Rivista DMA - Povertà e Sobrietà (Novembre - Dicembre 2010)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE damihi animas 2010 Anno LVII Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma POVERT À E SOBRIETÀ

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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damihianimas2010Anno LVII Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

POVERTÀ

E SOBRIETÀ

4 EditorialeUn’attenzione sempre presentedi Giuseppina Teruggi

5IncontriPovertà e sobrietà

13Primopiano14Il perchè di FrancescoSan Francesco di Sales e le Fma

16Radici di futuroTestimonianze che fanno la storia

18Amore e Verità Per una tecnologia umanizzante

20Filo di AriannaDalla massa alla comunità

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas

Mara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola Pignatelli

Lucia M. Roces • Maria Rossi

foto di copertina / Elio Scarciglia

27In ricerca 28CultureLa sapienza dell’India

30 PastoralmenteCoordinamento e testimonianza di comunione

32Donne in contestoLeadership al femminile

33Parole chiaveComunione e testimonianza

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ANNO LVII • MENSILE / NOVEMBRE DICEMBRE 2010

35Comunicare36Faccia a facciaPer casa il mondo

38Comunicare la fedeComunicazione divina

40Video 8 - Voi cosa siete disposti a fare?

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroOscar RomeroPastore di agnelli e lupi

46CamillaIl sogno di Camilla

n.11/12 novembre dicembre 2010Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970

Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

giovare all’altro”. Mi pare sia questa la pre-messa per vivere relazioni umane aperte, li-bere. Freud sosteneva che, per conoscere eincontrare una persona, è necessario acco-starla con una “attenzione sempre presen-te”. A commento di questo, un Autore mo-derno rileva come il farsi piccolo è propriodi chi “ha un’aspirazione che non ha altroscopo che la ‘volontà personale dell’altro’;tutto lo scopo di questi sforzi è favorirel’autonomia dell’altro, e l’unica intenzioneconsiste nel prescindere da se stessi”.

In tale ottica, è possibile andare oltre “l’in-volucro duro e insignificante”, come quel-lo di un’ostrica, dietro cui possono na-scondersi perle di straordinario valore.Anche dietro la scorza più dura, dove èpure auspicabile un miglioramento, la viapiù efficace è fare entrare la calma e lachiarezza nella sua vita, finché la confusio-ne, il male, la finzione possano svanire dasé. E questo, in forza del clima di rispetto,di attenzione sempre presente, di caloreumano nell’impegno di un accompagna-mento che non sostituisce l’altro. Vivere lasobrietà personale che supera i protagoni-smi. Assumere una povertà sobria. È acco-gliere la sfida della relazione riuscita.

[email protected]

Un’attenzione sempre presenteGiuseppina Teruggi

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Vivere relazioni interpersonali serene, in re-ciprocità, diventa spesso una sfida. Nelle fa-miglie, in comunità, nelle aggregazioni a vol-te trapelano, su questo tema, toni di pessi-mismo. Sono propri dei ‘profeti di sventura’,che compromettono seriamente la comuni-cazione, minano quel bisogno di speranza edi positività a cui tutti in genere aspiriamo.In una comunità che intende essere evange-lica ed è abitata dalla grazia, non è pensabi-le che venga sminuita, spenta la speranza.

Condizione per uno stile relazionale chealimenti vita e speranza è la scelta libera diuna povertà sobria, alternativa alle provo-cazioni della “società consumista dovetroppe cose diventano indispensabili”. C’è un rapporto tra povertà e relazione in-terpersonale? Nel testo dell’Intervista di questo numero,si fa notare che “a lungo andare dallo spiritodel possesso sulle cose si passa inevitabil-mente all’auto-possesso con la conseguen-te perdita della gioia di appartenere al Si-gnore e di partecipare al suo mistero”. “Ogniforma di povertà richiede uno specifico tipodi aiuto, ma alla radice bisogna riconoscereche non basta dare qualcosa, è necessariooffrire se stessi in bontà, attenzione d’amo-re, umile servizio in tutto quello che può

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Povertàe sobrietà

stessi per rinascere in novità di vita, unavita pienamente evangelica, irradianteamore puro, libero, gratuito. Per il mondosono un’assurdità, per chi è chiamato so-no, ancor prima che una scelta e un impe-gno, un dono inestimabile. Nella lettera apostolica Vita consecrata, laconformazione a Cristo, che è l’essenzadella vita religiosa, passa proprio attraver-so l’impegno di fedeltà a questi tre voti.Se vissuti come un legame di amoresponsale, essi imprimono con particolarelucentezza nell’anima consacrata il con-trassegno della Santissima Trinità, ossiasono un «riflesso dell’amore infinito chelega le tre Persone divine» (castità), «deldono totale di sé che le tre Persone divi-ne reciprocamente si fanno» (povertà),«dell’amorosa corrispondenza delle TrePersone divine» (obbedienza). Il contesto sociale in cui spesso oggi cisi trova a vivere la propria consacra-zione costituisce un’insidia perma-nente alla coerenza della condottacon i voti professati.Vivere la povertà in una società consumi-stica dove troppe cose diventano indi-spensabili, irrinunciabili è eroico. A lungo andare, dallo spirito di possessosulle cose si passa inevitabilmente all’au-to-possesso con la conseguente perditadella gioia di appartenere al Signore e dipartecipare al mistero della sua spoglia-zione e oblatività.

Povertà e sobrietàMara Borsi, Lucy Roces

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Per approfondire il tema di questodossier abbiamo intervistato treconsacrate con esperienze diverse.Madre Anna Maria Cànopi, Abbadessabenedettina che vive nel monastero“Mater ecclesiae” sull’isola di SanGiulio; suor Mary John Mananzan,Filippina, delle Sorelle MissionarieBenedettine attivamente impegnatanel contrasto della tratta degli esseriumani e nella promozione della donnae suor Maria Pia Giudici FMA,fondatrice della casa di spiritualità“San Biagio” a Subiaco.Le interviste mettono in luce il legametra la povertà evangelica e uno stile di vita semplice, libero, sobrio a servizio degli altri. Vivere la povertà nella consacrazionea Dio è una maniera di abitare il mondo e di relazionarsi con gli altri,le cose, la natura.

1. Che rapporto vedi tra il tuo stile di vita(consigli evangelici) con la buona notiziadel Vangelo?

Cànopi - Per il loro carattere di libera scel-ta, i voti di castità, povertà e obbedienzacomportano un cammino di radicale se-quela di Cristo e di piena conformazionea lui. Sono la via stretta della morte a se

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Mananzan – L’unico stile di vita credibileper un cristiano e molto più per chi vivela consacrazione è quello del Buon sama-ritano. Così vuoto di se stesso e perciò ca-pace di accorgersi della sofferenza e del-la difficoltà degli altri.

Giudici – La buona notizia del Vangelo èsostanzialmente questa: “Dio ha tantoamato il mondo da mandare il Suo Unige-

nito, perché chi crede in lui sia salvato.”Salvato da che cosa? Dal non senso e daquegli attaccamenti (possesso di cose epersone) che chiudono il cuore e impedi-scono di lasciarsi salvare. Da questo pun-to di vista decidersi per una vita comuni-taria segnata da povertà, castità, obbe-dienza, significa entrare nell’esercizioquotidiano del lasciarsi liberare dal pos-sesso di cose (povertà), di persone (ca-

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Anna Maria Cànopi. Scrittrice molto fe-conda e profonda erudita della letteratura dei

padri della chiesa, è autrice di molti libri sullaspiritualità monastica e spiritualità cristiana.

Ha collaborato all’edizione della Bibbia della CEI,al catechismo della chiesa cattolica e alle edizioni dei

nuovi messali e lezionari. Ha preparato il testo della Via Crucis di Giovanni Paolo IIal Colosseo nel 1993. Nel 1995 è intervenuta al Congresso del-la Chiesa italiana di Palermo e ha portato la sua testimo-nianza di monaca benedettina al Convegno dei giovanieuropei tenutosi a Loreto.

Mary John Mananzan. Nel 1980 ha fondato laONG Pilipina che ha lo scopo di promuovere la di-

gnità della donna e la sua partecipazio-ne alla vita pubblica. Nel 1985 ha

fondato l’Institute of Women’s Stu-dies, il primo nelle Filippine, con-

nesso al St. Scholastica’s College. Nel1986 è diventata presidente di Gabriela un’associazioneche combatte il traffico delle donne e delle bambine, laprostituzione e i matrimoni combinati.

Maria Pia Giudici. Ha insegnato lettere e si è interes-sata dei problemi educativi circa i mass media.

Ha unito a queste attività quella di pubblicista collaborando adiverse riviste e scrivendo diversi libri. Da molti anni vive a S. Bia-

gio, uno dei primi dodici piccoli monasteri dell’Occidente. Con altre consorelle si dedica all’approfondimento orante della Parola, accogliendochi vuole aprirsi a questa esperienza nello Spirito. Da trent’anni offre, soprattutto aigiovani, possibilità di liberarsi dalle scorie della vita nella pace del Creato che parla.

re gli uomini con Dio. La nostra stessaesperienza ci mostra che sempre più nu-merosi sono i “poveri” che chiedonoospitalità e vengono a cercare in mona-stero quel ristoro che Gesù offre agli affa-ticati e agli oppressi nello spirito. Spessobussano alla porta del monastero anchepersone bisognose di ristoro fisico e psi-cologico, perché stressate dal rumore edalle molte tensioni dell’ambiente in cuivivono. A tutti giova come terapia la paceche scaturisce da una vita comune fonda-ta e costruita sulla carità di Cristo.

Mananzan – La sofferenza delle donne sfi-da e continuamente interpella la mia vitae la mia comunità. Partecipare a program-mi contro il traffico degli esseri umani elavorare per il riscatto delle vittime dellaprostituzione e degli abusi ha offerto unsenso più profondo alla mia consacrazio-ne. Il modo radicale con cui alcuni laici siimpegnano a cercare la Verità mi sfida avivere i voti in particolare la povertà conmaggiore radicalità. Anche la mia comu-nità è coinvolta attivamente in questeazioni di sensibilizzazione e di contrastodegli abusi e della violenza. Esprimiamola solidarietà con i poveri e i perseguitatiattraverso la testimonianza comunitariadella povertà e della compassione.

Giudici – La testimonianza evangelica daoffrire mi pare nasca dal prendere sul se-rio la parola evangelica: “Quello che ave-te in sovrappiù datelo ai poveri”. La politica delle formiche con strategiedi accumulo diligente non può essere lanostra. Se, come tutti, lavoriamo (e guaiall’ozio forse rivestito di devozione) lastrategia giusta è di vedere, in concreto,quel che è da gestire per il bene comu-nitario e quello che è decisamente da

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stità) e dalla potenza dell’ego (obbedien-za), per cantare la vita come gli uccellidell’aria che non seminano e non mieto-no eppure Dio pensa a loro. Credere, difatto, non a parole, all’incomparabile po-tere salvifico di Dio.

2. Riguardo alla povertà e alla solidarietà,quale testimonianza evangelica potrebbeoffrire una comunità religiosa in un mondoa volte oppresso da tanta miseria?

Cànopi – Grattacieli e catapecchie, lussosfrenato e atroce miseria, cibi buttati via epersone che muoiono di fame: contrastoraccapricciante che sta ormai, con i mass-media, sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, que-sta amara constatazione è ancora la menograve; vi sono, infatti, tante forme di po-vertà nascosta, ma non meno drammatica:è la povertà spirituale che porta l’uomo aperdere il senso stesso della vita. Le piùsquallide povertà, infatti, possono nascon-dersi sotto le più appariscenti ricchezze.Ogni forma di povertà richiede uno speci-fico tipo di aiuto, ma alla radice bisogna ri-conoscere che non basta dare qualcosa, ènecessario offrire se stessi in bontà, atten-zione d’amore, umile servizio in tuttoquello che può giovare al fratello, veden-do innanzitutto un fratello in ogni uomo.A questo riguardo le comunità religiosehanno un vastissimo apostolato da svol-gere, non solo ponendosi direttamente aservizio degli ultimi, dei poveri, degli ab-bandonati, ma anche, e principalmente,attraverso il ministero della preghiera edella consolazione. Attraverso il serviziodell’ospitalità e la condivisione della pre-ghiera corale e della lectio divina, i collo-qui e i ritiri spirituali, le comunità religio-se possono diventare una tenda ospitale,la “tenda del convegno” per far incontra-

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dare, magari prendendo contatto condeterminati ambienti di missioni dove“grida” la povertà materiale.

3. Quale connessione tra povertà, servizioe identità cristiana?

Cànopi – Vera identità del cristiano è la suapiena conformazione a Cristo che, per sal-varci, «pur essendo di natura divina…,spogliò se stesso, assumendo la condizio-ne di servo» (Fil 2,6-7). Povertà e servizioin lui coincidono. Egli è il nostro modello. Durante l’ultima Cena, dopo il gesto diumilissimo servizio che è la lavanda deipiedi, disse ai suoi discepoli: «Vi ho da-to infatti l’esempio, perché come ho fat-to io, facciate anche voi» (Gv 13, 15).

