” co-struttori di umanità, testimoni leggibili ainostri giorni, compagni nel cammino cheporta noi e i giovani all’incontro con Gesù.

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spetto alla Cina in questo ultimo decennio.I dati mostrano che Asia e Pacifico perdono42 miliardi di dollari all’anno anche a causadell’accesso limitato delle donne alle op-portunità di lavoro e dai 16 ai 30 miliardi didollari per il mancato accesso delle donneall educazione. L’eliminazione dell’inegua-glianza uomo/ donna nel mercato del la-voro in America Latina potrebbe aumen-tare la retribuzione della donna del 50% eincrementare la produzione nazionale del5%. È ancora The Economist che fa notareche se il Giappone innalzasse il contributodelle donne lavoratrici al livello americano,stimolerebbe la crescita annua dello 0,3%per oltre 20 anni. Per ogni anno di scuoladopo la quarta elementare che le ragazzepossono frequentare, la retribuzione au-menta del 20%, la mortalità infantile scendedel 10% e il numero dei componenti dellafamiglia scende del 20% (Women’s Lear-ning Partnership). Nel campo del micro-credito le donne risultano essere coloroche ripagano e che investono il credito inmodo produttivo, pertanto con minor pos-sibilità di rischio di perdita.È significativo guardare alla “femminilizza-zione” delle risposte alla povertà cogliendola genialità attivata in contesti, situazioni,contingenze complesse di queste “ore dicrisi” ormai costanti nel tempo.

FMA per lo sviluppo sostenibile

Sono tanti i progetti di sviluppo delle FMAnelle diverse parti del mondo. Le protago-niste sono le donne e le giovani che cam-

Semi di speranzaPaola Pignatelli, Bernadette Sangma

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Scoprire l’inedito

Sono tante le previsioni sull’attuale crisi eco-nomica, e gli organismi internazionali lan-ciano l’allarme per il suo impatto, soprattuttosulle popolazioni più deboli. La situazione haconseguenze più dure su quanti non sonoconsapevoli del funzionamento del sistemache l’ha generata. La recessione economica efinanziaria attuale costituisce la prova sicuradella disfunzionalità del sistema correntefondato sulla marginalizzazione di interecategorie di persone, tra cui donne. Si notainfatti che uno dei settori dove la presenzadelle donne è particolarmente insignificanteè proprio quello della finanza, quale fulcrodolente della crisi. Ci troviamo di fronte albivio e, come in ogni altra situazione diemergenza, le donne possono dimostrareuna grande capacità di coglierne le inediteopportunità, per la vita della società.

Non solo donne e ragazze

È un fatto accertato che l’investimento nelledonne e nelle ragazze ha un effetto molti-plicatore sulla produttività e sulla crescitaeconomica sostenibile delle famiglie e dellasocietà. Parafrasando un detto comune“educa la donna ed educhi il popolo” si po-trebbe dire: “investi nelle donne e investiper la sostenibilità economica delle fami-glie”. In questa linea, proponiamo l’atten-zione su alcuni fatti accertati a livello mon-diale: secondo la stima del The Economist,il lavoro delle donne ha offerto un mag-giore contributo alla crescita globale ri-

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biano il corso della loro vita personale e fa-miliare. Per la maggior parte, la formazionedei gruppi di auto-aiuto, le cooperative, pic-cole imprese, progetti di auto-impiego sonoportati avanti nei numerosi centri di promo-zione della donna. Facendo la ricerca sull’e-lenco dell’Istituto sotto la dicitura “Centri diPromozione della Donna”, se ne contano103 in Asia, 49 in America, 30 in Africa e 9 inEuropa. In India, le sei ispettorie insiemeraggiungono più di 60,000 donne attraversoi gruppi di auto-aiuto. Dall’Asia all’AmericaLatina, dall’Africa all’Europa e Oceania sinota il grande cambiamento che le donneapportano alla vita delle loro famiglie.

Donne del pane

A Porta Palazzo, quartiere multietnico di To-rino e mercato più grande d’Europa, ab-biamo scoperto le “donne del pane”. Sononumerose donne che al mattino escono conil capo velato, con la borsa sotto il braccio edentro, uno sull’altro, dieci, venti, trenta

pani. Il caldo e fragrante pane arabo, appenauscito dal forno di casa. Si dirigono verso lapiazza, qualcuna entra nella macelleria arabae li fa fuori tutti a cinquanta centesimi alpezzo. In Marocco, il pane viene tradizional-mente preparato ogni giorno dalle donnenelle proprie cucine, ma a nessuna piacevendere per strada, perché disonorevole. Al-lora perché non dare un volto dignitoso aquesta rispettabilissima attività, perché nonvalorizzare gesti che, dall’abusivismo, pos-sono diventare trasparenti azioni imprendi-toriali? Così Naima, Kadija, Fatima e altre rea-lizzano il sogno del pane. 200 ore di corso,per esercitarsi ulteriormente nell’impasto eapprendere nuove tecniche e le norme igie-niche necessarie, insieme alle pratiche dellacontabilità. Costruiscono così il ricupero del-l’attività abusiva e la trasformano in attivitàimprenditoriale: diventano cooperativa!

