Rivista DMA - ALLARGATE LO SGUARDO: ANNUNCIO (Luglio – Agosto 2015)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE ALLARGATE LO SGUARDO: ANNUNCIO 2015 Anno LXII Mensile n. 7/8 Luglio/Agosto Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane di don Bosco)

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ALLARGATE LO SGUARDO: ANNUNCIO

2015Anno LXII Mensile n.7/8 Luglio/Agosto

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeAnnunciatori in cammino

5Primopiano6La Pace è la viaPace in Sri Lanka

8Donne in contestoUna donna per altre donne

10Cultura ecologicaCorresponsabilidel futuro

12Filo di AriannaFeriti e feritori

15DossierAnnuncio, dialogo

27In ricerca 28Dono e CultureStili di vita e gratuità

dmaRivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 8100139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneMaria Helena MoreiraGabriella Imperatore

CollaboratriciMaria Américo Rolim

Julia Arciniegas • Patrizia BertagniniMara Borsi • Carla Castellino

Piera Cavaglià • Maria Antonia Chinello Anna Rita Cristaino • Emilia Di Massimo

Dora Eylenstein • Palma Lionetti Anna Mariani • Adriana Nepi

Maria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi Eleana Salas • Martha Séïde

Giuseppina Teruggi

2RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

sommario

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30La ParolaEmmaus: la rivelazionenel pane condiviso

32Carisma e leadershipUna casa in costruzione

35Uno sguardo sul mondoInsieme ai Rom

37Comunicare38Vita consacrataComunicazione e missione

40Video I bambini sanno

42LibroIo sono Malala

44MusicaTra città e periferie

46CamillaConferenza?C’è modo e modo!

n.7/8 Luglio Agosto 2015Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettoria Austria - Germania

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000

Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970

Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

3 ANNO LXII • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2015dma damihianimas

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sibilità nuova, la realtà che ci circonda: lesofferenze dei popoli, il desiderio di rap-porti aperti e densi di fraternità, le speran-ze dei giovani, il bene fatto da tante co-munità sparse in tutti i Continenti.

La presenza che ci abita è la Parola chericonosciamo nel comandamento amo-revole di Gesù. Vogliamo essere ‘sale del-la terra e luce del mondo’ con la forzaprofetica della sua Parola.

La profezia si realizza nell’impegno dievangelizzazione, di responsabilità so-ciale ed ecologica, di gratuità nei rappor-ti di fraterna vicinanza a tutti, di apertu-ra al dialogo nella diversità, di educazio-ne alla pace in contesti di conflitto.

L’annuncio è educare ed educarci ad al-largare lo sguardo per la costruzione delRegno di Dio e la fedeltà al carisma sa-lesiano. Nell’impegno di annunciare ciuniamo ai giovani, siamo una forza co-me comunità testimoniando la bellezzadel Vangelo nella sua interezza, nella suapiù profonda semplicità.

Sempre in cammino, riconosciamo lavoce di Colui che ci chiama ad annunciar-lo con la vita, disposti a condividere l’e-sperienza di coloro che si lasciano guida-re dal soffio creativo dello Spirito di Dio.

[email protected]

Annunciatori in cammino

Maria Helena Moreira

Tante sono le finestre che si aprono nel-la prospettiva capitolare: “Allargate losguardo”! Vogliamo aprirci a questo invito spintidal forte desiderio di abbracciare nuo-vi e sorprendenti orizzonti. Per raggiungere la meta, però, bisognaincamminarsi. L’esodo chiede di esse-re disposti a cercare lo sguardo, ad af-finare l’ascolto perché l’Autore di que-sto invito continua a chiamarci.

Allargare lo sguardo cercando di aprirsiall’annuncio per vivere il mistero di unaPresenza. Farsi annunciatori di un’espe-rienza che ci rende ‘casa’, abitata da unaPresenza che dà significato alla Parola.

Alla scuola della convivialità con Gesù,raccontando il suo messaggio, i discepo-li mettono in pratica il mandato: “Andatee predicate il Vangelo a tutte le nazioni!” In questa missione sono sostenuti dalMaestro, perché l’essenza della messag-gio è Gesù stesso.L’annuncio diventa così esperienza,narrazione, testimonianza di vita di co-loro che si lasciano trasformare dallasua Presenza.

I discepoli di Emmaus hanno vissuto unincontro che ha spalancato i loro occhi. È qui che nasce lo sguardo rinnovato, ca-pace di accogliere e conoscere, con sen-

4RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

editoria

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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ti alla minoranza tamil nel nord e nell’est del-lo Sri Lanka � sono stati costretti a vivere incampi profughi affollati. Nel maggio del2009, l’esercito dello Sri Lanka ha catturatol’ultima delle zone controllate dalla Libera-tion Tigers of Tamil Eelam. Il 18 maggio 2009, il presidente dello SriLanka Mahinda Rajapaksa ha dichiarato chela guerra civile era finalmente finita. Le elezioni del 2015 sono state un segno difuturo, perchè Maithripala Sirisena è diven-tato il presidente sconfiggendo l’ex presi-dente Mahinda Rajapaksa coinvolto nel cri-mine di guerra. Lo Sri Lanka è ancora inuna fase di post-conflitto. Il paese è ancora aspramente diviso e gli sfor-zi di riconciliazione vacillano. Centinaia di uo-mini, donne e bambini sono morti e molti al-tri portano dentro di sé le cicatrici della guer-ra che li ha resi fragili psicologicamente, fi-sicamente, socialmente e moralmente.

Le fma in Sri lanka: progetti di pace

Alla fine della guerra distruttiva e le conse-guenze dello Tsunami distruttivo, 6 fma del-l’ispettoria indiana di Chennai, audaci e co-raggiose sono arrivate nello Sri Lanka, suinvito dell’ispettore don Antony Humer sdbe per volere della Madre Generale M.Yvonne Reungoat. L’ispettoria di Chennaiha così assunto la responsabilità della mis-sione che è stata ufficialmente inauguratail 30 giugno del 2008 alla presenza delle

Sri Lanka, situato nella puntameridionale dell’India e in posizionestrategica per le principali rottemarittime dell’Oceano Indiano, è conosciuta come la “Perla nell’Oceano Indiano” e una “Terra dalla gente sorridente”.

Motivi per il conflitto

Nel V secolo AC, i migranti indoariane dalnord dell’India si sono stabiliti sull’isola esono ora chiamati i singalesi. Dopo due secoli, un gruppo più piccolo delTamil Nadu, i Tamil hanno migrato al Norddi questo Paese. Fin dall’inizio del loro in-sediamento nell’isola c’è stato un conflittotra i due gruppi etnici � Tamil e Singalesi �che si è intensificato dopo l’Indipendenza. Nel 1976 è stata costituita la Liberation Ti-gers of Tamil Eelam (organizzazione sepa-ratista militante, LTTE), che ha aumentato latensione nelle zone dominate dai Tamil. Nel 1981 i poliziotti Sinhala sono stati accu-sati di aver bruciato la biblioteca pubblica diJaffna, provocando un ulteriore risentimen-to in comunità tamil mentre nel 1983 tredi-ci soldati sono stati uccisi in un’imboscata LT-TE, scatenando rivolte anti-tamil che ha por-tato alla morte di centinaia di tamil. È stato l’i-nizio della “Prima Guerra Eelam”.

La fine della guerra e l’alba della pace

La guerra civile in Sri Lanka è durata più di30 anni e ha provocato più di 100.000 vittime,circa 280.000 persone � per lo più appartenen-

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la p

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è la

via Pace

in Sri LankaKanickaraj Tamizharasi

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ispettrici/tori dell’India, numerosi sacerdo-ti, suore, benefattori, giovani e bambini. Oggi le fma hanno quattro comunità.

A Nochchiyagamma, dove la popolazioneè di prevalenza buddista singalese. Il 30 giu-gno del 2008 è stata inaugurata la primascuola per ragazze e per i profughi di guer-ra. Un’occasione per iniziare contatti rego-lari con le famiglie e offrire loro tutto l’aiu-to richiesto. Le suore accompagnano lagente, attraverso itinerari di pace e di ricon-ciliazione, a guarire, perdonare e vivere inpace. La comunità lavora anche in Parroc-chia, e accoglie le ragazze desiderose di in-traprendere un cammino spirituale alla ri-cerca del progetto di vita di Dio. La prima fma è suor Usha Nanthini appe-na professa e ci sono 3 novizie, 2 postulan-ti e 3 aspiranti in formazione.

A Negombo le suore vivono in un apparta-mento “Boscopura” tra la gente che sonole vittime dello tsunami e sfollati. SuorMary Ann Fernando, la direttrice, dice: «Ac-cogliamo le giovani tamil e singalese nel-

la nostra casa. L’istruzione favorisce la co-noscenza e accettazione le une delle altre. Imparano le due lingue nazionali, a relazio-narsi e ad accogliersi con le loro differen-ze culturali. Il 21 aprile 2014 a Kochchika-de è stata inaugurata anche una casa di for-mazione con 5 ragazze».

A Vavunya c’è la casa ‘Don Bosco’ per la ria-bilitazione dei bambini ex-soldati e degli or-fani di guerra, inaugurata il 17 settembre del2009. Qui le suore organizzano seminari,momenti di preghiera, il ‘counselling’ per-sonale e di gruppo, circa 70 gli orfani diguerra aiutati a guarire dale ferite che por-tano dentro di sé. Ad oggi 14 giovani sonostate accompagnate a intraprendere congioia la vita familiare. 89 ragazze sono ritor-nate nelle famiglie di origine. La direttrice suor Metilda Fernando diceche all’inizio le ragazze erano ribelli, indiffe-renti ed era molto difficile chiedere scusa eperdono, ma la cura, l’affetto, gli interventiformativi della comunità, le ha cambiate.

Il vescovo di Jaffna ha invitato le FMA nel-la sua diocesi. Il 15 ottobre 2011, è stataavviata una nuova presenza a Jaffna con2 sorelle. La comunità è al servizio dellaparrocchia e accoglie i bambini vittimedella guerra. Suor Kanickaraj Shanthi Selvi, la direttri-ce, racconta che la comunità promuovela pace tra la gente del luogo con le visi-te alle famiglie, soprattutto quelle più pro-blematiche, prega con loro e fa ‘il coun-seling’ ai membri delle famiglie. Insegna ai bambini della scuola e alle ra-gazze del Centro per la formazione pro-fessionale, i valori del perdono e dell’o-nestà. Incoraggiano la gente ad avvicinar-si al sacramento della riconciliazione,che è il mezzo potente per promuoverela pace nella famiglia e nella società.

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“La pace nel mondo inizia nelcuore di ogni persona umana”. Le fma in Sri Lanka sono convin-te di ciò e lanciano il loro mes-saggio di unità e comunione, diguarigione delle ferite e di co-struzione di rapporti di pacecon la passione del “Da mihianimas” e con l’invito di MariaDomenica Mazzarello, “A te le af-fido”. Le fma vanno avanti concoraggio e fiducia, allargandolo squardo, per essere missiona-rie di pace e di speranza con ilpopolo dello Sri Lanka.

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fede e di preghiera, ha affrontato con corag-gio la malattia del cancro. Il 27 aprile 2015 haconcluso la sua vita all’età di 53 anni.

Una vita a passo di donna

Suor Bernadette è stata una donna creativae tenace, semplice e collaborativa, ha sapu-to coinvolgere persone ed enti per pro-muovere i diritti dei bambini e delle donne. La sua esperienza è stata una risposta concre-ta contro la violenza e il sottosviluppo per ladignità femminile in tanti Paesi del mondo.«Il livello di sfruttamento delle donne è for-te – affermava in un’intervista ad un quoti-diano – per cui solo con la crescita dell’au-tostima e il potenziamento culturale, apartire dall’alfabetizzazione e formazione,le donne iniziano a comprendere che ci puòessere un’alternativa. Per superare le discriminazioni radicate nel-la cultura e nella società è indispensabilecoinvolgere gli uomini. L’emancipazionedelle donne non è fine a sé stessa, ma a van-taggio della società intera».Come rappresentante dell’Istituto FMA,ha dato un apporto competente alla Com-mission on the Status of Women (CSW) nel-la sede dell’ONU a New York. Appassiona-ta e determinata si è impegnata perché l’I-stituto FMA potesse conseguire lo Statutoconsultivo presso il Consiglio economicoe sociale (ECOSOC) dell’ONU. È stata la per-sona chiave per la nascita della Rete Inter-nazionale di Vita Consacrata contro la Trat-ta di Persone “Talitha Kum”. Ha favorito la formazione di nuove reti, ha so-

Una donna per altre donneGabriella Imperatore

“Una donna minuta ed energica, congrandi occhi espressivi e ridenti”. Quale migliore omaggio? Narrare, lasciare traccia dei gesti e delle parole di una donna, che ha creato un networktra donne, per promuovere i diritti e la dignità delle donne e dei bambini in India e in tanti Paesi del mondo.