Conformarsi a Cristo significa, dunque,nelle concrete situazioni in cui si vive e silavora, saper dire con spontaneità: «Sonovenuto per servire, non per essere servi-to» (cf. Mt 20,28). Infatti, perché la confor-mazione a Cristo sia autentica, è necessa-rio che la vita intera – non solo qualcheaspetto o momento di essa – sia vissutacome “servizio”, mettendosi cioè semprea disposizione per il bene degli altri, anzi,diventando un bene per gli altri. Si trattanon solo di fare qualcosa a favore degli al-tri, ma di essere persone per gli altri, co-me Gesù è “per noi”.Questo esige una scelta di radicale po-vertà; la povertà propria di chi è dispostoa rinnegare se stesso per gli altri, sempre

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croce. Dal suo esempio nasce la forza di andare sempre oltre le misure e le “conve-nienze” umane, accettando non solo la fatica, ma anche le umiliazioni che spessoil servizio comporta. Per servire gli altri bisogna veramente farsi piccoli, poveri,umili, fino a sapersi davvero mettere ai

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anteponendoli a sé.Le conseguenze so-no veramente rivolu-zionarie, di quella ri-voluzione pacifica cheè la vita evangelica.Infatti chi vive peressere al servizio de-gli altri evita in ognimodo di entrare incompetizione e in ri-valità con i fratelli ele sorelle, non agiscesotto la spinta del-l’ambizione e dell’e-goismo, fugge l’osti-lità, la violenza, l’ag-gressività; non avan-za diritti per sé, nonsi preoccupa di rice-vere il contraccam-bio per quello che fa.L’identità del cristia-no – e tanto più deiconsacrati – si devecaratterizzare per unsovrappiù di amore,che fa il bene gratui-tamente, comunquee sempre, senza pau-ra di “perdere”. Anzi,proprio nella consa-pevolezza che quan-do gli altri non ri-cambiano il bene ricevuto, sul piano spiri-tuale si guadagna di più, perché si diventapiù conformi a Cristo. Guardando a lui, nonsi può più accontentarsi di arrivare soltanto“fino a un certo punto”, perché egli non si è fermato lungo la salita del Calvario, ma ha servito l’umanità fino a salire sulla

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loro piedi, sull’esempio di Cristo. E questo è il segreto della vera santità.

Mananzan – Il Vangelo si sintetizza nell’a-more verso Dio e verso gli altri fino a per-dere la vita. Vivere così costituisce l’iden-tità cristiana che richiede come Gesù disvuotarsi da se stessi.

Giudici – Penso, naturalmente, a Gesù, ilpovero per eccellenza, che, essendoDio, si è spogliato persino della gloriadivina, fino a vivere da servo: “Io sonotra voi come colui che serve”. Se davvero, tramite la Parola di Dio chemedito, prego e cerco di vivere ognigiorno, mi lascio plasmare così da somi-gliare in qualche modo a Gesù, “servodi Jahvé” è chiaro che divento quelloche sono chiamata ad essere, entrocioè, nella mia vera identità di donnacristiana e religiosa.

4. A causa di un’interpretazione riduttivadella povertà in quali errori potrebbe in-correre una comunità religiosa? Qual è invece lo stile di sobrietà che portaalla condivisione e alla gioia?

Cànopi – All’interno della Chiesa vi sonodiversi modi di realizzare l’ideale dellapovertà a seconda della spiritualità dellafamiglia religiosa cui si appartiene. Resta, però, vero per tutti che la povertàper essere veramente evangelica nonpuò mai essere ridotta all’aspetto solomateriale, ma va sempre ricondotta allasua radice spirituale, che è la rinunzia adautopossedersi. Ed è a questo livello chela povertà da “mancanza di qualcosa” di-venta sorgente della più pura gioia: lagioia di appartenere totalmente al Si-gnore e di dipendere dalla sua provvi-

denza. È la povertà di spirito di cui Ge-sù parla come di una “beatitudine”.La povertà del monaco che segue fedel-mente la Regola di san Benedetto ha ilsuo fondamento nella rinunzia alla vo-lontà propria, per un cammino di obbe-dienza e di unificazione interiore. SanBenedetto non nasconde al monaco chela via da percorrere per giungere a que-sta “semplicità” di cuore, a questa infan-zia spirituale, è dura e faticosa e richie-de ascesi, vigilanza, continua lotta con-tro il peccato, in particolare contro il“vizio” di proprietà, radice di tanti malie di tante difficoltà per la vita personalee comunitaria (cf. Regola, c. 33,1). La ragione della completa rinunzia a pos-sedere sta nell’oblazione totale che il mo-naco ha fatto di se stesso a Dio. Egli infat-ti «non ha neppure il diritto di disporredel proprio corpo e della propria volontà»(RB 33,4).Tale rinunzia a tutti i beni è fatta una voltaper sempre al momento della professionesolenne, tuttavia, perché resti pura e tota-le, va continuamente rinnovata. Ed è pro-prio in questo quotidiano distacco da séche nasce e cresce la “virtù” della povertà. È lo Spirito Santo, infatti, che ci “dona” diessere poveri, perché è lui che ci dona diamare e quindi di donarci, di spogliarciper colmare gli altri ed essere dagli altricolmati. Il monaco è ben consapevole che quantoriceve è frutto del lavoro, della fatica edella generosità di tanti uomini. Nel pane che ogni giorno mangia sa allo-ra umilmente scoprire un tesoro prezio-so e gustare un più intenso sapore, chenon solo nutre il suo corpo, ma gli arric-chisce anche lo spirito.

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Egli vive così nella gioia della comunionee della condivisione, nella gioia di averetutto in comune con i fratelli e di diventa-re egli stesso un “bene comune” a dispo-sizione degli altri: è la gioia che animavala prima comunità cristiana (cf. Atti degliApostoli 2,44-47; 4,32-35).

Mananzan – La povertà non è in sé unavirtù. Il distacco, lo stile di vita sempli-ce, la prontezza a condividere ciò che siha e si è, la compassione verso i più po-veri questo è virtù. Infatti nella ONG che dirigo lavoriamoperché i poveri possano raggiungere unlivello di vita più umano e siano capacidi provvedere alle loro necessità di ba-se partecipando così alla condivisionedei beni della terra che sono da Dio de-stinati a tutti. Nella società attuale caratterizzata daun eccesso di consumi dovremmo esse-re sempre attenti alla distinzione tra“bisogni e voglie”.

Giudici – C’è una rinuncia al possessopersonale delle cose. E va bene. Ma è pericoloso ottenere tuttodalla comunità con l’alibi che fa dire:“Tanto non è mio quello che ho chiesto”. Un “nido” con ogni comfort te lo puoifare con questa poca chiarezza di co-scienza. Lo stile di sobrietà invece muo-ve dalla persuasione che si può fare ameno di molte cose e coincide con lagioia della libertà da esigenze inutili cheintorbidiscono il nostro spirito.

5. Quale percezione hai attualmente dellarelazione tra povertà, libertà e potere?

Cànopi – La risposta a questa domanda èla sintesi di tutto quello che prima è stato

detto: là dove la povertà è autenticamen-te evangelica, è certamente esperienza dilibertà: libertà dalle catene dell’egoismoe dell’avidità, libertà da calcoli o da angu-sti programmi di vita, libertà dalle preoc-cupazioni mondane; ma soprattutto è li-bertà di offrirsi totalmente, libertà di cor-rere sulla via dei divini comandamentinon appesantiti da inutili fardelli, libertàdi sapersi figli amati da Dio. Ne consegueche il potere – ogni forma di potere – per-de di attrattiva, mentre acquista valore lapossibilità di servire i fratelli e poter così,attraverso di loro, dire il proprio grazie alPadre, che per mezzo del Figlio ci ha ria-perto le porte del cielo e nello Spirito ciguida sulla via regale della carità, l’unicotesoro che troveremo nella vita eterna.

Mananzan – Difendere i diritti dei più po-veri e combattere contro la corruzione ela prepotenza libera dalle proprie preoc-cupazioni, mette a rischio la propria vita,e l’unico potere che puoi esercitare èquello sulla tua decisione di donarti libe-ramente per amore.

Giudici – Vivendo per grazia di Dio, in unambiente semplice, in un’antica casa dimontagna, non ho una precisa percezio-ne della relazione tra povertà, libertà, epotere. A volte, però, recandomi in altriambienti per qualche necessità, ho la sen-sazione che siano eccessivamente curatie super decorosi che sembrano non sfio-rare la povertà e la sobrietà.

[email protected]@cgfma.org

Approfondimenti biblici

educativi e formativi

Questo ed altri momenti decisivi per lanuova istituzione avvengono sotto la pro-tezione di san Francesco di Sales. Così an-che per il giorno della prima Professionereligiosa delle FMA (5 agosto 1872). Alleprime religiose del nuovo Istituto, il padree fondatore richiama san Francesco di Sa-les come modello di delicatezza di tratto.Le prime Regole del 1878 contengono va-ri riferimenti a san Francesco di Sales: vie-ne indicata la sua Filotea adattata alla gio-ventù tra i testi per la lettura spirituale. Siprescrive di celebrare “con particolare di-vozione e solennità le feste di san Giusep-pe, san Francesco di Sales, Santa Teresache sono i Patroni particolari dell’Istituto”.

Formatrice affabile e piena di bontà

Negli articoli delle costituzioni sulla Mae-stra delle novizie, inseriti da don Bosco efrutto di una lunga e ponderata revisione,si trovano riferimenti impliciti, ma eviden-ti, a san Francesco di Sales quando si trat-teggia la figura della formatrice che deveessere “affabile e piena di bontà” e quan-do si descrive lo spirito dell’Istituto: «Nondimentichi che lo spirito dell’Istituto èspirito di carità e di dolcezza, spirito diabnegazione e di sacrifizio, e perciò pro-curi d’informare e di animare le Noviziecon questo spirito, affinché fatta profes-sione riescano abili strumenti della gloriadi Dio e della salute delle anime». Dalprologo delle nostre Costituzioni, in cui

San Francesco di Sales e le FMAGraziella Curti

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Anche nell’Istituto delle FMA don Bosco volle che si mantenesse il riferimento esplicito e vitale a san Francesco di Sales. Piera Cavaglià, attraverso uno studioattento, ci segnala le fonti piùsignificative a questo riguardo.Seguendo le sue indicazioni, potremoricuperare il perché e il come il nostro fondatore l’ha scelto come protettore del nostro Istituto.

Fin dalle origini

Mornese 1972. Don Pestarino, dopo averparlato con don Bosco, raduna le Figliedell’Immacolata per un discernimentosulla loro vocazione. Di fronte alle Rego-le che venivano proposte, ognuna deci-desse se si sentiva chiamata alla nuovaistituzione. «Il 29 gennaio [1872], festa di san France-sco di Sales [don Pestarino] eseguì quan-to gli era stato suggerito dal suo superio-re. Radunò, senza nulla dire ad alcunestraneo, quelle che vivevano nella casavicina alla chiesa, con tutte le altre delpaese; e ripetuto quanto don Bosco gliaveva consigliato, recitato il Veni CreatorSpiritus col Crocifisso esposto sopra untavolino fra due candelieri accesi, passòalla votazione. Erano presenti ventisetteFiglie dell’Immacolata ed ebbe l’incaricodi scrutatrice Angela Maccagno».

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don Bosco elenca le Virtù proposte allostudio delle Novizie e alla pratica delleProfesse, si può dedurre, in particolare,come si riallacci indirettamente a France-sco di Sales quando raccomanda la caritàfinalizzata all’educazione della donna. Gliaggettivi con cui viene presentata sono si-gnificativi, così pure la finalità: «Carità pa-ziente e zelante non solo verso l’infanzia,ma ancora verso le giovani zitelle e versoqualsiasi persona, allo scopo di fare ilmaggior bene possibile alle anime». An-che la sintesi di vita tra contemplazione eazione, tra Marta e Maria, che conclude iltesto, diventa riferimento, sia pure indi-retto, al Vescovo di Ginevra che riusciva aconiugare, con grande equilibrio, azioneapostolica e unione profonda con Dio. Si intravede un evidente e forse inten-zionale riferimento ai motivi della scel-ta di san Francesco di Sales come patro-no della Congregazione: mansuetudinee dolcezza, zelo per la salvezza delleanime tramite l’esercizio della carità,sintesi tra contemplazione e azione.

San Francesco di Sales, oggiIn questi ultimi anni, l’Istituto delle FMAsta cercando di ricuperare la “radice sa-lesiana” del carisma grazie a molti stimo-li che ci sono stati dati soprattutto da Ma-dre Antonia Colombo, che in numerosecircolari ci ha additato san Francesco diSales come modello di vita e di metodo-logia educativa. Significativa è l’afferma-zione densa e ricca di riferimenti dellasua circolare del 24 dicembre 1997: «DonBosco ha voluto come modello e protet-tore della sua missione tra i giovani Fran-cesco di Sales, l’infaticabile vescovo diGinevra che ha aperto a tutti, senza di-stinzioni, le vie dell’ascetica cristianamostrando l’essenza della vita spiritualenell’amore di Dio (Teotimo).