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della riconciliazione, della misericordia.Questa è la nostra missione.Scrive Mons. Paolo Colombo, Direttore delConsiglio delle Chiese Cristiane della Dio-cesi di Milano: «È ora di intensificare il cam-mino ecumenico alla ricerca della comunericchezza di fede delle diverse tradizionidei cristiani. Questo è un fatto unico». Rap-presenta un segno di grande speranza perla Chiesa di oggi. Gli orientamenti e le ini-ziative di pastorale ci stimolano a farenuovi passi concreti con tutto il popolo diDio. E’ un cammino in cui siamo impegnatitutti. Cristo ci precede e ci accompagnaverso la piena comunione. Papa BenedettoXVI ci ricorda che i cristiani hanno il com-pito di essere in Europa e tra i popoli por-tatori di riconciliazione. Da Sibiu ci rag-giunge una voce: «In umiltà e preghiera at-tendiamo e incoraggiamo i fratelli».

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Unità e MissioneBruna Grassini

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Il problema dell’ecumenismoci coinvolge tutti.L’incontro tra credenti, anche di diverse confessioni cristiane,rappresenta una delle svolteobbligate della nostra epoca.I cristiani hanno il compito di esseretra i popoli la Luce del mondo.L’unità è la nostra missione. (Sibiu, 3a Assemblea ecumenica 2007)

«Chiunque dia anche solo uno sguardoalla Sacra Scrittura, viene inondato dallaLuce di Cristo». Con queste parole il Ve-scovo Wolfang Huber, Presidente delConsiglio della Chiesa Evangelica tede-sca, spalancava un immenso orizzontedi Luce, a conclusione della Terza As-semblea Ecumenica, a Sibiu, in Romania.La luce non può essere divisa. La Chiesaantica vedeva la luce come un simbolodella Trinità divina. La Luce di Cristo ciunisce, ci avvolge, ci penetra. È il piùforte impulso al nostro cammino ecu-menico: riconoscerci reciprocamente,anche su strade diverse: «Egli è la Luceche spezza ogni oscurità. Frutto dellaLuce è bontà, giustizia, verità». (Ef 5)Questo è il segreto e il tesoro della spi-ritualità cristiana: in unità e preghiera,stimare e incoraggiare gli altri fratelli cri-stiani ad aprire il cuore alla vera Luce diCristo, testimoniando i doni della pace,

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Informazioni notizie

novità dal mondo

dei media

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ad uno schermo luminoso. «Li incontriamoe conosciamo sotto forma di giocattoli concui intrattenerci/divertirci»: libri, telefoni,riproduttori cd, microcomputer parlanti einterattivi, insieme alla televisione, che abitain tutti gli “interni” a cui si fa riferimento:cucina, salotto, camera da letto, studio, sof-fitta... Dal calcolo del medium che comparemaggiormente tra gli elaborati suddivisi perfascia di età, aggiungono anche: «la nostracrescita è caratterizzata in ogni fase dallapreferenza di un faccia a faccia con qual-cuno di essi. Nella prima infanzia il ruoloprincipale è occupato dal mezzo televisivo,poi dai videogame, infine dal telefonino edal computer». A riconferma di questi rilievivi sono indagini in ogni paese. Mentre perla comunicazione “a tu per tu”, non vi sonostatistiche. Non solo: nessun bambino neparla se non indirettamente nei suoi disegnidove - in modo proiettivo – dice di “invi-diare” il tempo, e di conseguenza la compa-gnia, che gli adulti dedicano a TV e PC.

«I figli ci guardano» ancora

Lo ricordava già nel 1943 il capolavoro di DeSica, un maestro del cinema che sullosguardo la sapeva certamente lunga. Oggilo si riscopre in tutti i settori, addirittura inpolitica. È così un politico italiano in un di-scorso pubblico dice: «Va bene, sì, Inter-net, la tecnologia, ma non si può fare poli-tica se non si guarda la gente negli occhi».Quindi per la famiglia è d’obbligo tradurre:«Non si può fare educazione se non guar-

La comunicazione in famiglia Mariolina Perentaler

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«Tv e cellulare assediano le famiglie»sintetizza l’Istat elaborando i datirilevati dall’indagine “Aspetti della vita quotidiana”,che mette in evidenza i comportamentipiù importanti. L’analisi precisa: il cellulare è il benetecnologico più diffuso dopo la TV. La televisione rimane praticamenteonnipresente con una percentuale del 96,4% delle famiglie che la posseggono e il telefonino con il 90,7%. Seguono il lettore DVD 63,3%,il videoregistratore 55,7%, il personal computer 54,3%,l’accesso a Internet 47,3%.E il “faccia a faccia” quotidiano?

In una ricerca, eseguita in tutte le classidalla Scuola del’infanzia alla secondaria in-feriore di 15 località dell’ispettoria Trive-neta Madre Mazzarello dal titolo “Momentitranquilli in famiglia”, attraverso il disegnoi piccoli e i preadolescenti affermano che:«Il nostro faccia a faccia con i media iniziadalla nascita». Alcuni elaborati infatti rap-presentano la culla con il fratellino accantoalla TV. «In famiglia il faccia-a-faccia con imedia “coesiste”, insieme al faccia a facciacon la mamma». Un buon numero si dise-gna tra le sue braccia, o tra le gambe delpapà, accanto ad amici e fratellini, davanti

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dando negli occhi». Senza l’esperienza del-l’incontro-relazione, non si educa, perchél’educatore/genitore insegna se stesso. Solodopo (molto dopo) insegna quello che sa.Secondo Pino Pellegrino, grida di più «il“contatto” che non si dimentica!», perchéeducare è anche lasciare un buon ricordo.Un buon ricordo può salvare tutta un’esi-stenza, come sosteneva il grande scrittorerusso Dostoevskij: «Un buon e santo ri-cordo, custodito fin dall’infanzia, è forse lamigliore delle educazioni».

Come accompagnare la generazionedel computer?

