Rivista DMA - NELLE PIAZZE DEL MONDO (Novembre - Dicembre 2013)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE NELLE PIAZZE DEL MONDO damihi animas 2013 Anno LX Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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2013Anno LX Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeAndate senza pauraGiuseppina Teruggi

5DossierNelle piazze del mondo“Attirerò tutti a me”.

13Primopiano14Uno sguardo sul mondoIl mondo dei giovaninegli Stati Uniti

16Anima e dirittoEtica e testamento biologico

18Costruire la PaceOperatori di pace

20Filo di AriannaOsare

dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Maria Pia Giudici • Palma LionettiAnna Mariani • Adriana Nepi

Maria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran

Maria Rossi• Bernadette SangmaMartha Séïde

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27In ricerca 28CultureÉ sperare la cosa difficile

30PastoralmenteL’animazione vocazionaleper un discernimento

32In MovimentoUn’estate di giovani in movimento

33In dialogoIntervista a don Peter Zagoe suor Teresa Szewc

35Comunicare36Si fa per direComunicazionee nuova evangelizzazione

38Donne in contestoFede e resilienza:esiste un legame?

40Video Il sole dentro

42LibroLa bambina degli occhi di cielo

44MusicaVideogiocola musiva

46Camilla

n. 11/12 Novembre Dicembre 2013Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettorie austriaca e tedesca

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

3 ANNO LX • MENSILE / SETTEMBRE OTTOBRE 2013dma damihianimas

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domenicale: “Vedo che tra voi ci sono tan-ti giovani. Vi dico: ‘non abbiate paura di an-dare controcorrente’, quando vi voglionorubare la speranza, quando vi propongonodei valori che sono avariati come un pastoandato a male bisogna andare controcor-rente ed essere fieri di farlo”.

In questo numero il tema dell’audaciaevangelica, viene declinato sotto angolatu-re e punti di vista diversi. Ogni percorso ci pare una via percorribile,come è stato per chi ne ha fatto il tessutodella propria vita. Così per don Riccardo Tonelli, mancato (ef-fettivamente mancato a molti!) circa un me-se fa e che ci è stato fratello, amico, padre,maestro, consigliere discreto. Una guida sicura e coraggiosa che ha sapu-to “valorizzare l’intuizione femminile, valo-rizzare l’umano, luogo dell’incontro con Dioe puntare decisamente sull’educazione,sui processi educativi per annunciare den-tro ad essi la Verità che salva e che rende lapersona più persona”.A lui un pensiero di forte e viva gratitudi-ne anche per essere stato dal 1982 al 1990direttore della nostra rivista Da mihi animas.Ci ha aiutate ad essere coraggiose e coeren-ti con la linea dichiarata nel Progetto di Pa-storale Giovanile dell’Istituto. Don Riccardo: un sapiente con il cuore dei‘poveri di spirito’.

[email protected]

“Andate senza paura”Giuseppina Teruggi

In una sua circolare, M. Antonia Colombofaceva notare che “educandi santi esigonoeducatori santi, capaci di vivere la parresíaevangelica e di superare la timidezza perproporre ai giovani mete di bellezza, di ve-rità, di bontà, rese attraenti dalla trasparen-za della loro testimonianza” (Circ. 854).Parole attuali, in linea con il tempo cheviviamo, a ridosso della festa dei Santi, evicine alla riflessione che ci impegna inquesto tempo pre-capitolare. Madre Yvonne ci sta ricordando che“solo una vita che sa rischiare per amo-re come Gesù nel quotidiano e si aprecon audacia alle situazioni di povertà gio-vanile… diviene sacramento della pre-senza di Dio”, quindi evangelizza! E sottolinea che “la casa che vogliamo co-struire insieme ha la porta sempre aper-ta per lasciare entrare la luce della Paro-la e l’amore misericordioso e gratuito diDio da irradiare con coraggio, andandoanche controcorrente e pagando di per-sona” (Circ. 934).

Audacia, coraggio, capacità di scelte contro-corrente: sono atteggiamenti che espri-mono l’esigenza di parresía richiestaci og-gi. Implicano un cammino esigente di eso-do da sicurezze, da accomodamenti aduna vita dal sapore borghese, dal timore diesporsi, per un dono in radicalità. È la viache ci propone in modo credibile Papa Fran-cesco. Risentiamo in noi l’eco delle paroleche il 23 giugno ha pronunciato all’Angelus

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Nelle piazze

del mondo

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luogo in cui avvengono gli scambi di infor-mazioni, dove ci si reca per avere l’oppor-tunità di “sentire” il battito del cuore dellacittà, dove si percepisce e si può conosce-re l’anima del quartiere, dove si ascoltanoi suoi rumori, i suoi dolori, le sue speranze.Pensando alle piazze, soprattutto a quelledei quartieri più popolari, queste sonoricche di incontri e crocevia di scambi. Ci sono quelle che accolgono gli anziani,quelle per lo shopping, quelle per gli incon-tri tra giovani dove il tempo e lo spazio as-sumono una dimensione diversa. Molte sono anche le piazze famose pergrandi manifestazioni di pace, di rivendica-zione dei propri diritti. In piazza il popolocome entità acquista voce e si rivolge ai po-tenti, le persone esprimono le loro idee ele loro opinioni. A volte la piazza è anche il crocicchio, il cro-cevia, l’incrocio di strade che si incontrano,il punto nel quale i viandanti si fermano perdecidere quale direzione prendere. Qui si concentrano spesso i dubbiosi, si fer-ma chi non sa quale direzione prendere, chiprova a chiedere informazioni e cercaqualcuno che gli indichi la strada.

La piazza dell’Incontro

Se pensiamo alla piazza come luogo di in-contro, pensiamo non solo a chi ha già de-gli amici da rivedere, o persone che loaspettano per qualche appuntamento. Pensiamo anche a chi, non sa dove andare,a chi non vuole rimanere solo, a chi ha de-siderio di incontrare qualcuno e sceglie di

Nelle piazze del mondoAttirerò tutti a meAnna Rita Cristaino

Per tutto il 2013, i Dossier hanno affrontato la tematicadell’evangelizzazione, trattandola di volta in volta da prospettive diverse. Nelle piazze del mondo è il titolo dato a questo Dossier perché crediamo che il Vangelo abbia un messaggio universale, e che debba essere condiviso in spazi e tempi che coinvolgano l’umanità intera.

Sappiamo che la Parola di Dio non è rivol-ta solo ai credenti e quindi come comunitàsiamo chiamate a prendere contatto e dia-logare con chiunque, consapevoli che Ge-sù ha ancora qualcosa da dire a tutti.Crediamo sia importante Evangelizzare,come comunità, superando il senso di ina-deguatezza lasciandoci contagiare dall’au-dacia missionaria, imparando a dialogare,apprendendo un linguaggio che non esclu-de nessuno.Ci rendiamo conto che spesso ci sono for-ze avverse alla comprensione reciproca, al-lora è importante trovare strategie dialogi-che che aiutino a scardinare le logiche deiluoghi comuni e che siano capaci di getta-re ponti più che di alzare barriere. Nelle piazze del mondo perché la piazza,l’agorà, è stata sempre il luogo destinato al-l’incontro. In piazza si svolgono gli avveni-menti più importanti per la vita di un quar-tiere, di un paese, di una città. Questo è il

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recarsi in un posto dove sa che c’è dellagente. Il desiderio di incontro e di confron-to è proprio della persona umana. Nell’in-contro con l’altro imparo a conoscere mestessa e imparo a conoscere il mondo. Miarricchisco e mi rendo conto che posso an-che io dare qualcosa. Quando un incontroè vero, lascia le persone più ricche di uma-nità. Si può partire da uno scambio diinformazioni più o meno utili, ma si può ar-rivare a condividere la vita. Ogni incontro può essere un chiamare al-l’esistenza. Negli occhi dell’altro, mi rivedoe mi rendo conto che esisto. Recarsi quin-di nelle piazze per incontrare porzioni diumanità è richiesto a chiunque abbia a cuo-re l’annuncio del Vangelo di Gesù.Sin dall’inizio del suo pontificato papaFrancesco sta invitando gli uomini e ledonne di Chiesa ad uscire, a recarsi nelleperiferie dell’emarginazione sociale ed esi-stenziale, sta invitando tutti i credenti a cam-minare insieme, sta invitando tutti i cristia-ni a cercare l’incontro con chi non crede ma

sente nel cuore un desiderio di assoluto. Uscire, per recarsi nelle diverse piazzedell’esistenza, dove convivono genti di dif-ferenti culture e religioni, uomini di buonavolontà e gli indifferenti, è il nostro cerca-re di farci prossimo. Quante volte abbiamo sentito dire, a più ri-prese, e in diverse stagioni della vita dell’I-stituto: “dobbiamo essere delle comunitàaperte all’accoglienza”, “i nostri cancelli nondevono rimanere chiusi”… ma ora ci vienechiesto non solo questo, ma anche di an-dare noi lì dove uomini e donne sono in-quieti e dove i giovani aspettano la luce delmessaggio evangelico. Il prossimo infondo non esiste in sé, il pros-simo esiste quando ognuno di noi decidedi rendere l’altro suo vicino, facendosiprossimo, andandogli incontro. Perché aspettare? Perché avere paura?La piazza dell’incontro può essere subitofuori dai nostri cancelli, o al centro dellacittà, o una piazza virtuale, o il cortile del-le nostre scuole. È necessario quindi ripren-

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cammino insieme vuol dire per tutti render-si conto di non essere soli a camminare, diconsiderare il confronto con i giovaniun’opportunità e una ricchezza da poten-ziare. Significa verificare anche se il linguag-gio che usiamo è adatto a essere capito dainostri interlocutori, se le certezze su cui cifondiamo possono avere una base ancheumana, che diventa il luogo di approcciocon chi è più lontano dal nostro credo, seciò che presentiamo come istanza etica su-periore abbia una valenza antropologica an-che per chi non ne condivide l’origine. Per comprendere di più il senso della paro-la dialogo, inteso come strumento per fargiungere la Buona Notizia del Vangelo in tut-te le piazze del mondo, ci rifacciamo ad unariflessione del Pontificio Consiglio per laCultura, che sostenendo l’iniziativa del Cor-tile dei Gentili, approfondisce la pratica dedialogo soprattutto quando intesse una con-versazione con chi è lontano dalla fede. In termini generali, viene presentato comedialogo ogni forma di incontro e di comu-nicazione fra persone, gruppi o comunitànell’intento di realizzare o una maggiorcomprensione della verità o migliori rela-zioni umane, in un’atmosfera di sincerità,di rispetto delle persone e con una certa re-ciproca fiducia.Nel testo vengono distinti tre tipi fonda-mentali di dialogo:• incontro sul piano delle semplici relazio-ni umane, che si propone di far uscire gliinterlocutori dall’isolamento, dalla mutuadiffidenza e di creare un’atmosfera dimaggior «simpatia», di stima reciproca edi rispetto;

• incontro sul piano della ricerca della ve-rità che, trattando questioni di grandis-sima importanza per le persone stessedegli interlocutori, indirizza lo sforzocomune ad una migliore comprensio-ne della verità e ad una più ampia co-noscenza delle cose;

dere quel dinamismo tipicamente salesia-no che è l’andare incontro a chi può averebisogno di noi, soprattutto i giovani più po-veri e abbandonati. La piazza dell’incontro, è quella della stazio-ne di Carmagnola, dove don Bosco si è fer-mato a giocare con quei monelli e ha fattoamicizia con Michele Magone. Don Boscol’ha visto, l’ha amato e l’ha chiamato all’e-sistenza. E sappiamo quale risultato di san-tità ne è scaturito. Incontro che mi fa guardare all’altro nellasua interezza, in tutte le sue dimensioni, dicui mi faccio prossimo per il semplice fat-to che è una persona. Ogni incontro, quando diventa vero desi-derio di conoscere e condividere con l’al-tro, non lascia mai nessuno indifferente.Ogni incontro è motivo di interrogativi, dicrescita, di rifiuto o di accettazione. Ogniincontro spinge a delle scelte. E questo nonè un primo passo per l’evangelizzazione?

La piazza del dialogo

Ma non c’è vero incontro se non c’è dialogoche è la via umana condivisa da tutti, creden-ti e non credenti di costruire insieme un sen-so: è metodo che diventa un cammino fattoinsieme. È il modo di cercare insieme la verità.Questo atteggiamento, che per i cristianideriva dal credere che ogni uomo in quantotale è immagine e somiglianza di Dio, dà for-ma storica alla mitezza, crea relazioni ispira-te a quella mitezza che per Paolo VI è “carat-tere proprio del dialogo” (Ecclesiam suam). Il dialogo è spazio sostitutivo della violen-za e va praticato come via di costruzione diun mondo che crede alla forza della paro-le e non alla parola della forza. Quante volte già papa Francesco ha invita-to i Pastori della Chiesa a camminare con ilproprio popolo! E noi come possiamosentire rivolto a noi questo invito, coglien-do l’istanza di camminare in mezzo ai gio-vani, con loro e per loro? Fare un pezzo di

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• incontro sul piano dell’azione, che tendea stabilire le condizioni per una collabo-razione in vista di determinati obiettivipratici, nonostante le eventuali diver-genze dottrinali.