Il nostro fondatore si è ispirato al suoumanesimo e soprattutto alla sua vita diuomo dal cuore mite, animato dallo spi-rito di dolcezza, maestro sicuro di vitanello Spirito mediante gli atteggiamentipersonali, la parola e gli scritti. L’amorealla Chiesa, alimentato dalla fede nelloSpirito che opera nella storia, lo ha spin-to a valorizzare i nuovi mezzi di comu-nicazione sociale per dialogare con lacultura del suo tempo e permeare di va-lori evangelici le strutture sociali, ren-dendole più umane».

Pure nel Progetto formativo dell’Istitutosono numerosi i richiami al nostro pro-tettore. Ultimamente, nella presentazio-ne degli Atti del Capitolo Generale XXII,la Madre, suor Yvonne Reungoat indi-cando come radice della passione cari-smatica l’amore, ci richiama a quellostesso “amore che ha permeato l’esi-stenza di san Francesco di Sales”.

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Terreno fertile, anche se duro, ma fecondo.La semplicità, la cordialità, l’ospitalità pro-prie della cultura uruguayana facilitano l’in-culturazione dello spirito mornesino cheavvolge di gioia i molteplici sacrifici e l’e-strema povertà delle origini: «Dove siamo?Siamo alla casa delle suore, ci dicono; ed in-fatti scorgiamo una casetta in mezzo ad unboschetto, e poi le suore che correndo ve-nivano ad incontrarci. Ci fecero tutti i com-plimenti possibili alla moda italiana edamericana, e seguirono due giorni di festa».3Uno stile di relazione, quello che caratte-rizza il Mornese americano4, che si mantie-ne nel tempo: «Arrivai in Uruguay come mis-sionaria nel 1955. Nessuno mi conosceva eio non conoscevo nessuno, però mi ricevet-tero e mi vollero bene tutte, nonostante lamia povertà (…). La direttrice, sr Iris Piccini,mi fece sentire il bene che mi voleva; que-sto spirito di accoglienza credo sia propriodel modo di essere delle uruguayane».5Prima della pubblicazione delle lettere dimadre Mazzarello – testimoniano le sorelleuruguayane nel primo volume di quella in-teressante pubblicazione intitolata Mujeresque hacen historia6 – non si conosceva inprofondità lo stile di animazione comunita-ria che traduce al femminile il Sistema Pre-ventivo e lo arricchisce con apporti origina-li7. Eppure varie sorelle per tanti anni hannoincarnato – e non solo nel tempo delle ori-gini – lo stile di maternità proprio di madreMazzarello e delle prime sorelle: «Ho fatto

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Dalle “esiliate nell’isola di Flores” una eredità che perdura nel tempo.(14 dicembre1877)

«Cara Madre, abbiamo tardato fino adessoa scriverle a cagion del mal di mare chespesso ci ha molestate… Dunque sappia, onostra buona Madre, che il viaggio fu feli-cissimo oltre ogni dire… Dopo la colazionece ne andavamo in sopracoperta, e là nonvoglio dirle che lavorassimo, perrocchè, aduna girava la cabeza, l’altra sentivasi lo sto-maco rivolto, e così non potevamo lavorare.E il più delle volte offrivamo il lavoro al Si-gnore e dormivamo… Eppure abbiamo fat-to il catechismo…»1 Dopo un mese di viag-gio, le prime notizie delle missionarie “inquarantena” nell’isola Flores, poco distanteda Montevideo, arrivano a Mornese. Undialogo fresco, familiare, quasi ingenuo:«La chiamano Flores, ma son tre isole uni-te: nella prima vi sono altri “quarantenari”;nella seconda ci siamo noi ed è piena di lu-mache e bisce-altro che fiori! La terza è pie-na di conigli, di “gabiote” e di vacche». Manon ci si scoraggia anche se qui – scrive ilbuon Costamagna – non si sente parlar d’al-tro che di interessi: «Per l’interesse si sudae si soffre e noi che non dovremmo fare pelgrande interesse del Paradiso».2Il seme del carisma educativo, carico disogni di vita, di pace, di attenzione allepovertà giovanili di sempre cade in unaterra tanto assetata di vita e di giustizia.

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

professione nel 1963 e ho provato la gioia dicondividere la missione con le sorelle. La-voro e preghiera hanno forgiato in me la for-za di donna evangelica. Come in una fami-glia non mancarono le difficoltà, però l’amo-re era più forte, condividevamo tutto. Ci aiu-tava la direttrice sr Ernestina Carro, da cuiciascuna si sentiva valorizzata e amata».8

«Ho iniziato come alunno ed ora sono ani-matore in un collegio delle FMA. Il climadelle loro case è speciale per la crescitadelle persone. Il sistema preventivo offreun aspetto particolare perché il volto del-l’amore femminile credo che lo potenzimaggiormente e anche la ragione – dalpunto di vista femminile – ha un altro mo-do di manifestarsi».9

Anche se non tutte le testimonianze posso-no confermare sempre questa costanteamabilità educativa10, la necessità di viverein fedeltà lo spirito mornesino, nella co-stante attenzione al contesto sociocultura-le, continua a permeare i nuovi cammini,discernendo, provando, soffrendo e per-meando passo passo la ricerca di vie nuo-ve: «Attualmente sono in una comunità diRivera, posso affermare che sono stati fattitanti cambi e la vita si sta svolgendo in uncontesto molto diverso… partecipandomaggiormente alla vita del paese e dellepersone».11

«Vivere e relazionarsi con la gente esige uncontinuo distacco e esercizio di discerni-mento evangelico e di solidarietà. Tutto ciòrisveglia in tutte noi la capacità di condivi-dere, dialogare, di esprimersi con libertà, diprendere decisioni insieme e crescere nel-lo spirito di famiglia».12

La semplicità, lo spirito di sacrificio, maanche l’intraprendenza, l’apertura di ve-dute, la capacità di ascolto, di solidarietàdi Angela Vallese, Giovanna Borgna, Ange-la De Negri, Teresina Mazzarello,Teresa

Gedda, Angela Cassulo… hanno aperto lavia a comunità profetiche, radicate nelrapporto profondo con Cristo e nell’atten-zione concreta alle povertà di una culturasegnata da laicismo e razionalismo.13 «Fa-tevi coraggio, mie buone suore, Gesù de-ve essere tutta la vostra forza»,14 incorag-giava la Madre: la profezia del carisma ri-chiede mistica e competenza per testimo-niare oggi la fedeltà ad un progetto di Dioche si è realizzato nel tempo. Una conse-gna vissuta in povertà e limiti, ma unifica-ta nell’unico movimento d’amore che cirende “profetiche perché mistiche”.15

––––––––1 Lettera delle prima missionarie a madre Mazzarello,14 dicembre 1877, in CAVAGLIÀ P. e COSTA A. (a curadi) Orme di vita tracce di futuro LAS Roma 1996, 205.

2 Ivi 209.

3 Lettera di sr Virginia Magone a madre Mazzarello, 2febbraio 1879, in Orme, 273.

4 Così si definisce l’Ispettoria Uruguayana per averricevuto le prime missionarie provenienti da Morne-se : cf INSTITUTO DE LAS HIJAS DE MARIA AUXILIA-DORA ,Mujeres que hacen historia 1, 25.

5 Testimonianza di H.P.M. riportata in Mujeres, 30.

6 Pubblicazione in 14 testi che ricostruisce la memo-ria storica delle ispettorie di America Latina attraver-so una metodologia investigativa che ha coinvolto di-rettamente le comunità aprendo prospettive di futu-ro in fedeltà al carisma delle origini.

7 Mujeres 27.

8 Testimonianza di H.R.P. in Mujeres, 28.

9 Testimonianza di P.B. in Mujeres, 29.

10 Ivi, 29.

11 Testimonianza di H.M.L. in Mujeres, 41.

12 Testimonianza della comunità di Paisandù in Muje-res, 139.

13 Cf Mujeres, 106.

14 L 22 a sr Angela Vallese, 9 aprile1879.

15 Circolare 912.

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riconosce se stesso e realizza la propriaumanità (n. 69).

• I media, grazie allo sviluppo tecnologico,possono divenire occasione di umanizza-zione alla luce di un’immagine della per-sona e del bene comune che ne rispec-chi le valenze universali (n. 73).

• Attratta dal puro fare tecnico, la ragione sen-za la fede è destinata a perdersi nell’illusio-ne della propria onnipotenza (n. 74).

C’interroghiamo

• La libertà umana è propriamente se stes-sa quando risponde al fascino della tec-nica con decisioni che siano frutto di re-sponsabilità morale. Quali condizioni favoriscono nel nostroambiente educativo il processo di educa-zione alla libertà?

• Chiave dello sviluppo è un’intelligenza ingrado di pensare alla tecnica cogliendo-ne il senso pienamente umano del fare.Quali elementi ostacolano un fare piena-mente umano?

• I media possono costituire un valido aiu-to per far crescere la comunione della fa-miglia umana e l’ethos delle società,quando diventano strumenti di partecipa-zione nella comune ricerca di ciò che ègiusto. Come valorizziamo le nuove tec-nologie nel nostro agire quotidiano enella nostra azione educativa?

Per una tecnologia umanizzante Julia Arciniegas, Martha Séïde

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Lo sviluppo oggi è strettamente legato alprogresso tecnologico, con le sue applica-zioni in campo biologico. Tuttavia la tecnica è un fatto profonda-mente umano, legato all’autonomia e allalibertà dell’uomo. La tecnica permette di dominare la mate-ria, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica,di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del la-voro umano: nella tecnica, vista comeopera del proprio genio, l’uomo ricono-sce se stesso e realizza la propria umanità. Lo sviluppo tecnologico può indurre l’i-dea dell’autosufficienza della tecnicastessa quando l’uomo, interrogandosi so-lo sul come, non considera i tanti perchédai quali è spinto ad agire. È per questoche la tecnica assume un volto ambiguo.

Rileggiamo l’enciclica

• La tecnica, presa in se stessa, è ambivalen-te (n. 14).

• Non è sufficiente progredire solo da unpunto di vista economico e tecnologico.Bisogna che lo sviluppo sia anzituttovero e integrale (n. 23).

• Lo sviluppo dei popoli degenera se l’uma-nità ritiene di potersi ri-creare avvalendosisolo dei “prodigi” della tecnologia (n. 68).

• La tecnica si inserisce nel mandato di “col-tivare e custodire la terra” (Gn 2,15), cheDio ha affidato all’uomo. In essa l’uomo

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In azione

Alcuni passi per rendere operativo l’ap-profondimento fatto:• Quando prevale l’assolutizzazione della

tecnica si realizza una confusione frafini e mezzi. Verifichiamo quali convinzio-ni sono alla base delle proposte che offria-mo nella nostra missione educativa.

• Il progresso tecnologico esige l’impegnodi persone rette, di operatori economicie politici che vivano fortemente nelle lorocoscienze l’appello del bene comune.Rileggendo alcune informazioni prove-

Favorire le attività didattiche e poten-ziare le possibilità di imparare per glialunni con disabilità e disturbi dell’ap-prendimento. Sono i cardini del pro-getto ‘Nuove tecnologie’ avviato nellescuole di Parma per il triennio 2010-2012. Giunto alla seconda edizione egestito dal centro provinciale di docu-mentazione per l’integrazione scolasti-ca, lavorativa e sociale, il progetto è ri-volto a insegnanti, genitori e operatorisocio-assistenziali che, a loro volta,‘vanno a scuola’ per imparare l’uso diprogrammi informatici in grado di aiu-tare i ragazzi in difficoltà. Col nuovoaccordo prosegue l’esperienza avviatain via sperimentale tre anni fa e che hagià coinvolto circa un migliaio di per-

sone. In questi anni si è cercato di‘umanizzare’ la tecnologia, rendendolail più possibile accessibile a tutti perfarla diventare un aiuto reale per glialunni con disabilità. Ausili software ehardware, sempre più innovativi, con-tinueranno ad essere uno strumentoper favorire la loro integrazione, scola-stica e non solo. Le tecnologie da solenon servirebbero a niente, anzi, po-trebbero essere addirittura una barrie-ra in più. Per questo si è creata una re-te tra famiglie, scuola e istituzioni, perconsentire un reciproco scambio dipreziose conoscenze e competenze. http://www.disabili.com/scuola-a-istru-zione/20388-ausili-informatici-per-lin-tegrazione-scolastica.

nienti da vari contesti rileviamo i tratti cheevidenziano la ricerca del bene comune.

• Lo sviluppo tecnologico può indurre l’i-dea dell’autosufficienza della tecnicaquando l’uomo, interrogandosi solo sulcome, non considera i tanti perché daiquali è spinto ad agire. Identifichiamo alcune motivazioni piùfrequenti nel nostro agire personale, co-munitario e apostolico.

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Nuove tecnologie in aiuto degli alunni disabili

Le pressioni della massificazione, se inve-stono soprattutto gli adolescenti e i giova-ni che non avendo ancora elaborato unaloro identità personale sono più facilmen-te manipolabili, non lasciano indenni gliadulti. E sono funzionali al consumo. Lemultinazionali, avendo il controllo dei me-dia, hanno un potere che va oltre quellopolitico e quando hanno un prodotto dasmerciare o un’idea da far passare, trova-no spot pubblicitari in grado di persuade-re piccoli e grandi. Serie ricerche, poco di-vulgate perché pericolose e/o poco letteperché non attraenti, dimostrano come imass-media hanno un potere persuasivofortissimo.Se un giorno qualsiasi, una/o si mettessead osservare un gruppo di adolescenti cheattendono l’apertura della scuola, li ve-drebbe tutti o quasi con jeans dello stessocolore e più o meno della stessa forma,spesso anche con la stessa postura e con ilcellulare intenti a inviare e ricevere mes-saggi. Il vestire, l’atteggiarsi, l’utilizzare lestesse tecnologie, possono favorire unmodo di pensare e di agire di massa o nesono una manifestazione?

Le comunità religiose sono micro gruppiche vivono all’interno del più vasto grup-po sociale e che respirano la stessa aria,esse, quindi, non sono esenti dal rischio edalle tentazioni della massificazione e delconsumismo. La mentalità dell’usa e getta,

Dalla massa alla comunitàMaria Rossi

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Un fenomeno sociale che ultimamente hafatto molto discutere e destato perplessitànon indifferenti è la globalizzazione. Que-sto fenomeno presenta, con le situazionipositive, anche aspetti problematici. Uno diquesti è la massificazione. Essa, relativizzan-do, appiattendo e facendo gradualmentescomparire alcune differenze, può portarealla perdita dell’identità personale e socia-le, del senso della propria dignità, della re-sponsabilità e della capacità progettuale.Le pressioni tendenti a massificare non so-no una novità. Da che mondo è mondo, leculture, le religioni, le mode, i ceti socialipiù potenti, le caste, hanno indotto, favori-to, perpetuato alcuni modi di essere e di fa-re e ne hanno inibito e vietato altri. La diver-sità è che le pressioni, mentre un tempoerano diverse da gruppo a gruppo e fonda-te su valori umani reali o ritenuti tali, attual-mente tendono ad essere planetarie, ugualiper tutti e spesso finalizzate al consumismo.

Un dato molto evidente è come il modo divestire e di alimentarsi, così diverso nellevarie culture, si va omogeneizzando. Nonè raro vedere in Africa o in Asia, personevestite come gli occidentali e sulle loro ta-vole bottiglie di Coca-cola. I vestiti e gli ali-menti originali esistono ancora, ma, so-prattutto fra gli immigrati, vengono gene-ralmente utilizzati nelle celebrazioni dellefeste particolari dei Paesi, delle Regioni,dei gruppi sociali di appartenenza.

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

ad esempio, è ormai abbastanza generaliz-zata. L’uso di bicchieri e stoviglie di plastica,di tovaglioli, fazzoletti di carta ecc., sembraormai ovvio e giustificato. Questi prodotti, infatti, si trovano facilmen-te in commercio, costano poco e fanno ri-sparmiare tempo e fatiche. Si sa, ma non siavverte ancora sufficientemente il perico-lo dell’inquinamento dell’aria e dell’acquache lo smaltimento dei rifiuti porta con sé.Nelle nostre città i bidoni dei rifiuti diven-tano sempre più grandi e numerosi e nonsempre bastano al bisogno.

I membri dei gruppi sociali, comunità reli-giose comprese, oltre alle pressioni ester-ne, sono soggetti anche a quelle internedel gruppo di appartenenza. Non manca-no nelle comunità, persone tese verso ilmeglio che influenzano in quella direzio-ne, ma ci sono anche persone che trasci-nano verso il basso. A volte, queste ultimehanno un potere trascinante più forte del-le altre nel senso che, scegliendo il più fa-cile, trascurando le richieste comunitariedi aiuto e assumendo a volte un atteggia-mento di superiorità nei confronti di quel-le che si sacrificano, possono apparire piùevolute, più libere, più moderne. In realtàsono più involute, più egocentriche. Nonsono ancora arrivate a quella maturità esaggezza umana che rendono capaci diprovvedere ai propri bisogni senza trascu-rare quelli degli altri.Nelle comunità numerose, si può osserva-re una certa tendenza a seguire l’anda-mento generale e il timbro che dà la diret-trice. Parecchi anni fa una suora mi facevanotare, con un senso di pena, come con ilcambio della direttrice ci fosse anche unadiminuzione di presenze alla meditazione,sebbene buona parte della comunità re-stasse comunque presente. Chi agisce sot-

to la spinta delle pressioni, è gentile per-ché tutti lo sono, reagisce male perché tut-ti lo fanno, è sciatta perché tutti lo sono,dipendendo dal comportamento degli altri,non fa scelte personali e responsabili. Vi-ve in balia dei venti e delle tempeste.

L’andamento della massa, della maggioran-za, volenti o nolenti, condiziona un po’ tut-te/i, sia in positivo che in negativo. Il com-portarsi come la maggioranza è normale.L’essere positivo o negativo dipende dallescelte che la persona fa. Se una veste digni-tosamente perché tutte lo fanno, non fascelte libere, segue semplicemente l’anda-mento degli altri. Ma se una lo fa perché,avendo elaborato una sua identità di don-na consacrata o sposata, sente che quelloè un modo per esprimere la sua dignità, fascelte personali, responsabili, libere.La motivazione della persona massificata è:fanno tutti così. Nell’ascolto delle motiva-zioni, si colgono spesso espressioni di que-sto tipo: “Perché non devo usare il bicchie-re di plastica se tutti lo fanno e se fa rispar-miare tempo e fatica?” “Perché dare unpunto alla calza? Costa meno comprarla”.“Perché non posso rispondere per le rimea uno sgarbo? Io devo dire quello che pen-so. Non sono stupida”. E cose del genere.Di fronte a queste espressioni, dette dapersone adulte con la convinzione di esse-re evolute, quando, invece, sono una di-mostrazione di personalità labili che nonhanno ancora superato alcuni stadi infanti-li, si può provare pena. Nelle nostre comunità, non mancano per-sone che vanno nella direzione della mas-sa e del consumismo. La maggioranza,però, avendo elaborato, con una sanaidentità personale, una saggia capacità cri-tica, un senso profondo della propria di-gnità e di quella degli altri, fa scelte perso-

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del genere. Rincorrono perennemente ciòche promette, senza darlo, successo e feli-cità. Non sanno far scelte personali. Si cre-dono libere, mentre, sono manipolate esuccubi delle pressioni esterne.Il gruppo comunità, sia religiosa che fami-liare, si diversifica dal gruppo massa nelsenso che le persone ne fanno parte perscelte personali e libere. Nel corso dellaloro vita, essendo riuscite ad accettare conumiltà tutta la loro storia con il bene e ilmale, le vittorie e le sconfitte, hanno ela-borato un’identità personale solida checonsente di entrare in relazione senzaconfondersi, di osservare cose e avveni-menti con una adeguata capacità critica didiscernimento, di rendersi consapevoli deicondizionamenti per scegliere, con re-sponsabilità, come superarli. Pur essendosempre in evoluzione con i normali alti ebassi, le persone delle comunità che sonoarrivate a questo punto, si potenziano re-ciprocamente nel senso dell’identità, dellaresponsabilità, del rispetto. Crescono in-sieme nella consapevolezza della propriadignità di persone che vivono e comunica-no con altre con rispetto e simpatia. Secondo le teorie psicologiche, si puòarrivare a questo punto attraverso unapiena maturazione umana. La fede, poi,l’apertura a Colui che ci ha volute unichee irrepetibili, potenzia e completa l’uma-no; aiuta a superare le non facili diffi-coltà dell’interazione interpersonale; dàluce per guidare nel discernimento diciò che vale; rafforza la costanza perchénon si smetta di credere che, anche in unmondo segnato da pesanti condiziona-menti, si può passare dalla massa alla co-munità, si possono ancora costruire co-munità fraterne di persone libere.

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nali, libere, autonome, pur comportando-si normalmente. Non sono poche le suore che scelgono, in-dipendentemente dal cambio della diret-trice e dalle altre, di essere presenti allapreghiera del mattino perché sentono chenel rapporto con il Signore attingono for-za e senso per le attività, le fatiche dellagiornata e la costruzione della comunità.Non mancano quelle che, senza esseremaniache, conservano un bicchiere di pla-stica un po’ consistente e lo portano neiviaggi per non sprecarne altri. E lo tengo-no anche se tutti fanno il contrario e qual-cuno sorride con ironia. Nelle comunità cisono anche quelle che di fronte a sgarbi oad atteggiamenti poco rispettosi sanno ri-spondere educatamente o con un silenziodignitoso che spesso è più forte dell’urloe più efficace di un battibecco inconclu-dente. Non è detto, però, che chi sa tacerenon sappia rispondere a tono, se la situa-zione lo richiede e se le persone interagi-scono con eccessiva aggressività e prepo-tenza. In genere queste persone ispiranofiducia e con loro si sta bene.

Il gruppo massa è caratterizzato da un in-sieme di persone che, pur essendo adulte,hanno personalità poco elaborate e carat-teristiche ancora infantili: gridano perchétutti gridano; comprano perché è di modauscire il sabato a fare shopping; gettano lecose perché tutti lo fanno; bevono coca-cola perché è molto diffusa e pubblicizza-ta; vestono sciattamente per seguire lemode di turno; rispondono maleducata-mente perché la maggioranza fa così; aiu-tano quelli che si dibattono nelle calamitànaturali solo perché i mass-media solleci-tano in quella direzione; si ritengono im-portanti perché portano vestiti con le “fir-me” maggiormente reclamizzate e cose

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Una lettera

per te!

Si, lo studio serve.

È un allenamento per la vita.

È una crescita della nostra libertà.

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Fare ricerca è regalarsi

del tempo prezioso per cogliere

le domande giuste, per farle vivere

e maturare, per permettere loro

di condurci verso le risposte

e verso altre domande.

Caro amico, cara amica, amate le domande

con tutte le vostre forze.

Le risposte verranno.

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Si conosce solo ciò che si ama,

si comprende solo ciò che diventa

oggetto del nostro affetto.

In una parola, ci vuole passione.

Testi tratti da Onora la tua intelligenza. Lettera ad un giovane studente.

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Lettura evangelica

dei fatti contemporanei

La sapienza dell’IndiaMara Borsi

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Il maestro si rallegrava ogni volta chesentiva qualcuno riconoscere la propriaignoranza. E affermava: «La sapienza cre-sce insieme alla consapevolezza dellapropria ignoranza». Se chiedevano dispiegarsi, diceva: «Se oggi capisci che

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Intervista a Sahaya Sangitha Rani Appartengo all’Ispettoria di Bangalore, In-dia. Sono FMA da 7 anni e in questo brevetempo, proprio attraverso la missione edu-cativa, ho avuto l’opportunità di conosce-re le diverse culture dell’India.

Quali sono i valori della tua cultura che piùami?

Il valore dell’unità nella diversità. In Indiaabbiamo 30 lingue e 2000 dialetti, che si ri-feriscono a tradizioni culturali differenti,ognuna con i suoi usi e costumi; differen-ti religioni con riti e cerimonie ricche dicolori e di simboli. Questa diversità si ar-monizza e si compone in un forte sensodi patriottismo.Nella mia cultura si dà molta importanza

alla danza e alla musica; 8 danze e 2 musi-che classiche sono riconosciute come sa-cre, educative e formative, capaci cioè ditrasmette tradizioni e storia ecc. Altro valore che ammiro è la profonda spi-ritualità presente in ogni religione, a parti-re da quella Indù. La spiritualità indianacoltiva un grande rispetto per la natura.L’animo indiano è aperto alla trascenden-za; si crede che il Creatore supremo abbiamesso ciascuno di noi in questo mondoper uno scopo: essere compassionevoli,preoccupandoci di amarci gli uni gli altri.Usi e costumi affascinano per la grazia e labellezza. La credenza popolare affermache gli esseri umani, sin dalla nascita, so-no predestinati a perpetuare le tradizioniereditate dagli antenati. Esistono cerimo-nie e riti per molte circostanze della vita;voglio ricordare ad esempio la cerimoniadel nome, la cerimonia per inaugurareuna nuova casa, fino a quella relativa almatrimonio ecc. Digiuno e preghiera so-no elementi integranti dei riti strettamen-te religiosi.

non sei saggio quanto credevi di esserloieri, vuol dire che sei più saggio oggi».

Desidera di meno«Sono un uomo di mondo, a che cosapuò servirmi la spiritualità?» - chiese il ric-co mercante. «Ti può servire ad avere di

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Vivendo in un ambiente internazionaleche cosa apprezzi di più di altre culture?

All’inizio mi sembrava di essere in un al-tro mondo, ma poco a poco è cresciutala mia riconoscenza nei confronti del Si-gnore per avere la possibilità di confron-tarmi con persone provenienti da altricontinenti. In particolare sto apprezzan-do molto la spiritualità incarnata e vissutain diversi modi. Quello che ci unisce èl’Eucaristia. In questa esperienza percepi-sco che mi sto aprendo al mondo intero.Sto toccando con mano di appartenerealla grande famiglia di Dio. Vivere a Roma,centro della Chiesa universale, mi dà lapossibilità di sperimentare la ricchezzadella spiritualità cristiana, mi sento partedi una storia più grande di me. Le Chiese,i dipinti, le sculture raccontano la storia ela santità della e nella Chiesa. Accostare poi le fonti del carisma dell’I-stituto mi conferma nell’impegno diconservare e diffondere il dono dellaspiritualità salesiana. Vivere insieme a

sorelle di diversi continenti, età e men-talità, mi aiuta ad approfondire nellaconcretezza la vita cristiana e salesiana.Mi fa ringraziare Dio costantemente perla mia vocazione. Dalle suore che hannopiù anni di esperienza nella vita religio-sa, sto imparando concretamente che èdonandosi che si riceve la vera gioia. Ringrazio Dio per avermi dato l’opportu-nità di vivere questa esperienza nella co-munità di “Casa Ersilia Canta”, guidata damadre Antonia Colombo, dove la diffe-renza culturale è armonizzata con la fe-de, la speranza e la carità.

Incontrando persone di altri paesi e cultu-re quali difficoltà sperimenti?

Penso che i pregiudizi che ciascuna por-ta in sé siano una reale difficoltà nella re-lazione. Sconfiggerli non è certo facile;l’impegno per la comunione è vivo intutta la comunità e questo incoraggiamolto e dà fiducia.

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più» - disse il maestro. «E come?». «Inse-gnandoti a desiderare di meno».

Burro nel latteUn giovane andò a trovare un vecchiosaggio che viveva in una capanna sulla ri-va di un fiume. Il giovane salutò il vecchioe gli chiese se gli poteva fare una doman-da importante. «Naturalmente figliolo» -disse il saggio. «Dove posso trovare Dio?».Il vecchio sorrise: «È una domanda diffici-le lascia che ci dorma sopra, ma domaniportami una scodella di latte».Il giorno dopo il giovane si presentò conla sua scodella di latte. Il vecchio lo accol-

se e lo ringraziò per il dono e cominciò aintingere il palmo della mano nel latte. Ilvecchio con la mano continuava a frugarenel latte. Il tempo passava e il giovane difronte a quella stranezza chiese: «Guruji,che cosa stai cercando?». «Ho sentito di-re che c’è del burro nel latte. Sto cercan-do il burro». Il giovane non riuscì a tratte-nere la risata: «Ma il burro non è separa-to dal latte, ma ne fa parte. Si deve trasfor-mare il latte in yogurt, poi lo si sbatte perottenere il burro». «Ottimo disse il vec-chio. Ora va e sbatti il latte della tua ani-ma finché non avrai trovato Dio».

condo un procedimento circolare, in modo dafavorire lo scambio di risorse e l’espressionedella creatività nella comunione».

Il coordinamento e la comunione

Il coordinamento unifica le risorse in or-dine alla formazione e alla missioneeducativa propria del nostro Istituto nel-la dinamicità del contesto di oggi. Il modello di riferimento, privilegiandola partecipazione e la sussidiarietà, èquello circolare e di rete dove tutti inte-ragiscono come persone. Questo tipo di coordinamento è possi-bile solo se esiste una chiara strategia dicomunicazione, una comunicazione ca-pillare, che favorisce la risposta.Nessuno, infatti, si muove per qualcosache non conosce e in cui non si sentaprotagonista. Nasce di qui l’esigenza diricomprendere parole-cardine della vitaconsacrata come obbedienza, dipen-denza, autorità… per cercare di com-prenderne il senso corretto.L’obbedienza, infatti, trova realizzazionein persone libere, capaci di sana autono-mia e di decisione che, con senso di re-sponsabilità, generano la parabola di co-munione della comunità.Tutto ciò esige una mentalità di cambio,che vede nella relazione di reciprocità l’e-sprimersi di una cultura evangelica pro -fondamente umanizzante.

Coordinamento e Testimonianza di ComunionePalma Lionetti, Anna Mariani

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La parola alle Parole

In un tempo in cui la complessità sfidaogni realtà, la parola coordinamento, cioèla collaborazione tra soggetti diversi euna organizzazione più adeguata delle di-verse risorse, è uno degli imperativi da as-sumere da chi persegue un obiettivo edesidera raggiungerlo.Il coordinamento è, infatti, la migliore stra-tegia di azione che permette di non disper-dere le energie e di ottenere i risultati chediversi gruppi si prefiggono.Il nostro Istituto FMA parla di coordinamen-to dal 1975 quando tutti sentono il bisognodi superare settorialismi e di animare l’azio-ne pastorale ponendo al centro la personacon i suoi dinamismi e le sue esigenze.Condurre a unitarietà e convergenzaprocessi, percorsi, progetti, gruppi di la-voro è un significativo e difficile impe-gno che esige competenza. Il Progetto Formativo e le Linee della Missio-ne Educativa FMA affermano: «Pensare, la-vorare insieme attuando una metodologia dicollaborazione in un contesto di forte com-plessità è il presupposto di un modello dicoordinamento per la comunione. Si tratta di una scelta che va oltre la pura or-ganizzazione e che fa emergere la volontà diconvergere, per assicurare qualità alla vita ealla missione educativa».«Il coordinamento è una modalità di condu-zione che tende a coinvolgere le persone se-

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Formare e formarsi al coordinamento

Il Coordinamento esprime il nostro mododi stare al mondo: l’io che scende in strada,che incontra il tu, e l’io e il tu che si sfrega-no come legni e fanno un fuoco contro lanotte. Questo è anche il nostro modo dipensare il cambiamento del mondo: sonomaturi i tempi per il progettare comunità dipersone diverse che fanno della diversitàuna ricchezza condivisa e finalizzata al rag-giungimento dell’unica missione. Il Coordinamento è trasversale ad ogniazione e richiede competenze relazionali eorganizzative finalizzate a questo scopo; siattiva in molti modi e in ogni fase: nellaprogettazione, nella contrattazione degliobiettivi, nell’assegnazione dei ruoli, nellosvolgimento delle esperienze. Il coordinamento esige chiarezza di ruolie compiti come pure richiede lavoro co-mune, costruzione di significati condivi-si, capacità di costruirsi come gruppo dilavoro, in grado di convocare altri e di al-largare la partecipazione e il coinvolgi-mento intorno alla missione educativa.

Comunità Educante “icona” di comunione

La Comunità Educante esprime e comunicala spiritualità salesiana vivendo il coinvolgi-mento di tutti gli educatori all’opera educa-tiva che è la missione condivisa da tutti nel-l’articolazione di ruoli differenti. Si attua inmodi complementari secondo l’identità, re-ligiosa o laicale, di ciascuno. Si lavora con ottimismo e sollecitudine.Il regno di Dio è la finalità di questo lavora-re insieme, per realizzarlo anche in terra oc-corre un progetto di educazione e di cresci-ta. In una società che privilegia la concor-renza, la comunità in missione percorre lavia del reciproco potenziamento, del rispet-

to dei ritmi di ogni persona, della fiducia ne-gli altri e della valorizzazione delle differen-ze, e della collaborazione. La comunione esige rapporti interpersonalimaturi e liberi, fiducia nell’azione dello Spi-rito che aiuta a superare la conflittualità in-sita nell’esperienza d’ogni giorno. Si tratta dunque di una comunione nonideale, ma costruita ininterrottamente datutti attraverso l’acquisizione di competen-ze relazionali, l’apertura fiduciosa allo Spiri-to che apre all’amore e rende capaci di do-nare e accogliere gesti di perdono ricrean-do “spazi abitabili” in cui il “fare con libertàciò che richiede la carità” (L 35,3) divental’humus dove può fiorire la vita. Ma la comunione può rimanere una bellafiaba a cui nessuno crede fino a quando nonsi decide di assumere la fatica e la gioia deldecentrarsi per convergere attorno ad unprogetto condiviso di cui il singolo fa ama-bile accoglienza e costruzione.Il coordinamento, quindi, diventa la formapiù idonea in questo tempo storico peresprimere una qualità nativa non solo dellacomunità educante, ma anche della Chiesain generale che è appunto la comunione.Praticato insieme, come atto tipicamentepastorale, diventa testimonianza di comu-nione e ciò suscita vocazioni, dal momentoche la comunione ha in sé una forza irra-diante che provoca attenzione, si fa appellodel’”venite e vedrete” del comune Maestro.Quale equilibrio, però, tra comunione e di-versità? È questo equilibrio la testimonian-za più affascinante per una comunità edu-cante in missione, capace di andare al di làdei pochi “devoti” che aderiscono per sen-sibilità al processo di cambiamento e coin-volgere il numero più ampio di persone.

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pubblicato anch’esso nel 2009 dal titolo“Centred Leadership. How Talented Wo-men Thrive”. Il libro raccoglie il risultatodi una ricerca effettuata per quattro annial fine di scoprire quali motivazioni so-stengono la leadership delle donne pro-fessioniste riuscite. Il risultato della ricer-ca evidenzia che si tratta di un insieme diforza fisica, intellettuale, emotiva e spiri-tuale che fa da motore per raggiungereconquiste personali e attira altre a seguir-ne l’esempio. Hanno intervistato 85 don-ne di tutte le parti del mondo e dalle lororisposte hanno creato un modello a cin-que dimensioni, strettamente correlatetra di loro. Le cinque dimensioni sono:senso, ossia trovare le energie e metterlea servizio di qualcosa che dà senso; gesti-re l’energia cioè sapere da dove viene lapropria energia, dove va e che cosa si puòfare per gestirla bene; ottimismo che offre

Leadership al femminilePaola Pignatelli, Bernadette Sangma

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“Alice in business land: Diventare leader ri-manendo donne” è il suggestivo titolo dellibro di M. Cristina Bombelli uscito nel2009. Come si può immaginare dalla para-frasi, l’autrice sostiene che, come per Ali-ce nel Paese delle meraviglie, così per ledonne, ancora oggi, la leadership nel mon-do del lavoro e in altre dimensioni della vi-ta è tutto un universo da scoprire e rivesti-re con il genio distintamente femminile.

É interessante pensare che le favole pos-sano offrire spunti affascinanti per un’i-dea di leadership delle donne. KathleenBader, ex- Presidente della DOW Chemi-cal, New York, afferma che “il segreto dellaleadership al femminile è nelle favole e siapprende sulle ginocchia della mamma”.Considera Biancaneve come un modello acui ispirarsi per portare avanti una squa-dra, traendo il meglio dai propri collabora-tori. I sette nani, ognuno con le sue pecu-liarità, hanno contribuito alla sua salvezza.Evidenzia così l’intelligenza emotiva diBiancaneve, la quale suscita le dinamichenecessarie a fare dei suoi sette nani unasquadra vincente che le salverà la vita.Oggi, nel mondo del lavoro come nellecomunità religiose, le persone non sonopiù disposte a tollerare ordini spartani,decisioni immotivate e imposte. Chiedo-no forme decisionali interattive basate sulrispetto, sul coinvolgimento e sul dialogo. Ad ampliare questo tema, è un altro libro

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una via costruttiva per guardare il mondo,allargare gli orizzonti ed essere resilientequando le cose non vanno bene; instaura-re relazioni con chi può aiutare a cresce-re, rinsaldare le relazioni e aumentare ilsenso di appartenenza e infine coinvol-gersi facendo sentire la propria voce, ac-quisendo fiducia in sé attraverso l’accet-tazione delle opportunità e dei rischi, incollaborazione con altri.Tenendo questi elementi come sfondo,presentiamo due figure di donne leaderche possiamo quasi dire di “casa no-stra”: Sonia Gandhi, ex-allieva FMA del-la scuola di Giaveno a Torino e SuorNancy Pereira, FMA morta da poco del-l’ispettoria dell’India Bangalore.

Sonia Gandhi

“È Sonia Gandhi una leader-serva?” è il ti-tolo dell’articolo apparso in internet nelmese di febbraio 2010. L’autore cita tredonne di origine straniera che hanno fat-to dell’India la loro patria: Annie Besant,Madre Teresa e Sonia Gandhi. Quest’ulti-ma, italiana di origine, emerge come laforza motrice della politica indiana attua-le, dopo la morte del marito Rajiv Gandhi,nel 1991. Sonia prende in mano la leader-ship del partito in un momento molto tra-vagliato. Come leader dell’opposizione,ricostruisce il partito fino a riportarlo alpotere nelle elezioni generali del 2004.Come capo del partito, Sonia Gandhi do-veva diventare Primo Ministro, ma lei de-clina lasciando il posto ad un economistaed intellettuale Dr. Manmohan Singh del-la comunità di minoranza Sikh. Tale scel-ta ha mandato un messaggio potente alsubcontinente indiano in quanto SoniaGandhi ha dimostrato di essere una lea-der totalmente lontana dalla sete di pote-

re. L’autorevolezza della leadership fem-minile di Sonia libra ancora più in alto nel-le elezioni generale del 2009. Il suo parti-to gode di una rivincita travolgente ed è laprima volta che il figlio Rahul Gandhi di-venta un membro eletto del parlamento.Avrebbe certamente potuto passare il po-tere al figlio, ma sceglie piuttosto di rein-stallare ancora una volta Dr. ManmohanSingh come primo ministro. Questa sceltaha attirato l’attenzione di tutto il mondo eSonia è considerata una grande donnacon un grande cuore, competente e com-passionevole, semplice e umile.

Suor Nancy Pereira

Suor Nancy Pereira è un’altra leader quasidel calibro di Madre Teresa. Negli anni ’90aveva avviato a Bangalore, un “Fondo per ipoveri”, sullo stile della “Grameen Bank” delBangladesh. I clienti della sua banca, il cuiufficio è un tavolo e una sedia sotto un al-bero con un libro per registrare tutti i con-tratti, erano i poveri dei bassifondi e dei vil-laggi. La condizione per avere il credito do-veva essere la dimostrazione di una costan-za nel risparmiare una piccola somma e par-tecipare agli incontri del gruppo di auto-aiu-to per la gestione dei crediti. L’interesse an-nuo era 2% per coprire le spese di gestione.Il punto cardine del progetto era il coinvol-gimento di tutta la famiglia. Infatti si intitolaFamily Integral Development and EducationScheme ossia Programma integrato di edu-cazione familiare. È un progetto che ha favo-rito la promozione integrale di tante perso-ne, famiglie e interi villaggi. Il coinvolgimen-to e il protagonismo dei suoi poveri era il se-greto della leadership di Suor Nancy.

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«Queste nostre Chiese sono di origineapostolica, sono state culla del cristiane-simo: terre benedette dalla presenza diCristo stesso, dei martiri, delle primegenerazioni dei cristiani.Abbiamo una grande responsabilità:quella cioè di mantenere viva e fecondala memoria delle origini, di condividerecon i fratelli la comunione nella pace enella solidarietà».

L’ecumenismo richiede uno sforzo sin-cero per superare pregiudizi e lentezze,in vista di una comprensione reciproca.Il dialogo ecumenico è impegno di co-munione nella ricerca della verità. “L’unità dei discepoli con il Maestro de-ve essere continuata tra noi, in ognitempo”. Questo è l’insegnamento dellaChiesa. La divisione non solo si opponealla volontà di Cristo, ma è anche unoscandalo al mondo. Uno stretto legameunisce la missione apostolica e l’ecume-nismo: “Essere tutti una cosa sola per-ché il mondo creda”. La catechesi, la formazione spirituale,i movimenti cristiani sono la base del-la vita apostolica, a sostegno soprattut-to dei giovani perché sappiano affron-tare le sfide del mondo di oggi, mante-nendo viva la memoria delle origini(cfr Instrumentum laboris).

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Comunione e TestimonianzaBruna Grassini

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Gerusalemme. Tra due ore il sole sorge,si udranno gli spari, ma il sole sorge.In giardino i fiori aprono petali profumati.Guardate: sorge il sole. Inginocchiamoci, preghiamoinsieme a Colui che non esitò a dare la vita, perché noi potessimo vivere e amare.La testimonianza più credibile è la “gratuità dell’amore”:l’attenzione agli altri, ai diversi.Sognare è realizzare progetti di pace,edificare una società più solidale, più giusta, più umana: “Amatevi come Io vi ho amati”arricchite la vostra vita e donatela. Questo è “ecumenismo”.

(Sinodo dei Vescovi, 3a Assemblea 2010)

La comunione nella Chiesa è fondata surapporti d’amore: “Come tu, Padre, seiin me e io in te, siano anch’essi in noiuna cosa sola”. (Gv 17)La vita della Chiesa deve essere comu-nione di “vita nell’amore, nella pro-mozione dei valori umani, spirituali,senza discriminazione di lingua e difede, ma nella fraternità”.

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Informazioni notizie

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mente”; siamo “mandati a tutte le genti”nel momento in cui si è radicati in un ter-ritorio circoscritto. Questo comporta che all’interno della co-munità ognuna coltivi un profondo sensodi appartenenza, viva una dimensione dicittadinanza attiva, di passione per l’an-nuncio del Vangelo e che le relazioni sia-no a 360° e, nello stesso tempo, si sentafortemente in comunione con gli uominie le donne, le comunità cristiane delmondo intero, in una dimensione pasto-rale, apostolica, missionaria. Relazioni pastorali a partire dalla libertàinteriore. Relazioni missionarie e apo-stoliche nell’apertura a tutti, nella con-cretezza degli ambiti della vita che ca-ratterizzano il mondo di oggi per an-nunciare e testimoniare il Vangelo conuno sguardo di predilezione per i giova-ni e le giovani, per i poveri e i piccoli,per gli ultimi e i dimenticati. La Madre, nella Circolare 912, le definiscecomunità mistiche e profetiche: «In untempo in cui sono andati perduti punti diriferimento significativi, è importante of-frire una dimora, aprirsi all’ospitalità, farsentire, specialmente alle/ai giovani, chesono accolti, aspettati, ascoltati. Le nostre comunità vogliono essere unacasa aperta, un segno di comunione nellaChiesa in cui si possono condividereesperienze di vita, imparare ad accoglierela parola di Dio ed essere felici».

Per casa il mondoMaria Antonia Chinello

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I cerchi della comunicazione faccia-a-faccia si sono ampliati poco a poco: dalla relazioneinterpersonale a quella di gruppo, dalla comunicazione tra noi a quella con il territorio. Ora il mondo, per un dialogo a tu per tu dalle coordinate globali.

Sant’Agostino scriveva che «il mondo èun libro aperto. Chi non viaggia legge so-lo una pagina». Il desiderio di conoscere,di scoprire, di andare appartiene all’esse-re profondo della persona. Rimandiamo ad altri articoli apparsi sullaRivista, che hanno approfondito la dimen-sione di apertura all’ “altro” e all’ “oltre”dell’uomo e della donna di tutti i tempi. Qui intendiamo considerare la relazionecon il mondo. Mattelart l’ha definita “co-municazione-mondo” intendendo conquesto termine che ormai non ci si può piùnascondere dietro al “non conosco”, “nonso”, né tantomeno al “non mi interessa”perché ad essere cambiati oggi sono le mo-dalità con cui, non solo si conosce e si ap-prende, ma quelle con cui ci si informa, siinterpreta, si rappresenta la propria esi-stenza e il rapporto con gli altri.

Essere uomini e donne, ad ogni età dellavita, significa non dimenticare che anchese si abita “localmente”, si pensa “global-

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Un click… e vai!

Internet ha messo a portata di… mouse ilmondo. Immagini, suoni, colori, parole, af-fetti, amicizie, scambio di beni, informazioni,amore, solidarietà, saperi, ma anche odio, in-tolleranza, paura, violenza, abuso… corronosulla rete, si rincorrono videata dopo videa-ta, link dopo link. Studiosi hanno definito alcuni profili dell’u-tente web: ci sono gli esploratori, esperti ecuriosi, che procedono a caso, attratti dallenovità e con molti interessi; i sonnambuliche ripetono invece i soliti percorsi e alla pri-

ma difficoltà si arenano e abbandonano; i bi-ghelloni che vivono la Rete come diverti-mento, gioco senza percorsi fissi; i professio-nisti, infine, che organizzano la propria navi-gazione per non perdere le informazioni checercano e, pur essendo aperti alla scoperta,si sforzano di non muoversi a caso.

La borsa degli attrezzi

Di fronte a Internet definito il “secondodiluvio”, paragonato a un “professoresenza volto” o a un mega archivio senzamaestri e senza guide, che si costruisce aritmi vertiginosi avvolgendo il pianeta inun intreccio di interconnessioni, si ha bi-sogno di crescere nella responsabilità enella libertà. La responsabilità di essere sestessi, di diventare co-autori, protagonistidella comunicazione che si fruisce e si pro-duce, di intessere relazioni autentiche “fac-cia-a-faccia” anche nella Rete; la libertà di re-stare navigatori e non trasformarsi in naufra-ghi del potere del click che, inconsapevol-mente, Internet ci mette tra le mani.Più che mai bisogna attrezzarsi di una mentecapace di riordinare, selezionare, valutare,confrontare, scegliere, educare al senso criti-co, al discernere i vari apporti culturali, allaconoscenza che amplia gli orizzonti, al sape-re che nutre l’anima, allo spingersi all’azioneche coinvolge, trasforma. Il mondo e l’uma-nità che vivono gioie e speranze, nella realtàoffline e online, incoraggiano a comunicaree a condividere, ad attivare risposte e intera-zione per non correre il rischio che, seden-doci ogni giorno davanti al computer a man-dare messaggi e a rispondere, a navigare e acercare contenuti, ci si senta parte del mon-do più ampio con cui ci si relaziona, ma poitutto finisca lì. Con un click, offline e online.

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iBreviary: la Liturgia delle Ore tascabileQuando si desidera un momento dipausa, di riflessione, di silenzio nei rit-mi frenetici che gli impegni quotidia-ni impongono, iBreviary può aiutare apregare. È una applicazione cattolicagratuita, realizzata da un giovane par-roco italiano, don Paolo Padrini, insie-me con Dimitri Giani, sviluppatore diiPhone. L’applicazione funziona suiprodotti iPhone e iPad. Oltre la Liturgia delle Ore, iBreviarycontiene il lezionario e il messale (inrito romano e ambrosiano) completoin 5 lingue (italiano, francese, spagno-lo, inglese e latino), alcune sezioni de-dicate ai Santi e alle preghiere dellatradizione cattolica. iBreviary sostituirà il messale sull’altaree il breviario nella preghiera? «No –precisa don Padrini –. I testi cartaceinon scompariranno mai. Vogliamo so-lo offrire un supporto in più al serviziodel sacerdote e del fedele». Un’appli-cazione “comoda” per chi desiderapregare ovunque si trovi.

tale considerazione voglio raccontare latestimonianza di una giovane amazzonicabrasiliana, mia ex parrocchiana. Era una sera di sette anni fa, molto piovo-sa, tipicamente equatoriale. Circa alle otto e mezzo di sera ero assor-to ad osservare e contemplare le muradella chiesa parrocchiale che stavo co-struendo, illuminata dalla luce pubblicadella strada. Improvvisamente una giova-ne ragazza spunta quasi dal nulla e chie-de di potermi parlare. Io non ho esitatoun secondo e ci siamo messi a parlareproprio lì, dove ci trovavamo, dal momen-to che a quel tempo non avevo neppureun ufficio. Mi ricordo benissimo le lacri-me con cui iniziò a parlare. Mi disse che non capiva più la sua vita;l’ultimo fidanzato era stato una totale de-lusione e la sua famiglia non la capiva.“Che cosa posso fare della mia vita?”, mi

Comunicazione divinaClaudio Pighin

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Negli articoli precedenti abbiamo potutoscoprire quanto sia difficile la comunica-zione tra le persone e quanto sia grandela sfida che essa ci propone. É quindi facile immaginare quanto siacomplicato capire la comunicazione divi-na. E se abbiamo visto quanto importantesia la comunicazione tra gli esseri umani,è evidente quanto sia fondamentale la co-municazione divina. Per cui è inevitabile chiederci: come èpossibile fare questa esperienza? L’essere umano ha le capacità di fare unaesperienza comunicativa oltre a quellaspecificamente terrena? Per la mia espe-rienza e per la storia di salvezza dell’uma-nità credo che questo sia possibile. Anzi, aggiungo che è proprio questa co-municazione con Dio che permette agliesseri umani di ampliare considerevol-mente i propri orizzonti di vita. Per capire

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chiese. Spontaneamente l’ho abbraccia-ta, confortandola, e le ho detto: “E se Diovolesse dirti qualcosa? Cosa ne pensi difare un’esperienza di preghiera e di co-noscere qualche realtà di donne che sisono consacrate al Signore?”. Lei ha prontamente accettato.Da allora di tanto in tanto la ragazza hacontinuato a venire a trovarmi per rac-contarmi la sua nuova esperienza di vita,illuminata dalla Parola di Dio; e un belgiorno, durante una delle sue visite, midisse che aveva seriamente deciso di far-si suora: poco tempo dopo entrò in con-vento. Per un po’ la persi di vista, ancheperché avevo cambiato parrocchia, e nonseppi più niente di lei. Passarono cosìcinque anni e d’improvviso la ragazzariapparve mentre stavo preparandomi acelebrare la Messa. Quando mi vide iniziò a parlare ad altavoce, quasi gridando per manifestare tut-ta la sua gioia e la sua felicità. Abbrac-ciandomi mi ringraziò di cuore per esse-re stato il suo primo direttore spirituale.Ricordo che mi disse:” Padre Claudio, fra non molto prenderò ivoti di consacrazione religiosa. Io la rin-grazio per tutto questo e per l’incontrodi quella sera. Quando qualche proble-ma o sfida mi fa soccombere, ricordosempre l’inizio di questo mio percorsospirituale, quando lei mi ha aiutato a sco-prire la mia vocazione. Tutto ciò mi incoraggia e, con la graziadel Signore, riesco a superare le diffi-coltà e a sentirmi sempre più matura;uno degli impegni quotidiani più pre-ziosi che ho intrapreso è l’approfondi-mento della mia spiritualità, cercando difar crescere con insistenza la mia inti-mità con il Signore Gesù”.

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È evidente in questa ragazza la sua vogliadi comunicare con Dio, che ha portatoad un totale cambiamento di rotta nellasua vita. Quell’incontro, in una sera pio-vosa, è stato ricco di tristezza e di lacri-me, ma ha portato oggi ad un’esplosionedi allegria. Il volto di quella giovane èsempre impresso in me: un vero esem-pio di felicità. Per questo, dico, in chi rie-sce a costruire una comunicazione conDio tutto si trasforma, tutto diventa pos-sibile. Ho la certezza più assoluta chequesta giovane suora realizzerà grandicose nella sua vita. L’unico grande strumento per poter farequesta esperienza di comunicazionecon Dio è senza dubbio l’orazione, giu-stamente definita dalla giovane “intimitàcon Gesù”. Una domenica, dopo aver terminato unariunione di comunità, quando pratica-mente tutti stavano andando via, la miacoordinatrice ebbe l’idea di invitare ilgruppo a recitare la liturgia delle ore. Unasignora, recepito il messaggio, rispose:”Io accetto senz’altro, perché sono mattaper la preghiera!”. Possiamo infatti dire che quanto più au-menta il nostro desiderio di questa pre-senza del Signore nella nostra vita, tan-to più è naturale che cresca in noi unavoglia matta di pregare, come l’ha defi-nita questa signora. È proprio la pre-ghiera che ci apre nuovi orizzonti enuove aspettative di vita. Per questo non ci sono limiti d’età e nes-suno deve sentirsi escluso. Credo che lapersona, a partire da questa pratica, di-venta ancora più umana e più completa. Questa, possiamo tranquillamente con-cludere, è davvero Comunicazione divina.

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Una collana di perleper ricapitolare gli Obiettivi del Millennio

Otto anni dopo le dichiarazio-ni dell’ONU, la sinossi degli ot-to cortometraggi d’autore ri-prende gli Obiettivi di Svilup-po proponendoli e raccontan-doli in quanto segue.

1. Eliminare fame e povertà:“Tiya’s Dream”. Girato a AddisAbeba, ci porta in una piccolascuola di campagna dell’Etio-pia dove si stanno spiegando aibambini gli Obiettivi di Svilup-po. Intanto uno dei piccoliguarda fuori, dove alcuni com-pagni stanno giocando a rugby.“Per me è importante far cono-

scere la povertà in Africa - di-chiara il suo regista - ma ho vo-luto allontanarmi dalla solita vi-sione televisiva che si dà del pro-blema interessandomi piuttostoall’avvenire, alla consapevolez-za da coltivare nei bambini”

2. Assicurare l’istruzione pri-maria: The Letter. Girato a Rey -kjavik (Islanda) ha come pro-tagonista un padre che, nelcorso di un giorno normale, ri-corderà che l’istruzione è il so-lo modo per essere liberi. Questo è quel che riesce a ca-pire di suo figlio e ciò che èscritto nella lettera in arrivo al-l’inizio stesso dell’episodio.

3. Raggiungere la parità uomo-donna: How Can It Be?. “Il miofilm è stato ispirato da una sto-ria vera”, spiega Mira Nair, la re-

gista indiana che ha girato la suastoria a Brooklyn. Le donne colvelo sono sempre identificatecome senza diritti, ma i burka so-no potenti simboli di identità esotto di essi ci sono sempre es-seri umani. Tengo a sottolineareche la libertà non è un regalo im-pacchettato con un bel nastro...”

4. Ridurre la mortalità infantile:Mansion on the Hill. È girato aSan Francisco (USA) e lo diri-ge Gus Van Sant su Immaginidi giovani americani che gio-cano, godendosi la libertà e ildivertimento, contrappostealla straziante realtà delle sta-tistiche sulla morte di bambi-ni e neonati.

5. Migliorare la salute delle ge-stanti: The Story of PanshinBeka. È ambientato in Amazzo-

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8 - VOI COSA SIETE DISPOSTI A FARE?REGISTI VARI, FRANCIA, 2008

Il progetto Eight (OTTO) nasce per favorire laconoscenza di un’importante iniziativa intra-presa nel settembre del 2000 da tutti i 191 sta-ti membri dell’ONU che si sono impegnati araggiungere, entro il 2015: otto obiettivi per farridurre la povertà e promuovere lo sviluppo neipaesi più poveri. Presentato nel 2008 al Festi-val di Berlino ha vinto il premio speciale “Cine-ma per la Pace”, ma soltanto due anni dopo en-tra in distribuzione e diventa disponibile anchein DVD (21 aprile 2010). Questo film collettivo vede la luce nella sua inte-rezza in prima mondiale assoluta a Roma alla pre-senza dei suoi autori: 8 grandi maestri uniti dallacomune passione di contribuire a promuovere unfuturo migliore. Ciascuno ha ideato e filmato una

storia diversa legata aduno degli obiettivi, tral’Africa e l’Islanda, laGermania e gli Stati Uni-ti, l’Australia e l’Amaz-zonia, dando voce a spe-

ranze e drammi collettivi, con l’anima e la pro-fessionalità dell’artista, l’emozione del narratore.“Un vero film fatto di otto racconti diversi, crea-ti in piena libertà da ciascuno degli artisti coin-volti”, ha scritto la critica internazionale. Il risul-tato complessivo risulta naturalmente disomoge-neo. Sia perché in parte condizionato dal messag-gio che si vuole e deve veicolare, sia perché le-gato ed affidato alla più piena libertà interpreta-tiva di ciascun artista. L’operazione risulta tutta-via “di altissima valenza sociale” come giusta-mente ha sottolineato in modo unanime l’infor-mazione stampa: “Un film per cambiare il mon-do, per renderlo migliore” - ma aggiunge anche:per ricordare all’Onu le promesse fatte e fino adora mai mantenute.

a cura di Mariolina Perentaler

nia con un episodio girato inbianco e nero tra i più toccantidell’intera opera.

6. Combattere l’AIDS, malaria ealtre malattie: SIDA. È collocatoa Ouagadougou, Burkina Faso.“Sono partito senza sceneggia-tura - dice l’autore Gaspar Noe- e ho ripreso quattro personecontagiate dal virus per raccon-tare come si rapportassero allamalattia. Una mi è sembrata piùemblematica e ho scelto di mo-strare quella, facendo intreccia-re nei pensieri del protagonistamorte, progenitura e religione.”

7. Assicurare la sostenibilita’ambientale: The Water Diary.È di Jane Campion, girato aCooma (Australia). “Non hoscelto io questo obiettivo -confessa la nota regista - mami è stato assegnato. Per noi in Australia l’acqua èqualcosa di fondamentale e ilproblema della sua scarsità èdi grande importanza. Sempre più gente è sensibile aquesto tema, quindi mi è sem-brato giusto girarlo non soloper la mia terra.”

8. Sostenere lo sviluppo globa-le: Person to Person. È l’ultimo,

acuto e propositivo segmentofirmato Wim Wenders. Siamo a giugno nel 2007: il G8è a Berlino. I manifestanti in-dignati protestano per le pro-messe non mantenute dai piùpotenti leader del pianeta.Intanto, in una sala di regiatelevisiva, gli operatori si in-terrogano scettici sul servizioda scegliere e mandare in on-da circa lo stato degli Obiet-tivi del Millennio. La situazione si risolve con unatrovata memorabile e magistra-le del regista - nonchè mae-stro: il “Passa parola”.

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Sull’idea del film

Portare il pubblico attraverso le miserie e i pro-blemi del mondo, non solo - come ricorda l’e-pisodio di Wim Wenders, forse il più rivoluzio-nario fra tutti i racconti - per suscitare pietà eottenere carità, ma per guardare chi è più sfor-tunato di noi come a persone in grado di crea-re, costruire, svilupparsi esattamente come noi.

La prima cosa che l’opera si propone e rie-sce a trasmettere è che gli Otto registi pro-venienti dalle realtà più disparate si sonouniti per contribuire a diffondere nel mon-do gli 8 obiettivi che nel settembre del 2000le Nazioni Unite non solo si sono date, ma“ci hanno dato”. Ricorda a tutti che la co-noscenza e la consapevolezza condivisa èil primo passo verso un possibile progres-so che interessa e coinvolge l’intera uma-nità, in tutta la sua geografia. Accompagna a scoprire che quello che ser-ve a questi popoli, spesso non è solo l’ele-mosina, ma piuttosto un aiuto concreto perpoter incominciare e ripartire verso uno svi-luppo ed un futuro diverso, migliore.

Sul sogno del film

Mobilitare tutti. Orientare ciascuno ad agi-re, a farsi sentire ed assumere in prima per-sona un lavoro di sensibilizzazione coerente.A sviluppare solidarietà e corresponsabilità.

Questo film si rivolge al pubblico – spiegauno dei registi, Wenders, – anche se la so-luzione ai problemi che pone è nelle manidei governi. Perché la gente può compren-dere l’urgenza degli obiettivi del nuovomillennio e la conseguente responsabilitàdei governi che dovrebbero rispettare leproprie promesse. É un film che chiede alpubblico di esistere e rendersi co-protago-nista, anche ricordando ai Grandi che se iPaesi si comportassero come le persone,forse le cose non starebbero così nel mon-do e che il bene di tutti diventa bene pro-prio. Certo un film non può cambiare il de-stino dell’Africa e/o degli altri continenti,ma può spingerci almeno a riflettere.

PER FAR PENSARE

francese – può soddisfare meno altri contesti,soprattutto il pubblico più giovane. Le sequen-ze in cui i piccoli protagonisti si scatenano inmarachelle e disastri sono poca cosa in con-fronto alle imprese catastrofiche di altri perso-naggi simili. Si è parlato di una Francia “sospe-sa e paradossale” che, proprio sul finire deglianni Cinquanta “scopriva gli affanni di una mo-dernità e di un successo cercati a tutti i costi”.Lo dice bene la sequenza dei genitori ‘tragi-co-micamente’ impegnati a preparare cene di pro-mozione anche con il capoufficio. È certo che ilmondo degli adulti filtrato dallo sguardo di Ni-colas e dei suoi compagni di scuola appare ridi-colo nel suo tentativo di adeguarsi ai presuntimodelli sociali. Ma siamo in una commedia dicostume – ricorda la Valutazione Pastorale –condita da qualche gag azzeccata soprattuttograzie alla bravura degli interpreti, compresi ibambini e Nicolas, che deve fare i conti con iltemuto arrivo di un presunto fratellino che lospodesterebbe dal suo primato in famiglia.

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Il piccolo Nicolas e i suoi genitoriLaurent Tirard Francia - 2010

Questo simpaticissimo film si apre con il titolodi un tema che la maestra di Nicolas scrive allalavagna e lo trova del tutto disorientato. Sichiude invece sul suo primo piano felice chedice a sé stesso quanto una vocina fuori cam-po esplicita in tono del tutto soddisfatto: «Stra-no, …in questo momento mi sono ricordato iltema della maestra “Che cosa farete da grandi”.Perché adesso io lo so: è far ridere la gente!».È tratto dal libro “Il piccolo Nicolas” di RenéGoscinny (1959) arricchito dall’avvincente dise-gno dell’illustratore Jean Jacques Sempé che ilregista trasforma in una deliziosa commedia.Essendo ambientato nei lontani anni 50, la di-mensione nella quale si muovono Nicolas e isuoi compagni di classe “quotidiana e favolosa,prosaica e simbolica allo stesso tempo” – giàampiamente sperimentata dal cinema di area

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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appassionati del bel cinema osano insistereripetendo: “Andate a vedere Departures” e icritici lo acclamano con titoli di rilievo: «Iro-nia ed emozione per una riflessione non ba-nale sul senso della morte» – «Il viaggio del-l’addio con dignità e bellezza: l’ex musicistasi dà da fare all’obitorio». In Departures il tema della morte viene tratta-to con una franchezza e una delicatezza inso-spettabili. «Niente di macabro – scrive la criti-ca – ma un inno alla compenetrazione fra vitae morte in un’epoca in cui la dipartita finaleviene nascosta e negata, perché ci segnala inostri limiti e ci ricorda i nostri doveri terreni»Sottolinea inoltre il valore dello sviluppo fina-le della vicenda in cui Departures diventa an-che inno alla riconciliazione ed al perdono, ri-servando l’elogio conclusivo al protagonista:«lo straordinario Masahiro Motoki, una figuramaschile della quale si sente molto il bisognonella nostra contemporaneità (…)».

DEPARTURESYojiro Takita Giappone - 2010

La storia inizia raccontando che – scioltasi l’or-chestra nella quale suonava il violoncello – ilgiovane Daigo insieme alla moglie Mika lasciaTokio e si trasferisce in campagna. Qui, lettoun annuncio per un lavoro di aiutante si pre-senta e, dopo appena uno sguardo, Sasaki, ti-tolare dell’agenzia lo assume. A questo puntoDaigo scopre che il suo lavoro avrà a che farecon la preparazione cerimoniale dei corpi pri-ma della cremazione. Dapprima nauseato, apoco a poco è preso dall’ armonia di quegliaddii cui è lui, con la sua abilità gentile, a daredignità e bellezza. Il mestiere però è impuro,gli amici non lo salutano più, la moglie lo la-scia e solo alla fine il tutto si ricomporrà, inun nuovo viaggio d’addio che ripara ogni fe-rita del passato. Una vicenda e un tema da ri-fiuto verrebbe subito da pensare. Invece, gli

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a cura di Mariolina Perentaler

Nojoud Ali IO, NOJOUD, DIECI ANNI, DIVORZIATAPiemme, 2009

È la storia vera di una bambina che, sola einerme, riesce con disperato coraggio aspezzare le leggi di una disumana tradizionesecolare: quella che riconosce il diritto dicontrarre matrimoni con spose bambine, an-che di otto, nove, dieci anni. Non si tratta di leggi ufficiali, sanzionate dal-lo Stato, ma di consuetudini radicate, soprat-tutto nei villaggi, in un contesto ancora ingran parte tribale, dove le leggi le fanno al-l’interno delle case i padri e i fratelli.Siamo nello Yemen, terra di forti attrattiveturistiche per la bellezza dei luoghi e la mil-lenaria cultura, ma dove la ricchezza fa con-trasto con la miseria e l’arretratezza di granparte della popolazione. Nojoud è una ragazzina vivace e intelligente,che ama tanto giocare. Non ha ancora nove anni quando all’improv-viso si sente annunziare che è stato già com-binato il suo matrimonio. La fanno partire su-bito, ignara persino di che cosa propriamen-te significhi la parola matrimonio.Il padre (un pover’uomo spesso disoccu-pato) chiede allo sposo, tre volte più vec-chio della piccola, di rispettarla prima diesercitare i suoi diritti coniugali, come pro-babilmente fanno tutti i padri indotti all’in-degno mercato. Ma chi garantisce che laparola sarà osservata? Di fatto Nojoud sitrova in balia di un uomo brutale che findalla prima notte la terrorizza e la percuo-te. Di giorno le ore della bimba trascorro-no tra fatiche sproporzionate alla sua età el’incubo della notte che si avvicina.Si presenta a un certo punto l’occasione ri-schiosa di una fuga. Ma dove andare? Hasentito dire che c’è solo il tribunale che puòsciogliere i matrimoni. Riesce a cacciarsi neltumulto della grande città, trova la strada del

tribunale e là… scoppia il caso: magistrati, av-vocati, giornalisti le sono attorno, l’ascoltano,divulgano il fatto a raggio mondiale… Nel gi-ro di poche settimane, Nojoud è libera. E si spera che il suo coraggio possa contribui-re alla liberazione di tante sue coetanee…

M. Calabresi SPINGI LA MORTE PIÙ IN LÀ Mondadori 2008

Sono rimasti nella nostra memoria storica co-me “gli anni di piombo” quelli a cavallo tra i’60 e i ’70 del secolo scorso. Quansi ogni gior-no i giornali riferivano che brigate rosse ave-vano ucciso o come allora si diceva “gambiz-zato” qualcuno. 17 maggio 1972: questa volta si tratta di unamorte annunziata, presentita da tutta una fa-miglia come in una lenta agonia. Dopo una campagna di calunnie e di odio, ilcommissario di polizia Luigi Calabresi è col-pito alle spalle. Lascia Gemma, la giovane mo-glie, che a 25 anni è madre di due bambini ein attesa di un terzo.Il figlio maggiore, oggi affermato giornalista,ripercorre, sulla falsariga di una puntigliosadocumentazione, la storia della sua e di altrefamiglie vittime come la sua di una folle aber-razione ideologica. Stessa tragedia , non sempre uguali le reazio-ni: c’è chi non può sollevarsi dal colpo tre-mendo, aggravato da un’atmosfera di genera-le indifferenza e talora di diffidenza, c’è chi sirifugia in una sua dolorosa solitudine. Emerge da queste pagine una nobilissima fi-gura di donna, la vedova Calabresi appunto,che non si arrende, non rinnega la vita. Al fi-glio che non può trattenersi dal chiederle:“Come hai fatto, mamma?” lei risponde: “…Mi sono data da fare tutti i giorni, ho cercatodi vaccinarvi dall’accidia, dall’odio, dallacondanna di essere vittime rabbiose…”. Una lunga pazienza di fede e di amore, riu-scita pienamente vittoriosa.

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ANNO LVII • MENSILE / NOVEMBRE DICEMBRE 2010LI

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a cura di Adriana Nepi

ne della sua prima Messa, al sindaco che glichiedeva che cosa gradisse in dono, rispo-se di non volere nulla, ma avrebbe somma-mente gradito che dessero da mangiare atutti i poveri del paese), tuttavia frequenta-va pure da amico la casa dei ricchi e dei po-tenti. E avvenne, graduale e sofferta, quellache si usa considerare la sua conversione.Lui però non cessò mai di sentirsi mandatoa salvare tutti, poveri e ricchi: comprese checombattere le ingiustizie, denunciare i cri-mini perpetrati contro tanti innocenti dauna minoranza sedicente cristiana ma avidae ottusa, era l’unica via per salvare oppressie oppressori: la sua non fu mai un’opposi-zione ideologica, ma pastorale.L’anno ‘77 doveva segnare una svolta decisi-va per mons. Romero. I suoi precedenti diuomo fedelissimo all’istituzione ecclesialee alieno da ogni ingerenza nella politica, lofece ritenere elemento “non pericoloso”quando, in circostanze estremamente tese,si trattò di designare il successore dell’arci-vescovo Chavez, dimissionario per la guer-ra scatenatasi intorno a lui ad opera dell’o-ligarchia dominante. La scelta cadde sumons. Romero, con grande soddisfazionedei potenti e amara delusione per i poveri.

Aveva un caro amico, Rutilio Grande, sacer-dote di 49 anni già apertamente impegnatoa difesa dei poveri: fu il primo sacerdote chemons. Romero, da pochi giorni divenuto ar-civescovo, vide da vicino, crivellato daiproiettili, quando fu trovato il suo corpocon quello di due contadini che viaggiava-

Oscar A. Romero Pastore di agnelli e lupiAdriana Nepi

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La vita di questo pastore martire è talmentelegata alle tragiche vicende di un intero po-polo che la sua biografia, mentre è unesempio splendido di fedeltà alla coscienzae al Vangelo, porta a riflettere su quel my-sterium iniquitatis in cui ci si imbatte trop-po spesso ripercorrendo il corso della sto-ria. Del vescovo Romero e del suo sacrificiotutti siamo più o meno a conoscenza, mal’avere idealizzato il personaggio ne ha for-se sminuito la grandezza. Un grande esempio di coraggio, un amoreai poveri fino al supremo sacrificio: è quan-to emerge comunemente dalle presentazio-ni che si fanno di lui. Questo libro suscitanel lettore, insieme all’ammirazione, unsentimento di stupore, quale si prova difronte a un miracolo. Oscar Romero nonaveva sortito da natura un temperamentodeciso e audace, né la sua formazione gio-vanile si era mai allontanata dagli schemi diuna tradizione non ancora aperta a moti dirinnovamento, ferma a uno stile di religio-sità piuttosto devozionale. In totale osse-quio alla prassi tradizionale, oggettivamen-te sana: annunziare a tutti, ricchi e poveri, ilvangelo della salvezza, il fervente sacerdotee in seguito lo zelante vescovo Oscar Rome-ro diffidò a lungo di ogni iniziativa mirata aliberare da una spietata oppressione un po-polo di umili lavoratori indifesi.. Fu il trovarsi faccia a faccia con una situazio-ne tragica ad aprirgli gli occhi, a fargli com-prendere che bisognava cambiare proprioper non mancare di fedeltà al vangelo.

Li aveva sempre amati, i poveri (in occasio-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

no con lui. Al presidente Molina che avevaavuto la spudoratezza di inviargli le condo-glianze, rispose con sdegno che non avreb-be partecipato più ad alcun atto ufficiale delgoverno finché non fosse stata fatta chiarez-za sull’omicidio. E mantenne la parola.Molto era già cambiato nell’animo di lui, maquella morte fu quasi il sigillo di una deci-sione irrevocabile. Aveva agito sempre inbuona fede, con retta coscienza: la sua stes-sa coscienza gli indicava ora chiaramente lanuova via da percorrere. Non si trattavadunque tanto di “conversione” quanto dicoerenza. Celebrate solennemente le ese-quie delle vittime, convocò un’assembleaplenaria del clero e dei religiosi, per decide-re che cosa si dovesse fare alla luce di quan-to era successo e accolse la proposta di ce-lebrare nella diocesi, la domenica successi-va (quarta di Quaresima), un’unica Messa incattedrale, che esprimesse l’unità della

Chiesa in quel momento di tanta sofferen-za e fosse insieme una denuncia contro lepersecuzioni in atto: una decisione inaudi-ta, che sollevò ondate di proteste e denun-ce in Vaticano. Lo stesso nunzio presente inEl Salvador andò su tutte le furie, ma Rome-ro, una volta rassicurato dal punto di vistateologico e giuridico da un esperto gesuitaconsultato per scrupolo, restò inflessibile.Quando arrivò la domenica 26 marzo, più dicentomila persone affollarono la piazza del-la cattedrale e quelle limitrofe, mentre al-l’altare si strinsero attorno al loro vescovoquasi tutti i sacerdoti della diocesi. Seguìuno scatenarsi di calunnie e di ingiurie, siarrivò al punto di pubblicare una preghie-ra per la salvezza della sua anima…Intan-to si succedevano le uccisioni, gli arresti,le torture, i tanti desaparecidos…Gli ulti-mi tre anni furono i più drammatici. Ognidomenica l’omelia dell’arcivescovo arriva-va in ogni angolo della diocesi: eranoomelie interminabili, iniziavano con la pa-rola di Dio e poi raccontavano tutto quel-lo che stava succedendo nel Paese. Finchési udì l’ultimo grido: “…vi supplico, vi pre-go, vi ordino in nome di Dio: cessi la re-pressione!”. La sera del giorno dopo, 24marzo, la notizia aveva già fatto il giro delmondo: mons. Romero era stato assassina-to mentre celebrava la sua ultima Messa.

Non si era mai considerato né un eroe néun profeta. Profeta era per lui il suo popo-lo. Una volta, a una celebrazione dove, se-condo l’uso locale, potevano prendere laparola tutti i presenti, dopo averli ascoltatiparlò lui: “Avevo preparato una lunga ome-lia, ma non la utilizzerò. Mi viene solo daripetere: grazie, Padre, che hai rivelatoqueste cose ai semplici e le hai nascoste aidotti…”. E confidava poi al suo accompa-gnatore: “Questi contadini commentano laparola di Dio meglio di noi…”.

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Sogno case sempre aperte! E suore in por-tineria dal volto accogliente e gioviale! In tutte le parti del mondo!Sogno che nell’era della tecnologia e deldigitale terrestre, dell’uomo su Marte,Giove e chissà dove, le FMA restino don-ne coi piedi per terra, con il cuore in ma-no, e gli occhi protesi verso l’alto!Sogno giovani FMA dal cuore bello pieno.Pieno di che? Di entusiasmo! Gli entusiasti salveranno il mondo!Sogno FMA anziane senza rimpianti, sen-za lamenti, e magari…senza acciacchi!!Sogno superiore che sentano le loro suorecome il giardino da coltivare e far crescere,la loro prima opera buona da compiere.Sogno che le persone vengano sempre,sempre prima delle opere!Sogno le costituzioni professate e vissute,perché amate!Sogno l’umiltà. La propria, prima di quelladegli altri!Sogno il cielo che si unisce alla terra! E chesi possa avere sempre un ricordo grato eaffettuoso di chi è venuto prima di noi. Sogno la memoria, vera forma di carità!!Sogno tante rubriche come quella di Ca-milla, dove si possa ridere dei propri limi-ti per accettarli e sconfiggerli!

Sogno FMA capaci di sognare! Perché il sogno prima o poi diventa realtà!

Il sogno di Camilla

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Care sorelle, l’avventura di Camilla sta perfinire! Ebbene sì, si chiude il sipario, sispengono le luci! Dopo 18 lunghi anni, lapovera, vecchia Camilla si ritira, e si prepa-ra “a miglior vita…” Ringrazia di cuore le sue affezionate lettri-ci, che l’hanno amata e seguita fin qui eche forse ora la rimpiangeranno con no-stalgia! Ma d’altra parte, si sa, tutto passa!Ho pensato a lungo a quest’ultimo salu-to. A come farlo. Lasciare un testamentospirituale? No, non sono così importan-te! Dare dei consigli? Se fossi una supe-riora, potrei farlo, ma non lo sono! Ri-percorrere i temi trattati in questi anni?Troppo complesso! Insomma, pensa cheti ripensa, ho deciso che, essendo io unafiglia di Don Bosco, gran sognatore,avrei potuto seguirne l’esempio, lascian-do, a mo’ di testamento, i miei sogni!Non ho la genialità narrativa di Don Bo-sco. E li scrivo quindi così, a braccio!

Sogno FMA felici! Via quelle espressioni unpo’ rigide dal volto, via le rughe che nasco-no da tensioni e preoccupazioni. Siamonelle mani di Dio. Lui sa quello che fa! Unsorriso sul nostro volto, un sorriso fattocon il cuore, vale più di cento giornate vo-cazionali! Parola di Camilla! Anzi parola diDon Bosco: Lui diceva che “il piatto mi-gliore in un pranzo è la buona cera”! Noifacciamo sacrifici anche enormi, ma senzauna “bella faccia” a che valgono???

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

DOSSIER: Sentinella, a che punto è la notte?

PRIMO PIANO: Radici di futuro La giovane Main

IN RICERCA: Donne in contesto Donne e spiritualità

COMUNICARE Testimoni digitali Testimoni digitali

NEL

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“Si ha un bel dire, ma il cuore parla al cuore, e la lingua non parla che agli orecchi...”

(San Francesco di Sales)

CANTO ALLA VITA

ABBI CURA DI ME COME LA PUPILLA

DELL’OCCHIO,NASCONDIMI

ALL’OMBRA DELLE TUE ALI...

(SALMI 17,8 )