“Faccia-a-faccia” traduce la convinzione chei figli ci guardano davvero, perché i piccolinon ascoltano con le orecchie, ascoltanocon gli occhi. Le indagini di Eurispes/ Te-lefono Azzurro, che riguardando alcuneNazioni europee, lanciano, sotteso tra datie statistiche, un allarme e segnalano: «èun’abitudine delle famiglie tenere sempre laTV accesa. Anche a tavola, soprattutto du-rante la cena: l’unico momento convivialeche vede ancora la presenza-compagnia ditutti». E i bambini a loro volta lo confer-mano, nell’infanzia in particolare, confes-sando in massa a livello grafico una tacita“gelosia” per l’attenzione / concentrazioneottenuta – a loro scapito – dallo schermo lu-minoso. Se il salto tra una generazione el’altra è sempre stato consistente e difficile,dobbiamo concludere che ora è divenutoincolmabile? Il “piccolo mondo antico” deipadri, e soprattutto dei nonni, è diventatolontanissimo per la nuova generazione. Sco-nosciuto e incomprensibile. Se le genera-zioni adulte non sapranno recuperare e svi-luppare dei rapporti stretti, caldi, costanti eaffettuosi, non solo con i giovani e gli adole-scenti ma anche con i bambini, si corre il ri-schio che gli uomini e le donne di domani ri-mangano senza radici. Senza la saggezza diuna cultura centrata sulla persona. Una cul-tura umanistica e cristiana. Perché non se-dersi insieme, vicini, davanti agli schermi lu-minosi, TV, cellulari o PC che siano? Impare-ranno i figli (ma forse saranno soprattutto gliadulti ad apprendere) a muovere il mouse,ma soprattutto sentiranno la comunicazionestretta, che dice tutto il piacere di vivere e ditrasmettersi un’esperienza indimenticabile:un “contatto” vero. Il più autentico.

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E-reader. La nuova frontiera della lettura

1990. Uno studente entra in biblioteca perfare una ricerca. Ne esce con 7 libri stipatinello zaino. Peso circa 7 kg. 2020. Uno stu-dente entra in biblioteca per fare ricerca.Ne esce con 7 libri scaricati sul suo e-readere lo infila nello zaino. Peso circa 0,30 kg. Ilettori digitali (e-reader) sono il nuovo oriz-zonte della lettura, in rapidissima crescita.Si tratta di un dispositivo dalle dimensionidi un foglio di carta e con lo spessore di seicarte di credito sovrapposte. Si arriverà tranon molto a “salvare” su un solo dispositivoanche 1.500 libri e così si potrà portareovunque la propria biblioteca. Questi let-tori digitali, ultra leggeri e miniaturizzati,permettono di connettersi a Internet senzafili, di collegarlo a un computer come unaqualsiasi pen drive, di avere una memoriadi massa quasi come un hard disk esterno.Senza dubbio, e-reader non soppianterà illibro. Potrà aiutare a ridurre l’impatto am-bientale e, soprattutto, a diminuire i pesi in-gombranti degli zaini dei ragazzi. Oltre checontribuire a costituire e a regolare ilmondo dell’editoria elettronica, che signi-fica: nuovi lettori, nuovi formati e nuovi si-stemi di distribuzione che stanno veloce-mente cambiando l’esperienza di acquistoe di lettura del testo.

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senso sconfitte e afflitte perché percepi-vano l’inefficacia della loro attività pasto-rale e non vedevano nuove soluzioni!Questa pesantezza era dovuta proprio al-l’incapacità di comunicare. Per cui nonsono la Pastorale o l’Evangelizzazione adessere messe in discussione, bensì la no-stra capacità comunicativa. Quindi è evidente che una comunità senzala PasCom pone a rischio l’attività pastoraleed evangelizzatrice che le dovrebbe es-sere propria. La comunicazione, quindi, èl’anima di tutto. Naturalmente questa non è mai un’azioneindividuale, ma si realizza in un contesto dipartecipazione comunitaria. Essa esige una costante formazione, es-sendo una scienza in continua evoluzione.È una strategia che esige una pianifica-zione capace di identificare i punti forti edeboli della comunicazione attuale e per-tanto ha bisogno di persone preparate, ca-paci di dialogare e soprattutto sempre di-sponibili ad imparare. Richiede inoltre unaresponsabilità etica che possa aiutare lepersone ad avere un giusto equilibrio nellaloro condotta individuale e comunitaria. È infine l’unica strada da percorrere perchéè spinta dal messaggio di Gesù che cichiede di annunciare a tutte le genti il Van-gelo della Salvezza. Tanto laici quanto religiosi possono e de-vono sentirsi parte della PasCom, attratti daquesto grande desiderio di poter perfezio-

Pastorale della ComunicazioneClaudio Pighin

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La Pastorale della comunicazione(PasCom) è uno strumento di evangelizzazione concreto ed indispensabile. Essa è nata per educare ad un correttouso dei mezzi di comunicazione e per migliorare e rendere più efficaceil processo di comunicazione tra le persone.

La comunicazione abbraccia tutti gli ambitie non può limitarsi soltanto ad alcuni set-tori della nostra vita ecclesiale. Per cui pen-sare, ad esempio, di investire energie sola-mente nei mezzi di comunicazione vuoldire non raggiungere pienamente gliobiettivi del processo comunicativo. Civuole ben altro, e la PasCom ci viene inaiuto. Infatti non possiamo considerarlasoltanto un’attività pastorale che si ag-giunge a tante altre per arricchire la nostraazione evangelizzatrice: è invece uno spe-ciale strumento che invade tutte le attivitàper renderle più efficaci e robuste; per-ché non serve a nulla avere una miriade diattività pastorali nelle nostre comunitàsenza avere una capacità comunicativa. Sipuò comprendere meglio tutto questopensando a quanto spesso constatiamo lasterilità, il disanimo, la tristezza della no-stra azione pastorale-evangelizzatrice.Quante volte ho incontrato persone diChiesa che dicevano di sentirsi in un certo

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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nare la comunicazione nella loro testimo-nianza cristiana e nelle loro attività pastorali.

