Rivista DMA - Povertà e Giustizia (n. 5/6 Maggio- Giugno 2010)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE damihi animas 2010 Anno LVII Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) rt.1, comma 2 - DCB Roma POVERT À E GIUSTIZIA

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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damihianimas2010Anno LVII Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) rt.1, comma 2 - DCB Roma

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4 EditorialeLa casa della comunicazionedi Giuseppina Teruggi

5IncontriPovertà e giustizia

13Primopiano14Il perchè di TeresaLa grazia di unità

16Radici di futuroDon Michele Rua e l’Istituto delle FMA

18Amore e Verità Per una relazione di giustizia e carità

20Filo di AriannaRelazioni, identità, santità

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dmaRivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 8100139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasMara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma LionettiAnna Mariani • Adriana Nepi

Louise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola PignatelliLucia M. Roces • Maria Rossi

foto Unicef/

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27In ricerca 28CultureIl mito: la ricerca della terrasenza male

30 PastoralmenteApprendere insieme

32Donne in contestoMani impastate di giustizia

33Parole chiaveLa Vocazione ecumenica

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ANNO LVII • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2010

35Comunicare36Faccia a facciaComunicare in Comunità

38Comunicare la fedePastorale della Comunicazione

40Video Welcome

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroLe ali della libertà

46Camillawww.salvaciTu

n.5/6 maggio-giugno 2010Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

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il confronto e il dialogo». Lo afferma Bene-detto XVI nel Messaggio per la Giornata mon-diale delle Comunicazioni sociali 2010.

In questo numero, il DMA propone la rifles-sione su povertà e giustizia. Un tema che scuo-te, che non lascia indifferenti. Anche il cam-po della comunicazione è segnato da logicheingiuste che chiamiamo “divario digitale”: ipoveri sperimentano l’impossibilità di usufrui-re delle nuove tecnologie e questo li discri-mina da quanti godono di risorse mediatiche.Nonostante le varie dichiarazioni delle Na-zioni Unite, a livello operativo non solo il pro-blema è lontano da una soluzione, ma lo stes-so divario si sta accentuando.

Un fenomeno che potrebbe sussistere anchelocalmente, dove talvolta si creano nuovi“poteri” legati alla fruizione o meno degli ul-timi ritrovati della tecnica.

“Non ci sarà progresso se non sarà di tutti eper tutti”, afferma Olivier Turquet. La casadella comunicazione – come vuole conno-tarsi ogni comunità educante - è chiamata adiventare sempre più spazio aperto di vita edi espressione per ogni persona che la abi-ta. Nessuno in essa deve considerarsi ospi-te, estraneo, escluso.

[email protected]

La casa della comunicazione

Giuseppina Teruggi

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Nel marzo scorso si è costituita a Roma laCommissione internazionale di Comunica-zione finalizzata ad un processo di ricerca edi confronto sulla cultura della comunicazio-ne. Il gruppo ha riaffermato la consapevolez-za che della comunicazione oggi è intrisa lavita: siamo immersi nei media, diventati un am-biente fatto non solo di mezzi o strumenti, madi una nuova sensibilità, una diversa menta-lità in cui si ritrovano soprattutto i giovani, icosiddetti “nativi digitali”.

Virtuale e reale sono in rapporto di reciprocitàe non due concetti contrapposti o separati: vi-viamo in una virtualità reale, in una realtà co-struita dai media digitali, con cui si superanodistanze di tempo e di spazio. I social network,sono diventati gli spazi vitali abitati da un nu-mero crescente di giovani e meno giovani.

Come educatrici salesiane non possiamo sta-re a guardare in modo generico a questa cul-tura che si connota sempre più come culturadi rete. È importante riuscire a passare dal ‘farerete’ al più profondo ‘essere rete’ e accom-pagnare i giovani nel passaggio dal virtualeal reale, dalla connessione alla relazione. «Losviluppo delle nuove tecnologie e, nella suadimensione complessiva, tutto il mondo di-gitale, rappresentano una grande risorsa perl’umanità nel suo insieme e per l’uomo nel-la singolarità del suo essere, e uno stimolo per

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Povertàe giustizia

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rimbalzare nella grancassa mediaticamondiale, sembrano finora aver avutosolo parvenza di promesse. Giovanni Paolo II delineava la necessità el’urgenza di una grande opera educativaper modificare le abitudini e gli stili di vitasia dei consumatori sia dei produttori. «Losviluppo economico, sociale e politico –precisa la CIV – ha bisogno, se vuole es-sere autenticamente umano, di fare spa-zio al principio di gratuità come espressio-ne di fraternità» (n. 34). La questione difondo, dunque, è quella di un cambia-mento strutturale e culturale. Questionecomplessa che richiede tempi lunghi e,non da ultimo, una certa audacia anchenelle decisioni dei politici, in particolaredei ‘grandi della terra’. Per dire giustizianel presente e dare speranza al futuro.

La differenza cristiana

Secondo una definizione tradizionale, lagiustizia è la virtù morale che consiste nel-la costante e ferma volontà di dare a Dio eal prossimo ciò che è loro dovuto. La cre-scente globalizzazione ha dato incremen-to alla valenza sociale della virtù della giu-stizia, che richiede soluzioni globali a livel-lo sociale, politico ed economico. Gli sfor-zi per costruire la giustizia sulla terra de-vono partire dall’esame e dalla trasforma-zione delle strutture ingiuste, proiettate suuna dimensione più universale. È un im-pegno che fa appello alla libertà respon-

Povertà e Giustizia

Julia Arciniegas, Maria Antonia Chinello

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Di povertà si parla, benché a livelli e con for-me diverse. È un problema primario per tut-ti, ormai dalle dimensioni globali. Siamo difronte, infatti, ad una realtà stridente, de-nunciata anche dalla Caritas in Veritate:«Cresce la ricchezza mondiale in termini as-soluti, ma aumentano le disparità. Nei paesi ricchi nuove categorie sociali siimpoveriscono e nascono nuove povertà.In aree più povere alcuni gruppi godono diuna sorta di supersviluppo dissipatore econsumistico che contrasta in modo inac-cettabile con perduranti situazioni di mise-ria disumanizzante» (CIV 22). Non si trattatanto dell’inefficienza del fenomeno dellaglobalizzazione, quanto, piuttosto, della di-stribuzione inefficace, ingiusta, delle risor-se; di «sistemi economici, sociali e politiciche hanno conculcato la libertà della per-sona e dei corpi sociali e che, proprio perquesto, non sono stati in grado di assicura-re la giustizia che promettevano» (CIV 34).

A partire dal Grande Giubileo, alcuni pae-si si sono impegnati a dare soluzione allaquestione del debito internazionale.Senz’altro uno strumento essenziale nellalotta alla povertà. Ma non basta. È sempre più necessaria una mobilitazio-ne di risorse economiche efficace e ra-pida verso i Paesi impoveriti che privile-gi il settore degli interventi sociali. Talisoluzioni, sottoscritte sempre più inprestigiose sedi internazionali, e fatte

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sabile delle persone e dei popoli, con laconsapevolezza che sia le strutture sia leistituzioni sono strumenti della libertàumana (Cf. CIV 17, 42, 78). Parafrasando ladefinizione classica di “giustizia”, si potreb-be dire che la giustizia sociale è la costan-te e ferma volontà di favorire il bene co-mune in quanto condizione sociale per unautentico sviluppo umano integrale.La giustizia non può rimanere nell’ambitopuramente legale-positivo: occorre cheaffonda le sue radici in un’antropologia, per-ché il valore della persona, della sua dignitàe dei suoi diritti non siano intesi solo in ter-

mini di utilità e di avere. Nell’antropologiacristiana, la giustizia assume un significatopieno e autentico. Non è, infatti, una sem-plice convenzione umana, perché quelloche è “giusto” non è originariamente de-terminato dalla legge, ma dall’identitàprofonda della persona, della sua vocazio-ne trascendente. In tal senso, e tenendoconto del ruolo dell’amore nello sviluppopersonale, è necessario che la giustizia siaaccompagnata e vivificata dalla carità: lagiustizia è il primo passo, assolutamenteindispensabile, ma insufficiente, per potercostruire la società a misura dell’uomo.

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si esplosa nel 2008, è che, originatasi neipaesi sviluppati, oltre ad avere pesanticonseguenze sul mondo del lavoro diquesti stessi paesi, ne ha di ancora peggio-ri sui lavoratori dei paesi più poveri, le cuieconomie e le cui istituzioni sono più fra-gili e meno in grado di farvi fronte. Per que-sto, accanto ai provvedimenti presi dai sin-goli governi per rilanciare l’occupazione,come l’intraprendere opere pubblichecon largo impiego di mano d’opera, miglio-rare i servizi o favorire la riqualificazioneprofessionale dei lavoratori, anche la co-munità internazionale ha promosso alcu-ne importanti iniziative. L’Organizzazione Internazionale del La-voro (ILO) ha adottato il Patto Globale perl’Occupazione nella prospettiva del “lavo-ro decente”, strategia incoraggiata anche daGiovanni Paolo II, come ricorda l’EnciclicaCaritas in Veritate al n. 63. Ancora, sostene-re l’accesso al credito delle piccole e me-die imprese; dare sostegno alle cooperati-ve; aumentare gli investimenti oltre che ininfrastrutture, ricerca e sviluppo, anche in“produzione verde” in quanto strumentiimportanti per creare posti di lavoro; favo-rire il passaggio dal lavoro informale all’e-conomia formale. Accanto a tutto questonon si deve però trascurare l’esigenza,specie nei paesi poveri, di costruire un si-stema di protezione sociale effettiva-mente in grado di assistere i più deboli.

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Flaminia Giovanelli è la prima donna chericopre la carica di sotto-segretario nel Pon-tificio Consiglio della Giustizia e dellaPace. È nata a Roma il 24 maggio 1948 ed èexallieva delle Figlie di Maria Ausiliatrice.Ha conseguito la maturità scientifica pres-so l’Ecole Européenne de Bruxelles e si èlaureata in Scienze Politiche, presso l’Uni-versità degli Studi di Roma, e diplomata inScienze Religiose presso la Pontificia Uni-versità Gregoriana. Dal 1974 lavora presso il Pontificio Consi-glio della Giustizia e della Pace, interessan-dosi soprattutto di temi relativi a sviluppo,povertà e lavoro nell’ottica della dottrinasociale della Chiesa. Accogliendo la nomi-na a sotto-segretario, ha affermato che ilsuo lavoro, più che un incarico, è una vo-cazione, «perché è un servizio all’uomo ealla persona. È un servizio alla Chiesa e alrapporto lavorativo».La sua esperienza nel Pontificio Consigliodella Giustizia e della Pace le ha permes-so di venire a contatto con molte realtà.

Qual è il problema cruciale che si dovràaffrontare per uscire dall’attuale crisieconomico-finanziaria?

Il mondo del lavoro è la principale vittimadella crisi finanziaria e economica la cuionda lunga si ripercuote sui lavoratori inmodo persistente. Quello che è più grave nel caso della cri-

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La voce femminiledella giustiziaUna intervista a Flaminia GiovanelliSottosegretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

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Si può parlare di più poveri tra i poveri?

È un dato di fatto che, negli ultimi decen-ni, da più parti e in spazi anche interna-zionali, si è ridata centralità alla questio-ne della povertà e dei poveri. È una necessità individuare i più poveri,ma più che sulle categorie – donne, bam-bini, anziani, invalidi ecc. – si dovrebbe in-sistere sulla nozione di “povertà morale”che si vorrebbe veder affiancata a quellecomunemente usate: povertà come priva-zione e vulnerabilità, povertà come man-canza di risorse necessarie a soddisfare ibisogni elementari e come mancanza dicapacità umane di base, quali l’analfabe-tismo, la malnutrizione, la ridotta speran-za di vita, la cattiva salute delle madri,ecc. Per “povertà morale” si intendel’assenza di riferimenti morali e la degra-dazione generalizzata dei valori che sitraducono in comportamenti e mentalitàcontrari al bene, particolarmente la cor-ruzione, lo sfruttamento delle mino-ranze, la strumentalizzazione politicadell’etnia, la cattiva governance.

Quali sono i principali ostacoli alle politi-che di sviluppo nei Paesi del Terzo Mondo?

La situazione è moltocomplessa e variegata,poiché non pochi diquei paesi consideratifacenti parte del cosid-detto Terzo Mondosolo un paio di decen-ni fa, sono oggi emer-genti, anche se, pur-troppo, la loro “emer-sione” si manifesta nel-la disuguaglianza. Gliostacoli sono moltepli-ci, ma fondamentali,

come la scarsa educazione (il numero de-gli analfabeti si aggira ancora intorno ai7/800 milioni di persone), la difficoltà di ac-cedere ad alcuni beni senza i quali la salu-te degenera, per esempio all’acqua salubre,alle medicine. Ma possono costituire un im-pedimento anche i sistemi sanitari assolu-tamente inadeguati, l’ingiusta distribuzio-ne delle terre, come pure le insufficienti in-frastrutture, i trasporti, le reti elettriche otelefoniche quasi del tutto insufficientispecie nelle campagne, o la pubblica am-ministrazione il più delle volte ad uno sta-dio ancora iniziale. Un altro ordine di problemi, poi, è legatoalle scelte di politica economica, a volte im-poste dall’esterno e non rispondenti allereali esigenze oppure alla loro non corret-ta applicazione, senza dire che non pochipaesi poveri non hanno ancora alcun siste-ma di protezione sociale. Infine, in questoelenco non esaustivo, ostacoli gravi cherendono difficile se non impossibile losvolgimento di normali attività economi-che e sociali sono le situazioni di conflit-to e di guerre e la corruzione dei respon-sabili a vari livelli. Tuttavia, accanto agli

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Lavoro giusto per i giovani e i poveri«Mentre don Bosco collocava a scuola gli studenti, con curanon minore attendeva al profitto nel mestiere de’ sui arti-giani, che mandava dall’Oratorio ad imparare l’arte ed a la-vorare nelle botteghe di Torino. Sempre vigilante, non solo continuava ad andare spesse vol-te a visitarli, ma si assoggettava a stringere coi padroni spe-ciali convenzioni che intendeva fossero rigorosamente os-servate» (Cf MB, IV, 295-297).

