Rivista DMA - ALLARGATE LO SGUARDO (Gennaio – Febbraio 2015)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE ALLARGATE LO SGUARDO 2015 Anno LXII Mensile n. 1/2 Gennaio/Febbraio Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane di don Bosco)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

ALLARGATE LO SGUARDO

2015Anno LXII Mensile n.1/2 Gennaio/Febbraio

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeDma 2015

5Primopiano6La Pace è la viaLa Pace non è un sogno

8Donne in contestoDonne nelle terre della gioia

10Cultura ecologicaL’ecologia al centrodello scenario mondiale

12Filo di AriannaIncontri e scontri

15DossierAllargate lo sguardo

27In ricerca 28Dono e CultureLa scommessa della gratuità

dmaRivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 8100139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneMaria Helena MoreiraGabriella Imperatore

CollaboratriciMaria Americo • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello Anna Rita Cristaino • Emilia Di MassimoDora Eylenstein • Palma Lionetti Anna

Mariani • Adriana NepiMaria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi• Eleana Salas • Martha Séïde

Giuseppina Teruggi

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30La ParolaEmmaus:uno sconosciuto si avvicina

32Carisma e leadershipEssere padre/madre:identità e missione

35Uno sguardo sul mondoIl coraggio di partire

37Comunicare38Vita consacrataComunicazionee comunione con Dio

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40Video Colpa delle stelle

42LibroLa luce sugli oceani

44MusicaGenitori e figli:tra amori e conflittualità

46CamillaRi-creazione

n. 1/2 Gennaio Febbraio 2015Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettoria Austria - Germania

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

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tare la preghiera con i giovani e la gente,mentre la rubrica Carisma e Leadership pre-senta, nella duplice veste di chi è animatri-ce e della comunità, le caratteristiche di unaleadership efficace con il riferimento cari-smatico ad alcune figure salesiane. I temi sulla Vita consacrata trovano spazionella rubrica Donne in contesto con la pre-sentazione della bellezza e ricchezza dellafemminilità che, consapevolmente accolta,dona colore e calore alla gioia della propriaidentità di consacrate. Nella sezione Comu-nicare, invece, il tema della consacrazione èmesso a confronto con la società attuale econ il Magistero della Chiesa.

Infine, nell’Inserto di ogni numero, verran-no presentati gli Obiettivi di Sviluppo delMillennio, dalla lotta alla fame e alla povertàalla tutela dell’ambiente, dalla promozionedei diritti della donna alla sconfitta dellamortalità infantile... sfide che non è possi-bile disattendere.

La nostra Rivista desidera allargare lo sguar-do, essere strumento di formazione non so-lo per le FMA, ma anche per i tanti laici egiovani che frequentano le nostre case.Inoltre può diventare sempre di più un aiu-to per animatrici di comunità, educatori ededucatrici chiamati ad essere con i giovanimissionari di speranza e di gioia.Buon anno, dunque, in compagnia della Ri-vista DMA!

La Redazione

Dma 2015

I cammini personali e comunitari que-st’anno sono orientati dall’evento capitola-re, definito un’esperienza di Spirito Santoe di formazione permanente. Ad ogni FMAe comunità esso ha consegnato scelte e pas-si concreti per il futuro. Il titolo del Docu-mento capitolare “Allargate lo sguardo;con i giovani, missionarie di speranza e digioia” è una chiamata e un impegno ad at-tualizzare l’esperienza vissuta caratterizza-ta da un forte dinamismo di missionarietà. La rivista DMA si pone in quest’ottica e ac-compagnerà le FMA, i laici e i giovani nelprocesso di assimilazione e di traduzionevitale dei contenuti emersi dal CG XXIIIsvoltosi a Roma.

Alcuni aspetti del Documento sono ap-profonditi sopratutto attraverso i Dossier ilcui titolo Allargate lo sguardo... fa da leit mo-tiv ed è la spinta a scrutare la realtà e il mon-do con occhi nuovi. Il momento storico chestiamo vivendo, inoltre, è ricco di segni e dichiamate. In particolare, l’Anno della VitaConsacrata e il Bicentenario della nascita didon Bosco sono doni e appelli a rendere piùluminosa la nostra identità di consacratenella Chiesa e nella società di oggi.

Il DMA, quest’anno, ospita alcune nuove ru-briche che toccano temi di attualità. La Pa-ce è la via, per conoscere, attraverso la te-stimonianza di FMA e laici, le situazioni diconflitto in atto e quali sono i passi concre-ti per promuovere una cultura della Pace.La pagina della Parola contribuisce a facili-

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativiApprofondimenti biblici

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no mediatico e si trasformano in spettacolo,ma anche ai conflitti sconosciuti, quelli deiquali nessuno si interessa perché non ci so-no interessi economici, nascono come unaquestione o un evento, apparentemente lo-cali, ma presentano sempre degli aspetti di ca-rattere internazionale o globale. La rivoluzione mediatica ha prodotto una se-rie di cambiamenti sociali, economici e po-litici grazie all’avvento della digitalizzazionedi gran parte degli accessi all’informazione;essa ha contribuito a mutare profondamen-te il concetto stesso di comunicazione. Lo sviluppo di strumenti interattivi ha pro-vocato la proliferazione e la moltiplicazio-ne dei canali d’accesso all’informazione, iquali hanno cambiato le modalità in cui av-viene l’atto comunicativo. Del terrorismo islamico e della ‘guerra globa-le’, veniamo informati tutti i giorni, anche sespesso in modo propagandistico e parziale.Eppure nessuno parla delle altre decine diconflitti che si combattono nelle periferie piùpovere del villaggio globale, là dove l’infor-mazione globalizzata non arriva. E allora ci si domanda: “Siamo davvero piùinformati e più liberi nelle nostre scelte?”.Unasintetica mappa dei conflitti attualmente incorso, potrebbe essere un test di verifica cheognuno può fare personalmente per rispon-dere al quesito posto. Attualmente 62 Stati so-no coinvolti in guerre internazionali o inter-ne, a cui debbono aggiungersi 549 milizie, car-telli della droga, gruppi indipendentisti,gruppi separatisti e gruppi anarchici coinvol-ti. Punti caldi sono: Egitto (rivolta popolare

“Fermatevi per favore, ve lo chiedocon tutto il cuore, fermatevi”. È stato l’accorato appello di papaFrancesco nell’Angelus domenicalecontro le guerre che stannodevastando il Medio Oriente, l’Iraq e l’Ucraina. Una pace che manca non solo nei territori tornati all’onore delle cronache estere nell’ultimoperiodo, perché i luoghi in cui sono in corso conflitti sanguinari sonosparsi in tutto il mondo. Drammi non sempre raccontati, che disegnano una mappa geopoliticaimpressionante per la quantità di conflitti duraturi e apparentementeirrisolvibili anche a causa di una diplomazia internazionalespesso inconcludente.

Il mondo è in guerra. Mai, dalla fine della se-conda guerra mondiale, lo è stato come og-gi. Il mondo non ha conosciuto un giorno nelquale ogni Stato ha vissuto nella ‘pace’ inte-sa non come assenza di guerra, ma come at-teggiamento, comportamento, sia persona-le sia sociale. Ricercarne le cause non èsemplice. Nelson Mandela, grande Leaderafricano, difensore dei Diritti Umani e PremioNobel per la pace, sosteneva: «La pace nonè un sogno, può diventare realtà; ma per cu-stodirla bisogna essere capaci di sognare».L’attenzione, però, va posta non solo ai gran-di conflitti, quelli che diventano un fenome-

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è la

via La pace non è un sogno

Emilia di Massimo, Gabriella Imperatore

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contro il Governo), Libia (guerra contro i mi-litanti islamici), Mali (guerra contro i tuarege militanti islamici), Nigeria (guerra contro imilitanti islamici), Repubblica Centrafricana(guerra civile), Repubblica Democratica delCongo (guerra contro i gruppi ribelli), Soma-lia (guerra contro i militanti islamici), Sudan(guerra contro i gruppi ribelli), Sud Sudan(guerra civile). Il numero dei conflitti attual-mente in corso è davvero incredibile.

La risposta è ancora la pace

Cercare di comprendere un conflitto signifi-ca porsi alla scuola dei ‘volti’, per evitare il ri-schio di focalizzare l’attenzione solo sui fat-ti, dimenticando che i protagonisti sono per-sone che hanno sentimenti, vivono emozio-ni e custodiscono nel cuore tanti desideri,proprio come ciascuno di noi. Di fronte al fallimento di molte iniziative dipace, Deepak Chopra – medico indiano – pro-

pone una strategia alternativa per sconfig-gere la cultura della guerra, la stessa cheproponeva il Mahatma Gandhi: “Non c’èuna via della pace, la pace è la via”.Il medico indiano afferma: «Come ogni vi-zio, la guerra ha scavato un solco nelle no-stre menti. Ricerchiamo la guerra come il fu-matore accanito ricerca una sigaretta, con-tinuamente lamentandoci che dobbiamosmettere. La guerra è diventata un’abitudi-ne, un vizio. Per sconfiggerla, occorre pren-dere il vizio della pace».Gli episodi di guerra, violenza e terrorismosuscitano paura e angoscia nell’animo dellanostra società contemporanea. In tutto ilmondo le persone desiderano ardentemen-te trovare la pace ed essere in grado di dareconforto ai sofferenti e agli oppressi. Tuttavia, sarebbe ingenuo e superficiale de-finire tali episodi un esempio di pura malva-gità e depravazione. In realtà noi tutti siamocoinvolti nella violenza che ha luogo nel mon-do. Ognuno è coinvolto nell’intricata rete del-l’ingiustizia sociale, disparità economiche, di-sastro ecologico, guerra e terrorismo. Mahatma Gandhi dichiarò che se avessimocontinuato su questa strada il mondo interosarebbe diventato cieco. Riusciremo mai a guardare oltre la nostra ce-cità e a creare una comunità globale di uma-nità interconnessa?Gli attacchi terroristici, le guerre dichiarate e/onascoste, le piccole e grandi violenze che toc-cano ogni parte del mondo devono far nasce-re in noi la voglia di vivere per la pace sopraogni cosa. Spesso le violenze dilagano a cau-sa della mancanza di cultura, di un nazionali-smo nocivo, dell’ignoranza e delle profondedisparità economiche tra le classi sociali. Ci so-no delle cause a monte ma c’è speranza chequeste cause possano essere cambiate, usan-do come mezzo non la guerra, ma la pace.

[email protected] [email protected]

7 ANNO LXII • MENSILE / GENNAIO FEBBRAIO 2015dma damihianimas

I verbi della PaceOgnuno di noi può aiutare a promuo-vere una cultura della Pace, moltiplican-do piccole azioni nel quotidiano:

essere Pace / pensare Pace sentire Pace / parlare di Pace agire in Pace / creare Pace condividere la Pace

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Ma per compiere questo viaggio, che è piùun pellegrinaggio interiore come dice pa-pa Francesco, abbiamo bisogno di metter-ci in stato di “ascolto” prima di addentrar-ci in quelle terre preziose e feconde dellagrande risorsa che è la femminilità. C’è un’Odissea, perciò, raccontata al fem-minile lontana da ogni presunzione eroica,legata più al quotidiano, alla fatica della con-dizione di donna; un viaggio più interiore,in un’apparente immobilità, eppure liberanella costrizione e prigioniera nella sua li-bertà. Dunque, muoversi nelle terre diuna femminilità consapevole e gioiosa signi-fica forse andare fuori dal senso comune,a partire dal recupero di una autentica co-scienza del proprio valore. Purtroppo al nostro innato “senso di colpa”si aggiunge, a volte, la paura di non farce-la, la mancanza di riconoscimento che cirende timide nel procedere, nell’avanzare,timide nel desiderare, nel volere.

La paura investe anche un giudizio di me-rito, noi donne ci sentiamo sempre menocapaci degli uomini; temiamo il loro giudi-zio, anche se spesso temiamo molto di piùquello delle altre donne. Accanto, però, a queste “fragilità” ci sonoluminosi “punti di forza”, come quellagioia che nasce nella donna quando si sen-te profondamente abitata dall’amore,quell’amore che la rende coraggiosa, au-dace che – mettendo da parte il vittimismo– contrasta l’aggressività con la pratica diun potere che genera gioia, perché capa-ce di fare squadra, di dare responsabilità

Donne nelle terre della gioiaPalma Lionetti

Incominciare una nuova Rubrica dedicataalle Donne evitando ripetizioni e luoghi co-muni non è un’impresa facile. Potrebbe ripetersi, usando una metafora let-teraria, quanto avvenuto nel celebre roman-zo di Jule Verne “Viaggio al centro della ter-ra”, in cui tutti gli strumenti che i protago-nisti possiedono all’inizio (il barometro, learmi, i picconi..) vengono perduti nel cor-so del viaggio, lasciando l’uomo nudo difronte alla natura. Certo è un rischio scrivere delle donne ma,nonostante questo, è sempre “stupefacen-te, magnifico, splendido”, come uno deiprotagonisti del citato romanzo esprime ochiosa al termine di ogni impresa, perchéle affronta con la fiducia e l’ottimismo concui guarda alla possibilità di penetrare neimisteri di una dimensione diversa che, nelnostro caso, è quella della femminilità.

La ricchezza della femminilità

Ci accompagneranno in questo viaggio“nelle terre della gioia”, facendo un po’ dabattistrada semantico, i punti che vengonoesplorati nella lettera circolare ai consacra-ti e alle consacrate per l’anno della Vita Con-sacrata dal titolo “Rallegratevi”. Esploreremo la ricchezza della femminilitàche, consapevolmente accolta, dona colo-re e calore alla gioia della consacrazione. Le urgenze del mondo attuale chiedono larisposta del genio femminile. Una pienezza nascerà quando il contribu-to femminile sarà pienamente riconosciu-to accanto alla coscienza maschile.

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ad altri, senza sentirsi sminuite, di dareconcretezza alle parole, quelle paroleche sanno generare un clima positivo.