Di che cosa si occupa la PasCom?

Educa comunicatori sociali “compromessicon la Verità”, attraverso attività che favori-scono la vita delle persone nel proprio am-biente. Aiuta le persone inserite nella pa-storale e professionisti dell’area a fare unuso prudente dei mezzi di comunicazionequali radio, televisione, giornale, internet ealtri. Svolge un’azione di accoglienza dellepersone nella comunità per farle sentire aproprio agio, come fratelli e sorelle. Orga-nizza attività formative di comunicazione epromozione umana in favore della comu-nità, affinché ci sia una sempre maggioridentità tra il comunicatore e il ricevente. Siimpegna a svolgere attività di animazionecomunitaria e di produzione attraversogiornali, audiovisivi, radio, internet, foto-grafie, cartellonistica e altro. Istituisce deiportavoce delle comunità stesse o di entidiocesani e religiosi, affinché le informa-zioni non siano distorte o mal interpretate

da chi le recepisce. Partecipa aidibattiti sociali per dare il suocontributo al processo di demo-cratizzazione dei mezzi di comu-nicazione sociale. Celebra gior-nate o momenti commemorativi,dimensionando l’importanza deimezzi di comunicazione nel con-testo della Chiesa, seguendo leindicazioni del Magistero stesso.Non bisogna dimenticare, infatti,che possediamo una ricchezza diinsegnamenti della Madre Chiesa,che però spesso appaiono distantie “scollati” dalla pratica dei fedeli;e il motivo di questo potrebbe es-sere semplice: tali documenti

nella maggior parte dei casi non si cono-scono affatto. La PasCom, inoltre, compiestudi di ricerca per comprendere meglio ilivelli di comunicazione nell’ambito dellecomunità e società. Registra, attraversosupporti tecnici mediatici, fatti storici rile-vanti per aiutare a costruire una memoriastorica, tanto importante nella crescita del-l’essere umano. Praticamente tutto questosi esprime attraverso la pubblicazione di li-bri, supporti cartacei, l’utilizzo di mezzi-au-diovisivi e internet ecc. Momento fonda-mentale di queste attività è infine la verificadi ogni progetto, per comprendere fino ache punto si sia riusciti a rendere fluidal’attività comunicativa. Spesso questo feed-back conclusivo non è abbastanza consi-derato nelle nostre attività comunitarie: inquesto modo, però, risulta difficile avereuna reale consapevolezza di quale sia il li-vello della nostra comunicazione, qualisiano i punti deboli da migliorare e quali ipunti di forza da consolidare.

La riflessione continuerà nel prossimo numero

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Un Archimede del Midwest

Ha il volto malinconico e in-telligente dell’attore nondivo Greg Kinnear, candi-dato all’Oscar nel ‘97, chelo interpreta egregiamentee parte dalla frase divenutacelebre: “Mi è venuta un’i-dea: perché un tergicristallonon può funzionare comeuna palpebra?”. Gli eventi

appartengono alla storia ol-tre che alla cronaca, e il co-pione per la trasposizionene opera una ricostruzionesecca. Mette bene in risaltoquella filosofia dell’ “indi-viduo” che è alla base digran parte della vita civileamericana. I Kearns nesono una tipica famiglia de-gli anni Sessanta: lui è pro-fessore all’Università di De-troit e lei è un’insegnante,hanno sei figli che cre-scono nel simpatico caosdelle famiglie numerose.Quando l’integerrimo e sti-

mato docente fa la rivoluzio-naria invenzione del tergi-cristallo a varia velocità, lafamiglia potrebbe cambiarecompletamente vita. Invece,dopo aver verificato l’eccel-lente scoperta e rifiutato diacquistare il prototipo, laFord gli ruba il progetto. Ritenendosi defraudatodei propri diritti, contro ilparere di tutti e con benpoche possibilità di suc-cesso, Robert dà inizio aduna battaglia legale controla più grande azienda auto-mobilistica d’America. Una

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FLASH OF GENIUS di Marc Abraham,USA 2009

“Lampo di genio”, il titolo del bel film diMarc Abraham (produttore esordiente eregista) merita attenzione anche per l’at-tualità dell’industria automobilistica Usain crisi. Tratto da un lungo articolo ap-parso nel 1993 sul quotidiano “The NewYorker” riporta a Detroit, nella secondametà degli anni ‘60. I fatti sono autentici:una causa-battaglia legale intrapresa dalprofessore universitario Robert Kearns(1927-2005) inventore del tergicristalli aintermittenza, contro la Ford, il colossodell’industria automobilistica che si appro-priò della sua idea. Un film sul riscatto di se stessi e su una vitapassata cercando di ottenere soddisfazionedal gigante americano, per il rispetto diun diritto morale ancor prima che per unrisarcimento economico. Kearns infatti,non lotta per ottenere una vita migliore,

ma per un sensoassoluto di giusti-zia, anche an-dando contro i pro-pri interessi. “Vuoila giustizia? È cosìche si dispensa lagiustizia in questopaese: attraverso gliassegni” si sente ri-spondere dopo l’en-

nesimo rifiuto di un patteggiamento. Insintesi: è un’opera asciutta di buon pregioe dignità che sa accompagnare attraversoun dramma psicologico ed etico che sfociain legal thriller. A metà strada tra la docu-mentazione dei fatti e il mito americano sulsogno dell’uomo solo, che può farcela sem-pre, se lo desidera. «Il film é da utilizzare,valorizzare e proporre per la qualità delmessaggio e come esempio di prodotto benrealizzato, nell’ambito del rapporto ci-nema/ storia.