Suor Bernadette Sangma dell’Ispettoriafma in Shillong (INS), proviene da una fa-miglia ricca di fede che le ha donato una so-lida formazione umana e cristiana.Erano in sette: tre fratelli e quattro sorelle, dicui due fma e un salesiano. All’età di 18 an-ni ha iniziato la formazione e ha emesso laProfessione religiosa il 5 agosto 1984. Nel 1990è stata mandata a Roma alla Pontificia Facoltàdi Scienze dell’Educazione “Auxilium”, dovenel 1994 ha conseguito la Licenza in Pedago-gia distinguendosi per la capacità di ricercae l’apertura all’interculturalità. Nel 1999 è stata chiamata a Roma, in Casa ge-neralizia, a collaborare nell’Ambito per la Fa-miglia salesiana con attenzione alla situazio-ne della donna e alla tratta degli esseri uma-ni, realtà che l’hanno trovata non solo sen-sibile, ma attivamente impegnata. Nel 2004 ha conseguito il dottorato in Meto-dologia dell’educazione presso la FacoltàPontificia Salesiana (UPS). Nel 2010 è parti-ta per l’Africa dove ha dato il suo contribu-to di competenza e passione educativa sale-siana all’Istituto di Pastorale giovanile diNairobi. Dal 2013 suor Bernadette, donna di

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stenuto le campagne organizzate per il Mon-diale di calcio in Sudafrica e le Olimpiadi in-vernali a Vancouver, ha organizzato e prepa-rato i Congressi della Rete nel 2008 e 2009.«La tratta non è una realtà lontana da noi:succede nei nostri quartieri e colpisce i no-stri conoscenti, le bambine e i bambini del-le nostre scuole e parrocchie. Per contrasta-re questo fenomeno, è necessario “un ap-proccio ermeneutico per affrontare i molte-plici aspetti delle sue cause, per risanare eaccompagnare il cammino di ricostruzionedella vita di coloro che sono coinvolti e fe-riti e per creare consensi e accordi nelle po-litiche decisionali a tutti i livelli”». È una necessità che chiama in causa molteCongregazioni che con i loro multiformi ca-rismi possono offrire risposte differenziatee complementari: “nessun carisma può sen-tirsi estraneo al fenomeno che calpesta ognifondamentale diritto e dignità della personaumana, che reca sofferenze devastanti atante donne o, peggio, a bambine e bambi-ni indifesi”» (Relazione al Congresso 2009, Re-ligiose in rete contro la tratta).

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Una donna sorridente e audace

Bernadette ha saputo conquistare con ilsorriso, la sua tenerezza e generosità icuori della gente e di tante donne che inlei continuano a credere che è possibileil cambiamento. Donne in contesto è il titolo della rubricada lei curata fino al 2014 per la rivista DMAdell’Istituto delle fma. La sua attenzione co-stante e il dialogo con la cultura contempo-ranea le hanno permesso di condividereesperienze e testimonianze concrete dipromozione della donna, in tante nazioni,nell’ottica della reciprocità.Pur avendo come destinatarie le donne, lasua azione passa attraverso la sensibilizzazio-ne di tutta una comunità, sulla base di radi-ci precise: «Tutto parte dalla formazionespirituale che rivaluta la dignità della donna,creata a immagine e somiglianza di Dio»,spiega suor Bernadette. Questa universalitàpermette di lavorare anche in contesti ete-rogenei, dove le differenze religiose ed et-niche sono causa di sanguinosi scontri, fa-vorendo invece un dialogo efficace, capa-ce di superare le barriere degli antagonismi,nel rispetto delle differenze.Una rete di donne luogo del dialogo, don-ne che lavorano insieme a favore della vi-ta. In questo spazio aperto della reciprocità,possono sbocciare i fiori del contributo spe-cifico dell’identità femminile alla società, fio-ri che danno frutti anche nel campo dellasostenibilità e della pace. È la pace che passa attraverso le relazioni in-terpersonali, donne in rete che si mettono in-sieme per costruire comunione. Suor Bernadette non ha dubbi: «È la relazio-ne di reciprocità tra uomo e donna, la dif-ferenza fondamentale, che può disegnareil primo di molti cerchi concentrici di giu-stizia e di pace». Nei fatti, non a chiacchiere.

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te, ma anche a quelle del futuro: «Eredidelle generazioni passate e beneficiari dellavoro dei nostri contemporanei, noi ab-biamo degli obblighi verso tutti, e non pos-siamo disinteressarci di coloro che verran-no dopo di noi ad ingrandire la cerchiadella famiglia umana. La solidarietà universale, ch’è un fatto e pernoi un beneficio, è altresì un dovere». Sitratta di una responsabilità che le genera-zioni presenti hanno nei confronti diquelle future, una responsabilità che ap-partiene anche ai singoli Stati e alla Comu-nità internazionale” (CDS n. 467). Questo richiamo è un appello forte e uninvito a rimboccarsi le mani e impegnar-si sia a livello micro che macro, per crea-re le condizioni affinché le future gene-razioni che abiteranno il Pianeta dopo dinoi, non debbano pagare per le nostreegoistiche scelte, ma possano goderedei risultati del nostro impegno da con-sumatori responsabili.

Consumatori responsabili

Secondo diversi progetti di educazioneambientale, il consumatore responsabileè colui che riflette sulle conseguenzeche i suoi acquisti, il suo stile di vita, le suescelte quotidiane possono avere sull’am-biente e sulla società. Si tratta di imparare a fare delle scelte diconsumo secondo criteri etici che non pe-sino sull’ambiente, sugli animali, sullepersone e sulla nostra coscienza (www.eat-ing.net). Per questo è indispensabile

Corresponsabili del domaniMartha Séïde

«Agisci in modo che le conseguenzedella tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autenticavita umana sulla Terra» (Hans Jonas).

Quest’affermazione del filosofo Hans Jo-nas è un invito ad affrontare con luciditàe responsabilità la grande sfida ecologi-ca del mondo odierno. Infatti, dagli ultimi rapporti dell’ONU con-fermati da innumerevoli ricerche scienti-fiche, è ormai provata la consapevolezzache oggi la vita sulla terra è minacciata; ilfuturo del nostro Pianeta è in pericolo e pa-radossalmente, l’intervento umano è con-siderato dagli studiosi la prima causa di di-struzione della biodiversità (www.wwf.it/).Questa situazione rinsalda la convinzioneche siamo tutti interconnessi e, pertanto,ogni nostra azione, addirittura la più insi-gnificante ha delle conseguenze rilevantisull’equilibrio del Pianeta e sul futuro ditutti. Quindi, è urgente che tutti gli esse-ri uomani siano consapevoli degli effettiche provocano le loro azioni e che si assu-mino la loro responsabilità.

Tutti responsabili

La Chiesa non cessa di richiamare i suoi fe-deli e tutte le persone di buona volontà al-l’assunzione responsabile di questo com-pito: “La responsabilità verso l’ambiente,patrimonio comune del genere umano, siestende non solo alle esigenze del presen-

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scommettere sull’educazione fin dalla te-nera infanzia per creare questa coscienzadella corresponsabilità del futuro del Pia-neta e di conseguenza dell’umanità. A questo riguardo esistono una pluralitàdi semplici iniziative e piccoli gesti che tut-ti possono realizzare per coltivare questoatteggiamento e per abilitare le giovani ge-nerazioni a scegliere il futuro del Piane-ta (cf Il decalogo del consumatore respon-sabile in, http://www.eat-ing.net/attach/tu-cosapuoifare.pdf)

Scegli tu il futuro del pianeta

L’Associazione del Centro Nazionale del-le Opere Salesiane nel settore della scuo-la (CNOS/Scuola) in Italia, rispondendo al-la sfida educativa, ha colto l’occasionedell’evento Expo Milano 2015 per lanciareun Bando nazionale con lo scopo di ac-compagnare gli allievi delle scuole salesia-ne a riflettere sulla responsabilità da assu-

mere nei confronti del nostro Pianeta. Si tratta di far nascere negli studenti la con-sapevolezza di ciò che ci circonda, diquanto la vita dipenda dalle risorse am-bientali, di quanto siamo in grado di alte-rare gli equilibri uomo-natura attraverso lenostre abitudini e, quindi, di quanto siamoresponsabili del nostro futuro e del futu-ro del Pianeta. La salvaguardia delle risor-se idriche, energetiche e ambientali nonverrà più intesa come una regola impostadall’esterno, ma come una buona prassiche scaturisce dall’intima consapevolezzadi essere responsabili dell’ambiente. Il CNOS/Scuola suggerisce di elaborare deilavori tenendo conto della ricchezza dovu-ta anche alla presenza, in Italia, di ragazzidi diverse culture. I vincitori saranno invi-tati a presentare i lavori realizzati ad EXPOMilano 2015 (cf Regolamento Bando, inhttp://www.cnos-fap.it).

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11 ANNO LXII • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2015dma damihianimas

Casa don Bosco in Expo Milano 2015La Famiglia salesiana ha inaugurato il padiglione Casa don Bosco in Expo Milano 2015, il1° maggio 2015. Per la Famiglia di don Bosco, due sono le scommesse vincenti per la so-stenibilità e il futuro del pianeta: la scelta educativa e il protagonismo dei giovani.Don Bosco diceva infatti che «i giovani sono la porzione più preziosa e più delicata del-l’umana società».Nell’anno del Bicentenario della nascita di Don Bosco, i suoi Exallievi/e, quelli delle Fi-glie di Maria Ausiliatrice unitamente agli Amici di Don Bosco, si sono mobilitati per l’i-niziativa “Doniamo Casa don Bosco”. In segno di riconoscenza e gratitudine verso Don Bosco e la Famiglia salesiana, hannodeciso di attivare una raccolta per donare “Casa don Bosco” ai ragazzi dell’Ucraina affin-ché diventi un luogo di scuola ed educazione alla vita, che possa rappresentare per tan-ti giovani un’esperienza di vita.

Sei invitato/a ad abitare Casa don Bosco, visitando il sito: http://www.expodonbosco2015.org/site/it/news

LUCECONTRO

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nel timore di perdere la persona che è sta-ta e che potrebbe ancora essere un puntoimportante di riferimento nella vita. I tipi piuttosto introversi, invece, possonoessere tentati di prendere le distanze, dichiudersi e di rimuginare continuamentesu quanto è accaduto, provando forti sen-timenti di rabbia, di odio e di rancore neiconfronti di chi le ha ferite. All’inizio, questi sentimenti possono esse-re forze che aiutano a distanziarsi dalla pre-senza ingombrante del feritore, ma con l’an-dar del tempo, se lasciati sedimentare nel-l’animo, rendono succubi dell’altro, avve-lenano la vita, restringono e impoverisco-no i rapporti interpersonali e possono an-che rendere più vulnerabili al manifestar-si di alcuni disturbi psicosomatici.Alcune persone, avendo alle spalle un’edu-cazione religiosa piuttosto rigida ed essen-do quindi stimolate da un eccessivo sensodel “dover essere”, non tollerano di senti-re in loro l’emergere di sentimenti negati-vi di ostilità. Vorrebbero perdonare subitol’offesa ricevuta e dimenticare. Credono che perdonare l’offesa subita di-penda dalla volontà, che basti volerefermamente. Tentano, ma inutilmente: laferita continua a bruciare dentro. E, non riuscendo a dimenticare come vor-rebbero, si trascinano dentro pesantisensi di colpa e di inadeguatezza.Una reazione che solitamente accomunaquasi tutte/i è il fatto di sentirsi vittime,ingiustamente colpite da persone che so-no state beneficate e favorite, da perso-

Feriti e feritori

Maria Rossi

Fra persone che vivono insieme, soprattut-to quando esiste un rapporto di stretta con-vivenza come nel rapporto di coppia e inquello di normali comunità religiose comele nostre, è quasi impossibile che non na-scano dissapori, litigi, incomprensioni,fraintendimenti, atteggiamenti che ferisco-no. Più i rapporti personali sono intimi efraterni, più le ferite diventano profondee la sofferenza intensa e dolorosa, a volteanche disorientante. Chi ferisce diventa per l’altra/o una presen-za interiore ingombrante che disturba eschiavizza, una presenza che stimola a ri-muginare continuamente su quanto èsuccesso, ravvivando, con il desiderio dichiarificazione, i sentimenti di rabbia e dirancore, di odio e di vendetta. Questa “ruminazione rancorosa”, come ladefiniscono gli studiosi, toglie o comunquelimita la possibilità di vivere serenamente,di pensare ad altro, di esprimere in pienez-za le proprie potenzialità umane, di esse-re positivamente creative/i. Non aiuta a perdonare e a guarire, anzi puòfavorire l’emergere di disturbi psicosoma-tici. Non mancano, però, vie di uscita, stra-de di guarigione.

Possibili reazioni

Ognuna/o reagisce all’affronto come può.Alcune persone, dal carattere pronto, ten-dono a reagire con aggressività, ad esprime-re senza ritegno e con toni accesi la rabbiae il disgusto che provano, colpevolizzando-si, poi, per l’atteggiamento inadeguato,

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ne che per posizione o ruolo avrebberopotuto e dovuto essere di sostegno, di aiu-to, di conforto. È difficile rendersi contodi essere state/i e di poter essere anche in-giuste/i feritrici/feritori.Quando una/o reagisce con forza controun’altra/o, generalmente lo fa per ristabili-re un equilibrio di giustizia precedentemen-te rotto. Eppure, non è raro ferire inconsa-pevolmente, a volte anche solo per condur-re una vita più impegnata e onesta di quel-la del gruppo di convivenza. In realtà, siamotutte/i possibili “crocifissi” e “crocifissori”.