Una trappola per noi donne

Il vittimismo, vera trappola per noi donneci blocca in un sentimento particolarissimoche è il rancore. È interessante l’etimologia della parola in ita-liano: rancore dal latino rancere, che si ri-ferisce ad un cibo andato a male, che pos-siede quell’odore sgradevole, quel saporeacidulo che tutti conosciamo. Allora, dob-biamo stare attente a ciò che ospitiamo nelcuore e nella mente! Sentimenti simili ci tolgono man mano l’e-nergia interiore nel guadagnarci un prota-gonismo diverso, fatto di libertà e leggerez-za, un protagonismo pulito, elegante, mai gri-dato, come un tuffo senza schizzi, come lavaporizzazione nell’ambiente di una delica-

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ta fragranza che non stordisce ma allieta.

Allora che ci siano donne è una fortuna perl’umanità, anche se essere donne non è fa-cile…non lo è stato per Maria di Nazareth,Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Maria Do-menica Mazzarello; come non lo è stato perIndira Gandhi, Evita Perón, Marie Curie, Ja-ne Austen, María Zambrano, Simone Weil,Maria Callas, Grace Kelly, Marilyn Monroe. Essere donna è un privilegio… un privile-gio che, come ha detto Irina cittadina d’Eu-ropa immigrata in Italia per un lavoro cheora ha perso, si gode nell’intimo di sé, nel-la confidenza tra simili o nella compagniadi uomini consapevoli, oppure nelle gran-di prove. Insomma, un di più femminile chesi coglie in tutta la sua potenza luminosanell’incontro fra le cose ordinarie della vi-ta e arriva fino alle straordinarie!

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to il 2015 “Anno internazionale della Lucee delle tecnologie basate sulla Luce (IYL2015)”. È questa un’iniziativa globale che mi-ra ad accrescere la conoscenza e la consa-pevolezza di ciascuno di noi sul modo in cuile tecnologie basate sulla luce promuova-no lo sviluppo sostenibile e forniscanosoluzioni alle sfide globali ad esempio neicampi dell’energia, dell’istruzione, delle co-municazioni, della salute e dell’agricoltura(cf http://iyl2015.inaf.it/).La Francia ospiterà la Conferenza Parigi 2015sul clima (COP21). Questo appuntamentoprevisto a dicembre 2015, dovrà segnare unatappa decisiva nei negoziati del futuro ac-cordo internazionale per il dopo 2020. Loscopo della Conferenza sarà che tutti i pae-si siano impegnati da un accordo universa-le costrittivo sul clima (cf http://www.amba-france-it.org/La-Francia-ospitera-la-COP21).Le concentrazioni di gas serra nell’atmosfe-ra hanno raggiunto i livelli maggiori in 800mila anni. Le emissioni mondiali devono es-sere ridotte dal 40 al 70% entro il 2050.«Dobbiamo agire ora per contribuire allaprosperità economica, a un migliore statodi salute e a rendere le città più vivibili», haaffermato il segretario generale delle Nazio-ni Unite, Ban Ki-moon (02.11.2014).L’evento centrale del presente anno sarà in-dubbiamente la “Expo Milano 2015”. Un’E-sposizione Universale con caratteristiche as-solutamente inedite e innovative. Non so-lo una rassegna espositiva, ma anche unprocesso partecipativo che intende impli-care attivamente numerosi soggetti attorno

L’ecologia al centro dello scenario mondiale Julia Arciniegas – Martha Séïde

Un’occhiata alle ultime annate delle rivistepiù note a livello internazionale, una purbreve ricerca in Internet, ci fa costatare cheil tema ecologico occupa un posto centra-le nell’opinione pubblica mondiale. La salvaguardia del Creato diventa un pun-to d’incontro tra le diverse confessioni re-ligiose che convergono nel chiedere inter-venti urgenti e concreti contro i cambia-menti climatici e a favore dei diversi pianiper la protezione dell’ambiente.

2015 un anno ecologico

L’anno 2015 vedrà lo svolgersi di numero-si eventi internazionali che mettono alcentro iniziative finalizzate ad impegnarsinella promozione di uno sviluppo am-bientale sostenibile e duraturo. L’ONU è ar-rivata ad affermare che gli Obiettivi del Mil-lennio non sono stati raggiunti per non averintegrato gli aspetti economici, sociali edambientali di sviluppo sostenibile come erastato previsto. La nuova agenda post-2015dovrebbe prendere in considerazione i ri-sultati e il seguito di Rio+20 verso una “eco-nomia verde” che non sia solo un miglio-ramento ambientale, ma un nuovo para-digma che cerchi di alleviare minacce glo-bali come il cambiamento climatico, laperdita di biodiversità, la desertificazio-ne, l’esaurimento delle risorse naturali eal tempo stesso promuovere un benesse-re sociale ed economico.

In margine ad alcuni eventi 2015Coerente con i dati registrati, l’AssembleaGenerale delle Nazioni Unite ha proclama-

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a un tema decisivo: “Nutrire il Pianeta,Energia per la Vita”. Dal 1 maggio al 31 otto-bre 2015, 184 giorni di evento, oltre 130 Pae-si partecipanti e 20 milioni di Visitatoriprovenienti da tutto il mondo si vedrannocoinvolti in un dibattito sui temi universa-li connessi all’alimentazione e allo sviluppo so-stenibile (http://www.expo2015.org/it/cos-e).

Motivi di speranza L’attenzione all’integrità del Creato costitui-sce un segno dei tempi. Non solo rispon-de alle problematiche emergenti, ma diven-ta anche una possibilità per fare alleanze tragruppi, movimenti, confessioni diverse. Il Patriarca ecumenico di Costantinopo-li Bartolomeo ha indetto per giugno 2015un convegno ecologico nella propria se-de del Fanar, a Istanbul, sul tema “Teolo-gia, ecologia e Logos, dialogo sull’ambien-te, la letteratura e le arti”. Con papa Francesco ha dialogato varie vol-te su questo tema e, nel loro incontro inTerra Santa, hanno firmato una dichiara-zione congiunta, nella quale, al numero 6,scrivono: “Siamo profondamente convin-ti che il futuro della famiglia umana dipen-de anche da come sapremo custodire, inmodo saggio ed amorevole, con giustiziaed equità, il dono della creazione affida-toci da Dio” (25 maggio 2014). Con grande speranza attendiamo pertantol’enciclica sull’ecologia, annunciata ripetu-tamente dai media e ormai confermata invarie occasioni dallo stesso Pontefice.

Scommettere sull’educazione

Oggi è ormai condivisa l’idea che non si puòpensare di risolvere il problema ecologicosenza un profondo cambiamento cultura-le e un ripensamento degli stili di vita. Pertanto, diventa urgente educare a unanuova coscienza ecologica in vista di unosviluppo sostenibile, cioè uno sviluppoorientato alla promozione della personanella sua integralità in armonia con il crea-to (cf PAOLO VI, Populorum Progressio, 14). È un invito ad assumere il compito edu-cativo dalla prospettiva ecologica performare all’amore e alla custodia delcreato nell’impegno di rendere effettivala cittadinanza planetaria.

[email protected], [email protected]

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Un evento da seguire: Don Bosco a Expo Milano 2015

La presenza salesiana a Expo Milano2015 è un evento da seguire. Conterà su una struttura di circa 350 mqcoperti, su un terreno di 747 mq, per tut-ti e 6 i mesi. Il padiglione avrà il nomedi “Casa don Bosco” e svilupperà il te-ma “Educare i giovani, energia per la vi-ta”. Con questa presenza la Famiglia Sa-lesiana darà risonanza al Bicentenario diDon Bosco e alla Strenna del 2015 e, so-prattutto, richiamerà l’attenzione delmondo intero sui giovani, “la porzionepiù delicata e la più preziosa dell’uma-na società” come diceva Don Bosco.È un’occasione unica, provvidenziale esfidante per interagire quasi con ilmondo intero (oltre 140 Nazioni parte-cipanti), per offrire il nostro apporto cul-turale ed educativo ispirato a Don Bo-sco, per far capire e testimoniare quan-to sono importanti i giovani per la vitadi ogni comunità sociale ed ecclesialee per il pianeta intero (http://www.infoans.org/, 7/11/2014).

LUCECONTRO

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che al patrimonio genetico di ognuno.Nel rapporto interpersonale ci si influenzareciprocamente: è inevitabile. Anche nelrapporto madre-bambino, fin dal periododella gestazione. In situazione di relazione,le persone modificano reciprocamente ipropri contenuti interiori, le reazioni e glistili comportamentali. La relazione si con-solida e arricchisce quando diventa intera-zione, cioè rapporto che lega la modalità dimettersi l’una nei confronti dell’altra comepersone. Soprattutto quando si fa incontro.

Io - TuSi deve in particolare a Martin Buber la spe-cificazione dell’essere umano come indivi-duo e come persona. L’individualità siesprime nella distinzione da altre individua-lità, mentre l’essere persona si manifesta en-trando in relazione con altre persone. È proprio nella relazione che l’Io diventareale. La relazione Io - Tu è necessariamen-te reciproca, perché il Tu opera sull’Io co-me l’Io sul Tu.Ogni Io si pone di fronte alTu come radicalmente altro e lo confermacome tale, in autenticità e reciprocità. Per il filosofo viennese, il senso fondamen-tale dell’esistenza umana si trova nel prin-cipio dialogico, cioè nella capacità di starein relazione con le altre persone, con la na-tura, con le entità spirituali, in un rappor-to Io - Tu. L’essere umano autentico si de-finisce come “persona che nella relazioneIo - Tu prende coscienza di sé come sogget-tività” (Enciclopedia Garzanti di Filosofia). Secondo Buber, ai nostri giorni si sta viven-

Incontri e scontri

Giuseppina Teruggi

La vita è relazione: pare un’affermazione ov-via. In effetti è una fondamentale verità: co-sa sarebbe la vita, il mondo senza qualcu-no con cui dialogare, confrontarci, capirci,anche scontrarci? Possiamo essere più o meno socievoli,preferire talvolta stare soli, ma in genere tut-ti ammettono che ciò che conta è la qualitàdella rete comunicativa in cui ci troviamoimmersi ogni momento. E quella qualità di-pende in gran parte da noi.

Il processo della relazioneL’attenzione alla dimensione umana del-la relazione risale a Sigmund Freud, il fon-datore della psicoanalisi. È stato lui a elaborare l’intuizione che dueo più persone in relazione formano uncontesto diverso da due o più persone in-dipendenti o staccate. Di conseguenza, lo sviluppo positivo del-l’essere umano è collegato a relazionibuone; la patologia dei comportamenti di-pende molto da esperienze di relazionidifficili o difensive.La conoscenza di sé, l’autostima, la moti-vazione ad agire e a progettare il futurohanno come fondamento la relazionecon i genitori o le figure genitoriali, e coni primi educatori. Oggi si è concordi nel-l’attribuire alla relazione buona un valo-re essenziale per la crescita equilibratadella persona, pur nella convinzione chenon esistono modelli risolutivi per unaformazione armonica della personalità. In-tervengono, infatti, altri fattori legati an-

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do una profonda crisi causata anche dalladisgregazione delle tradizionali forme diconvivenza sociale: la famiglia, il villaggio,le associazioni di lavoro, che permetteva-no di stabilire un incontro personale e au-tentico con gli altri, con il coinvolgimentoquasi automatico dei membri. La cultura attuale è connotata da situazio-ni sociologiche e mediatiche nuove, chetendono a lasciare la persona in una soli-tudine sociale, che è possibile superare so-lo nella relazione interpersonale e comu-nitaria. Unicamente nell’incontro con l’“al-tro”, infatti, la persona può entrare nellasua realtà vera e dirigersi oltre la solitudi-ne e l’isolamento. È nell’incontro che l’in-dividuo diventa persona.

Trappole della relazione Un modo inadeguato di comunicare trapersone può complicarci la vita e rovina-re i nostri incontri, fino a trasformarli inscontri. Anche perché, come nelle relazio-ni verbali, ciò che viene recepito non è so-lo il messaggio in sé, le parole che usiamo,la verità di quanto diciamo. Quello che colpisce con più forza è lo sta-to emotivo, l’intenzione con cui ci rappor-tiamo all’altro nel passargli il messaggio, ecome noi ci poniamo psicologicamente difronte alla persona. L’influenza di questi aspetti è così grandeche spesso finisce per essere la forza trai-nante della comunicazione, quello che dàl’esito, efficace o distruttivo.

In una relazione in cui la comunicazione èaggressiva, ad esempio, si tende ad assog-gettare l’altra persona, anche se inconsape-volmente. L’obiettivo implicito che si tra-smette è voler affermare se stessi e le pro-prie ragioni, senza ascoltare e comprende-re quelle degli altri. In questa situazione do-mina la regola “io vinco, tu perdi”. Anche lo stile espressivo lo evidenzia: to-no autoritario, ritmi rapidi che lasciano

poco spazio alla riflessione, tendenza a so-vrapporsi all’interlocutore anche alzando lavoce, forte presenza del pronome “io”,opinioni presentate come fatti e richiestecome doveri. Talvolta persino sarcasmo.Gli esempi si possono moltiplicare anchenelle nostre comunità. Come quando Mariaesclama spazientita: “Ma Anna! Perché nonfai mai bene questa cosa?”. Anna, irritata per la critica generalizzata e pernon veder riconosciuto il lavoro svolto conimpegno, reagisce: “Evidentemente non mispieghi mai bene cosa devo fare”.Maria incalza, ancora più tesa: “Ah, e ades-so sarebbe anche colpa mia? Mi ricordo be-nissimo quello che ti ho detto; ho un’ottimamemoria, IO”.Anna, sempre più afflitta ed esasperata:“Ah,e secondo te, io le cose me le invento? Ho ca-pito che…”. E Maria:“Sei la solita polemica!”.