a cura di Mariolina Perentaler

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causa che gli costerà ilprezzo più alto: viene in-fatti lasciato dalla moglieche pone fine al suo matri-monio. Ha dei problemi disanità mentale con conse-guente degenza in un ospe-dale psichiatrico. Perde la fi-ducia dei figli e la sa ricon-quistare solo sul punto diaffrontare la Ford in tribu-nale, dove si difenderà dasolo con la loro collabora-zione. Si tratta di un brac-cio di ferro lungo tredicianni di vita, tutti spesi a di-fendere un principio di giu-stizia che – data la sua ca-parbietà – gli viene infine ri-conosciuto. Un film in-somma, che rispolvera lamemoria di una delle piùentusiasmanti ed estenuanticause legali mai intentatecontro una multinazionale,appassionando e infon-dendo speranza a chi - conil passare dei giorni - si sco-pre sempre più disilluso daipotenti e dalla bontà delleloro azioni. Il Bob Kearnsdella pellicola è un eroe lu-cido, un uomo che ha tra-sformato la sua vita nella te-stimonianza vivente che in-seguire verità e giustizia allafine dà i suoi frutti. E’ l’asseattorno a cui gira tutto il film:l’affermazione di questoconcetto e la ferma deci-sione con cui il regista si sof-ferma sul principio etico chespinge il protagonista a rifiu-tare ogni pat teg giamento o

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SULL’IDEA DEL FILM

Soffermare il pubblico ancorauna volta sul mito americano:un singolo capace – se lovuole - di battere i giganti diturno, ed invitare a crederci,anche quando la lotta po-trebbe distruggerlo.

Robert combatte da solouna battaglia di afferma-zione dei principi, che valeper se stesso, ma che poi siestende a tutta la Nazione.«Nel bene e nel male, nel fu-rore del valore e nella fedenella giustizia, nella denun-cia del marcio del sistema (sicita l’inventore suicida dellaradio fm, brevetto finito allaRca) e nel trionfo del liberolampo di genio, il film scrittoda Philip Railsback è tipica-mente americano» scrive M.Porro sul Corriere della Sera. Lo è anche nel cinismo concui monta e smonta il teatrodi affetti, di sentimenti pub-blici e privati, allestendo undramma che se dapprimadiventa un incubo, alla finetorna esaltante e piace, im-mortalando un Robert, (de-ceduto nel 2005 a 78 anni)che otterrà risarcimenti per18 milioni e 700.000 dollarie tutto il suo onore.

SUL SOGNO DEL FILM:

Rilanciare “nell’oggi”, il te-merario coraggio di saper ri-fiutare un assegno da 30 mi-lioni di dollari pur di rima-nere fedeli alla giustizia, emantenere alta la propria di-gnità.

Film capace di emozionare,scrive in Google Fabrizio -un 22enne. Quindi degno diessere visto. Ma immedesi-marsi nel protagonista im-merso a lungo nella sua lottasolitaria contro tutti, puòsembrare tanto ambiziosoquanto utopico. Personal-mente mi piacerebbe pen-sare di avere il coraggio dirifiutare un assegno da 30milioni di dollari. Però poiarriva la realtà del quoti-diano che ti obbliga ad averesoldi. Tanti soldi. E ti schiac-cia… Allora ti rendi contoche gli uomini di tale scorzamorale sono pochi, pochis-simi! Si parla di personeche possono alzarsi la mat-tina, disfatte dai propri pen-sieri e nel proprio corpo,ma fieri di guardarsi allospecchio e trasmettere aipropri figli valori perduti,antichi, quasi irreali nelmondo che viviamo.

PER FAR PENSARE

risarcimento economico, purdi perseguire una causa le-gale che sembra impossibileda vincere. Tuttavia lo spiritocon cui Abraham ce lo rac-conta sembra mettere benein guardia, avvertendo che…

«non c’è gloria per i piccoli“Davide”!». Anche se batte-ranno Golia la lotta li distrug-gerà e solo la consapevo-lezza di essere parte di qual-cosa di più grande potrà con-solarli.

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giovane Terra. Quest’ incidente cosmico ge-nera il miracolo della vita, creando la spettaco-lare varietà dei paesaggi del nostro pianeta, ilcaldo, il gelo e l’alternarsi delle stagioni. Lo siscopre attraverso gli occhi dei tre “amici ani-mali” che seguono il fantastico viaggio del soleverso sud, partendo nell’inverno Artico, in dire-zione dell’Antartide. Un’orsa polare e i suoicuccioli emergono dalla neve in uno scenariodi mari congelati a perdita d’occhio. Migliaia dichilometri più a sud, la megattera sostiene gen-tilmente il suo cucciolo nelle acque tranquille,illuminate dal sole dei tropici. L’elefante afri-cano e il suo piccolo, attraversano il territoriodesertico del Kalahari, caratterizzato dalla vege-tazione inaridita e dal terreno spaccato dal sole.E ciascuno mostra in tutta la sua forza ilpotere/tenerezza/crudeltà dell’istinto che nutree protegge i propri cuccioli: la Vita. I titoli dicoda aggiungono l’enormità dell’impresa rea-lizzata dal team operativo, accumulata in cin-que anni di produzione ed ora finemente mon-tata. Un prodigio di meraviglia, di stupore.