Il dialogo implica una certa reciprocità, nelsenso che ciascuno degli interlocutori dà ericeve. Si distingue pertanto dall’insegna-mento, che è essenzialmente ordinato al-la formazione del discepolo che colloquiacol maestro. Il dialogo inoltre non consistepropriamente in un semplice confronto, dalmomento che deve tendere a far sì che ledue parti si avvicinino e si comprendanomaggiormente. Il dialogo per sua natura è ordinato ad unvicendevole arricchimento. In quello coni giovani, o gli adulti che non frequentanole nostre opere con assiduità, o che sonolontani dalla Chiesa, non mi pongo comequalcuno che vuole solo dare, che si arro-ga il diritto di conoscere tutta la verità. Ma ci avviciniamo a questi giovani, a que-ste famiglie, nella certezza che anche in lo-ro il Signore ci parla. Anche noi possiamo comprendere qualco-

sa di più sull’umanità, sulla vita e quindiqualcosa di più su ciò che Dio vuole da noi. Avvicinarsi agli altri con umiltà, sapendo diaver ricevuto il dono grande della fede nel-l’amore di Dio, e di averlo ricevuto gratui-tamente, senza alcun merito, aiuterà ad apri-re strade e cuori, a insinuare dubbi in chinon crede, a far nascere il desiderio di ap-profondire la fede, e non metterà a tacerele domande essenziali sulla propria vita,quelle che ogni persona si porta nel cuore.

La piazza dell’annuncio

“Dopo questi fatti il Signore designò altrisettantadue discepoli e li inviò a due a dueavanti a sé in ogni città e luogo dove stavaper recarsi” (Lc 10-1). Israele credeva che il mondo fosse compo-sto da settantadue Nazioni, e di settantaduediscepoli parla il brano del vangelo di Lu-ca citato, dove l’evangelista sta dicendo al-le proprie comunità di origine pagana cheanche a loro e non solo agli apostoli, è af-fidato l’annuncio del Regno. In un commento a questo brano del Van-gelo, comparso sul sito liturgia.it leggiamo

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ra papa Francesco ci sta dando l’esempio.In una sua intervista rilasciata al fondatoredi un quotidiano nazionale italiano La Re-pubblica, non credente, il papa prima di ri-spondere alle sue domande, ribadisce, chequando la Chiesa si impegna nell’annuncio,non cerca proseliti, ma assolve ad un man-dato di Cristo, di continuare a dire al mon-do che c’è una Speranza nuova. «Il segno che si è inviati da Dio – continuail commento di cui sopra – non è tanto la ca-pacità di dare, quanto quella di cogliere ilbene della sua creatura. Tale segno non con-siste nella predica ma nell’ascolto. È da que-sto ascolto che si dispiega la predicazione.È nella misura in cui si è disposti ad impa-rare la lingua del luogo che è possibile tra-durre in essa la Buona Novella. Altrimentila si tradisce».Nell’Evangeli Nuntiandi n. 20 Paolo VI scri-

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che «I discepoli sono inviati a due a due:l’annuncio non è manifestazione della ca-pacità del guru di turno, ma profezia di pos-sibile comunione. E devono preparare la ve-nuta del maestro e non sostituirsi ad esso,non fagocitare la presenza di Dio ma diven-tarne trasparenza». Non siamo i proprietari del Vangelo ma iservitori dell’annuncio, ogni discepolo èchiamato a dire Cristo all’uomo che incon-tra. «Questa è la sfida – continua il commen-to – far uscire Dio dalle Chiese, riportarlolà dove aveva deciso di vivere, tra la gente». Gesù ci indica con precisione lo stile e lamodalità di questo annuncio, lo stile da as-sumere. I discepoli sono mandati a due adue precedendo il Signore. Non dobbiamoconvertire nessuno: è Dio che converte, èlui che abita i cuori. A noi solo il compitodi preparargli la strada. E in questo, anco-

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ve: «Occorre evangelizzare – non in manie-ra decorativa, a somiglianza di vernice su-perficiale, ma in modo vitale, in profonditàe fino alle radici – la cultura e le culture del-l’uomo». Ecco perché è importante “fre-quentare” le diverse piazze, per conosce-re l’umanità che ci circonda, per riempirel’umanità di un messaggio di bene, di spe-ranza, per dare a chi incontriamo, soprat-tutto ai giovani, la possibilità di scegliere unavia diversa, di optare per l’amore di Dio. I Vangeli raccontano come la Parola di Ge-sù metta in crisi colui che ascolta. E questoè anche il nostro scopo, quando ci rechia-mo nei luoghi in cui Dio è dimenticato, incui si cerca di far finta che non esista. Attraverso l’offerta del nostro ascolto, delnostro farci carico delle sofferenze, dellesperanze, dei desideri dei nostri interlocu-tori, invitiamo i giovani ad aprirsi all’ascol-to della Parola di Gesù che coinvolge com-pletamente le sue emozioni, le sue paure,la sua affettività. L’ascolto non può lasciareindifferenti ma cambia radicalmente lapersona, in quanto non si tratta di acqui-sire concetti nuovi, ma di fare spazio ad unaParola, ad una Persona, che può diventareluce per il proprio cammino. Anche a noi, quindi, è chiesto di imparareda Gesù che camminando per le strade del-la Galilea e della Giudea, vuole incontrarel’uomo entrando in sintonia con la sua vi-ta, con il suo dolore, con il suo peccato econ le sue speranze. I racconti evangelici so-no costellati di incontri attraverso cui Ge-sù ascolta il cuore dell’uomo. Osservandola folla numerosa che lo segue per ascolta-re la sua parola, Gesù si commuove, ovve-ro ascolta il grido di un popolo senza pasto-re, e attraverso il miracolo della moltiplica-zione dei pani e dei pesci, preannuncia ilgrande dono dell’Eucarestia. Ancora nel Vangelo di Luca è narrato un me-raviglioso episodio in cui Gesù, incontran-do un corteo funebre che accompagnava

una vedova a seppellire il proprio unico fi-glio, ascolta il grido silenzioso della donnae, mosso a compassione, le dice: “Non pian-gere”. È attraverso queste parole che Gesùentra con delicatezza nel cuore sofferentedi quella donna rimasta sola e, restituendo-le il figlio, le dice che Dio è con lei, che Dioè vincitore sul dolore e sulla morte.

La piazza crocevia di popoli e culture

Secondo la Redemptoris Missio la missio-ne non ha confini geografici ma interessaogni uomo e donna sulla terra, dovunquesi trovino. La missionarietà non è solo unaquestione di territori geografici, ma di po-poli, di culture e di singole persone, proprioperché i confini della fede non attraversa-no solo luoghi e tradizioni umane, ma ilcuore di ciascun uomo e di ciascuna don-na. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato inmodo speciale come il compito missiona-rio, il compito di allargare i confini della fe-de, sia proprio di ogni battezzato e di tut-te le comunità cristiane.Papa Francesco nel messaggio per la gior-nata missionaria mondiale 2013 dice: «Ognicomunità è “adulta” quando professa la fe-de, la celebra con gioia nella liturgia, vivela carità e annuncia senza sosta la Parola diDio, uscendo dal proprio recinto per por-tarla anche nelle “periferie”, soprattutto achi non ha ancora avuto l’opportunità di co-noscere Cristo». Questo perché secondo il papa l’uomo delnostro tempo «ha bisogno di una luce sicu-ra che rischiara la sua strada e che solo l’in-contro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo con la nostra te-stimonianza, con amore, la speranza dona-ta dalla fede! La missionarietà della Chie-sa non è proselitismo, bensì testimonianzadi vita che illumina il cammino, che portasperanza e amore».Ma la solidità della nostra fede, a livello per-sonale e comunitario, si misura anche dal-

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Attirerò tutti a me (Gv 12,32)

La pericope si colloca subito dopo l’in-gresso di Gesù a Gerusalemme. L’autore ci informa che tra coloro che era-no saliti alla capitale per la festa di Pasquac’erano dei Greci, i quali chiedono a Fi-lippo di “vedere” Gesù. “Vedere” (greco“idéin”) in Giovanni ha un senso moltoricco: è un andare oltre le apparenze perraggiungere il mistero che esse nascon-dono; allora “vedere” significa non solo

la capacità di comunicarla ad altri, di diffon-derla, di viverla nella carità, di testimoniar-la a quanti ci incontrano e condividono connoi il cammino della vita. È un invito ad usci-re, ad essere Chiesa che comunica la fedecome capacità di “andare” come segnodella sua maturità. Il papa ci invita ad anda-re sulle vie del mondo facendo riferimen-to a due categorie evangeliche. La prima è quella del camminare insiemecon i nostri fratelli, guardando all’iconaevangelica di Emmaus, quando Gesù nellasera di Pasqua si fa compagno con i disce-poli e riscalda il loro cuore. L’altra categoria è quella della prossimità, se-condo l’esempio della parabola del BuonSamaritano. La missione mette in strada. Ci spinge fuo-ri dalla nostre sicurezze per aprirci all’incon-tro con gli altri, con i più lontani, nelle piaz-ze e nelle periferie dove la speranza è

quotidianamente soffocata dalla rassegna-zione e dalla pregnante cultura dell’indif-ferenza. Uno zelo ispirato al Da mihi animascaetere tolle che ci fa uscire dai nostri pic-coli mondi, per vivere l’esperienza dell’in-contro e della stanchezza dell’annuncio ea volte anche del fallimento. “Attirerò tutti a me”, è il sottotitolo di que-sto Dossier. Nel Vangelo di Giovanni alversetto 32 del capitolo 12 è scritto: “Io,quando sarò innalzato dalla terra, attireròtutti a me”, ed è un chiaro riferimento al-la Croce, unica via di salvezza. Anche il nostro andare nelle piazze dovel’umanità ci attende, non sarà semplice,comporterà da parte nostra il caricarcidella Croce. Ma questo sarà la certezzache stiamo ripercorrendo la strada cheGesù stesso ci ha indicato.

[email protected]

incontrare il Messia, ma soprattutto rico-noscerlo nella sua vera identità e crede-re in Lui. Il loro desiderio è sincero, fermo eprofondo: “Vogliamo vedere Gesù”. Filippo, insieme ad Andrea, riferisce la do-manda al Maestro. Egli risponde e va alcuore della richiesta, in poche parole ri-vela se stesso invitando a considerare ilmistero della Croce. E lo fa ben quattrovolte: con la parabola del chicco di gra-no (12,24), con il detto di sequela rivoltoai discepoli (12,25-26), con la descrizionedel dibattito che avviene nel suo animo(12,27-28), con la solenne proclamazioneconclusiva (12,32: “Io, quando sarò innal-zato da terra, attirerò tutti a me”). Il chesignifica che non c’è altro modo perparlare di Gesù se non la croce. (Ileana Mortari).

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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I nostri giovani vivono in un ambientemulticulturale e multietnico, e questo è ti-pico delle nostre comunità e luoghi educa-tivi, questo è naturale per loro e facilmen-te accettato. In molte opere sono accolti ifigli degli immigrati e quelli che hanno bi-sogno di assistenza finanziaria non trova-no barriere insormontabili, perchè l’aiutoè reso disponibile attraverso donazioni eborse di studio.

Tecnologia attraente

Tecnologicamente il nostro Paese è moltoavanzato, e gli studenti nelle nostre scuo-le hanno l’opportunità di utilizzare gli ulti-mi aggiornamenti della tecnologia, ma inquesto c’è anche un aspetto negativo. La tecnologia è sempre molto attraente einteressante per i giovani, e alcuni di loroa volte iniziano a pensare che questo è tut-to nella loro vita, e mentre diventano abilinell’uso di questa, iniziano a preoccupar-si sempre meno di chi sta intorno a loro equesto un po’ alla volta può portare all’iso-lamento. Inoltre è importante avere inogni scuola persone che siano tecnologica-mente preparate per l’apprendimento nel-l’uso delle tecnologie e per la manutenzio-ne dei computer, iPad, e altri strumenti elet-tronici. Molte scuole hanno il sito web do-ve i genitori possono trovare non solo leinformazioni riguardo alla scuola, ma anchele schede, i compiti a casa assegnati, e le va-lutazioni di ogni alunno. La moderazione in ogni cosa è il nostroobiettivo. Ci sono posti dove il fine settima-

Il mondo dei giovani degli StatiUniti Louise Passero

L’ispettoria degli Stati Uniti, è stata fonda-ta nel 1908 e dedicata a San Filippo Aposto-lo (SUA). Nel 1987 l’ispettoria è stata divisaa causa delle grandi distanze tra una costae l’altra dell’intera Nazione. Attualmente, vo-lare dall’Est all’Ovest degli USA è come viag-giare da New York a Roma. La nuova ispettoria (SUO) è stata dedicataa Maria Immacolata. Le ispettorie condivi-dono la responsabilità della formazione: leaspiranti di entrambe le ispettorie rimango-no nelle rispettive case ispettoriali, le Postu-lanti fanno il loro anno a Bellflower, Califor-nia e le Novizie trascorrono i due anni di no-viziato a Newton, New Jersey. In questo momento storico la formazioneè prioritaria. Ci sono sezioni per la Terza etàin entrambe le ispettorie dove le suore pos-sono continuare a sentirsi ancora utili e adare un contributo per la vita delle loroispettorie. Anche le postulanti, hanno unasettimana di workshop dove si occupano didiversi aspetti della giustizia sociale. Tra i giovani, sono molto popolari i socialnetwork e questo pone grandi domande acoloro che entrano nella vita religiosa.Molte sono arrivate a comprendere che nonsono quel tesoro promesso ma solo stru-menti da usare con discrezione. Stiamo usando le presentazioni in aulanelle nostre scuole per cercare di insegna-re ai bambini e ai giovani che l’uso corret-to dei mezzi di comunicazione è assoluta-mente fondamentale per la loro salutementale e il loro benessere. I nostri obiet-tivi educativi sono orientati ai valori.