Nelle relazioni, c’è chi invece ricorrere aduno stile di comunicazione passiva. Ci si met-te in secondo piano, cedendo all’altro il po-tere sulla situazione. L’obiettivo è proteg-gersi dal pericolo temuto: “Io perdo, tu vin-ci”. In questo caso lo stile espressivo è libe-ro da affermazioni personali e assume unaforma vaga, sfuggente. Il pronome “io”compare poco, sono frequenti i richiami aipropri doveri e le espressioni di giustifica-zione, autocommiserazione e minimizzazio-ne dei propri bisogni. Se c’è dialogo, si tende ad esaurire in fret-ta la conversazione e a sottrarsi con rapiditàalla situazione di ansia generata da unconfronto. La persona desidera “rimanerein pace”, evitare il conflitto. Si tratta di una forma che talvolta attira lasimpatia e la benevolenza di quelli a cui facomodo un interlocutore remissivo. Tuttavia, il prezzo da pagare è che spessogli altri finiscono per imporre la propria vo-lontà e anche prevaricare. Con un atteggia-mento passivo, i problemi interpersonali

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stati d’animo, e questo grazie al confronto,all’ascolto, ad un accordo leale di trasparen-za, alla possibilità di “lasciarci sbagliare”. Siamo assertivi quando ci esprimiamo inmodo chiaro, con voce espressiva, guardan-do in volto l’altro, senza volerlo intimidire.Lo siamo quando le nostre opinioni non so-no offerte come fatti indiscutibili e le nostrerichieste sono presentate come tali, cioè co-me desideri, non obblighi o pretese.I suggerimenti vengono donati in modo li-bero e liberante, non costrittivo né colpe-volizzante, e le critiche sono costruttive. Le domande sono motivate dal volermaggiormente comprendere l’altro, an-ziché da curiosità, e le soluzioni propo-ste mirano a risolvere i problemi nel re-ciproco interesse. La comunicazione assertiva poggia sulpresupposto: “Io vinco, tu vinci”, e alla suabase c’è la consapevolezza dei diritti emo-tivi di ogni persona.

Nella trama quotidiana della vita, di frontead attacchi manipolativi o immotivati, è uti-le cercare di spostare l’attenzione da se stes-si ai comportamenti o alla situazione con-creta, e accettare la possibilità di aver com-messo errori senza però darla per sconta-ta. In questo modo si può trasformare an-che lo scontro in un confronto costruttivoe in un’opportunità di reciproca crescita.

Ritroviamo ancora Maria che sbotta con An-na: “Ma dai! Perché non fai mai bene que-sta cosa?”. Anna, cercando di concentrarsisul problema invece che sulla propria irri-tazione, risponde: “Mi sono impegnatamolto, ma ci dev’essere qualche dettaglioche non mi è ancora chiaro. Spiegami cosanon va, così andiamo avanti”.Probabilmente questo tipo di risposta aiu-terebbe ‘ogni Maria’ a ridimensionare le suevalutazioni e il suo stile. E, invece di scon-tro, permetterebbe di creare incontro.

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non si affrontano, non vengono ben gesti-ti. Anzi, tendono ad aggravarsi con ripercus-sioni negative sulla propria autostima e il ri-schio possibile di scivolare presto o tardi inuno stile aggressivo. Sensi di colpa, una bas-sa autostima, o anche un’eccessiva corret-tezza possono portare a vivere situazioni delgenere. Non si sperimenta un’autentica re-lazione “interpersonale”.

‘Io vinco, tu vinci’: la comunicazione assertivaCome reagire a situazioni comunicative dif-ficili senza diventare aggressivi e senzasubire passivamente? Nelle nostre comunitàeducanti è normale avere a che fare conpersone di carattere, formazione, stili dif-ferenti. Ci troviamo talvolta con interlocu-tori dai modi pronti, immediati, invadenti,manipolatori, indiscreti. O noi stesse pos-siamo esprimerci così. Avvertiamo la necessità di sapere come ge-stire i nostri stili di relazione, per noncoinvolgerci in inutili discussioni o spiace-voli tensioni. Anche se non è sempre possibile trasforma-re la relazione in una comunicazione pia-cevole e soddisfacente, tutti desideriamo vi-vere incontri significativi, sereni o almenouscirne col minor danno possibile. Infatti, talvolta le nostre relazioni provoca-no strascichi di sofferenza, di incompren-sione, di amarezza.Ci sono strategie di relazione che hanno incomune il non essere aggressive né passi-ve, tutelando allo stesso tempo le nostre esi-genze e aspirazioni: sono quelle inerenti al-la comunicazione assertiva.

Lo stile aggressivo e quello passivo compor-tano insoddisfazione per almeno una del-le parti. La comunicazione assertiva – di cui la Rivi-sta ha trattato in un articolo precedente –concede spazio sia ai propri sentimenti siaa quelli dell’altro, alle rispettive esigenze e

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Allargate lo sguardoAllargate lo sguardo

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visione universale in cui ogni parte si in-serisce in quel tutto fatto di 83 ispettorie,in 94 nazioni del mondo, con circa 13.000FMA. Fermarsi per conoscersi, per appren-dere quanto e come il carisma continuacon creatività a incarnarsi e inculturarsi intante zone del mondo. Fermarsi per far ri-svegliare in tutte la grande passione per igiovani, per il carisma salesiano e il gran-de amore per l’Istituto che, nonostante idiversi “acciacchi”, è vivo e opera per il be-ne di tanti giovani in tutto il mondo.

GuardareIl fermarsi è solo una prima tappa del per-corso che conduce a quella successiva delguardare. Richiamando una frase di DavidCooperrieder che dice: «Il nostro mondonon è un problema che dobbiamo risolve-re ma un miracolo che dobbiamo abbrac-ciare» si è compreso l’importanza di guar-dare al mondo con tenerezza, abbraccian-done il miracolo e non difendendoci da es-so. In fondo il mondo è il luogo dove sia-mo chiamate ad esistere, a testimoniare ead annunciare la buona notizia del Vange-lo. Per questo abbiamo guardato alle sfidedel contesto attuale in cui viviamo come adelle chiamate di Dio. Lui ci parla e ci invita a trovare risposte nuo-ve ed adeguate ai tempi di continuo cam-bio che stiamo vivendo. Guardare alle no-stre comunità, non per evidenziarne difet-ti e problemi, ma per amarle così come so-no e con quell’amore guarirle, dar loro unoslancio nuovo.

Allargate lo sguardo

Anna Rita Cristaino

“Aprite il cuore ad accogliere le mozioni interiori della grazia di Dio; allargate lo sguardo, allargate lo sguardo per riconoscere i bisogni più autentici e le urgenze di una società e di una generazioneche cambiano”. (Papa Francesco, Discorso all’Udienzaalle Capitolari, 8 novembre 2014)

Volti, speranze, sorrisi; ascolto, dialogo,conoscenza reciproca; lingue, modi di es-sere e di pensare diversi, tutto questo èil mosaico che ha caratterizzato il Capi-tolo Generale XXIII delle FMA. Una gran-de assemblea messasi in ascolto dello Spi-rito Santo per cercare di comprendere ciòche il Signore vuole fare con ciascuna econ l’Istituto oggi. L’esperienza vissuta alcapitolo la si può raccontare con tre ver-bi: fermarsi, guardare, andare.

FermarsiArrivare da situazioni diverse vissute nellerispettive ispettorie, con sfide quotidianeche interpellano la nostra vita, la nostra mis-sione, il nostro essere con i giovani, ha fat-to nascere la necessità di fermarsi. Il cam-mino svolto, quello più prossimo del ses-sennio appena terminato, i processi avvia-ti, quelli conclusi e quelli che si intravedo-no, tutto aveva bisogno di una grande ri-comprensione. Fermarsi per prendere co-scienza di sé e passare da una visione lega-ta al locale delle proprie ispettorie ad una

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Guardare ad ogni giovane con speranza, te-stimoniando la gioia di aver incontrato il Si-gnore della nostra vita, senza il quale le no-stre esistenze sarebbero tetre e buie.

AndareTutta l’esperienza vissuta durante il tempocapitolare, è stata un invito continuo ad an-dare con i giovani, in una missione che por-ta ad essere in permanente stato di “usci-ta”. Di fronte alle tante chiamate di Dio checi interpella continuamente con quanto ac-cade intorno a noi e dentro di noi, non sipuò rimanere fermi, inermi. È importante sentire forte il desiderio di par-tire ‘senza indugio’, senza paura di lasciarele proprie sicurezze, di abbandonare le me-diocrità e con coraggio intraprendere stra-de nuove che si aprono nel momento in cuiritorniamo a stare a contatto con la gente.Andare con i giovani verso un incontro ve-ro con Gesù, per poter riscoprire la gioiadell’annuncio. Andare con i più piccoli e ipiù poveri. Solo il contatto quotidiano conloro ci farà avere uno sguardo sulla realtà

che parte dalle loro esigenze, uno sguardo“convertito” ed evangelizzato dalla picco-lezza, dalla povertà, dalla precarietà.

Il punto di partenzaLa riflessione è partita dalla vita dell’Istitu-to, del mondo, dei giovani, dei poveri, po-nendosi l’obiettivo di cercare insieme uncammino per essere con i giovani casa cheevangelizza. Cinque le domande che, a par-tire dallo Strumento di lavoro, hanno per-messo di approfondire il tema articolato incinque nuclei: Come annunciare Gesù in unmondo che cambia, a una generazioneche cambia? Quale nuova visione di comu-nità con i giovani per essere profezia di vi-ta religiosa salesiana oggi? Come situarci nella cultura della comuni-cazione? Perché con tutta la formazione chericeviamo la vita non cambia? Stiamo solorestaurando o facendo qualcosa di nuovo?

La bellezza del nostro Istituto, guardato an-che nelle sue ferite e fragilità, incoraggia acontinuare ad incarnare il carisma, vivo e

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sciano però avvicinare da un forestiero a cuiaprono il cuore confessando i loro dubbi ela loro malinconia. Mentre ascoltano quellosconosciuto che li aiuta a leggere la lororealtà alla luce delle Scritture, il loro cuoreinizia ad ardere, tanto da non voler lasciarpartire colui che, con le sue parole, riesce atoccare l’intimo delle loro esistenze. Hannopaura del buio che avanza e hanno paura diperdere anche quella piccola luce che intra-vedono nelle parole di colui che si è fatto lo-ro prossimo. Lo invitano in casa, per la cena. Gesù spezza il pane e i loro occhi si apro-no. Sono pronti, sono stati preparati già du-rante il cammino ad un cambio, a lasciareda parte la tristezza per accogliere la novitàdel Regno di Dio. Lo riconoscono e la lorogioia è immensa. Il mondo fuori con le suecontraddizioni, le sue luci e le sue ombreè lo stesso, sono loro che sono nuovi, chesono diversi. Si sono lasciati trasformare daun incontro che quando è autentico cam-bia la vita per sempre. Insieme ripartono per Gerusalemme: ognidono di grazia non può essere seppellito ecustodito con gelosia, va condiviso con tut-ta la comunità e allora i due discepoli tor-nano dagli altri per raccontare quanto è av-venuto in loro, partono senza indugio co-me missionari di speranza e di gioia.

Uno sguardo nuovoLa povertà, la prospettiva delle periferie, l’es-sere con i giovani, le nostre relazioni resenuove da una vita profonda di comunionecon il Signore, la nostra passione educati-va ed evangelizzatrice, sono la spinta a scru-tare l’orizzonte per intravedere cosa ilmondo e i giovani si aspettano da noi. È importante saper accogliere l’inedito delmondo, della vita di ogni FMA e delle co-munità, dell’intero universo giovanile. Accoglierlo e comprenderlo per agire concoraggio, evangelicamente, con risposte ca-rismatiche e con la passione del DMA.

profetico, nei diversi Paesi del mondo do-ve vivono e operano tante FMA. Oggi è ne-cessario credere che l’Istituto ha una sua pa-rola originale da dire. Il mondo ci chiede ditestimoniare la nostra “differenza” e que-sto per noi diventa un impegno a rimane-re coerenti e fedeli alla Verità del Vangelo.Il voler guardare alle sfide come ad unachiamata di Dio e come una opportunità difedeltà diventa una risposta all’appello di es-sere con i giovani e gli adulti, per ricercaree operare insieme a favore di altri giovani,perché sempre di più arrivino all’incontrovitale e umanizzante con Gesù nelle diver-se esperienze della vita. Una parola che spesso è risuonata duran-te il tempo del CG XXIII, sia tra le capitola-ri, sia tra chi lo ha seguito dalle proprie ca-se, è stata la parola ‘novità’. Cosa c’è di nuo-vo? Qual è la novità di questo capitolo?La novità non si fabbrica, la novità la si la-scia emergere e crescere, la novità ha biso-gno di spazio e di fiducia, di coraggio e dilungimiranza, di cammini personali e comu-nitari. Per questo per essere comunitànuove, è necessario attuare con decisionecambi di mentalità per disporci a lasciareschemi consolidati e a volte un po’ supera-ti, ed iniziare a guardare alla missione edu-cativa con occhi nuovi. Solo uno sguardonuovo, che parte da prospettive di speran-za e di gioia, può favorire nuove scelte epassi concreti messi in atto a diversi livel-li: locale, ispettoriale, generale.