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merle. Di qui l’importanza della forma-zione come via strategica.

Cosa possono fare i Paesi più industrializ-zati e cosa non fanno?

Anche qui il problema è molto complesso.Se è indubbio che i Paesi ricchi devono tro-vare il modo di destinare quote maggioridel loro PIL agli aiuti allo sviluppo – sug-gerimenti in questo vengono anche dallaCIV, al n. 60 - a me sembra più efficace, per-ché più umano, e capace di creare a vol-te anche relazioni “fraterne”, il contare epotenziare la cosiddetta “sussidiarietàfiscale” incentivando forme di solida-rietà sociale dal basso, sempre comesuggerisce Papa Benedetto XVI. Quanti dinoi, infatti, adottano dei bambini a distan-za oppure sono soci di ONLUS per lo svi-luppo godendo delle relative detrazionifiscali o indicando allo Stato a quali Or-ganizzazioni devolvere il 5 per mille diquanto versato a titolo di imposta.

Quali soluzioni prospetta la Chiesa per unosviluppo solidale della società globale?

Il problema consiste in una distribuzioneinefficace e ingiusta, delle risorse, dovuta,tra l’altro, ad una governance inadeguata,anche perché incapace di adattarsi con lostesso ritmo ai mutamenti velocissimi del-la società odierna. La Chiesa, già qua-rant’anni fa aveva individuato questa debo-lezza del sistema internazionale. La situa-zione, sotto questo punto di vista, è tantograve da essere da più parti consideratauna delle cause della cosiddetta sindromedella “stanchezza del donatore”. Del resto,non si dà sviluppo senza buon governo; inaltre parole, senza uno Stato che funzio-ni bene, tanto al livello centrale che loca-le (regioni, municipi…) o settoriale (poli-

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ostacoli, vanno tenute presenti le possibi-lità straordinarie che il nostro tempo of-fre. Una per tutte, quella delle nuove tecno-logie che potranno far fare passi da gi-gante in vari settori. I giovani, di cui i Pae-si poveri sono fortunatamente ricchi,sono particolarmente rapidi nell’assu-

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La UNDP (United Nation DevelopmentProgramme) nel Rapporto 2009, segnalacome fattori negativi della crisi mondiale:

Finanza ed economia• Diminuisce la crescita di scorte

• Aumenta la disoccupazione

• Diminuiscono l’assistenza e gli inve-stimenti

Alimenti e petrolio• Possibile malnutrizione generalizzata

• Possibili disagi e instabilità civili

• Innalzamento dei prezzi che ostaco-la i tenori di vita

• I bambini abbandonano la scuola perandare a lavorare

Cambio climatico• Diminuisce la produzione agricola

• Aumenta il rischio di disagi naturalicausati da condizioni climatiche

• Aumentano le malattie tropicali

Il Rapporto Annuale della UNDP è pub-blicato in inglese, francese, spagnolo,arabo e russo ed è scaricabile sul sito:http://www.undp.org/publications/an-nualreport2009/report.shtml

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zia, giustizia, salute, educazione …); chefunzioni bene nel senso dell’efficienza e,soprattutto, bene nel senso dell’onestà. Intermini usati da Galbraith: «Niente è piùimportante per lo sviluppo economico e lacondizione umana di un governo stabile,affidabile, competente e onesto».

Quali iniziative concrete è possibileavanzare per dare corpo alla solidarietàa livello globale?

Riportare l’equità nel commercio interna-zionale abbattendo le barriere protezioni-stiche. Sono necessari ulteriori sforzi perassicurare a tutti i partner l’opportunità ditrarre beneficio dall’apertura dei mercatie dalla libera circolazione dei beni, dei ser-vizi e dei capitali. Inoltre, è oggi universal-mente riconosciuto che la chiave dello svi-

luppo in generale, e quella dello svilupposostenibile in particolare, risiede nellascienza e nella tecnologia e in questo ambi-to il problema principale sono i rilevanti osta-coli al trasferimento del “know-how”connes-so al progresso tecnologico dai paesi ricchi,che ne dispongono, ai paesi poveri (Cf. CA,n. 32). Se si pensa che la maggior parte di que-sti ultimi si trova in aree tropicali in cui la vitamedia è sui 50 anni e se si tiene presente chenel mondo oltre 861 milioni di adulti, di cuii 2/3 sono donne, non hanno accesso all’al-fabetizzazione e più di 113 milioni di bam-bini non vanno a scuola, si capisce che unapriorità assoluta la devono avere le inizia-tive che riguardano l’educazione e la sanità.

[email protected]@cgfma.org

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Il suo motto: «Nulla possedere, nullaprendere a carico, nulla chiedere, nullatacere e soprattutto non uccidere nessu-no». Pedro Casaldaliga, spagnolo di na-scita, brasiliano di adozione, latinoame-ricano di onore è una delle personalitàpiù rappresentative della Chiesa dei Po-veri in Brasile, in America Latina e nelmondo. Missionario clarettiano, Vesco-vo di São Felix do Araguaia nel MatoGrosso, una terra abitata da indigeni, esolo successivamente raggiunta dai con-tadini del nord-est del Brasile in cerca dispazi da coltivare, e poi anche dai latifon-disti. È uno dei fondatori del Consiglio In-digenista Missionario (CIMI) e dellaCommissione Pastorale della Terra (CPT)della Chiesa brasiliana. Pastore dellachiesa particolarmente impegnato nellaspiritualità della liberazione, nella causaindigena, nella problematica della terrae nella solidarietà, è uno strenuo difen-sore dei poveri, denunciatore delle ingiu-stizie e accusatore degli oppressori, e perquesto spesso è oggetto di calunnie, dioffese e di persecuzioni non solo delle

autorità civili, ma anche religiose. Per bencinque volte la dittatura militare cerca diespellerlo dal paese, e la sua Prelatura èper quattro volte obiettivo di operazio-ni militari che attentavano alla sua vita.Ma Dom Casaldaliga lotta ostinatamen-te e tenacemente contro ogni forma di in-giustizia e di oppressione, di potere chenon tiene conto della dignità, della li-bertà, della persona. Lucido nelle anali-si, appassionato del “Regno”, comunica-tivo e fraterno con la gente, è impegna-to nella vita quotidiana della comunità,nel rapporto affettuoso con i “compagnimartiri”, nel rischioso compromesso chesollevano le sue decisioni per la giustizia.(Tratto da: http://www.amiciguatemala.it/index.html)

«I diritti degli uomini sono gli interessi diDio in ultima istanza. Immagini sue sia-mo come persone, immagini individua-li; immagine sue collettive, come popo-lo. Dell’opzione per i poveri, quindi, re-stano i poveri e resta il Dio liberatore deipoveri».

Unire forze per sconfiggere la povertà

L’Unione Europea ha dichiarato il 2010 “Anno europeo contro la povertà e l’esclusio-ne sociale”. All’insegna dello slogan “Stop alla povertà”, la campagna intende porrela lotta alla povertà – una piaga che interessa direttamente un cittadino europeo susei. Quasi 80 milioni di cittadini europei – ovvero il 17% degli abitanti dell’UE – vi-vono oggi al di sotto della soglia di povertà. Le attività comprendono campagne disensibilizzazione, gruppi di lavoro e seminari di informazione nelle scuole.

Pedro Casaldáliga: Difensore instancabile dei senza diritti

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Approfondimenti biblici

educativi e formativi

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detemi, per ospitare il Signore, averlo semprecon noi – scrive – trattarlo bene e offrirgli damangiare, occorre che Marta e Maria vadanod’accordo. In che modo Maria, stando sedu-ta ai suoi piedi, poteva dargli da mangiare sesua sorella non l’aiutava? Si dà da mangiareal Signore quando si fa il possibile per guada-gnargli molte anime, le quali salvandosi lo lo-dino eternamente». E aggiunge: «Desideriamoe pratichiamo l’orazione non per godere, maper avere la forza di servire il Signore». Addirittura, Teresa, diversamente dall’esege-si tradizionale, che considerava Marta di se-rie B rispetto a Maria, esprime il suo apprez-zamento per la sorella che si dà da fare per ac-cogliere bene Gesù e mette in risalto le suevirtù (umiltà, ospitalità, disponibilità) indican-dola come esempio di attenzione all’OspiteDivino. Un altro elemento che lega il nostrofondatore a Teresa è il senso di profonda libertàe semplicità che viene attribuito al persona-le cammino interiore. La santa carmelitana diceche la strada verso l’interiorità non può esse-re forzata, perché le energie dell’anima van-no indirizzate dolcemente.

Contemplative nell’azione

Negli scritti di Teresa, sono frequenti i riman-di al cammino interiore. La santa pone mol-ta attenzione perché le sue figlie considerinoGesù come centro della loro vita e predispon-gano l’anima a divenire sua stabile dimora. Lecondizioni per realizzare l’intima unione conlo sposo sono la ricerca di silenzio e la fedeltà

La grazia di unità

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Davanti al monasterodell’Incarnazione, in Avila, si elevauna bellissima statua di Teresa in atteggiamento dinamico, come di chi è in cammino. Tiene nella mano sinistra il bastonedel pellegrino e il suo sguardo fissaorizzonti lontani. La statua è la riproduzione plastica di quel termine attribuito dalla storiaa Teresa: Andariega, viaggiatrice.Infatti, questa donna, chiamata alla clausura, ha saputo coniugare,con squisito equilibrio,contemplazione e azione, dimora e attività, sempre con un unico fine: Dio.

Come Marta e Maria

Madre Rosetta Marchese, nella consegna del-le Costituzioni rinnovate (1982), scrive chela presentazione fatta da don Bosco dellevirtù proprie delle FMA, culmina in quellache oggi chiamiamo grazia di unità: «…nel-le Figlie di Maria Ausiliatrice deve andare dipari passo la vita attiva e contemplativa, ri-traendo Marta e Maria, la vita degli Aposto-li e quella degli Angeli». Allo stesso modo, il paradigma scelto da S. Te-resa per descrivere tale dialogo di amore ope-rativo è quello di Marta e Maria, simboleggian-ti l’armonia tra azione e contemplazione. «Cre-

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ad un tempo stabilito per gli appuntamenti di-retti con il cielo. Ciò, tuttavia, comporta puremolta attenzione e responsabilità. Le realtà concrete della vita quotidiana si in-tegrano nel percorso interiore di ciascuno ecreano quell’unità, dell’ora et labora, che staalla base della spiritualità cristiana .

Santa Teresa nel suo libro Il castello interiore,quando parla della “settima mansione”, della tap-pa finale, del culmine della grazia battesimale,là dove si vive la più intensa trasparenza del-lo Spirito Santo, descrive quell’esperienza:- come piena unità di contemplazione e diazione,- come massima interiorizzazione vincolatacon la massima alterità.La conquista dell’interiorità – nota Teresa –comporta la più grande apertura al prossimo.

Amico Dio

Nella sua autobiografia, Teresa afferma: «Lapreghiera non è altro, per me, se non un rap-porto d’amicizia, un trovarsi frequentemen-

te da soli a soli con Chi sappiamo che ci ama».E in una lettera al gesuita Padre Avila, sotto-linea: «Quando penso alla grazia che il Signo-re mi fa di mantenermi sempre alla sua pre-senza, nonostante il gran numero di cose chepassano per le mie mani, mi persuado sem-pre più che non varranno a disturbarmi nep-pure le croci e le persecuzioni più gravi…»(Lettere 235).Attraverso le varie fasi della sua orazione, Te-resa era giunta a “non lasciare all’anima al-tra occupazione che d’intrattenersi con Co-lui che le era presente”.E non sono necessarie tante parole. «Dio e l’anima si intendono come due ami-ci, senza bisogno di parole o d’altro segnoesterno, manifestandosi il reciproco affetto.È un po’ come quaggiù, quando due perso-ne che si amino molto…riescono a capirsi traloro senza bisogno di scambiarsi cenni, macol solo guardarsi». Quello che importa nel-la preghiera è essere presenti a Dio inprofondità e attenzione.

Educatrice e madre?

Nella presentazione della sua tesi di dottora-to su Teresa educatrice, suor Sylwia Ciezkow-ska, FMA polacca, conclude dicendo: «La re-lazione verticale di Teresa con Dio (le preghie-re) ed orizzontale con la comunità (le esorta-zioni) suggeriscono di considerarla madre a pie-no titolo, perché coerentemente educa alla pre-ghiera, pregando; insegna ad amare, amandoe dimostra come servire la Chiesa servendola». Queste parole ci richiamano un’ osservazio-ne che il cardinale Gabriel-Marie Garrone haposto come commento alle lettere di Maria Do-menica Mazzarello, che pure ritiene avere lecaratteristiche di educatrice e madre. «Que-ste lettere - scrive il prelato - ci fanno chiara-mente intendere di che tempra sia una mater-nità spirituale, quando Dio la ispira. Essa nondiscorre, non ragiona, vive e comunica la vita».

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Curò con sollecitudine anche la struttura or-ganizzativa dell’Istituto, seguì con discrezio-ne e prudenza il processo dell’autonomiagiuridica, promosse l’erezione delle Ispet-torie ed ebbe a cuore la formazione delleeducatrici preparandole ad assumere lesvolte storico-culturali del tempo. Lo dimostrano, oltre all’attenzione con cui se-guiva le Superiore del Consiglio generale e lesingole suore, le sue lettere circolari, le intro-duzioni alle Deliberazioni dei Capitoli gene-rali, la presentazione del Libro di preghiere edei primi Elenchi generali dell’Istituto.Dopo quello che è chiamato dai biografi “l’an-no del lutto” per la morte di don Bosco, è in-teressante rilevare che don Rua realizzò il suoprimo viaggio fuori Torino dirigendosi allaCasa-madre delle FMA a Nizza Monferratodove sostò dal 31 maggio al 5 giugno 1888. Nei 22 anni di governo della Congregazio-ne Salesiana (1888-1910), incalcolabilisono le visite di don Rua alle comunità diFMA sia in Italia che all’estero. L’ultima vi-sita alla casa di Nizza è datata il 20 mar-zo 1909. Ogni incontro era un’opportunitàdi conoscenza e di animazione che rinsal-dava i vincoli della famiglia religiosa ani-mata dallo stesso spirito. Nelle visite allecase delle FMA, don Rua incontrava nonsolo la comunità, ma le singole persone. Sapeva trovare il collegamento con la profon-dità dell’anima e il suo stile relazionale sem-plice, familiare, discreto, la sua capacità diascolto erano da tutte molto apprezzati. Il ri-

Don Michele Rua e l’Istituto delle FMAPiera Cavaglià

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Siamo appena agli inizi della ricerca storicasul rapporto del primo successore di don Bo-sco con l’Istituto delle FMA. La recente pubblicazione delle lettere e del-le circolari di don Rua alle FMA e il Conven-go internazionale svoltosi a Torino sul primosuccessore di don Bosco nell’ottobre 2009 of-frono preziosi apporti sul contributo specifi-co e originale dato da lui all’Istituto.Le FMA delle prime generazioni ascoltaronodalla sua viva voce espressioni come questa:«Le Figlie di Maria Ausiliatrice, dovunque essesi trovino, meritano ed hanno tutte le mie sol-lecitudini. Quanta parte hanno mai nelleispirate opere di D. Bosco!» (Lettera 11-4-1890).Sapevano che queste parole non erano vanaretorica, ma realtà evidente sotto i loro occhi.Don Rua infatti aveva seguito i primi passi del-l’Istituto, fin dalla prima comunità di Morne-se. Nel novembre 1875, alla partenza di donGiovanni Cagliero per l’Argentina, era statonominato Direttore generale dell’Istituto del-le FMA e l’anno dopo Direttore spirituale del-l’oratorio femminile a Torino Valdocco.Quando nel 1888 venne chiamato a dirige-re la Congregazione salesiana, don Rua ave-va già una buona conoscenza dell’Istituto del-le FMA fin dalla sua genesi. Si dedicò perciò con la sua tipica saggezza eperspicacia a promuoverne lo sviluppo spiri-tuale, culturale, missionario e a far rivivere lospirito di don Bosco nelle relazioni con le suo-re e con le ragazze da loro educate nei col-legi, negli oratori e nelle scuole.

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spetto e la venerazione per il Superiore nonimpedivano la confidenza. Le numerose te-stimonianze delle FMA su don Rua, di cui ab-biamo la documentazione, attestano quan-to profondi fossero la stima e l’affetto cheesse avevano per il successore di don Bosco.D’altra parte anch’egli coltivava un since-ro affetto per loro e, in ogni suo interventoorale o scritto, era mosso da un esplicito in-tento di ricercare il loro bene a livello isti-tuzionale e individuale.

Don Rua si lasciò interpellare dall’incipien-te industrializzazione che coinvolgeva an-che le donne e promosse l’apertura dei con-vitti per le operaie. Raccomandava ad es. amadre Caterina Daghero di non rifiutare l’of-ferta di dirigere convitti per giovani operaie;li riteneva anzi una nuova missione che ilSignore si degnava affidare alle FMA all’i-nizio del nuovo secolo.Leggendo le lettere di don Rua colpisce il fat-to che, rivolgendosi alle FMA, tiene semprepresente la missione educativa che esse svol-gono. Si rallegra per il fecondo lavoro aposto-lico che portano avanti nelle varie nazioni; in-via saluti e messaggi augurali alle stesse ragaz-ze. Si mostra sempre interessato all’incremen-to delle opere educative, anzi stimola supe-riore e consorelle a potenziare l’intraprenden-za e la creatività. Incoraggia le FMA a prov-vedere alle alunne e alle oratoriane tutti gli aiu-

ti di cui hanno bisogno per la formazione uma-na e cristiana e invita a coltivare in tutti gli am-bienti le vocazioni religiose. È convinto che se le comunità possono ave-re una fisionomia diversa l’una dall’altra, de-vono però avere “la medesima impronta”, cheegli identifica con “la carità e l’allegria” (cir-colare 31-12-1901). Riferendosi alla pratica del Sistema preventi-vo, don Rua raccomanda di creare negli am-bienti educativi un clima di carità: “carità nel-le parole, nelle opere, negli affetti”. È un clima caratterizzato dalla pazienza e dal-la dolcezza di modi, dalla creatività industrio-sa, dal superamento di ogni forma di repres-sione o di permissivismo.Per l’apertura di nuove comunità o per l’in-cremento delle missioni, don Rua in generenon è mai direttivo, ma indica con discrezio-ne i criteri a cui attenersi. Raccomanda la fedeltà allo spirito di don Bo-sco e invita a preferire le zone più disagiateo a rischio, a favorire le opere popolari chepossono contrastare l’avanzata del laicismoe incrementare l’apertura sociale dell’Istituto.Negli interventi di animazione e di governo,don Rua favorisce la fedeltà allo spirito di donBosco, promuove l’unità dell’Istituto e il sen-so di appartenenza ad una grande Famiglia,in un tempo in cui era forte la spinta di espan-sione nelle varie nazioni e continenti.Come scrive don Pascual Chávez: «Egli chel’aveva visto nascere e l’aveva seguito nel suograduale sviluppo, se ne prese cura come sa-cra eredità lasciatagli da Don Bosco, e vi pro-fuse con impegno assiduo la ricchezza del pro-prio pensiero e del proprio cuore».

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ripropone questo rapporto inscindibilecome un principio che deve illuminare lavita delle comunità e di ogni persona.

Rileggiamo l’Enciclica

• L’amore «caritas», forza straordinaria,spinge a impegnarsi con coraggio e ge-nerosità nel campo della giustizia edella pace (n.1).

• La carità supera la giustizia e la comple-ta nella logica del dono e del perdono(n.6).

• Volere il bene comune e adoperarsi peresso, esigenza di giustizia e di carità(n.7).

• Importanza del Vangelo per la costruzio-ne della società secondo libertà e giu-stizia (n.13).

• La dignità della persona e le esigenzedella giustizia richiedono scelte econo-miche (n.32).

C’interroghiamo

• La cultura postmoderna attribuisce gran-de importanza all’autorealizzazione per-sonale secondo l’imperativo dell’esserese stessi sempre e comunque, senzapreoccuparsi per ricercarne il senso. Sicostata nella comunità educante l’impe-gno per superare l’individualismo edare il primato all’amore che cerca giu-stizia e pace per tutti?

Per una relazione di giustizia e caritàJulia Arciniegas, Martha Séïde

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L’amore di Dio ha preso volto e parola inGesù di Nazareth. Egli, il Figlio donato al-l’umanità, è diventato per noi sapienza, giu-stizia, santificazione e redenzione (1 Cor1,30). La risposta a questo amore di Dio, checi salva per mezzo di Cristo, si esprime nel-la consegna della nostra vita a Lui nell’amo-re e nel servizio agli altri. Ma l’amore im-plica un’assoluta esigenza di giustizia nelriconoscimento della dignità e dei dirittidel prossimo, mentre la giustizia trova lasua pienezza unicamente nella carità,nell’amore. L’enciclica Caritas in Veritate

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Dom Helder Camara, vescovo brasilia-no, testimone di giustizia e carità, rice-vette una trentina di lauree “honoriscausa”, dalla Sorbona ad Harvard, e unaquarantina di premi internazionali;inoltre è stato riconosciuto “Artigianodella Pace”. Il suo sogno ultimo era il “Giubileo2000” senza miseria nel mondo”. Eppu-re è stato chiamato infelicemente da al-cuni il “vescovo rosso”. Ma egli diceva:“Quando dò cibo ai poveri mi chiama-no santo. Quando domando perché ipoveri non hanno cibo, dicono chesono un rivoluzionario”.

“Non ho bisogno del marxismo, credonel Vangelo. A volte le persone vi pe-sano? Portatele nel cuore!”

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• La pressione consumistica, nel senso piùampio: consumo delle cose, del tempo,delle opportunità, tende a separare sfe-ra pubblica e sfera privata, ambito collet-tivo e vissuto individuale. In quale misu-ra è presente questo divario nella nostraIstituzione?

• Esiste un reciproco appello tra il Vange-lo e la vita concreta, personale e socia-le, dei singoli e della comunità. Quali se-gni di questa unità profonda, di questoimpegno di conversione troviamo nelnostro ambiente educativo?

In azione

Alcuni passi per rendere operativo l’ap-profondimento fatto:• La carità, vissuta e testimoniata, permeadall’interno la costruzione della comunitàsecondo diritto e giustizia. Individuiamoalcune vie per approfondire il rapporto

giustizia-carità nelle nostre relazioni in-terpersonali, comunitarie, istituzionali,con il territorio…

• Accanto al bene individuale, c’è un benelegato al vivere sociale delle persone: ilbene comune. È il bene di quel noi-tut-ti, un bene ricercato per le persone chefanno parte della comunità sociale. Rive-diamo il nostro vissuto quotidiano daquesta prospettiva e proponiamo alcuneiniziative per rafforzare l’impegno di tut-ti nella ricerca del bene comune.

• La realtà attuale del mondo ci esige di ri-salire alle cause dell’ingiustizia, che ge-nerano povertà e violenza, per impegnar-ci a debellarle. Progettiamo alcuni spaziper una lettura credente di fatti e situazio-ni in cui Dio c’interpella sia personalmen-te, sia comunitariamente.

[email protected]@yahoo.com

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sa Muraro, ritengono Teresa d’Avila un pun-to forte di riferimento. La presentano comeuna donna che, attraverso le relazioni e in par-ticolare attraverso la relazione di amicizia conGesù, riesce ad essere pienamente se stessa,a elaborare una identità personale che le con-sente di superare i pesanti condizionamen-ti culturali del suo tempo, di non lasciarsi in-timorire e bloccare dall’Inquisizione spagno-la e dalle male lingue e di stabilire con gli ec-clesiastici dotti e con altri, non rapporti di di-pendenza com’era costume ed obbligo perla donna, ma relazioni interpersonali di re-ciprocità e a volte anche di superiorità.

In famiglia

I rapporti interpersonali con i genitori e i fa-miliari, si colgono soprattutto nel Libro dela vida. Nel racconto di Teresa predomina lafigura del padre. La madre, donna Beatriz deAhumada, di famiglia molto benestante, siera sposata a 16 anni e poi aveva messo almondo 10 figli. Teresa la ricorda bella diaspetto, ma sofferente e spesso ammalata.Morì a 33 anni, quando Teresa ne aveva 12e, dal punto di vista educativo, apparequasi assente. Il padre, don Alonso Sanchezde Cepeda, aveva per lei un rapporto di pre-dilezione. Lei lo attribuisce al fatto di ave-re un’indole diversa dai fratelli. Lo descri-ve come un uomo di grande virtù, onesto,generoso, non autoritario, ma preoccupa-to più dell’honra, cioè della reputazione, delgiudizio della gente che della sostanza

Relazioni, identità, santità

Maria Rossi

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Il processo di elaborazione dell’identità per-sonale è segnato soprattutto dalla qualità del-le relazioni interpersonali che un individuo in-treccia nel corso della sua esistenza. Gli stu-di e le teorie psicologiche evidenziano comesiano di primaria importanza le relazioni chesi sperimentano con i genitori. Ma, come re-cita anche un proverbio popolare: Dimmi conchi vai e ti dirò chi sei, non lo sono menoquelle che la persona sceglie di intrecciarenella giovinezza e nell’età matura. Uno studio su Santa Teresa d’Avila, daquesto punto di vista, è stato per me illu-minante e mi ha fatto nascere il desideriodi condividerlo con altre/i. Ora tento di far-lo nella speranza di non tradire una figuracosì poliedrica. Incontrai Teresa negli anniSessanta, quando, per un esame di mistica,scelsi come opera le Lettere teresiane.Nelleggerle, rimasi benevolmente sorpresanel cogliere come, nella dinamica delle re-lazioni con i confessori, la direzione spiri-tuale fosse più sua che loro. Allora pensa-vo che confessione e direzione spiritualefossero prerogative esclusivamente di pre-ti e di consacrati, cioè maschili.Vent’anni dopo, reincontrai Teresa dovenon avrei pensato. Per approfondire il proble-ma dell’identità femminile, in questo tempodi profondi cambiamenti culturali, ho inizia-to a frequentare i Seminari di Diotima1, pres-so l’Università di Verona. Nei Seminari, conmia sorpresa, ho potuto seguire riflessioni estudi originali sulla Santa. Le filosofe di Dio-tima, in particolare una delle fondatrici, Lui-