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EARTH – La nostra terra ALASTAIR FOTHERGILL USA – 2009

Un affascinante iceberg irto di guglie e torri,che ricorda il castello de La Bella Addormentatanel Bosco, è il favoloso logo di Disneynature,la nuova compagnia nata in seno alla Walt Di-sney Pictures, con lo scopo di realizzare straor-dinari documentari per il cinema sul tema dellanatura e dell’ambiente, a scadenza annuale.«La terra: lo spazio della vita»: ecco un titoloche potrebbe sintetizzare l’evocazione globalesplendidamente ‘celebrata’ da questo 1° film,grande omaggio alla nostra Terra da tutelare ealla bellezza della natura di cui è ancora dotata.Earth è pieno di scene incantevoli, intime edrammatiche, in cui tre dei maggiori mammiferidel mondo si occupano della loro prole, propo-nendo una visione mozzafiato degli habitat chequeste creature del pianeta riconoscono come“casa”. L’inizio rimanda a cinque miliardi di annifa quando un enorme asteroide cadde su una

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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talità. Prende le sue quattro mura e trasportatoda centinaia di palloncini vola via. Destina-zione: “Cascate del Paradiso”, quell’angolomozzafiato dell’Amazzonia che più volte con lamoglie avrebbe voluto raggiungere. E qui, com-plici un boy scout e due strambi animali, sco-prirà che né Muntz né l’avventura sono morti. Così un’opera che comincia come una speciedi invito all’ elaborazione del dolore e della so-litudine diventa un’ inarrestabile altalena di tro-vate che fanno pian piano dimenticare di tro-varci davanti a un film d’ animazione per trasci-nare dentro la più bella delle avventure: quellacapace di dare concretezza ai sogni e di ritro-vare l’ entusiasmo della gioventù.Un film leggero e divertentissimo. Leggerocome i palloni colorati che portano nei cieliuna casa intera, liberandola da un mondo inca-pace di comprendere i sogni, e insieme ponde-roso come i temi su cui invita a riflettere: quellodell’invecchiare da soli, della memoria viva dichi ci ha lasciati, del rapporto giovani/anziani.

UPPETE DOCTER USA 2009

Up è di gran lunga il miglior 3D del momento.Al centro c’è sempre l’idea, una bella storiache vale più di mille tecnologie: «Per far sì cheun film ti coinvolga fino a questo punto, deveavere delle emozioni reali e collegarsi in qual-che modo con la tua vita». Comincia con unvecchio cinegiornale in cui si narrano le mira-bolanti avventure di Charles Muntz, esplora-tore volante in mongolfiera scomparso datempo presso le Cascate del Paradiso, in Amaz-zonia. Prosegue con le disavventure del 73enneCarl Fredricksen, il burbero vecchietto chedopo la morte della moglie Ellie si trascinalento tra i rimpianti di una vita di sacrifici. Lo sivede dapprima bambino affascinato da Muntz,ma adesso è assediato dalle bollette e dalleiene edilizie che vogliono abbattere la sua ca-setta a Manhattan. Ha un sussulto estremo di vi-

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a cura di Mariolina Perentaler

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Luca FrigerioLAZZATI IL MAESTRO IL TESTIMONE, L’AMICO Paoline 2009

Torna spontanea alla memoria, leggendo que-ste pagine, la famosa frase di Paolo VI: oggi ilmondo crede più ai testimoni che ai maestri e,se crede ai maestri, lo fa perché sono testi-moni. Laico volle essere e si proclamò sempreLazzati, nel suo coerente e talora eroico cam-mino di santità: una laicità, la sua, fatta di com-petenza professionale, di passione civile, diamore della libertà, di ricerca disinteressatadel bene comune. Prima che la Christifideleslaici delineasse del laico il ritratto ideale, egline incarnò la forma e lo spirito. Attualissima lasua testimonianza in questo periodo, dove ilprincipio di laicità tende a scadere nelle derivelaiciste oppure, al contrario, a contaminarsi inindebite strumentalizzazioni. I suoi scritti sonotutti orientati a costruire, secondo la formulacara al professore, “la città dell’uomo a misurad’uomo”: cittadino tra cittadini, eguale traeguali, ma portando in sé il lievito evangelicodelle beatitudini; lasciando che la forza salvi-fica della morte e risurrezione di Cristo si rea-lizzi nella propria vita e porti frutto attraversoil proprio retto operare. Fu un grande amico digiovani, che furono i destinatari privilegiatidella sua multiforme operosità.

Armando Matteo ONORA LA TUA INTELLIGENZAEDB 2009

Un libretto di esigua mole, atto a non spa-ventare il lettore. Si parla dello studio, e il de-stinatario di questa lettera sembra essere ilgiovane che, fresco di liceo, si accinge a var-care la soglia dell’università. Anche ai livelliprecedenti di studio, ogni insegnante do-vrebbe avviare con gli allievi il discorso sulsenso dello studio, che è poi molto vicino alsenso della vita. Lo studio è fatica, ma per es-sere fecondo deve diventare passione. Allorala fatica diventa esaltante come quella di chi

scala una ripida montagna, con il cuore pro-teso agli immensi orizzonti della cima.L’autore accompagna il ragazzo per aiutarlo apassare dal comune “per cosa si studia?” al “perchi si studia?”, aiutandolo a scoprire l’obiet-tivo primario e più nobile dello studio: cono-scere se stesso, le meravigliose potenzialitàdel proprio io e insieme imparare a padroneg-giarlo, conoscere la sana inquietudine della ri-cerca, fino a raggiungere quella felice condi-zione dello spirito che si chiama sapienza: nonsolo l’opaco fardello dei cosiddetti saperi, magusto della vita e stupore sempre nuovo delsuo mistero affascinante e insondabile.

Mary Stracan LA MUSICA SEGRETA DELLA TERRAPIEMME 2009

Un piccolo paese del Galles, ambientato nellanostra epoca ma senza precise connotazionistoriche. Come avviene nei piccoli paesi, si co-noscono un po’ tutti, ma dietro l’apparenteconvenzionale normalità di una vita che scorretranquilla e un po’ sonnolenta si nascondonoombre inquietanti d’inconfessate tragedie. Pro-tagonista dell’originale e avvincente raccontoè Gwenni, una tredicenne pensosa, dalla co-scienza vigile che percepisce, dietro gli inevi-tabili pettegolezzi e i pregiudizi correnti, oscurisegreti. È ancora una bambina fantasiosa, chesogna di volare la notte sul paese addormen-tato guidata da una misteriosa chiaroveggenza.Colpisce, nel libro, l’armonizzarsi di questomotivo un po’ surreale del volo, con il lucidorealismo con cui sono disegnati personaggi esituazioni che formano la trama variegata incui si muove la protagonista. La quale ne è fortemente coinvolta e al tempostesso ne rappresenta la spettatrice sensibile eattenta, fino a raggiungere la visione appagantedella misteriosa armonia del reale. Si com-prende così la metafora di quel volare not-turno: è la capacità e il dono di guardare sere-namente dall’alto le vicende umane con occhidi misericordia.

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ANNO LVII • MENSILE / MARZO APRILE 2010LI

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a cura di Adriana Nepi

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vita senza molti alti e bassi, senza scrolloni,semplice e spartana. che ci viene raccontatafacendoci entrare in un universo di colori,odori, suoni e sensazioni, in un mondo disentimenti, pensieri, emozioni. La lettura del libro fa riflettere soprattuttosulla capacità dell’autrice di cogliere mo-menti nascosti e essenziali del nostrotempo. Il testo è composto di 9 racconti chevivono pienamente la loro autonomia ma,diventano anche capitoli della vicenda diOlive, un’insegnante sposata a un farmaci-sta, che ci mostra nove momenti della suavita. Olive è scorbutica, volutamente antipa-tica, amante di una verità totale priva di com-promessi, ma è anche teneramente capacedi offrire carità, compassione, conforto. In-fatti non sopporta lo “stereotipo”, e il “poli-ticamente corretto”, è volutamente una spe-cie di antidoto contro tutto ciò che è inau-tentico, ruffianesco, molliccio. Un libro popolato di diversi personaggi lecui storie si intrecciano più o meno conquella di Olive: un vecchio studente che hasmarrito il desiderio di vivere; il figlio Chri-stofer, succube della sua sensibilità spietata,il marito Herny, che nella sua stessa fedeltàal matrimonio scopre una benedizione euna croce. Due sorelle, Julie e Winnie, dicui la prima viene abbandonata sull’altarema non si rassegna ad una vita di rinuncia, equando è sul punto di fuggire ricorda le pa-role della sua ex-insegnante: “Non abbiatepaura della vostra fame. Se ne avrete paura,sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi”.

Olive KitteridgeAnna Rita Cristaino

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Elizabeth Strout, con il suo romanzo a rac-conti ha vinto il premio Pulitzer 2009. Per de-finire il suo libro, l’autrice dice: «Tutto nascedal personaggio di Olive Kitteridge. In sensotecnico si tratta di racconti, ogni capitolo èuna storia conclusa. Olive non è sempre inscena, nei capitoli dove non è protagonistala posso raccontare dal punto di vista deglialtri». Olive è una donna massiccia e bisbe-tica, grassa e rude, alle prese con il precarioequilibrio del vivere. Abita a Crosby, villag-gio inventato, collocato nel Maine, statooriginario dell’autrice, nel Nord degli StatiUniti, regione bianca, anglosassone, prote-stante e puritana. «Un posto come Crosby– dice l’autrice – ha caratteristiche precise.Ma le emozioni dei personaggi, l’anima, ilmodo con cui interagiscono tra di loro e lamaniera con cui ognuno vede il mondo at-traverso i suoi occhi, questo rappresentaqualcosa in comune per tutti gli uomini».Il libro parla di famiglia, pettegolezzi diprovincia, dolori piccoli e grandi. Parla divita normale e quotidiana. Nel capitolointitolato Piccola esplosione si legge :«Una piccola esplosione può essere unaparola gentile da parte di un vicino checonosci da tempo o anche solo un gestodi riconoscimento da parte di un portieremai visto. Piccoli gesti che ti fanno sentireparte di una comunità più grande, che tidanno la forza per andare avanti». Essere del Maine secondo l’autrice, vuoledire essere educati in base a certi valori, ilduro lavoro, la semplicità, la decenza. Una