Passi di guarigione

Voler perdonare è importante, ma un attodi volontà non è sufficiente. Le offese, le “fe-rite” sebbene riguardino soprattutto i sen-timenti, coinvolgono tutta la persona. E perché il perdono non resti una buona in-tenzione espressa a livello di volontà e le fe-rite possano rimarginarsi, è necessario te-ner presente che si tratta di un processocomplesso, di un cammino non facile né li-neare, di un pellegrinaggio da percorrerea tappe e senza forzature di tempo. Da alcuni decenni, anche le scienze psico-logiche hanno scoperto la forte valenza te-rapeutica del perdono. Nella ormai abbondante letteratura, siascientifica che religiosa, vengono propo-sti interessanti metodi e offerti preziosiconsigli per la guarigione. Essi sono utilizzati soprattutto nelle scuo-le e nei corsi di formazione che si propon-gono di sostenere le persone ferite nel fa-ticoso cammino di liberazione dalla pre-senza ingombrante del feritore e dai sen-timenti negativi per guarire. Accenno ad alcuni che possono essere uti-lizzati anche individualmente.Un grande aiuto, sperimentato da genera-zioni nell’ambito religioso e attualmenteconfermato anche scientificamente, è lapreghiera come affidamento a una Perso-

na che comprende e che può venire in soc-corso. Qualche Autore suggerisce di por-si davanti al Crocifisso e, pensando alla per-sona che ha offeso, ripetere, con tutta lasofferenza che si porta dentro, la preghie-ra di Gesù: “Padre perdona loro perchénon sanno quello che fanno”. Se fatta con costanza, questa o un’altra pre-ghiera, è possibile sperimentare gradual-mente un senso di liberazione: il passag-gio dalla rabbia, dall’angoscia alla compas-sione. E quando chi ha ferito fa compassio-ne non è più un macigno che schiaccia,non è più dentro, ma sta fuori, distanzia-to e privato del suo potere negativo.Alcuni Autori affermano che le difficoltà aperdonare sono legate spesso al fatto del-la non accettazione di se stessi. Lytta Bas-set e Bellini E. sottotitolano un loro librosul perdono: “Perdonare è cominciare adaccettare se stessi”.Accettare ed elaborare tutto quello che faparte di se stessi, dall’aspetto fisico alle ca-ratteristiche psicologiche cognitive emo-tive, al proprio stato sociale e alla propriastoria senza rimuovere o escludere qual-che frammento, è una buona premessa anon lasciarsi ferire troppo profondamen-te e a guarire più facilmente. Se una persona, ad esempio, non ha accet-tato un suo difetto fisico, uno scherzo diper sé innocuo, potrebbe portarla a unasofferenza e ad una reazione apparente-mente esagerata. Lo scherzo fa male per-ché, toccando il punto debole, riapre unaferita non rimarginata.Un cosa importante è quella di accettaredi sentire e risentire la sofferenza che l’al-tra/o ha provocato senza sgomentarsi delnormale emergere dei sentimenti di rab-bia, di odio e di vendetta. A volte, per sopravvivere all’affronto, sitende a rimuovere, ma quanto è rimossoresta dentro, disturba e può sempre rie-

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ed emotive, che predispongono all’apertu-ra e alla comprensione degli altri. Alcune di queste abilità sono la capacitàdi ascolto rispettoso ed empatico; il sen-so dell’umorismo; la capacità di relativiz-zare; l’attenzione all’igiene e a una digni-tosa presentazione di sé; il credere che, fa-cendo leva sulle risorse umane della resi-lienza e sulla forza che viene dalla preghie-ra, è possibile superare odi, rancori esensi di inadeguatezza.Le abilità sociali si apprendono generalmen-te in famiglia, ma sono anche frutto di scel-te personali. Come la resilienza, si posso-no mantenere, perfezionare, ma anche la-sciar deteriorare. Poggiano sull’autostima, sulla percezionedella propria competenza, sull’assertività,sull’empatia, ma soprattutto su quel sen-so di serenità e di benessere profondo cheviene dalla consapevolezza che la propriavita è stata ed è significativa. La vita delle persone consacrate, sebbenenon fisicamente, ha comunque contribui-to e contribuisce in mille modi a genera-re e far crescere la vita.L’attenzione a coltivare queste abilità, ol-tre a prevenire dissapori e ferite, facilita losviluppo, il mantenimento e il “ricuci-mento” dei rapporti sociali e fraterni, tan-to importanti nelle convivenze e anchenella vita delle comunità religiose. Le abilità sociali sono pure un grande aiu-to nella missione educativa. Esse mentre contribuiscono a rispettare,a comprendere, a far crescere e a non fe-rire le persone vicine, indirettamentecooperano anche a por fine a tutte quel-le guerre che lasciano ferite che si trasci-nano per generazioni e alla creazionedella tanto sospirata pace.

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mergere con tutta la sua forza angoscian-te e destabilizzante. Qualcuna/o crede che si debba dimentica-re, ma non è possibile dimenticare alcunesituazioni né si deve farlo. Tutto, facendo parte della nostra storiache è comunque storia “sacra”, va accetta-to. È importante trovare la forza e il corag-gio di guardare in faccia la situazione, di nonlasciar sedimentare nell’animo i sentimen-ti negativi, ma di sopportare ed elaborareil dolore per poter gradualmente liberarlodal peso dalle emozioni negative e guarire.Per facilitare la guarigione, è anche utile ren-dersi conto di essere tutte/i possibili feritri-ci/feritori. La consapevolezza che si può fe-rire anche senza volerlo, rende vere/i e umi-li, capaci di uno sguardo di misericordia,perché comprende che chi ha ferito l’ha fat-to forse perché a sua volta ha subito pesan-ti maltrattamenti e quindi, pur sapendo, non sapeva quello che faceva. È di grande aiuto sapere, come le scienzestanno abbondantemente dimostrando el’esperienza conferma, di essere resilienti,di possedere, cioè, energie e risorse suffi-cienti per superare le difficoltà e lo stress.

Per prevenire

Un’attenzione che potrebbe/dovrebbe in-teressare tutte/i e distinguere in particola-re le FMA, è la prevenzione. Il sistema preventivo di Don Bosco fa par-te della nostra spiritualità. Per prevenire edevitare i dissapori che comunemente na-scono nella quotidiana convivenza co-munitaria, basterebbe, a volte, coltivare levirtù casalinghe della buona educazione,del rispetto, della pazienza, della ricono-scenza, virtù che il Papa ha simpatica-mente sintetizzato in tre semplici parole:“Permesso. Scusa. Grazie.”In ambito psicologico si parla di competen-ze e abilità sociali. Si tratta di un insieme dicaratteristiche di temperamento, cognitive

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sibile grazie al dono dello Spirito: “Avreteforza dallo Spirito Santo che scenderà sudi voi e mi sarete testimoni a Gerusalem-me, in tutta la Giudea e la Samaria e finoagli estremi confini della terra”(At. 1,8).L’evangelizzazione è obbedienza al man-dato ricevuto e bisogno insopprimibile dipartecipare ad altri l’esperienza del Signo-re e la gioia che ne deriva. San Giovanni, nella sua Prima lettera scri-ve: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noiabbiamo veduto con i nostri occhi ciò chenoi abbiamo contemplato e ciò che le no-stre mani hanno toccato, ossia il Verbo del-la vita ... noi lo annunziamo anche a voi,perché anche voi siate in comunione connoi» (Gv 1,1-4).La Chiesa è missionaria per sua natura, por-ta avanti nella storia l’annuncio evangeli-co. Un annuncio che coinvolge chiunqueabbia incontrato Cristo: parte dalla testimo-nianza della vita e si sviluppa nelle più va-rie espressioni di educazione alla fede fi-no all’attività missionaria.

Testimonianza e preghiera

Cristo si annuncia vivendolo: «Diventatonuova creatura, il battezzato deve vivere edagire come tale. Sia a livello personale checomunitario. Sul suo volto deve risplende-re il volto stesso di Cristo. È questa una vera e propria esigenza del-la sua vitale incorporazione a Lui nel sacra-mento del battesimo». (A. von Speyer, inMistica oggettiva).È questo un modo nuovo di annuncio che

Annuncio, dialogo

Anna Mariani, Gabriella Imperatore

Trasformati dall’incontro con Lui, essi ritornano senza indugio a Gerusalemme, città della Pasqua e della Pentecoste, con il desiderio di annunciare il Signore risorto e di condividere l’esperienza di felicitàpiena che ha allargato il loro sguardoe il loro cuore (CG XXIII).

Chiamati ad annunciare

L’annuncio del Vangelo è la caratteristicadei discepoli del Signore. Maria Maddalena, colei che per prima in-contra e riconosce il Cristo Risorto, è l’ico-na della missionarietà propria della voca-zione cristiana, il cui invito è quello di an-nunciare che “il Signore è il Vivente!”. “Ho visto il Signore” è questo l’annuncioche offre a tutti Maria, questa semplicedonna che porta a tutti l’evento più straor-dinario che si sia verificato nella storia del-l’umanità. Da qui nasce l’esigenza della fede che pre-suppone la predicazione e la testimo-nianza di coloro che per primi hanno ac-colto nella loro vita il Signore Gesù.“Andate dunque e ammaestrate tutte le na-zioni, battezzandole nel nome del Padre edel Figlio e dello Spirito Santo, insegnan-do loro a osservare tutto ciò che vi ho co-mandato. Ecco, io sono con voi tutti i gior-ni, fino alla fine del mondo”(Mt. 28,19-20).Un compito arduo quello che il Signore af-fida ai suoi discepoli, ma possibile perchéconfortato della sua presenza e reso pos-

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coinvolge tutti e tutte. Nell’Evangelii nun-tiandi Paolo VI afferma che l’uomo contem-poraneo ascolta più volentieri i testimoniche i maestri o, se ascolta i maestri, lo faperché sono dei testimoni. Più che alle parole, l’uomo di oggi credeai fatti. San Pietro nella sua lettera (1Pt 3,1)scrive che “una vita santa e rispettosaconquista, senza bisogno di parole, quel-li che si rifiutano di credere alla Parola”. Fa parte dell’economia della salvezza lachiamata per i discepoli di Cristo ad esse-re sale della terra e luce del mondo. È questa l’evangelizzazione di cui parla ilSignore: «Cosi risplenda la vostra luce da-vanti agli uomini, perché vedano le vostreopere buone e rendano gloria al vostro Pa-dre che è nei cieli». (Mt5, I 6) Una persona vicina a Dio irradia luce. Gio-vanni sussultò nel grembo di Elisabetta al-

l’arrivo di Maria che portava Gesù nel suogrembo. La testimonianza di una vitasanta diventa, così, esigenza per dare fe-condità all’annuncio.«Bisogna che il nostro zelo per l’evange-lizzazione scaturisca da una vera santità divita e che la predicazione, alimentata dal-la preghiera e, soprattutto, dall’amore al-l’Eucaristia, a sua volta, faccia crescere insantità colui che predica». «Il mondo, � afferma Paolo VI � che nono-stante innumerevoli segni di rifiuto di Dio,paradossalmente lo cerca attraverso vieinaspettate e ne sente dolorosamente il bi-sogno, reclama evangelizzatori che gliparlino di un Dio che essi conoscano eche sia a loro familiare, come se vedesse-ro l’Invisibile. Il mondo esige e si aspet-ta da noi semplicità di vita, spirito di pre-ghiera, carità verso tutti e specialmente

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ca comune, sincera e disinteressata dellaverità. Sì, l’evangelizzazione è certamentelegata alla testimonianza di unità data dal-la Chiesa» (J. Saraiva Martins, La Chiesa).La testimonianza evangelica a cui il mon-do si mostra più sensibile è quella dell’a-more verso i poveri e verso chi soffre. La gratuità di atteggiamenti e gesti evange-lici che contrastano con l’egoismo presen-te nell’uomo «fa nascere precise doman-de che orientano a Dio e al Vangelo. Anche l’impegno per la pace, la giustizia,i diritti dell’uomo, la promozione umana,è una testimonianza del Vangelo, se è se-gno di attenzione per le persone ed è or-dinato allo sviluppo integrale dell’uomo». Una testimonianza fino al martirio. Non per nulla la parola «testimonianza»

verso i piccoli e i poveri, ubbidienza eumiltà, distacco da noi stessi e rinuncia.Senza questo contrassegno di santità, lanostra parola difficilmente si aprirà lastrada nel cuore dell’uomo del nostro tem-po, ma rischia di essere vana e infeconda».

Uniti per annunciare

Condizione essenziale per l’efficacia del-l’evangelizzazione è l’unità tra i seguaci diCristo, a cominciare dall’ambiente esi-stenziale in cui ciascuno è posto: «Inquanto evangelizzatori, noi dobbiamo of-frire ai fedeli di Cristo l’immagine non diuomini divisi e separati da litigi che nonedificano affatto, ma di persone mature nel-la fede, capaci di ritrovarsi insieme al di so-pra delle tensioni concrete, grazie alla ricer-

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traduce il greco martyria, da cui viene, initaliano, «martire». E il sangue dei martiricontinua ad essere nella storia della Chie-sa il suggello della fecondità apostolica. «IIFiglio dell’uomo, quando verrà, troverà lafede sulla terra?» (Lc 18,8).L’evangelizzazione tesa unicamente allaconservazione della fede, non basta più! È necessaria una missionarietà che annun-ci nuovamente il Vangelo, ne sostenga latrasmissione, vada incontro agli uomini ealle donne del nostro tempo testimonian-do che anche oggi è possibile, bello, buo-no e giusto vivere l’esistenza umana inconformità al Vangelo e, nel cui nome, con-tribuire a rendere nuova l’intera società. Cristiani non si nasce, ma si diventa, dice-va Tertulliano. È importate formare educatori alla fede,una fede adulta capace di confrontarsi conla cultura e di evangelizzarla. Nella totale fedeltà all’annuncio evangeli-co e alla tradizione ecclesiale, esso porteràanche il volto delle tante culture e dei tan-ti popoli in cui è accolto e radicato. Nelle espressioni cristiane di un popoloevangelizzato, lo Spirito Santo abbelliscela Chiesa, mostrandole nuovi aspetti del-la Rivelazione e regalandole un nuovo vol-to. “La Chiesa «introduce i popoli con le lo-ro culture nella sua stessa comunità»,perché «i valori e le forme positivi» cheogni cultura propone «arricchiscono la ma-niera in cui il Vangelo è annunciato, com-preso e vissuto». In tal modo «la Chiesa, as-sumendo i valori delle differenti culture,diventa “sponsa ornata monilibus suis”, “lasposa che si adorna con i suoi gioielli” (Is61,10)» (EG 116). La diversità culturale non minaccia l’unitàdella Chiesa. È lo Spirito Santo, inviato dalPadre e dal Figlio, che trasforma i nostricuori e ci rende capaci di entrare nella co-munione perfetta della Santissima Trinità,dove ogni cosa trova la sua unità.