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della virtù. Solo una volta reagì con fermez-za nei confronti della figlia. Quando un rap-porto di amicizia con un cugino rischiavadi compromettere la reputazione della fa-miglia, il padre la spedì decisamente, per unpo’ di tempo, in clausura.In casa sua non mancavano i libri e la pas-sione per la lettura. Il padre desiderava cheleggesse libri di devozione e formativi,mentre la madre, per sopravvivere alle ma-lattie e alle sofferenze della sua breve vita,preferiva leggere quelli di avventure caval-leresche e acconsentiva che anche Teresalo facesse, ma di nascosto dal padre. Il rap-porto con il padre è costante, incisivo nel-la formazione e interessante nella sua evo-luzione. Teresa apprende molto da lui, ri-sponde positivamente al suo amore di pre-dilezione, ma anche lo critica per l’ecces-siva preoccupazione per l’honra. Quandoil padre, avanti nell’età, si riduce ad esserepieno di debiti, il rapporto si capovolge. Leilo segue con amore, non parla della suainettitudine negli affari, ma lo introduce al-l’orazione mentale, gli passa i libri neces-sari e si compiace dei progressi che lui fain questa direzione. Lo protegge.Il rapporto con il padre sembra, in qualchemodo, improntare il tipo di relazioni che leiinstaura con gli uomini, specialmente paren-ti e religiosi. Il rapporto di amicizia con Gesù,unificandola e conferendole la capacità dicogliere i veri valori della vita, le dà forza eautorevolezza per invertire o perlomenomettere in discussione, fra l’altro, anche ilruolo di subordinazione sociale e culturaleche la società del suo tempo le aveva asse-gnato in quanto donna. Interessante al riguardo è il rapporto che vagradualmente instaurando con i suoi confes-sori. Ella li cerca, ne ha bisogno per discer-nere quanto la grazia di Dio opera in lei enon lasciarsi ingannare dal demonio, come

allora si tendeva a credere. Obbedisce a loroanche quando le ordinano il contrario diquanto le chiede Gesù nell’orazione. Ma,dopo aver sperimentato la sofferenza el’angoscia di essere guidata da confessori an-che dotti ma senza esperienza di preghieramentale intesa come rapporto “d’amicizia,un trovarsi frequentemente da soli a soli conchi sappiamo che ci ama”, gradualmente liva scegliendo fra coloro che hanno “buoncriterio ed esperienza” e magari anche unabuona istruzione. Prima di affidare a loro lasua anima, li incontra per un colloquio. E, allesue monache, suggerisce di fare altrettan-to. Teresa ha sempre avvertito l’importan-za del confronto e dell’obbedienza e ha ob-bedito anche in situazioni in cui non era inpieno accordo. Ma, da un certo momentoin poi, la sua obbedienza sarà dovuta a chinon solo ha una certa capacità di capirla, mache, dopo averla compresa, l’avrebbe, in uncerto senso, considerata anche madre. Equesto è avvenuto con l’incontro di s. Pie-tro d’Alcantara, Garcia di Toledo, padreGracian, Giovanni della Croce. E’ il rappor-to di reciproca interdipendenza di cui si ac-cenna come rapporto esemplare fra uomoe donna nella Mulieris dignitatem. E questonel 1500, quando la cultura andava nella di-rezione opposta. Teresa se ne rende contoe, a differenza di oggi, prova timore e ango-scia e supplica e si dichiara obbediente neiconfronti dei confessori.

Cammino di conversione

Il processo per arrivare a questo punto è lun-go e forse ha coinciso con quello che leichiama periodo di conversione. Il periododi conversione potrebbe, in parte, essere vi-sto anche come il faticoso cammino di ela-borazione di una identità personale di don-na insoddisfatta dei condizionamenti e del-le restrizioni che la cultura del tempo impo-

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tile, dove si consumano giornate apparente-mente uguali, di vivere l’avventura spiritua-le di una storia d’amore fecondo.Teresa si pone un po’ in continuità con laMaddalena sia come peccatrice penitente,ma soprattutto per la sua amicizia con Gesùe per la sua capacità di “mettersi tutto sot-to i piedi”. Spinta dall’amore, la Maddalenaha osato infrangere la legge che le vietava dientrare dove non era invitata e di toccare easciugare i piedi di Gesù con i capelli (conquanto si credeva di più impuro), di non te-mere le critiche di chi credeva di essere puroperché osservante. Raggiungere Gesù, diven-tare sua amica, significava per lei non solovoltare le spalle al peccato, ma soprattuttoa quel mondo che la voleva inchiodare aun’immagine deteriore di se stessa. In ter-mini invertiti, lo stesso avviene per Teresa.Quando lei avverte che alcuni comporta-menti, socialmente accettati, fanno di lei unamonaca di successo all’interno del conven-to, ma sono di ostacolo a un rapporto veroe profondo con il divino e con la realtà delsuo essere, volta le spalle a questa percezio-ne di sé. Per entrambe, l’incontro e la rela-zione con Gesù diviene possibile nel mo-mento in cui, presentandosi autonoma-mente al cospetto dell’Eterno, riconosconoa Lui solo il diritto di costruire la loro nuo-va e piena identità. Potrebbe essere così an-che per noi, ma, forse, lo è già.

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1 Diotima è una Comunità filosofica femminile, co-stituitasi presso l’Università di Verona. È formatada docenti universitarie, donne molto laiche, cre-denti forse alcune, ma non praticanti. Esse approfondiscono il problema dell’identità edella differenza sessuale dal punto di vista filoso-fico e poi, nei Seminari annuali, offrono il frutto del-le loro riflessioni al pubblico interessato. Parte del-la mia riflessione si basa su quanto ho potuto co-gliere in questi studi.

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ne. Teresa, nel Capitolo IX del Libro de la vidadedicato interamente alla conversione, de-scrive come la sua svolta spirituale decisivasia avvenuta mediante l’incontro con l’imma-gine di Cristo piagato con ai piedi la Madda-lena e la lettura delle Confessioni di sant’A-gostino. Nell’incontro con l’immagine di Cri-sto piagato, Teresa scoppia in un pianto di-rotto. Si sente la causa di tanta sofferenza.Prostrata ai suoi piedi e vinta dalle dinami-che sconvolgenti e unificanti dell’amore, rie-sce ad accettare di se stessa il limite e l’im-potenza creaturale. Si libera dalle pretesedell’io titanico e allenta la tensione del nonriuscire ad essere perfetta. Come la Madda-lena, si abbandona all’Amore e resta in atte-sa. La resa all’Amore la unifica, la libera, leconsente di entrare in rapporto intimo conDio, di aprirsi agli altri, di essere feconda.L’aver instaurato con Gesù un rapporto diamicizia, non solo la fa sentire una predilet-ta e la libera dalle paure, ma la spinge ver-so gli altri. Dal contatto con la Sorgente del-la gioia e dell’amore nasce in lei la decisio-ne della Riforma perché altre, altri possanoaccedervi. E’ una decisione che le creerà ten-sioni, problemi di ogni tipo, incomprensio-ni. Ma il rapporto con Dio, consentendo diraggiungere la dimensione più alta della pie-nezza umana, mette le persone in un incon-tenibile movimento d’amore. Chi lo speri-menta non può contenersi e fa di tutto per-ché altre/i possano goderne.Dopo la conversione, Teresa depone il far-dello della contabilità dei peccati, dellebuone azioni e dei santi propositi. Il contat-to con la Sorgente stessa dell’amore e del-la gioia, la unifica e la mette anche a contat-to con la propria capacità d’infinito, la dilata ela spinge in un movimento spontaneo versogli altri. Il messaggio che Teresa dà alle sorel-le e anche a noi è la possibilità, pur fra le quat-tro mura del convento o della scuola o del cor-

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Un romanzo sulla fatica di crescere. Asja e Maria, due quattordicenni

diverse come il giorno e la notte alla ricerca della propria identità.

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AsjaDa bambina, nelle giornate di pioggia, giocava a inventare suo padre... A casa non c’erano voci festose ad accoglierla, né la merenda sul tavolo.Solo il silenzio e d’invernoil buio. La paura le facevacompagnia, stava sedutaaccanto a lei... finalmente il rumore della porta, e il suo cuore faceva una capriola. Anche per quel giorno suamadre era tornata da lei.

MariaChiusa nella sua stanza, Maria apre l’anta dell’armadio e si guarda nello specchio. Osserva quell’immaginecome se fosse un nemico sconosciuto.Negli ultimi mesi il suo corpo è cambiato così velocemente che quasi stenta a riconoscersi. Una balena! Hanno ragione Asja e le altre: sembra propriouna balena.

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ARA BORSI / ANNA RITA CRISTA

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TEMA: IO TRA

VENT’ANNI

MariaIo vorrei aprire un negozio difiori. I fiori mi sono semprepiaciuti perché accompagna-no le persone nei momentiimportanti, le rendono felicinei momenti belli e le conso-lano in quelli brutti. E poi nelmio negozio si potranno por-tare le piante che stanno male,perché le piante sono come lepersone vanno amate e accu-dite… io tra vent’anni mivedo libera, alla guida di unamacchina decappottabile.

AsjaIo tra vent’anni ne avrò tren-tacinque come mia madre eio non voglio diventare comelei, che è ancora giovane masembra già vecchia. Mia ma-dre soffre di una malattiamolto brutta che si chiamadepressione. La depressionele toglie la voglia di vivere...quello che voglio dire è chea trentacinque anni io saròcome sono adesso... non per-derò la voglia di vivere.

Testi tratti da Sabrina Rondinelli,Camminare, correre, volare, San Dorligo della Valle (Trieste),Edizioni EL 2008.

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Lettura evangelicadei fatti

contemporanei

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aver incontrato un popolo chiamato Ca-rios; lo stesso popolo lo ritrovarono piùtardi ad Asunción, Paraguay. Il racconto storico di questo antico popo-lo afferma che Guaranì e Tupì erano due fra-telli; la loro famiglia cresceva continuamen-

Il mito: la ricerca della terra senza maleA cura di Mara Borsi

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I Guaranì sono un grande popolo che si èsviluppato attorno all’Acquifero Guaranì(grande riserva sotterranea di acqua dol-ce) e diffuso in tutta l’America del Sud enei Caraibi. Infatti, quando gli Spagnolisbarcarono nelle Antille raccontarono di

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Intervista a Blanca Selva Ruìz Dìaz GambaSono del Paraguay, FMA dell’Ispettoria SanRaffaele Arcangelo. Ho lavorato nove anniin una regione di missione con aborigeni eparaguayani del dipartimento dell’Alto Pa-raguay-Chaco, nella scuola-internato Mon-signor Alejo Obelar di ñu Apu’a. Prima divenire a Roma sono stata nella casa San Giu-seppe come infermiera tra le suore anzia-ne per un anno e nello stesso tempo mi sonooccupata della Pastorale giovanile.

Quali sono i valori della tua cultura che più ami?

Prima di tutto la lingua Guaranì. Essa cipone in relazione con i nostri an-tenati, ci dà il senso del no-stro essere, perché ognilingua esprime una pro-pria cosmovisione. Iparaguayani sentono,immaginano, rifletto-no e si esprimono piùe meglio in Guaranì. Èperciò la lingua ufficia-

le del Paraguay insieme allo spagnolo. Al-tro valore è l’amore alla natura. Il mio po-polo lotta per la terra, perché non siasfruttata e inquinata, si sente parte della ter-ra, la difende dalle imprese che deforesta-no e comprano per poco denaro, lascian-do senza terra tanti contadini. I paraguaya-ni spesso trovano Dio nella natura e ancheil senso della vita al servizio degli altri. Il sen-so del Noi, “ñande” e dell’ Altro “Ore” sonovalori da sempre coltivati nella cultura pa-raguayana. Essi ci aiutano a unirci come “jo-poi”, popolo, vivendo la prossimità, l’esse-re accanto al bisognoso, condividendo tri-stezza e gioia, andando avanti insieme,

aprendo nuovi cammini. Il “ñande”Noi, significa sentirsi di una stes-sa radice che invita ad andareinsieme, in ascolto attentoper pronunciare la parolamigliore e scegliere il cam-mino da seguire. Altro va-lore che mi attrae molto è“la ricerca della terra senzamale”. Eredità millenaria,

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te tanto che il luogo dove abitavano diven-tava sempre più piccolo, per questo i duefratelli presero insieme la decisione di di-vidersi. Tupì andò con la sua famiglia a Norde Guaranì si recò a Sud.Di generazione in generazione si narra an-che il mito fondante di questo popolo chene spiega l’anima profonda. Il mito raccon-ta di due fratelli gemelli che rimasero or-fani a causa dell’uccisione della mamma. I due gemelli rapiti dalla madre dei mali-gni servirono il male per un lungo perio-do fino a quando s’imbatterono nel corposepolto della loro vera madre.

Quella scoperta e il dolore fece sì che idue fratelli ricordassero da dove veniva-no e iniziarono a cercare la loro veracasa: la terra senza male. Nel cammino di ritorno alla casa del Padrein tutti i modi cercarono di vincere il male;nel loro andare senza fine prendevano ilcibo che riuscivano a procurarsi, ma pen-savano anche a chi nella strada sarebbe ve-nuto dopo di loro, così lasciavano semprequalcosa ai viandanti successivi. Questomito fondante spiega il continuo peregri-nare dei Guaranì per tutta l’America del Sudin “ricerca della terra senza male”.

che ci hanno lasciato i Guaranì e che ognianno ricordiamo attraverso celebrazioni incui si cammina con il desiderio di arrivarealla casa del Padre. Ci accompagna nel cam-mino la Vergine di Caacupe “ñande sy ma-rane’y”cioè “Nostra madre senza male”.

Vivendo in un ambiente internazionale che cosa apprezzi maggiormente delle altre culture?

Sto facendo un’esperienza molto ricca a li-vello personale. La relazione con personedi altre culture mi stimola a crescere nel-l’apertura all’altra tanto diversa da me, ascoprire un mondo differente, a fare eser-cizio di rispetto e ascolto. Tutto il bello che ogni persona esprime èun dono per gli altri, per questo mi piacedialogare, conoscere, ammirare e impara-re dalle diverse maniere di essere. Misembra molto interessante trovare somi-glianze e differenze tra le culture e capireil senso delle origini, dove sempre si intra-vede Dio con espressioni così belle cheuno mai potrebbe immaginare. Tutto que-

sto mi aiuta a conoscere più in profondità,a mettere in pratica la saggezza del mio po-polo, i Guaranì, ad aprirmi alla saggezza dialtri popoli. Ogni cultura è un mondo disorprese e modi di tessere il sapere e il sen-tire, ma la cosa bella è che sempre esisteun filo rosso che ci accomuna.

Incontrando persone di altri Paesi e culture quali difficoltà sperimenti?

Le difficoltà che trovo credo si possonotrovare anche in altri contesti: sono i pre-giudizi culturali, cioè, le idee ingrandite eerronee che ci facciamo degli altri. Ci sonoanche le etichette che mettiamo a ognicultura prima, durante e dopo la relazio-ne. Mi pare che ci sia ancora molta stradada fare soprattutto per quanto riguarda ildialogo e la comprensione reciproca traoccidente e oriente tra nord e sud delmondo. Abbiamo bisogno di aprirci con-tinuamente e unire mente e cuore percamminare insieme. Grazie mille per que-sto spazio, non solo per me, anzi, per noi“ñande” cioè per il popolo paraguayano.

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potenziale e non effettivamente esercitata,deve essere fortemente radicato il deside-rio di rispondere all’appello di aiuto che pro-viene da bambini, preadolescenti, adolescen-ti, giovani. Michele Pellerey in un recente stu-dio afferma che per promuovere la compe-tenza educativa occorre in primo luogo ali-mentare l’amore per le giovani generazioni,cioè volere il loro bene, e questo non in unsenso generico e un po’ sentimentale, ma inun senso concreto, fattivo. Per questo glieducatori sono chiamati ad acquisire unabase di conoscenze e abilità di naturaesplorativa e interpretativa, al fine di rispon-dere alla domanda educativa che i singoli ei gruppi portano nel loro profondo.

Riflettere

Nel contesto di una cultura frammentata,individualista e plurale risulta decisivo fa-vorire, in chi si occupa di educazione la ri-flessione. La riflessività è un’esigenza cen-trale dell’agire educativo e di ogni metodo-logia formativa degli educatori. Essa è lega-ta alla capacità di modificare l’azione peradattarla alle circostanze specifiche e ai sin-goli interlocutori. Si tratta attraverso laformazione di promuovere e sostenereuna conversazione riflessiva individuale edi gruppo sull’esperienza in atto, una con-versazione caratterizzata da una letturainterpretativa e problematizzante dei datidi fatto, che mette in relazione l’esperien-za e la conoscenza pregressa e la situazio-

Apprendere insieme

Mara Borsi

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La domanda di formazione, continuaad essere viva e urgente. Chi progettaformazione per gli educatori si rendeconto che non basta proporrecontenuti su temi di attualità: crisiantropologica, culture e linguaggigiovanili, scienza e fede.... Si sente la necessità di utilizzaremetodologie che coinvolgano i soggetti a cui è rivolta la propostaformativa per evitare noia, stanchezza e mancanza di efficacia.

Educare implica la disponibilità a prender-si cura dell’altro e richiede particolari dispo-sizioni etiche come il saper cogliere nel vol-to e nella parola dell’altro la sua domandadi aiuto ed essere pronti a cercare di rispon-dere a questo appello, mettendo in gioco leproprie risorse spirituali, culturali e profes-sionali. In ogni pratica umana impegnativa,come quella educativa, emergono due con-dizioni di fondo per poterla affrontare in ma-niera valida e produttiva: una chiara visio-ne del fine da conseguire e una percezio-ne attenta e puntale della situazione concre-ta da affrontare. Se la prima condizione im-plica una visione consapevole delle finalitàeducative da privilegiare, la seconda com-porta un’attenta ricognizione delle condi-zioni di vita delle nuove generazioni e deiloro bisogni più urgenti. Alla base di questacompetenza, perché essa non rimanga solo

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ne emergente per giungere a prospettareun’azione che risponda all’appello pre-sente. Nel contesto contemporaneo si staaffermando come modalità formativa lacomunità di pratica: un’esperienza forma-tiva centrata sulla riflessione, il coinvol-gimento e la partecipazione.

Nuove modalità

Le comunità di pratica sono dei gruppi chesi costituiscono per trovare risposte comu-ni a problemi inerenti all’esercizio del pro-prio lavoro. Esse appaiono caratterizzate dal-l’essere spontanee, dal poter generare ap-prendimento organizzativo e dal favorireprocessi di identificazione. I membri di unacomunità di pratica condividono modalità diazione e di interpretazione della realtà, co-stituiscono nel loro insieme una organizza-zione informale all’interno di organizza-zioni formali più ampie, articolate e comples-se. I partecipanti alle attività di queste comu-nità, col loro apporto, accrescono il senso d’i-dentità professionale e creano una reteche può indurre reali processi di rinnova-mento. Le comunità di pratica sono infattiuna efficace risorsa di aggiornamento del-le competenze professionali. L’efficacia de-

riva dal fatto che i contenuti discussi nellecomunità soddisfano esigenze di operatività,tempestività e contestualizzazione dell’ap-prendimento. Attraverso le attività condot-te nell’ambito della comunità di pratica si co-struisce nel tempo, un repertorio condivisodi risorse, si elabora un linguaggio comune,stili di azione convergenti, si modellano del-le comuni modalità ricorrenti (routine) dipensare e di agire. Chi accetta di entrare afar parte di una comunità di pratica offre ilsuo personale apporto alla realizzazione diun’impresa comune. Condividendo nella co-munità pensiero e azione, si assumono deinuovi modelli di interpretazione della realtàe si strutturano delle prassi inedite, che vi-vono dell’apporto creativo individuale, matale da poter modificare pensieri ed azionidell’intera comunità e hanno perciò un for-te potenziale innovativo. Ciascun membro,utilizzando quanto messo a disposizione da-gli altri partecipanti, può elaborare propripercorsi di ricerca e di approfondimento eprocessi di “autoapprendimento”, può ri-chiedere l’aiuto degli altri membri dellacomunità per il raggiungimento di alcuniobiettivi. Chi gestisce una comunità di pra-tica è chiamato a facilitare e articolare le at-tività di comunicazione, negoziazione edocumentazione con strumenti che pro-muovono sistemi relazionali di tipo retico-lare. In tal modo i processi di apprendimen-to collaborativo riducono, a livello formati-vo, il continuo ricorso all’esperto. Don Bo-sco si è confrontato efficacemente con ilpensiero pedagogico del suo tempo, allostesso modo oggi, le comunità educantisono chiamate a confrontarsi con diversi mo-delli e proposte per rendere efficace l’atti-vità formativa. Le comunità di pratica sonosenza dubbio un buonissimo stimolo a unprogressivo miglioramento dell’azione.

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nista audace nella difesa della giustizia de-nunciando le corruzioni e le ingiustizie del-le istituzioni governative. Il consiglio ese-cutivo di AMRSP afferma: «Grazie alla capa-cità di suor Estrella nel rispondere con co-raggio alla situazione, mai nel passato, il ruo-lo profetico dell’AMRSP è stato così eviden-te ed effettivo nella promozione della co-scienza morale della gente». L’Associazio-ne ha sostenuto la causa dei contadini a cuiè stata negata giustizia con una riforma agra-ria mai conclusa; è stata accanto alla popo-lazione indigena evacuata ed estraniatadalla sua stessa terra dal governo in accor-do con le compagnie minerarie internazio-nali e ai migranti vittime della migrazioneirregolare ed illegale.

Tra le attività, è importante ricordare il“Sanctuary Program” di AMRSP, programmadi protezione della vita per i testimoni chelottano contro l’ingiustizia e la corruzione,di cui suor Estrella è stata responsabile. C’èstato un caso in cui, per motivi di sicurez-za hanno dovuto spostare quattro fratelliogni due settimane e sono state una ven-tina le congregazioni ad offrire rifugio, tracui anche le case delle FMA. In un altro caso di vita minacciata, undicisuore di tre congregazioni femminili han-no offerto accompagnamento e protezio-ne con una denuncia attraverso i media ela testimonianza nel Senato. La protezionedella vita di questa persona ha visto due re-ligiose scambiarsi giorno e notte anche in

Mani impastate di giustizia

Paola Pignatelli, Bernadette Sangma

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È molto comune vedere l’icona della don-na con gli occhi bendati, con la bilancia inuna mano e la spada nell’altra per simbo-leggiare la Giustizia. Fa interrogare il fatto che le figure rappre-sentative della giustizia siano sempre fem-minili anche se, nella realtà della vita, l�am-ministrazione di questa Virtù è stata per se-coli, e continua ad essere tuttora, un domi-nio maschile. Cercando di trovare la relazio-ne tra il binomio donna e giustizia a parti-re dall’esperienza di vita quotidiana, si po-trebbe considerare come, spesse volte e intutte le culture e i contesti del mondo, lagiustizia è a loro negata e tuttavia le donnesono sempre più coinvolte nella lotta perla giustizia non solo nei loro confronti maper la società intera. Susan Moller Okin nel suo libro, Le donnee la giustizia. La famiglia come problema po-litico, afferma che «non è creando ghetti diprotezione per le donne, o attribuendo lorovantaggi immeritati nella vita pubblica, masolo eliminando l’ingiustizia del mondo pri-vato – cioè facendone una questione da ri-solvere politicamente – che diverrà possi-bile realizzare una giustizia non maschile,né femminile, ma umanista».

Suor Estrella Castalone, FMA delle Filippi-ne ha lavorato per sei anni come segreta-ria esecutiva dell’Associazione delle Supe-riori Maggiori delle Filippine (AMRSP).Con questa responsabilità è stata protago-

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carcere per ben 10 giorni! In un comunicato stampa nel 2009, la AMR-SP ha affermato: «Sentiamo la mano di Dionelle lotte della nostra gente […]. Con un co-raggio rinnovato, confermiamo il nostroimpegno di continuare ad essere voce di chinon ne ha, compagne di coloro che sonostati abusati, per diventare testimoni viven-ti della verità, della giustizia e della pace».

Marila Nsunda Nimi, giovane Avvocato diTorino, è un altro “personaggio feriale” daassaporare! Testimone della ricchezza delmeticciato: madre italiana e padre congo-lese, ha vissuto su se stessa, probabilmen-te, la strada faticosa del rispetto e dell’inte-grazione, del riconoscimento del propriovalore, da parte di una società miope e dif-fidente verso ogni forma di diversità, finoa scegliere l’avvocatura, come mission. Pur avendo una formazione completa, dal

diritto civile al penale, le sue origini la por-tano ad appassionarsi al diritto dell’immi-grazione e, più in particolare, alle proble-matiche relative alla integrazione deglistranieri nella realtà italiana. L’abbiamo interpellata: «La mia esperienzain tema di “donne e giustizia” mi ha porta-to più volte ad assistere a gravissime ingiu-stizie, in particolare a carico della donna im-migrata. Il più delle volte, infatti, la donnaimmigrata fa ingresso in Italia grazie al ricon-giungimento familiare, sicché, a tutti gli ef-fetti, la sua condizione dipende dal mari-to che la mantiene e garantisce per lei. Lasituazione di assoggettamento della don-na all’uomo, tipica in molte etnie, unita-mente alla carenza normativa del nostroordinamento che di regola non riconosce,per esempio alla donna maltrattata rifiu-tata, di poter soggiornare “autonoma-mente” laddove il proprio soggiorno sia le-gato a quello del coniuge, recano un gra-vissimo danno a questa figura, che, pro-

prio per tale ragione, spesso desistedal far valere i propri diritti e/o de-nunciare le violenze che subi-sce, anche quotidianamente.Per tali motivi ritengo che,per prima, la donna immigra-ta debba integrarsi cercan-do un lavoro e imparandola lingua, senza essere leistessa – come a volte acca-de – a privarsi della propriaidentità ed ad accontentar-si di quello che le offre ilproprio marito».

Le FMA come impastano lagiustizia nella ferialità dellavita?

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nuovi scontri…Ma la questione dell’unitàdeve inquietarci, deve ardere dentro dinoi”. Papa Giovanni Paolo II ha impegna-to in modo “irreversibile” la Chiesa Cat-tolica a intraprendere la via dell’ecumeni-smo, fedele all’ascolto dello Spirito. La pre-ghiera di Gesù giunge a tutti, all’orientecome all’occidente. È un imperativo cheimpone di superare le divisioni. Papa Benedetto XVI ci esorta a realizzarespazi di incontro, di fraternità, in un climadi fiducia reciproca. La fiducia supera lenostre divisioni, “consapevoli che le radi-ci comuni si trovano a un livello molto piùprofondo di quello delle nostre divisioni”.E’ certo che l’ecumenismo non divide, maal contrario ci unisce nella fede comunenell’unico Dio, nell’unico Battesimo enell’unica Chiesa.

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La Vocazione Ecumenica

Bruna Grassini

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“Santità, i giorni trascorsi insiemehanno suscitato nel nostro cuoresentimenti di profonda letizia spirituale…Ci siamo sentiti in comunione di amoree di speranza,uniti nella medesima carità.La presenza e le parole di Vostra Santitàci hanno arricchiti e assai consolati.E’ per noi un dovere del cuoreesprimere grande riconoscenzaper i momenti che Dio ci ha datodi condividere nella preghiera,nella lode alla Trinità Santa,al dialogo fraterno,e i legami di affetto che crescerannocome fortemente auspichiamo”.

Card. Carlo Maria Martini a Sua Santità Bartolomeo IPatriarca Ecumenico di Costantinopoli(Milano, 9 giugno 1997)

Lo Spirito Santo che è disceso sugli Apo-stoli radunati nel Cenacolo, ha chiamatotutti all’Unità: “aprendo i cuori di tutti al-l’amore, alla verità, ha posto la pietra an-golare della Chiesa”.Ma l’impegno ecumenico esige preghie-ra, speranza, realismo di fronte alle diffi-coltà e agli ostacoli che inevitabilmente siincontrano sulla via della riconciliazione.“Il pluralismo religioso, diceva il Card.Martini, è oggi una sfida per tutte le reli-gioni, se non si vuole ripetere vecchi e

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Informazioni notizie novità dal mondo dei media

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tente mezzo per una vita psicologicamentesana, un appoggio mutuo, una crescita per-sonale, ed una testimonianza vocazionale.La mancanza di vera comunicazione nellecomunità impedisce le buone relazioni.Dio non si è limitato a dare all’uomo infor-mazioni su di sé né norme di comportamen-to, ma ha stabilito una relazione che, median-te la comunicazione, genera la comunione.

Fin dagli inizi

Per Madre Mazzarello la comunicazione nonpoteva separarsi dalle relazioni. Il suo mododi comunicare creava un clima di sereno rap-porto familiare. L’ha ribadito M. Antonia Co-lombo quando ha scritto sulla prima casa del-le FMA: «Dove è nato quello spirito di Mor-nese che vogliamo caratterizzi anche oggi ilvolto di ogni nostra comunità [con il suo] sti-le di relazioni semplici e profonde – radica-te nell’amore a Gesù – che Maria Domenicasapeva promuovere e animare tra le personeche l’abitavano: sorelle e laiche, ragazze e gio-vani in formazione, Salesiani e familiari».Con i nostri atteggiamenti comunichiamocontinuamente qualcosa di noi agli altri e creia-mo ambiente.

Le parole sono irreversibili

Madre Teresa ha detto: «Le parole gentili sonobrevi e facili da dire, ma il loro eco è eterno».Sappiamo che le nostre parole possono guari-re e far crescere l’unità, oppure possono esse-re taglienti. Anche don Bosco è stato molto chia-

Comunicare in Comunità

Lucy Roces

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Allo scambio della pace, suor Tesachiude gli occhi e unisce le mani “in preghiera profonda”. La sera prima, però, ha litigato consuor Contraria, la sua vicina di banco.Suor Devota è sempre puntuale in cappella, è più precisa di qualunquemonaca di clausura. Però, appenafuori brontola perché quella suora ha letto troppo veloce, l’altra ha l’orlo troppo corto.Suor Angelica sorride sempredolcemente ed ha una buona parolaper ciascun studente e suora.Comunica un grande amore per Dio e qualche ragazza é interessata a diventare suora.

La parola “Comunicazione” deriva dal latinocommunicare, e attraverso la terminazione –atio, determina la parola communicatio, lette-ralmentemessa in comune. Il termine greco an-ticokoinonia designava il concetto di comunitàe venne assorbito dal latino attraverso la paro-la communio e cioè società/comunità. Il valo-re fondamentale dell’aggettivo latino commu-nis, che è alla base del verbo comunicare, è lareciprocità. Queste tre parole, condividendo lastessa radice, sono intrecciate: comunicazione,comunione, comunità. Per noi donne consacra-te, se manca una, mancano le altre due.Nelle comunità, il comunicare bene è un po-

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ro sulle buone conversazioni in comunità. Nel-la sua lettera del 1884 scrive: «La cosa che mol-to nuoce nelle comunità religiose è la mormo-razione direttamente contraria allacarità.[…]Guardatevi ancora dal riferire allacompagna quello che altri di male ha detto dilei, poiché alle volte nascono disturbi e ranco-ri tali che durano per mesi ed anni. […] Se voiudite cosa contro qualche persona, praticate ciòche dice lo Spirito Santo: “Hai udito una paro-la contro il prossimo tuo? Lasciala morire in te”».

I gesti parlano

Sappiamo che i gesti, le espressioni del viso,gli occhi, esprimono i nostri sentimenti più del-le nostre parole. Nel film “L’Isola - Ostrov” ilmonaco Anatolij chiede al suo confratello Pa-dre Iov: “Quando sarò morto, tu mi piange-rai?” Padre Iov gli da un’occhiataccia e lasciala stanza, sbattendo la porta. Non c’era biso-gno di parole. Gli incentivi motivazionali, il

rapporto rispettoso e la simpatia sensibilizza-no le persone, e possono avere più forza diuna campagna pubblicitaria milionaria.

Mi senti?

Un buon comunicatore dovrebbe essere anzi-tutto un buon ascoltatore. Un “cuore cheascolta” riassume “tutta la visione cristiana del-l’uomo”, ha sottolineato Benedetto XVI al ter-mine degli Esercizi Spirituali di quest’anno. «L’uo-mo non è perfetto in sé, l’uomo ha bisogno del-la relazione, è un essere in relazione. […] Habisogno dell’ascolto, dell’ascolto dell’altro, so-prattutto dell’Altro con la maiuscola, di Dio».L’ascolto, ha sottolineato il Papa, non può pre-scindere da una dimensione comunitaria. «Nonnell’io isolato possiamo realmente ascoltare laParola: solo nel noi della Chiesa, nel noi dellacomunione dei santi». In una lettere a suor A.Vallese, direttrice della casa di Villa Colòn, Ma-dre Mazzarello scrive: «Parlate poco, pochissi-mo colle creature, parlate invece molto col Si-gnore, Egli vi farà veramente sapiente». Ecco ilsegreto dell’ascolto: formare al silenzio, il gran-de alleato della parola e del dialogo.

Già nel DNA comunitario

Abbiamo nelle nostre comunità sane tradizio-ni che favoriscono un ambiente comunicativo:la “buona notte”, il colloquio mensile, gli in-contri personali fraterni, le conferenze, le pas-seggiate, la ricreazione. Però alla comunicazio-ne faccia-a-faccia spesso si sovrappone la co-municazione attraverso le tecnologie. Sarebbeuna buona pratica esaminare la nostra comu-nicazione comunitaria: é eccellente, passabi-le, di routine, superficiale, mediocre? Quantoconosciamo della nostra consorella? Ci sonomomenti di distensione, di dialogo, di ricrea-zione in comunità? Abbiamo conversazioni fac-cia-a-faccia e cuore a cuore nella comunità?

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Smartphone

Prendi il tuo vecchio cellulare, la tua ru-brica, il blocco per gli appunti, la fotoca-mera digitale, la videocamera, il lettoreMP3, il dispositivo GPS, un centinaio di ap-plicazioni, e-mail, un display a sfiora-mento, accesso internet senza filo, una ta-stiera. Adesso, prova a fonderli insieme eavrai lo smartphone, uno degli ultimi gad-get tecnologici. In effetti il tuo cellularecontiene già queste caratteristiche, maquello che distingue lo smartphone dalcellulare ordinario è che ha un sistemaoperativo mobile, e la possibilità di sincro-nizzare le tue e-mail e i documenti con ilcomputer, rendendolo una postazione dilavoro mobile. Si può pensare allosmartphone come ad un computer minia-tura da cui fare e ricevere telefonate. È in-teressante, però, che mentre il mercato ciinonda con smartphone nuovi, moltagente preferisce ancora il cellulare.

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merevoli mezzi di comunicazione che vo-gliono garantirsi una certa audience, sen-za che però questo fiume di dati riesca adare un senso alla nostra vita. Solamenteuna vera comunicazione, che vada ben ol-tre i semplici mezzi e che coinvolga un pro-cesso formativo e riflessivo, è capace di evi-tare la “non comunicazione”. Il dovere ditutti coloro che comunicano sarebbe quel-lo di dire sempre la verità, nonostante pos-sa essere dura e provocare reazioni non fa-vorevoli. È questa realtà che aiuterà acambiare il mondo, rendendoci liberi daogni schiavitù: siamo tutti chiamati ad as-sumere la vocazione del profeta.

Come organizzare la PasCom?

Credo che il primo passo da fare sia l’iden-tificazione di persone appassionate che vo-gliano valorizzare la comunicazione e cheabbiano dei talenti per potersi dedicare atale settore. In seguito, costituito il gruppodella PasCom, è necessario avere un luogoattrezzato con un minimo di apparecchia-ture, per potersi riunire e codificare e de-codificare informazioni e messaggi. Di-venta poi fondamentale riunirsi con una cer-ta costanza per poter pianificare le attivitàdella Pastorale stessa, che devono esseresempre in sintonia con le attività ecclesia-li. L’importante è che ogni membro dell’e-quipe si integri perfettamente con gli altrie possa dare il meglio di se stesso, evitan-

PasCom: Pastorale della Comunicazione Claudio Pighin

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«La comunicazione tra le persone avvienein una relazione di dialogo: per questo èben più di un semplice passaggio di infor-mazioni. Presuppone produzione, emissio-ne e ricezione di messaggi. Esige inoltre laconoscenza condivisa di una situazione so-ciale e la comprensione del linguaggio e delmessaggio tra coloro che ne sono coinvol-ti. Quando due persone si incontrano perla prima volta, infatti, utilizzano codici e ca-nali differenti, propri di ognuno: per que-sto non interagiscono realmente e, non po-tendo avvenire uno scambio efficace dimessaggi, non può essere realizzata unavera comunicazione». Così si è espressa laConferenza Episcopale Brasiliana in occa-sione della Campagna della Fraternità del-l’anno 1989, il cui tema è stato proprio “Co-municazione e Fraternità”. La comunicazione è senza dubbio così im-portante nella vita delle persone da diven-tarne parte essenziale, promuovendone iprocessi relazionali tanto personali quan-to sociali ed ecclesiali. Coloro che riesco-no a comunicare bene sono più felici, inquanto riescono a fare vere esperienze divita e a imparare da chi sta loro di fronte.Nessuno, infatti, riesce ad essere felice dasolo: per questo l’atto del comunicare è fon-damentale nella vita e merita tutto il nostroimpegno per renderlo efficace. Oggi giorno siamo letteralmente bombar-dati da centinaia o forse migliaia di informa-zioni; siamo oggetto di disputa tra gli innu-

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do atteggiamenti individualistici o deside-ri di “salire in cattedra” per farsi notare. Icomponenti del gruppo, rispettando e va-lorizzando le capacità di ognuno, si dovran-no distribuire i ruoli in modo da rendere piùagile e efficace la PasCom. Alcuni esempi di questi compiti possonoessere la funzione di coordinatore, quel-la di portavoce, di responsabile dell’area

informatica, delle informazioni, delleproduzioni audiovisive, delle celebrazio-ni di eventi o momenti liturgici (per valo-rizzare la dimensione della comunicazio-ne nell’ambito della Chiesa particolare emondiale), del responsabile del marketingreligioso, e molti altri.Perché ogni incarico possa essere as-sunto con piena responsabilità, ogni par-tecipante non potrà considerare il suocompito come un semplice servizio, perquanto rivestito di una certa professiona-lità: dovrà sempre nutrirsi della Parola diDio e del Magistero della Chiesa per ri-

spondere ad un’etica che contraddistin-gua il vero comunicatore. E’ quindi fonda-mentale essere sintonizzati con tutte le al-tre attività pastorali, con i vescovi, i sacer-doti e i leader, per poter garantire e soste-nere la vera vocazione della Chiesa. Non può essere esclusa da questo percor-so ecclesiale anche una formazione tec-nica aggiornata, in modo che l’attività del-

la Pastorale sia più penetrante eincisiva e possa così far frontealle odierne sfide comunicative.La PasCom deve poi essere atten-ta ai segni dei tempi e agli even-ti che segnano la storia dell’uma-nità, aiutando così la Chiesa adessere sempre più presente emaestra di vita. Vorrei infine insistere su quanto siafondamentale la vocazione dellaPasCom nell’aiutare la gente, esoprattutto i giovani, ad acquisireuna capacità critica riguardo aimessaggi che ricevono attraversoi grandi mezzi comunicativi. Oggipiù che mai avvertiamo questaurgenza in riscattare la libertà deifigli di Dio da queste manipolazio-ni mediatiche. Mi ricordo che alcu-

ni anni fa, durante un corso con i giovanidello stato di Amapà (Brasile), al termine diun’analisi di una puntata di una telenove-la trasmessa dalla televisione brasiliana, unaragazza si alzò e disse “mi sembra che misiano cadute le squame dagli occhi, perchécomincio a vedere e capire cosa voglionodirci veramente. Questo, prima, non sareimai stata capace di farlo e non avrei mai col-to certi dettagli come ora. Mi limitavo sola-mente ad apprezzare”.Tutto questo in realtà non avviene all’im-provviso: c’è bisogno di tempo, studio e de-dizione. E la PasCom può aiutarci.

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Contro l’imbarbarimentodelle coscienze

«Il progetto di Welcome nascedalla forte attrazione che ho pro-vato da subito verso questo par-ticolare soggetto, dedicato a uo-mini in fuga dai propri paesi d’o-rigine e determinati a raggiunge-re quell’Eldorado che l’Inghilter-ra rappresenta ai loro occhi» -spiega il regista. Dopo un viaggioinenarrabile si ritrovano blocca-ti a Calais – frustrati, maltrattati eumiliati – a pochi chilometri dal-la costa inglese, che riesconopersino a vedere in lontananza.

Ha scelto di incominciare con laricerca sul campo. Insieme aCourcol – amico co-sceneggia-tore contatta le organizzazioninon profit che fanno il possibileper aiutare queste persone e par-te per Calais. Per lunghi giorni diun inverno ghiacciato seguono ivolontari di queste organizzazio-ni, venendo a contatto con la vitareale dei rifugiati: la “giungla”dove trovano riparo, il racket del-le estorsioni dei contrabbandie-ri, le infinite persecuzioni daparte della polizia, i centri di de-tenzione, i continui controlli deicamion dove stanno ammuc-chiati per riuscire a imbarcarsi sultraghetto e dove rischiano la vitaper sfuggire alle ispezioni…

«Quello che ci ha sorpreso di piùè stata l’età dei rifugiati – aggiun-ge. Il più vecchio non aveva 25anni. Quando abbiamo parlatocon Silvie Copyans dell’orga-nizzazione Salam, abbiamo sapu-to che molti di loro, come tenta-tivo estremo, hanno provato adattraversare la Manica a nuoto.Mentre tornavamo a Parigi, le no-stre menti erano così prese daquanto avevamo visto che inmacchina non abbiamo scambia-to neanche una parola…ma inquel silenzio è nato dal cuore dientrambi tutto - o quasi - il film».Come in Locandina, si apre su unmare gonfio di acque scure e unastriscia di sabbia che si protrae al-l’infinito sotto lo sguardo triste di

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

WELCOMEdi Philippe LioretFRANCIA 2009

«Un film terribilmente bello, vincitore a Berli-no, premiato dal Parlamento Europeo, campio-ne d’incassi in Francia, dove ha influenzato il di-battito politico sull’immigrazione clandesti-na» – scrive un giornale italiano. Dalla storia allacronaca, il passo è breve. Con la legge 622/1Sarkozy ha introdotto il reato di immigrazione il-legale che punisce con cinque anni di reclusio-ne i cittadini francesi che aiutano i clandestini.In ottemperanza a questo articolo, in Francia siè arrivati a mettere sotto inchiesta l’organizza-zione umanitaria Emmaus a interrogare per 9 oreuna casalinga di 59 anni, colpevole di aver rica-ricato il cellulare di 9 clandestini. Welcome rac-conta questo inferno con una storia di amiciziatra Bilal e Simon, posti di fronte alla necessità diriuscire a passare La Manica, un mare che sepa-ra i mondi del possibile. Bilal è un giovane cur-do diciassettenne, che ha percorso 4000 km pri-

ma di giungere a Ca-lais, deciso ad insegui-re i suoi sogni ed il suoamore sfidando ogniostacolo per arrivareall’Inghilterra. Simon èun uomo di mezza etàcon un compassato do-lore negli occhi, chenon è stato capace di at-traversare la strada pergiungere al cuore della

moglie da cui si è appena separato. Tutti e due in-seguono l’amore perduto. Entrando in contatto,s’innesta tra loro un movimento umanissimo e pa-terno che diminuisce “a bracciate” le distanze trale parti, e si risolve in un’opera splendida, di im-mensa abilità stilistica, intensissima e lirica ma an-che limpidamente realistica di inequivocabile de-nuncia. La Francia ha risposto con oltre 10 mi-lioni di incasso, e il governo ha dovuto rendereconto del suo operato e delle sue scelte. Una spe-cie di sollevazione popolare passata attraverso ilcinema. Può bastare?

a cura di Mariolina Perentaler

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una nebbia di confine. Questa èCalais, ultima spiaggia primadella felicità. Ma per passare lafrontiera ci vogliono polmonid’acciaio. Letteralmente. E se ti nascondi in un Tir, la po-lizia introduce sottili cannulesotto il tendone per captare il re-spiro. L’unica è infilare la testain un sacchetto di plastica e trat-tenere il fiato. Un’immagine devastante e unametafora di rara potenza. Tanticlandestini stipati in un Tir conla testa in una busta di quelle incui mettiamo la spesa al super-mercato: così ci viene presenta-to il protagonista Bilal. Il ragaz-zo iracheno ha gli occhi tristi dichi non ha mia visto un cielo az-zurro, braccia forti e tanta dispe-rata testardaggine, quella che loporterà ad attraversare la manicaa nuoto. Per che cosa? Un amo-re, forse l’unico della sua vita, cosìlontano eppure così vicino. L’al-tro è Simon, un insuperabile Vin-cent Lindon, istruttore di nuoto. Hauna moglie volontaria presso i mi-granti che lo sta lasciando e un in-colmabile senso di vuoto. Si affe-zionerà al ragazzo. Colpito dalla sua ostinazione lo al-lenerà e lo incoraggerà a non ce-dere mai di fronte ai blackout del-la vita. L’atmosfera malinconicache permea il loro “presente” -amaro per Simon e disperato perBilal – diventa lotta comune da-vanti ai soprusi della polizia e alledelazioni dei vicini di casa. Wel-come è uno sfregio lacerante allagabbia dei pregiudizi sociali. In-tenso, compatto, politico, mai ri-nunciatario, rende quasi im-possibile mantenere le stesseidee sull’immigrazione.

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ANNO LVII • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2010

SULL’IDEA DEL FILM

Chiamare “Benvenuto”, pro-vocatoriamente in inglese “Wel-come”, l’immigrato simboloBilal, il curdo-pakistano restitui-to cadavere dalla polizia costie-ra inglese, dopo avergli datouna caccia irreversibile.

La vicenda del piccolo Bilalsi ripete più o meno simileogni giorno sulle coste meri-dionali dell’Europa, perchétutti i governi si sono ormai af-frettati a darsi delle leggi suf-ficientemente restrittive e di-sumane da poter tranquilliz-zare le “nostre pavide co-scienze”, saziate di benesse-re. Intanto, il voltarci dall’al-tra parte per non vedere, ren-de ogni giorno più incapaci di“compassione” e priva diquell’umanità che è dovero-so rispetto per l’altro, il pros-simo “diverso” e meno fortu-nato. Degli stranieri cogliamosoltanto e sempre più un’i-dentità indistinta, in cui si me-scolano buoni e meno buoni.E ci sembrano insidiare lenostre certezze, il nostro be-nessere, la tranquillità dellanostra vita privata.

SUL SOGNO DEL FILM

Svegliarci, aprire le coscienze.Qual è l’accoglienza riserva-ta agli immigrati in Europa?Qual è il senso e il valore del-la parola «welcome» in unpaese come la Francia? E inItalia, in Ighilterra?

Philippe Lioret se l’è chiesto perdavvero, realizzando il film.Parte come una denuncia socia-le alla Ken Loach (autore ingle-se entrato definitivamente nelPantheon dei grandi registi eu-ropei) per assumere la forma delcinema intimista tipicamentefrancese. Da un lato pone il rac-conto delle condizioni di vitadisumane dei migranti bracca-ti anche nella laica e democra-tica Francia da una legislazio-ne discriminante. Dall’altro la storia commoven-te di uomini che crescono ecambiano quando scopronol’altro da sé. Si tratta di una pel-licola piena di suggestioni,dove le immagini vengono per-fettamente contrappuntate dauna musica evocativa e dolen-te, dove i personaggi (scritti me-ravigliosamente) emergono intutta la loro umanità. Soli ed in-compresi ma capaci di sogna-re imprese impossibili o dicambiare radicalmente il lorosguardo sul mondo. Una storiamatura su sentimenti ed ingiu-stizie, su occasioni mancate oslanci ideali falliti, sulla risco-perta di sé attraverso gli altri.

PER FAR PENSARE

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si in casa i due figli avuti da lei. Cerca conforto congli amici al pub e parlando con il poster del suo mito-amico Eric Cantona, una leggenda per il calcio in-ternazionale e per i tifosi del Manchester, che ma-gicamente si materializza per dialogare con lui, far-gli forza e dargli consigli, vere perle di saggezza.“Qual è stato il momento più bello?” gli domandaun giorno, elencando una serie memorabile dei suoigoal. “Un passaggio...” è la risposta inaspettata. E inquesta risposta c’è tutta l’essenza del film in cui l’au-tore non perde occasione per sottolineare l’impor-tanza dell’impegno collettivo, del gioco di squadra,nel calcio come nella vita. Sarà infatti il gioco di unaparticolarissima e divertentissima “squadra” a risol-vere nel più originale dei finali la sua intricata situa-zione. La volontà di riscatto, di reazione parte dal-l’individuo ma trova completezza nella partecipa-zione degli amici. Un film sulla possibile positivitàdei miti e sulla ritrovata solidarietà popolare. Diver-tente dall’inizio alla fine, è una miniera di origina-lità inventiva declinata in forma semplice e diretta,come sa fare chi ama il suo pubblico.

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IL MIO AMICO ERICKEN LOACH Gran Bretagna/Francia/Italia/Belgio - 2009

Una commedia semplicemente fantastica! O me-glio: una commedia/dramma, in cui realtà e imma-ginazione si “alleano” in perfetta osmosi ed equi-librio senza retorica. «Ken Loach è magnifico – so-stiene la critica. – La sua capacità di capire e narra-re i lavoratori e i loro guai, il calore amichevole concui li accompagna, l’umanità e la dolce ironia concui li osserva sono unici nel cinema occidentale,sempre efficaci e belli.» Un’opera semplice, soffer-ta e comica come la vita quotidiana, come un omag-gio a tante esistenze fragili e tuttavia capaci di fidu-cia, aperte ad un riscatto possibile. “Cercando Eric”,come suggerisce il titolo originale Looking forEric, il protagonista ritroverà se stesso, la sua “squa-dra” e il gusto di vincere contro il destino. La storia ci riporta a Manchester dove Eric, un po-vero postino cinquantenne, tenta il suicidio con lamacchina ma gli amici lo salvano. È in una fase cri-tica: abbandonato dalla moglie e costretto a tener-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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venta così una sfida condivisa da uno staff di giova-ni professionisti per la maggior parte ex allievi e dal-la nascente CSC Production. Un’avventura durata seimesi di preparazione e otto settimane di riprese trala laguna di Venezia, l’entroterra veneto e la Russia.La scelta del paese coproduttore è legata all’esigen-za di un maggior respiro narrativo necessario a rac-contare sia la distanza geografica che l’allontanamen-to emotivo fra i due giovani studenti universitari pro-tagonisti: Camilla e Silvestro e il loro continuo rin-corrersi nel corso di dieci stagioni. Camilla, in arri-vo dalla campagna, all’inizio un po’ timida e impac-ciata, Silvestro, più intraprendente ma, come lei di-ciottenne e frenato dall’inesperienza. I capitoli si sus-seguono mettendo in primo piano il lento, progres-sivo dipanarsi dei loro atteggiamenti reciproci. Fraattrazioni, ripicche, equivoci, fraintendimenti e a uncerto momento anche distacchi, “ne esce un diariointimista, un succedersi di sentimenti ruvidi e de-licati insieme, specchio di indecisioni e incertez-ze di tanti giovani di oggi”.

DIECI INVERNIVALERIO MIELI Italia/Russia - 2009

Tra le note del regista esordiente (31 anni) si legge:«Dieci inverni è la storia di due ragazzi che non riu-scendo ad amarsi subito devono imparare a farlo, de-streggiandosi tra le difficoltà del diventare adulti. Perraccontarla volevo una forma di romanticismo chefosse vera e fiabesca insieme. Per questo ho sceltodi ambientare il film in una città poetica come Ve-nezia, mostrandone il volto più quotidiano deimercati, dei bàcari e dei vaporetti. In tutte le fasi del-la lavorazione, dalla scrittura al lavoro con gli atto-ri, fino a quello sulla musica, la mia preoccupazio-ne principale è stata di mantenere quest’equilibriotra realismo e levità». Dieci inverni nasce tra le auledel Centro Sperimentale di Cinematografia quandoValerio Mieli, allievo del corso di Regia, scrive un sog-getto autobiografico come saggio di diploma e laCSC Production lo propone a Rai Cinema. Il film di-

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a cura di Mariolina Perentaler

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Geries Sa,ed Koury UN PALESTINESE PORTA LA CROCEEMI 2009

Da tempo ormai sentiamo parlare della tensioneisraeliano palestinese: un problema che sembraumanamente insolubile. Se ne ha però una cono-scenza approssimativa e superficiale. I mass me-dia, come sempre, ne riferiscono attraverso filtriideologici e poco attendibili. Il libro che presen-tiamo è, per così dire, la presa in diretta di una si-tuazione reale. L’autore è un arabo cristiano, sa-cerdote della chiesa greco cattolica. Le argomen-tazioni, lucide e puntuali, hanno come sottofon-do tutto un intrecciarsi di ricordi personali, di epi-sodi vissuti e sofferti. Non si avverte ombra di odioo di rancore, in quest’uomo che con tanta passio-ne rivendica i diritti del suo popolo: si entra sem-plicemente nel vivo di una situazione limite,centinaia di villaggi distrutti, famiglie costrette alasciare la propria casa, i propri campi e il propriobestiame, a vedersi confiscare persino le sorgen-ti, rendere difficili il lavoro e le comunicazioni persottostare a una brutale occupazione. Il libro siconclude con un’appendice che è come un rag-gio di speranza: narra la solida e affettuosa ami-cizia tra l’autore e un medico ebreo israeliano ilquale, pur nella fedeltà al suo popolo, lavora comeattivista per la causa della giustizia e della pace.Dove falliscono le armi e la diplomazia, solo unrisveglio delle coscienze e un avvicinamentodei cuori riuscirà a conquistare la pace.

Sandro FerraroliEDUCARE SI PUÓELLEDICI 2010

Emergenza educativa si chiama il problemache oggi interpella fortemente Chiesa e società.Nel libro sono analizzate le complesse proble-matiche della scuola come ambiente educativoe del suo necessario integrarsi con l’opera deigenitori. Pur trattando con realismo le difficoltàanche personalmente sperimentate, l’autore in-coraggia in modo convincente all’ottimismo ealla fiducia. Non a caso il libro offre in apertu-

ra le parole di Benedetto XVI: “Non temete! Tut-te queste difficoltà non sono insormontabili. Sonopiuttosto il rovescio della medaglia di quel donogrande e prezioso che è la nostra libertà…A dif-ferenza di quanto avviene nel campo della tec-nica, dove i progressi di oggi possono sommar-si a quelli del passato, nel campo della formazio-ne personale non esiste una simile possibilità diaccumulazione, perché la libertà dell’uomo èsempre nuova…Anche i più grandi valori del pas-sato non possono essere semplicemente eredi-tati, ma vanno fatti nostri e rinnovati attraversouna spesso sofferta scelta personale…”. Il libroè indirizzato agli insegnanti, nel loro necessariorapporto con i genitori, non genericamente au-spicato, come forse troppe volte ancora avviene.Alla famiglia pure sono dedicati i due capitoli fi-nali che descrivono le diverse strutture e tipolo-gie familiari, nonché le tappe dell’età evolutiva,con le diverse mete legate alla crescita.

A. Maria PiccioneLO STIVALE SPEZZATOPaoline 2010

Poche di noi, ormai, le più anziane, hanno anco-ra vive nella memoria le vicende del periodo sto-rico che si aggira intorno alla seconda guerra mon-diale. I nostri ragazzini possono averne uditoqualche brano di racconto dal bisnonno o dalla bi-snonna. Come consegnare alle nuove generazio-ni la memoria di quei tragici, ma per altro verso,epici momenti della nostra storia? L’autrice inven-ta la semplice vicenda di due preadolescenti chesi trovano a vivere quegli anni bui, senza perderela spensieratezza della loro età ma avvertendo diriflesso le preoccupazioni e le ansie degli adulti.È in fondo quello che avviene nella realtà di ognitempo, quando i fatti giudicati importanti dagli sto-rici s’intrecciano con le minute anonime vicendedi tante persone, sulle quali il tempo getterà la suacortina di silenzio, ma che pure costituiscono il vivotessuto della storia umana. Il libro è destinato aigiovanissimi della scuola media ancora disponibi-li alla lettura di libri scritti appositamente per loro.

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ANNO LVII • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2010LIBRI

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a cura di Adriana Nepi

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dinale sviluppa le sue riflessioni sulla falsa-riga di alcuni tratti della Lettera ai Romani.Parte dalle premesse di Paolo: “…Ho un vivodesiderio di vedervi per comunicarvi qual-che dono spirituale, per rinfrancarmi con voie tra voi mediante la fede che abbiamo in co-mune, voi e io”. Parole da lui citate spesso -ricorda - in molti corsi di esercizi, per rile-vare la tensione feconda che esiste tra chidona e chi riceve la Parola. Ritorna di con-tinuo questo riferimento a una lunga espe-rienza di attività pastorale, ed è tutto perva-so da un largo respiro di fede e di ottimismo.Rievoca, l’emerito arcivescovo di Milano, gliincontri con i Consigli pastorali della dioce-si milanese. Di solito si cominciava così: “Sia-mo pochi, siamo sempre gli stessi, ci man-cano i giovani ecc.”. E lui: “Ma non avete nien-te da ringraziare Dio? Non capite che il solofatto di vivere la fede in un contesto così pa-gano è un immenso dono di Dio?” e cita leparole di Paolo: “Anzitutto rendo grazie almio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardoa tutti voi…”. Rileva che l’Apostolo attesta dipregare incessantemente per tutte le comu-nità cristiane, quindi si sofferma a parlare del-la preghiera d’intercessione, della bellezzadi questo abbracciare tutta l’umanità, tut-ti coloro che soffrono di qualsiasi generedi afflizione. Se la nostra intercessione èpovera e distratta, non dimentichiamo,esorta, che essa “è un piccolo rigagnoloche entra nel grande fiume dell’intercessio-ne della Chiesa, che a sua volta entra nel-l’immenso oceano dell’intercessione di

Le Ali della Libertà

Adriana Nepi

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Un corso di esercizi spirituali tenuto ai sa-cerdoti, con il presentimento che sia l’ulti-mo. È forse quanto conferisce un tono diumanissima familiarità alle semplici riflessio-ni di quest’uomo anziano e malato che sisente “in dirittura di arrivo”, ma che nulla haperduto della sua autorevolezza e della suachiarezza interiore.L’introduzione segue un po’ il modo tradi-zionale di un ritiro. Ma esce subito daglischemi dicendo che cinque sono gli attoridegli esercizi. Chi ascolta drizza subito leorecchie… “Se ci domandiamo - prosegue- di che cosa sarebbe bello parlare come ul-timo argomento, come ultimo ricordo, cre-do che sarebbe bello parlare della vita eter-na. È la grande vittoria di Dio, definitiva, ir-revocabile, che ha come radice la morte e larisurrezione di Gesù…Ciò che mi colpisce, in quest’ultimo trat-to della mia vita, anche a seguito dei mieifrequenti ricoveri ospedalieri, è che Gesùera stato quasi preso per mano dal Padree accompagnato fedelmente: questo è ilmio Figlio, che ho scelto…Poi, a poco apoco, pare che quel Figlio venga abbando-nato dal Padre. Ed ecco: Gesù, così umilia-to, oltraggiato, abbandonato, non si tira in-dietro di un millimetro nella fiducia ver-so il Padre…Si abbandona sino in fondo,fino a consegnarsi in pura perdita…Gesùcome modello di abbandono totale: untema che tratterei volentieri …”.Dopo essersi introdotto in questa forma col-loquiale che continuerà sino alla fine, il car-

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Cristo, sempre vivo a intercedere per noi”.Seguendo poi ancora il dettato di Paolo cheenumera in una lista impressionante tutte leforme dell’umana malvagità per conclude-re all’impossibilità di salvarsi senza la grazia,il tono affettuoso e confidenziale del padreassume la durezza di un’attualissima requi-sitoria. Nessuno pensi: questo non mi riguar-da. Tutti questi enormi peccati sono staticommessi nella storia non solo del mondo,ma anche della Chiesa: da laici, preti, suore,religiosi, vescovi, papi…E apre a questopunto una disamina impietosa dei peccatidel mondo e della Chiesa, fino a toccare conlucida penetrazione certi oscuri anfrattidell’animo: perché a lui quel posto, quellapromozione, e non a me? e certo conformi-smo, certe reticenze dettate da inconfessa-ta ambizione: se parlo, come sarebbe dove-

roso, non perderò stima e prestigio, non migiocherò la carriera? e la squallida arma del-la lettera anonima, e il fingere una religiositàche non c’è e ostentare un’osservanza pu-ramente esteriore e la vanità di ricercare ilsuccesso, e l’ostentazione del fasto…“L’ira di Dio” s’intitola questa meditazione,paragonata all’attraversamento di una nubeoscura carica di elettricità, con grandine,tuoni, lampi. È il mistero, per noi indecifra-bile, del male, contro il quale esiste una solasalvezza: la grazia di Cristo, accolta nellafede. Le forze negative del male e le forzepositive del bene sono in perenne lotta den-tro di noi, lo sono in tutti, anche nei bam-bini…Non si deve però avere paura: non sitratta neppure di demonizzare l’attrazioneche a volte il maligno esercita su di noi… LoSpirito ci è dato per sostenere la nostra de-bolezza e accogliere, se lo vogliamo, ildono della libertà; sapendo che non vi ècondizione umana che possa creare amarez-ze permanenti; che ogni situazione puòaprirsi alla gioia del Signore.È proprio sulla gioia, sulla pace interiore chesi misura il nostro appartenere a Cristo, l’ef-ficacia della nostra presenza tra gli uomininostri fratelli. E ancora un simpatico ricordopersonale: “Voi - diceva ai suoi parroci - po-tete rendere lieta o triste la vostra comu-nità…Se avete la faccia lieta, tutti sarannocontagiati dalla vostra letizia” e conclude: “Ilsorriso è il primo dovere di un vescovo…”Non è stato facile presentare questo libro,modesto nella mole e ricchissimo di con-tenuto. Si è cercato piuttosto di darnequalche piccolo assaggio, per invogliare al-meno qualcuno alla lettura. Vi si respira laserenità di un incontro personale e vera-mente autentico con la Parola, quasi con-ferma della nota affermazione di Paolo: “Ilregno dei cieli è giustizia, pace e gioia nel-lo Spirito santo” (Rm. 15, 17).

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Infine, ho letto che hanno inventato il te-lefonino Argento, apposta per la terzaetà! Sarebbe dotato di un tasto per il col-legamento automatico al familiare piùprossimo (nel nostro caso dovrebbeessere la direttrice o l’infermiera o for-se Gesù stesso!), uno per il collegamen-to al 118 (ovvero l’ispettrice o forse DioPadre!) un ultimo per essere informatiriguardo a tematiche di interesse gene-rale: indicazioni su vaccinazioni, sucome prevenire una malattia, o sui modiper fare accreditare la pensione, ecc(per noi gli orari delle pratiche di pietà,l’arrivo della circolare della Madre, l’an-nuncio delle consorelle defunte, o deicambi di casa!) Ma siamo seri, dai!Tutta questa ansia di alfabetizzazionetecnologica degli anziani è inutile.Non si colma così la solitudine esistenzia-le, non si allena solo così la memoria,non occorre alla nostra età seguire lemode. Siamo nel mondo, ma non delmondo! Certo, se Dio aprisse le preno-tazioni per il Paradiso tramite web, ci sipotrebbe fare un pensierino e metter-si a imparare! Ma credo che Dio resti unbuon padre che usi ancora le vie delcuore e non quelle telematiche! E allo-ra a noi anzianette basta andare in chie-sa, metterci lì in silenzio e digitare sul-la tastiera del cuore: www.pensaciTU!www.salvamiTU! Ed è fatta!

www.salvaciTu!

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Il nuovo analfabetismo? Quello deglianziani! Sì, perché, nonostante la saggez-za e l’esperienza, oggi come oggi, essi,non essendo in grado di usare le nuovetecnologie (il computer, soprattutto), ècome se non sapessero più né leggere, néscrivere. Tagliati fuori dalla vita!Non è un problema solo di noi “povere”suore anziane. Mi sono documentata:quello tra anziani e tecnologia è un rap-porto difficile ovunque, in generale, e tan-ti si stanno mobilitando per far iniziare adialogare questi due mondi.Per esempio, è partito dall’Inghilterra, conl’invenzione di Simplicity -un computera portata di anziani- il primo progetto percercare di avvicinare 200mila anziani almondo dell’informatica. In Italia è nata “Internet Saloon”, inizia-tiva di alfabetizzazione informatica, de-dicata agli over60 per colmare il divariodigitale che separa l’anziano dal giovane. Ed è di Cagliari la nonna 80enne che havinto nel 2008 il premio “donna dell’an-no”, perché, per sconfiggere la depres-sione, ha aperto un blog, ovvero un dia-rio in internet. Così l’hanno ritenutauna esemplare figura femminile per lasua capacità di risolvere i problemi (Bel-la scoperta! A noi, una volta, per vince-re la depressione, bastava andare inchiesa con fede e affidarci a Dio di cuo-re. Il premio ce lo dava Lui!).

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INCONTRI: Povertà e salvaguardia del creato

PRIMO PIANO: Il perchè di Francesco Uomo dallo sguardo sereno

IN RICERCA: Pastoralmente La relazione con i giovani

COMUNICARE Faccia a faccia Comunicare negli ambienti educativi

NEL PROSSIMO

NUMERO

La cosa più importante è non pensare troppo e amare molto.

Per questo motivo fate ciò che più vi spinge ad amare...(Teresa d’Avila)

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canto alla vita

SOLO IN DIO RIPOSAL’ANIMA MIA:

DA LUI LA MIA SPERANZA.

(SALMO 61,6)

foto Unicef/