Come i discepoli di EmmausIl momento attuale che come vita consacra-ta, e come Istituto stiamo vivendo, spessoci porta ad essere come quei discepoli che,dopo la morte in croce di Gesù, pensanoche tutto sia finito, che le loro speranze peril futuro siano per sempre disattese.Ma la loro esperienza ci parla di un cambio.I discepoli che guardano con occhi tristi e de-lusi i fatti della morte in croce di Gesù, si la-

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Il renderci conto che intorno a noi ci sonosituazioni di povertà impellenti, non ci la-scia indifferenti. Il contatto, lo stare con i po-veri, l’avere compassione per loro, cioè pa-tire con loro, ci aiuta a crescere nell’amo-re, a diventare più umane e ad avere unaprospettiva sull’educazione diversa! Per noi essere preventive vuol dire sogna-re un mondo più giusto, più vivibile per tut-ti, un mondo in cui ciascuno possa fare inlibertà la sua parte, un mondo in cui l’uma-nità intera possa ritrovarsi bene per mette-re fuori il meglio di sé. Per i nostri giovani sogniamo il meglio: so-gniamo per loro una vita felice, impegnata,piena di amore e solidarietà, frutto di unavita di fede autentica e profonda. E sono proprio i giovani ad insegnarci il sen-so della “differenza” cristiana. È la vita conloro, con i più piccoli, con quelli che vengo-no messi ai margini della società per qual-siasi motivo, che ci insegnerà ad essere po-vere, a guardare al mondo e a noi con occhinuovi. Come è scritto nello Strumento di la-

voro del CG XXIII: «La periferia non è soloun luogo geografico, ma anche una prospet-tiva da cui guardare la realtà per accoglierela misteriosa sapienza che lo Spirito Santocomunica attraverso i poveri che si identifi-cano, per noi, con i giovani più bisognosi». È questa la “prospettiva”, “l’ottica delle pe-riferie” a cui tanto spesso ci invita papa Fran-cesco, che ci fa temere solo la “tranquillità”e la ricerca del “quieto vivere”. Per noi essere felici non vuol dire non tro-vare difficoltà, perché la nostra gioia de-riva dalla speranza e dalla fede in Coluia cui tutto è possibile. Ecco perché dovremmo imparare a ringra-ziare Dio per tutte le volte che ci scomoda!

L’orizzonte«Spero che tutte le comunità facciano inmodo di porre in atto i mezzi necessari peravanzare nel cammino di una conversionepastorale e missionaria che non può lascia-re le cose come stanno. (…) Costituiamo-ci in tutte le regioni della terra in uno “sta-to permanente di missione”» (FRANCESCO,

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1 Gv 4,19) e occorre che ci riconosciamocontinuamente assetati di questo amore,continuamente bisognosi di conversione.Ecco il cuore pulsante del perenne rinno-vamento della Chiesa! E anche il nostro. Lafamiliarità con Gesù e la conoscenza nonsuperficiale del mistero della sua esisten-za, infatti, costituiscono il fondamento deldiscernimento pastorale comunitario. Ecco perché l’orizzonte da cui far scaturirepassi concreti e scelte importanti è quellodella Conversione pastorale.Una conversio-ne che spinge ad uscire dalle proprie medio-crità, a scegliere una vita autentica perchéla vita religiosa sia vera profezia.

Per una nuova evangelizzazione, è impor-tante avere consapevolezza che solo un in-contro personale e autentico con Gesù, nel-le diverse fasi della vita, ci trasforma dal didentro, ci fa vivere relazioni nuove, ci por-ta alla comunione tra di noi e con i giovani,e ci dà il coraggio di osare strade nuove. Perattuare una vera conversione pastorale è ne-cessario quindi il contributo di ciascuna dinoi. Non ci sono alibi di età, ruoli, posti e cir-costanze. Ognuna, partendo da se stessapuò attuare cammini di trasformazione cherenderanno la sua realtà più evangelica.

A partire da tutto ciò le tre grandi scelte, cheil CG XXIII ha consegnato a tutto l’Istituto so-no: Trasformate dall’Incontro; Insieme, coni giovani; Missionarie di speranza e di gioia.

La strada si apre camminando

Questo è solo l’inizio. Il cammino continuanelle diverse realtà locali dove ognuna èchiamata a lasciarsi trasformare per essereinsieme con i giovani missionari di speran-za e di gioia, così come auspicato da MadreYvonne Reungoat durante il suo salutoconclusivo al Capitolo Generale XXIII: «Ilcuore si apre alla riconoscenza per la ric-chezza dell’esperienza che abbiamo vissu-to e condiviso. Una ricchezza che scoprire-

Esortazione apostolica Evangelii Gaudiumn. 25-27 , 24 novembre 2013). Queste parole di papa Francesco sono unappello a rinnovare la passione e l’impe-gno per la missione educativa evangeliz-zatrice, in qualunque situazione, in qual-siasi opera, tradizionale o inedita, che ren-de visibile il carisma salesiano.

Dobbiamo sentire rivolto direttamente a noil’appello del Papa a tutta la Chiesa di met-tersi in movimento e uscire dalle proprie si-curezze. La Chiesa, infatti, per sua naturanon può non essere missionaria e deve ave-re “le porte aperte” per “uscire verso gli al-tri” e “giungere alle periferie umane”. Perpapa Francesco, infatti, una Chiesa chenon annuncia il Vangelo è una Chiesa riti-rata nelle stanze vuote di una mondanitàspirituale che non produce frutto, anzi ri-schia di produrre danno. È perché siamoamati da Dio che siamo rinnovati a sua im-magine e resi capaci di essere testimoni estrumenti della sua misericordia. Noi amia-mo perché Dio ci ha amati per primo (cfr.

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mo progressivamente quando saremo tor-nate alla vita quotidiana. Abbiamo vissutoun’esperienza fatta di ascolto reciproco, didialogo, di discernimento e preghiera,soprattutto di grande speranza. Il Capitolo nel suo svolgimento è stato untempo forte di formazione permanente e si-curamente qualcosa è cambiata in noi».

Anche la Rivista DMA, nei prossimi dossierseguirà questo cammino per condividereinsieme il percorso che l’Istituto vuole in-traprendere come la Madre stessa invita afare: «… riaffermiamo insieme la fiducia nel-l’azione meravigliosa dello Spirito che ope-ra nella Chiesa, nell’Istituto, nell’umanità esoprattutto nei giovani. Continuiamo adecifrare la sua voce tra le tante voci di

ogni giorno, a scoprire le sue chiamate ad“uscire”, a liberarci dai nostri schemi e dal-le nostre paure per essere vere collabora-trici dello Spirito nell’evangelizzare, nel-l’aiutare i giovani, soprattutto i più pove-ri, a incontrare Gesù e ad essere nella Chie-sa evangelizzatori di altri giovani. Una nuova porta si apre oggi sui nostri pas-si: sono passi che ci portano in mezzo almondo per accendere una nuova luce,per essere presenza educativa efficace inmezzo ai giovani e offrire a tutti una testi-monianza profetica. Gesù ci raggiungementre siamo in cammino. Sarà il nostrocuore a riconoscerlo, ma dobbiamo esse-re sempre in allerta come le sentinelle».

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Andate avanti con entusiasmo...

Non posso che incoraggiarvi ad andareavanti con entusiasmo in queste lineed’azione che lo Spirito Santo vi sta sug-gerendo. Aprite il cuore ad accogliere lemozioni interiori della grazia di Dio; al-largate lo sguardo, allargate lo sguardoper riconoscere i bisogni più autenticie le urgenze di una società e di una ge-nerazione che cambiano. Siate ovunque testimonianza profetica epresenza educativa, mediante un’acco-glienza incondizionata dei giovani, affron-tando la sfida dell’interculturalità e indi-viduando percorsi per rendere efficaci ivostri interventi apostolici in un contesto– quello giovanile – permeato dal mondovirtuale e dalle nuove tecnologie, special-mente quelle digitali. (…) Occorre met-tere sempre Cristo al centro della propriaesistenza; occorre lasciarsi plasmare dal-

la Parola di Dio, che illumina, orienta e so-stiene; occorre alimentare lo spirito mis-sionario con la preghiera perseverante,con l’adorazione, con quel “perdere iltempo” davanti al Tabernacolo. Siate pertutti missionarie di speranza e di gioia, te-stimoniando i valori propri della vostraidentità salesiana, specialmente la catego-ria dell’incontro, aspetto fondamentaledel vostro carisma: esso è una sorgentesempre fresca e vitale a cui potete attin-gere quell’amore che rivitalizza la passio-ne per Dio e per i giovani. Le inevitabili difficoltà, che si incontranonel cammino, non rallentino l’entusiasmodella vostra azione apostolica. Anzi, l’e-sempio di san Giovanni Bosco e di santaMaria Domenica Mazzarello vi spinga acontribuire ancora più entusiasticamen-te alla nuova evangelizzazione con le vo-stre attività nell’ambito dell’educazione edella scuola, della catechesi e della forma-zione dei giovani all’apostolato.

(Papa Francesco, Discorso all’Udienza alle Capitolari, 8 novembre 2014)

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Quattro pilastri per essere casa

AccoglienzaIl giovane che varca la soglia di una Comu-nità FMA deve sentirsi e sperimentarsi ilcentro delle attenzioni di ogni suora, de-ve sentirsi importante, necessario, il pre-diletto alla maniera di don Bosco; oggi piùche mai diventa decisivo l’accompagna-mento personale, che dà a chi cresce la cer-tezza di essere amato, compreso ed accol-to nel suo essere più profondo, puro,reale. Il giovane accolto deve trovare per-sone disposte a farsi vicine alla sua situa-zione e capaci di amarlo nella sua povertà;un’accoglienza che deve evitare di “abbas-sare il tiro” per raggiungere tutti, ma si sfor-za con creatività di fare proposte differen-ziate, puntando al massimo per ognuno.

MaternitàL’essere donne implica la predisposizionenaturale ad essere madri: ed è questo de-siderio e capacità di portare in sé, di soste-nere, di nutrire e poi, anche, di lasciare an-dare, che deve trasparire dalla relazione conuna Figlia di Maria Ausiliatrice. Scorza du-ra, cuore tenerissimo; la capacità di esserenormative ma in vista di un bene più gran-de, quello del singolo ragazzo; rendereesplicito il più possibile l’Amore che investee permea il rapporto con i giovani.

TestimonianzaSi testimonia per propria diretta conoscen-za: è necessario pertanto che traspaia Cri-sto in ognuna delle azioni, dei movimen-ti, dei pensieri di una Figlia di Maria Ausi-liatrice, proprio perché, grazie alla sua spe-ciale consacrazione, ella ne ha conoscen-za diretta e si impegna a trasmettere que-

sta conoscenza (che non deve essereesclusivamente teorica) a chiunque varchila soglia di casa. È Lui il centro della vita diuna FMA, così come è Lui che ama, gioi-sce, spera con e per ogni giovane.

PreghieraEssere prima di tutto autentiche donne dipreghiera: una sfida, in un tempo nel qua-le proporre una fede non “fai da te”, néesclusivamente funzionale ai sacramen-ti o improntata ad un “do ut des” e a unsoddisfacimento immediato ha come di-retta conseguenza l’allontanamento di co-loro che “usano” Dio. Al tempo stesso,una spiritualità di questo genere avvici-na e coinvolge in maniera chiara chi spe-rimenta il contatto con una fede “genui-na”, radicale, non tiepida ma in continuaricerca e dialogo profondo. La casa vera è quella dove abita una famiglia:costruire relazioni improntate alla familia-rità, ovvero alla capacità di stare bene insie-me ai giovani, mettendoli al centro per im-parare a stare insieme a loro, preoccupan-dosi solo in seguito del fare.E ciò significa avere il coraggio di aprire lestrutture, le menti, i cuori; condividere laquotidianità della comunità con i tanti chevarcano la vostra soglia; aprire i momenti dipreghiera e mostrare la bellezza dell’esse-re donne, cristiane, consacrate; riscoprireil valore della collaborazione con i Salesia-ni non solo a livello di attività e di pasto-rale ma verso la costruzione di una casa pertutta la Famiglia Salesiana; accogliere converità i più poveri, anche rispetto allenuove povertà non materiali ma spiritua-li ed esistenziali; al tempo stesso riscopri-re la povertà come dato carismatico, sen-za la quale non saremmo nemmeno capa-ci di vivere nello spirito salesiano; ribadi-re con coraggio che sono gli ultimi i pre-feriti, perché “feriti prima” dalla vita.

(I giovani alle Capitolari, 11 ottobre 2014)

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OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

UNA SFIDA CHE NON POSSIAMO

PERDERE!

Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sanciti dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2000

sono stati i traguardi più ambiziosi mai stabiliti dalla Comunità internazionale,

da conseguire entro dicembre 2015.

Lotta alla fame e alla povertà, tutela dell’ambiente, promozione dei diritti della donna,

sconfitta della mortalità infantile dell’AIDS e della malaria...

I risultati ottenuti sono stati diversi e ineguali all’interno dei vari Continenti e Paesi.

La comunità internazionale è oggi chiamata alla stesura della nuova Agenda

che costituirà il quadro di riferimento per lo sviluppo negli anni successivi al 2015.

AGENDA POST 2015

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Gli obiettivi del Millennio sono raggiungibili.Non possiamo permetterci di disattendere alle nostre responsabilità.Ce lo ricordano 1,4 miliardi di persone che vivono in condizioni di povertà.

OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

AGENDA POST 2015

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Letturaevangelica

dei fatticontemporanei

Lettura

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Proprio nella crisi la conflittualità sembrastemperarsi per tutti. I tempi della conflit-tualità sono per molti versi finiti anche peri giovani. In famiglia e al lavoro, nel grup-po come a scuola, domina un atteggiamen-to grosso modo di tolleranza. In famiglia sicerca di vivere quello che unisce a livello af-fettivo passando oltre le divisioni pur pre-senti a livello di posizioni, interpretazionie modelli di vita. Al lavoro e a scuola l’obiet-tivo è diventato la creazione di un ambien-te umano soprattutto attraverso il migliora-mento delle interazioni con i compagni.

Occhio ai giovaniSe si coglie con attenzione il mondo dei gio-vani sembra che essi si ripropongano lascelta tra due logiche esistenziali, quella del-l’avere e quella dell’essere. Nel contesto della logica del possesso la vi-ta è in fondo pensata come un vuoto dariempire. Si vive di calcolo amministrandoil tutto come una specie di partita doppiafatta di dare e avere sempre in pareggio. Inuna logica di vita ispirata alla gratuità si con-cepisce se stessi e gli altri come ricchezzache nasce dal mistero insondabile della vi-ta. Il rapporto con gli altri non è regolato sul-la partita doppia ma sul bisogno di «offri-re» la propria ricchezza interiore. La vita nonè pensata come un vuoto da riempire, macome una ricchezza, mistero da scoprire ecomunicare. Chi si ispira a questa logica sisente realizzato quando riesce a dare in mo-do disinteressato.