Egli costruisce la comunione e l’armoniadel Popolo di Dio. L’evangelizzazione rico-nosce gioiosamente queste molteplici ric-chezze che lo Spirito genera nella Chiesae chiede un nuovo protagonismo dei bat-tezzati. Questa convinzione si trasforma inun appello diretto ad ogni cristiano, per-ché nessuno rinunci al proprio impegno dievangelizzazione, dal momento che, seuno ha realmente fatto esperienza dell’a-more di Dio che lo salva, non ha bisognodi molto tempo di preparazione per anda-re ad annunciarlo, non può attendere chegli vengano impartite molte lezioni o lun-ghe istruzioni. “Ogni cristiano è missiona-rio nella misura in cui si è incontrato conl’amore di Dio in Cristo Gesù. Non diciamo più che siamo “discepoli” e“missionari”, ma che siamo sempre “disce-poli-missionari”. Se non siamo convinti,guardiamo ai primi discepoli, che immedia-tamente dopo aver conosciuto lo sguardodi Gesù, andavano a proclamarlo pieni digioia: «Abbiamo incontrato il Messia»(Gv1,41). La samaritana, non appena termina-to il suo dialogo con Gesù, divenne missio-naria, e molti samaritani cedettero in Ge-sù «per la parola della donna»(Gv 4,39). An-che san Paolo, a partire dal suo incontrocon Gesù Cristo, «subito annunciava cheGesù è il figlio di Dio»”(At 9,20).E noi che cosa aspettiamo? Crediamo aquello che annunciamo? Le nostre comu-nità vivono da credenti? Testimoniano conla vita di aver incontrato il Signore?

“L’evangelizzazione è un impegno quotidia-no che compete a tutti. Si tratta di portareil Vangelo alle persone con cui ciascuno haa che fare, tanto ai più vicini quanto agli sco-nosciuti. In questo annuncio il primo momen-to consiste in un dialogo personale in cui l’al-tra persona si esprime e condivide le suegioie, le sue speranze”(Francesco, Evange-lii Gaudium).

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È tempo di sapere progettare, in una cul-tura che privilegia il dialogo come forma diincontro, la ricerca di consenso e di accor-di. Nel dialogo con lo Stato e la società laChiesa, insieme con le diverse forze socia-li, è chiamata ad accompagnare le propo-ste che meglio possano rispondere alla di-gnità della persona e al bene comune eproporre sempre con chiarezza i valori fon-damentali dell’esistenza umana per tra-smettere convinzioni che possano poi tra-dursi in azioni concrete.Ecco due esperienze significative per lapromozione del dialogo interreligioso esociale.

Dialogo sociale per la pace

Suor Ibtissam Kassis, fma della comunitàdi Nazareth, racconta: «Il 2 aprile 2015 laCorte Suprema d’Israele ha emesso il De-creto di revoca dei lavori per il muro di se-parazione nella storica Valle del Cremisan,sede di due istituti salesiani, e dove circa 400bambini cristiani e musulmani frequenta-no la scuola materna ed elementare dellefma. «La Corte Suprema Israeliana, dopoaver considerato i vari percorsi del murodi protezione nella zona di Cremisan, di-chiara che “non c’è altra scelta che quel-la di cambiare il percorso del muro, che la-sci le suore salesiane e i padri salesiani uni-ti tra di loro e con i loro rispettivi terreni. La Corte Suprema chiede all’Esercito e alMinistero della Difesa israeliana di consi-derare altre alternative meno dannose perla popolazione locale e per gli istituti chesi trovano nella valle», riporta il Decreto.In questi nove lunghi anni il dialogo è sta-to la forza e lo strumento per costruiregiustizia e pace. Tanti sono stati gli aiutiricevuti, il dialogo dapprima con gli av-vocati di St. Yves e quelli di Beitjala; poicon altri enti sociali e politici che si sonoprodigati a studiare e cercare vie alterna-tive; con la Chiesa e la Diplomazia, fre-

Chiamati a dialogare

Secondo quanto si narra agli inizi della crea-zione Dio stesso parlava con gli uomini. Era come se parlando con gli uomini Diovolesse abituarli alla parola. Dio, così, non solo dona la parola ma inse-gna all’uomo l’uso della parola effettivamen-te dialogica e quello che è avvenuto nel dia-logo originario si replica nella relazione io-tu interumana che, se autentica, rimanesempre un’eco di quella prima relazione. Papa Francesco parla spesso di dialogo,non come una dottrina, piuttosto comeuna pedagogia dell’incontro. Egli abbozza in parole e gesti un itinerario,una scuola, una via dell’incontro pastora-le e sociale, che propone sia ai singoli siaalle comunità. In quella pedagogia il dia-logo si pone come il momento verbale del-la più ampia impresa dell’incontro. Centralità della missione vuol dire centra-lità del dialogo. “Dialogare significa esse-re convinti che l’altro abbia qualcosa dibuono da dire, fare spazio al suo punto divista, alla sua opinione, alle sue propo-ste… e per dialogare bisogna andare incontro all’altro disarmati, abbassare le di-fese e aprire le porte” (Francesco, Discor-so alla comunità degli Scrittori del La Ci-viltà Cattolica - 14 giugno 2013).Il dialogo è possibile tra luoghi e culturefra loro distanti, tra un capo del mondo al-l’altro, oggi sempre più vicini, interdipen-denti, bisognosi di incontrarsi e di crearespazi reali di autentica fraternità e solida-rietà. La vicinanza crea comunione e l’ap-partenenza realizza l’incontro. La vicinanza acquisisce forma dialogica ecrea una cultura dell’incontro. Per la Chiesa, in questo tempo ci sono am-biti di dialogo nei quali deve essere presen-te per adempiere un servizio in favore delpieno sviluppo umano e perseguire il be-ne comune.

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quenti gli incontri con i Vescovi da varieparti del mondo, Ambasciatori e Conso-li dei diversi paesi Europei e americani, irappresentanti della Comunità Europeaper creare mentalità e favorire consensoe accordo con il governo israeliano.Abbiamo accolto la notizia con grandegioia e soprattutto con molta ammirazio-ne per la Corte Suprema che ha guardatocon occhi umani un problema sociale ab-bastanza grave, sopratutto per l’operaeducativa svolta dalle fma, che gode mol-to del loro apprezzamento, e per le tantefamiglie che frequentano la nostra scuolache soffrivano per questa causa assurda. Ilfrutto più grande di questa grazia è per inostri allievi, che ogni giorno sentonoparlare di pace e di amore per ogni uomo,e restano perplessi di fronte a tutto quel-lo che ogni giorno sono costretti a vivere:violenze e ingiustizie. Questo è un segno

che la Giustizia e Pace sono possibili, per-ché c’è tanta gente che desidera la pace edifende gli interessi e il bene degli altri».

Incontrare il Dio del dialogo

Dal 13 al 15 maggio presso il Centro AdGentes a Nemi (Roma) si è svolto il work-shop dal tema “Incontrare il Dio del dialo-go: leggere i libri sacri delle religioni abrami-tiche”, per promuovere il dialogo tra Ebrei,Musulmani e Cristiani attraverso la letturadei loro Libri Sacri (Tanakh, Bibbia, Corano). Il workshop, organizzato dalla Società delVerbo Divino (SDV) e dal Servizio di Do-cumentazione e Studi sulla Missione (SE-DOS) si è tenuto in occasione della com-memorazione del 50° del Concilio Vatica-no II, per riflettere sui documenti dellaChiesa e mantenere vivo lo spirito di dia-logo e di apertura verso un mondo ogni

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go volta più multietnico e multirreligioso. Il prof. David Ford, Regius Professor of di-vinity presso l’Università di Cambridge, inInghilterra, insieme ai suoi colleghi ebrai-ci e musulmani ha proposto lo ScripturalReasoning, cioè la lettura collettiva ragio-nata del Tanakh, della Bibbia e del Corano.“L’ascolto è la regola d’oro � afferma �, l’at-teggiamento di apertura nella verità e nel-l’amore deve caratterizzare il dialogo coni credenti delle religioni non cristiane”. Il dialogo interreligioso è una condizionenecessaria per combattere il fondamenta-lismo religioso e politico che non solo mi-naccia l’armonia tra le comunità di religio-ni diverse, ma è anche causa di molti con-flitti in tutto il mondo. Per i cristiani come per le altre comunitàreligiose il dialogo è un dovere, solo cosìs’impara ad accettare gli altri nel loro dif-ferente modo di essere, pensare ed espri-mersi. Questa esperienza ha presentatograndi sfide, in principio la sicurezza del-

la propria fede e la conoscenza del propriotesto sacro, non per discutere con gli altricredenti e convincerli, ma per aiutare a ca-pire “le ragioni della propria fede”. Non si deve tendere a dialogare per vive-re insieme, bisogna tendere a costruire in-sieme una società in cui le religioni sappia-no ascoltarsi. Non si deve mai trascurareil vincolo essenziale tra dialogo e annun-cio, che porta la Chiesa a mantenere ed in-tensificare le relazioni con i non cristiani. L’evangelizzazione e il dialogo non sonoopposti, si sostengono e si alimentano re-ciprocamente.

Crediamo che il dialogo sia la via per costrui-re insieme ponti di misericordia e di ricon-ciliazione? Siamo convinti che per dialoga-re bisogna andare in contro all’altro disar-mati, abbassare le difese e aprire le porte?

comunicazione@[email protected]

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OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

AGENDA POST 2015

PROMUOVERE L’UGUAGLIANZA

DI GENERE E L’EMPOWERMENT

DELLE DONNE

LA DICHIARAZIONE DEL MILLENNIO PROMUOVE L’UGUAGLIANZA TRA I SESSI

E L’EMPOWERMENT DELLE DONNE COME DIRITTI UMANI DI BASE.

SOSTIENE ALTRESÌ CHE RICONOSCERE ALLE DONNE IL LORO GIUSTO RUOLO

È IL SOLO MODO PER COMBATTERE CON SUCCESSO LA POVERTÀ, LA FAME, LE MALATTIE

E PER STIMOLARE UNO SVILUPPO DAVVERO SOSTENIBILE.

LE DONNE HANNO UN’INFLUENZA ENORME SUL BENESSERE DELLE FAMIGLIE

E DELLE SOCIETÀ.

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TALITHA KUM, RETE INTERNAZIONALE DI VITA CONSACRATA CONTRO LA TRATTA DI PERSONE, UNA RETE DI DONNE IMPEGNATE A PROMUOVERE LA CULTURA DELLA VITA, DELLA LIBERTÀ, DEL RISPETTO, DELLA DIGNITÀ UMANA DI OGNI ESSERE UMANO.

OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

AGENDA POST 2015

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Letturaevangelica

dei fatticontemporanei

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stero che è l’altro e alla ricchezza di vita di cuiè soggetto. Ciò è possibile se esiste un cer-to «distacco» tra educatore ed educando.

Revisione di vita

L’educatore non ha bisogno del suo allievoperché è già realizzato in altro modo. Comu-nica con l’allievo per la gioia di condividerela propria esperienza e valorizzare la vita del-l’allievo. Il rapporto educativo è gratuitoquando viene vissuto come un reciproco espontaneo dare e ricevere.Uno spazio importante nell’educazione allagratuità è la revisione del modello di vita a cuii giovani di fatto si ispirano al di là delle dichia-razioni di principio. La revisione va condottanon con l’atteggiamento moralistico di chi si

Stile di vita e gratuitàA cura di Mara Borsi

Tutto quello che si vive nello spazio e tem-po, educa o diseduca alla gratuità. Dove pre-vale l’agonismo, il rapporto di potere tra edu-catori ed educandi e tra gli stessi educandi,il rendimento come unico criterio di ricono-scimento del valore di una persona, non sieduca alla gratuità. Negli ambienti in cui ilrapporto educativo è formale, in quanto nes-suno esce dal suo ruolo di allievo o di inse-gnante, di padre o di figlio, di sacerdote e difedele, perché si ha paura dell’incontropersonale e dell’approfondimento dei rap-porti. Un aspetto particolare dell’educazio-ne alla gratuità è dato dal rapporto tra edu-catori ed educandi. Nella relazione educati-va la gratuità comincia quando l’educatoree l’educando sono aperti alla scoperta del mi-

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Mi chiamo Ana Inés Izquierdo Donato, so-no uruguiana, animatrice di oratorio e exa-lunna salesiana. Nel gennaio 2014 sono arri-vata in Messico per sei mesi di volontariatoal IMCI don Bosco di Matagallinas, nella Sier-ra Mixe, nello Stato di Oaxaca.Faccio parte del Vides Uruguay. Nel mio pae-se con gli altri volontari del gruppo ho lavo-rato in un quartiere periferico della capita-le, dove svolgevamo attività per le donne, la-

boratori con lo scopo di realizzare piccoli in-troiti economici.A poco a poco ho maturato il desiderio di fa-re volontariato a livello internazionale. Ho co-sì iniziato una formazione a distanza e con-temporaneamente l’accompagnamento for-mativo con il Vides UruguayLa formazione mi ha impegnata molto, mipresentava elementi di tipo pratico, informa-zioni a livello teorico. Passava il tempo e au-

La parola ai giovani

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mentava il desiderio di poter realizzare que-sta esperienza; sentivo anche che Dio michiamava al dono e alla fiducia.Trascorso il periodo formativo mi è stato pro-posto il servizio di volontariato a Oaxaca. Arrivando nella Sierra Mixe alla casa don Bo-sco mi sono messa in ascolto delle fma, deiSalesiani, dei ragazzi e soprattutto dellebambine. Le mie migliori maestre sono sta-te proprio le bambine, mi hanno racconta-to della loro cultura, delle loro tradizioni, delloro modo di percepire e interpretare la vi-ta. Mi hanno insegnato anche ad avvicinar-mi di più a Dio. Le bambine con cui ho svol-to il servizio volontario mi hanno lasciato en-trare nella loro vita e questo è stato veramen-te un dono grande. Sento di essere cresciu-

ta molto dal punto di vista umano. Grazie adognuna di loro ho potuto ricomprendere,riapprendere e assimilare in un altro modoquello che dice don Bosco: “Mi basta che sia-te giovani perché vi ami”. L’appoggio dellesuore e il loro accompagnamento mi ha fat-to conoscere in un’altra forma l’Istituto del-le fma, condividere con loro, apprendere illavoro educativo attraverso il loro esempionel quotidiano è stata un’esperienza moltoarricchente. Credo che come volontari, dob-biamo essere disposti a dare il meglio di noistessi, a fare i migliori sforzi nelle cose chechiedono le persone che vivono con noi. Come volontari siamo chiamati a donare noistessi, ad essere il riflesso di un Dio che amaogni persona.

sofferma soprattutto sui lati negativi, ma conl’atteggiamento educativo che invita i giova-ni a rendersi conto della ricerca che già stan-no vivendo di gratuità.La revisione di vita implica anche lo sforzo ditradurre in obiettivi mediamente raggiungibi-li la meta finale del consolidamento della gra-tuità. Quali obiettivi proporre in concreto qui-ora in questo ambiente educativo? Come farsì che il bisogno di gratuità e spontaneità nonsi riduca a ridimensionamento delle attese divita, a ghettizzazione dei rapporti, a ricerca pu-ra e semplice di piacere senza capacità di in-vestire le energie nel futuro?La maturazione di uno stile di vita ispirato al-la gratuità viene arricchito anche da un serioconfronto con l’esperienza cristiana che è ac-coglienza e allo stesso tempo superamentodella domanda di gratuità. La tradizione biblica è ricca di temi legati al-la gratuità. In un certo senso la gratuità è la di-mensione ultima della storia della salvezza dal-la creazione all’alleanza, dalla predilezione diDio per il popolo ebraico alla incarnazione co-me gesto di puro amore di Dio per l’uomo, dal

mistero della vita trinitaria che è accoglienzanella diversità alla vita profetica di «accoglien-za» della prima comunità cristiana. La doman-da di gratuità trova un forte contributo nellacontemplazione nel quotidiano in cui si vivo-no le cose di ogni giorno come luogo di in-contro con Dio, alla ricerca di quel filo di sal-vezza che collega insieme la storia persona-le e quella dell’umanità nell’accoglienza cheDio riserva all’uomo. Nella contemplazione enella preghiera si impara ad accettare sestessi senza manie schizofreniche, condivi-dendo i limiti e le ricchezze del proprio esi-stere. Si impara a leggere la vita in «trasparen-za» come provocazione ad una crescita davan-ti all’uomo e a Dio. Solo un contemplativo puòmaturare un atteggiamento di gratuità. Nella contemplazione la vita si fa canto innal-zato all’amore gratuito che avvolge l’esistenza.Solo quando ci si sente amati da Dio e fatti«creature nuove» per dono, si diventa capacidi una reale gratuità, anche se rimane l’impe-gno di un lungo tirocinio di apprendimento.

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Lettura: Il testo in se stesso

Stanno per raggiungere Emmaus: hannocamminato almeno per 10 kilometri. Intra-prendono un cammino non solo geografico,ma un “cammino interiore”. Quali caratteri-stiche ha questo cammino interiore? Dadove parte e dove conduce? Come interpre-tare il gesto di Gesù: “fece come se dovesseandare più lontano”?“Resta con noi perché si fa sera!”. Effettiva-mente era già tardi ed erano stanchi. La seconda parte della frase è descrittiva: “ésera, è buio”. Potrebbe esprimere una realtàpiù profonda, in relazione con la situazioneiniziale dei discepoli. Quale? La prima parte della frase è una richie-sta: “Resta con noi!” Alla luce dell’itinerariointeriore vissuto, può rivelare anche dimen-sioni più intime, nascoste. Quali?“Quando fu a tavola con loro, prese il pane,disse la benedizione, lo spezzò e lo diede lo-ro”. Gesù ritorna ad essere il centro: entra,si accomoda, si siede familiarmente a tavo-la, condivide. Li sorprende, come nel Cena-colo, con il gesto di spezzare il pane. “Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”.Questo è il culmine della pericope; la “fra-zione del pane” permette loro di riconosce-re il Maestro. Fin dalle sue origini la Chiesariconosce l’Eucarestia come “fonte e culmi-ne” della sua vita. “Allora si aprirono loro gliocchi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista”. Luca gioca con‘gli occhi’ e ‘la vista’. Quali occhi si aprono equale vista si chiude?

Emmaus: la rivelazionenel pane condiviso Eleana Salas

Ambientazione

Una Bibbia grande; un crocifisso e un ceropasquale. Un cestino con il pane..

Invocazione allo Spirito Santo:

Vieni Spirito Creatore, vieni, vieni. (2v)(o un altro canto di invocazione allo SpiritoSanto conosciuto da tutti)

Siamo giunti al momento culmine dell’espe-rienza vissuta dai discepoli di Emmaus: la ri-velazione nel pane spezzato e condiviso.Il cuore dei due discepoli è pieno di stupo-re di fronte allo Sconosciuto che è stato ca-pace di aprirli alla speranza. Tutta la loro ani-ma è stata raggiunta dallo sguardo e dopoaver ascoltato le Sue parole, sentono “arde-re il cuore”. Entriamo anche noi in questa ca-sa: lasciamo da parte per un momento le no-stre “conoscenze” e con cuore nuovo lascia-moci sorprendere da Colui che ora dominatotalmente la scena.

Il testo viene proclamato con chiarezza dauna lettrice. Ogni partecipante legge di nuo-vo personalmente il testo. In seguito si puòfare la risonanza delle frasi più significative.

Luca 24, 28 - 31Quando furono vicini al villaggio dove era-no diretti, egli fece come se dovesse andarepiù lontano. Ma essi insistettero: «Resta connoi perché si fa sera e il giorno già volge al de-clino». Egli entrò per rimanere con loro.Quando fu a tavola con loro, prese il pane,disse la benedizione, lo spezzò e lo diede lo-ro. Allora si aprirono gli occhi e lo riconob-bero. Ma lui sparì dalla loro vista.

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Meditazione: il testo per noi oggi

Sebbene i cuori si siano aperti alla speranza,c’è dell’amarezza: “è notte, è buio”. Provia-mo a richiamare alla mente e al cuore le lu-ci e le ombre dell’umanità, dei giovani, del-la comunità. Li condividiamo.“Riconoscere il Signore” è il momento cul-mine della manifestazione del Risorto. Guar-diamo ai nostri giovani, alla comunità, all’u-manità... dove vediamo manifestazioni del-la “fame di Dio”, dove capacità o incapacitàa “riconoscerlo”. “Lo riconobbero allo spezzare del pane”.Questa “frazione del pane” è il momento fon-damentale. Verifico la centralità dell’Eucare-stia nella vita di ogni giorno e della comunità.

Preghiera

Facciamo nostra l’invocazione: “Rimani connoi!”. Quei discepoli non possono fare a me-no dello Sconosciuto che ha aperto loro ilcuore. Ripetiamo a lungo questa frase, inte-riorizziamola, preghiamo a partire da essa,perché anche noi non possiamo fare a me-no di Lui. “Lo riconobbero nello spezzare delpane”: pregare-chiedere-supplicare, avere

occhi capaci di riconoscere il Signore, uncuore che viva intensamente ogni Eucarestia,per poterlo riconoscere anche nelle altre suemanifestazioni. Condividiamo alcune riso-nanze della nostra preghiera.

Contemplazione – Impegno

Non basta studiare e pregare la Parola diDio; è necessario che essa porti frutto nel-la nostra vita. In che modo posso incarna-re una “vita eucaristica”, come Maria, “Don-na eucaristica”?Come possiamo rendere più evidente il fat-to che l’Eucarestia è “il centro della giorna-ta”, il momento in cui la nostra comunità sifonda e si rinnova”? (C. 40).Siamo capaci di riconoscere il Signore nonsolo nell’Eucarestia, ma anche nelle altre for-me della sua presenza?

Preghiera finale

“Rimani con noi, perchè la sera sta scende-no, Perchè senza di te al nostro fianco, nul-la è giusto, nulla è buono”. (E. Vicente)

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La fraternità: irresistibile attrazione

La comunità religiosa, cuore della comunitàeducante, è per ogni fma il primo luogo del-la fraternità, necessario perché i giovanipossano credere che queste esperienze so-no possibili. La Madre, nel suo discorso di apertura del CGXXIII ha affermato: “Con i giovani e con tut-ta la comunità educante ci impegniamo a co-struire la casa della fraternità attraverso rap-porti umanizzanti. La relazione ci salverà dal-l’individualismo e dall’autoreferenzialità.Siamo chiamate a ravvivare la profezia del-la fraternità e a far sì che raggiunga le peri-ferie esistenziali del nostro cuore e di tuttele persone che incontriamo sul cammino”. Il Rettor Maggiore ha sottolineato che la fra-ternità è uno degli aspetti essenziali che co-stituiscono la nostra vita religiosa salesiana.Ha auspicato una continua crescita affinché“realmente la nostra vita comunitaria abbiatutta la forza di attrazione che ha la fraternitàvissuta secondo il Vangelo, fino al punto diessere irresistibile nella sua attrazione” (At-ti del CG XXIII n.26; pp.111;142). Una frater-nità che alimenta lo spirito di famiglia.

Lo spirito di famiglia: preziosa eredità

Madre Elisa Roncallo, definita da don Bosco:«anima angelica … cuore fatto per amare efarsi amare da tutti, per la sua umiltà, mira-bile dolcezza e forte pazienza», è colei cheha favorito l’irradiazione dello spirito salesia-no dall’Istituto alla società e, all’interno del-l’Istituto, ha promosso lo spirito di famiglia.

Una casa in costruzione

Carla Castellino

È la novità che i giovani si aspettanoda noi: “passare da una casa già fattaa una in costruzione con la partecipazione di tutta la comunità educante, coinvolta nel pensare, pregare e agire. Dove nessuno si senta già arrivato o creda che solo l’altro debba cambiare”.

I giovani ci vogliono “capaci di costruire re-lazioni vere, di aprire le strutture, le men-ti, i cuori, di condividere la quotidianità conquanti varcano la soglia delle nostre case,con una presenza autentica e simpatica chesa lasciare da parte il perfezionismo e l’an-sia di controllo, sa creare spazi di dialogoper vivere il comandamento dell’amore inspirito di famiglia, sa condividere anche ledifficoltà e cercare insieme le soluzioni”. Desiderano essere da noi “incoraggiati,sostenuti nell’approfondire la fede e le re-sponsabilità sociali, ci vogliono disponibi-li all’accompagnamento spirituale per aiu-tarli a trovare il senso di ciò che vivono, sen-za risposte prefabbricate, con un linguag-gio più moderno e creativo”. Ci chiedono di essere testimoni della “ca-sa fondata sulla Roccia, in cui l’Amore di Diosi manifesta nella comunione fraterna, se-gno tangibile che li affascina, li fa sentire acasa, li contagia e passo dopo passo li con-duce all’incontro con Gesù” (Atti CG XXIIInn.17-18; p.162).

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In qualità di Consigliera generale scrive 8 Cir-colari sullo spirito di famiglia (24 luglio1916/24 luglio 1917). Esorta le fma a tornareai valori che fondano e costruiscono il climaeducativo salesiano. Lo spirito di famiglia nell’interpretazione dimadre Elisa è basato sulla carità, sulla gratuità,sulla scambievole fiducia tra superiore e so-relle, tra sorelle e sorelle, e scaturisce dal co-mune desiderio di aiutarsi, di compatirsi, dicompletarsi a vicenda; di rendersi bella e se-

rena la vita nel servizio del Signore. È un cli-ma che si costruisce grazie all’apporto di tut-te e di ciascuna e ha come imprescindibilefondamento l’amore di Dio e come model-lo ideale l’esperienza vissuta dai Fondatori.Lo spirito di famiglia è dunque carità che siespande e si rinfrange nei rapporti attraver-so alcuni atteggiamenti caratteristici: Santo disinteresse: rettitudine e ricerca delbenessere altrui.Gara di delicata carità fra le case e le sorelle:condivisione di beni materiali e spirituali, danon far sentire il ‘mio’ e il ‘tuo’.Fraterna gara di stima e di onore vicendevo-le: reciproco apprezzamento, saper goderedella riuscita altrui e dare ad ogni sorella ilposto di onore che merita; darlo nella nostra

mente, nel nostro cuore, nelle nostre paro-le e nella nostra vita pratica.Gara ben intesa di reciproca confidenza chenon è manifestazione indebita delle proprieimpressioni a danno della carità e dell’unionefraterna, ma il familiare e reciproco scambio dipensieri e sentimenti che unisce in un cuor so-lo direttrice e suore, fa loro sentire comuni nonsolo i beni spirituali e materiali, ma altresì legioie, le riuscite, le pene, le preoccupazioni,le responsabilità, tutto, insomma, ciò che in-teressa la casa e ne forma la vera vita.Gara di nobile reciproca franchezza: saper di-re la parola di verità che impedisce a tempola mancanza, o la rimedia subito, senza stra-scichi di pena o di sfiducia e che non esclu-de la cortesia, l’opportunità e la prudenza.Una parola preparata con saggezza nella pre-ghiera, che sa attendere con pazienza ilmomento della calma, l’occasione favorevo-le e sa far seguire alla correzione un gesto distima e di affetto per dimostrare che lamancanza o lo sbaglio corretti sono stati com-pletamente dimenticati.Madre Elisa afferma: se tutte le FMA vivesse-ro questi atteggiamenti “come sarebbe piùamabile la famiglia spirituale, che diventereb-be anche la famiglia del cuore!”. Lo spirito difamiglia non è solo una bella eredità da cu-stodire, ma una sfida a cui rispondere nel no-stro quotidiano e cammino di conversione dapercorrere con determinazione e coraggio.

Lo spirito di famiglia: una sfida

“Lo spirito di famiglia sfida la comunitàeducante ad imparare a comunicare conautenticità, semplicità e schiettezza percreare un ambiente aperto e favorevole allamaturazione di ogni persona, dove ci sisente custodi e responsabili di ogni membro,non solo uniti da compiti da svolgere” (Attidel CG XXIII n.27). Come accogliere e rispon-dere a questa sfida?

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Per approfondire: Giuseppina Mainetti, Madre Elisa Roncallo fra le prime disce-pole di S. Giovanni Bosco, Torino,Istituto FMA 1946;

Lina Dalcerri, Tradizioni salesiane, spi-rito di famiglia,Roma, Istituto FMA 1973;

Piera Ruffinato, La relazione educati-va. Orientamenti ed esperienze nell’I-stituto delle FMA,Roma, LAS 2003.

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il messaggio evangelico come una parte in-tegrante della loro vita personale. La scelta per i poveri nell’ambiente dei Rom peri salesiani è nata a Bardejov nella frazionePoštárka, dove nel 1991 ha iniziato a lavoraredon Pietro Bešenyei, salesiano. Gradualmen-te, l’intervento dei salesiani si è diffuso a Jarov-nice, Michalovce. Dopo l’anno 2000 è iniziatoil lavoro tra gli zingari anche nella Slovacchiaoccidentale a Plavecký Štvrtok, in collaborazio-ne con le fma. Nel 2008 è giunto l’invito dal-l’Arcidiocesi di Košice di svolgere questo lavo-ro a Košice nel quartiere Lunik IX: in questoluogo l’azione è stata avviata oltre che da sdbe fma anche da un gruppo di volontari laici cheformano parte integrante della comunità.

Stare in mezzo ai Rom

Le fma vivono e operano tra i poveri, la pre-senza tra di loro richiede un esserci e un vi-vere con e per la missione, per trovare vie al-ternative, per cercare di arrivare al cuore deidestinatari. Per questo è importante condi-videre la missione tra sdb, fma e laici. “Vita”tra i poveri significa, infatti, che i membri del-la comunità-equipe, vivono in mezzo a loro,pregano insieme, sostengono il funziona-mento del centro, cercando di svolgere leprocedure utili per l’evangelizzazione, per lacatechesi e la prassi pastorale, e farne succes-sivamente la verifica. “Interazione” tra i po-veri, significa rendersi sensibili ai bisogni delcorpo e dello spirito dei destinatari, per com-prendere l’integrità della persona nel conte-sto del luogo in cui vive. Il “percorso di ricer-ca” richiede, innanzitutto, la comprensione

Insieme ai Rom

Anna Rita Cristaino

Suor Slávka Butková è la direttricedella comunità di Košice in Slovacchia, insieme a suor AnnaChrkavá e a suor Alžbeta Sárk�žyová,le altre due fma che compongono la comunità, si reca ogni giorno al quartiere Luník IX, abitato da più di 6.000 Rom che vivono in condizioni di sovrappopolamento e spesso privi dei servizi minimi.L’acqua corrente è a disposizione solopoche ore al giorno e le abitazionispesso sono prive di riscaldamento.

Il lavoro delle Figlie di Maria Ausiliatrice se-gue un progetto condiviso con i salesiani chehanno costruito una Chiesa e un Centro pa-storale per poter operare con più efficacia aservizio degli abitanti del quartiere. Gli zingari soprattutto di etnia Rom costitui-scono il 7,5 % della popolazione totale del-la Slovacchia. Dal punto di vista economico,la maggior parte di essi appartiene al grup-po con il più basso tasso di reddito: un de-cimo della popolazione Rom vive nella po-vertà. Secondo i dati del censimento del 2011,il 10 % della popolazione dichiara di appar-tenere a nessuna religione, mentre il 79,6%dice di aderire al cristianesimo. Altri appartengono ad altre religioni non cri-stiane. Ma i Rom delle chiese cristiane di so-lito mostrano un certo interesse solo riguar-do al battesimo ed alla sepoltura. Manca la partecipazione alla vita attiva del-la parrocchia. In realtà non sentono Gesù e

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delle dinamiche della vita nei vari siti locali,in modo che la missione coinvolga i membridella comunità zingara, in vista dello svilup-po di un’attiva comunità cristiana.Le fma in particolare visitano le persone nel-le loro abitazioni, costituite per lo più da ba-racche costruite da loro stessi o vecchi ap-partamenti malmessi. Qui si mettono inascolto cercando di comprendere qualisono i bisogni più urgenti e quali le proble-matiche più importanti da risolvere. Racconta suor Slávka Butková: «In Slovacchialavoriamo con i Rom da 7 anni nel quartie-re Luník 9 a Košice (una città dell’Est della Slo-vacchia) quartiere dove abitano solo i Rom.Prima abbiamo già lavorato 10 anni a PlaveckýŠtvrtok e ancora prima 5 anni a Michalovce.Quindi dal 2003 ci dedichiamo intensamen-te a questa missione. A Nitra anche lavoria-mo così da 3 anni. A Luník IX e a Nitra ci de-dichiamo specificamente solo alla pastora-le dei Rom, questo perché parte della po-polazione Rom vive emarginata dal restodella città, quasi come in un ghetto. Nel nostro lavoro troviamo alcune diffi-

coltà. È molto difficile, ad esempio, parlaredi Dio; c’è una povertà estrema ed è diffici-le far sentire loro che Dio è buono e si pren-de cura di tutti. I Rom a Luník IX non vedo-no soddisfatti i loro bisogni fondamentali, da-to che non hanno l’acqua, devono portarse-la nei bidoncini, non hanno alloggi adegua-ti, vivono nelle baracche che si sono costrui-te con ciò che hanno trovato vicino ai con-tainer, oppure se hanno un appartamento, èdistrutto e devono ripararlo a proprie spese.C’è un alto tasso di disoccupazione, perchéanche quando trovano un lavoro se il dato-re di lavoro scopre che si tratta di un Rom,si tira indietro. Abbiamo costatato che que-sto succede spesso, noi cerchiamo per lo-ro un lavoro, ma poi ci si scontra controtanta diffidenza. Questo è causa di proble-mi economici, e la maggioranza si ritrovaa vivere solo con le pensioni sociali di cir-ca € 60 con i quali devono pagare l’affitto,l’elettricità e tutto il resto. Allora poi acquistano a rate e quandonon hanno di che pagare hanno addossoi creditori; alcuni di loro si sono indebita-

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cose pulite” (perché spesso succede che lamamma vende i vestiti puliti e il figlio rima-ne sempre con quelli sporchi). Due ore più tardi, una di queste mamme vie-ne con i figli da noi in ufficio per sbrigare del-le faccende e io vedo che i figli sono lavati,pettinati, hanno i vestiti puliti, e io quasi nonli avevo riconosciuti. Allora ho lodato quel-la mamma e lei si è sentita bene, gratificatae orgogliosa di come sono belli i suoi figli edi come lei sia riuscita a metterli in ordine,solo che forse nessuno prima le aveva det-to di farlo. E così passo dopo passo insegnia-mo alle mamme a prendersi cura dei proprifigli e parliamo loro della presenza di Dio, di-cendo che tutto (i vestiti o altre cose buone)proviene da lui e che devono venire a ringra-ziarlo anche la domenica alla messa».

Una vita più vivibile

Il lavoro delle nostre sorelle quindi si rivol-ge alla persona nella sua interezza. C’è pro-mozione umana, assistenza, educazione edevangelizzazione. Tutto per rendere la vita inquesto quartiere più vivibile e più degna.Spesso i Rom non conoscono bene lo slovac-co, allora le fma li accompagnano negli uffi-ci. Si impegnano ad aiutarli a trovare le per-sone giuste che possano risolvere i loro pro-blemi o offrire loro un lavoro. Il 95% della popolazione è senza lavoro. Per tutto questo è importante un lavoro inequipe che arrivi ai piccoli e alle famiglie per-ché possano prendere consapevolezza delloro valore e impegnarsi a costruire un futu-ro migliore per quel quartiere. Non sempreè facile. Spesso coloro che riescono a studia-re e ad emanciparsi da una situazione di pre-carietà, lasciano Luník IX e quindi non rein-vestono quanto ricevuto a favore di chi vivelì. Per questo la presenza delle Figlie di Ma-ria Ausiliatrice e dei salesiani è garanzia dicontinuità e di supporto ad un popolazioneche vuole crescere.

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ti a vita. Con loro cerchiamo di risolvere i di-versi problemi pratici che si trovano a doveraffrontare, come presentare i documentiper le pensioni o gli stipendi ecc. Ma nel nostro vivere insieme a loro ci sonoanche tante gioie. Quando siamo tra di lorovediamo che ci accettano e lo esprimono an-che con parole o gesti. Più di una volta è suc-cesso che ci hanno detto: «da quando ci sie-te voi suore, stiamo meglio, le cose si muo-vono, sia nello sbrigare le diverse pratichecon le istituzioni, sia perché l’ambiente stadiventando meno rude, si cerca un compor-tamento migliore e se capita di sbagliare, lapresenza delle suore ci aiuta a fare un pas-so per chiedere scusa». Ci rendiamo conto che ci sarebbe tanto al-tro da fare, ma per questo sarebbe necessa-rio che tutte le istituzioni a Luník IX affron-tassero queste cose con responsabilità, si in-contrassero insieme e riflettessero sul da far-si. Una grande importanza hanno anche gliincontri dei gruppi dei coetanei, l’oratorio do-menicale, il coro dei giovani e dei bambini,perché attraverso i bambini e ragazzi si pos-sono attirare meglio i genitori. Ci sono poi degli episodi molto belli e inte-ressanti. Spesso, ad esempio, vengono da noile mamme che chiedono i vestiti per i figli.Quando arrivano, io vado con loro per pren-dere le cose, e bisogna attraversare la Chie-sa per arrivare ai locali della Caritas. Allora lì preghiamo insieme, ringraziamo Dioe io chiedo al Signore di proteggere quellefamiglie. È una cosa breve, però le mammepregano sinceramente. Un giorno, mentrestavo consegnando loro i vestiti della Cari-tas per i figli, mi sono accorta che una dellemamme aveva i figli molto sporchi, le loro fac-ce erano sporche di fango, non erano stati la-vati da almeno una settimana, avevano icappelli spettinati, i vestiti molto sporchi. Allora ho detto: “bene, mamme, io vi do lecose pulite, però voglio vedere i vostri figlilavati e puliti e che abbiano addosso queste

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Informazioninotizie e novità

dal mondodei media

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l’incertezza, al disorientamento, alla preca-rietà; la fatica di un’esperienza religiosaprofonda, incisiva, lontana dagli stereotipiche connotano la religiosità degli adulti.

I giovani sì, però…

Come ridurre, dunque, la distanza tra noi eil mondo giovanile? E soprattutto, come su-perare la tentazione di pensarsi inadatte aquesto grande compito?Il contesto in cui viviamo cambia ad una ve-locità a cui non siamo abituate: quella deimedia personali, degli smartphone, è unavera e propria rivoluzione, perché permet-tono di svincolarsi dal pc e di essere sem-pre connessi, di essere sempre in movimen-to, di condurre un’esistenza che non stac-ca mai la spina. Il Web, oggi, si è trasforma-to nel luogo della conversazione, del coin-volgimento, dello scambio continuo; insom-ma in uno spazio di partecipazione alla qua-le ci sentiamo, spesso, impreparate. I media attuali, in buona sostanza, hannosmesso di essere mediatori tra la persona eil mondo e sono diventati essi stessi prota-gonisti di primo piano del vivere sociale. Sequesta è la realtà in cui siamo immerse, oc-corre decidere se adattarsi semplicemente adessa, o abitarla e renderla abitabile, trasfor-mandola in un ambiente in cui la nostra uma-nità e quella dei giovani può esprimersi. Questa è, di fatto, la scommessa a cui l’eraipertecnologica ci sfida: puntare sull’uma-no con premura ed attenzione, per evitaredi lasciarci sopraffare da un modello tecni-co che ci è impossibile dominare, lenti co-

Comunicazione e missionePatrizia Bertagnini

Nel confronto difficile e stimolante del dialogo intergenerazionale le nostre capacità comunicative ed educative trovano il loro banco di prova. L’occasione di verifica che esso rappresenta per i modellirelazionali che adottiamo può chiaramente indicare se essi sonoinformati alla logica dell’Incarnazione,che chiede di passare dalla vigilanzaalla visibilità, dall’ascoltoall’accompagnamento, dallanarrazione alla evangelizzazione.

Abbiamo una missione

Nell’esperienza educativa di Don Bosco enella tradizione dell’Istituto, il dono del ca-risma si esprime in uno stile di vita conno-tato da un forte impulso missionari, una vo-cazione evangelizzatrice che si realizza pri-vilegiando l’educazione di chi si trova in si-tuazione di povertà e di rischio. In questa prospettiva la formula “evangeliz-zare educando ed educare evangelizzando”risponde bene all’impegno di fare dell’edu-cazione uno spazio in cui si comunicano si-gnificati utili per la crescita umana e cristia-na, e della evangelizzazione l’opportunitàdi far maturare la persona in pienezza sul-l’esempio di Cristo. Tale compito missiona-rio si incrocia, però, con una realtà giova-nile in continuo cambiamento che, in mol-ti contesti, evidenzia alcuni rischi: appiat-tirsi su un relativismo etico autoreferenzia-le; vivere la realtà virtuale come antidoto al-

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triplice accezione di attenzione a rimaneresvegli, capacità di andare oltre la mera appa-renza, attitudine a prendersi cura dell’altro.A ciò si aggiunga la necessità di svegliarsi edi aprire gli occhi su un mondo che – sebbe-ne non se ne renda conto – ha bisogno del-la stessa luce che ha dato chiarore alla nostraesperienza di vita. «[…] amati in quelle co-se che loro piacciono». Il tema dell’ascolto,sottolinea Mons. Pompili, «realizza operati-vamente un grado peculiare – forse il più al-to – della comunicazione». L’ascolto permeadi sé l’azione educativa a tal punto che l’e-ducazione stessa è, nella sua natura, un at-to di ascolto, di attenzione profonda alle do-mande dell’altro, di sintonia con il suo vissu-to e con le sue attese. In questo senso ama-re i giovani significa entrare con rispetto e de-licatezza nel loro mondo, nel loro spazio, fat-to più di paure che di speranze, più di incer-tezze che di prospettive, più di attese che diiniziative; accompagnarli a scoprire che an-che oltre la soglia di quel mondo hanno di-ritto ad essere riconosciuti nella loro unicitàed irripetibilità. «[...] imparino a vedere l’amo-re in quelle cose che naturalmente loropiacciono poco». La dimensione della narra-zione perché non esiste processo formativoche non sia narrativo e relazionale: si raccon-ta e ci si racconta negoziando il proprio sécon quello altrui e costruendo, in tal modo,significati, realtà eventuali, futuri possibili. Occorre coltivare la consapevolezza che rac-contare non è mai innocente, neutro o su-perficiale. Esso scomoda la nostra tran-quillità richiamandoci alla necessità di rimet-tersi in discussione, di proporsi ed accoglie-re l’altro in percorsi autobiografici che esi-gono autenticità di vita e radicamento nelVangelo. Il racconto più autorevole eprofondo è una Buona Notizia che aiuta adare alla propria vita una direzione signifi-cativa, ad orientare ad un senso ulterioreche interpella la responsabilità personale.

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Quale uomo e quale donna oggi abbia-mo dinanzi? Quali sono le sfide e gli aggiornamentinecessari per una vita consacrata che vo-glia vivere con lo stesso “stile” del Con-cilio, cioè in atteggiamento di dialogo edi solidarietà, di profonda ed autentica“simpatia” con gli uomini e le donne dioggi e la loro cultura, il loro intimo “sen-tire”, la loro autocoscienza, le loro coor-dinate morali?» (Congregazione per gliistituti di vita consacrata e le società di vi-ta apostolica, Scrutate, n.13, Roma, 2014).

me siamo a coglierne ed elaborarne i signi-ficati rispetto alla sua velocità di sviluppo.

Oltre ogni paura

Superare il timore di non essere compresi è,dunque, il primo passo per proporre ai gio-vani di oggi il messaggio cristiano. A tale traguardo si giunge acquisendo la con-vinzione che la nostra passione educativa sifonda sul linguaggio dell’amore che può es-sere compreso da tutti, in ogni tempo, in ogniluogo. In quest’ottica è possibile recupera-re la nostra tradizione come orizzonte entrocui collocarsi da comunicatori cristiani.«Che i giovani non solo siano amati, ma cheessi stessi conoscano di essere amati». La di-mensione della vigilanza declinata nella sua

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Veltroni si èadden t r a tonell’infanzia più in-visibile di oggi, andando alla ricerca di sto-rie particolari, di bambini che avessero qualco-sa di interessante da dire. E ne ha trovati molti. A dispetto dell’apparente semplicità, il cuore delfilm, è appunto il casting curatissimo: i prota-gonisti sono stati scelti da una rosa di 350. Volti significativi, rappresentanti di diversitàsociali e ogni tipo di trauma. Un filippino in ristrettezze economiche, unabambina nigeriana abbandonata dal padre,una giovanissima musulmana che dialogacon le altre religioni, il rom col padre in car-cere. Il piccolo circense, il genio matematico,il malato di leucemia allontanato dai compa-gni, due gemelle di cui una con sindrome diDown, la figlia di una coppia di lesbiche, i fi-gli orfani di un padre ebreo omosessuale e ilnipote di vittima del terrorismo. Ma ogni storia, anche le più toccanti e doloro-se, sulla bocca dei bambini diventano racconticoloriti di arguzia e schiettezza. Fuori campo, il regista apre il discorso con unadomanda semplice e poi lascia la scena al picco-lo protagonista di turno, che � timido o estrover-so, impacciato o divertito � la occupa con disar-mante autenticità. Si sorride spesso e si ascoltacatturati, anche per certe “pillole di saggezza sco-nosciute a molti adulti”. Facce fresche, nuove, occhi profondi che sannoaccompagnarsi bene alle parole pronunciate conaccenti diversi, da Nord a Sud e � anche solo conpoche immagini � riescono a farci conoscere si-tuazioni familiari e sociali. Da cinefilo qual è, il regista-politico apre il suoracconto mettendo in fila tante scene celebri difilm che hanno avuto nei bambini i loro eroi, a

I BAMBINI SANNO di Valter Veltroni, Italia, 2015

Mariolina Perentaler

’I bambini sanno’, il secondo film dell’ex sinda-co di Roma Walter Veltroni, interroga il nostrofuturo � sottoscrive concorde la critica. Esplora il mondo dell’infanzia con il suo stile,offrendoci uno sguardo importante su un mon-do costantemente trascurato». Il documentario arriva dopo il successo del pre-cedente ‘Quando c’era Berlinguer’ appenapremiato con il Nastro d’argento. È un viaggio attraverso l’Italia, la vita e il futu-ro, con gli occhi dei ragazzini. Parlano trentot-to bambini fra gli 8 e i 13 anni, “di tutti i cetisociali, di moltissime regioni italiane � spiega l’au-tore di diverse identità culturali e religiose. Raccontano il tempo della loro vita, il rappor-to con la famiglia, con l’amore, con la speran-za, anche con Dio”. Un progetto lodevole che cerca di restituire nel-la complessità di oggi la saggezza innata dell’in-fanzia. ‘I bambini ci guardano’ ammoniva Vit-torio De Sica, ‘I bambini sanno’, ribadisce Wal-ter Vetroni, ma bisogna fermarsi, stare adascoltarli. Ecco quindi il succedersi di spacca-ti di vita visti ad altezza di uno sguardo che in-tenerisce per l’innocenza e sconcerta per la con-sapevolezza (forse ‘inconsapevole’), riman-dando al quadro di un intero paese.

Il docufilm racconta la visione dei più piccoli

La struttura è semplice: l’intervista. Ma c’è unpuzzle dell’Italia di oggi e del futuro nei volti dei39 bambini che il regista ha “interrogato” tra lepareti rassicuranti della loro cameretta, svelan-do con grazia il ritratto variegato di una genera-zione. In questo suo lavoro ‘cede’ letteralmen-te la parola a loro, i bambini.

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partire dal piccolo Antoine Doinel (Jean-PierreLéaud) che chiudeva con una liberatoria cor-sa verso il mare il folgorante film d’esordio diFrançois Truffaut, ‘I quattrocento colpi’. È il primo straordinario battito di ali sul qualesi apre il film e annuncia: i bambini sono queifigli che possono ridare vento alla barca inca-gliata della nostra storia. Riportano in primo piano il loro movimento ‘vi-tale’, fisico, pulsionale di figli. Un tema caro al Veltroni narratore: la crisi, il do-lore, la sconfitta non sono chiusure, ma occa-sioni per dare più spessore e apertura alla vita. Anche oggi cioè si tratta di interrogare il pas-saggio tra le generazioni e scoprire appuntoche ‘I figli sanno’. Di potenziare un processo

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di filiazione � soprattutto dove appare solcatoda un trauma, da un vuoto, da un’assenza o dauna discontinuità insensata. Le parole dei bambini vanno prese sul serio co-me i loro desideri e la responsabilità degli adul-ti è quella di non lasciarli soli e di non soffocar-li con le loro attese e i loro pregiudizi. La dimensione politica del film consiste pro-prio nell’indicare come essenziale per ogni di-scorso educativo “la ricomposizione del pat-to simbolico tra le generazioni”: l’adulto nondeve scansare la responsabilità della rispostaalle inquietudini e alle speranze dei suoi figli.E questa risposta consiste, innanzitutto, nel-l’ascolto della loro parola.

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L’idea del film

Dopo il passato (Quando c’era Berlinguer) il regista e politico Veltroni invita e sceglie di guardare al futuro tramite l’infanzia.

«Lo fa alla ricerca dei valori della “sinistra chevorrebbe” (per citare uno dei suoi ultimi libri):pacifismo, uguaglianza, diritti civili � scrive Raf-faella Giancristofaro. Lo fa opponendo unaprimigenia, presunta purezza dei bambini al ci-nismo dell’età adulta/politica. Nella speranza che, facendoli enunciare ai suoiprotagonisti (gli adulti di domani) tali valori si im-primano nel Dna del Paese». È così ed è questo il pregio ma anche il limite delfilm. Invece di approfondire un discorso alto sul-le nostre responsabilità adulte, Veltroni si limi-ta a confermare un’idea dei bambini (e dell’Ita-lia) tutto sommato felice e ‘speranzosa’. La sua buona fede ci commuove ma non bisognaesagerare, bisogna restare sulla terra, tornare aibambini, alla loro condizione e al destino che noiadulti gli abbiamo preparato, gli prepariamo. Renderci responsabilmente consapevoli che ri-spettarli vuol dire saper cogliere quel che di nuo-vo e insieme eterno possono esprimere e posso-no darci. Ascoltarli vuol dire aiutarli a capire, aconfrontarsi con chi è disposto a insegnare loroma anche a imparare da loro, in un’ottica gene-rosa di cambiamento, liberazione, solidarietà.

Il sogno del film

La frase di una spettatrice dodicenne: “Spero che lo vedano i nostri genitori, così ci capiranno meglio”.

Walter Veltroni l’ha definita “il complimento piùbello”, tanto che l’espressione è stata scelta peril poster. Resta effettivamente lo slogan ideale, ca-pace di sintetizzare l’intento dell’autore come ilmessaggio dell’opera: “I bambini sanno molte co-se, possono insegnarle agli adulti”. Questa seconda regia di Veltroni parte da Il pic-colo principe di Antoine de Saint-Exupery: “I gran-di non capiscono mai niente da soli e i bambinisi stancano di spiegargli tutto ogni volta”. Anche per questo La Nazione commenta: «Tra‘I bambini ci guardano’ (1943) di De Sica e ‘Co-mizi infantili’ (2007) di Stefano Consiglio, il‘buonista’ Veltroni rimanda al mittente l’etichet-ta e conta su vera sensibilità di ascolto.» Nelle sue interviste e riprese ai bambini infat-ti, torna spesso una parola ed è ‘solitudine’. Inmolti dicono di sentirsi soli. Dal punto di vista pastorale l’opera è da nonperdere, sintetizza la CNVF: “Consigliabileper lo stimolo che propone come punto di par-tenza per arricchire l’argomento con ulterio-ri e importanti contributi in un dialogo conadulti e i bambini, in una dimensione ancheeducational e didattica”.

PER FAR PENSARE

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talebani che negano alla donna il diritto diistruirsi e progredire.Era molto fiero di quella sua primogenita, vi-vacissima e ardita, capace fin da piccola dipensare con la propria testa, con una vogliairresistibile di far cambiare quello che nelmondo vedeva di sbagliato. Ma era certo luiche l’aveva ispirata e incoraggiata.Una volta, passando accanto a una discarica,Malala aveva scorto una bambina con ungrosso sacco in mano, intenta a dividere l’im-mondizia in mucchietti (uno di tappi di bot-tiglia, uno di lattine ecc.) e l’aveva racconta-to al papà, pregandolo di andare a vedere. Lui era andato, aveva veduto altri ragazzini ascegliere nella discarica oggetti da riciclaree le aveva spiegato che probabilmente ven-devano per poche rupie ciò che trovavanonell’immondizia a qualche commerciante,che l’avrebbe a sua volta rivenduto a un’in-dustria di riciclaggio. Ed era tornato a casacon gli occhi bagnati di lacrime. Semprepronti, la mamma e il papà, ad aiutare qual-cuno. “Aba (papà), devi dar loro un posto gra-tis nella tua scuola !”. Erano in realtà già mol-te nella sua scuola le iscrizioni gratuite. Percombattere la miseria bisognava combatte-re l’ignoranza. Si sapeva che per questo il bra-vo maestro aveva ricevuto minacce, ma sem-brava impensabile che l’odio dei talebani po-tesse attentare alla vita di innocenti ragazzi-ne colpevoli solo di… andare a scuola.

Coraggio, libertà e giustizia

“Quella giornata era cominciata come tuttele altre - racconta la protagonista di questo

Malala Yousfzai Io sono MalalaAdriana Nepi

“Io sono Malala. Il mio mondo ècambiato, ma io no”... Termina cosìl’autobiogafia di questa ragazzina di sedici anni cui nel 2014 è statoconferito il Premio Nobel per la Pace.

Chi è Malala

Nata nel Pakistan, in un villaggio nella val-le dello Swat, ha riempito il mondo, si puòdire, della sua straordinaria vicenda, renden-do familiare la sua simpatica faccetta roton-da, la parola facile, il gesto energicamenteassertivo.«Vivo in un posto � scrive � che è cinque oreindietro di fuso orario rispetto al Pakistan.Ma il mio paese è indietro di secoli rispet-to a quello dove mi trovo ora. Quando sto alla finestra e guardo fuori, ve-do edifici alti, strade piene di veicoli in fi-le ordinate, marciapiedi puliti… Allora chiudo gli occhi e per un istante ri-torno nella mia valle: le alte montagnedalle cime innevate, il verde ondeggiantedei campi, le fresche acque azzurre dei fiu-mi, e il mio cuore sorride guardando la gen-te dello Swat… Poi mi ricordo di essere aBirmingham, in Inghilterra…».Il giorno in cui tutto è cambiato è il 9 otto-bre 2012. Stava andando a scuola, quel gior-no, con alcune compagne. Ma era, si può di-re, una scuola fuori legge. L’aveva fondata suopadre, prima che lei nascesse: era un uomodall’animo aperto e coraggioso, non legatoai pregiudizi ambientali, quale la pretesa dei

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comunicare

il lib

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libro avvincente come un romanzo � solo unpo’più tardi, dato che c’erano gli esami, e ione ero felice, perché avevo potuto continua-re a dormire tra il canto dei galli e la chiama-ta alla preghiera dai muezzin. La scuola non era molto lontana, era solo unviaggio di cinque minuti, ma mi piaceva an-darci in autobus, per incontrarmi e chiacchie-rare con le mie amiche…”.

Due sconosciuti fermarono l’autobus su cuiviaggiavano, chiesero chi fosse Malala (cono-scevano la sua propaganda a favore del dirit-to allo studio), e istintivamente le compagnesi voltarono verso di lei. Ci fu una sparatoria, dalla quale quasi mira-colosamente Malala uscì viva benché grave-mente ferita, mentre due compagne lo furo-no leggermente. La stampa di tutto il mondo divulgò la noti-zia e ci fu una gara per salvare la ragazzina,divenuta un simbolo del coraggio nel difen-dere la libertà e la giustizia. Trasportata in ae-reo in Inghilterra, affidata a eminenti specia-listi in neurochirurgia (quali erano necessa-

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ri per la natura delle lesioni), quasi miraco-losamente Malala sopravvisse… per conti-nuare la sua lotta. “Io so che è stato Dio a impedirmi di finiresottoterra. Ho l’impressione che quella chesto vivendo non sia più la mia vita, ma unasorta di seconda vita. La gente ha pregato Dio perché mi rispar-miasse e io sono stata risparmiata per una ra-gione, perché possa usare questa seconda vi-ta per aiutare gli altri… Una volta chiedevo a Dio quattro o cinquecentimetri di altezza in più” � dice alludendoal suo dispiacere adolescenziale di essere ri-masta piccoletta di statura �“ma in cambio miha reso alta come il cielo, talmente alta chenon sono più in grado di misurarmi… Io amo Dio. Ringrazio il mio Allah. Gli parlotutto il giorno. Donandomi questa diversa al-tezza da cui parlare alla gente, Lui mi ha con-ferito anche grandi responsabilità. La pace inogni casa, in ogni strada, in ogni villaggio, inogni nazione, questo è il mio sogno. L’istruzione per ogni bambino e bambina delmondo. Sedermi a scuola a leggere libri in-sieme a tutte le mie amiche è un mio dirit-to. Vedere ogni essere umano sorridere di fe-licità è il mio desiderio”.“Questa è la tua occasione”, pensai quandomi fu dato di parlare alle Nazioni Unite. Davanti a me c’erano quattrocento persone,ma io ne vedevo milioni, volevo raggiunge-re tutte le persone che vivono in povertà, ibambini obbligati a lavorare, quelli che sof-frono a causa del terrorismo o per la mancan-za d’istruzione. Speravo di parlare a ogni bambino, a ognibambina perché possano trovare il coraggiodi alzarsi e far valere i propri diritti. «Prendiamo in mano i nostri libri e le nostrepenne � dissi � sono le armi più potenti percambiare il mondo». Questa è la causa a cui voglio dedicare la miavita. “Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato, ma io no”.

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«Poor people gonna rise up / and take what’stheirs (I poveri insorgeranno / e prenderan-no ciò che gli appartiene...)». Inizia così il suoviaggio cantautoriale che la porta a raccon-tare il degrado delle periferie e le ingiustiziesociali. Non poche difficoltà incontra quan-do pubblicò nel 1989 la canzone Subcity conuna chiara e diretta critica al Presidente degliStati Uniti George Bush: «People say it doesn’texist / ‘Cause no one would like to admit / Thatthere is a city underground / Where people li-ve everyday / Off the waste and decay / Off thediscards of their fellow man. / Here in subcitylife is hard / We can’t receive any governmentrelief / I’d like to please give Mr. President myhonest regards / For disregarding me (La gen-te dice che non esiste / Perché nessuno vor-rebbe ammettere / Che ci sia una città sotter-ranea / Dove la gente vive tutti i giorni / tra irifiuti e il degrado / tra gli scarti del loro pros-simo. Qui nei sobborghi la vita è dura / Nonpossiamo ricevere alcun sollievo governo /Mi piacerebbe dare signor Presidente mieisaluti onesti / Per avermi ignorato)».

Dammi speranza: Gimme Hope Jo’anna

È stata una delle canzoni più cantate nel 1988in tutto il mondo. Il testo della canzone è unattacco esplicito di Eddy Grant, cantanteguyanese naturalizzato britannico, alla poli-tica di segregazione razziale chiamataApartheid e istituita dal dopoguerra dal go-verno di etnia bianca nel Sudafrica. Jo’anna,infatti, è il diminutivo della famosa città diJohannesburg dove si svolsero violenti scon-tri tra polizia e la popolazione di colore pro-

Tra città e periferia

Mariano Diotto

Le canzoni sono da sempre servite per denunciare le situazioni scomodee sensibilizzare il pubblico, i politici,la società sui disagi sociali e sulleimmoralità del mondo. La dualità tra città e periferia si è rivestita nel tempo di due posizioni ben precise: la città vista come innovazione e tecnologia, mentre la periferia come degradazione e povertà.

Negli ultimi anni la visione città-periferia sista rovesciando in quanto le città stanno di-ventando sempre più l’emblema del vuoto-costruito e dell’anonimato, mentre la peri-feria è segno di ritorno alle tradizioni, allanatura, alla semplicità.I cantautori coltivano dentro di sé questaparticolare sensibilità e, oltre alle tipichecanzoni d’amore, sanno anche commuover-ci affrontando questi temi così di attualità,ma allo stesso tempo spinosi, attraverso mu-siche e testi che parlano direttamente alcuore del pubblico, magari travestite da mo-tivetti orecchiabili o semplici ballate.

Chapman e la povertà che diventa riscatto

Era il 1988 quando apparve nella scena mon-diale questa cantante di Cleaveland che gra-zie ad una borsa di studio per studenti nerimeno abbienti, riesce a laurearsi in Antropo-logia e cultura afroamericana alla Tufts Uni-versity di Medford e ad arrivare al pubblicocon una canzone che è già passata alla sto-ria: Talkin’ ‘bout a Revolution dove dice:

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veniente dalle campagne. Nella canzonevengono anche citati i due Nobel per la Pa-ce, Nelson Mandela e l’arcivescovo anglica-no Desmond Tutu, che in quegli anni si bat-terono per la liberazione del popolo suda-fricano. Il motivetto molto allegro e ballabi-le riuscì a veicolare la canzone in tutto il mon-do portando un messaggio di libertà e la sen-sibilizzazione verso un problema che ilmondo occidentale tendeva ad ignorare.

Another day in Paradise con Phil Collins

Questa canzone, datata 1989, è il racconto deisenzatetto che ogni giorno vivono per stra-da senza una fissa dimora. «She calls out tothe man on the street / He can see she’s beencrying / She’s got blisters on the soles of herfeet / She can’t walk but she’s trying (Lei chia-ma l’uomo sulla strada / lui vede che lei hapianto / lei ha i piedi ricoperti di vesciche /non riesce a camminare ma ci sta provando)».Lo stile musicale di questa ballata è comple-tamente diverso da quello utilizzato dalcantante, fino a quel momento, e dai Gene-sis di cui per anni aveva fatto parte. Questasvolta su temi di sensibilizzazione sociale per-mise a Phil Collins di iniziare una nuova car-riera musicale con canzoni più significative

e di contenuto valoriale fino al suo ritiro uf-ficiale dalle scene musicali nel 2011.

Anche i cantanti contemporanei affrontanoquesti temi così impegnati: Where is love deiBlack Eyed Peas, Clandestino di Manu Chao,People are people dei Depeche Mode, LivingDarfur dei Mattafix, I clandestini di RiccardoCocciante dal musical Il gobbo di NotreDame, Chernobyl di Paola Turci, Heal theworld di Micheal Jackson, Working classhero dei Green Day, L’impossibile vivere diRenato Zero, La voce di Laura Pausini.

Tracy Chapman provoca con le sue parole:«What did I do deserve this / Had my trust ingod / Worked everyday of my life / ThoughtI had some guarantees / That’s what I thou-ght / At least that’s what I thought (Che co-sa ho fatto meritare questo / Avevo fede inDio / Ho lavorato tutti i giorni della mia vita/ Pensavo di aver alcune garanzie / È quelloche pensavo / Almeno questo è quello cheho pensato)». E come diceva Italo Calvino«D’una città non godi le sette o le settanta-sette meraviglie, ma la risposta che dà a unatua domanda» e queste canzoni sono di si-curo la risposta alla domanda di un mondopiù giusto ed equo con tutti.

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teresse e voglia di stare ad ascoltare: i vo-ti, la preghiera, la vita fraterna, la missio-ne, quest’anno anche il Capitolo Genera-le. Insomma, in quei (pochi per definizio-ne…) minuti che chiudono la giornata cidevono stare dentro le raccomandazionidi un anno intero su tutti i temi immagi-nabili… sarà mai possibile?

Quando ero giovane suora era piuttostodiffusa la battuta che i “2 o 3” minuti sug-geriti da don Bosco quale lunghezzaideale di una buonanotte, fossero stati tra-sformati in “203” minuti da direttrici trop-po zelanti. Era ovviamente una battutascherzosa (203 minuti sono quasi tre oree mezza, mica uno schiocco di dita) mamolte ispettrici di oggi (credetemi, mi so-no documentata accuratamente), consa-pevoli dell’esagerazione, sembrano avertolto la “o” e trattenuto soltanto le cifre.

Chissà che in cuor loro non si sianoconvinte che, in fondo, 23 minuti basta-no appena appena a restituire alle suorequanto viene loro sottratto? Del resto, di direttrici che la buonanotte,sempre più sovente, la sostituiscono conil telegiornale, il gioco della dama, i lavo-retti per il giorno dopo e quant’altro, èpieno il mondo!

Parola di C.

La Buonanotte è servita!

Che mi si voglia ascoltare o no, io ho l’ob-bligo morale di dirlo: anche le ispettricihanno attacchi di modernità che preoc-cupano non poco! Nessuna di voi, amiche mie carissime, siè accorta che, per stare al passo con i tem-pi, le nostre brave e sante superiore sna-turano una delle più belle tradizioni chel’Istituto ci ha lasciato. Ebbene sì anche labuonanotte, di salesiana memoria, è fini-ta nel tritacarne dell’epoca d’oggi!

Ma dico, avete mai partecipato ad una diquelle mute di esercizi spirituali in cui sivogliono rivoluzionare a tutti i costi le no-stre sane abitudini? Beh, lasciate che ve lo dica, io sì ci sonostata, e vi assicuro che sono un vero e pro-prio attentato alla nostra identità! In ge-nere dopo la prima conferenza del pre-dicatore inizia un momento lunghissimodi silenzio e riflessione personale che cul-mina nelle celebrazioni della sera. Sarebbe anche una bella esperienza senon fosse che il più delle volte sacrifical’incontro con l’ispettrice che, defrauda-ta di un’occasione così ghiotta per arrin-gare le suore, si ritaglia un sostanziosospazio d’intervento alla buonanotte.

Ed ecco così questo bel momento dei no-stri dì trasformato in una specie di predi-ca serale che, dopo una giornata intera dipreghiera, non si ha tanto entusiasmo, in-

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comunicare

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illa

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DOSSIER: ALLARGATE LO SGUARDO...MISSIONARIETÀ

La missionarietà non è sol

o questione di territori geo

grafici,

ma di popoli, di culture e d

i singole persone.

La vita cresce e matura nel

la misura in cui la si dona p

er la vita degli altri.

Tutti siamo inviati sulle stra

de del mondo per cammin

are con i fratelli,

testimoniando la fede in C

risto e annunciando il suo

Vangelo.

CULTURA ECOLOGICA: IL MESSAGGIO DELLA BIODIVERSITÀ

L’agrobiodiversità è il frutt

o dell’incontro di cultura e

natura.

È espressione delle diverse

civiltà che lungo i secoli

hanno trovato nelle divers

e aree abitate del pianeta,

svariati modi di produrre

cibo, modellare paesaggi,

inventare le più incredibili

soluzioni tecniche.

FILO DI ARIANNA: IL RICONOSCIMENTO DELL’ALTRO

Dinamismo comunitario d

i preferenze e repulsioni.

Conseguenza sulle person

e e sulla comunità:

gelosie, divisioni, contrap

posizioni, dipendenze.

Prospettive di sblocco.

COMUNICARE:COMUNICAZIONE E ANIMAZIONE

Creare partecipazione ed a

ccettare di essere coinvolt

i,

nell’ottica di una costruzio

ne condivisa dei processi e

ducativi

e comunicativi.

CARISMA E LEADERSHIP: STUDIA DI FARTI AMARE

Le tematiche affrontate ne

l testo,

con riferimenti carismatici

a Don Filippo Rinaldi sono

:

segretezza e confidenza, s

ospensione del giudizio,

chiavi di una buona anima

zione.

da mihi animas:

il nostro modo di crescere insieme

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CHI SA DI ESSERE AMATO, AMA, E CHI È AMATO OTTIENE TUTTO,

SPECIALMENTE DAI GIOVANI”. DON BOSCO

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdmadamihianimas