Rivista DMA - Testimoni di Speranza (Novembre - Dicembre 2011)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE damihi animas 2011 Anno LVIII Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma TESTIMONI DI SPERANZA

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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RIVISTA DE

LLE FIGLIE DI M

ARIA AUS

ILIATRICE

damihianimas2011Anno LVIII Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

TESTIMONIDI SPERANZA

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4 EditorialeUn passo in piùdi Giuseppina Teruggi

5DossierTestimoni di speranza

13Primopiano14Passo dopo passoIl bisogno di essere accompagnati

16Radici di futuroIl contributo delle Fmaalla formazione delle giovaniin Italia

18Amore e Giustizia“...nulla vada perduto”

20Filo di AriannaVerso altri orizzonti

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sommario

dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas

Mara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola Pignatelli

Lucia M. Roces • Maria Rossi

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27In ricerca 28CultureI giovani: gioia e speranza

30 PastoralmenteVocazione

32Donne in contestoLa speranza è donna

34Nostra TerraImpronta ecologica

sommario

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ANNO LVIII • MENSILE / NOVEMBRE DICEMBRE 2011

35Comunicare36Testimoni digitaliAbitantidel continente digitale

38Da persona a personaChe il suo nome risuonisu tutta la terra

40Video Io sono con te

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroPrima martiredel Creato

46Lettera da un’amica

n.11/12 Novembre Dicembre 2011Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

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tati”: c’è un senso in tutto ciò che accade.

Speranza, fede, fiducia: valori inseparabili,che permettono di credere nell’impossibi-le. È questo l’atteggiamento biblico speri-mentato da chi ha attuato scelte in contro-tendenza nei confronti di stili di vita corren-ti. Così Maria, la testimone efficace che cam-mina con noi, l’Aiuto che ci accompagnaverso sentieri di futuro. Così don Bosco, Ma-ria D. Mazzarello, tante sorelle e giovani di-ventati “testimonials” di speranza.

Avvertiamo oggi una diffusa crisi di speran-za, nei giovani e meno giovani. Ma incon-triamo anche, nelle nostre comunità edu-canti, persone credibili, che sanno “spriz-zare scintille di sapienza dolce e mite, difede trasparente che riconosce Dio comevalore sommo della vita”. Persone di ognietà, spesso sorelle anziane, che attualizza-no l’intuizione di Giovanni della Croce: “Ioconosco bene la fonte che zampilla e scor-re, benché sia notte”.Vivono accanto a noi: sanno irradiare spe-ranza intorno a sé e nei giovani che acco-stano come terra promessa, orizzonte aper-to, “vasto campo” da coltivare per una vitapiena. Nella fede, nella preghiera, nel donoquotidiano di sé.

[email protected]

Un passo in più

Giuseppina Teruggi

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Un andare un po’ oltre, un passo in più: cosìsi può dipingere la speranza. Quella che sifonda su una certezza: Gesù, il Signore, è ri-sorto. Si tratta di una grande speranza.È questa l’ottica con cui – nel presente nu-mero della Rivista – viene proposta la rifles-sione sulla chiamata ad essere Testimoni disperanza, testimoni del Risorto. Non unasperanza che si appoggia sull’emozione osull’attesa di qualcosa, di qualcuno. Perchécamminiamo dietro a Cristo, e crediamo allaBuona Notizia che ci ha comunicato, siamodonne di speranza. Lo siamo nei momentilieti, quando intravediamo spiragli di luce eil cammino è piano. Lo siamo quando ci pareche tutto crolli in noi o attorno a noi.

“La speranza non è la convinzione che le coseavranno un lieto fine: è la certezza che le cosehanno un senso”, affermava Vaclav Havel. E il senso lo troviamo in ciò che trascendel’immediato, in un futuro che ci è stato pro-messo e in cui crediamo. La speranza può abi-tare così le logiche del quotidiano, non solocome rifugio alle nostre ansie, ma comecoinvolgimento personale nel costruire la tra-ma dei giorni e degli eventi. Perché la spe-ranza è anche impegno, responsabilità, te-nacia, promozione della giustizia. Speran-za è alzarsi la mattina e credere che, nono-stante la fatica di “mettere insieme tanti pez-zi della vita”, non siamo tuttavia “frammen-

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AMORE E GIUSTIZIA

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Testimoni

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sposte. Dall’illuminismo in poi, nella cultu-ra, soprattutto occidentale, è prevalsa la pri-ma che si è tramutata in una fenomenaleeuforia nei confronti della scienza per cuitutto ciò che non è immediatamente verifi-cabile non soltanto va messo tra parentesi,ma neppure deve essere preso in conside-razione dal pensiero serio; tutto ciò che noncade sotto il potere analitico della verifica èmistero, cioè non senso e va rimosso. Il do-minio della prima attitudine spiega perchési viva nell’assenza o nell’oscurità del senso. Oscurità, che secondo il gesuita Giandome-nico Mucci, coinvolge soprattutto il futurodella persona oltre la morte. L’editorialista della Civiltà Cattolica sottoli-nea che la cultura moderna ha decostruitola morte, non l’ha certo negata, ma l’ha resairrilevante come cosa da cui distrarsi. L’odierna cultura postmoderna nega ognipossibilità della vita oltre la morte e insegnache ogni cosa appare e scompare, come allatelevisione. Ogni cosa, relazione, decisioneè transitoria, reversibile, ad essere immor-tale è proprio la transitorietà. La pratica di congelare gli embrioni per riu-tilizzarli con la fecondazione in vitro alimen-ta la speranza di far ripartire i processi vita-li su scala cellulare per ottenere l’immorta-lità del proprio corpo con il congelamento.Si deve riconoscere che non c’è nulla di piùantireligioso di chi si affida a una speranzadi risurrezione scientifica.Remo Bodei, filosofo contemporaneo, osser-va che «in tanti non credono più alla vita

Testimoni di speranza

Mara Borsi - Palma Lionetti

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L’ultimo film di Clint Eastwood, Hereafter, af-fronta interrogativi importanti sulla vitaconfrontandosi con la morte, quella verifi-cata (da Marie), quella subita (da Marcus),quella condivisa (da George). Il film prende atto che la vita, così come lasperimentiamo nello scorrere dei giorni, haun termine. Lo sceneggiatore della pellico-la Peter Morgan afferma: «Ho scritto il filmdopo la morte di un mio carissimo amico. (...)Al suo funerale ho pensato quello che for-se pensavano tutti: dov’è andato?Ho voluto scrivere una storia che ponessedomande come questa».

Cosa c’è oltre la vita?

Sul tema della vita oltre la morte, Eastwoodoffre un approccio umanistico, capace di ac-costare i dolori universali e di vincerli nonin modo consolatorio ma stringendosi intor-no ai valori del quotidiano, l’amore, la con-divisione, la fiducia, la letteratura come ter-ritorio che lega i vari secoli e ci rende più vi-cini uomini e donne del passato. Si tratta diun forte invito a recuperare quella “verità”e quella “bellezza” che veramente possonosalvare il mondo. Un film per affrontare la domanda più radi-cale sul futuro: che ne sarà di me?

Nella persona umana di ogni epoca esisto-no e si stimolano a vicenda due attitudini.L’una vuol conoscere il presente sensibile,usabile, praticabile. L’altra vede quanto sialimitata questa conoscenza e cerca altre ri-

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AMORE E GIUSTIZIA

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dopo la morte, sia perché hanno convinzio-ni di tipo ateo o agnostico, sia perché, purprofessando una religiosità, intimamente sisono distaccati dalla visione della Chiesa. La vita nella cultura contemporanea è mol-to più radicata in questo mondo che inquell’altro. Ciò che dispiace è perdere que-sto mondo. Di quell’altro, non dico chenon ci si interessa, ma per molti la morteoggi è senza la speranza della resurrezio-ne mentre, per chi crede, l’adesione alla re-ligione finisce spesso per assomigliarepiù a una polizza di assicurazione che nona una fede profonda».Giudizio tagliente questo di Bodei. Nascespontanea una domanda: e noi FMA ope-riamo nella storia con lo sguardo rivoltoalla vita eterna? O anche per noi la vita ol-tre “questa vita” rischia di essere una ve-rità dimenticata? Ogni epoca e ogni persona deve riaprire e

ripercorrere i sentieri del senso della vita,della morte, della sofferenza. I sentieri delsenso passano per il dono, asse portantedella storia di Dio. Nel Vangelo il verboamare si traduce sempre in un altro verbo:“dare”. «Dio ha tanto amato il mondo dadare il Figlio unigenito» (Gv 3, 16). «Non c’èamore più grande che dare la vita» (cf Gv15, 13). Il senso dell’esistenza che ciascu-no è chiamato/a a scoprire è essere nellavita datori di vita. A uno, ad alcuni, a molti. Vivi se dai vita.

Caterina

Caterina ha compiuto 26 anni il 9 giugno. È av-venuto in un letto d’ospedale, potendo pro-nunciare qualche sillaba, e versando lacrimedi gioia e dolore nel sentire la sua voce, quan-do cantava, per gli incontri degli universita-ri, per qualche occasione speciale. Ridendodelle battute di qualche libro, o di chi le fa

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sponde benissimo. Salvo il fatto che per dire“sì” dice “A!” (perché la “s” è difficile da pro-nunciare), mentre pronuncia bene il “no”.Dunque, sua mamma, Alessandra, ieri stavaparlandole di alcune cose e Caterina – ca-pendo tutto bene – rispondeva, anche conrisate ed esclamazioni varie che rientranonella sua ampia espressività.A un certo punto Alessandra le ha chiesto:“Ma tu, Cate, vuoi bene a Gesù?”. Non ave-va neanche finito la domanda che Caterina,

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compagnia da mesi al Careggi di Firenze.Il 12 settembre 2009 il suo cuore si ferma, in-spiegabilmente. Aritmia fatale. Rimane fer-mo per un’ora e mezza, eppure, contro ognisperanza umana, contro ogni evidenzascientifica, il suo cuore riprende a battere,e lei è viva. Viva!Ma come? Con quali conseguenze? La sua vitaè distrutta, forse? No, perché subito attorno alei si forma un cerchio di amore, assistenza,compagnia, preghiera fiduciosa nella Ma-donna. Nessuno l’ha mollata. Non i genito-ri, non i fratelli minori, non gli amici.Caterina è fortunata, perché ha attorno chila ama. Ama talmente tanto da non perde-re la speranza né tantomeno la fede. Talmen-te tanto da gioire per ogni piccolissimopasso che compie. Caterina è una ragazza qualunque. Prima ditre figli, ha studiato architettura. Non si è lau-reata perché il suo cuore s’è fermato a 12giorni dalla laurea, quando tutto era pron-to, anche lei, felice. Sognava, cantava in casaquando era di buon’umore e quando era dicattivo umore si chiudeva nel suo mondo disilenzio, un silenzio profondo, di riflessio-ne, di preghiera, di ricerca della profonditàdella vita. Un po’ brusca nei modi, ma conun sorriso ed una risata ammalianti, affasci-nanti. Questa è Caterina. Una ragazza cometante. Una donna, che ha ricevuto il donodella vita due volte: alla nascita, e quel 12 set-tembre, ed ogni giorno a seguire, quandopersone e persone, in centinaia e poi mi-gliaia, le si sono avvicinate per mostrarlecomprensione, affetto, condivisione, com-passione, preghiere. Incredibile. Poteva ac-cadere a chiunque.Antonio Socci, noto giornalista italiano epapà di Caterina, sul suo blog il 18 gennaio2011 scriveva: «Dovete sapere anzitutto cheCaterina è in grado di comunicare con il “sì”e il “no”. Facendole delle domande lei ri-

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con quella prontezza che si ha solo per lecose che ardono nel cuore, le ha rispostocon i suoi occhioni che si riempivano di la-crime: “A!!! A!!!”. Dalla sua croce, commos-sa e ardente come è sempre lei, Caterina harinnovato questa appassionata dichiarazio-ne d’amore al Salvatore.Sinceramente è difficile non restarne tocca-ti (soprattutto per chi ha visto gli occhi di Ca-terina)». La storia di Caterina Socci e dell’in-crollabile fiducia della sua famiglia ci invitaa dare di più. Donare di più. Amare di più. Sperare di più, credere di più.Anche nelle situazioni più difficili e doloro-se la vita non finisce. Rinasce.

L’impensabile

La speranza cristiana è rottura, attende unesito ultimo che non è il risultato di una con-tinuità di progressi preparati solo dall’azio-ne politica, tecnica, scientifica. La speranza è sì la passione per il bene pos-sibile, per il sorriso possibile, per un mon-do migliore possibile. Perché il mondo puòcambiare, le persone possono essere miglio-ri. Tuttavia essa non è solo l’attesa di un benearduo ma possibile. La nostra speranza è legata al Dio vivente. Il Vangelo invita a sperare l’impossibile.La speranza del futuro è fede nella possibi-lità dell’impossibile. Accade l’impossibile? Sì accade. Non con risultati spettacolari, macon il prodigio quotidiano di un amore chenon si arrende; che anche se non ferma la vio-lenza, non si arrende; che anche se guerra efame continuano, come ieri e sempre, non sipiega. La speranza è un passo in più, un an-dare un po’ oltre. È la bellezza di Gesù quan-do dice: non arrenderti, non tornare indietro,non peccare mai contro la speranza perchél’impensabile è avvenuto.«La risurrezione di Cristo è un fatto avvenu-to nella storia, di cui gli Apostoli sono stati

testimoni e non certo creatori. Nello stessotempo essa non è affatto un semplice ritor-no alla nostra vita terrena; è invece la piùgrande “mutazione” mai accaduta, il “salto”decisivo verso una dimensione di vitaprofondamente nuova, l’ingresso in un or-dine decisamente diverso, che riguarda an-zitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anchenoi, tutta la famiglia umana, la storia e l’in-tero universo: per questo la risurrezione diCristo è il centro della predicazione e del-la testimonianza cristiana, dall’inizio e finoalla fine dei tempi […]. La sua risurrezioneè stata dunque come un’esplosione di luce,un’esplosione dell’amore che scioglie lecatene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensionedella vita e della realtà, dalla quale emer-ge un mondo nuovo, che penetra continua-mente nel nostro mondo, lo trasforma e loattira a sé.Per questo occorre tornare ad annunciarecon vigore e gioia l’evento della morte e ri-surrezione di Cristo, cuore del Cristianesi-mo, fulcro portante della nostra fede, levapotente delle nostre certezze, vento impe-tuoso che spazza ogni paura e indecisione,ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Diopuò venire il cambiamento decisivo delmondo» (Benedetto XVI, 19 ottobre 2006).Alla domanda: «Dov’è cristiani la vostra spe-ranza?» si può rispondere come afferma-va Dietrich Bonhoffer: «Cristo nostra spe-ranza: questa formula di Paolo è il sostegnodella nostra vita».La speranza cristiana è fondata sulla soliditàdella resurrezione di Cristo che ha dato unarisposta definitiva alla speranza umana: lamorte non ha più l’ultima parola. E se la speranza della resurrezione è il pro-prio della nostra fede, è anche l’unico verodebito che abbiamo di fronte agli uomini ealle donne del nostro tempo, davanti ai qua-

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Abbiamo chiesto ad una giovane:In questo momento della tua esistenza cosa significa avere speranza?

Avere speranza in questomomento della mia vitasignifica coltivare una fidu-cia grande nel futuro e inuna felicità possibile oggi. È avere la forza (che non èla mia, ma che mi vienedonata!)..di “stare” in que-sta attesa, di cercare que-sta felicità senza scorag-giarmi. Speranza è crede-re a ciò che sembra impos-sibile, ma avere l’audaciadi provarci lo stesso... ècredere in un lavoro digni-toso come espressione disé e servizio agli altri, ècredere nelle relazioni“per sempre” nonostantela fatica, è credere e colti-vare il sogno di una fami-glia, è credere nella bontàdella vita mia e dell’uomoin generale.Sperare è alzarsi la matti-na e credere che nono-stante la precarietà, la fa-tica a mettere insiemetanti pezzi della mia vita,non sono “frammentata”,ma che c’è una unità eche tutto ciò che accade,le esperienze, gli incontrisono dentro un progettoanche quando non lo

vedo o sperimento la fa-tica di costruirlo.C’è però un altro aspettodella speranza che mi pia-ce e che sento molto mio:l’aspetto della responsabi-lità… il “tempo sognato”che bisogna sognare! Questo mi spinge a non re-stare a guardare, la speran-za ha bisogno di gambe, dicontagio. La speranza nonè un “fatto privato”, madesiderio che ci sia una“felicità per tutti”. E questo genera impegno,tenacia, coraggio, capacitàdi spendermi per la giusti-zia, è voglia di prendereposizione per i valori incui credo. È avere speran-za nello Stato e nella poli-tica, nella partecipazione enel dialogo con tutti gliuomini, sapendo coglierein maniera critica, ma confiducia i rischi e le oppor-tunità delle trasformazionisociali di questo tempo.L’impegno e la responsabi-lità mi aiutano a non scam-biare la Speranza per inge-nuo ottimismo! Certo nonè semplice: basta guardareun Telegiornale, basta spe-

rimentare giorni di fatica,basta un’ennesima delu-sione. A volte tutto è resopiù difficile dall’aria di “di-sperazione” e rassegnazio-ne che si respira a tanti li-velli. Quando mi scoraggiomi viene sempre da pensa-re ad alcune esperienzedella storia in cui proprio icristiani hanno provato ad“osare” con speranza unmondo diverso. Penso al-l’esperienza di un gruppodi giovani (sottolineo gio-vani) politici italiani che inpieno fascismo, a Camal-doli, si è fermato a sogna-re una democrazia per l’I-talia scrivendo nel Codicedi Camaldoli quei principiche poi sarebbero diventa-ti la nostra Costituzione.Penso ancora al vento dinovità del Concilio, quan-do la Chiesa ha avuto la for-za di gettare sul mondouno sguardo ricco di spe-ranza. In fondo non eranotempi meno brutti dei nostri(anzi!), e allora forse nonsono i tempi a fare la diffe-renza, ma le persone.

Maria Grazia Vergari,Formatrice Azione Cattolica

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li siamo chiamati a confessare con la vita chela morte non è una realtà definitiva.

La grande speranza

Qualcosa contesta a fondo la speranza, enon è la fatica di vivere… ma la morte!«La risposta alla contestazione della morteè la risurrezione. La fede nella risurrezione è il motore dellasperanza. Cristo non è solo il Risorto al pas-sato, egli è un ininterrotto risorgere, il risor-gente ogni giorno, risurrezione che accadeora nel cuore dell’essere» (E. Ronchi). Anche Felice, un giovane ventenne, vede larisurrezione «come una seconda opportu-nità, un dono unico che ci permette di vive-re con la consapevolezza di ciò che è la mor-te, ma dando alla vita più valore». Michelapoi pensa alla risurrezione come ad “unanuova vita”, alla possibilità di imparare daessa a ri-sorgere ogni giorno. «La risurrezione così diventa un’esperienzaquotidiana, è alzarsi ogni giorno, chiamati dalfuturo, combattendo la morte quotidianadentro di noi, in lotta contro ciò che uccideo scolora la vita» (E. Ronchi).Forse, pastoralmente parlando, quando alcu-ni contenuti di fede come questi non sonopiù “contenuti da trasmettere”, ma raccontiche fanno pensare, che illuminano ciò che sista vivendo, collegati con gli avvenimenti quo-tidiani, allora i giovani impareranno ad espri-mere la fede non attraverso frasi fatte, ma inrelazione diretta con la propria esperienza. La fede non si esprime in forme di debole ras-segnazione di fronte alle difficoltà, e neppu-re propone una negazione della felicità uma-na, ma introduce l’unica speranza in grado diandare oltre la barriera della morte. La pienezza della vita terrena, pur con le fe-rite della condizione umana del peccato, of-fre i segni di un’anticipazione della vita eter-na, la quale è già resa presente e vivace nel

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mondo dallo Spirito del Cristo Risorto.Il compito educativo tra i giovani è anche quel-lo di aiutare a interpretare la vita dall’inizio allafine. Una lettura umana della vita e della mor-te aiuterà ad aprire il cuore e la mente dei gio-vani verso nuove forme di solidarietà e di spe-ranza, sostenuti da valori più grandi dei pro-pri bisogni e capaci di manifestare passioneper il mondo e desiderio di vita eterna.

Beniamin

Come tanti altri ragazzi, Beniamin cominciaa frequentare il Don Bosco Zentrum di Ber-lino-Marzahn (Germania) perché è fuoridal circuito scolastico e non ha neppure lostraccio di un lavoro. Come altri suoi coeta-nei non è battezzato, non sa nulla di Gesù.È nato nella grande periferia di Berlino Est el’influsso del comunismo con il suo dichia-rato ateismo è ancora molto forte.Beniamin fa amicizia con i Salesiani e con

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suor Margareta che lavora con loro. Sul vol-to sempre una vena di malinconia e di stan-chezza. Improvvisamente sparisce. Passauna settimana, due, tre, i volontari e gli edu-catori cominciano la ricerca. Lo trovanodopo un mese. Si era volatilizzato per nondover dire di essere malato. Un cancro chea diciannove anni ti porta via la vita. Non vuo-le nessuno per condividere il dolore e la sof-ferenza. Ma i Salesiani, i volontari e suor Mar-gareta non mollano. Qualche giorno primadi morire, Beniamin chiede a suor Marga-

Nel DNA del cristiano lasperanza è l’elemento di-stintivo che fa la differenza.Il cristiano è l’uomo chenella capacità di speraretrova la verifica alla sua fede. Si riconoscono facilmentele persone della speranza:sono quelle intorno a cui cisi raccoglie volentieri, per-ché attraverso la loro fidu-cia nella vita anche gli altrisono aiutati a leggere glieventi in positivo. Uomini e donne pronti adonare, ad accogliere, adascoltare, a mettersi inmoto per risolvere i proble-mi, da quelli piccoli a quel-li più grandi che riguardanola vita della comunità. E di-ciamolo: in questi tempidifficili e incerti si sta tanto

bene con la gente che sasperare. Non potremmo vi-vere senza questi maestridella speranza che nellafede sanno darci l’esempiodi un modo di pensare cheoggi è davvero in “contro-tendenza” con molti com-portamenti sociali semprepiù diffusi: dall’autorefe-renzialità alla dipendenzada sostanze, dalla fragilitàculturale, spirituale, familia-re e valoriale fino a quellaeconomica. Molto modestamente perme la speranza è un eserci-zio. Mi aiuta a guardareavanti senza dimenticaremai che, fatti i conti con inostri problemi, c’è la prov-videnza che tira il rigo fina-le. Ogni tanto sono un po’

giù di tono e mi accorgoche è importante ripren-dere ad “esercitarsi”. Senzaperdere di vista il cielo. È importante essere credi-bile nel vivere la speranzanon solo come rifugio dal-le ansie ma come logicadel quotidiano. Bisogna metterci impegnosoprattutto per essere dav-vero credibili agli occhi deifigli che apprendono dall’e-sempio di vita e non dalleparole. A loro dobbiamo la capacitàe il dovere di essere “testi-monial” di speranza. A vol-te anche contro ogni logica.Così come fa Dio quandoirrompe nella nostra vita.

Miela Fagiolo, giornalista,Popoli e Missioni

reta di scrivere il suo nome su un foglietto.Alla domanda del perché quella curiosa ri-chiesta risponde: «Se tu scriverai il mionome sul foglietto io quando arriverò daGesù glielo darò e lui vedendo il mio nomecon la tua calligrafia forse mi riconoscerà».Beniamin è morto stringendo tra le mani ilfoglietto con il suo nome. Desiderava esse-re riconosciuto da Gesù.

[email protected]@gmail.com

Abbiamo chiesto ad un’amica giornalista: Cosa significa per te in questo momento della tua esistenza avere speranza?

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diche. Egli si prende a cuore le persone, sifa carico delle loro esistenze, si prende curadi loro. Le sue parole cercano il cuore, l’in-contro. I suoi sono gesti di amicizia».

Gesù e l’arte dell’accompagnare

Il priore di Bose, Padre Enzo Bianchi in unasua riflessione, dal titolo Gesù Educatoresottolinea come in Gesù ci sia un’arte di in-contrare l’altro, nel comunicare con l’altro,nel tessere con l’altro una relazione.Da lui possiamo imparare l’arte dell’accom-pagnare, ma come lui dobbiamo esserepersone credibili, affidabili. «La credibilitàdi Gesù nasceva principalmente dal suo ave-re convinzioni e dalla sua coerenza tra ciòche pensava e diceva e ciò che viveva e ope-rava». Gesù inoltre si è spogliato e abbas-sato pur di entrare in dialogo: «Non conse-gna mai a chi incontra una verità astratta, maistaura innanzitutto con lui/lei una relazio-ne umana, nella quale il momento concre-to dell’incontro è un kairos, nel pieno sen-so della parola biblica. Il suo è un comuni-care in “situazione” e apre un dialogo maè sempre preceduto da un cammino di ab-bassamento, di condiscendenza, che rinno-va quel cammino di kenosis, da lui percor-so per passare dalla forma di Dio alla formadi uomo come noi. Gesù si fa viandante, pellegrino, frequen-tatore della tavola dei pubblicani. Primo ef-fetto dell’incontro con Lui è l’interrogarsi sucosa si cerca, su cosa si vuole, su cosa bru-

Il bisogno di essere accompagnatiAnna Rita Cristaino

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Prendersi la responsabilità del proprio esi-stere è una delle sfide che le nuove gene-razioni devono affrontare. La caduta di sen-so nelle scelte quotidiane, la scomparsa dimotivazioni sufficienti per affrontare ognigiorno la vita, sono esperienza oggi moltodiffuse e profonde.Si percepisce allora come sia forte l’esigen-za di accompagnamento nei giovani. Nelle Linee Orientative della MissioneEducativa delle FMA al n° 111 si legge: «Larelazione di accompagnamento aiuta adinterpretare in modo positivo le situazio-ni del proprio ambiente, le vicende del-la storia personale e sociale, insegna adaccoglierle criticamente e a viverle con fi-ducia e amore alla vita». Nelle nuove generazioni è ancora forte ildesiderio di una vita interiore, cercanoqualcosa che li aiuti a trascendere dal ma-teriale e dal contingente e che porti ad unavita spirituale profonda. Hanno impresso ildesiderio di Dio anche se molto spesso nonsanno invocare il suo nome. Paolo Gambini, nel testo edito dalla Elledi-ci, In cerca di autenticità, itinerario spiritua-le per giovani cristiani dice come Gesù hasempre abbinato l’annuncio del Regnocon la proposta della sua amicizia. Gesù «sabenissimo che al di fuori di una relazioneaffettivamente significativa non esiste comu-nicazione profonda. Per poter condividerela propria realtà essenziale c’è bisogno diuna fiducia reciproca. Così Gesù non fa pre-

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sconnesso ditanti malati dimente».

Facilitare la relazionecon Dio

Sono in aumen-to i giovani chesono alla ricer-ca di personecon le quali con-frontarsi, allequa li poter rac-contare la pro-pria esperienza.Lo scopo dell’ac-compagnamentospirituale è quellodi mediare e facili-tare la relazione

con Dio. Chi chiede di essere accompagna-to e chi si offre per accompagnare hannouno stesso obiettivo: l’incontro e la seque-la di Cristo, il discernimento della volontàdi Dio, la pienezza della vita cristiana. Mac’è un altro protagonista, il più importan-te: lo Spirito Santo. È la vera guida che agendo nell’intimo di cia-scuno, li assimila a Cristo orientando ver-so il Padre. La scelta dell’accompagnamen-to è intesa a far scoprire e vivere la chiama-ta di Dio ridefinendo la propria vita secon-do la novità della fede. Solo una vita vissu-ta come riposta al sogno di Dio può esse-re una vita ricca di senso, in un continuodono gratuito. I giovani chiedono di non essere lasciati soli.Hanno bisogno di qualcuno che sia loro vi-cino senza però essere loro uguale. La co-munità adulta deve riappropriarsi del suocompito educativo per continuare ad offri-re ragioni di vita ai giovani.

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cia nel cuore. “Cosa cercate?”. “Donna chicerchi?” “Che discorsi state facendo?”». Ed è significativo che i discepoli siano chia-mati da Gesù amici, in una vera e propria re-lazione d’amore. Infine l’ultimo tratto di Gesù che sa accom-pagnare verso l’incontro con il Padre, è lasua accoglienza. «Gesù sapeva incontrareveramente tutti. Sapeva creare uno spaziodi fiducia e di libertà in cui l’altro potesseentrare senza provare paura e senza sentir-si giudicato. Gesù creava uno spazio acco-gliente tra se stesso e l’altro che veniva oche lui andava a cercare. Quando Gesù incontrava l’altro, cercava dicreare un clima relazionale, consentiva al-l’altro di emergere come persona e sogget-to, non lo giudicava mai, ma sapeva coglie-re il linguaggio di cui l’altro era capace: il lin-guaggio corporeo della prostituta, il linguag-gio espresso dalla donna emorroissa con ilfugace tocco del suo mantello, il linguaggio

sconnesso ditanti malati dimente».

Facilitare la relazionecon Dio

Sono in aumen-to i giovani chesono alla ricer-ca di personecon le quali con-frontarsi, allequa li contare la pro-pria esperienza.Lo scopo dell’ac-compagnamentospirituale è quellodi mediare e facili-tare la relazione

con Dio. Chi chiede di essere accompagna-to e chi si offre per accompagnare hanno

cia nel cuore. “Cosa cercate?”. “Donna chi

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cuote positivamente anche sullo svilupposociale, poiché si motivano le persone a dar-si da fare, a intendere la vita come dono ecompito, ad andare oltre le consuetudini. Per questo le attività delle FMA si conno-tano sì come risposta a richieste che arri-vavano da molte persone, vescovi, parro-ci, enti, consigli comunali, privati, che de-sideravano una loro presenza per rispon-dere a determinate esigenze, ma non dirado esse proponevano e propongono undi più, spontaneo, non retribuito.

Talora l’offerta supera la domanda

Un esempio classico è l’oratorio, che pertanto tempo le FMA hanno cercato di assi-curare nelle trattative delle convenzioni. A volte non solo non era richiesto, ma nep-pure appoggiato, perché al di là della men-talità locale. Il senso di responsabilità edu-cativa ha spinto allora a dare di più, ad an-dare oltre con un’offerta superiore alladomanda, per un amore verso le giovaniche tende a dare ciò che è riconosciutocome bene. L’ambito della socializzazione,dell’associazionismo, del tempo libero ri-manda più immediatamente alla gratuità, emanifesta come affidabili le persone che sidedicano “oltre” i tempi previsti, con l’uni-co scopo di star bene con le giovani, perpromuovere il loro bene.Con una grande varietà di opere attinentiall’istruzione, alla formazione al lavoro, al-l’assistenza nelle più diverse accezioni, al-

Il contributo delle FMA alla formazione delle giovani in Italia Grazia Loparco

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Il 150° dell’Unità d’Italia ha dato occasionedi attuare una ricognizione sulle FMA, sul-le loro case e sulle opere registrate dalle ori-gini al 2010 nell’Elenco generale. Così, senza retorica, i dati e i numeri indi-cano in quale misura le FMA abbiano con-tribuito a “fare le italiane” con l’educazio-ne. Fa un certo effetto leggere che in 140anni le FMA italiane – 13.583 – professe sonostate presenti in 1162 case di 19 regioni.

Dalle parole ai fatti

La varietà delle opere è il miglior commen-to all’impegno salesiano di essere atten-te alle esigenze delle giovani concrete,specialmente delle fasce popolari, nellediverse situazioni di vita, di studio, di la-voro; nei diversi contesti regionali e lo-cali, di città o di paesi isolati; nei diversiperiodi, nella condizione di stabilità o dimobilità ed emigrazione.La qualità civile del contributo salesiano èconnotata da una dedizione educativa chescaturisce da una motivazione religiosa, percui le FMA si sono sempre sentite respon-sabili di una missione ricevuta: aiutare legiovani a scegliere ciò che può far felice nel-la vita, preparandosi con una formazioneculturale, professionale, assunta comeespressione di responsabilità dinanzi a sestessi, alla società, a Dio. La sollecitazione a una vita operosa, propo-sitiva, con un senso del dovere assunto pri-ma della rivendicazione dei diritti, si riper-

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l’associazionismo nella sua evoluzione, al-l’oratorio nella sua articolazione, le FMAhanno inteso favorire la formazione dell’in-tera persona a partire da qualsiasi aspetto siprivilegiasse secondo le circostanze. Sceglie-re la modernità dei mezzi è segno dello sta-re dalla parte delle ragazze meno avvantag-giate, per favorire lo sviluppo insieme per-sonale e sociale, il guardare avanti. In particolare si potrebbe notare come leFMA abbiano inteso formare donne per lafamiglia, sagge amministratrici; ma anchemolte educatrici, specialmente maestre edunque moltiplicatrici di una visione del-la persona e dell’educazione, ma anche ani-matrici, catechiste, laiche impegnate comeex allieve e benefattrici.

Una rete di unificazione

Fino ad alcuni decenni fa un impedimentoper le ragazze era dato dalla necessità dispostarsi per motivi di studio o di lavoro:l’impegno delle FMA nei convitti, pensio-nati, collegi, ha certamente favorito la loromobilità e di conseguenza un’aperturamentale, un contatto con persone e abitu-

dini diverse. La rete delle opere salesianenell’intero territorio nazionale ha costi-tuito così una rete di unificazione tra le gio-vani di diverse regioni intorno ad alcuni va-lori, devozioni, associazioni, modelli edu-cativi, letture, attività e così via.Tanta operosità ha manifestato di fatto cheessere buoni cittadini e cristiani nella visio-ne salesiana non è mai stato antitetico. Già don Bosco, benché lontano da una po-litica attiva all’interno del processo storicoche maturò l’unità, con la sua opera educa-tiva e popolare ha costituito un non trascu-rabile coefficiente di sviluppo del paese, ri-conosciutogli dagli stessi “avversari”. Non a caso anche Papa Benedetto XVI, inoccasione del 17 marzo 2011, ha indicatodon Bosco al Presidente Napolitano comeun santo che «modellò l’appartenenza al-l’istituto da lui fondato su un paradigmacoerente con una sana concezione libe-rale: intendeva che le religiose fossero“cittadine di fronte allo Stato e religiosedi fronte alla Chiesa”».

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all’eccesso, e l’idea di felicità è nel potercomperare tutto quello che brilla e che èpiacevole (Cfr. Avvenire, 17/09/2011).

ALLE SORGENTI DELL’AMORE

Il Magistero sociale della Chiesa mette inguardia dall’insidia che un tipo di svilupposolo quantitativo nasconde, perché l’ec-cessiva disponibilità di ogni sorta di beni ma-teriali in favore di alcune fasce sociali ren-de facilmente le persone schiave del posses-so e del godimento immediato.Si corre il rischio di orientare le proprie scel-te verso l’avere anziché verso l’essere, svuo-tando il senso della propria vita.Il consumismo di alcuni contrasta con per-duranti situazioni di miseria disumanizzan-te che colpiscono intere zone del pianeta.L’utilizzo del proprio potere d’acquisto, in-

«…Nulla vada perduto» (Gv 6,12)

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PARLANO I FATTI

Tra corridoi e vetrine. Il centro commercia-le (mall), segno del nostro tempo. È questo il titolo di un libro di Enrique Mar-roquín, presentato al pubblico nel dicembrescorso, poco prima della celebrazione delNatale, una festa che è stata ormai associa-ta da molti allo scambio di doni, alle spesedi ultima ora, al brindisi, al cenone.L’autore, clarettiano e antropologo, intessela rigorosità scientifica con il compito pasto-rale del religioso per focalizzare l’attenzio-ne su uno stile di vita fondato sull’edonismo,il consumismo e altri ismo, che evocano larealtà complessa del cambiamento cultura-le odierno. Nella società del benessere, af-ferma Gianfranco Ravasi nella sua rubrica“Mattutino”, non si fa più nessuna valida di-stinzione tra il lusso e le necessità. Ci sonodei centri commerciali così immensi da es-sere diventati vere e proprie cittadelle. La società opulenta ha travolto il tradizio-nale concetto di ‘esigenze’. Esso rimanda-va alle necessità primarie. Il superfluo eraconsiderato un ‘lusso’, un di più non neces-sario. Ora si è compiuta una svolta: la so-cietà dei consumi non conosce quella di-stinzione e il concetto di ‘esigenze’ o di ‘ne-cessario’ si è dilatato fino ad abbracciare an-che l’opulenza, la sovrabbondanza, il super-fluo, l’accessorio. Si ha, così, una mentalitàsfrenata nell’esigere e questo si rivela nonsolo in sede commerciale, ma anche sem-plicemente umana. Si pretende tutto, fino

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vece, va esercitato nel contesto delle esigen-ze morali della giustizia e della solidarietà edi precise responsabilità sociali: non bisognadimenticare il dovere di sovvenire col pro-prio “superfluo” e, talvolta, anche col proprio“necessario” per dare ciò che è indispensa-bile alla vita dei più svantaggiati (Cfr. Com-pendio DSC, nn.334. 358-360).Il Vangelo ci racconta che Gesù, nel segnodella moltiplicazione dei pani, una volta sfa-mata la folla, disse ai discepoli: «Raccoglie-te i pezzi avanzati, perché nulla vada per-duto. Li raccolsero e riempirono dodici ca-nestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo,avanzati a coloro che avevano mangiato»(Gv 6,12). Nel contesto del brano, è pos-sibile evidenziare un aspetto che illumi-na la nostra riflessione: quando si condi-vide quello che si ha, quando ci si liberadall’egoismo, dall’avarizia, dall’ansia diaccumulare, le risorse avanzano per prov-vedere alle necessità di tutti. Nel mondo, infatti, non mancano i beni,ma si accumulano nelle mani di pochi; nonsi riscontra scarsità di alimenti, ma non tut-

ti possono usufruirne; in un mondo consufficienti ricchezze per sfamare i popo-li, una schiera impressionante di esseriumani muoiono di fame o denutrizioneovvero di malattie derivate dalla man-canza di alimentazione. Solo la forza dell’amore può liberare l’uma-nità dallo spreco, dal consumismo, dalla ten-denza alla sovrabbondanza. L’amore, infatti, genera una coscienza soli-dale fondata sulla giustizia, che si esprimenell’impegno per il bene del prossimo, conla disponibilità a “perdersi” a favore dell’al-tro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” inve-ce di opprimerlo per il proprio tornacon-to (Cfr. Compendio DSC, n.193). È quantoafferma Benedetto XVI in uno degli ultimimessaggi alla FAO, riconoscere il valore tra-scendente di ogni uomo e di ogni donnaresta il primo passo per favorire quella con-versione del cuore che può sorreggere l’im-pegno per sradicare la miseria, la fame e lapovertà in tutte le loro forme.

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Per contrastare il fenomeno del consumi-smo è necessario assumere uno stile divita nel quale la comunione con gli altri,per una crescita comune, orienti le scel-te personali e comunitarie.Antonio Nanni commenta che l’espressio-ne “stile di vita” è spesso utilizzata per ri-ferirsi a ciò che caratterizza permanente-mente ed in profondità il modo di vive-re di un soggetto. Non si improvvisa, nonè fatto di episodi. È lo specchio visibile diun‘etica personale, di un’antropologia. Èla saldatura di tre elementi: una spiritua-lità (come sorgente di senso), un’opzio-ne fondamentale (come finalità che orien-ta), una prassi quotidiana (come con-cretezza di azioni).

A questo riguardo è molto interessante illibro di José Eizaguirre, intitolato Una vitasobria, onesta e religiosa. Proposta per vi-vere in comunità [trad. libera dallo spa-gnolo]. L’Autore, religioso marianista, ar-chitetto, afferma che s’impone oggi uncambiamento nello stile di vita, alternati-vo al consumismo e propone un mezzo:creare comunità di persone consacrateche portino avanti uno stile di vita soste-nibile e solidale, e allo stesso temposano e con una profonda spiritualità,fondato su una comune passione per ilCreatore, per le sue creature e per la crea-zione. Una comunità fraterna di cercato-ri di Dio, un germoglio nuovo, fermentodi un altro mondo possibile qui e ora.

Tocca a me… tocca a noi …

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erogano importanti servizi medici e, un po’meno, anche di sostegno psicologico. Nonmancano iniziative come le Università del-la terza età e Corsi di formazione di variotipo, per consentire alle persone anziane dirimanere “vive” e di continuare a crescerespiritualmente e intellettualmente. Pure nelle Ispettorie dove prima si è veri-ficato il fenomeno, si è cercato di creare eadeguare ambienti per rispondere allenuove esigenze. Molte sorelle vivono serene o rassegnate inquesti ambienti, ma altre li temono e rifiu-tano l’idea di potervi o dovervi andare.L’allungamento della vita, essendo ormai unfenomeno generalizzato, non interessasolo le case di riposo, ma anche quelle inpiena attività. Questa situazione si vive come un disagioinevitabile, anche da parte delle stesse an-ziane, perché sembra che essa annebbi lagioiosità salesiana e freni l’efficienza edu-cativa delle opere. Gli annunci di morte delle consorelle e deiparenti, sempre più ravvicinati, la chiusuradi case ancora fiorenti di opere, le forze cheogni anno diminuiscono, i malanni fisici cheaumentano, ma soprattutto i commentine gativi disseminati ovunque, portano adatteggiamenti negativi e catastrofici. È una realtà che, se la maggioranza dellesuore di una comunità è anziana, richiedequalche attenzione in più e qualche diver-sificazione. Un esempio. Una volta, quan-

Verso altri orizzonti

Maria Rossi

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Uno dei temi ricorrenti nelle riflessioni enelle discussioni degli ultimi decenni, spe-cialmente in Occidente, è l’invecchiamen-to della popolazione dovuto all’allungamen-to della vita e il calo delle nascite. I demo-grafi, osservando le statistiche, lancianoSOS allarmanti. Un Comune del Veneto, untempo fecondo di nascite, in 11 mesi ha re-gistrato 30 morti e 7 nascite.Gli Istituti religiosi che sono in questi ter-ritori, come il resto della popolazione, vi-vono una situazione abbastanza generaliz-zata dell’allungamento della vita e quindidell’invecchiamento dei membri e delle po-che “nascite”. Le Istituzioni dei Paesi inte-ressati e anche quelle dell’Istituto, hannocercato di creare ambienti in grado di ri-spondere alle necessità della popolazioneanziana. Nel nostro Istituto, si è tenuto pre-sente il problema a livello internazionale,per la prima volta, nell’ultimo Capitolo ge-nerale e lo scorso anno si è istituita unaCommissione per focalizzare meglio la si-tuazione e offrire proposte adeguate.Già da tempo, nei Paesi del benessere, doveprima si è verificato il prolungamento del-la vita, sono state costruite case conforte-voli, senza barriere architettoniche, in gra-do di rendere le persone il più possibile au-tosufficienti. Si sono approfonditi e svilup-pati studi geriatrici sia dal punto di vista me-dico e paramedico che da quello psicolo-gico. Si fanno Corsi di formazione per il per-sonale addetto alla cura degli anziani e si

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do si organizzava una uscita comunitaria,tutte partecipavano. Ora, per motivi di etàe di salute, non sempre ciò è possibile, néprudente. Allora, invece di eliminare le usci-te che hanno una valenza positiva, si potreb-be o organizzare un’uscita di mezza gior-nata, oppure, da parte di chi resta a casa,partecipare spiritualmente e vivere questotempo in pace senza colpevolizzare nessu-no e sentendosi comunque “comunità”.Essere comunità non vuol dire fare tutte lestesse cose e avere tutte lo stesso ritmo. Se si dà importanza alla dignità delle per-sone più che all’efficienza delle opere,non sarà impossibile trovare modalità diconvivenza in cui possano star bene sia leune che le altre.L’adeguamento logistico degli ambienti el’organizzazione delle comunità in modoche le persone anziane possano restare ilpiù possibile nelle case dove hanno dona-to e “costruito”, dove sono conosciute ebenvolute; la possibilità di far ricorso a curemediche e paramediche di personale sen-sibile e competente; l’attivazione di inizia-tive che contribuiscano alla formazione ealla crescita intellettuale e spirituale delleanziane, sono cose ottime, necessarie, inparte già realizzate e in parte da perfezio-nare, ma non sono sufficienti. La storia e lefavole raccontano di persone che, pur es-sendo in una reggia, si sentono in gabbia.

L’anzianità è un tempo che va preparato dalontano. Può essere vissuto come una be-nedizione o anche viceversa. Il rischio è cheil tempo, indebolendo e “curvando” il fisi-co, restringa gli orizzonti a quel poco spa-zio di terra sul quale si sta e si cammina. Lepersone che vivono l’anzianità restandopassive e succubi, ripiegate su se stesse,sono portate a vedere solo o quasi il nega-tivo, a sentirsi messe da parte, trascurate, vit-

time del sistema e ad appesantirsi recipro-camente ricordando con nostalgia i bei tem-pi o le ingiustizie subite, brontolando e cri-ticando quanto con fatica e pure imperfet-tamente la comunità porta avanti. “E saràsempre peggio” è un ritornello che può di-ventare una triste giaculatoria. Un altro ri-schio è che le poche giovani, per respira-re un’aria più serena e sfuggire a un climache rasenta la depressione, tendano ad usci-re, a cercare orizzonti diversi, più aperti eanche a incontrare altro.Ma può essere anche diversamente per tut-te e per tutti, specialmente per le personeche vivono con coerenza la loro consacra-zione. Sarebbe da ingenui ignorare le cri-si e negare le reali difficoltà che il vivere l’an-zianità comporta, ma lo sarebbe altrettan-to non vedere gli aspetti positivi che pureci sono. Se una/uno, resta tristemente ripie-gato su se stessa/o, può indurre anchealtre/i a farlo, ma se una/uno solleva losguardo, in qualsiasi situazione si trovi, puòintravedere, anche nella notte più cupa,orizzonti inattesi di bellezza e stimolare al-tre/i a farlo. Può. Dipende molto dalle scel-te che una persona fa. E, finché una è capa-ce di intendere e di volere, può scegliere serestare a rimuginare sui torti subiti o seriempire il cuore, la mente e il tempo cheancora le è donato, di pensieri positivi, dicreatività, di buona compagnia o di solitu-dine orante e serena. L’ambiente fisico e sociale che circonda lapersona è molto importante e ha un fortepeso sulla crescita di chi si affaccia alla vitacome di chi attende il compimento. Ma, so-prattutto per l’adulto, non è determinante.La storia, anche quella dell’Istituto, è pienadi esempi di questo genere. S. Giovanni del-la Croce, ha scritto il suo canto più bello ne-gli anni vissuti nel buio di un carcere mal-sano. Guido Petter, uno dei laicissimi fon-

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amarlo e di servirlo assieme a tante perso-ne generose, originali, piene di carità.

Sarebbe un messaggio profetico e unaprofessione di fede in Dio, l’unico chevale, riuscire a trasmettere, con l’accettazio-ne di quanto la vita ancora dona e la sere-nità, la sensazione che la vita ha senso an-cora, che un bilancio umanamente fallimen-tare non ottura la fonte della fedeltà a Dioe dell’abbandono a lui. Riuscissimo davve-ro a sentire la verità di questo canto di S.Giovanni della Croce: “Io conosco bene lafonte che zampilla e scorre, benché sia not-te!”. E cantarlo nonostante tutto, in una so-cietà che ha il mito della giovinezza, dell’ef-ficienza, del vigore ad ogni costo, magari colviagra e con accanimenti terapeutici. Questo sarebbe un messaggio profetico euna speranza che apre altri orizzonti.Per arrivare a un’anzianità che sprizza scin-tille attorno, oltre a una discreta maturitàumana si richiede anche un aiuto dall’Alto,un aiuto che non manca a chi si rivolge aquel Dio per il quale ha giocato la vita, aquel Dio che è fedele sempre. Una suora serena e abbandonata a Dio di-venta anche per la popolazione anziana checirconda l’opera uno stimolo a non fermar-si al negativo, ma a godere di quanto restae a donare quanto ancora è possibile.Sarebbe pure importante che chi gestiscele opere si convincesse che dare spazi etempi alle suore che hanno donato la vitaa Dio per i giovani, non è togliere nulla aigiovani, ma trasmettere il messaggio che lavita è sacra e va rispettata in qualsiasi for-ma si manifesti e in qualsiasi età; è crearecomunità dove il dialogo intergeneraziona-le, permettendo uno scambio arricchentedi doni e di competenze, consente di vive-re, all’ombra dello Spirito, una vita piena.

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datori e Docente emerito della Facoltà diPsicologia a Padova, morto il 24 maggio scor-so a 84 anni, in un suo recente saggio: Peruna verde vecchiaia, scrive: «Mi sono sem-pre più convinto che sia giusto salutare l’ar-rivo di ogni nuovo giorno come un donoprezioso, e che sia altrettanto giusto e im-portante (oltre che possibile) immergersiquotidianamente in attività piacevoli e signi-ficative, utili a sé e agli altri e lavorare ad essecon impegno, come se non si dovessemorire mai. Proprio così, lo ripeto: come senon si dovesse morire. Ecco questo è il mes-saggio che vorrei trasmettere ai lettori chemi hanno fatto compagnia fino a quest’ul-tima pagina.»Bruno Secondin, noto studioso della vitaconsacrata, soffermandosi alquanto sul-l’attuale problema dell’Occidente, riguar-dante l’invecchiamento e la diminuzione deimembri e delle opere, ha fatto una riflessio-ne sulla possibilità di far emergere la valen-za profetica insita nella vita consacrata an-che in questo periodo della vita. E questo sia dal punto di vista personaleche delle Istituzioni. In una sua riflessio-ne, chiede e si chiede: «Perché non crede-re alla valenza profetica dell’ars carisma-tica moriendi?». Non si tratta di morire insanta pace, senza disturbare, come qual-cuna si augura, ma di vivere e morire spriz-zando ancora scintille attorno, senza la-sciarsi cadere le braccia.

Sprizzare scintille di sapienza dolce e mitecome le persone anziane generalmente san-no donare; di fede trasparente che ricono-sce che solo Dio è il valore e la sostanzadella vita; di umile testimonianza fatta diopere e di giorni che solo per Dio hanno pre-so forma e nel grembo di Dio si depositano;di gratitudine per essere state fatte degne di

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maCHE BELLO È SAPERE

CHE GESÙ TI CERCA,FISSA IL SUO SGUARDO SU DI TE,

E CON LA SUA VOCE INCONFONDIBILE

DICE ANCHE A TE:«SEGUIMI!»

BENEDETTO XVI

INCONFONDIBILE

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IL SIGNORE VI VUOLE BENEE VI CHIAMA SUOI AMICI

(BENEDETTO XVI)

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IL SIGNORE VI VUOLE BENEE VI CHIAMA SUOI AMICI

(BENEDETTO XVI)

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NON CONSERVATE CRISTO PER VOI STESSI! COMUNICATE AGLI ALTRI LA GIOIA DELLA VOSTRA FEDEBENEDETTO XVI

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Linea diretta con alcune FMA di America Latina e Asia

I giovani: gioia e speranza

Mara Borsi

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Qual è stata l’esperienza pastorale più significativa per te?

Suor María da Paz Milanez, BrasileA Fortaleza sono stata coordinatrice pastora-le nella parrocchia del quartiere Parangaba.Il lavoro con i giovani è stato entusiasmante,ero sempre in mezzo a loro, camminavo conloro, li ascoltavo per dare spazi di giusto pro-tagonismo.

Suor Ayumi Nagase, Giappone L’incontro con ragazzi e ragazze di un’operasociale dove accogliamo ragazzi in difficoltàmi ha segnato come persona e come educa-trice. Il quotidiano vissuto con loro mi ha aiu-tato ad avere pazienza ma soprattutto a cre-dere nella forza dell’amore.

Suor Pia Kang Hong Ran, CoreaL’esperienza pastorale più significativa è sta-ta animare il gruppo di volontariato della scuo-la. Visitare gli anziani soli che abitavano nelquartiere, preparare spettacoli per gli ospitidel pensionato sociale, dare una mano per idisabili sono state attività di vera e propriaumanizzazione.

Suor Consuelo Escalante, HondurasIl lavoro in équipe a Chalchuapa e Tegucigal-pa è stato per me una vera scuola. Mi sono tro-vata in un gruppo forte e con un obiettivochiaro: promuovere lo sviluppo di bambinee ragazze in difficoltà.

Suor Wismary Kharbihkiew, IndiaTutte le esperienze sono state positive, sonoin difficoltà ad evidenziarne una.

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AMORE E GIUSTIZIA

Nel lavoro pastorale ho costatato la disponi-bilità e l’apertura dei giovani.

Suor Clara Alacapa, FilippineLavorare e condividere la vita con i giovanigiorno e notte, ora dopo ora nella comunitàdi San Ezechiele Moreno situata in una zonarurale in Baranggay Macarascas, Puerto Prin-cesa, Palawan.

Suor Denize Salvador, Brasile Avrei tante cose da dire, ma scelgo la parteci-pazione all’équipe di animazione del Movi-mento Giovanile Salesiano. Ho collaborato nelcoordinamento per lo Stato di Santa Caterinaper due anni, occupandomi in particolare de-gli itinerari formativi dei giovani animatori.

Quali sfide, bisogni, aspettative ti sei trovata ad affrontare nella missione tra i giovani?

Suor Maria da PazLa realtà giovanile è segnata da conflitti e dadiverse possibilità di scelta. La sfida da affron-tare è rendere consapevoli i giovani che la vitaha senso e va promossa in tutte le sue dimen-sioni. Più precisamente direi: coinvolgere i gio-vani nel lavoro pastorale, accompagnarli peressere agenti di trasformazione del proprioambiente sociale e della comunità ecclesiale.

Suor AyumiLa sfida nella mia realtà è far respirare un au-tentico spirito di famiglia. I/le ragazzi/e neces-sitano di un accompagnamento che facciaprendere coscienza che hanno la forza e lapossibilità di costruire il proprio futuro anchedi fronte alla precarietà e alla solitudine.

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Suor PiaIn Corea l’educazione è orientata alla cono-scenza e l’educazione integrale è debole. Anche la fragilità della famiglia e l’aggressivitàdei media, di Internet, influiscono sulla cre-scita dei ragazzi. Sono queste le sfide che sidevono affrontare nella missione.

Suor ConsueloOltrepassare il muro dell’opera è importan-tissimo. Non basta avere ragazzi/e a scuolaseppur per diverse ore, giorni e mesi. Per ar-rivare a incidere nella vita bisogna conosce-re i loro mondi vitali.

Suor WismaryNel Nord Est India i/le giovani si trovano adaffrontare problemi gravi: disoccupazione,servizi educativi inadeguati, abbandono sco-lastico, lavoro minorile, mancanza di orienta-mento, gravidanze adolescenziali, matrimo-nio precoce. Queste situazioni naturalmen-te sfidano il nostro modo di educare.

Suor ClaraLa realtà più forte da affrontare è la povertàsia per noi FMA che per i giovani. Indispensabile perciò realizzare un’edu-cazione di qualità per permettere ai ragaz-zi più emarginati di migliorare la qualità del-la loro vita.

Suor DenizePenso che una delle sfide più significative èessere capaci di ascoltare veramente i giova-ni, essere una presenza significativa tra loro.Conoscerli come sono, senza pregiudizi.

Quali segni di speranza intravedi nella realtà giovanile del tuo contesto?

Suor Maria da PazNella realtà in cui vivo e lavoro come FMAvedo la gioventù come terra promessa, oriz-zonte aperto, come un arcobaleno che ti stasempre davanti e si allontana mentre tu gli vaiincontro.

Suor Ayumi Credo fermamente che nella gioventù giappo-nese ci sono ideali forti, desiderio di vita pie-na. Speranza è far capire loro che è possibilee giusto sognare e che spesso i sogni si pos-sono realizzare se c’è un impegno forte di vita.

Suor PiaNonostante le difficoltà della relazione edu-cativa quando bambini e ragazzi sentono cheil nostro accompagnamento è sincero e cheagiamo per il loro bene, trovano la forza di im-pegnarsi per essere dono per gli altri.

Suor ConsueloCiò che alimenta la mia speranza è costatareche i giovani cercano Dio, sono attirati dallaverità, da valori autentici. Si avvicinano a noieducatrici con semplicità e apertura, ma da noisi aspettano una risposta profonda, guai a tra-dirli su questa aspettativa. Un altro segno disperanza è la solidarietà che esiste tra i pove-ri, il loro desiderio di collaborare, di essereagenti attivi del miglioramento della loro vita.

Suor WismaryNei giovani costato capacità di leadership, for-te attrazione per la spiritualità, ricerca di au-tenticità, spirito di collaborazione e sacrificio,desiderio di vivere un vita buona. Segni po-sitivi questi che aiutano a guardare al futurocon fiducia.

Suor ClaraLa voglia e l’impegno dei giovani nel combatte-re ignoranza e povertà è un segno di speranza.

Suor Denize Sento che i giovani sono davvero una gran-de forza nella nostra missione, basta stargli ac-canto accompagnandoli con uno sguardo at-tento e capace di vedere oltre le apparenze. È necessario alimentare la fiducia perchéper l’avvenire sono loro i continuatori del so-gno incominciato a Mornese e a Valdocco.

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Adulti significativi

Grazie alla Strenna “Venite e vedrete”, checi ha accompagnato nel corso dell’anno, tut-ta la Famiglia salesiana si è confrontata sul-la necessità di convocare. Nelle comunitàeducanti si è posta la domanda sulla capa-cità di suscitare vocazioni, di maturareprogetti di vita evangelica. Alcuni giovani credenti e vicini agli ambien-ti educativi salesiani interpellati su checosa avesse inciso di più sul proprio cam-mino di fede hanno detto:«Guardando a posteriori mi sono accortache il mio cammino di fede è partito graziead alcuni incontri importanti della miavita»(G.).«Per me è stato sempre importantissimo ilconfronto con persone più grandi e piùavanti nel cammino di discernimento. Os-servando queste persone la mia fede in Dioe in ciò che Lui può compiere nel cuore del-le persone è cresciuta, invidiando il beneche costoro sanno elargire con semplicitàe gioia che avvolge chi li circonda» (A.). «Nell’età critica dei primi anni delle supe-riori, mentre conducevo una vita da “ban-deruola al vento” mi fu fatta la proposta ina-spettata, da una suora, di diventare anima-tore in un gruppo nascente di ACR. Scopriila bellezza e l’entusiasmo del dono di sé airagazzi più piccoli e contemporaneamentemi riavvicinai alla Chiesa e alla fede in ma-niera più personale» (L.).

Vocazione

Mara Borsi

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Alla domanda: «Quando senti la parolavocazione a cosa pensi?», un gruppo di di-ciottenni ha risposto così:«Quando sento la parola vocazione penso: - a una chiamata;- a una cosa che per il momento non mi ri-guarda;- a dedicarsi agli altri, non necessariamen-te a una vocazione religiosa;- mi viene in mente una chiamata, qualco-sa per cui sei disposto a fare di tutto pur diraggiungerlo;- penso a quello che può essere la vita la-vorativa, o sportiva, quindi una vocazionea qualsiasi sport, o comunque al successonella vita generale».Risposte che segnalano l’esistenza di unmondo giovanile molto variegato e che par-lano di una generazione che ha difficoltà alasciarsi interpellare da una chiamata cheviene da un “Altro” e a pensare al futuro neitermini di un progetto di vita da scoprire eaccogliere. Dichiarazioni che mostrano quanto sia ur-gente promuovere un vero e proprio itine-rario educativo, un viaggio guidato dalla ri-cerca della verità più profonda su se stes-si, sugli altri, sul mondo. Un percorso,questo, che richiede la riconquista di un’u-nità profonda tra mente e cuore, tra senti-mento e ragione. Un itinerario sistematicoe coerente che a partire dalla vita quotidia-na metta a tema la proposta di una antro-pologia centrata sulla categoria del dono.

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«Solo da un paio d’anni ho iniziato ad ave-re una guida spirituale. E da lì ho cammina-to parecchio. Finalmente un po’ alla volta stoprendendo coscienza del progetto che Dioha su di me» (G.).«Il tesoro che custodisco è il fatto chequalcuno mi ha spinto ad interrogarmi» (M.).La fede non germoglia al di fuori di una re-lazione significativa con qualcun altro; nonsi sviluppa se qualcuno non propone e in-vita a “uscire” dalla propria situazione.

L’animazione vocazionale nella pastoralegiovanile

La vocazione a seguire Gesù più da vicino,cioè ad assumere la sua stessa forma di vita,è una chiamata rivolta alla persona e la ri-sposta è altrettanto personale. La pastorale giovanile in prospettiva voca-zionale è chiamata a mantenere ben unitidue poli di attenzione: la persona del gio-vane e il mistero della persona di Gesù. La relazione con i giovani ci rende consa-pevoli che è necessario saper accogliere cia-scuno nella sua originalità, in un clima didialogo fiducioso e gratuito. Una pastorale giovanile che voglia esplici-tare la dimensione vocazionale è chiamataa far conoscere Cristo, a motivare e anima-re le persone a lasciarsi illuminare ed inter-pellare da Lui. La vocazione è sequela diGesù Cristo. Forse nel contesto attuale l’animazionevocazionale può ritrovare efficacia a parti-re dalla semplicità: cioè dalla narrazione del-la vocazione di Gesù, persona libera chepercorre la via dell’amore e invita altri a se-guirlo.Nel solco della narrazione del mistero diGesù è importante offrire, a chi si interro-ga seriamente sul proprio futuro, un cam-mino di educazione alla fede, unitario e pro-gressivo, nello stile del Sistema preventivo

dove i momenti straordinari ed il quotidia-no, i nodi della crescita umana, il riconosci-mento della presenza di Dio, la preghierae l’azione si rafforzino a vicenda e si inte-grino efficacemente. Altro elemento fondamentale è il riferimen-to alla comunità. La vocazione non è ricon-ducibile all’autorealizzazione, è per il ser-vizio alla comunità. In questo senso vannovalorizzate tutte le esperienze di comunità:la famiglia, la parrocchia, la comunità edu-cativa della scuola, dell’oratorio, il gruppo.

Continuo a credere che l’animazione voca-zionale debba riferirsi ad un’idea ampia divocazione. L’appello va rivolto a tutti, soloin un secondo momento si restringerà e sipreciserà secondo la chiamata specifica ri-volta alla singola persona. Occorre, quindi,annunciare con chiarezza che ogni vita è vo-cazione e che tutta la vita è vocazione, im-pegno e responsabilità. Il servizio da rendere alla persona di ognigiovane, con l’attenzione a tutte le vocazio-ni è l’obiettivo fondamentale di ogni auten-tica animazione vocazionale.

L’attenzione vocazionale è importante siapresente nei progetti educativi, nelle pro-poste specifiche di educazione alla fede edosata con gradualità e continuità in ognifase evolutiva della crescita umana e in tut-ti gli ambienti educativi. Non si tratta soltan-to di stimolare i/le giovani a fare qualchecosa per gli altri, ma di guidarli in un cam-mino che dal «fare» conduca al propositoe al gusto di impegnarsi perché se ne com-prendono le motivazioni autentiche eprofonde. Presenza educativa e offerta di esperienzesui diversi stati di vita e sulle scelte vocazio-nali possibili sembrano le carte più oppor-tune da giocare.

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cielo, spazio aperto e infinito. È un brano che ha un forte riscontro con lavita, la lotta e lo sforzo quotidiano di tantedonne alle prese con la propria fragilità, ledoglie del parto, la prepotenza del male. Ladonna dell’Apocalisse è una prefigurazio-ne della missione della donna: quella di ge-nerare speranza sempre nuova, anche in unmondo predisposto piuttosto ad ingoiare lavita già allo stato nascente.

Per una politica diversa

Il 13 maggio 2011 Mamata Banerjee ha vin-to le elezioni dell’Assemblea legislativanello Stato di West Bengal dell’India. È unodegli stati chiave della Nazione. Ciò che ren-de speciale la vittoria di Mamata è il fatto diaver spezzato 34 lunghi anni ininterotti disuccesso elettorale del partito comunistamarxista indiano (CPM). È quello che i me-dia indiani hanno denominato un vero eproprio “tsunami” elettorale, paragonando-la persino alla caduta del muro di Berlino.Mamata è una donna minuta, appartenen-te ad una classe medio bassa, determinatae soprannominata “didi”, che nella linguaHindi significa “sorella maggiore”. Non haavuto appoggi e ha sempre dimostrato diessere una donna ‘combattiva’ dotata di co-raggio, convinzione, perseveranza, coe-renza di vita e semplicità.Partha Chatterjee, una delle sue collaboratri-ci sin dagli anni dei suoi studi universitari, af-ferma che Mamata “non ha mai lasciato la sua

La speranza è donna

Paola Pignatelli, Bernadette Sangma

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“La speranza è donna”, “Il futuro è rosa” ,sono alcuni titoli indicatori del graduale ecrescente riconoscimento del ruolo delladonna nel tratteggiare sentieri nuovi. In que-sto articolo, vorremmo considerare alcuniaspetti dell’essere donna, che la rendonospazio fecondo per generare speranza.

A confronto con la donna dell’Apocalisse

Il capitolo 12 del libro dell’ Apocalisse pre-senta due forze contrastanti: il bene e il male,la vita e la morte, che da sempre abitano ilmondo. Nel brano biblico preso in conside-razione, la forza della vita che viene da Dioè rappresentata da una donna nell’atto gene-rativo. Il suo aspetto è descritto con tratti par-ticolari, che dimostrano la sua comunionecon l’universo intero, l’empatia con il crea-to: vestita di sole, con la luna ai piedi e le stel-le da corona. È investita di luce in tutto il suoessere! Si può dire che la luce di Dio cingela donna nell’atto di co-creazione con Lui.La forza della morte e del male, invece, èrappresentata da un drago grande, orribi-le, rosso, con sette teste e dieci corna, unessere che stabilisce con il creato una rela-zione di conflittualità. La donna appare fragile, è nel momento delparto, mentre il drago, appare forte, poten-te, apparentemente avvantaggiato nel suointento di divorare il nascituro. Nonostan-te l’apparente svantaggio, vince la donnaperché Dio è suo alleato. La vita è strappa-ta alle fauci del male ed è portata verso il

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AMORE E GIUSTIZIA

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semplice abitazione a Kalighat, raggiungibi-le attraverso una strada di approdo larga ap-pena cinque metri e separata dalla città dauna fogna puzzolente a cielo aperto. [...Ma-mata è una donna che non ha mai usato ilrossetto e non si è mai vestita con un sari checosti più di 500 rupie (meno di 8 Euro)”.Da quando è stata eletta ha realizzato visi-te non annunciate negli ospedali governa-tivi e privati per valutare in prima personail servizio offerto e prendere visione del de-grado e della negligenza nella cura sanita-ria: uno degli ambiti in cui si era impegna-ta nella campagna elettorale.

La speranza è donna

Maria Vernetti, fotografa professionista diTorino, 44 anni e due figli di 8 e 6 anni, unacarriera intensa: dalla formazione sportivaal Film Festival Cinema Giovani, alla CEI, alSermig, agli Archivi di Stato ecc. Una vita fat-ta di picchi di successo, continua ricerca,crolli e crisi, volti e situazioni: le più dispa-rate…si attaccano alla sua pelle e le lascia-no un’impressione profonda. Ecco cosa rac-conta riguardo alla speranza. «Finché c’è Vita c’è Speranza!, mi ripetevamio nonno, ma a me è sempre piaciuto pen-sare che se c’è Speranza c’è Vita, conferen-do così alla speranza una valenza attiva econcreta. Per capirsi meglio, speranza =azione. La vita è piena di sfide e l’unicomodo per superarle è affrontarle con corag-gio e speranza.E finché si vive con speranza, le nostre vitesaranno vissute intensamente ed attivamen-te. Davanti ad un ostacolo o ad una soffe-renza è l’atteggiamento che fa la differen-za. Uno spirito fiducioso ci farà cogliere gliaspetti positivi di ciò che ci succede matu-rando nel tempo la consapevolezza che lanostra vita non ci metterà mai di fronte ad

ostacoli che non siamo in grado di supera-re o a sofferenze che non possiamo trasfor-mare. E non si tratta di vedere il bicchieremezzo pieno invece che mezzo vuoto, mapiuttosto significa avere la saggezza e l’in-tuizione di muovere le cose in direzione po-sitiva, considerando l’aspetto migliore purrimanendo concentrati sulla realtà.La speranza è estremamente importanteperché cambia la qualità della nostra vita edi conseguenza l’ambiente che ci circonda.Di recente mi è capitato di incontrare unadonna con seri problemi economici, due fi-gli e una salute che comincia a vacillare, chemi ha semplicemente detto: “Malgrado spes-so mi senta profondamente scoraggiata, lasperanza è la determinazione che mi fa tro-vare la chiave per agire con il cuore e trasfor-mare l’impossibile in possibile. Ogni indivi-duo deve essere consapevole dell’incalcola-bile potere che la speranza possiede e si deveaiutarlo a manifestare tale potere”. Con untale incoraggiamento, me ne son tornata acasa dai miei due figli determinata a trasmet-tere la speranza alle loro giovani vite».

Ci chiediamo

Dalle pietre delle nostre Case, dalle nostreComunità-Famiglia, dai nostri pensieri, dal-le nostre parole, dai nostri gesti, dalla lucedei nostri sguardi, dentro ogni situazione,sprizza sul serio quella comunione di vitaradicata nella Speranza, che risponde alleintime esigenze di ogni cuore veramenteumano? Quell’energia positiva che ci fa cre-denti credibili e testimoni di un Risorto?Portavoci di quell’ultima Parola di Vita che,realmente, trionfa su ogni sepolcro e rove-scia ogni pietra che chiude e imprigiona laluce della vita?

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Il metodo di calcolo consente di attri-buire, sulla base dei dati statistici diogni Paese e delle organizzazioni inter-nazionali, un’impronta ecologica di uncerto numero di ettari globali pro-capi-te come consumo di territorio biologi-camente produttivo.Ad esempio nel 2010, a livello globale, ab-biamo utilizzato le risorse di una terra emezzo, ciò significa che abbiamo rubatomolte possibilità di vita e di sviluppo a chiverrà dopo di noi. Utilizzando l’impronta ecologica, è pos-sibile stimare quanti “pianeta Terra”servirebbero per sostenere l’umanità,qualora tutti vivessero secondo un de-terminato stile di vita.Confrontando l’impronta di un individuocon la quantità di terra disponibile pro-ca-pite si può capire se il livello di consumidel campione è sostenibile o meno.Il dato preoccupante è che stiamo consu-mando le risorse rinnovabili più veloce-mente di quanto potremmo, cioè stiamointaccando il capitale naturale e nel futu-ro potremo disporre di meno materie pri-me per i nostri consumi.Per provare a calcolare la propria impron-ta ecologica si può visitare il sito del WWF:http://www.improntawwf.it/main.php

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Anna Rita Cristaino

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AMORE E GIUSTIZIA

Rispetto al creato, che cosa lasciamo a chiverrà dopo di noi? In un ipotetico testamento ecologico,noi affidiamo a chi verrà dopo di noi so-lamente debiti. Rifiuti, inquinamento,penuria di risorse, sfruttamento scon-siderato della terra.Occorrerebbe fare quotidianamente unesame per arrivare poi a un bilancio:ognuno dovrebbe chiedersi quanti alberiha piantato, quanto ossigeno (e non ani-dride carbonica) ha donato all’aria, quan-ta terra ha coltivato (e non soltanto consu-mato), quanta energia ha risparmiato. Perla sopravvivenza del nostro pianeta alla fineil saldo dovrebbe essere positivo.Si tratta di imparare a calcolare la propriaimpronta ecologica. Un metodo di misu-razione che indica quanto territorio bio-logicamente produttivo viene utilizzatoda un individuo, una famiglia, una città,una regione, un Paese o dall’intera uma-nità per produrre le risorse che consumae per assorbire i rifiuti che genera.Il metodo è stato elaborato nella primametà degli anni ‘90 dall’ecologo WilliamRees della British Columbia University epoi approfondito, applicato e largamentediffuso a livello internazionale da un suoallievo, Mathis Wackernagel, oggi diretto-re dell’Ecological Footprint Network.

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soluta del nostro tempo. Abbiamo bisognodi imparare nuovamente a parlare nel sen-so di dire parole che vengano dal silenzioe che dimorino nel silenzio dell’ascolto del-l’altro; imparare a tacere non nel senso dichiudersi nella prigionia delle nostre soli-tudini, ma di lasciarsi raggiungere dalla pa-rola che evoca, che abita, che attira, che tra-sforma, che si stupisce degli avvenimentiper entrare nella storia e non rimanere allafinestra a guardare.Per imparare l’ascolto mite, che si nutre disilenzio contemplativo e pensoso. Nonper dovere, né per cortesia, ma perché èuna questione vitale: ascoltare è un’attivitàche costa tanto quanto il parlare. Vuol dire non scegliersi l’interlocutorecompiacente, lasciarsi ferire dalle doman-de che vengono poste. Soprattutto oggi, dove suoni, parole e im-

Abitanti del continente digitaleMaria Antonia Chinello, Lucy Roces

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Siamo giunti al termine dell’annata. Il percor-so tracciato in questi mesi ha inteso supera-re la contrapposizione tra reale e virtuale,convinte che la Rete può essere un territo-rio di incontro, terra di mezzo per il dialogotra le generazioni, tra uomini e donne, tra leculture, tra la persona e il suo Dio. Abbiamo ribadito la conditio sine qua non: lacomunicazione in Rete non può scavalcare,accantonare, sostituire la comunicazione in-terpersonale, la relazione faccia-a-faccia. La Rete e i suoi ambienti – social networkin particolare – rendono “possibile” connes-sioni che, in altri modi, non possono acca-dere: con persone lontane, contatti che han-no bisogno della velocità dell’andata e delritorno dei messaggi, rapporti umani chevanno “mantenuti” e “rinsaldati”. La conse-gna che ci siamo date per vivere una comu-nicazione educativa resta – anche nel tem-po post-mediale – quella di ripartire, rico-struire, educare alla relazione interpersona-le, da ciò che nessun computer potrà maidarci: l’impatto della presenza dell’altro, deisuoi gesti e della sua voce. La comunicazione è una dimensione pro-priamente umana a cui è urgente ridare au-tenticità. Soprattutto a partire dalla sfuma-tura che suggerisce il Papa, annunciando iltema per la Giornata Mondiale delle Comu-nicazioni sociali 2012: “Silenzio e Parola:cammino di evangelizzazione”. Riscoprire il silenzio e la parola nel loro re-ciproco fecondo rapporto, è un’urgenza as-

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magini si moltiplicano e si rincorrono,dove la rapidità dell’innovazione e dellacomunicazione incalza, dove giovani emeno giovani appaiono irraggiungibilidietro gli auricolari degli iPod, dove affet-ti, lavoro, amicizie, tempo libero si inseri-scono in una rete di squilli interconnessianche quando non si è “raggiungibili”…

Un passo in là: testimoni perché abitanti

Il testimone è tale perché “abita” la parolache annuncia; parla di una realtà che cono-sce, ma che soprattutto vive. “Ciò che seigrida più forte di quello che dici” è uno slo-gan che spesso ripetiamo non solo a noi, maanche ai nostri giovani per richiamarci a unacomunicazione autentica, dove non vi siacontraddizione tra ciò che diciamo e ciò chefacciamo. Perché le parole non siano soloparlatema anche parlanti. Essere testimoni nel continente digitale sup-pone che questo territorio lo si abiti, ancheattraverso Internet e non solo nonostanteInternet. Non significa invadere uno spazio, coloniz-zare degli ambienti, ma piuttosto com-prendere dal di dentro il significato della co-municazione in Rete che, non è superfluoricordare, non è solo un nuovo media, unostrumento, ma va configurandosi semprepiù come un ambiente, dove si plasmano esi strutturano pensieri, azioni, valori, doveavvengono trasformazioni culturali e uma-ne, di cui è importante tener conto per in-tercettare il mondo di oggi. Per ridare pe-culiarità a una relazione che rischia di mol-tiplicare contatti su Facebook, ma che sem-bra poco preoccupata della qualità, di ma-turare nella capacità di confronto e dialo-go, che spesso dimentica di essere autore-vole e si accontenta di opinioni di comodo.

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FMA “abitanti digitali”?

È la domanda che ci siamo poste pensan-do a come “continuare” il camminodella rubrica che, in DMA Rivista, ap-profondisce i temi della comunicazione. Ci siamo dette che è necessario porta-re alla luce quelle “esperienze”, “buo-ne pratiche” di comunicazione nelcontinente digitale che già si attuanoe si sperimentano nel nostro Istituto.Spesso le leggiamo tra le righe dellenotizie di “cgfmanet.org”, ma vorrem-mo dare loro “diritto di cittadinanza”su queste pagine. L’invito è dunque rivolto a tutte le co-munità: fateci sapere che cosa avete in-ventato, quali strategie, metodologie,strumenti, avete scelto come comunitàper accorciare le distanze e essere ac-canto ai vostri giovani “digitali nati”,quali sono gli obiettivi, le finalità chevi proponete per essere presenti làdove scorre tanta vita dei piccoli, degliadolescenti e dei giovani che quotidia-namente educate. Come “umanizzare la Rete”? Qualicriteri per una presenza educativa edevangelizzatrice autentica nel web?Come far risuonare anche lì la voce diCristo? Come far scoprire e contempla-re il suo Volto? Perché è nella scoperta della Verità diGesù che la comunicazione si fa uma-na e umanizzante.

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ta la Giornata Mondiale della Gioventù. Leiha sentito i racconti di amici che hanno vis-suto la stessa esperienza in altri anni. È un po’ scettica. Ma parte. A Madrid si ritrova con tanti giovani e an-che lei canta per le strade, sugli autobus, inmetro, la propria voglia di vivere e la pro-pria fede. Finalmente si sente libera di gri-dare al mondo tutto il suo desiderio di ama-re. Guarda tutti esprimendo il suo amore.Giorni felici, liberi, pieni.Prega. In mezzo a tanta gente trova ancheil silenzio. Pensa alla sua vita di tutti i gior-ni, ai suoi impegni. Il suo cuore spesso è unaltalena, vibra e pulsa per la vita, l’amore, maspesso cerca riposo in distrazioni, in mo-menti alienanti. Qui, tra le tante espressioni di gioia, tra lemille lingue ascoltate, riesce anche a sen-tire la sua anima, sente la voce più intima dise stessa e con stupore si accorge di nonaverne paura. Non cerca ora il frastuono,salvezza nei giorni normali per non scen-dere in profondità.Le strade sono piene di suoi coetanei. Tut-ti lì per dire a se stessi e al mondo che l’u-nica cosa che dona una felicità duratura èGesù Cristo. Azzurra pronuncia questo nome e le sem-bra di non averlo mai fatto prima. Gesù Cri-sto. Più lo ripete e più le sembra di non co-noscerlo abbastanza. È un’idea, o è una per-sona che l’aspetta, l’amico più intimo?“Gesù!”, lo ripete in continuazione, nei can-

Che il suo nome risuoni su tutta la terraAnna Rita Cristaino

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«La vostra vita è radicata e fondata in Dio, sal-da nella fede. Con questa certezza, ripartiteda Madrid e annunciate a tutti ciò che ave-te visto e udito. Rispondete con gioia alla chia-mata del Signore, seguitelo e rimanete sem-pre uniti a lui: porterete molto frutto!». (Benedetto XVI)

Azzurra. I suoi occhi lasciano intravedere ildesiderio di trasparenza. Si guarda sempreintorno, osserva tutto con attenzione. Ha 23anni. Sta terminando gli studi all’Universitàe come tanti suoi coetanei sente il peso delfuturo. Ci sono incertezze, piccoli traguar-di raggiunti, ma mete lavorative e di realiz-zazione personale ancora lontani. Vorreb-be avere in mano il timone della sua vita, masa che molte variabili del suo avvenire nondipendono da lei. Sente forte il desideriodi vivere con coerenza ciò che crede, ciòche sogna e ciò che vive tutti i giorni nel suoquotidiano. La sua vita di fede è altalenan-te. Spesso va a messa per routine o si ritro-va a pregare solo in vista degli esami. Quando i suoi colleghi all’Università invei-scono contro la Chiesa o dipingono i cat-tolici in modo oscurantista, lei non si oppo-ne, non parla, non dice di credere in Dio.Ciò le sembra ipocrita. Da un po’ di temposente forte il desiderio di una vita interio-re profonda, vorrebbe che la sua federiempisse ogni piega della sua esistenza. Le viene offerta l’opportunità di partire perMadrid. Nel mese di agosto viene celebra-

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ti, nelle preghiere, non ha più paura. Perché qui è più facile vivere in profonditàla propria fede? Perché qui è naturale fer-marsi per strada e pregare? Perché qui è naturale cercare il silenzio eesplodere di entusiasmo per la gioia incon-tenibile che si sente dentro?Azzurra ha il cuore che le esplode. Non può tacere. Vuole gridare al mondoche lei vive per amare. Nella notte di Madrid la veglia le fa torna-re in mente le notti illuminate da luci effi-mere che spesso ha vissuto. Ora non ha paura del buio, non lo evita e nonvi si nasconde. Lo accoglie insieme a quellepiccole luci che dicono una presenza. È a Cuatro Vientos, in un sacco a pelo, ac-canto ai suoi vecchi e nuovi amici. Si sen-te come un baco, una crisalide. Aspetta l’al-ba del nuovo giorno e come una farfalla avràali per volare. In qualche instante ripensa con tremore alritorno. Questa gioia, questa forza, finiran-no o resteranno dentro di lei?Azzurra guarda il cielo rischiararsi all’alba,

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vede il mondo rinascere. E ripensa a ciò cheun papa pieno di tenerezza ha detto la seraprima: «Che nessuna avversità vi paralizzi.Non abbiate paura del mondo, né del futu-ro, né della vostra debolezza. Il Signore vi haconcesso di vivere in questo momento del-la storia, perché grazie alla vostra fede con-tinui a risuonare il suo nome in tutta la terra».La partenza, l’addio alla città e ai tanti ami-ci conosciuti è pieno di commozione. Ha ilcuore gonfio, ma sente di avere anchetanta forza. In questa GMG si è lasciatasvuotare e riempire di vita nova. Sa che nonè qualcosa che potrà finire in fretta. Portacon sé un bagaglio nuovo di esperienze.Non è più la stessa. È decisa a far sì che lasua vita sia vissuta con senso. L’incontro per-sonale con Gesù le dona nuovo vigore. Tutto ciò che ha visto, vissuto, udito, nonpotrà tenerlo per sé. La sua missione ades-so è di raccontare con la sua vita, quanto siabello e quanto renda felice, vivere e testi-moniare la propria fede.

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Una luce nuova su Maria

«Nel film raccontiamo una sto-ria di cui tutti conoscono l’esi-to – esordisce Chiesa di fron-te ai microfoni – ma noi vole-vamo svelarne le origini: e cioècome, a nostro giudizio, la li-bertà di Gesù sia nata dall’amo-re di sua madre. Dalla fiduciache lei ha saputo trasmettergli.Un tempo credevo che il cam-biamento a cui aspirare fossesoprattutto politico, sociale:adesso invece sono convintoche bisogna cominciare dall’a-more di una mamma per il fi-glio». Coerente a questa di-chiarazione, la sua opera entra“in punta di piedi” in una ma-teria di importanza capitaleper la fede cristiana. Mette inscena una bellissima e poeticaricostruzione della vita dellaVergine, privilegiando alcuniepisodi chiave dell’infanzia epubertà del suo unico figlio,“speciale per lei non in quan-

to figlio di Dio, ma in quanto fi-glio suo amatissimo”. Lo svilup-po della vicenda parte dal con-cepimento di Maria che di-venta la sposa – una sposaadolescente ma ugualmenteconsapevole e determinata – diGiuseppe, vedovo, padre didue figli, che abita a Nazareth,il villaggio vicino nella Galileadi Duemila anni fa. Qui, insie-me al contesto patriarcale in cuigiunge (e si deve inserire apartire dalla famiglia del mari-to dove detta legge Mardo-cheo, fratello più anziano diGiuseppe), si racconta anche lasua visita alla cugina Elisabettae Zaccaria. Quando ritorna,viene costretta dall’imposizio-ne del Censimento indetto dairomani, al faticoso viaggio ver-so Betlemme, in compagnia diGiuseppe, dove avviene la na-scita del bambino. Maria, nonsolo lo allatta nonostante fos-se considerato impuro, ma lopreserva dalla circoncisionestabilita dalle pratiche dellalegge ebraica. La narrazione

include anche l’incontro con iMagi che, di fronte al piccolobimbo avvolto d’amore-edu-cazione dalla madre, si interro-gano. Intuiscono lo sviluppar-si umano e naturale del suomeraviglioso ‘Essere’ e ne vene-rano il mistero. Infine, l’ango-sciosa scomparsa del 12enneGesù e del suo ritrovamentonel Tempio di Gerusalemmeconclude l’opera. Il testo che fada sfondo a questa singolare‘esegesi mariana’, si appoggiatanto ai Vangeli tradizionali(primo su tutti quello di Luca)quanto a quelli apocrifi, abbrac-ciando però soprattutto alcunistudi e teorie recenti sulla figu-ra di Maria. Pur scegliendo unastruttura narrativa scorrevole, iltutto riesce ad evocare un con-densato di contenuti che oltre-passa il classico film didascali-co-iconografico. Ecco come ilregista ne esplicita la genesi:«All’origine di tutto vi sonodue donne, due madri: senzadi loro non l’avrei mai immagi-nato. Nessuna delle due è teo-

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

IO SONO CON TE di Guido Chiesa Italia 2010

Presentato con successo alla V Edizione del Fe-stival Internazionale del film a Roma nel2010, il 12 aprile 2011 dopo la distribuzione,l’ottima accoglienza della critica e la suauscita in dvd è quasi d’obbligo per il Da mihianimas farne un richiamo in prossimità del Na-tale e – in linea con la valutazione pastoraledella CEI – caldeggiarne «l’utilizzazione in mol-te circostanze per avviare riflessioni sui temiche affronta».

«È una lettura fuo-ri dall’oleografia edagli stereotipi, maper nulla “trasgres-siva” o alternativa aidettami della dot-

trina – afferma il regista Guido Chiesa – . Anzi,secondo noi tutti della troupe, li illumina di nuo-va luce, mettendo in risalto l’umanità di Gesùe Maria, la storicità dell’Incarnazione. In que-sto modo Maria è presentata non come una fi-gura irraggiungibile e un po’ eterea, ma una don-na imitabile da qualunque madre che riceve daDio lo straordinario potere di dare la vita».

AMORE E GIUSTIZIA

a cura di Mariolina Perentaler

«È una lettura fuo-ri dall’oleografia edagli stereotipi, maper nulla “trasgres-siva” o alternativa aidettami della dot-

trina – afferma il regista Guido Chiesa – . Anzi,

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loga o biblista. La prima è Mae-ve Corbo a cui si deve l’avermesso insieme - facendo per-no sull’esegesi biblica e inter-rogandola alla luce di moltepli-ci contributi scientifico/cultu-rali – questa lettura della figu-ra di Maria che ne coglie aspet-ti inediti o ben poco analizza-ti, relativi alla Grazia, alla mater-

nità, alla relazione con il Figlioe alla sua identità femminile.L’altra è una mamma, una noncredente: mia moglie Nicolet-ta Micheli. Ha conosciuto Mae-ve fuori dalla scuola dove van-no le nostre figlie ed è rimastaletteralmente folgorata dallasua concezione sulla VergineMaria. Non solo le offriva ri-

sposte sorprendenti ad inter-rogativi posti dalla maternità edal rapporto con i figli, ma haguidato il suo cuore a lasciar-si man mano conquistare dal-la forza della Rivelazione. È stata Lei a propormi di realiz-zare il film e a scriverne il sog-getto, elaborando in formanarrativa le idee di Maeve.

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ANNO LVIII • MENSILE / NOVEMBRE DICEMBRE 2011

L’idea del filmuna pellicola sulla modernità e la femminilitàdi Maria.

Lo spiega ancora lo stesso regista duranteun’intervista: «Quando stimolato da miamoglie, ho cominciato a leggere il Vangelo diLuca (…) ho visto Maria in una luce differen-te, lontana dagli stereotipi a cui ero stato abi-tuato. Il cristianesimo è l’unica religioneche mette una donna all’inizio della propriastoria. Volevo cercare di andare al di là dei precon-cetti e delle stratificazioni che in tanti seco-li si sono sovrapposti alla figura di Maria. Re-stituirla nella sua umanità, per fare capirecome dietro i passaggi dei Vangeli c’è un mo-dello di pedagogia e puericultura validoper tutti, che può essere preso come labase della relazione tra Dio e gli esseri uma-ni. Se è vero, infatti, che per ogni essere uma-no è fondamentale il rapporto che si instau-ra con i propri genitori, in particolare con lamadre, i Vangeli attraverso Maria ci diconoche è proprio questo il progetto divino.Ogni essere umano è un dono di Dio e aisuoi genitori, in particolare alla madre, è chie-sto di accoglierlo, amarlo e rispettarlo. Il “sì” di Maria è un sì alla bontà del proget-to divino che riguarda Gesù e, per estensio-ne, a ogni essere umano perché Gesù è innoi».

Il sogno del film:imparare ad imitare la donna Maria che non soloaccoglie con umiltà e coraggio il concepimen-to di Gesù, ma svolge il ruolo di moglie e ma-dre praticando le migliori virtù femminili.

«Affidandosi ad una architettura narrativasolo in apparenza di facile sintassi, Chiesaopera una ardita, sottile sintesi tra l’intenzio-ne di scavalcare l’iconografia fino ad oggi ac-quisita e la scelta di non operare alcun sna-turamento sostanziale. Ma la sua scommes-sa – prosegue il testo della Commissione diValutazione Pastorale – é proprio qui: crea-re le premesse non per una ‘modernità’ for-se banale, ma per una attualità fuori dal tem-po e dalla storia. Attraverso Maria ci vienechiesto, non di essere uomini e donne delnostro tempo, ma di quel Tempo unico nelquale l’essere umano é al centro di tutto, eun bambino scalda la nostra anima per sem-pre. «Personalmente non ho il dono sponta-neo della Fede - confessa Chiesa - Sono sem-pre stato problematico. Il mio é un percor-so intellettuale faticoso, tutt’altro che conclu-so, ma mi ha portato a cominciare a capirecerte cose. Maria vive le emozioni, il cuore,tutto ciò che sfugge alla razionalità». Ecco allora che il volto rugoso della Vergineanziana (con cui apre e chiude il copione) di-venta la soglia sulla quale si apre il confron-to con il Mistero. (Datafilm -Acec)

PER FAR PENSARE

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zare il posto dalla figlia di un famoso giornalista.L’altra è Irma, stimata dottoressa che vive grazie adelle borse di studio, ma non riesce ad ottenereil contratto perché le viene preferita la fidanzatadel primario. Il terzo è Samuele, un avvocato spe-cializzato in diritto penale che passa la vita asser-vito ad un ‘barone’ universitario, nella speranza diriuscire a vincere il concorso da ricercatore. Pec-cato che il posto gli venga ‘soffiato’ dall’ inconclu-dente genero del proprio “barone di turno”. Stan-chi di essere umiliati e sconfitti, formano insiemeun gruppo che chiamano “I Pirati del merito”, concui cominciano a minacciare i ‘colpevoli di racco-mandazione’ a vari livelli. Nel finale del film c’è unimprovviso cambio di registro, quasi ad avvertiredi un presagio: “Qui non c’è speranza…! Bisognaguardare all’estero”. Il film trae spunto dal titolo del-la canzone di Vasco Rossi, e risulta ben equilibra-to nel suo insieme. La valutazione della CVF lo de-finisce consigliabile e nell’insieme brillante, pun-tualizzando: «Con taglio svagato, discorsivo, for-se anche troppo ‘simpatico’, il copione alza la vocee si acquieta, ponendo intanto il problema. Poi sivedrà. Il film è da utilizzare anche come esempiodi riuscita commedia italiana ‘generazionale’».

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C’È CHI DICE NO Giambattista Avellino

ITALIA 2011

Tante persone seppur meritevoli si vedono ‘passa-re avanti’ altri immeritevoli, solo perché sono “fi-gli di...”, e intanto la loro vita passa lavorando nelprecariato o studiando, senza alcuna soluzione. Èquesto il tema centrale di “C’è chi dice No”, unacommedia di carattere sociale che con allegria rac-conta la rabbia sorda di tanti. Dice Avellino, regi-sta e co-sceneggiatore: «Si ride e si sorride, a vol-te anche amaramente. Ci si emoziona e si patisceper il destino dei nostri tre eroi, perché il tema èsentito da tutti e abbiamo cercato di raccontarlodivertendo, ma con sensibilità. Senza voler fare lalezione a nessuno, ma senza superficialità». I protagonisti sono tre ex compagni di scuola: uno,Max, è giornalista in un quotidiano locale. Nono-stante il buon talento che gli viene riconosciuto,si trova costretto a scrivere anche su riviste ‘impro-babili’ per poter arrotondare lo stipendio e, pro-prio quando sta per essere assunto, si vede scal-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

AMORE E GIUSTIZIA

le piccole cose, portano avanti il loro matrimonio”.Lei è psicologa e lui geologo: insieme rappresen-tano un’accoglienza che nella sua sorprendentenormalità, lascia strabiliati. Hanno un figlio avvo-cato, il trentenne Joe, che conduce vita indipen-dente ma non ha ancora una compagna. Ospita-no spesso Mary, segretaria nella clinica in cui lavo-ra Gerry, sempre in cerca di un uomo con cui con-dividere le proprie tensioni. A loro si aggiunge Ken,vecchio amico di Tom, ora frequentemente ubria-co. Nell’autunno Joe porterà una sorpresa: Katie,una terapista occupazionale, di cui si è innamora-to. In inverno invece, una morte improvvisa colpiràla famiglia. Tutto viene avvolto e illuminato dal gu-sto toccante della sinfonia corale e della quotidia-nità quale miglior maniera per raccontare l’esisten-za. «Leigh ci ricorda che il tempo che scorre nonpuò essere controllato, ma non va neppure lascia-to a se stesso. Siamo noi, ogni giorno, a caricarlodelle nostre aspettative, del nostro essere vivi. Ba-sta guardarsi intorno e si troverà sempre qualcu-no a cui dare e qualcuno da cui ricevere...».

ANOTHER YEAR MikeLeigh GRAN BRETAGNA 2011

«La vita dentro a un film – esordisce Yvan, 32 anni,scrivendo la sua opinione in internet – Toccante econsigliato a chi non ha paura di affrontare una ri-flessione profonda sull’esistenza». Lo vota 9 comeChiara – 44 anni – che scrive:«Bellissimo! Perchéalcuni di noi ritengono di avere una vita inutile puravendo tutto, e altri che hanno mille problemi sonofelici di vivere?». Non accade molto in AnotherYear, ma Mike Leigh riesce ugualmente ad emozio-nare e coinvolgere lo spettatore, lasciandoglispunti su cui riflettere che permangono anche altermine della visione. “Un altro anno” racconta lavita di una coppia e dei suoi solitari amici, attraver-so quattro stagioni. Sono Gerry e Tom, “i meravi-gliosi coniugi 60enni che in stabile equilibrio, e nel-

a cura di Mariolina Perentaler

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Simone WeilPICCOLA CARALettere alle allieve

Questo libretto, di cui l’editrice Marietti hapubblicato nel 2010 una ristampa, ci fa co-noscere l’ aspetto meno noto di una don-na eccezionale: Simone Weil educatrice. In-segnante di liceo per pochi anni, la Weilnon poteva non esercitare un vero fascinosu anime adolescenti, libere da pregiudizie assetate di verità. La raccolta di alcune let-tere indirizzate alle allieve e da queste ge-losamente custodite ci offre l’esempio di unprofondo rapporto educativo. Lo stile è fa-miliare e affettuoso, vari gli argomenti trat-tati: valutazione della difficile situazione po-litica, consigli sul metodo di studio, sul va-lore dell’attenzione, sulla necessità di do-minare il proprio mondo interiore. L’inse-gnante, anche lei molto giovane, mostra uninteresse quasi materno per la loro salute,ricorda l’importanza dello sport come eser-cizio fisico, mette in guardia da certe impru-denze giovanili, quale l’ansia di voler tuttosperimentare (la vera esperienza – sottoli-nea – non è fatta di un accumulo di impres-sioni, ma nasce dall’attività: sia dell’azioneche del pensiero). Con quale tenera com-prensione, però! “Credo che lei abbia uncarattere che la condanna a soffrire molto,per tutta la vita. È troppo ardente e impe-tuosa per adattarsi alla vita sociale della no-stra epoca”, ma poi subito con fermezza:“Ma soffrire non è importante, tanto piùche proverà anche gioie intense. Quel checonta è non mancare la propria vita. E perquesto bisogna disciplinarsi”. Cogliendo inqualcuna una forza di sentimento che po-trebbe intralciarne il libero sviluppo dellapersonalità, s’impone forte riserbo, al pun-to di sospendere la corrispondenza fino almomento in cui il rapporto insegnante di-scepola sarà maturo e senza rischi.

Kristin Kupfer DIO È ANCHE CINESEPaoline 2011

L’autrice è una giornalista tedesca e WangTing è la giovane cinese cattolica, che si èresa disponibile a una specie di lunga in-tervista: per parlare di sé, del suo lavoro,della sua vita cristiana vissuta in un conte-sto politico non facile. Il lettore incontrauna donna simpatica, libera, coraggiosa.Viene da una famiglia contadina di anticatradizione cristiana, lavora come assisten-te sociale ed è sposata con un uomo checondivide con lei la fede cattolica: con unacoerenza tale da stupire noi occidentali,così tiepidi e sradicati. Nasce tra le duedonne un vero rapporto di amicizia: la gior-nalista ha la possibilità di essere accolta ne-gli ambienti di vita e di lavoro di Wang, co-gliendone in diretta lo svolgersi del vissu-to quotidiano, i problemi, le gioie e i dispia-ceri. Conosce i genitori, la parentela di lei,ne ammira la cortese dignità tutta cinesee l’antica saggezza. La colpisce la fede sem-plice e convinta, perfettamente integratacon la vita. Ecco un dialogo colto al volo incucina, dove i due giovani coniugi, torna-ti dal lavoro, insieme preparano il pranzo.La giovane sposa cinese è un po’ preoccu-pata: da tempo lei e suo marito desidera-no un figlio … “Non so che cos’ha in men-te Dio per noi – dice mentre lava i pomo-dori – ma voglio avere fiducia… Già il soloesempio di Abramo e sua moglie dimostrache nulla è impossibile a Dio”. Il marito an-nuisce seriamente … I fatti della Bibbiasono davvero per loro parola di Dio! Nonignorano la difficile situazione della Chie-sa cinese, ma non si permettono di giudi-care. Conoscono e amano il Papa, sannoche è nelle sue mani il timone della Chie-sa. Forse hanno qualcosa da insegnarci…

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a cura di Adriana Nepi

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nacale, che indosserà per poco tempo.Nel 1953 la superiora generale rivolge un ap-pello alle suore: chi è disposta a partire mis-sionaria per l’Amazzonia, ad aprirvi unanuova scuola nello Stato del Parà? Lei veramente aveva sognato la missione inCina, ma è pronta a dare la sua adesione. Sibutta subito a studiare il portoghese (sei oreal giorno), impresa non facile per una che,nata e vissuta negli Stati Uniti, parla solo in-glese e non ha mai avuto propensione perlo studio delle lingue. Frequenta intanto il Centro interculturaledi formazione e si addentra nella storia delBrasile, della sua politica, delle varie religio-ni, delle usanze popolari. Imperversa nel-l’Amazzonia, in particolare nella zona delParà, una deforestazione selvaggia, e i dirit-ti umani di poveri coloni sono calpestatidall’avidità e dal cinismo dei latifondisti. Si respirano nel Centro le idee nuove ispi-rate alla cosiddetta teologia della liberazio-ne: idee controverse, spiegabili solo nelcontesto socio culturale in cui si sono svi-luppate. La giovane religiosa, che ha sem-pre avuto una forte propensione per gli ul-timi, si trova di fronte a una realtà intolle-rabile al suo profondo senso di giustizia:sente che amare i poveri esige anzitutto di-fendere i loro diritti inalienabili. Il suo de-stino è ormai tracciato: sa di rischiare la vita,ma non ha paura. Ed eccola ritratta in pratici abiti borghe-si: come avventurarsi altrimenti nella fo-

Prima martire del Creato. Dorothy StangAdriana Nepi

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Il libro, modesto dal punto di vista editoria-le, è tuttavia corredato di numerose foto inbianco e nero che ci offrono visivamente losvolgersi di questa eccezionale biografia. Ec-coci subito la simpatica faccetta di Dorothyall’età di otto anni, poi la ragazzina dal pi-glio allegro e scattante nella sua uniformedi scuola cattolica, e un bel primo piano delvolto sereno e pensoso di Dorothy adole-scente. Ed ecco la famiglia Stang al comple-to: in mezzo i genitori e, ben allineati intor-no a loro, i nove figli. Il padre, militare di car-riera, li educa con fermezza, secondo lo sti-le della sua professione; tocca alla mammatemperarne il rigore con la sua tenerezza.Tutto in famiglia si regge su una fede auten-tica, dove la preghiera (S.Messa ogni mat-tina, rosario la sera, benedizione prima deipasti) armonizza con una carità fattiva: lacasa è sempre aperta ai poveri. Dai frutti siriconosce poi l’albero: due figli entrerannoin seminario, tre figlie in convento.Dorothy, nella freschezza dei suoi vent’an-ni non ancora compiuti, fa professione trale Suore di Nostra Signora di Namur. È piena di entusiasmo: all’entrare in novi-ziato prova la prima ingenua delusione:come, si dorme sui letti? Si era immaginata che avrebbe dormito perterra e fatto tanta penitenza! Al momento della professione le vienedato il nome di sister Mary Joachim, ma tut-ti continueranno a chiamarla Dorothy… Ec-cola qui sorridente nell’austera divisa mo-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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resta nell’ingombrante abito ottocentescoindossato con tanta gioia all’atto della con-sacrazione? Sulla maglietta della sua ulti-ma foto si legge: “La morte della forestaè la fine della nostra vita”. Tuttavia sarebbe riduttivo considerare suorDorothy una moderna eroina immolatasiper la salvaguardia del creato, come il tito-lo del libro sembra insinuare. È l’amore diCristo che la muove: a lui anela di riporta-re tutte le anime, comprese quelle di colo-ro che la vorrebbero morta.È ormai diventata l’intrepida protagonista diuna lotta senza quartiere a difesa dei pove-ri. L’odio di chi non tollera di essere distur-bato nei suoi loschi affari usa tutti i mezziper impaurirla: minacce di morte, false ac-cuse che la portano a difendere la buonacausa nei tribunali (quattro ore di seguitoparlerà una volta per difendere se stessa ealcuni poveri contadini del tutto innocen-ti, intrappolati nella rete di convenzioni as-surde), violenze di ogni genere alle perso-ne e alle cose … La persecuzione accanita,

la stessa assurdità delle imputazioni nonfanno che rafforzare la sua fama, dare pesopolitico alle sue contestazioni. Lei si fa forte di una dichiarazione fatta du-rante il Sinodo del 1983 dal vescovo AloisioLorsccheider: “I cristiani non possono re-stare indifferenti di fronte a una società in-giusta, perché ciò equivale a una collabo-razione con il peccato. Le Chiese del Primomondo devono aiutare quelle del Terzomondo non solo con l’aiuto materiale, maprima di tutto con la denuncia delle ingiu-stizie”. Paga per primo le conseguenze delcoraggioso appello, subito fatto proprio, unaltro vescovo, colpito da un attentato insie-me a un prete italiano.Un giorno suor Dorothy incontra nellaselva due individui che le impongono dimostrare le armi: lei estrae dalla borsa la Bib-bia, si rende conto che sono due sicari, mas’intrattiene gentilmente con loro cercan-do di aprirne l’animo alla luce della giusti-zia e della verità (anche loro sono vittimeda liberare, vittime della loro cecità). Ripren-de il cammino e viene crivellata di colpi allespalle e abbandonata nel fango. L’amico Cicero, che l’aveva seguita, non puòfar nulla: sa che se osasse toccarla, farebbesubito la stessa fine. Sotto una pioggia battente, lascia appenapuò il suo nascondiglio nella foresta e cor-re disperato a gridare a tutti: “Hanno am-mazzato suor Dorothy!”: Attesterà più tar-di di averla udita mormorare: “Se qualcunodeve morire, che tocchi a me!”. Appena sidiffonde l’orrenda notizia, il terrore invadetutti quelli che erano i suoi protetti, per iquali aveva speso tutta la vita. Chi ora li difenderà? È come se si sentisse-ro orfani … Quando però finalmente si pos-sono celebrare i solenni funerali, tutto unpopolo prega, piange, applaude e sfilaportando cartelli: “Dorothy vive!”.

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Fiammelle che brillanonella notteSiamo comunità che invecchiano, non possiamo negarlo. Destino di moltiistituti religiosi, in questi anni. Cosa possiamo e dobbiamo fare? Pregare,senz’altro! Ma possiamo forse fare qualcosa in più. E già lo facciamo. Pos-siamo testimoniare l’amore e l’abbandono. Alcune suore anziane scrivono o pensano: “Mi sento e sono forse un po’ inutile, ormai, a volte un peso per la mia co-munità…”. E le più giovani: “Mi sembra di non poter fare tutto da sola. Cometrasmettere il carisma ai laici? Come portare avanti le opere con la scarsità diforze che oggi caratterizza ormai i nostri contesti, almeno in Europa?”.Questi due mondi e questi due modi di sentire, che compongono ormai lenostre comunità, devono imparare a dialogare sempre di più…Jung l’ ha definita, l’età anziana, come un periodo utile per l’ interiorizzazio-ne, ed altri, come Luciano Manicardi, hanno scritto : «Questa fase della vita offre all’uomo la possibilità di vivere per grazia e nonper dovere. Nella vecchiaia semplicemente si è. In questo, credo, essa sia un’età di verità: non ciò che facciamo ci definisce, ma ciò che siamo.Siamo pienamente persone anche in questa fase della vita che non tutti han-no avuto (Gesù non l’ha conosciuta) e comprendere fino in fondo il signifi-cato di questo dono, ci dà l’opportunità di vivere la vita come “un’ avventu-ra spirituale” in cui il nostro compito “spirituale” sia quello di approfondi-re il nostro sé, aprendoci sempre più autenticamente all’ esterno, al mondo,agli altri, affinché la vecchiaia sia, più che una fine, un compimento» . E dobbiamo rimanere in relazione, giovani o anziane che si è. Dobbiamo con-tinuare ad incontrarci!Una leggenda ebraica racconta che ogni uomo viene sulla terra con una pic-cola fiammella sulla fronte, una stella accesa che gli cammina davanti. Quan-do due uomini si incontrano, le loro due stelle si fondono e si ravvivano, comedue ceppi sul focolare. L’incontro è riserva di luce. Quando un uomo per mol-to tempo è privo di incontri, la sua stella, quella che gli splende di fronte, pia-no piano si appanna, si fa smorta, fino a che si spegne. E va, senza più unastella che gli cammini avanti. La nostra luce vive di incontri. O la tua vita è presenza luminosa per qualcuno o non è nulla. O rischiari l’e-sistenza e la tristezza di qualcuno o non sei. O porti luce o muori.Pensiamo a quante fiammelle potremmo accendere incontrandoci con oc-chi nuovi e con sguardo sorgivo.

La tua amica

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DOSSIER: Nei solchi dei 140 anni

PRIMO PIANO: Costruire la Pace Un mondo in conflitto

IN RICERCA: Donne in contesto Donne fedeli

COMUNICARE Comunicazione e verità Dentro e fuori la rete

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IL SORRISO È LA CHIAVE CHE APRE LA PORTA

DELL’ACCOGLIENZA.(LUCIA GAIANIGO)

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SULLA TUA PAROLA

SOLO IN DIO TROVA RIPOSO

L’ANIMA MIA;DA LUI PROVIENE

LA MIA SALVEZZA...IO NON POTRÒ

VACILLARE... (SAL 62, 1-2)

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