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La scommessa della gratuitàMara Borsi

Da diverso tempo si è imposta una cultura del-la crisi: si vive in un clima di diffuso disagioe malessere. C’è il disagio di chi si rende con-to che “l’avere” non paga e il disagio di chinon sa affrontare i problemi che la vita gli po-ne. C’è il sarcasmo nichilista di chi si sente pre-so in giro dalla vita e c’è chi predica l’abban-dono ad un nuovo consumismo. Tuttavia, inquesto contesto, ci sono alcuni valori emer-genti a cui i giovani sono molto sensibili. Tra questi c’è la ‘gratuità’.

La gratuità, in un’epoca di disincanto e di an-goscia, è un modo originale di aggrappar-si alla vita nella sua spontaneità, contro lalogica della dominazione e della appropria-zione, contro la mercificazione della vita ela distruzione delle risorse naturali. Gratuitàdice ricerca e innamoramento della vita intutte le sue forme. La gratuità sostiene e af-ferma la cultura del dono.

Dono e mercatoIl dono è un gesto unilaterale, asimmetri-co, che esprime la gratuità, e in questo mo-do viene a contraddire la legge del merca-to come scambio equivalente. Ciò che il do-no genera è una nuova socialità che primanon c’era. Oggi, il mercato è diventato una logica, uninsieme di idee e categorie nella testa del-la gente e, quindi, il mercato è molto di piùche economia, finanza, multinazionali o al-tre realtà materiali. L’uomo è ridotto a ho-mo oeconomicus e il mondo è ridotto amercato. Ecco perché nella mentalità popo-lare domina la logica della competitività.

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VIDES Internazionale: la parola ai giovaniIl barrio 22 De Enero è tutto grigio e c’èil fango. La povertà oltre che materia-le è data dal disagio e dalla delinquen-za che governano il quartiere, non tut-ti gli sguardi sono belli e profondi co-me quelli dei bambini con cui passa-vamo le giornate, alcuni sono cupi,scuri come le baracche intorno a noi.Nonostante tutto però qualcosa per-metteva a me Flavia e a Lavinia di am-mirare entusiaste tutto ciò che ci cir-condava. Tre FMA hanno accompa-gnato l’esperienza di volontariato VI-DES: Suor Vilma, Suor Tati e SuorMarta Riccioli. All’inizio ci siamo chieste: «Cosa pos-siamo donare noi? E se donare vuol di-re ricevere, cosa porteremo noi a ca-sa?». Ecco la risposta ai nostri interro-gativi: la capacità di donare incondizio-natamente e l’interiorizzazione dell’u-nicità del nostro donarci. I regali per noi sono cominciati il pri-mo giorno: l’estrema ospitalità dellagente del posto, l’essenzialità delle ba-racche in lamiera, profumate di spaz-zatura bruciata per assicurarci caldo eluce, il sorriso di pace, non di tutti e unpasto sempre pronto per dire grazie. Ma il dono più grande che nessuno citoglierà, l’abbiamo ricevuto dai bam-bini ed è la Sicurezza. Spesso abbiamo avuto paura di nonfarcela, di fare qualche passo sbaglia-to. Ma noi eravamo protette dai bam-

bini Juan, Milagros e Wanda che, avvol-gendo le loro manine nelle nostre, ci di-cevano in silenzio: «Tranquille, ci siamonoi». E allora tante le cose belle: il meren-dero delle 17:00, le canzoni, i balli di grup-po, l’asado, il barrio, Vilma, Tati, Marta. E il nostro dono per loro...dov’è?È nel “grazie” a tutti, grandi e piccoli, gra-zie a quell’entusiasmo che solo due ra-gazze, appena maggiorenni, hanno po-tuto regalare. La nostra esperienza non è finita col ri-torno a Roma, ma cresce, continua, ma-tura. Osservare e ascoltare, discernere eimparare, decidere e agire. Queste sono le parole chiave del perio-do di formazione: “educazione” ai dirit-ti umani e al rapporto col mondo. In Argentina, ma anche nel volontariatolocale, che continuiamo a fare nella no-stra città presso un centro di bambini ri-fugiati, è stato fondamentale capire il sen-so che il VIDES dà a queste parole: tut-to è interconnesso, dall’osservare all’agi-re, al dialogo con l’altro.Un’esperienza che continua, che non hacambiato la nostra vita, ma il nostro mo-do di viverla.

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tore o lettrice. Ogni partecipante torna a leg-gere il testo. Dopo si potrà fare risonanzadelle frasi più significative.

Luca 24, 13-19

13 Due di loro se ne andavano in quello stes-so giorno a un villaggio di nome Emmaus, di-stante da Gerusalemme sessanta stadi; 14 eparlavano tra di loro di tutte le cose che era-no accadute.15 Mentre discorrevano e discu-tevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e co-minciò a camminare con loro. 16 Ma i loro oc-chi erano impediti a tal punto che non lo ri-conoscevano. 17 Egli domandò loro: «Diche discorrete fra di voi lungo il cammino?»Ed essi si fermarono tutti tristi. 18 Uno deidue, che si chiamava Cleopa, gli rispose: «Tusolo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme,non hai saputo le cose che vi sono accadu-te in questi giorni?» 19 Egli disse loro: «Qua-li?» Essi gli risposero: «Il fatto di Gesù Naza-reno, che era un profeta potente in opere ein parole davanti a Dio e a tutto il popolo.

Lettura: Il testo in sé stesso

Emmaus. Varie località si disputano essereil luogo indicato da Luca. Cercare le spie-gazioni delle note sulla propria Bibbia e pos-sibilmente sulle mappe della Palestina delprimo secolo. In ogni modo è lontano daGerusalemme. I discepoli. Scoprire ciò che si dice di loro:che fanno, con quali attitudini interiori(come sono i loro occhi, il loro cuore). Co-sa li travolge.

Emmaus: uno sconosciutosi avvicinaEleana Salas

Ambientazione:

Una Bibbia grande; sopra la Bibbia un cro-cifisso e vicino il cero pasquale Disporrele sedie in circolo intorno alla Bibbia.Si potrebbe disegnare una strada sul pa-vimento, con pezzi di carta.

Invocazione allo Spirito Santo:

Vieni, vieni, Spirito d’amore, vieni tu dentro di noi. La morte di Gesù sulla croce (non solo perle terribili sofferenze che comportava, senon per essere “morte civile”, annullandoanche la memoria della persona), è statacausa di una profonda crisi per le prime co-munità cristiane. Inoltre, la sorte del Maestro poteva tocca-re anche i suoi seguaci; per questo nell’or-to “tutti (i discepoli) lo abbandonarono efuggirono” (Mc 15,50); altri abbandonanoGerusalemme e tornano/fuggono verso i lo-ro paesi. Probabilmente è il caso di questidue discepoli. Alcuni intuiscono che questi, “due di loro”,erano in realtà una coppia: Cleofa e Maria,sua sposa, che secondo Gv 19,25 stava vici-no al Crocifisso e, probabilmente, anche trail gruppo dei discepoli che vanno alla tom-ba, al sorgere della domenica. Certamente la conversazione tra di loro par-te da punti di vista diversi. Gli occhi e il cuore sono ancora nell’oscu-rità. In questo uno sconosciuto si avvicinae riesce ad inserirsi nella conversazione. Il testo è proclamato con chiarezza da un let-

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Gesù. Seguire con attenzione cosa fa:“Gesù stesso”: l’Assente è ora presente, “inpersona”. “Si avvicinò”. Sembra aver affret-tato il passo per essere vicino a loro. Cf Fil3,12 “Cominciò a camminare con loro.”. Pri-ma di parlare accoglie la loro esperienza.“Domandò loro”: Di che discorrete fra di voilungo il cammino? Cosa avete nel cuore?La domanda permette di aprire la propria in-teriorità per condividere ciò che si ha dentro.

Meditazione: il testo per noi, oggi

Emmaus: in un tempo in cui la Chiesa e pa-pa Francesco ci invitano ad “andare alle pe-riferie”, individuiamo quali sono gli “Em-maus”, da dove provengono e dove vannoi giovani, la gente. Sono aperti i nostri oc-chi, il nostro interesse per trovare gli “Em-maus” del nostro tempo? Quali atteggia-menti abbiamo di fronte a chi è diverso (per-sone, età, cultura, stili ecc.)? Ci confrontia-mo con gli atteggiamenti di Gesù in relazio-ne a suoi due discepoli. Come riceviamo co-loro che ci interrogano e che mettono inquestione i nostri schemi mentali, gli stili pa-storali, i modi di lavorare ecc.?

Orazione

In silenzio dialoghiamo con il Signore a par-tire da questo testo:Preghiamo per Emmaus: richiamare le imma-gini degli ambienti dove di più stanno i no-stri giovani, incluso dove stanno quelli chela società considera “scarti”… Facciamo l’e-sercizio di “aprire il cuore e allargare lo sguar-do”, come ci chiede papa Francesco. “Gesù stesso si avvicinò e cominciò a cam-minare con loro”. Preghiamo a partire dainostri atteggiamenti: dall’apertura e dalla fi-ducia che abitano il nostro cuore; ringrazia-mo per i ponti che siamo capaci di tende-re, chiediamo la capacità di uscire come Ge-sù, e di avvicinarci agli altri con tanta finez-za, con amabilità, come Lui…Mi lascio raggiungere, toccare da Gesù edalle mie sorelle, dai giovani, dalla vita del-la gente? Che la preghiera mi disponga a in-contri di senso e autentici, fecondi secon-do il DMA…Condividiamo alcune risonan-ze della nostra preghiera.

Contemplazione – Impegno

Non basta studiare e pregare laParola di Dio; è importanteche vada germogliando nellanostra vita. Che atteggiamentidevo alimentare nel cuore peravvicinarmi agli atteggiamentidi Gesù in questo passo?Come possiamo esprimeremeglio in comunità questo“uscire all’incontro” degli Em-maus del nostro tempo?

Orazione finale

Per il cammino di Emmaus, unpellegrino veniva con me; nonl’ho conosciuto nel cammino,ora sì, nella frazione del pane.

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lido fondamento alla Congregazione, og-gi diremmo li forma ad incarnare in sé e ainculturare il carisma nei vari ambienti. Ogni direttore è a quel tempo, come anchein ogni periodo successivo, protagonista(non spettatore!) del processo di fondazio-ne della sua opera e così don Bosco racco-manda ai direttori che il 6 aprile 1869 radu-na alla sera nella biblioteca dell’Oratorio:«Guardiamoci di farci proprio degni fonda-tori della Società di San Francesco di Sales,affinché coloro che leggeranno la nostrastoria possano trovare in noi tanti modellie che non abbiamo invece ad esclamare:“Che razza di fondatori eran quelli!” Aiuta-temi colla buona volontà ed obbedienza inquesta grande impresa. Tocca a voi rende-re facile il mio compito» (MB IX 600).È vero che il carisma del Fondatore è statodato dallo Spirito Santo a don Bosco, ma inun certo senso spetta ad ogni membro del-la Congregazione salesiana, soprattutto achi ha compiti di animazione, l’impegno dicustodire, rinnovare, sviluppare, dare visi-bilità a livello locale al carisma salesiano. Il carisma risplende soprattutto in chi apreil cuore allo Spirito e diventa trasparenzadel suo amore manifestando a tutti la ge-nuinità di questo amore che fa crescere, dàfiducia, promuove vita.Don Paolo Albera scrive: «Bisogna direche Don Bosco ci prediligeva in modounico tutto suo: se ne provava il fascino ir-resistibile. Sentivo di essere amato in mo-do non mai provato prima, singolarmente,superiore a qualsiasi affetto. Ci avvolgeva

Essere padre/madre: identità e missione Piera Cavaglià

Don Bosco, che ha sperimentato il dram-ma di crescere senza padre fin dall’infan-zia, ha saputo incanalare tutte le sueenergie nell’esprimere un profondo affet-to paterno ai suoi giovani e ai confratellisalesiani. Egli, riconoscendo che la pater-nità autentica è soltanto in Dio e da Dio,è appassionato del suo Regno di amore edi misericordia. Desidera perciò essere tra-sparenza di questo amore anche con le suerisorse umane. La sua è una paternità nel-la fede, come quella di S. Paolo quando scri-ve ai Galati: «Figlioli miei, per i quali soffrodi nuovo i dolori del parto, fino a che Cri-sto sia formato in voi» (Gal 4,19). La più profonda identità di don Bosco si ri-vela nel suo essere Padre, amico, fratello.Per lui l’animazione e il governo non sonoun ruolo qualunque, ma una generazionespirituale.

Essere e agire come don BoscoI primi Salesiani imparano da don Boscoquasi per osmosi ad essere direttori, ad ani-mare e governare le comunità che via viavengono aperte. La sua testimonianza è per loro itinerarioquotidiano di formazione. La sua stessa persona tutta donata al benedei giovani, lo stile con cui guida la comu-nità, la forte carica comunicativa, la saggez-za permeata di carità e di spirito di famiglia,la passione per il Regno di Dio diventanoscuola per i suoi figli, per gli educatori e idirettori delle prime case salesiane. Li forma alla responsabilità per dare un so-

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tutti e interamente quasi in un’atmosfera dicontentezza e di felicità. E non poteva es-sere altrimenti perché da ogni sua parola e atto emana-va la santità dell’unione con Dio che è ca-rità perfetta» ACS 1 (1920). Don Bosco identifica l’atteggiamento basi-lare di chi ha responsabilità direttive nella«carità e cortesia». Devono essere queste le note caratteristi-che di ogni direttore tanto verso i confra-telli, i giovani, i collaboratori, quanto ver-so ogni persona che si incontra.