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na diventa un momento per “disconnetter-si”, spegnendo ogni dispositivo elettronicoo possibilità di accesso. Il nostro lavoro coni giovani è quello ci cercare di trovare unequilibrio. Lavorando con i giovani costatiamo chemolti di loro hanno un innato altruismo, ecercano di raggiungere gli altri. Quando ci sono ad esempio notizie di ca-tastrofi naturali, immediatamente chiedo-no: “Cosa possiamo fare per aiutare?”. E quindi molti hanno dato la disponibilitàa dare ogni tipo di assistenza e aiuto ad es.alle popolazioni di Haiti colpite dal terremo-to, o vanno ad aiutare a scavare pozzi in al-cuni villaggi africani.

Attenti ai valori proposti

Questo li rende consapevoli del loro con-tributo verso la società, come indicato dal-la Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Sta-ti Uniti (USSCB), e sono attenti a ciò che ac-cade nel mondo. Quando ci sono disastri na-

turali nel nostro Paese, tutti ne sono ben con-sapevoli e i giovani e le comunità educanti of-frono preghiere e piccole offerte come per latempesta Sandy o le devastazioni del tornadonel Midwest o le recenti inondazioni in Colo-rado. Partecipano volentieri a diversi tipi diproposte come il Vides, o il Gospel Roads perscuole superiori e studenti universitari incui essi prestano assistenza pratica, oltre asvolgere programmi per la Nuova Evangeliz-zazione e la preparazione alla Cresima. Si pre-stano per diversi servizi quotidiani ordinari co-me il far visita alle case di cura, agli ospeda-li. Al di là di quello che si può apprenderedai mezzi di informazione, dove di solito so-no riportate le notizie più scandalose, chesono quelle che vendono di più, i nostri gio-vani sono molto attenti ai valori che vengo-no loro proposti, soprattutto alla solidarietà,alla condivisione, all’accoglienza. Valori che vissuti bene nell’età giovanile, ri-mangono a fondamento anche dell’etàadulta.

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• Geriatria

• Stato Vegetativo

Questi sono settori sostanzialmente di-versi che affrontano istanze, prima etichee poi giuridiche, simili, ma non identiche.Non sono settori sovrapponibili neanche inmedicina.Un paziente in ICU è diverso da un pazientein Stato Vegetativo e da un paziente oncolo-gico. E anche in una stessa unità, per esempioin ICU c’è differenza tra un paziente di 35 an-ni e uno di 90, non certo ai fini di un’alloca-zione di risorse, volendo tenersi ben distan-ti dalla scellerata bioetica utilitaristica. E anco-ra, sempre in ICU, ci sarà sicuramente diffe-renza tra un paziente di 35 anni con patolo-gie pregresse e uno che non le ha.Quello che può essere definito con asso-luta certezza accanimento in ICU, forse nonlo sarà con altrettanta assoluta certezza nel-la gestione di uno stato vegetativo!Va detto che il rifiuto delle cure da parte delpaziente (cosciente) cui segue la morte, for-se è diverso dall’eutanasia, poiché la man-canza delle cure determinerà come epilo-go la morte del paziente per il decorso del-la malattia stessa. Si pensi al cancro o alla cancrena di un ar-to cui il paziente rifiuta l’amputazione.Nello stato vegetativo sicuramente la so-spensione dell’idratazione e alimentazione as-sistita (cioè attraverso un sondino nasogastri-co o attraverso la PEG), anche volendo inten-derla come trattamento medico e non comemero sostentamento vitale, il paziente morirànon certo per la patologia dello stato vegeta-

Etica e testamento biologico Rosaria Elefante

Cosa è “possibile”, “giusto” o “lecito” fareper un medico di fronte ad un paziente noncosciente ovvero non competent?Quali sono i limiti che un medico deve por-si, secondo scienza, coscienza e responsa-bilità, nella gestione di un paziente noncompetent?Guardando, quando è possibile, gli occhi diun paziente non competent, il medicopuò fidarsi e affidarsi al suo living will (te-stamento biologico)? Può considerare attuali le volontà espres-se da quel paziente tre anni, un anno, unmese, una settimana, un giorno o ancheun’ora prima? Cosa è accanimento terapeu-tico? Cosa è inutile?Queste sono le continue domande che daanni moltissimi medici di “confine”, specia-li, perché speciali sono anche i loro pazien-ti, in quanto tutti affetti da una mancanza(apparente o meno) di coscienza, continua-no a porsi, formulando sempre più nuoveistanze al biodiritto che fatica a mantene-re il passo.In realtà, probabilmente, non esiste la stan-dardizzazione di una risposta a queste do-mande. Non esiste cioè la possibilità di da-re una risposta univoca di assoluta certez-za ai dilemmi, non solo scientifici, chepossono affliggere qualsiasi medico che sitrova di fronte un paziente non competent.Le domande vengono tutte dal mondomedico, ma da settori completamente diver-si tra loro, solo per citarne alcuni:

• Rianimazione (ICU)

• Oncologia

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tivo, se così si può dire, ma morirà a causa diuna serie di complicazioni causate dalla disi-dratazione e dalla mancata alimentazione, onella migliore delle ipotesi, a causa dei fortisedativi somministrati.La linea di confine tra il rifiuto delle cure e l’eu-tanasia richiesta dal paziente è giuridica-mente chiara, e lo è anche sotto un profilostrettamente etico e filosofico, ma in medici-na questa differenza non può esistere.Il rifiuto di un paziente di farsi amputare unagamba, per un medico, equivale a dire“voglio morire”. Il rifiuto del posizionamen-to di una PEG equivale a dire “ho scelto dimorire!”. Per il medico, rifiutare le cure orichiedere l’eutanasia significano in buo-na sostanza la stessa cosa! Cambiano le mo-dalità e i tempi, ma il fine è lo stesso: il pa-ziente ha decretato la sua morte, nell’attua-lità del momento e in piena coscienza.La problematica dei living will, solitamen-te, approda prima nelle aule di Tribunale,dove giudici – addestrati ad altro, non so-

no preparati nello specifico, anche perchélontani da ciò che accade realmente accan-to al letto del paziente – cercano di dare ri-sposte basate un po’ su un diritto che nonc’è e un po’ sul buon senso (altamente sog-gettivo), riuscendo quasi sempre ad elabo-rare sentenze o più in generale provvedi-menti inadeguati, capaci di non soddisfarenessuno. La problematica poi arriva sul ta-volo del Legislatore che, è costretto, suomalgrado, a fare una legge che cerchi di tu-telare tutti i protagonisti della vicenda:• i pazienti

• i soggetti sani che testano ora per allorasui trattamenti che vogliono o che altri perloro rifiuteranno

• i medici preoccupati di sapere quali sia-no effettivamente anche giuridicamentei loro limiti (oggettivi e soggettivi, ovve-ro di quel determinato paziente).

A questo punto non resta che denunciareun altro errore, molto più grave, ma inevi-tabile!Se le istanze mediche di cui abbiamo par-lato poco fa vengono malamente etichetta-te e raggruppate tutte sotto lo stesso cartel-lo del “Fine Vita”, compreso lo stato vege-tativo, creando un errore di fondo, sicura-mente ancor più errato è creare una leggeche pretenda di essere puntuale e analiti-ca in relazione alle miriadi di istanze medi-che specifiche.Dopo questa breve panoramica sugli inter-rogativi relativi ai living will una piccolaseppur significativa riflessione va fatta, econsiste in una domanda: «Può il medicoche ha prestato il giuramento di Ippocra-te e che quindi si è impegnato a non lae-dere, ovvero a non nuocere, a tutelare l’uo-mo preservandolo anche quando nonpuò più guarirlo quantomeno dalle soffe-renze, può quel medico attivarsi per pro-curare la morte del suo paziente?

[email protected]

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raggiare la pace nel Medio Oriente. (Cf http://www.paxchristi.net).

PAX: Unità nella diversità

In occasione della preghiera per la Siria, ilprof. A. Papisca (Università di Padova, Cat-tedra UNESCO in Diritti umani, democra-zia e pace), nella sua riflessione ha ripre-so una allegoria di Sant’Antonio di Pado-va sul tema della pace. Partendo dal brano evangelico in cui per trevolte Gesù risorto saluta i suoi con le paro-le “Pace a voi”, il santo osserva che nella pa-rola pace - PAX - ci sono tre lettere che for-mano una sola sillaba: in questo viene raf-figurata l’Unità e la Trinità di Dio. Nella P èindicato il Padre; nella A, che è la prima del-le vocali, è indicato il Figlio, che è la voce delPadre; nella X, che è una consonante dop-pia, è indicato lo Spirito Santo, che proce-de da entrambi (dal Padre e dal Figlio). Quando dunque disse: Pace a voi, ci rac-comandò la fede nell’Unità e nella Trinità(Cf I Sermoni, trad. di G. Tellaro, Padova,Edizioni Messaggero, 1996). C’è qui la proposizione di quella che pos-siamo chiamare la teoria trinitaria dellapace, afferma l’esperto citato. E prosegue:È il messaggio dell’unità nella diversità,molto utile, tra l’altro, per i programmi didialogo interculturale e interreligioso, dasviluppare nell’ottica del fare insieme e del-l’includere, a cominciare da coloro che so-no in condizione di maggiore vulnerabilità.E qui stupisce ancora la fantasia e la sensi-bilità ecologica di Sant’Antonio: “Si dice de-

Operatori di PaceJulia Arciniegas, Martha Séïde

Sono molte nel mondo le persone, le asso-ciazioni, le reti che promuovono la pace. Ilconflitto siriano negli ultimi mesi ci hapresentato un vero mosaico di gente chedesidera un mondo in armonia, dove nonsoffiano i venti della violenza e della guer-ra. L’eco del grido di Paolo VI nel suo sto-rico discorso alle Nazioni Unite (4 ottobre1965): “Mai più la guerra! La pace, la pace de-ve guidare le sorti dei popoli e dell’interaumanità!”, è risuonato con forza in occasio-ne della mobilitazione orante del 7 settem-bre u.s., come risposta all’appello di PapaFrancesco, sulla scia dei suoi predecessori.

Pax Christi International

Tra gli operatori di pace è significativo il mo-vimento “Pax Christi International”. Una re-te globale cattolica fondata in Europa nel1945, sulla convinzione che la pace è pos-sibile e che i circoli viziosi della violenza edell’ingiustizia possono essere infranti.Oggi il movimento conta più di 100 Orga-nizzazioni Membri, attive in più di 50 Pae-si nei cinque continenti. Ha coinvolto an-che alcune Congregazioni Religiose Inter-nazionali, tra esse, il nostro Istituto FMA, pri-ma come partnership e ora come membro. Dalla sua sede centrale in Bruxelles, lo staff,con senso ecumenico e interreligioso, ri-sponde alle richieste di aiuto da parte digruppi pacifisti locali nelle regioni delmondo in cui si svolge un conflitto, e so-stiene le coalizioni internazionali che si oc-cupano di problemi attuali. Negli ultimi an-ni svolge campagne permanenti per inco-

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gli elefanti che quando devono affrontareun combattimento, hanno una cura parti-colare dei feriti: infatti li chiudono al cen-tro del gruppo insieme con i più deboli. Così anche tu accogli nel centro della caritàil prossimo debole e ferito” (3/9/2013).

Veri operatori di pace

Secondo il messaggio per la GiornataMondiale della Pace 2013, che si rifà alla Pa-cem in Terris dal titolo: «Beati gli operato-ri di pace, perché saranno chiamati figli diDio» (Mt 5,9), la pace è dono di Dio e ope-ra dell’uomo. Infatti, la beatitudine di Ge-sù sulla pace presuppone un umanesimoaperto alla trascendenza. Quando si vive nell’impegno quotidiano,ci porta a ricuperare il dono della filialitàe di conseguenza della fratellanza. I verioperatori di pace sono, quindi, coloro

che amano, difendono e promuovono la vi-ta umana in tutte le sue dimensioni. L’ope-ratore di pace è colui che ricerca il benedell’altro, il bene pieno dell’anima e delcorpo, oggi e domani (cf n. 2-4). Nella stessa linea, la Dottrina sociale dellaChiesa abbonda sulla necessità di un impe-gno costante e responsabile: “La pace si co-struisce giorno per giorno nella ricerca del-l’ordine voluto da Dio e può fiorire soloquando tutti riconoscono le proprie respon-sabilità nella sua promozione” (DSC 495). In questo modo, l’operatore di pace èchiamato ad agire con compassione, so-lidarietà, coraggio e perseveranza se-condo ciò che Papa Benedetto XVI chia-ma una pedagogia della pace.

[email protected]@yahoo.com

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Natale in Tunisia

Natale in Tunisia

La Tunisia è un paese totalmente musul-mano, non avendo comunità cristiana lo-cale. Salvo qualche rara eccezione, i cri-stiani sono tutti stranieri venuti numero-si dall’Africa Subsahariana, dall’Europa edal resto del mondo. La festa di Natale èun giorno normale, la gente va al lavoroe solo i cristiani la celebrano nelle lorochiese, con alta vigilanza della polizia. Perla veglia di Natale 2012, l’orchestra sinfo-nica di Sfax ha offerto un concerto nellacattedrale di Tunisi. Tutti i musicisti era-no tunisini e di conseguenza musulmani.Hanno suonato canti natalizi in una Chie-sa cattolica strapiena. L’AveMaria di Gou-nod è stata cantata da una solista. Duran-te l’Eucaristia, sono rimasti discretamen-te ai lati. Mentre per il ringraziamento e

il canto finale si sono uniti alla corale pergli ultimi canti. Durante il momento fra-terno, hanno cantato la nascita di Gesùcon i giovani. Dio ha unito i cuori al di làdelle differenze. In quella notte di Nata-le, uomini e donne, neri e bianchi, alcu-ni cinesi, giovani e anziani, musulmani ecristiani, hanno condiviso la gioia dellanascita del Signore, Principe della Pace. La nostra comunità ha potuto condivide-re questa esperienza interculturale, inter-religiosa, segno che la Pace è possibile.Questo ha fatto nascere in noi il deside-rio di conoscere più profondamente l’a-nimo musulmano. Una volta ancora abbia-mo sperimentato la bontà e la semplicitàdel popolo tunisino. Essere arabo non èsinonimo di terrorista come i pregiudizie certi media vogliono fare credere. (da suor Maria Roher, missionaria in Tu-nisia)

LUCECONTRO

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spiegare, da accettare, da vivere, da supe-rare. In prima persona mi ha aiutato la pre-ghiera: chiedevo a Dio di darmi la capacitàdi stare vicino alla mamma di Mattia e a Mat-tia stesso in modo adeguato. Chiedevo anche di aiutarmi come mammaa preparare mio figlio a qualunque cosa Egliavesse in serbo per noi.Ma in tutto questo c’è stato un vero mira-colo: la solidarietà, la preghiera di centinaiadi persone, da ogni parte, anche di religio-ni diverse, per tutto quel periodo difficile.Tante persone che senza nemmeno chiede-re, si incontravano a pregare nella parroc-chia, in altre chiese, nei luoghi di lavoro, nel-le scuole. Una difficoltà che ha unito tantis-sime persone è stato il doppio interventochirurgico di Mattia, dopo due precedentiesami invasivi, ognuno dei quali avrebbe po-tuto provocare danni irreversibili. E dopo gliinterventi, un anno di terapie pesanti.Mattia ora è alle medie, sta bene e la suaesperienza ha insegnato a me e alla mia fa-miglia, ancora una volta, quanto sia effime-ra la nostra vita e quanto dobbiamo ogni vol-ta ringraziare il Signore per quello che ognigiorno ci concede. Perché ogni giorno del-la nostra vita è un dono e non va buttato via.

Siamo stati vicini a Yenia, la moglie cubanadi mio cugino Andrea, che ha combattutoper anni contro un tumore che non le ha da-to scampo. Così, a marzo dell’anno scorso,quando non sapevamo come sarebbe anda-ta per Mattia, i nostri cuginetti, figli di Yeniaed Andrea, di 6 e di 8 anni, perdevano la lo-ro mamma di soli 39 anni. È stato doloroso

OsareGiuseppina Teruggi

C’è da credere che un valore è autentico,quando a mostrarlo è la vita concreta. Ave-re il coraggio di osare: lo dimostra l’espe-rienza di una giovane donna che, nellascuola salesiana, ha imparato che è pos-sibile far fronte anche alle situazioni piùdure. Nella convinzione che la vita offresempre una nuova opportunità. Audacia,coraggio di osare: non significa non averpaura, ma proseguire nonostante la pau-ra. Come? Ce lo racconta Monica.

Cronistoria di un anno e mezzo di disoccupazione

«L’anno scorso sono stata licenziata dall’a-zienda in cui lavoravo. La ditta è fallita equindi... tutti a casa. Ho cercato lavoro per qualche mese, poi loscoraggiamento, la poca fiducia in me, l’in-sicurezza, mi hanno fatto desistere dalcontinuare la ricerca e ho deciso di dedicar-mi di più ai miei familiari.Siamo stati vicini a Mattia, un compagno diclasse di Davide Carlo, mio figlio. L’annoscorso, quando era in quinta elementare, gliè stato riscontrato un tumore maligno ino-perabile al cervello. Così, dall’oggi al doma-ni la vita di questa famiglia, e con lei anchela nostra, ha preso una svolta inaspettata.Due bimbi puri, tranquilli, buoni e fragili co-me i nostri figli sono stati messi davanti aduna realtà molto più grande di loro. La famiglia di Mattia, di fronte alla mortequasi certa del proprio figlio; la nostra fa-miglia, alla possibilità di perdere l’unico ami-co di Davide Carlo. Una realtà difficile da

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accompagnare fino alla fine Yenia nel suocalvario, che lei ha comunque affrontato conuna fede contagiosa: con lei ho riscopertoil sapore della parola di Dio. Con lei ho ri-passato la Bibbia che, come evangelista, sa-peva quasi a memoria. Ed io, che credevo diessere una buona cattolica, mi sono resaconto di quanto sia minimo il tempo che de-dico a Dio, e l’attenzione che rivolgo alla SuaParola. Dicevamo con Yenia - che fino alla fi-ne ha creduto nella guarigione, per cresce-re i suoi figli - che la sua malattia era un vet-tore con cui Dio risvegliava la fede di tuttiquelli che la conoscevano. Con lei parlava-mo di Dio, dei passi della Bibbia, come conaltri non si fa di solito. E per me era un pia-cere passare il mio tempo con lei.

Piccoli semi gettati nella scuola salesiana

Da tutto questo mi rimane il desiderio ditrasmettere quello che la mia Insegnante,suor Maria Letizia, mi ha comunicato insie-me alle regole di Matematica, di Italiano,

di Storia e di tutto ciò che appartiene allascuola, quando ero piccola.La fede in Dio Padre, gli insegnamenti diGesù dell’amarsi gli uni gli altri, dell’acco-glienza e della condivisione, la presenzadello Spirito Santo nella guida alle nostreparole e alle nostre azioni. La mia Insegnante ha gettato piccoli seminel cuore dei suoi alunni. Da quei semi inognuno di noi è nato qualcosa di specia-le: la fede in Dio. Quello che abbiamo im-parato è stato l’amore verso il prossimo esono sicura che anche chi di noi crede diessersi allontanato da Dio, in realtà non sadi averlo dentro. Sì, perché lei ci ha inse-gnato uno stile di vita, quello salesiano, checi ha dato una marcia in più. Ho incontrato alcuni miei compagni diclasse in questi anni. Qualcuno parla di pre-ti e suore come fumo negli occhi ... Ma, no-nostante le loro parole ‘dure’, i loro atteg-giamenti sono ‘buoni’. Forse non sanno diavere Dio dentro, sicuramente radicatopiù di quanto non credano: il piccolo seme,quello che la nostra maestra ha gettato nelloro cuore, è ancora lì, vivo, solo un po’ in-dietro di maturazione!

Uno sguardo nuovo

Io mi sento voluta bene da Dio. Non chenon abbia incontrato difficoltà nella mia vi-ta, non che sia sempre stata in grado di su-perarle. Eppure anche quando mi chiede-vo: “Ma Dio, non ti ricordi di me? Non tisembra di avermi messo alla prova abba-stanza a lungo?”, sapevo che, nonostante ilpeso da sopportare, sicuramente Dio cono-sceva il mio limite, e dovevo solo aver fidu-cia in Lui, che mi avrebbe dato la forza di su-perare tutto e di accettare quello che ave-va in serbo per me.Ho imparato che quello che voglio io nonè sempre quello che Dio vuole. Ora per me,prendermi cura della mia “mitica zia Carla” ac-cogliendola in casa per un mese (perché si è

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glie è il coraggio, la voglia di volersi bene,di perdonarsi, di aiutarsi, di avere uno sti-le di vita cristiana. Perché solo con l’esem-pio dei nostri comportamenti, quelli che ciha insegnato Gesù, potremo fare venire idubbi in chi non è troppo convinto!Ma non è finita qui: mio figlio vedendomisull’altare, coi bimbi di catechismo, duran-te la celebrazione eucaristica, e il suo ami-co Mattia a fare il chierichetto, un giorno midice: “Mamma, però... tu sei sull’altare vici-no a Gesù, Mattia è vicino a Gesù. Anch’iovoglio fare qualcosa per stare vicino a Ge-sù. Nei banchi mi sento lontano... Cosa pos-so fare io?”. Ed è così che anche Davide Car-lo fa il chierichetto! In questi giorni, partecipo all’oratorio feria-le: sono una delle tre mamme della Segre-teria. Ci occupiamo delle iscrizioni settima-nali, della registrazione delle presenze,della contabilità ecc. Ogni tanto sbagliamoi conteggi dei pasti, non sbagliamo mai lequadrature degli incassi ... e ci facciamo unsacco di risate! È faticoso, sono impegna-ta dalle 7.30 alle 18.30. La mia casa ne risen-te, il marito talvolta è stanco perché questoimpegno porta via del tempo alla famiglia.Tuttavia lui sa che mi piace farlo e mi dà be-nessere, e quindi accetta.Ringrazio la mia Maestra per le vacanze inmontagna, in Val D’Aosta: ho imparato adamare il verde, la natura, il silenzio e le cam-minate anche sotto la pioggia. Grazie per legiornate di ritiro spirituale dove ho appre-so a leggere la parola di Dio e a farla mia.Grazie per la sua attenzione alla mia timidez-za che mi ha aiutato a superare facendomifare ‘teatro’ a scuola. Grazie perché ogni tan-to sogno di incontrarla per strada in posti incui è improbabile incontrarsi, e quando lavedo le corro incontro. Lei ricambia la miagioia con un abbraccio altrettanto festoso:quando mi risveglio sono serena!».

[email protected]

rotta un piede e non poteva vivere sola), è unmodo per ricambiare il bene ricevuto quan-do ero piccola e molto viziata: mi ha donatotanta dolcezza e affetto, quando i miei geni-tori che lavoravano non potevano farlo, nonfacendomi sentire la loro mancanza.Ho imparato a stare dietro alla mia mamma,che perde la memoria e ogni tanto fa i ca-pricci. È stata a casa nostra anche lei 15 gior-ni per un piccolo ictus, poi ancora per tresettimane per un intervento al piede, quan-do contemporaneamente anche DavideCarlo era in ospedale a Milano per un inter-vento. Un periodo che non finiva più! Di-ciamo pure che è stato un po’ complicato.Avere la casa come un mezzo ospedale e unmarito che comunque non si lamenta deidisagi di condividere il lettone a turnocon me o con Davide Carlo, per lasciare lanonna o la zia con un po’ di privacy. È una dimostrazione di amore e di sensodella famiglia che vale più di mille paro-le, vero? E pensare che due anni fa rite-nevo che il mio matrimonio fosse aglisgoccioli. Invece abbiamo da poco rinno-vato la promessa di fedeltà in parrocchia,dopo 15 anni insieme.

Ma non sono finite le cose belle…

Tutta la mia gioia di vivere, nonostante ciòche ci capita intorno, è stata notata da unamamma dell’oratorio, che ha parlato con ilParroco. Mi hanno chiesto di diventareCatechista! Con un po’ di insicurezza e diincoscienza, ma con entusiasmo, ho dettodi sì. Così ho vissuto il mio primo anno daCatechista. Che impegno, che fatica, quan-ti dubbi, ma che soddisfazione: ora non so-no più la mamma di un figlio unico! La miafamiglia si è allargata di 11 figli e di 22 fra-telli/sorelle. Sono diventata amica di quasitutte le famiglie, ci si sente spesso. Speroche questa mia energia mi aiuti ad avvicinar-li alla vita comunitaria. Quello che vorrei riu-scire a trasmettere ai bimbi e alle loro fami-

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PAPA FRANCESCO AI GIOVANIOGGI GESÙ CI CHIEDE ANCORA:

VUOI ESSERE MIO DISCEPOLO? VUOI ESSERE MIO AMICO?

VUOI ESSERE TESTIMONE DEL MIO VANGELO?

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Perché la mia fede non sia triste

sono venuto qui per essere c

ontagiato

dall’entusiasmo di tutti voi!

E siate certi: il mio cuore

vi abbraccia tutti con affetto

universale.

Gesù con la sua Croce percor

re le nostre strade

e prende su di sé le nostre p

aure,

i nostri problemi, le nostre sof

ferenze,

anche le più profonde.

La Croce di Cristo invita anc

he a lasciarci

contagiare da questo amore,

ci insegna allora a guardare

sempre l’altro

con misericordia e amore.

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Cari giovani, il Signore ha bisogno di voi! Gesù ci chiede di seguirlo per tutta la vita, ci chiede di essere suoi discepoli, di “giocare nella sua squadra”.Cari amici, non dimenticate: siete il campo della fede! Siete gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore.

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NON ABBIATE PAURA DI ANDARE E PORTARE CRISTO

IN OGNI AMBIENTE, FINO ALLE PERIFERIE ESISTENZIALI,

ANCHE A CHI SEMBRA PIÙ LONTANO, PIÙ INDIFFERENTE...

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Letturaevangelicadei fatti

contemporanei

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Nella speranza si intrecciano presente e fu-turo, costanza, impegno e perseveranza. È virtù che regge la vita nel presente alimen-tandola e stimolandola. Qui s’innesta l’etica e l’impegno sociale.La speranza proprio perché è attesa ma nongià possesso, certezza, ma non evidenza,conosce il brivido del timore. Karol Wojtyla, nella Bottega dell’oreficescrive: «Non c’è speranza senza paura, epaura senza speranza». Nonostante questo alone di penombra, lasperanza è la fiaccola per procedere nellastoria. È la tensione che ci fa aspettare il fu-turo pur essendo avvinti al presente.

[email protected]

È sperare la cosa difficileMara Borsi

Il poeta francese Charles Péguy nel 1911 scriveva: «È sperare la cosa difficile, a vocebassa e vergognosamente. E la cosa facile è disperare ed è la grande tentazione». Parole utili in tutti i tempi di crisi. La speranza è una virtù di lotta.

1943 Auschwitz: filo spinato, comignoli,forni, fumo nero e denso. Etty Hillesum, gio-vane donna ebrea di 29 anni, scrive: «Ma co-sa credete, che non veda il filo spinato, i for-ni crematori, il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, ein questo spicchio di cielo che ho nel cuo-re io vedo la libertà e la bellezza».Aggrapparsi a quel lembo di azzurro, di spe-ranza, non è una sorta di illusione, ma unasegreta sorgente di energia.Come la fede, la speranza è una virtù teo-logale: ha la sua sorgente in Dio che la de-pone come un seme e come un principiod’azione nel cuore di ogni persona e ha co-me traguardo Dio stesso, approdo del de-siderio umano.George Bernanos, scrittore francese, met-te in evidenza l’aspetto della lotta, del ri-schio da affrontare per essere persone disperanza: «La speranza è una virtù, cioè unadeterminazione eroica dell’anima. La più alta forma della speranza è la dispe-razione vinta… La speranza è allora un ri-schio da correre. È addirittura il rischio dei rischi».

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Testimonianza di suor Monique Amegnaglo (AFO)

La virtù in pratica:L’école alternativesegno di speranzaper i più poveriL’école alternative, con sede nella par-rocchia Sant’ Antonio da Padova, nelquartiere Zogbo di Cotonou (Benin),appartiene all’ispettoria AFO. Questa èuna delle riposte più adeguate ai biso-gni educativi di adolescenti e giovaniche non hanno avuto, a suo tempo, lapossibilità di frequentare la scuola.Questa proposta si distingue dalla sem-plice alfabetizzazione.La scuola FMA è nata nel 2004. La comu-nità, costatando nel quartiere il grandenumero di preadolescenti, adolescentie giovani descolarizzati, si è sentita in-terpellata a far fronte a questa situa-zione. Tutto è cominciato con unaclasse di venticinque alunni nei localidella parrocchia.Nel 2007 la compagnia telefonica inter-nazionale MTN ha finanziato la costru-zione dell’edifico scolastico perché gra-datamente gli allievi che frequentavanola scuola erano sempre più numerosi.Attualmente ci sono sei gruppi divisi intre livelli che si alternano nel corso dellagiornata: tre al mattino e tre al pomerig-gio. Le classi non superano mai le 25unità. L’età dei destinatari va da 11 a 18anni. La frequenza è di 4 ore al giorno,o al mattino o al pomeriggio, perchémolti ragazzi/e devono lavorare o sonoin apprendistato. L’organizzazione dellascuola alternativa tiene conto della di-sponibilità di tempo degli adolescenti,

dei giovani e collabora con i datori di lavoroo con i genitori. Questi accordi con gliadulti di riferimento sono indispensabili sesi vuole assicurare la continuità della fre-quenza. Nella scuola si seguono programmidella scuola accelerata o alternativa chesono stati preparati da un gruppo di ispet-tori del Ministero dell’Istruzione sulla basedi quelli normali, ma ridotti all’essenziale.Lo Stato infatti sta cercando di promuovereil più possibile questo tipo di scuola. I funzionari statali si sono dimostrati moltointeressati alla nostra esperienza e nei nu-merosi seminari a cui siamo state invitate apartecipare e a condividere il nostro la-voro educativo, Mr Paul Bohissou, diret-tore della scuola alternativa FMA, è statomolto apprezzato, così come i nostri pro-grammi che sono ora sperimentati a livellonazionale. I risultati in questi anni sonostati sempre buoni, normalmente secondola media nazionale. Nel 2011-2012, la mediaera del 78% e noi siamo arrivati al 92%. La scuola è una vera sorgente di speranzaper le giovani generazioni del quartiere.Essa ha datonuovi i orizzonti ai giovani e alle famiglie.Ragazze e ragazzi si rendono conto delleloro capacità così i datori di lavoro, i geni-tori, i vicini. Grazie alla scuola si costata unreale cambiamento a livello di pensiero,di comportamenti, la vita è cambiata. La riuscita della scuola alternativa dimo-stra che “in ogni giovane c’è un punto ac-cessibile al bene”. Dunque ogni personaporta in sé il germe della speranza. Tuttiabbiamo la responsabilità di essere occa-sione favorevole per la pratica di questavirtù teologale. Questo richiede atten-zione a noi stesse per non “lasciarci ru-bare la speranza” e per dare ragione dellasperanza con creatività. La vera sorgenteda cui riceviamo questa virtù è Gesù.

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tende oggi sempre più ad indebolirsi. Sipotrebbe far strada la convinzione che unabuona pastorale giovanile e vocazionalepossa essere fatta dall’ispettoria o dalla suaéquipe vocazionale, anche senza il cam-mino di base, soprattutto senza il camminoin gruppo promosso da una concreta co-munità territorialmente collocata. Gli edu-catori non sempre riescono ad essere peri giovani quella presenza che vibra per ciòche vive e si va alla ricerca di strumenti,tecniche affidando sempre a qualcosa chesta fuori di noi il messaggio da dare.«Per Papa Francesco non c’è un messaggioe un mezzo. Ma c’è un messaggio che pla-sma e modella la forma nella quale siesprime. La prima forma è il suo stessocorpo. Papa Francesco gestisce la propriacorporeità in maniera naturalmente sbilan-ciata sull’interlocutore. Non ha una compo-stezza rigida, ma è una flessibilità che lospinge ora ad assumere una profonda con-centrazione assorta, come avviene quandocelebra la messa, ad esempio; ora uno slan-cio nel quale sembra che perda persino l’e-quilibrio. La statua più famosa di sant’Igna-zio che è a Roma nella Chiesa del Gesù, lo faapparire come se fosse una fiamma. Ecco,Papa Francesco gestisce la sua corporeitàcosì, in maniera plastica, assumendo la po-stura che il messaggio che vuole comuni-care esige. Si trasforma egli stesso in “mes-saggio”. Se questo vale per il suo corpo,questo vale anche per la sua voce e per lacomunicazione epistolare che è a lui moltocara» (A. Spadaro).

L’animazione vocazionaleper un discernimentoPalma Lionetti

Di eventi si vive, ma si può anche morire nelsenso che vivere con i fari puntati costante-mente sugli eventi rischia di non farci vedereoltre, per cui tutto quello che al di là di quelfascio di luce rimane nel buio e cioè i voltidei giovani, il loro vissuto umano e di fede.Si può cadere nel rischio di passare da unconvegno all’altro, da un evento all’altro, manella “terra di mezzo” della quotidianità igiovani siano lasciati soli. Capita che non cisia più tempo per fare gruppo, per stare in-sieme, per ritrovarsi, per approfondire untema, per fare un ritiro insieme, per pro-grammare e gestire un campo-scuola. È im-portante giocare questa partita tra “straordi-nario vs ordinario”.Possiamo pure organizzare giornate fantasti-che “Vieni e Vedi”, le camminate, i pellegri-naggi, i meeting, ma l’efficacia di queste si-tuazioni intenzionalmente vocazionali sigioca quando in un giorno qualunque, in unmomento qualunque con lo stesso sorrisoda “evento eccezionale” invitiamo a pranzo,a cena, a pregare i ragazzi o, meglio, quandosono loro stessi che ce lo chiedono e tro-vano in noi la prontezza dell’amore che ac-coglie, senza aspettare troppo, altrimenti iragazzi sono già andati via e non ritorne-ranno più a chiederlo.La pastorale giovanile e, nello specificoquella vocazionale, non può essere identi-ficata dalla comunità ecclesiale o religiosain eventi, in appuntamenti, preferibilmentedi massa. È invece da tenere in considera-zione maggiormente il legame di questieventi tra loro e la vita quotidiana che

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Ecco perché di Francesco continua a stu-pirci l’eccezionalità di questi “gesti normali”.Qui non c’è alcuna strategia comunicativa:c’è solamente una volontà di essere sestesso e di essere pastore come sempre èstato. «Ricordiamo quel che disse in una in-tervista in Brasile: Se vai a vedere qualcunoa cui vuoi tanto bene, amici, con voglia di co-municare, vai a visitarli dentro una cassa divetro? Non potevo, disse allora il Papa, ve-nire a vedere questo popolo, che ha uncuore così grande, dietro una cassa di vetro.Per Papa Francesco la Chiesa è la “santa ma-dre Chiesa”: è madre, e – disse ancora Ber-goglio – non esiste nessuna mamma “percorrispondenza”. La mamma dà affetto,tocca, bacia, ama… Il linguaggio di PapaFrancesco non è speculativo, ma missiona-rio, proferito non per essere “studiato” maper essere “ascoltato”, raggiungendo subitochiunque lo ascolti in modo che reagisca»(A. Spadaro).Forse la nostra pastorale giovanile e vocazio-nale ha bisogno di “un corpo” oltre che di“un’anima”. Per cui, oggi più che mai, sitratta di dare “carne” alle nostre “carte” pa-storali, pensando che il primo e fondamen-tale mezzo di comunicazione pastorale è,non solo la relazione personale, ma il nostrocorpo. La persona del comunicatore pasto-rale riveste un ruolo fondamentale nelmodo in cui si presenta e viene percepitocome persona. Josef Goldbrunner, psico-logo e professore di teologia pastorale,scrisse a riguardo già nel 1971 mettendo inevidenza cinque criteri, dimensioni o livellidi comunicazione pastoralei: La dimensione emotiva, ossia, la consapevo-lezza della propria disposizione emotiva e diquale impressione suscitiamo nelle per-sone. Come ci percepiscono gli altri e qualiemozioni suscitiamo in loro?La disposizione intellettuale fa riferimentoalle capacità intellettuali e al loro impiego daparte del comunicatore pastorale e di coloro

che gli sono affidati. Le idee, la ragione dasole non bastano a risvegliare la fede, masono pur sempre una via per condurre acredere. La dimensione archetipica e cioè ci sonodelle reazioni che spesso frappongono unostacolo a una comunicazione totale. Ar-chetipi quali il padre e la madre, il fratello ela sorella, ecc..come li comunichiamo?La dimensione esistenziale si riferisce alla re-lazione profonda che esiste o che si puòsviluppare tra il comunicatore e il suo inter-locutore producendo tra l’altro i suoi effettifacilitando o meno la scelta di fede. La dimensione più propriamente spirituale,la realtà spirituale diventerà tanto più viva eradiosa nella misura in cui il comunicatore silascerà condurre dallo Spirito.E così comunicatore pastorale coincideràcon comunicatore spirituale e l’ordinariosarà la perla preziosa della straordinarietà.

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Soprattutto il 24 luglio è stata una giornata im-portante per il MGS quando nel Collegio Sa-lesiano Santa Rosa in Niterói-RJ si è celebrato,nella mattinata, il Forum mondiale e nel po-meriggio l’Incontro mondiale del MGS.

Quattro punti programmatici

Il Forum ha visto la partecipazione di 34 de-legazioni nazionali: oltre 160 giovani, Sale-siani e Figlie di Maria Ausiliatrice che hannoapprofondito la dimensione della missio-narietà nella Spiritualità Giovanile Salesiana.Nell’accogliere e salutare i partecipanti, idue Delegati per la Pastorale Giovanile,don Fabio Attard e suor Maria del CarmenCanales, hanno auspicato che i frutti del la-voro, come le precedenti edizioni del Fo-rum, possano avere una grande impor-tanza per i livelli nazionali e ispettoriali.Quale sia il senso del servizio che spessodiventa potere da parte di chi lo esercita,

Un’estate di giovani in movimentoLa Redazione

Gli eventi vissuti da milioni di giovani du-rante la Giornata Mondiale della Gioventù(GMG) di Rio de Janeiro, dal 23 al 28 luglio2013, sono stati ricchi di significato per chiha partecipato e per chi ha seguito a di-stanza. Tutti i discorsi di papa Francesco, isuoi inviti, le parole dette con forza ed en-tusiasmo hanno riempito il cuore di unaChiesa che cerca strade nuove e nuovocoraggio per continuare la sua opera diEvangelizzazione. L’entusiasmo dei giovani, la loro voglia diincontrarsi con coetanei dei diversi conti-nenti, i loro sorrisi, il loro sapersi adattarealle situazioni, agli imprevisti, il loro desi-derio di iniziare ad essere protagonisti,hanno restituito alla Chiesa vigore, forza,coraggio. I giovani del Movimento Giova-nile Salesiano (MGS), sono stati protagoni-sti, insieme a tutti gli altri giovani, delgrande evento della GMG di Rio.

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come fare del volontariato una forma ditrasformazione sociale, come far incon-trare i giovani con Gesù in una società chetende a diventare sempre più laicista ecome la Famiglia Salesiana possa assumereil MGS e che questo diventi più incisivonella realtà sociale, sono stati i temi delledomande poste al termine della mattinatada alcuni giovani al Rettor Maggiore e allaMadre Generale.Nell’omelia, durante la Celebrazione Euca-ristica, il Rettor Maggiore, commentando ilVangelo delle nozze di Cana, ha offerto 4punti programmatici per i giovani delMGS, tre ispirati a Maria e uno ai discepoli:essere attenti e presenti, non spettatori ecogliere i bisogni degli altri; fare riferi-mento a Gesù; “fare quello che lui diceperché è un punto fisso che dà sicurezza esperanza; e, infine, diventare suoi credenti.Il Forum si è prolungato anche durante lafesta che è stata organizzata sull’idea di ungrande oratorio con varie attività: in 4tende alcuni giovani che avevano presoparte al lavoro del mattino hanno condi-viso in diverse lingue – francese, porto-ghese, inglese e spagnolo – l’esperienzadel Forum e il messaggio del Rettore Mag-giore e della Madre.Nonostante una pioggia lenta e costante,non sono venute meno le attività program-mate come, danze e canti tipici delle varieculture rappresentate e, in serata, unacommedia musicale su Don Bosco.In serata nella grande palestra coperta siè svolta una veglia di preghiera che, comea Madrid nel 2011, ha visto l’adorazionedella Croce, l’accoglienza della Parola, einfine un momento di silenzio in adora-zione eucaristica.La giornata salesiana della GMG di Rio de Ja-neiro si è conclusa con la duplice buona-notte di Madre Yvonne Reungoat e del Ret-tor Maggiore. Ambedue hanno invitato i gio-vani a guardare a Gesù. Madre Yvonne sug-

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gerendo gli atteggiamenti dell’ascolto, dellagioia e della consapevolezza di essere unmovimento mondiale; Don Chávez quelli diassumere la croce, ricordando che avviandol’esperienza delle GMG Giovanni Paolo II laaffidò ai giovani, e della disponibilità ad es-sere giovani missionari a favore dei giovanipiù bisognosi e poveri materialmente, moral-mente, socialmente e culturalmente.

Condivisione diretta

Il Forum ha voluto rafforzare la dimen-sione ecclesiale, carismatica e sociale delcammino del MGS, attraverso una condi-visione diretta tra i giovani chiamati, an-che loro, a trasmettere ciò che hannovissuto ai loro compagni. Per i delegati delle diverse delegazioni, l’e-sperienza del Forum e della festa MGS nonva archiviata, ma va prolungata negli am-bienti locali perché si progettino cammininuovi e concreti nella pluralità dei gruppilocali dei quali si alimenta il MGS. L’esperienza dei diversi gruppi dei diversiPaesi ha facilitato la comunicazione dellariflessione che già si era realizzata nei pro-pri contesti: essere missionari. Una dimen-sione della Spiritualità Giovanile Salesiana. Madre Yvonne, Reungoat, presente al Fo-rum di Niterói, ha così commentato: «Igiovani non possono tenere questo mes-saggio dell’amore di Dio solo per sé, de-vono comunicarlo agli altri, non solo conle parole, ma anche con gesti concreti. Igiovani del MGS sono chiamati a esseresimboli di speranza per altri giovani, per-ché è quello che ha fatto Gesù. I giovani del MGS hanno mostrato la lorogrande gioia nel sentirsi parte di un movi-mento mondiale. Molti di loro hannoespresso il desiderio di diventare vera-mente missionari tra i loro coetanei, cer-cando il modo di condividere in manieraefficace la bellezza e la gioia di avere unrapporto personale con Gesù.

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partecipo alle loro gioie o ai do-lori che vivono e che portano nel

cuore. Penso che non sia importante co-me viviamo da credenti, come ci compor-tiamo e come ci amiamo in Gesù Cristo.

Cosa il messaggio di Gesù può dire ai non credenti?

Don Peter: Che non sono esclusi dall’amo-re del Padre. Il messaggio di Cristo è la spe-ranza che considera i non credenti non co-me esclusi dalla salvezza, ma cercatori di ve-rità e finché sono tali rimangono nei pianidi salvezza di Cristo. Questo magari non riu-sciremmo mai a dirlo ai non credenti madobbiamo ricordarcelo per non giudicaree condannare . Se vivo la mia fede e prati-co l’amore universale e gratuito, la mia te-stimonianza diventa il messaggio.

Suor Teresa: Il messaggio di Cristo dice ainon credenti che sono figli amati da Dio,che Lui è il loro Padre buono e misericor-dioso che sta sempre vicino e abita nei lo-ro cuori. Gesù dice a loro di vivere con gioia,amore e speranza, di non scoraggiarsinella lotta contro il maligno, di sforzarsi acostruire rapporti buoni e veri con gli altri,di avere il coraggio di camminare con fidu-cia verso il Paradiso dove il Creatore li at-tende con le braccia aperte.

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Intervista a Don Peter Zago e suor Teresa SzewcDebbie Ponsaran

Don Peter Zago, nato a Padova,è missionario salesiano dal 1969:India, Filippine, Papua NuovaGuinea, Indonesia, e dal 2001,Pakistan. Le fma non sono presen-ti in Pakistan e Don Peter manda le vo-cazioni pakistane nelle Filippine dove attual-mente ci sono una novizia e due aspiranti.

Suor Teresa Szwec, polacca, è la direttricedella comunità FMA di Mosca, Russia do-ve la religione ufficiale è quella ortodossa.Durante il comunismo, buona parte dellapopolazione è diventata atea.

Come riesci ad entrare in dialogo con credenti di altre religioni?

Don Peter: Per noi Cristiani il dialogo è ba-sato non sul nostro dire, ma sul nostro es-sere uomini con quell’amore di Cristo cheè universale e gratuito. È un dialogo di vita,di azione, di comprensione umana, di par-tecipazione ai dolori e alle gioie degli uomi-ni senza distinzione di fede o di teologia. Per noi salesiani in Pakistan, è motivo digrande gioia spirituale, offrire aiuto a mi-gliaia di sorelle e fratelli Mussulmani vitti-me dei terremoti ed alluvioni! È nel dialo-go di vita che noi Cristiani possiamo raggiun-gere quell’amore che ci fa simili al Padre.

Suor Teresa: Entro con il sorriso, l’accoglien-za e il semplice dialogo. La gente è apertae assetata delle cose vere e buone. Cercal’autenticità nei rapporti e desidera chequalcuno li ascolti senza giudizio. Incontroquesta gente nella cattedrale dove lavoro e

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Informazioninotizie e novi

dal mondodei media

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nella sua comunicazione punta diretta-mente alla vita di chi ha di fronte, ascolta erisponde, parla e tace, tocca e guarisce.È nell’unità dello sguardo e delle paroleche la comunicazione si genera e ri-gene-ra: «Grazie a questa unione con l’ascolto,il vedere diventa sequela di Cristo, e la fe-de appare come un cammino dello sguar-do, in cui gli occhi si abituano a vedere inprofondità» (LF 30). Oggi rischiamo di consumare notizie e di

Comunicazione e nuova evangelizzazioneMaria Antonia Chinello

«Dialogare con l’uomo di oggi per comuni-care la bellezza della Chiesa». Papa Francesco lo chiede ai membri dellaPlenaria del Pontificio Consiglio per le Co-municazioni sociali, che incontra nelloscorso mese di settembre. Può essere riassunta qui l’urgenza di sem-pre: comunicare la Buona Notizia che attra-versa i millenni di storia della Chiesa. A par-tire da quell’invito di Gesù: «Andate». Un verbo di movimento come è la comu-nicazione che, in un tempo come il nostrodi moltiplicazione di stimoli, canali, dispo-sitivi corre il rischio di essere “silenziata”dalla sovrabbondanza di informazioni. Il tema di questo ultimo numero dell’anna-ta, è strettamente in relazione con il DossierTra Parola e parole (DMA 5-6): Quali linguag-gi, narrazioni, espressioni, relazioni posso-no attivarsi per illuminare l’uomo e la don-na contemporanei con la “luce della fede”?

La narrazione come nuova generazione

L’era digitale ci costringe a mutare il model-lo comunicativo: da quello (cosiddetto)dell’ “uno-a-molti” dei mass media a quel-lo dell’ “uno-a-uno” e “molti-a-molti” deipersonal media. Il processo comunicativoè ripensato in termini di interazione, con-divisione, partecipazione, più che trasmis-sione. A ben guardare, è il modello che per-corre tutta la storia della salvezza, che nar-ra la comunicazione di un Dio-vicino all’uo-mo e a tutta la vita dell’uomo. Dio entra indialogo con lui. Un “a tu per tu” che, nel Ver-bo fatto carne, raggiunge il vertice: Gesù

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essere incapaci di raccontare. Secondo Ri-coeur, la narrazione è una «palestra eticache ci costringe a discernere tra cosa è im-portante e cosa no, a mettere in ordine gliavvenimenti secondo un filo di collega-mento capace di interpretarli, a prendereposizione su cosa è bene e cosa è male»e Batchin sostiene che «è sempre “polifo-nica”, perché intreccia le voci e le vicen-de di tanti, e anche “policronica” perchéabbraccia presente, passato e futuro, bio-grafie personali e storia collettiva». Pompili afferma che narrare è «un mododi tramandare ciò che si è ricevuto, perchépossa essere trasmesso a sua volta. Un mo-do concreto, plastico, in cui ciò che ha va-lore universale diventa comprensibile at-traverso immagini legate alla vita. Pensia-mo al valore delle parabole nel Vangelo,racconti-immagini capaci di collegare vi-ta quotidiana e vita eterna, semplicità egrandezza, materialità e spirito».Forse sarà il caso di chiederci se sappiamoancora raccontare, narrare il vissuto per-sonale, della nostra comunità, dell’Istitu-to, della Chiesa perché ancora ci sia chi di-ce «Abbiamo trovato… Vieni e vedi!». O forse la fatica a raccontare e l’aver scel-to a volte stili comunicativi rigidi, forma-li, astratti ci hanno allontanato dalla con-cretezza, dal dolore, dalle ferite... hannofatto sì che la vita religiosa, il cristianesi-mo perdesse «evidenza sociale»? Papa Francesco, in Brasile, riflettendo sul-la fuga dei cristiani dalla Chiesa cattolica,ha invitato i vescovi a chiedersi «per-ché?». «Forse la Chiesa è apparsa troppodebole, forse troppo lontana dai loro bi-sogni, forse troppo povera per risponde-re alle loro inquietudini, forse troppofredda nei loro confronti, forse troppo au-toreferenziale, forse prigioniera dei pro-pri rigidi linguaggi, forse il mondo sembraaver reso la Chiesa un relitto del passato,insufficiente per le nuove domande; for-

se la Chiesa aveva risposte per l’infanziadell’uomo ma non per la sua età adulta».

Mettersi in cammino e fare cammino con tutti

La Rete è scenario di azione sociale, «luo-go del dis-velamento di bisogni antichiche l’umanità non cessa di ricercare». Il bisogno di relazione che lo attraversa, eche traspare tra le righe dei post, negli smse nella messaggistica di WhatsApp, può es-sere occasione per riprendere fili di contat-to, spazi di narrazione perché raccontare ètradurre l’esperienza per farne dono agli al-tri, mettendosi in cammino. Insieme agli uo-mini e alle donne con il loro stesso ritmo,con il loro stesso passo.«Serve una Chiesa - precisa ancora PapaFrancesco - che non abbia paura di entra-re nella loro notte. Serve una Chiesa capa-ce di incontrarli nella loro strada. Serve unaChiesa in grado di inserirsi nella loro con-versazione. Serve una Chiesa che sappiadialogare con quei discepoli, i quali, scap-pando da Gerusalemme, vagano senza me-ta, da soli, con il proprio disincanto, con ladelusione di un Cristianesimo ritenuto or-mai terreno sterile, infecondo, incapace digenerare senso. […] Serve una Chiesa chesi renda conto di come le ragioni per le qua-li c’è gente che si allontana contengono giàin se stesse anche le ragioni per un possi-bile ritorno, ma è necessario saper legge-re il tutto con coraggio».Sta a noi decidere se rendere tutto questopossibile, far sì che la cultura attuale sia di-mora del Vangelo di Gesù. Come? “Si fa X dire” 2014 cercherà di offri-re alcuni spunti di riflessione attorno ad al-cuni verbi che dicono il comunicare e l’e-vangelizzare: connettere, esplorare, speri-mentare, scambiare, ospitare, partecipare.Arrivederci al prossimo numero!

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dare in faccia la nuova situazione. Posso di-re che la mia guarigione ha avuto unasvolta positiva da allora non tanto nel sen-so fisico ma a livello emotivo-spirituale. Mi sono convinta di non lasciarmi definiredalla mia situazione di disabilità fisica.

Che cosa fai attualmente?

Winnie: Dal punto di vista accademico, stocompletando la tesi di dottorato. Al tempo dell’incidente, mi mancavano al-cuni esami di baccilierato da finire. A causa della paralisi, avevo perso l’uso del-le mani e non potevo più scrivere, ma l’u-niversità mi ha concesso la possibilità di fa-re esami oralmente. Dopo otto anni, ho potuto recuperare l’u-so delle mie mani e sono tornata all’univer-sità completando la mia seconda laurea ineducazione nel 2008. Ora mi sono iscritta aldottorato in Psicologia dell’Educazione e stofacendo la tesi.Dal punto di vista del lavoro, insegno a tem-po parziale in una scuola secondaria e, adoccasione, faccio la consulente nel colleg-gio dei Gesuiti e nel centro di cura dei Ca-milliani. Inoltre, faccio volontariato nella ca-sa di cura per i malati terminalli e nell’ospe-dale di Nairobi per i traumi della colonnavertebrale di cui sono vittima anch’io.

Qual è secondo te la situazione di una donna diversamente abile?

Winnie: La vita di una donna diversamenteabile è contrasegnata da un doppio svantag-gio. Sei al margine perchè sei donna e più

Fede e resilienza: esiste un legame?Bernadette Sangma

«Ero una giovane universitaria e guardavoalla vita con molte aspettative, sognando ingrande e progettando cose belle per ilmio futuro, ma tutto è andato in frantumicon un incidente stradale da cui apparen-temente ero uscita senza nessuna feritaesterna. Pochi giorni dopo, all’improvviso,sono rimasta immobile, paralizzata dalla gol-la in giù. Ero devastata». Così descrive Winnie Mugure la sua reazio-ne iniziale alle conseguenze dell’inciden-te di quattordici anni fà. Da allora è costretta su una sedia a rotella.Ma Winnie è una donna vincente. L’ho incontrata all’Istituto per la Pastoralegiovanile - Tangaza (Nairobi). Nella mia in-terazione con lei, ho conosciuta una don-na di fede e di forte resilienza.

Come è stato il ricupero dall’incidentestradale?

Winnie: È stato un processo lungo e arduo.Inizialmente, mi sembrava di essere dentroun tunnel buio e nero con il mio corpo sfa-sciato. Più volte ho chiesto al Signore qua-le fosse il senso di tutto quello che mi sta-va succedendo. Mi sembrava di ricevere male in cambio delbene che avevo sempre tentato di fare. Al colleggio universitario, ero la catechistadei miei compagni e li ho preparati per i sa-cramenti di iniziazione cristiana. A poco a poco ho iniziato a riprendermi ementre i pezzi della mia vita si ricompone-vano sentivo come un sussurro: ‘Winnie,tutto è grazia!’. Questo mi ha aiutato a guar-

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ancora perchè porti un handicap. Quindi lasopravvivenza è dura per la doppia discri-minazione. Questo si sperimenta soprattut-to nella ricerca del lavoro. Si entusiasmano del mio curriculum vitae,ma quando mi vedono di persona, la disa-bilità crea quasi subito distanza e poi il ri-fiuto ,anche se sono qualificata. Mi è anche successo di aver vinto il concor-so per un posto di lavoro in Cina. Ero pronta per la partenza, ma mi hannofermata il giorno prima. Oggi si parla del cosiddetto “affirmative ac-tion” ossia “discriminazione positiva” per igruppi socio-politici svataggiati. Lo scopo di queste politiche è di tutelare glieffetti di qualche svantaggio che la perso-na porta, ma il riscontro con la realtà quo-tidiana è tutt’altra cosa. Vieni consideratauna cittadina di seconda classe. Bisogna avere allora una grande forza per non arren-dersi e spingersi avanti con audacia.

Qual’è il segreto della resilienza che dimostri?

Winnie:All’inizio di questa avventura, mi so-no trovata gridando al Signore doman-dandogli del ‘perchè’ di questa vicenda. Gli chiedevo che senso avesse la mia soffe-renza su quel letto di ospedale. Mentre ero in questo stato mi sono ricor-data di un’esperienza che avevo fatto conun gruppo di studenti universitari. Li avevo accompagnati ad uno stabilimen-to di produzione di coca-cola. Un ufficiale che ci ha fatto da guida ha spie-gato come viene prodotta questa bevanda.Ci ha detto che la si prepara con l’acqua delrubinetto facendola passare per un proces-so di purificazione. Ha detto che il processo garantisce una ta-le purificazione che si potrebbe prendereanche l’acqua sporca da un canale per ar-rivare allo stesso prodotto. Mentre restavo immobile sul letto, mi è tor-nata in mente questa spiegazione. Come l’acqua nella preparazione della co-ca cola, sono in un processo di purificazio-ne intensa nella fabbrica di Dio per diven-tare un capolavoro di marca divina. È Lui l’artista supremo della mia vita! La parola guida che mi sostiene è dal librodi Geremia: “Poiché io so i pensieri che me-dito per voi, dice l’Eterno: pensieri di pacee non di male, per darvi un avvenire e unasperanza” (29, 11). L’esperienza dell’handicap che porto mi hareso molto sensibile alle sofferenze dellealtre persone. Oggi, faccio la consulente psi-cologica a quelle persone che come me so-no vittime dei traumi alla colonna vertebra-le. Mi rendo conto che posso parlare a lo-ro con molta credibilità perchè sono una diloro. Questo mi aiuta a facilitare anche unloro riavvicinarsi a Dio.

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controllore di vo-lo, una donna che,sconvolta dalla vi-

cenda, comincerà a lavorare all’Unicef e si tra-sferirà in Guinea per impedire che altri ragazziafricani potessero fare la stessa fine. La loro vicenda si incrocia con la seconda sto-ria che racconta di un altro viaggio, questa vol-ta a ritroso: dall’Europa all’Africa. É percorso 10 anni dopo da altri due adolescen-ti ed un pallone, Thabo e Rocco, uno africanoe l’altro di Bari, italiano. Sono vittime del mercato di bambini calciato-ri da cui cercano di fuggire: un vero e propriosfruttamento in cui i ragazzi vengono spesso al-lontanati dalle famiglie, “usati” e abbandonatiquando non servono più. Amici per la pelle, giocando con il pallone lo-ro unico compagno di viaggio, attraversano apiedi metà continente africano percorrendo al-l’inverso uno dei sentieri cosiddetti della spe-ranza. Li chiamano anche “i sentieri delle scar-pe”: sono 7 percorsi che attraversano il Saha-ra disseminati di sandali e resti, tracciati in an-ni da migliaia di uomini, donne, bambini, in fu-ga dalle carestie e dalle guerre. Anche questo interminabile viaggio si conclu-de giungendo nel modo più insperato allameta: N’Dola, piccolo villaggio dell’Africa equa-toriale e paese natale di Thabo, dove nel cam-po di calcio dedicato a Yaguine e Fodè li aspet-ta un mister speciale. Tutti la chiamano “pasta e fagioli”: è Chiara, lavolontaria dell’Unicef trasferita in Africa, che sioccuperà del loro reinserimento. “Perché questo film?”, si chiede nel modo piùesplicito a Bianchini, regista e ambasciatore Uni-cef, nell’intervista d’ufficio. Risponde: «Loro eccellenze i signori membri eresponsabili dell’Europa. Abbiamo l’onore e il

Il SOLE DENTRO di Paolo Bianchini, Italia 2012

Mariolina Perentaler

«Il sole dentro arriva a scuola. Scrive nel modo piùsoddisfatto Agiscuola. La pellicola è stata ricono-sciuta come film di interesse culturale e film perragazzi dal Ministero per i Beni e le Attività Cul-turali ed ha appunto ottenuto il patrocinio dell’A-giscuola con la seguente motivazione: «La sempli-cità narrativa, la totale assenza di immagini vio-lente, o che possano turbare la sensibilità dei piùpiccoli, legata alla forza e all’universalità degli ar-gomenti trattati e degli spunti di riflessione, ren-dono il film adatto per tutti gli ordini scolastici etutte le fasce d’età». Applauditissimo alla 42a Edizione del GiffoniFilm Festival, si è aggiudicato il 2°premio come Mi-glior film e la conferma che una delle sue carat-teristiche sta nella capacità di veicolare messag-gi e valori fondamentali, divertendo ed interessan-do i ragazzi. «Secondo me, questo è un film checi insegna la fratellanza e il rispetto per gli altri,l’integrazione e la semplicità, i valori autentici del-l’amicizia – commenta in Facebook un dodicen-ne. La storia dei due protagonisti Yaguine e Fodé,è realmente successa il 2 agosto 1999!”

Eroi sconosciuti “Il sole dentro... il sole nel cuore”, sintetizzafull2000 il 1°dic. 2012. Il film racconta due storie:una vera e l’altra costruita, ma tratta da vicendereali. La prima è quella del lungo viaggio di Ya-guine e Fodè, due adolescenti guineani che, al-la vigilia del nuovo millennio, hanno scritto a no-me di tutti i bambini e i ragazzi africani una let-tera indirizzata “Alle loro Eccellenze i membri eresponsabili dell’Europa“. Si nascondono nel carrello di un aereo per rag-giungere Bruxelles e sollecitare i politici a occu-parsi dell’Africa, loro terra madre. Ma lì, ignaridi quanto potesse accadere, troveranno la mor-te. A rintracciare i loro corpi assiderati sarà un

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piacere e la grande fiducia di scrivervi questalettera per parlarvi del nostro viaggio e della sof-ferenza di noi bambini e giovani dell’Africa…»hanno scritto i coraggiosi ragazzi morti conge-lati nel vano del carrello dell’aereo. Di fronte a questi fatti si resta indignati e, in ge-nere, con un grande senso di impotenza. Io hodeciso di impegnarmi a parlarne. Quindi, insieme a mia moglie, ci siamo messia lavorare per trarne questa pellicola che abbia-mo prodotto noi stessi. Lo scopo di questo film non si esaurisce con lavisione. Quando si riaccendono le luci in sala

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il film comincia a vivere. (…) Abbiamo organiz-zato una proiezione a Roma alla Camera dei De-putati, scritto al Presidente dell’Unione Europeainformandolo del film, avviato un’iniziativa as-sieme agli studenti del liceo Majorana di Gui-donia, che hanno tradotto la lettera in tutte lelingue del mondo e l’hanno messa in rete (…)Non può immaginare che cosa ne è nato. Si ècreato un movimento spontaneo che noi voglia-mo continui ben oltre il film e produca i suoifrutti. Produca ‘Futuro’, non soltanto per i gio-vani dell’Africa, ma del mondo intero (…)».

[email protected]

L’IDEA DEL FILM

Raccontare, divulgare, attraverso il potere delloschermo due momenti di uno stesso, stringenteproblema: il destino dell’infanzia indigente e ab-bandonata.

Anche Rocco è un altro bambino del sud delmondo, non soltanto Thabo, Yaguine, Fodè etutti i ragazzi africani che rappresentano. Proviene dall’estrema periferia di Bari dove hail padre in carcere e uno zio che l’ha vendutoad una squadra del Nord. Sono storie vere, at-traverso cui il film affronta il problema dellatratta dei baby calciatori. Il calcio è uno dei dog-mi della nostra società che muove interessieconomici di proporzioni colossali. È inevita-bile che intorno a questo ‘mondo dorato’ simuovano anche realtà illegali.I dati forniti dalla Federazione Gioco Calcio so-no inquietanti. Definiscono questi personaggi gli scafisti delcalcio, gente che pesca nell’enorme bacino delsud del mondo che va dall’America Latina al-l’Africa, per individuare ragazzini che mostri-no qualche dote per il calcio e - con il mirag-gio del guadagno - convincono le famiglie a far-seli consegnare. La promessa è di portarli in qualche scuola di ungrande club italiano, francese o spagnolo, da do-ve uscirebbero in poco tempo come campioni.Molto spesso invece, si tratta di fantomatichescuole da cui, se i ragazzi non sono fenomeni,vengono abbandonati dove capita.

IL SOGNO DEL FILM

“Che i giovani imparino a pretendere dai poten-ti del mondo il diritto alla vita ed alla scuola, ol-tretutto sancito dalle carte dell’Onu, Unesco e Uni-cef”, dice Bianchini.

“Il Sole Dentro è il film più richiesto dallescuole. Continuerò a produrre film per ragaz-zi, questa la mia massima aspirazione”, continuail regista con orgoglio e convinzione al Fiuggi Fa-mily Festival. “La storia di Yaguine e di Fodè, no-nostante la tragica conclusione, è stata ignora-ta dai grandi del mondo che hanno lasciato sen-za risposta la loro lettera. Noi abbiamo deside-rato rendergli testimonianza. (…) Il messaggioultimo che intendiamo comunicare è il rispet-to per la vita umana e per l’osservanza dei dirit-ti fondamentali, l’importanza dell’azione per unmondo più giusto”. D’altronde è una storia di amicizia e di speran-za dal messaggio fortemente ottimista. É stupe-facente il numero delle lettere indirizzate al Par-lamento Europeo dai giovani di tutta Italia ispi-rati dal film. L’opera ha dato inizio ad una fon-dazione per l’Africa. Tutti i set o quasi sono ori-ginali, quindi i creatori del film si sono sensibi-lizzati ai problemi dell’ Africa e non. Il copioneha molta vivacità e poggia su slanci di autenti-ca solidarietà, non soltanto all’interno delle duestorie interpretate dai bravissimi-avvincenti ra-gazzi protagonisti: alcuni attori si sono presta-ti gratuitamente e con vera professionalità. Aggiungiamoci!

PER FAR PENSARE

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Brevi saltuari brani di diario della signora lefanno da contrappunto, quasi in un som-messo narrare a due voci. Quando nasce Ada, ci sono già, nella casasignorile, due bambini: il signorino Phil, unragazzetto affettuoso e vivacissimo che lesarà presto amico e confidente, e miss Ro-semary, scontrosa e sprezzante: una spinaper la povera mamma che non riuscirà maia stimolare nella figlia alcun interesse nonbanale, nemmeno per la musica che lei in-vece coltiva con tanta passione. Qual è la sua sorpresa il giorno in cui si ac-corge che la piccola Ada, la quale ama guar-dare miss Rose quando questa siede svo-gliatamente al piano, allunga il dito a cor-reggere una nota sbagliata! In realtà avevascoperto subito nella bimba una sensibilitàe un’intelligenza non comuni; non poten-do mandarla a scuola (il marito non è d’ac-cordo), è lei allora che le insegna a legge-re e scrivere e poi le apre l’incanto della mu-sica. La musica avrà una gran parte nella vi-ta di Ada, l’aiuterà anche materialmente asuperare situazioni difficili, sarà la sua con-solazione e la risorsa che le permetterà divivere dignitosamente.Durante un’assenza prolungata della signo-ra, il signor Edward per ben tre volte abu-sa ignobilmente della giovanissima dome-stica. Questa non oppone resistenza, indot-ta da una sorta di passiva soggezione al pa-drone che, dopo tutto, le ha concessoospitalità e sicurezza. Fugge però con orro-re dalla casa in cui sente di aver tradito lafiducia della padrona, che ama con tenerez-

Barbara Mucht La bambina dagli occhi di cielo di Adriana Nepi

L’autrice del romanzo, benché viva attual-mente a Londra, è nata e cresciuta in Suda-frica, nipote d’immigrati irlandesi. Dichia-ra però che tutti i personaggi del romanzosono frutto di fantasia, salvo quelli storici.L’antefatto della vicenda è affidato alle po-che righe di diario della Signora CathleenHarrington, la quale dalla nativa Irlanda sitrasferisce in Sudafrica per sposare l’uomocon cui è fidanzata ma che non vede, percircostanze imprecisate, da ben cinqueanni. Ama Edward, l’uomo che laggiù diven-terà suo marito, e lascia coraggiosamentela patria e i suoi cari, per affrontare un lun-go viaggio verso un mondo lontano e igno-to. Superato l’iniziale sgomento per un tra-pianto così radicale, la donna, aperta e libe-ra da pregiudizi, si trova presto a suo agioin mezzo a quella gente nuova e diversa, incui lei sa cogliere tratti di genuina umanità.Non sono state ancora emanate le leggi del-l’apartheid e, presso la casa ricca e signo-rile, la servitù è di colore. Mentre il signor Edward ama tenere le di-stanze, la signora invece familiarizza volen-tieri con Miriam, la brava domestica, saggiae laboriosa. Quando nel piccolo alloggio si-tuato in fondo al giardino per la servitù, na-scerà la figlioletta di Miriam, la chiameran-no Ada, il nome dell’amatissima sorella la-sciata in Irlanda dalla buona signora.La complessa, talora complicata vicenda nar-rativa è condotta in prima persona: è lei,Ada, l’io narrante che, fin dalla prima pagi-na del romanzo racconta le circostanze del-la sua venuta al mondo.

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za di figlia ora che la sua vera mamma èmorta. Scopre con sgomento di essere in-cinta e cerca rifugio sotto falso nome trala gente della sua razza. Più tardi, matura-ta dalla sofferenza, s’interrogherà: «perchénon avevo detto di no quella prima volta?,perché avevo creduto che il senso del do-vere fosse la mia unica scelta? Se il mio do-vere e la mia lealtà fossero stati per Dio Pa-dre come in realtà avrebbe dovuto essere,allora non sarei stata costretta a compie-re un simile sacrificio… Avrei potuto sce-gliere la volontà di Dio invece, e Lui miavrebbe ordinato di dire di no… Perché mici erano voluti tanto tempo e tanto dolo-re per imparare che avevo il diritto di di-re di no anche a nome di me stessa? An-che se dire di no avrebbe potuto significa-re perdere il lavoro, la casa».La signora, dopo vane angosciose ricerche,la incontra infine per caso, con immensa

gioia, poi scorge accanto a lei una bambi-na: è una piccola meticcia con inconfondi-bili occhi celesti. Ricorda, avvampando,l’insistenza con cui il marito aveva tentatodi distoglierla, dopo l’inspiegabile fuga diAda, dai tentativi di ritrovarla, fino a proibir-le di denunziare il fatto alla polizia. La cru-da verità non ha bisogno di altre prove.Si apre a questo punto il dramma di una si-tuazione che sembra senza sbocco, finchéuna serie di circostanze favorevoli fa sì ches’incrocino ancora le strade delle due don-ne, ma senza che esse possano più cono-scere né sicurezza né pace, anche perchési è intanto abbattuta sulla società sudafri-cana la spietata legge dell’apartheid.Sarebbe troppo lungo seguire tutte le tor-mentate vicissitudini di tanti altri personag-gi legati alla storia di Ada, spesso coinvol-ti nella rivoluzione di un popolo che lottaper la libertà.Ciò che sembra da rilevare è l’eccezionalecapacità narrativa dell’autrice, la sua imme-desimazione per così dire empatica nell’a-nima della gente africana.Il racconto ha tutta l’apparenza di un’auten-tica autobiografia: lo stesso stile del linguag-gio esprime l’evolversi di una mentalità ini-zialmente piuttosto primitiva fino al pienosviluppo di una ricchissima personalitàfemminile. L’ambientazione storica non è semplicesfondo, ma è in stretto rapporto con il com-plesso snodarsi della vicenda.La protagonista, questa forte donna africa-na che si rivelerà oltretutto una grande pia-nista, sembra voler essere la rivendicazio-ne, il riconoscimento universale del geniofemminile.Chiuso il libro, dando uno sguardo a ritro-so alla intricata vicenda, ci si accorge che èquesto il messaggio che ne scaturisce: la di-gnità della persona umana, pari in ogni la-titudine, contro qualunque barriera di raz-za, di cultura, di appartenenza sociale.

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zoni già famose e richieste le liberatorie aicantanti, ma negli ultimi anni il meccanismosi è capovolto.Il mercato dei videogiochi non ha risenti-to della crisi e anzi, grazie anche alle versio-ni per cellulare o tablet (device mobile), go-dono di una grandissima diffusione e acqui-stano di giorno in giorno sempre più quo-te di mercato. Di conseguenza adesso so-no le case discografiche con le loro popstardi maggiore successo a fornire brani inedi-ti in quanto sanno bene quanto sia reddi-tizio associare la loro immagine ad alcunititoli di videogame di tendenza.Così la musica per un videogioco riveste lastessa funzione della colonna sonora in unfilm e viene progettata per accompagnaregli eventi che si svolgono sullo schermo. Peri giochi questa interazione è maggiore inquanto devono tener conto di una variabi-le fondamentale: il giocatore.Il grande successo di videogiochi a temamusicale come Guitar Hero e Rock Band hafavorito questo cambio di rotta. Ad esem-pio la famosa cantante Katy Perry è testimo-nial e protagonista assoluta di “The Sim 3”in un’edizione speciale chiamata: Showti-me Katy Perry Collector’s Edition. Avviene anche che cantanti sconosciutidiventino famosi interpretando una canzo-ne tratta da un videogioco. Infatti Malukah, una giovane ragazza mes-sicana, fino a poche settimane fa era unaperfetta sconosciuta, ed è inaspettatamen-te diventata un fenomeno multimediale do-po aver pubblicato su YouTube una cover

Videogioco la musicaMariano Diotto

«Nulla è reale. Tutto è lecito. Requiescat in pace.» (Assassin’s Creed II)

Dal 1961 quando è stato commercializzatoil primo videogioco ne è passato di tempo.Allora si chiamava Spacewar! e venne ela-borato da sei giovani scienziati del MIT(Massachusetts Institute of Technology) diBoston; ora si chiama Grand Theft Auto Ve la sua uscita, avvenuta il 17 settembre 2013,non è passata inosservata. Ragazzi in codaper ore di fronte ai negozi, alcuni anche dalgiorno precedente, pur di avere in esclusi-va questo nuovo gioco.Quando nacquero i primi videogiochi lamusica era un elemento secondario, tantoche gli unici suoni che venivano riprodot-ti erano melodie create da sintetizzatori, ein quei tempi si pensava che fossero già ul-tramoderne.Ora invece, assieme alla grafica d’avanguar-dia, la musica è diventata protagonista deivideogame e le case discografiche firmanocontratti di esclusiva per i propri artisti purdi inserire una loro canzone in un gioco.

La musica di tendenza nei videogiochi

I videogiochi più venduti trattano solita-mente temi epici, avventurieri o polizieschicon grandi interazioni tra i personaggi e iragazzi che vi giocano. Indubbiamente la musica sottolinea i pas-saggi più significativi: un sottofondo musi-cale ad hoc enfatizza maggiormente l’azio-ne e l’avventura di un inseguimento o diuna battaglia. Da qui la necessità, da partedelle case produttrici di videogiochi, di ave-re musiche adatte per ogni momento delgioco. All’inizio venivano scelte delle can-

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di The Dragonborn Comes, brano contenu-to nella colonna sonora del celebre video-gioco fantasy The Elder Scrolls V:Skyrim, ot-tenendo in pochissimo tempo più di 4 mi-lioni di visualizzazioni.Cosa possiamo dedurre dall’influenza del-la musica sul gioco? Oppure fino a che pun-to essa può influenzare il modo in cuivengono creati i giochi?

Dalla musica giapponese a quella americana

Sicuramente la musica in questo momen-to riveste un ruolo fondamentale e avvieneun interscambio tra la notorietà del giocoe l’artista. Entrambi ne guadagnano qualco-sa come notorietà, prestigio e soldi.Koji Kondo è sicuramente il composito-re e musicista giapponese più famoso inquanto ha musicato alcuni dei più cele-bri titoli Nintendo come “The legend ofZelda” e “Super Mario”, contribuendo arendere questi giochi dei capolavori. In-

fatti ha avuto la geniale idea di fondere irumori e i gesti dei personaggi con la mu-sica di sottofondo.Dopo questa prima ondata di musica pro-veniente dal Giappone, si è passati ad undominio statunitense. Infatti Michael Giac-chino (autore delle musiche di Call ofDuty, Call of Duty: l’ora degli eroi e SecretWeapons Over Normandy) e Hans Zimmer(sue le musiche di Call of Duty: ModernWarfare 2) hanno saputo invece suddivide-re il loro lavoro con gran successo tra il ci-nema e il gaming.Questo mercato quindi ha ancora grandepossibilità di espansione e di integrazionetra il gioco e la colonna sonora che ne sot-tolinea le fasi più significanti. Certamenteil genere hip-hop è quello che sta più det-tando legge nei videogiochi, ma siccome ilpubblico cambia in velocità i propri gustimusicali, vedremo in futuro un’ulterioreevoluzione del legame tra musica e game.

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li; c’è chi, non trovando spazio e modo diesprimere una personalità che col temposi è ripiegata su di sé, si aspetta che la no-vellina, ignara, presti il fianco alle sue mi-re e le spiani la strada. Insomma, diffici-le trovare chi è disposto ad accoglierla confede e libertà di spirito!Ora, lungi da me voler difendere una ca-tegoria a tratti indifendibile (non me neabbiano le direttrici...), io mi domando:abbiamo mai considerato che ogni re-sponsabile di comunità ha un passatoburrascoso? Guardo questa povera so-rella che cerca di capire l’ambiente in cuil’hanno catapultata, si dà da fare per co-noscere le persone che si ritrova accan-to, raccoglie confidenze, preoccupa-zioni e aspettative, e penso che nellostesso tempo – poco a poco – sta cercan-do di ricomporre le macerie lasciate dal-l’uragano che l’ha investita quando le èstato chiesto di fare la direttrice!Ed allora, mi dico, non sarebbe meglioriporre le nostre speranze in Dio? Nonsarebbe più ‘religioso’ accogliere con fe-de chi è chiamato a camminare accan-to a noi, non a portarci sulle spalle? Mie carissime, sappiamo bene che la vi-ta regala tempeste e tifoni ad ognuno!Ma evitiamo, almeno noi, di far piove-re sul bagnato!!!

Parola di C.

Quando piove sul bagnato

Mie carissime amiche di rivista, con ilcambio di comunità ho ripreso – più in-tensamente che mai – la mia attività pre-ferita: guardarmi intorno! Così ho iniziato a rendermi conto del-la nuova realtà in cui ero capitata, con-centrando il mio spirito di osservazio-ne sulla presenza della nuova direttri-ce, giunta in casa due giorni dopo il mioarrivo. All’inizio non ci avevo fatto molto caso,ma col passare del tempo l’accoglienzache le è stata riservata mi ha fatto riflet-tere un po’ sul tema della fede.Purtroppo mi pare che la fede c’entritroppo poco con l’arrivo della neo-promossa al governo! Mi spiego.C’è chi, nostalgica della direttrice appe-na scaduta e delle sue scelte, guarda condiffidenza a quello che potrà fare e pro-porre l’ultima arrivata, rifugiandosi nel-la critica sotterranea o in un malcelatoboicottaggio; c’è chi, stressata dall’e-sperienza passata e desiderosa di svec-chiare l’ambiente, la accoglie a bracciaaperte, investendo sulla poverina tuttele sue speranze e scambiandola per un toc-casana universale; c’è chi, incapace di eli-minare vecchie ruggini che le rendono dif-ficoltosa una convivenza serena in co-munità, confida nella sua oculata mediazio-ne per risolvere atavici problemi relaziona-

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Nel prossimo Numero

DOSSIER: Parole e gesti: fiducia e tenerezza

FILO DI ARIANNA: Ingratitudine

SGS/CULTURE: La spiritualità salesiana:una proposta per vivere con passione

PASTORALMENTE: GMG e itinerari di educazione alla fede

UNO SGUARDO IndiaSUL MONDO: unite per una società migliore

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1953/2013dmaSESSANTESIMO

CERTE CIMENON SI SCALANO

CHE IN CORDATA

DOMINIQUE PERROT