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È quasi un elogio della vita semplice, lontanadai maxi schermi della popolarità, ma pursempre vita degna di essere vissuta, di essereamata. Nel capitolo Marea montante, si per-cepisce forse il senso di tutte le storie raccon-tante. Il protagonista Kevin, che vive unaprofonda solitudine, e che sta meditando ilproprio suicidio, torna nella sua città natale,dove da bambino ha assistito al suicidio dellapropria mamma. Mentre è in macchina, conOlive, ripensa alla sua vita e ricorda una le-zione all’università: «Si era seduto in pienosole ad ascoltare le ultime parole del discorsodel rettore a tutti loro: “Amare ed essere amatiè la cosa più importante della vita”, e a quellafrase aveva avvertito dentro di sé un terrorecrescente che lo invase completamente, comese la stessa anima si chiudesse in una morsa.Che razza di frase. (…) Perfino Freud lo aveva

detto: “Dobbiamo amare, altrimenti ci amma-liamo”. Quelle parole erano per lui». Ma lostesso Kevin, si ritrova dopo alcuni minuti a ri-schiare la sua vita per salvare quella di unasua amica di infanzia che inavvertitamente èprecipitata da una roccia. Lapidaria la frasecon cui si chiude la storia, detta da Kevinche tiene stretta a sé la ragazza per nonfarla affogare: «Guardala, come vuole vi-vere, guarda come tiene duro».In fondo, l’autrice vuole dirci proprio questo,molte delle nostre azioni che promuovonola vita o la negano sono dettate da un desi-derio di amore e di condivisione. La solitu-dine è l’unica dimensione dell’animo umanoche po’ uccidere una vita.In altri racconti si parla di consapevolezza, dirisveglio dal proprio torpore per ricomin-ciare a sognare e sperare, di solidarietà spic-ciola, con uno sguardo al dettaglio che ciaiuta a comprendere meglio l’universale. Amano a mano che si leggono le diverse sto-rie e si incontrano i diversi personaggi, sco-priamo una caratteristica di Olive che ce larende più familiare e più simpatica. L’ultima storia è di Olive. È raccontata con fi-nezza di stile, le descrizioni dell’ambiente edell’animo della protagonista, senza perdersiin lunghi incisi e digressioni, sono delle pen-nellate che ci restituiscono un ambiente ,quello di una camera da letto, rinnovatodalla luce di un raggio di sole, e l’anima dellaprotagonista rianimata da un nuovo senti-mento di amore. «E se il piatto di Olive erastato pieno della bontà di Henry e lei loaveva trovato gravoso, limitandosi a man-giucchiare qualche briciola alla volta, eraperché non sapeva quello che tutti dovreb-bero sapere: che sprechiamo inconscia-mente un giorno dopo l’altro. (…) Il mondola confondeva. Non voleva ancora lasciarlo».

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Dio! Se vogliamo essere - e dobbiamoesserlo! - anziane felici, dobbiamo ricor-dare che Dio (anzianotto pure Lui, pro-babilmente!) ha dato a Sara la gioia dellamaternità, quando aveva un bel po’ dianni! E al vecchio Simeone la gioia di ve-dere il Messia poco prima di morire!Ricordiamocelo noi anziane, tutto que-sto! Perché, con questa sicurezza del mi-racolo pronto a compiersi da un mo-mento all’altro, nella nostra vita solo ap-parentemente non-efficiente, non ci saràdifficile “sostenere la missione delle gio-vani, aprirci con benevolenza alle gio-vani generazioni”, come dicono ancorale nostre sagge Costituzioni!Ma, questo, lo ricordino anche le nostreSuperiore e le nostre consorelle più gio-vani! Non vale la pena fare statistiche sulnumero delle FMA nei decenni a venire,sull’età media delle FMA (parlo soprat-tutto della situazione della vecchia Eu-ropa!). La nostra età è ancora una tappaevolutiva, lo dicono gli psicologi di re-cente formazione! Può ancora succe-dere qualcosa di nuovo per noi! Per quelche riguarda l’essere e non l’apparire,noi rivestiamo ruoli significativi all’in-terno delle nostre comunità! Diciamo pertanto NO ad ogni forma dipre-pensionamento e SI’ alle pari oppor-tunità! Santa Sara e San Simeone, pre-gate per noi!

L’età dei miracoli

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Passiamo ora dagli aspetti fisici dell’anzia-nità a quelli psicologici. E qui entriamo davvero nel vivo! Perchél’anziano, si sa, è molto più ancorato alpassato che al presente, sente spesso lasolitudine e la propria inutilità, ha pro-blemi di memoria: mantiene intattaquella a lungo termine ma spesso non ri-corda le cose recenti, vive la malattia, ladisabilità, sente la morte più vicina!Ebbene, a questa visione della terza età iodico no! La persona anziana, soprattuttola suora anziana, non è solo questo! È ora di rivedere i luoghi comuni.E basterebbe allora andare a rileggere lenostre Costituzioni, che, all’articolo 106,parlano dell’anzianità come di un tempoprezioso! Il tempo “dell’abbandono allabontà di Dio”! Care sorelle anziane, mie coetanee, eccoqui il segreto: abbandono alla bontà diDio! Certo, sul piano umano, è vero, lavecchiaia è soprattutto il tempo dell’ab-bandono. Punto. Chi non lo sa che un anziano è poco at-traente, un po’ripiegato, brontolone, ma-linconico, un po’ smemorato, piuttostoinefficiente? E che la società di oggi, dicui il mondo religioso fa parte, celebracompiaciuto i valori e il dinamismo gio-vanili, dimenticando ed emarginando glianziani?Ma, mie care, all’abbandono umano, cor-risponde, per logica opposta, la bontà di

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Page 47: Rivista DMA - Povertà e Missione (Marzo - Aprile 2010)

INCONTRI: Povertà e giustizia

PRIMO PIANO: Filo di Arianna Identità e relazione

IN RICERCA: Donne in contesto Mani impastate di giustizia

COMUNICARE Faccia a faccia Comunicare nella comunità

NEL

PR

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È il Signore che ci ha riunite, la nostra casa è il Castello di sua Maestà.

Egli avrà cura di noi. (Teresa d’Avila)

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CANTO ALLA VITA

ED EGLI SI CURÒ DI LORO CON UN CUORE INTEGRO

E LI GUIDÒ CON MANO SAPIENTE.

(SAL 78,72)