Linee formative per i direttori salesiani

Don Bosco forma i direttori valorizzando va-rie modalità: gli incontri personali, soprat-tutto il colloquio, le lettere e gli incontri co-munitari annuali a Valdocco, in genereverso la festa di S. Francesco di Sales. In queste “Conferenze” il maestro è don Bo-sco, ma egli favorisce la sussidiarietà e lacomplementarità: lascia a volte la presiden-za a don Rua e invita ogni direttore a pre-sentare i rispettivi collegi e comunità, evi-denziando difficoltà, speranze e prospetti-ve di futuro.Esperto nel coinvolgimento delle energiegiovanili e nel dare fiducia ad ogni perso-na, a don Giovanni Bonetti traccia un pro-gramma di azione molto concreto: «Ricor-dati che il Direttore non deve fare molto, maadoperarsi che gli altri facciano, vegliandoche ciascuno compia i propri doveri» (let-tera del 19 aprile 1871, in Epistolario a curadi F. Motto III 324).Oggi si direbbe sussidiarietà, oppure coor-dinamento per la comunione. Cambiano i termini, ma lo spirito è simile:condizione per un clima di famiglia doveognuno si sente amato e valorizzato.Don Bosco scrive al giovane direttore donMichele Rua quella che è la sintesi del suoprogramma di vita: «In omnibus caritas.

Fa’ che tutti quelli con cui parli diventinotuoi amici» (Lettera del 10 agosto 1873, inEpistolario a cura di F. Motto IV 142).Rivista e ampliata nel 1870-‘71, la lettera di-verrà un documento formativo dal titolo: Ri-cordi confidenziali ai direttori che costitui-sce ancora oggi una delle principali fontidella spiritualità di don Bosco fondatore eformatore di educatori.1

Scrive Francesco Motto nel commento aquesta lettera: «Il suo cuore paterno e – per-ché no? – la sua sollecitudine maternagiunge al punto di preoccuparsi della salu-te fisica del direttore e dei suoi confratel-li, delle loro ore di sonno (“In ciascuna not-te farai sette ore di riposo”; “Non mai co-mandare cose dannose alla sanità, o che im-pediscano il necessario risposo”), del lorotrattamento a tavola (“Evita le austerità nelcibo. Le tue mortificazioni siano nella dili-genza a’ tuoi doveri e nel sopportare le mo-lestie altrui”), del rischio di eccessivo lavo-ro (“Procura di ripartire le cose in modo cheniuno sia troppo carico d’incombenze”)»2.A differenza dell’animatore socio-cultura-le, il direttore salesiano voluto da don Bo-sco è la persona tutta consacrata a Dio cheha la consapevolezza di essere docile stru-mento del suo amore per aiutare tutti e cia-scuno a vivere il progetto che il Padre ha suognuno dei suoi figli. La sua identità vocazionale, assunta edespressa con totale senso di responsabilitàe con cuore paterno/materno, è la condizio-ne basilare per svolgere rettamente la suamissione di servizio alla gioia e alla speran-za dei singoli e delle comunità.

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1 Cf MOTTO Francesco, I “Ricordi confidenziali ai di-rettori” di don Bosco, in Don Bosco educatore. Scrit-ti e testimonianze, a cura di P. Braido, Roma, LAS 1992,173-186. 2 Ivi 174-175.

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un villaggio che si chiama San BernardinoLaguna. Siamo otto fratelli e siamo cresciu-ti lì. Non avevamo molte risorse. Mio papàlavorava la terra, mia mamma si dedicava ailavori di casa. I miei fratelli aiutavano miopadre, ma ora sono tutti qui in città».

Si portano dietro un bagaglio pieno di af-fetti, di relazioni familiari, di amici, di postifrequentati e amati, un bagaglio pieno dimappe ben conosciute. Ma in quel bagaglio,uno spazio grande è lasciato ai sogni. Il sogno di poter lavorare per mantenersie non pesare sulla famiglia, di imparare be-ne lo spagnolo, senza dimenticare la lingualocale dei genitori, di imparare a leggere escrivere o di progredire negli studi, di es-sere consapevole di avere tante capacità epotenzialità ancora inesplorate. Questo è quello che racconta Modesta:«Per noi, gente che viene dalla provincia, cisono molte difficoltà perché Città del Mes-sico è molto grande e molti, come me, ar-rivano senza sapere né leggere né scrivere.Poi non si sa dove stare. Molti non hannofamiliari presso cui abitare. Questa è una delle ragioni per cui la mag-gioranza dei giovani, delle donne e degli uo-mini che arrivano in questa città cercano unlavoro che dia anche ospitalità, perchénon abbiamo dove andare».

Città del Messico è enorme. È un micromondo di culture, di usi e costumi, di gen-te ricca e povera, di famiglie felici e di uo-mini soli. Un piccolo universo che lasciasenza fiato chi arriva da luoghi in cui tutto

Il coraggio di partire

Anna Rita Cristaino

Il Messico è una delle realtà nazionali piùimportanti al mondo, ricco di storia e di bel-lezze naturali. Nonostante il progressoeconomico di questi ultimi anni, il Paese vi-ve forti problemi di instabilità e disegua-glianza sociale. Oltre alle grandi città, ci so-no luoghi del territorio nazionale dove è piùdifficile trovare lavoro, dove si lotta ognigiorno per la sopravvivenza e questo por-ta molte persone a lasciare il paese di ori-gine. Oltre alla forte migrazione verso gliStati Uniti c’è, infatti, una consistente mo-bilità interna. Migliaia di adolescenti lascia-no i loro villaggi e vanno a sovrappopola-re le grandi città. Ma cosa spinge una ragaz-za a lasciare la sua famiglia, il suo villaggio,le sue abitudini, le sue amicizie?

Strade non conosciute

Rosalia e Modesta ci hanno raccontato co-sa vuol dire avere il coraggio di partire dasole e lasciare tutto, spinte dal profondo de-siderio di scoprire nuove possibilità per laloro esistenza. Sono partite giovanissimeper una vita in cui spendere le proprie ener-gie, scegliendo strade non conosciute.

Rosalia così racconta la sua partenza: «So-no arrivata qui quando avevo 17 anni. Non è stato facile. Sono arrivata a casa diuno dei miei fratelli. Vivevo lì. Non sapevoprendere la metro, sapevo appena un po’leggere. Venire qui da sola e iniziare a stu-diare mi ha dato più sicurezza, mi ha aper-to ad altre idee e sono cresciuta; sì, pur contimore, sono sempre andata avanti. Sono di

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era vicino e conosciuto. Il modo di parlare,di muoversi, di guardare alla vita, il mododi vestire, di mangiare, tutto è diverso. Chi arriva si sente come catapultato alcentro di un oceano e non resta che impa-rare a nuotare, per non affogare.

Un percorso in salita

Si arriva con il ricordo delle lacrime dellemamme, dei volti fieri dei padri che avreb-bero voluto dare e fare di più per non co-stringere nessuno dei propri figli a partire.Si sente ancora il calore degli abbracci fra-terni. Da subito ci si accorge che il percor-so da fare è in salita. Bisogna trovare lavo-ro, sperare di trovare alloggio, farsi dei nuo-vi amici, sfruttare ogni occasione per impa-rare qualcosa di nuovo sulla città, appren-dere qualcosa da ogni conoscenza. «Da molti anni – ci dice ancora Modesta –sentivo il bisogno di partire per crescere.Provengo da una famiglia che non ha tan-te possibilità economiche, una famiglianumerosa. Ho sei fratelli. È stata una delle

cose che mi ha spinto a venire qui. Sono ar-rivata in questa città per lavorare come do-mestica presso una famiglia, facendo i lavo-ri di casa. Dopo ho maturato l’intenzione dicontinuare a studiare, ma non sapevo comefare. Il mio unico giorno di riposo era la do-menica. Poi ho scoperto che c’era unascuola dove davano le lezioni la domenicae mi sono messa in contatto con loro».

Migliori opportunità

Le FMA dell’ispettoria messicana Nostra Si-gnora di Guadalupe, nel 1970, hanno datovita al Centro Giovanile Maria Ausiliatriceche nel 2001 ha preso il nome di Obra So-cial Auxilio. Qui ogni domenica sono stateaccolte migliaia di giovani donne impossi-bilitate a frequentare la scuola durante lasettimana. Negli anni, oltre alle giovanidonne, si sono accolti anche ragazzi e adul-ti, tutti migranti impiegati come operai in ca-se private o in officine. Suor Neida JulietaCarriedo, una delle FMA che ha lavorato al-l’OSA ci spiega: «I giovani che vengono as-

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aiutare in modo gratuito: impartendo lezio-ni, dando supporto a tutti i giovani e agliadulti che settimanalmente vengono assi-stiti in questo centro. Molti alunni hanno vi-sto nei volontari dei modelli da seguire equesto significa molto per loro, infatti mol-ti desiderano poi essere volontari».

Rosalia e Modesta, costruiscono il loro fu-turo giorno per giorno. Ciò che colpisce diqueste ragazze è la volontà di impegnarsi,di sacrificarsi. Lavorano sodo e lavorano be-ne. Modesta lavora al Centro Preventivo diRiadattamento Sociale da cinque anni, co-me segretaria della direttrice del Centro econtemporaneamente frequenta anchel’Università. Questa invece è la giornata ti-po di Rosalia: «Io inizio a lavorare alle seidella mattina. Mi alzo verso le cinque e mez-za e alle sei inizio quello che è necessarioper pulire e mantenere in ordine la casa, emi ci vuole praticamente tutto il giorno. Termino alle dieci o dieci e mezza per la ce-na. Tutto il giorno salgo, scendo, però il miolavoro mi piace perché mi aiuta economi-camente e con quel che guadagno possoaiutare anche un po’ la mia famiglia a co-struire la loro casa».

Nel nostro sostare in Messico abbiamo vi-sitato una delle città più grandi del mondo,in una nazione ricca di possibilità di svilup-po e di contraddizioni, dove si tocca conmano il filo che tiene legate persone dalleprovenienze molto diverse. Abbiamo incon-trato suore laboriose, fraterne, simpati-che; e conosciuto giovani donne e ragazziche non hanno paura di prendere in manola loro vita. Abbiamo avuto la prova chequando ci impegniamo davvero, anche laProvvidenza s’impegna con noi aiutando-ci a concretizzare idee e progetti. Qualunque cosa ciascuno di noi aspiri, bi-sogna iniziare a farla! Osare porta con ségenio, forza e audacia!

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sistiti in questo centro hanno molte caren-ze e per questo cerchiamo di proporre le mi-gliori soluzioni possibili quanto a professio-ne, studio intellettuale, spirituale e morale.Arrivano da diversi posti della Nazione,cercando migliori opportunità di vita. Ven-gono qui per impiegarsi come lavoratori do-mestici, per questo apprezziamo il fatto chededichino il loro unico giorno di riposo permigliorarsi professionalmente».

Promozione umana integrale

L’Obra Social Auxilio, (OSA), ha accolto ognianno circa seicentocinquanta beneficiari;arrivando anche a 1.000 iscritti. La sua offer-ta formativa comprende: formazione acca-demica, apprendistato per il lavoro, svilup-po umano, attenzione psicopedagogica,educazione sessuale, valorizzazione dellacultura di provenienza, approccio critico al-la comunicazione. È uno spazio significati-vo di promozione umana integrale, unpunto importante di incontro e accoglien-za. «Questo – ci dice ancora Rosalia – è an-che un ambiente religioso. Sono cattolicae stare qui mi ha arricchito moltissimo e miha fatto crescere. E ora che sto già terminan-do le classi della Secondaria continuerò inquelle della Preparatoria e questo mi sta aiu-tando tantissimo. Questo collegio è la miacasa» Anche Modesta ha studiato all’OSA:«Quando sono arrivata la scuola si chiama-va “Centro Juvenil Maria Auxiladora”. All’e-poca offrivano corsi di preparazione per il la-voro, Scuola Primaria e Secondaria, e datoche io non avevo terminato ancora la Prima-ria ho iniziato a studiare per diventare segre-taria in un corso che durava tre anni. Poi miè stato offerto di fermarmi come volontaria».

La volontà di impegnarsi

Ci spiega suor Neida: «Nell’Opera SocialeAuxilio collaborano circa ottanta volontariche vengono domenica dopo domenica per

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ogni riferimento; in una vita liquida non ser-vono né eroi né martiri, perché non c’è nes-suna trincea da difendere e nessun valoreper cui dare la vita; essi sono giudicati vitti-me di qualche «disfunzione psicologica». Al loro posto vengono alla ribalta le “cele-brità”, le star, i nuovi eroi della canzone, del-lo sport, del cinema, della finanza. Celebritàche si consumano rapidamente per far po-sto ad altre celebrità, ad altre star, che fun-zionano da collanti sociali per le masse.

Ogni tassello al suo posto

È possibile raccogliere la sfida del mondocontemporaneo e sottrarsi alla logica ap-pena descritta?La relazione di Dio con gli uomini è, fin dalprincipio, all’insegna della comunicazio-ne se la Dei Verbum inizia in modo para-digmatico: “Dio si rivela, manifesta il suovolere, attraverso Cristo parla, si intrattie-ne con gli uomini, invita e ammette alla co-munione con sé” (cfr. DV,2). La Rivelazione ha come scopo quello di ren-dere l’uomo partecipe della vita di Dio stes-so, di far entrare ogni persona nella relazio-ne di amore espressa dalla Trinità divina e,per ciò stesso, necessita della libera adesio-ne dell’uomo all’iniziativa di Dio. Ma è difronte al Gesù storico narrato dai Vangeliche si compie il miracolo della comunica-zione perfetta tra Dio e l’uomo; l’Incarna-zione è lo spazio in cui Dio si fa presenteall’uomo chiamandolo ad un rapportoprofondo con sé, rapporto in cui appaionoin tutta la loro evidenza le attenzioni di Dio

Comunicazione e comunione con DioPatrizia Bertagnini

La prossimità con Dio, nella logica dei raggi del cerchio che, man manoche si avvicinano al centro,accorciano le distanze tra loro,permette di superare la frammentazione. Nel dialogo continuo con il Signore si rafforza la propria identitàvocazionale e si impara a mettersi in ascolto dei fratelli.

Il mondo in cui viviamo ha un denominato-re comune che viene generalmente indica-to con il termine frammentarietà; con essosi vuol indicare il progressivo venir menodelle comunità di appartenenza, che un tem-po erano veri e propri punti di riferimento.Il partito, la chiesa, il paese, l’insieme di per-sone con cui si condivideva la vita quotidia-na, sono realtà comunitarie che, di fronte al-l’urbanizzazione, alla diffusione dei mezzi dicomunicazione di massa, all’omologazionee all’isolamento della vita metropolitana,sembrano destinate a sparire. In questo contesto la persona si trova ridot-ta alla condizione di semplice individuo, diframmento che fatica a trovare una colloca-zione sociale; alla perdita della comunità fi-sica fa riscontro, infatti, la crisi della comu-nicazione e della solidarietà.Da un punto di vista sociale l’uomo è costret-to ad abbandonare la modernità “solida” coni suoi codici, norme, valori e vincoli, per emi-grare verso una società “liquida” (Bauman),in cui tutto è incerto, fluttuante, slegato da

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a fare della relazione con la persona uma-na un circolo virtuoso che comporta, comemeta finale, la libera risposta dell’uomo alSignore. La vicenda storica del Figlio di Dio,se da un lato esalta una Volontà superioredi comunicazione, dall’altra si proponecome il terreno più fertile perché questa co-municazione avvenga nella sua pienezza.

Laboratori di comunicazione

Ogni comunità religiosa è, per sua natura,testimone delle parole e dei gesti con cuiGesù coinvolge l’umanità nel suo proget-to di salvezza; per questo essa “esiste percomunicare agli uomini di ogni tempoquesta buona notizia. Se non si impegnas-se con tutte le sue forze nel comunicare ciòche il Signore le ha affidato verrebbe me-no alla sua missione” (Card. Ruini).Avvicinarsi al Signore e lasciarsi prenderedal dialogo profondo con Lui permette direndere più solida la propria identità voca-zionale, identità che siamo chiamate a cu-stodire e che si fonda sulla fedeltà alla pro-pria storia vocazionale, sulla consapevolez-za della propria unicità di valore e sul biso-gno di relazioni autentiche che allargano leprospettive. Un’identità autenticamentecentrata sulla sequela si trasforma nel do-no di sé, perché quando ci si dona agli al-tri si scopre il senso delle proprie scelte edella propria consacrazione.La sfida della frammentazione impone al-la comunità religiosa una cura particolaredella comunicazione, tanto all’interno, poi-ché essa è koinonia, comunione, intimo le-game, relazione fraterna di solidarietà, dicorresponsabilità, di partecipazione; quan-to all’esterno, perché essa si presenta almondo come realtà impegnata in un annun-cio esplicito della salvezza, come realtà aservizio dell’uomo, come sacramento del-l’unione dell’uomo con Dio.

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“Il 25 marzo 1996, Giovanni Paolo II fir-mava l’Esortazione apostolica Vita Con-secrata, documento chiarificatore sulladottrina o sulla teologia della VC. Al n.36si legge: «Ogni carisma ha […], alla suaorigine, un triplice orientamento: versoil Padre, innanzitutto, nel desiderio di ri-cercarne filialmente la volontà attra-verso un processo di conversione con-tinua, in cui l’obbedienza è fonte di ve-ra libertà, la castità esprime la tensionedi un cuore insoddisfatto di ogni amo-re finito, la povertà alimenta quella fa-me e sete di giustizia che Dio ha pro-messo di saziare (cfr Mt 5, 6). […] versoil Figlio, col quale inducono a coltivareuna comunione di vita intima e lieta, al-la scuola del suo servizio generoso diDio e dei fratelli […] verso lo Spirito San-to, in quanto dispone la persona a la-sciarsi guidare e sostenere da Lui, sia nelproprio cammino spirituale che nella vi-ta di comunione e nell’azione apostoli-ca, per vivere in quell’atteggiamento diservizio che deve ispirare ogni sceltadell’autentico cristiano».

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scrittore statu-nitense è statala sua amiciziacon una giovane di nome Esther Earl, a cuiha dedicato il romanzo. Anche se Esther non in-carna nessun personaggio specifico del libro,Green ha dichiarato: “La nostra amicizia e la suagioia di vivere sono state una grande fonte diispirazione. Perciò volevo che non solo il testoma anche il film potesse risultare onesto, alle-gro, una celebrazione della vita”. Affetta da un cancro alla tiroide metastatizzato,Esther è morta nel 2010, all’età di 16 anni. La coraggiosa protagonista di Colpa delle stel-le è Hazel Grace, sedicenne scampata alla mor-te, costretta a respirare con una cannula emuoversi portando sempre con sé un respira-tore a mo’ di trolley. Anche se dotata di rispostavivace e pronta, la madre la crede depressa e laspinge a frequentare un gruppo di sostegno permalati terminali. È qui che incontrerà AugustusWaters, ex giocatore di basket: un diciottennesimpatico ed ironico dal bel sorriso adescatoree magnetico a cui è stata amputata una gamba,amico di Isaac, che dovrà diventare cieco a cau-sa di un tumore agli occhi. Dal loro primo incontro, Hazel e Gus divente-ranno inseparabili. Gus si innamora di lei che ini-zialmente lo terrà lontano per paura di farlo sof-frire dopo la sua morte. Ma poi, insieme, sapran-no dare vita ad una storia appassionata, tenera,divertente e commovente: vuole essere effetti-vamente “una celebrazione della vita”. Dotati di quella bellezza semplice e priva di ar-tifici che rende ancora più straziante la situa-zione in cui si dibattono, ciò che li accomunaancor più della malattia è il loro modo di ve-dere e affrontare l’esistenza. Consapevoli e lu-cidi non si lasceranno piegare: tra speranze,paure, ansie ed altrettanto ottimismo, com-

COLPA DELLE STELLEdi Josh BooneStati Uniti, 2014

Mariolina Perentaler

Il successo di questo film campione d’incassi intutto il mondo? “Un amore più forte della mor-te”, risponde Famiglia Cristiana con il suo ar-ticolo. Il fenomeno ebbe inizio in Love Story,l’opera che nel 1970 fece piangere un’intera ge-nerazione. La vicenda d’amore tra Oliver e Jen-nifer che decidono di sposarsi finché la malat-tia non cancella ogni possibilità di futuro, è ilcapostipite di un genere per cui in America èstato coniato persino una definizione: cancermovie. Un genere capace di affascinare un pub-blico sempre più giovane che si penserebbe pre-ferire temi più leggeri. Ma evidentemente il bi-nomio “amore e morte”, o meglio “amore e ma-lattia”, ha un suo fascino.Colpa delle stelle di Josh Boone ha portato alcinema stuoli-record di adolescenti e giovani.Per nulla spaventati dall’argomento (che forsefa più paura agli adulti) escono commossi e ap-pagati dalle sale dopo avere assistito alla sto-ria d’amore di Hazel e Gus, i suoi eccellenti pro-tagonisti. E se la frase simbolo di Love Story eraAmare significa non dover dire mai “mi dispia-ce”, quella di questo film suggerisce qualcosadi più profondo: “Mi hai dato un per sempre neimiei giorni contati”. Merita d’essere cono-sciuto e si presta ad essere ben utilizzato.

Volevo fare un film che “solleva gli animi”

L’espressione è del produttore HollywoodianoWyck Godfrey che così afferma: “Un film capa-ce di comunicare l’idea che una vita breve puòessere ugualmente bella e ricca”. Sono questele espressioni che hanno convinto il trentaset-tenne John Green autore dell’omonimo best sel-ler da oltre 9 milioni di copie, a concedere i di-ritti del suo romanzo al cinema. A ispirare lo

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la sua amiciziacon una giovane di nome Esther Earl, a cui

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prenderanno come la forza di un amore puòvincere e sopravvivere anche alla morte. Colpa delle stelle cammina con grande caute-la sul filo che separa il melodramma dalla com-media romantica. Come la critica stessa gli riconosce: “ha la capa-cità di alternare in modo intelligente gravitas eumorismo, pathos e leggerezza”. Amore e mor-te sono stati da sempre un connubio vincentein letteratura e al cinema, da Romeo e Giuliet-ta a Love Story: l’adolescenza è il periodo in cuici sono meno compromessi e tutto si vive al mas-simo. Ecco perché quest’opera ha tanto affasci-nato i giovani. Giulio di Roma, 14 anni, lo espri-me così nel suo commento in facebook: «Non

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è il mio genere e prima di vedere il film pensa-vo a una storia melensa. L’ho visto perché anda-vano i miei compagni di classe ma in sala ho fat-to fatica a non piangere. Ce l’ho fatta e ho apprezzato il coraggio e la sim-patia di Hazel e Gus. Ho capito che non eranodue “sfigati” ma due eroi». Il giudizio pastora-le della commissione CEI suggerisce di utilizzar-lo “valorizzando contesti in cui si possano ap-profondire i numerosi temi affrontati: la malat-tia, la vita, la morte, l’amore, il rapporto genito-ri-figli e, non ultimo, il rapporto tra i genitori, lemalattie dei figli e quel che ne consegue”.

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L’idea del film

Mettere in scena il romanzo di Green con estre-mo rispetto, senza alterare fatti o personaggi in fun-zione del passaggio al grande schermo

Colpa delle stelle rimane aderente alla paro-la scritta «perché ha la capacità e l’intento diesplorare/comunicare il lato bello, eccitantee tragico della vita e dell’amore». Evita così il cinismo che si può insinuare nel-la tentazione di fare di una tragedia un veico-lo commerciale.Ciò che fa la differenza, nel best seller diGreen come nel film aderente al romanzo, èil “come raccontare una storia triste”, ovveroattraverso le voci di Hazel e Gus. Il loro tono disincantato, ma mai rassegnatofino in fondo e la loro interpretazione convin-cono e commuovono. Ansel Elgort diventa l’Augustus più azzeccato:sa centrare a perfezione il personaggio, in par-ticolare quel sorriso di cui si parla per tutto il ro-manzo. E Shailene Woodley riesce a calarsi inHazel con una dolcezza disarmante, una sensi-bilità intelligente immediatamente intuibile.Come nel romanzo, la pellicola «sposa la lorovisione del mondo», fa innamorare gli spettato-ri rendendoli non oggetto di compassione, madi empatia, e trattando la loro storia in modo nondiverso da qualunque altro “primo amore”:ricco di quel respiro di assoluto e quell’idea di“per sempre” che li distingue.

Il sogno del film

Aiutare a “vivere”, anche nella malattia. Con in-tensità e gioia, come la giovinezza e l’amore so-gnano, scelgono.

Hazel e Gus sono ragazzi straordinari, il loro rap-porto è quasi un miracolo. Vivono pertanto una vicenda che si presta nonsolo ad essere vista ma affrontata e discussa dadue tipi di pubblico: quello degli adulti che sitrovano di fronte a spunti di riflessione educa-tiva, anche se in un contesto estremo come quel-lo del cancro. E gli adolescenti, che si possonoidentificare in 2 coetanei costretti ad affronta-re momenti gravi e inconsueti per la loro età. Anche se con qualche caduta nel sentimen-talismo, l’opera non manca di momenti auten-tici, e pone questioni che spesso si tendereb-be a rimuovere. Anna di Torino, 15 anni, lo dice attraverso Face-book: «È una storia di amore assoluto, perchéHazel e Gus, pur sapendo che potrebbero mo-rire, non riescono a evitare di amarsi. Ho provato angoscia per la malattia e I’ ingiu-stizia della morte che separa due innamora-ti così giovani! Ma anche tristezza perché en-trambi hanno belle famiglie che, nonostantela situazione, infondono fiducia e rendono laloro vita serena. Alla fine forse, sono i geni-tori quelli che devono affrontare la prova piùterribile, senza la consolazione del grandeamore che dà forza ai loro figli».

PER FAR PENSARE

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paura di affrontare la vita scomoda e mono-tona che può offrire l’abitare in un faro.Scorrono giorni felici. Ed ecco, irrompere imprevista la dramma-tica vicenda che sconvolgerà la loro vita. Ungiorno, sul breve arenile di Janus Rock le on-de sospingono una barca alla deriva: vi gia-ce riverso il corpo di un uomo senza vita evi si ode il vagito di una creaturina. Isabel, accorsa a soccorrere e coccolare laneonata, vede in lei un dono del cielo, do-po i ripetuti aborti spontanei che hanno do-lorosamente frustrato il suo appassionatobisogno di maternità. Tom è vincolato alleregole che gli impongono di registraretutto ciò che avviene sull’isola. E questa vol-ta si tratta di cosa non indifferente: uno sco-nosciuto senza vita, una creatura indifesaapprodati non si sa come, sospinti dal ven-to dell’oceano. Isabel, che sente la bimbagià sua, scongiura il marito di non segnala-re il fatto: un maglione da donna, fradicio,trovato sulla barca, sembra attestare senzaombra di dubbio che anche la mamma siaannegata.

Interrogativi angosciosi

A questo punto la vicenda scorrerà sul filod’interrogativi angosciosi: è sempre dove-roso ciò che sembra giusto? Si può impu-nemente interferire, sia pure per amore, suldestino altrui? Tra la verità, la giustizia e lapaura di far soffrire una creatura amata e in-difesa, quale scelta s’impone?I giorni scorrono dapprima sereni comequelli di una famigliola felice: Tom, Isabel

M.L. Stedman

La luce sugli oceani Adriana Nepi

L’autrice, M. L. Stedman, residente a Londra ma nata e cresciuta in Australia Occidentale, si è guadagnata con questo primoromanzo una fama internazionale.Nell’edizione Garzanti, il libro risultaattraente fin nella veste tipografica: la copertina presenta una suggestivapanoramica della sconfinata vastitàdei due oceani a sud del continenteaustraliano e in primo piano la figuradi una bimba dallo sguardointerrogativo, la quale sarà in qualchemodo il perno narrativo del racconto.

In una piccola isola australe, Janus Rock, vi-vono Tom e Isabel. Lui è un valoroso redu-ce dalla prima guerra mondiale; partito vo-lontario, come non pochi convinti di com-battere per una giusta causa, ne è ritorna-to sano e salvo, ma interiormente ferito perquanto vi ha veduto e sofferto. È un uomoprofondamente buono, coraggioso, capa-ce di accettare umilmente le inevitabilidifficoltà della vita. Dalla nativa Sydney, lanecessità di trovare un impiego lo ha con-dotto a Partageuse, piccolo porto dell’Au-stralia occidentale, non lontana dall’isola diJanus Rock: sarà provvisoriamente guardia-no del faro che prende il nome dall’isola.Si dispone alla partenza quando incontraIsabel: una diciannovenne tutta spontaneitàe immediatezza. È lei a provocare l’attenzio-ne di Tom, con candida e allegra semplicità.Nasce l’amore e i due si sposano: lei non ha

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comunicare

il lib

ro

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e Lucy (così chiamano la piccola) quella chetutti credono la loro figlioletta …Chi l’ha raccolta dopo il naufragio, chi l’hacurata e circondata di tenerezza se non lo-ro due, che l’hanno ricevuta come dono diuna provvidenza misericordiosa? Così pen-sa appassionatamente Isabel.Tom ama pure la piccola come può amareun buon papà, ma la voce del cuore non riu-scirà mai a sopraffare in lui la vigile rettitu-dine della coscienzaSi direbbe che la bimba sia venuta a sana-re molte ferite. Due fratelli di Isabel sonomorti in guerra e nulla è valso a conforta-re i genitori, soprattutto della mamma chenon ha più cessato di riordinare ossessiva-mente la stanza dei figli, come se essi vives-sero ancora. Lei, la sorella quattordicenne,aveva potuto assistere da vicino alla trage-dia irrimediabile e scoprire che cosa signi-fichi veramente l’amore di una madre e il

suo dolore nel perdere un figlio. Le pare oraun miracolo l’espressione estasiata dei suoigenitori accorsi da lontano per salutare l’ar-rivo di una nipotina, e la conferma nell’ideache l’ avere tenuto come sua la bambina siastata la scelta giusta .

Una logica provvidenziale

Ma ecco la sconvolgente scoperta: la madredella piccola salvata dal naufragio è viva: sichiama Hanna, ed è la moglie di Frank, Il po-veretto trovato esanime nella barca … Di na-zionalità austriaca, trovandosi inseguito, conla figlioletta in braccio, da un gruppo diubriachi inferociti contro l’odiata razza te-desca, era saltato nella barca e poi travoltodalla forte corrente australe.Inevitabile ormai il dissenso di Tom dalla mo-glie: cosciente, lui, di dover prendere unadecisione che non si può mettere in discus-sione, ostinata lei, per non sconvolgere la vi-ta di Lucy, la sua bambina.“Che sia un beneo un male, abbiamo fatto ciò che abbiamofatto”. È il dilemma che sembra percorrerela tormentata vicenda: che cosa è il bene,che cos’è il male, il giusto e l’ingiusto?Si direbbe che i fatti evolvano secondo unalogica provvidenziale che ristabilisce un sa-no equilibrio. Tom non potrà evitare perqualche tempo il carcere, addossandosi ge-nerosamente tutta la responsabilità di erro-ri che si preoccuperà di non far gravare sul-la fragilità della donna amata.Le scelte giuste sembreranno violente, matutto tornerà alla fine come dev’essere. Han-na riavrà la sua bimba, la piccola si dibatteràa lungo ma finirà con l‘essere la figlia ado-rata e serena di un’altra mamma, quella ve-ra, senza che venga mai meno il profondolegame con chi l’ha accolta e cresciutacon tanta passione. L’amore di Tom e Isabel,purificato dalla sofferenza, durerà, pacifica-to e benedetto, così come dev’essere unbuon matrimonio: “nella salute e nella ma-lattia, nella buona e nella cattiva fortuna”.

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fatto”. È il dilemma che sembra percorrerela tormentata vicenda: che cosa è il bene,che cos’è il male, il giusto e l’ingiusto?Si direbbe che i fatti evolvano secondo una

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«Litighiamo tutto il tempo tu ed io / va be-ne / Siamo la stessa anima / Non ho bisognodi sentirti dire / Che se non fossimo così si-mili / Ti piacerei molto di più / Ascoltamiadesso / Ho bisogno di farti sapere / Chenon devi fare tutto da solo».

La sofferenza di essere genitori

La vita riserva sempre delle grandi sorpre-se e John Lennon al termine di una lun-ga tournée con i Beatles si accorge che èstato un padre assente con il suo primogenito Julian e vuole recuperare il rappor-to non facendo gli stessi errori con il fi-glio più piccolo Sean. Così si ritira dalle scene per rimanere infamiglia e scrive il capolavoro BeautifulBoy (Darling Boy). In questa canzone, Len-non descrive il suo amore per il figlio, edi piccoli e grandi insegnamenti che un ge-nitore deve dare, dalle raccomandazionipiù semplici «Prima di attraversare lastrada, dammi la mano», fino a sentenzia-re frasi più impegnate come: «La vita è ciòche ti accade mentre sei impegnato a fa-re altri progetti».Ma essere genitori vuol dire anche perde-re dei figli per una morte tragica e ingiusti-ficata. È ciò che ci racconta Eric Clapton nel-la sua famosa canzone, vincitrice di treGrammy Awards: Tears in Heaven.In questa ballata costituita da voce e chitar-ra il musicista ci racconta la perdita del fi-glio Connor caduto dal 53º piano di un pa-lazzo a New York. È il canto disperato di un padre che spera

Genitori e figli: tra amore e conflittualitàMariano Diotto

La musica ha sempre raccontato le vicende familiari con i suoimomenti indimenticabilmente belli ma anche quelli più tristi, fatti di conflittualità e di rancore o di “cose non dette”.

Figli e genitoriIl rapporto con una madre affettuosa vieneraccontata da Gatto Panceri nella sua can-zone intitolata Madre mia.Lei si è trovata a crescere da sola un figlioin quanto suo marito l’ha abbandonataprima che lui nascesse. Ne scaturisce questa canzone che è ispira-ta ad un Madrigale dell’Ottocento: «La vi-ta mia so quanto vale / so quanto è costataa te / la tratterò bene perché/ è tutto ciò chechiedi a me».«Oh papà siediti e ascolta la mia canzone/ e se te la senti cantala anche tu per favo-re / no, non c’è niente che voglio dire chenon abbia già detto prima ma, per usare pa-role tue, “non puoi mai essere troppo sicu-ro”./ Vedi, nonostante io non lo dimostrisempre sono felice che tu sia qui».

Sono queste le parole che usa Alain Clarknella canzone Father & Friend per raccon-tare il suo rapporto con il padre che è vistocome un amico in quanto ti rimane accan-to anche quando sei diventato adulto. Invece Bono degli U2 nel 2004 scrive la can-zone Sometimes you can’t make it on yourown che è il suo personale ricordo nei con-fronti del padre scomparso tre anni prima.

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di rincontrare il proprio figlio in Paradisodove finalmente le difficoltà spariranno.«Il tempo può buttarti giù; il tempo può pie-garti le ginocchia / Il tempo può spezzartiil cuore, farti implorare pietà, implorare pietà/ Oltre la porta c’è pace ne sono sicuro / Elo so non ci saranno più lacrime in Paradi-so». Clapton non suona più questa canzo-ne da molti anni, da quando dice di aver fi-nalmente superato il dolore per la perditadel figlio e ciò dimostra che una canzonea volte non è “una semplice canzone”, maparla della propria vita, delle proprie emo-zioni, della propria intimità.

Essere parte del mondoNelle canzoni vengono anche raccontateforme di genitorialità particolari: il sentirsiparte di un mondo che ha bisogno di indi-vidui che sappiamo guidare altre persone.È il caso della cantante italiana Fiorella

Mannoia che nella canzone Luce parla pro-prio di questa forma di amore: «Non c’è fi-glio che non sia mio figlio né ferita di cuinon sento il dolore. Non c’è terra che nonsia la mia terra e non c’è vita che non me-riti amore. Non c’è voce che non sia la miavoce né ingiustizia di cui non porto l’offe-sa. Non c’è pace che non sia la mia pace enon c’è guerra che non abbia una scusa». Questa forma di amore supera i gradi di pa-rentela e ci rende tutti figli della stessa ter-ra e dello stesso Dio.Così le canzoni a volte diventano un mes-saggio dei genitori ai figli e viceversa. Perché alcune volte è più facile cantare al-cuni sentimenti che riuscirli a dire: «E figlia,figlia, / Non voglio che tu sia felice, / Ma sem-pre “contro” / Finché ti lasciano la voce».(Roberto Vecchioni nella canzone “Figlia”)

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faccendata in mille occupazioni, chenon ha il tempo di respirare, di mangia-re, di pregare... quei venti minuti chiusain una sala in cui nessuno fa niente di es-senziale, dove c’è chi racconta una bar-zelletta, chi lavora all’uncinetto, chi tra-smette una notizia di cronaca per cui in-tercedere, chi si fa aiutare a portareavanti piccoli lavoretti per il giorno do-po, chi si informa sulla salute di un’anzia-na e persino chi gioca a dama o a carte,beh, credetemi a quella persona queiventi minuti “persi” procurano un dolo-re indescrivibile. Non parlo, è chiaro, di quelle suore chedevono svolgere determinati uffici pro-prio in quei minuti, ma di quelle chescappano via appena scocca l’ora x; se lacomunità è fortunata le rivede all’iniziodella buonanotte, altrimenti l’indomani! Ora, dico io, se quello è il momento incui si recuperano un po’ di energie e sirinsaldano i nostri legami, evidente-mente queste si ri-creano altrove, conqualcos’altro o qualcun altro, perchénessuno può vivere da solo, tantomenose ha scelto di vivere in comunità!Io, invece, amo molto la ricreazione,ma appena inizia la buonanotte mi ad-dormento. Sarò malata anch’io?!

Parola di C.

Ri-creazione

Care amiche, che si voglia ammetterlo ono ci sono delle cose tipiche della nostravita, vere e proprie consegne dei nostriFondatori che noi stiamo tradendo! La situazione si sta aggravando col pas-sare del tempo e io sento il dovere mo-rale di segnalare i rischi a cui, a mio mo-desto avviso, ci stiamo esponendo.Se gettiamo uno sguardo sulle nostre co-munità ci si accorge subito che molte so-no le sorelle colpite dal virus dell’ottimiz-zazione. È piuttosto facile cogliere i sinto-mi di questo morbo: si corre sempre, ci sisofferma appena in determinati ambien-ti, si passa rapidamente accanto alle per-sone, si circola per casa sempre rigorosa-mente con qualcosa in mano, si hannosempre almeno due impegni da assolve-re contemporaneamente, si dichiara di evi-tare scrupolosamente i tempi morti...E c’è un segnale di fronte al quale si puòavere la certezza che ci si trova in presen-za della malattia: la sorella malata ha sem-pre un motivo per disertare la ricreazione.Ci sono sorelle che a ricreazione non cele trovi mai, e sapete perché? Sono vittime dell’ottimizzazione: queiventi minuti in cui finalmente si incon-tra chi magari si è visto soltanto a co-lazione è per loro un vero tormento.Lo dico sul serio! Ad una persona attiva, costantemente af-

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comunicare

cam

illa

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da mihi animas:

il nostro modo di crescere insieme

Nel prossimo numero

DOSSIER: ALLARGATE LO SGUARDO

... INCONTRO

Solo un incontro vero con

Gesù porta anche noi a ri

leggere

la realtà e a trasformarci d

al di dentro.

Il nostro cambiamento div

enta forza trasformatrice d

ella realtà.

La spiritualità salesiana de

l quotidiano alimenta una

cultura

dell’incontro che ci rende

prossimi ai giovani e ai la

ici.

CULTURA ECOLOGICA: VERSO QUALCOSA DI NU

OVO

Il tema dell’Expo Milano 2

015 è “Nutrire il Pianeta, E

nergia per la Vita”.

Le aree tematiche si confi

gurano come una vera e p

ropria rete

che si interfaccia alle cose

del mondo, facendo com

prendere

che è importante conosce

re e perfezionare ogni fas

e

della catena alimentare, p

oiché da ciascuna di esse

dipende

la buona riuscita dell’inte

ro processo.

FILO DI ARIANNA: DIETRO LE MASCHERE

L’articolo presenta i mecc

anismi di difesa con partic

olare riferimento

all’esperienza della leade

rship: senso di superiorit

à, imposizione,

razionalizzazione, identifi

cazione nel ruolo,

proiezione, analisi e prop

osta di alcune vie di soluz

ione.

COMUNICARE: COMUNICAZIONE E CAR

ISMA

Essere presenti nello scen

ario mondiale di oggi

non è una scelta opziona

le ma un dovere,

un modo per farsi ascolta

re (a patto di saperlo fare

).

Il bisogno di verificare e r

innovare il linguaggio,

di trovare modalità nuove

di comunicare,

anche in sintonia con i lai

ci, è una vera priorità.

CARISMA E LEADERSHIP: ACCOGLIERSI E PERDON

ARSI NELLA FEDE

Le tematiche affrontate, c

on riferimento carismatic

o

a Madre Mazzarello sono

: comunicare in modo aut

entico,

la gestione dei conflitti e

l’assertività.

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SI OTTIENE DI PIÙ CON UNO SGUARDO

DI BONTÀ, CHE NON CON MOLTI RICHIAMI...

DON BOSCO

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdmadamihianimas