Rivista DMA - TRA PAROLA E PAROLE (Maggio - Giugno 2013)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE TRA PAROLA E PAROLE damihi animas 2013 Anno LX Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

TRA PAROLA E PAROLE

damihianimas

2013Anno LX Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeNel cuore della ParolaGiuseppina Teruggi

5DossierTra Parola e parole“Il Verbo si fece carne”.

13Primopiano14Uno sguardo sul mondoIl patrimonio culturale dell’Hip-Hop

16Anima e dirittoLibertà senza responsabilità.La deriva dell’autodeterminazione

18Costruire la PaceContro il peccato sociale

20Filo di AriannaIl silenzio. I silenzi

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Maria Pia Giudici • Palma LionettiAnna Mariani • Adriana Nepi

Maria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran

Maria Rossi• Bernadette SangmaMartha Séïde

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sommario

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27In ricerca 28CultureLa virtù più grande

30PastoralmenteUna questione aperta: gli itineraridi Educazione alla Fede

32In MovimentoMGS Europa: movimentoin comunione e responsabilità

34In dialogoTestimonianza di Valeria AlejandraGalindo Franco

35Comunicare36Si fa per direComunicazione e reti di relazione

38Donne in contestoDonne che generano credenti

40Video La vita di Pi

42Il libroGuida ai naviganti

44MusicaDa Baby singer a cantante vero

46CamillaLa Fede su misura

n.5/6 Maggio Giugno 2013Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettorie austriaca e tedesca

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

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sibile in Testimoni come il Papa emerito Be-nedetto XVI e Papa Francesco. Sono i loro gesti a ‘parlare’, a provocare ri-sonanze, e non solo nei credenti.

Il profetismo di Benedetto si esprime nel-la trama consueta di un servizio evangeli-co di sapienza e dedizione totale allaChiesa, negli anni di Pontificato e nella vi-ta di sempre. Segno di puro servizio è sta-ta la scelta coraggiosa e libera della rinun-cia a Successore di Pietro, esprimendonecon limpidezza i motivi.

Profeta mandato da Dio è Papa Francesco,pastore con il cuore di Cristo e, come Lui,custode dei più deboli, dei poveri, diquanti spesso vengono confinati nellaperiferia del cuore. Un testimone che staincarnando la povertà come gratuità, dife-sa degli ultimi, capacità di dialogare contutti. Le sue parole, poche, chiare, effica-ci, vanno dritte al cuore e sostengono i cre-denti nell’impegno di camminare, edifica-re, confessare, con lo stile del coraggio,della tenerezza e della misericordia. Mes-saggi di gioia, quelli di Papa Francesco, maidissociata dalla Croce. Attraggono gentedi ogni età e condizione, donne e giova-ni, che il Papa esorta: “Cari giovani, non fa-tevi rubare la speranza”.

Testimoni di oggi, credibili perché entra-ti nel cuore della Parola.

[email protected]

Nel cuore della ParolaGiuseppina Teruggi

Questo numero della Rivista è dedicato al-la Parola che si fa linguaggio, comunicazio-ne nelle categorie umane della relazionee della comunione, dell’ascolto, del silen-zio, dei gesti. Dal Concilio Vaticano II so-prattutto, la Parola è entrata nei camminidei credenti, provocati ad approfondirla ecomunicarla con la propria vita, con coe-renza. Solo entrando nel cuore della Paro-la la si può rendere via di evangelizzazio-ne, annuncio di una Buona notizia che in-quieta e porta speranza.

Il DMA ci aiuta a riflettere sui percorsi cherendono efficace la comunicazione della Pa-rola, per una nuova evangelizzazione. So-no richieste anzitutto, si afferma nel Dos-sier, autenticità, chiarezza, semplicità, capa-cità di ascolto e di silenzio. L’ascolto della Parola, in particolare, deve co-niugarsi con l’ascolto della realtà e di ognipersona in quello che è ed esprime. Il silen-zio, parte integrante della comunicazione,è strategia efficace di evangelizzazione econdizione perché le parole siano dense dicontenuto. Condizione per mettere a tace-re il moralismo, la superficialità, il giudiziodistruttivo, la competizione: deterrenti pe-ricolosi all’efficacia della Parola.

Parola e parole implicano una comunicazio-ne che si interroga sul ‘come’ essere credi-bili oggi, in un tempo di insofferenza per letroppe parole che non dicono nulla: anchequando appaiono accattivanti e creative. Inquesto momento storico, il ‘come’ è reso vi-

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Tra Parola e parole

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silenzio che si pone come grembo che ac-coglie l’unica Parola che salva; che diventatestimonianza credibile per il mondo.

In principio, la Parola

È nella Parola che, ancora oggi, ha radici l’an-nuncio di Gesù. Ritorna alla memoria unalettera pastorale che il Cardinale CarloMaria Martini, nel 1981, scriveva alla Dioce-si di Milano invitando a riflettere sul prima-to della Parola che chiede la conversione delcuore. La Parola è «l’infinità del mistero»,scriveva Martini, «qualcosa che ci supera daogni parte, che ci avvolge e che quindi cisfugge, se tentiamo di afferrarla. Noi siamonella parola di Dio, essa ci spiega e ci fa esi-stere. […] È stata la Parola per prima a rom-pere il silenzio, a dire il nostro nome, a da-re un progetto alla nostra vita. È in questaparola che il nascere e il morire, l’amare eil donarsi, il lavoro e la società hanno unsenso ultimo e una speranza». La Parola è il mistero di Dio che si rivela esi comunica: “buona notizia”, Vangelo.

Gesù è pienezza della Parola d’amore di Dioall’umanità. Se Gesù parla agli uomini, è Dioche parla. In forza di questa relazione fi-liale, Gesù rivela in modo esclusivo il Pa-dre e comunica il suo volto misericordio-so, attraverso l’annuncio del Regno. Di questo parlano gesti, emozioni, com-portamenti di Gesù. Nella Pasqua Egli ma-nifesta inequivocabilmente e definiti-vamente il volto di Dio, Trinità, nel qua-le l’unità non è sinonimo di solitudine e

Il Verbo si fece carne

Tra Parola e paroleMaria Antonia Chinello

«Come Gesù al pozzo di Sicar, anche laChiesa sente di doversi sedere accantoagli uomini e alle donne di questo tempo,per rendere presente il Signore nella lo-ro vita, così che possano incontrarlo,perché lui solo è l’acqua che dà la vita ve-ra ed eterna. Solo Gesù è capace di leg-gere nel fondo del nostro cuore e di sve-larci la nostra verità […]». Le parole introduttive del Messaggio alpopolo di Dio della XIII Assemblea Gene-rale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del-l’ottobre 2012 pongono immediatamente difronte alla realtà del tempo presente. I mutati scenari sociali e culturali ci chiama-no a vivere in modo rinnovato la nostraesperienza comunitaria di fede e l’annun-cio, mediante un’evangelizzazione, afferma-va Giovanni Paolo II alla XIX Assemblea del-la CELAM, nel 1983, «nuova nel suo ardore,nei suoi metodi, nelle sue espressioni». Unasfida di comunicazione.Un impegno non facile, per il “popolo diDio” a cui è rivolto il Messaggio e l’invito acomunicare il Vangelo. Un impegno che richiede coraggio.Un impegno che è parola, iniziativa, attivitàche, sottolinea Benedetto XVI, «viene daDio e solo inserendoci in questa iniziativadivina, solo implorando questa iniziativa di-vina, possiamo anche noi divenire - con Luie in Lui - evangelizzatori».Un impegno che nasce da uno sguardo ado-rante sul mistero di Dio, Padre, Figlio e Spi-rito Santo; che sgorga dalla profondità di un

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la molteplicità di dispersione. Lo Spirito che lega il Padre al Figlio realiz-za la comunione, costituendola “luogo” e“segno” di comunicazione, di conoscenza,di donazione reciproca profonda. Una comunicazione aperta, che si rivela inGesù e, attraverso di lui, viene donata ai pic-coli, a ciascuno di noi. Qui è la radice, l’o-rigine e il senso della comunicazione: «Lafede cristiana ci ricorda che l’unione frater-na fra gli uomini (fine primario di ogni co-municazione) trova la sua fonte e quasi unmodello nell’altissimo mistero dell’eternacomunione trinitaria del Padre, del Figlio edello Spirito Santo, uniti in un’unica vita di-vina» (Communio et progressio, 8).

Gesù porta dentro di sé la passione per Dioe quella per l’umanità: è uomo del suo tem-po. Nella sua predicazione annuncia, ope-ra, discute, tace. La sua è una pedagogia dialogica che rive-la forme espressive, tonalità di annuncio at-tenti ai differenti contesti e livelli diversi dicomunicazione dei suoi destinatari. Le pa-

rabole con cui Gesù comunica non sonosolo un genere letterario, ma stile di vita edi comunicazione, scelta precisa di unmodello narrativo, che utilizza linguaggie generi distinti: «La comunicazione diGesù è profondamente dinamica e mo-stra le più alte vette di novità proprio neiconfronti dei poveri, dei peccatori e del-le donne, categorie tutte collocate aimargini della società. […] La sua comuni-cazione punta diretta alla vita dell’inter-locutore, da cui la domanda è salita all’o-recchio di Dio, di quel Dio che nei tem-pi antichi aveva accolto le grida di lamen-to del suo popolo» (Direttorio sulle Co-municazioni Sociali nella Chiesa, 37).

Comunicare nel tempo e nella storia

La Chiesa nasce dall’evento comunicati-vo del Figlio di Dio. Gesù abita tra gli uo-mini, raduna i discepoli e in forza dellasua Parola li manda annunciatori e testi-moni tra le genti. La comunione è principio e frutto della co-

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Devono avere la capacità di utilizzare benele lingue e gli strumenti di oggi che sono di-sponibili per la comunicazione nel villaggioglobale. La forma più efficace di questa co-municazione della fede rimane la condivi-sione della testimonianza di vita, senzacui gli sforzi dei media non si tradurrannoin una trasmissione efficace del Vangelo».

Tra criticità e percorsi di comunicazione

In un recente intervento all’Università La-teranense di Roma, il Card. GianfrancoRavasi, Presidente del Pontificio Consi-glio della Cultura, ha sottolineato l’urgen-za che educazione e comunicazione si in-treccino «altrimenti si assiste a una de-generazione di cui siamo spesso testimo-ni ai nostri giorni ove alla bulimia delletecniche “informatiche” corrispondeun’anoressia di contenuti informativi».

municazione del Padre: l’annuncio degliapostoli nasce da un’esperienza di comu-nicazione e comunione e tende alla comu-nione e a coinvolgere vitalmente chiunqueascolti. La comunione ha la sua sorgentein Dio, ma si traduce in linguaggi umani:la “Parola” si fa “parola” che crea, riconci-lia, unisce, celebra: «La Chiesa è costitui-ta essenzialmente come trasmissione diquesto evento di comunicazione tra gli uo-mini nelle forme comunicative della so-cietà umana. Forme legate alla storia, altempo. Forme contingenti. Che non pena-lizzano la missione della Chiesa, anzi of-frono nuove opportunità per andare in tut-to il mondo a predicare il Vangelo adogni creatura» (Direttorio sulle Comunica-zioni Sociali nella Chiesa, 41).Compito della Chiesa e di ogni cristianoè ricercare le vie per esprimere compiu-tamente il “mistero del Regno” con paro-le e gesti umani. L’evangelizzazione è comunicazione del-la Parola, a partire dalla fragilità e dallamutabilità dei linguaggi dell’uomo e del-la donna di ogni tempo: «La Chiesa devevenire a dialogo col mondo in cui si tro-va a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chie -sa si fa messaggio; la Chiesa si fa collo-quio» (Paolo VI).Anche il recente Sinodo dei Vescovi sullaNuova Evangelizzazione sollecita nuova-mente a interrogarsi sulla comunicazionedella fede nell’oggi della Chiesa e di unmondo in sempre più rapida trasformazio-ne. Nelle Proposizioni finali si legge: «L’u-so dei mezzi di comunicazione sociale haun ruolo importante da giocare per raggiun-gere ogni persona con il messaggio dellasalvezza. In questo campo, specialmente nelmondo della comunicazione elettronica, ènecessario che cristiani convinti venganoformati, preparati e resi capaci a trasmette-re fedelmente il contenuto della fede e del-la morale cristiana.

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Il nodo cruciale è proprio questo: la co-municazione non è più solo il “mezzo”,una protesi che aumenta le funzionalitàdei sensi e permette di fare, vedere, sen-tire, essere presenti, dialogare con moda-lità prima impensate. La comunicazione è “ambiente totale”,“luogo antropologico” globale, collettivo:l’aria che non possiamo non respirare.Passiamo da un’estensione di noi stessi auna nuova condizione umana: non piùmezzi di comunicazione, ma noi stessi“siamo comunicazione”. Una nuova condizione che richiede di esse-re critici su tre fronti: la moltiplicazione didati che la cultura ci consegna oggi; l’appa-rente democratizzazione, purtroppo nonsempre principio di pluralismo, quantopiuttosto di omologazione, controllo, neo-colonizzazione di contenuti; l’accelerazionedei contatti e la loro riduzione alla virtualità. Dinanzi a questi “vizi” (secondo Ravasi), ildato certo è che non ci si può più sottrar-re all’urgenza di entrare e stare nel conte-sto e nei contesti odierni; alla necessità diimparare (e re-imparare) a decodificare lelogiche e le dinamiche, all’impegno di ap-prendere a comunicare “bene”, tenendostretto e avendo ben chiaro il contenutocentrale della fede cristiana per modular-lo su nuove lunghezze d’onda. La “nuovaevangelizzazione” è chiamata a intrapren-dere tre percorsi di comunicazione:

ò custodire una chiara identità, senza ca-dute in sincretismi, depotenziando lafede cristiana - anche - del suo caratte-re di “scandalo”, di paradosso;

ò comunicare con autenticità, chiarezza esemplicità il messaggio della fede cri-stiana, che implica apprendere la suagrammatica, la sintassi, la stilistica pro-pria della comunicazione per ridurre ildivario tra la parola e lo stile ecclesiale;

ò ascolto attento della realtà, sorgenteper un “dia-logo” che sia veramente ta-

le, incontro tra concezioni anche diffe-renti, se non addirittura divergenti, per-ché «l’inizio dell’amore per il prossimosta nell’imparare ad ascoltare le sue ra-gioni» (Dietrich Bonhoeffer).

Quasi un decalogo

Il «come» è dunque una grande sfida allacomunicazione della fede oggi. Come “tra-durre” le disarmanti verità evangeliche? Co-me fare breccia nel cuore umano? La questione del linguaggio è vitale per lanuova evangelizzazione. Nel contesto odierno va recuperata (e ri-spolverata) la capacità di comunicare la Pa-rola forte di Dio in un tempo di profondetrasformazioni sociali, politiche, economi-che e tecnologiche. Molte volte si parla diDio con tale sicurezza che, anziché comu-nicazione, si genera irrimediabilmente fa-stidio, se non conflittualità: «Perché milio-ni di parole non suscitano altro che indif-ferenza o noia? Molte volte sperimentiamoche nella chiesa si parla molto per non di-re nulla; che molti discorsi sono incompren-sibili; che esiste una barriera fra il mondocontemporaneo e i discorsi ecclesiastici.Avremmo per caso smarrito il segreto del-la Parola forte di Dio?» (José Comblin).

La domanda non è retorica. Il punto di par-tenza deve essere la situazione reale dell’al-tro che pone interrogativi e chiede rispo-ste. Sembra affievolirsi anche tra noi edu-catrici, rapite dalla pastorale delle urgenzee del momento, la capacità di intercettaree ascoltare le voci che interpellano. Si fa fatica ad essere se stessi, a uscire dal-l’egocentrismo, dalla difesa del proprioterritorio cognitivo.Non si tratta di dimostrare una vaga dispo-nibilità al dialogo. Il cristiano non comuni-ca per convenienza ma per necessità, noninstaura un rapporto come strategia persua-siva per poi dimostrare a chi lo ascolta che

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co, la critica ideologica, la competizione. Riscoprire il silenzio e la parola nel loro re-ciproco fecondo rapporto è un’urgenzaper il nostro tempo: c’è bisogno di impa-rare nuovamente a parlare, nel senso didire parole che vengano dal silenzio e chedimorino nel silenzio dell’ascolto dell’al-tro; ma c’è anche bisogno di imparare atacere, non nel senso di chiudersi nellaprigionia delle nostre solitudini, ma di la-sciarsi raggiungere dalla Parola che evo-ca, abita, attira, trasforma. Ritrovare i sentieri del silenzio e riscoprirela Parola in un tempo stanco di parole.Il silenzio è parte integrante della comuni-cazione e senza di esso non esistono paro-le dense di contenuto: «Esiste un silenzioche è un elemento primordiale sul quale laparola scivola e si muove, come il cigno sul-l’acqua. Per ascoltare con profitto una pa-rola, conviene creare dapprima in noi stes-si questo lago immobile. E, dopo averascoltato, occorre lasciare che le ondeconcentriche della parola si propaghino, si

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Il Verbo si fece carne

La divina Parola non è solo divenuta uo-mo, ma dell’umanità ha abbracciato tut-ta la pietosa debolezza. Veramente tota-le la solidarietà che Dio nel suo amore in-tende vivere con l’uomo: e Giovanni lasottolinea nel suo Vangelo, più ancora de-gli altri evangelisti, presentando volta avolta Gesù stanco e assetato (4,6-7), addo-lorato e piangente (11,35), turbato (12,27),

commosso (13,21). Dobbiamo accoglierequesta lieta notizia. Dobbiamo vederequesto avvenimento: vedere nel sensodi spalancare gli occhi del cuore perchépossano essere colmati di stupore, dicommozione e di gratitudine davanti al-la straordinaria bellezza di quanto èavvenuto. Se uno pensa di cercare Diolontano dagli uomini, sbaglia, perchéDio è prossimo agli uomini. Se uno immagina che Dio abbia un aspet-to diverso dal nostro, si inganna, perchéil volto dell’uomo immagine viva del vol-to di Dio. Se uno crede di poter dare a Diosenza dare all’uomo, s’illude, perché chinon dà all’uomo, nega a Dio: tale sarà , in-fatti, la sentenza ultima e irrevocabile.

(Card. Dionigi Tettamanzi)

non ha capito niente: «Il dialogo è la con-sapevolezza sia del proprio valore che delproprio limite umano e, contemporanea-mente, del valore e del limite dell’altro. So-lo vivendo l’esperienza dell’incontro conqueste modalità, nasce una comunicazio-ne che arricchisce e diventa generatrice diuna nuova umanità». Solo chi ascolta attivamente sperimentaquell’empatia necessaria per ristabilire unarelazione amicale e non rispondere con ri-cette preconfezionate, né luoghi comuniche non servono a nessuno. A due condi-zioni: insieme e disposti all’umiltà, come di-ceva Tonino Bello: «Una Chiesa che vogliaessere compagna dell’uomo e testimonedello Spirito deve liberarsi del complessodi superiorità nei confronti del mondo, an-zi, deve essere disposta a perdersi».

Una sottile voce di silenzio

L’ascolto autentico per una comunica-zione efficace suppone il silenzio interio-re, il mettere a tacere il giudizio moralisti-

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smorzino, spirino nel silenzio. La parola sor-ge da un silenzio e al silenzio ritorna». Comunicare la fede nell’autenticità dellapropria identità, nell’ascolto e nel silenzio,nella disponibilità al dialogo attento con l’al-tro: sono vie per la maturità umana e comu-nitaria, in quanto l’avventura dell’incontroè coinvolgente. Sarà lo Spirito a suggerirciparole creative, a metterci fuoco nel cuoree a colmare di vento le parole e i gesti per-ché raccontino cose antiche e nuove, intrec-cino amicizie che contano più della “lette-ra”, relazioni che profumano di Vangelo. Preludi di nuova umanità.

Il magistero dei gesti

Siamo state testimoni nelle ultime settima-ne di avvenimenti che hanno cambiato lastoria della Chiesa. Da quell’11 febbraio,quando Benedetto XVI ha comunicato la ri-nuncia al ministero petrino, fino all’elezio-ne di Papa Francesco e il loro abbraccio in

un pomeriggio ventoso a Castelgandolfo. Settimane di comunicazione globale. Ma-gistero di gesti e parole. Benedetto XVI eFrancesco ci hanno raccontato la storia diumile gente, perché grande nella fede,chiara nei gesti e nelle parole, eloquentenei silenzi e negli sguardi.Tutto il mondo (e noi con lui), per giorni con“i nasi all’insù”: occhi, mente e cuore ap-pesi prima al volo di un elicottero e poi alfumo di un comignolo. Il 19 aprile 2005, giorno dell’elezione di Be-nedetto XVI, non c’erano né Facebook néTwitter. Il 13 marzo 2013, invece, quando lasorpresa è arrivata con il passo fermo egentile di un Papa venuto “quasi dalla finedel mondo”, il contesto dell’evento eraprofondamente cambiato.Quella sera, Piazza San Pietro nonostantel’inclemenza del tempo era illuminata da-gli schermi di smartphones e tablet. Una riprova di quanto Benedetto XVI ha conlucidità intuito in questi anni: i social me-

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dia possono essere porte di verità, e la con-divisione è, oggi, nell’era digitale, un mo-do fondamentale della presenza.Dentro a questa “condivisione”, a tutti imeridiani e paralleli, sono bastati pochigiorni di immagini rimbalzate da unpunto all’altro del pianeta, per essereconquistati da Papa Francesco, dalla suaparlata in italiano con accento argentino. Una comunicazione che disegna unagrammatica umana di gesti e parole, si-lenzi e sguardi. Semplicità ed eloquen-za, spiragli per guardare nuovamente al-la Chiesa con simpatia, riprendere fidu-cia verso un’istituzione che a molti appa-re lontana e poco affidabile. Nell’inesauribile sorpresa di queste set-timane, si coglie la presenza di un uomo,un fratello, che vuole essere in mezzoagli altri. E tutti comprendono che cosaquesto Papa ha dentro il cuore.

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Facciamo silenzio...

Facciamo silenzio prima di ascoltare laParola perché i nostri pensieri sono ri-volti verso la Parola.Facciamo silenzio dopo l’ascolto dellaParola perché questa ci parla ancora, vi-ve e dimora in noi.Facciamo silenzio la mattina presto, per-ché Dio deve essere la prima Parola.Facciamo silenzio prima di coricarciperché l’ultima Parola appartiene a Dio.Facciamo silenzio solo per amore del-la Parola.

(Dietrich Bonhoeffer)

Un celebre detto del Talmud dice: «Ciò cheesce dal cuore entra nel cuore».E noi, come la gente, sentiamo che dal suocuore di pastore viene qualcosa di moltoprofondo a proposito di Dio, della vita, del-la Chiesa, della persona. Francesco lo dice,lo esprime in maniera molto diretta e que-sto va alle persone. Anche i suoi gesti di suc-cessore di Pietro, sempre identificato nel ve-scovo di Roma, ci dicono qualcosa e prean-nunciano le forme del suo servizio di comu-nione. I suoi interventi sono già una trac-cia precisa del suo Magistero, il desideriodi una Chiesa “povera per i poveri”, che dia-loga con gli uomini senza mondanizzarsi,mantenendo la “differenza cristiana”.

Una comunicazione efficace, quella che siserve dei gesti, oltre che delle parole cheli accompagnano. Essa si mostra particolar-mente utile, sia perché universalmente ac-cessibile e fruibile; sia perché riesce a tro-vare ancora spazio in un mondo e in untempo (quelli del “villaggio globale”) neiquali, da una parte, si corre il rischio diuna eccedenza comunicativa, per cui ènecessario puntare al “cuore” del messag-gio; dall’altra, facilmente tutta l’umanitàpuò essere immediatamente raggiunta,grazie ai mezzi di comunicazione. Papa Francesco indica a tutta la Chiesal’urgenza di privilegiare, nell’impegno dievangelizzazione, il “cuore” del Vangelo,la novità che si esprime nella persona diGesù Cristo.Dario Viganò, direttore del Centro Tele-visivo Vaticano, ha detto: «Papa Francesco,in un certo senso, ha già scritto con i ge-sti la sua prima “enciclica”.E cioè che la verità cristiana è testimoniale,prima ancora di essere argomentativa».

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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Il gruppo musicale Sound Unlimited’s nel1992 ha realizzato per la Columbia/Sony, APostcard from the Edge of the Under-side– unico album di rap Australiano, pubbli-cato da una casa discografica importante– e Def Wish Cast’s Knights of the Under-ground Table pubblicata dallo stesso grup-po con l’etichetta indipendente RandomRecords nel 1993.Non è un caso che l’Hip-Hop sia nato nel-la periferia ovest di Sydney. Come in mol-te grandi città del mondo, nelle città au-straliane ci sono aree che vengono man-tenute distinte per classe sociale, econo-mica, culturale ed etnica. Nella cultura australiana, vivere in alcunisobborghi significa ricevere un marchio edessere considerati come persone che vi-vono in ghetti, così come succede in altrecittà dell’Europa e in America. I sobborghi occidentali sono generalmen-te percepiti come i luoghi in cui ha avutoorigine la cultura Hip-Hop a Sydney que-sto anche a causa della forte concentra-zione delle comunità di migranti non so-lo di origine anglofona, ma greca, italia-na, libanese, cinese e vietnamita.Crimine, violenza e traffico di droga at-tribuita alle bande “etniche” hanno ali-mentato storie sul ghetto raccontate daimass media in stile guerra di strada e sto-rie di migranti e bande criminali legatealla sottocultura e all’ Hip-Hop, che spes-so sono state molto ingigantite.Un aspetto positivo dell’Hip-Pop austra-liano, invece, è che gran parte di esso è

Assunto dai giovani indigeni e migranti australiani

Il Patrimonio multiculturale dell’Hip-Hop Edna Mary MacDonald

Il fenomeno della localizzazione del-l’Hip-Hop nel contesto Australiano hacoinvolto i giovani indigeni e migranti chehanno usato la sua forma naturale sincre-tica per esprimere il loro desiderio di in-tegrazione nella differenza.

Patrimonio multiculturale dell’Hip-Hop

I quattro elementi dell’Hip-Hop sono il Rapo MCing, Turntablism, il Djing, la Breakdan-ce, e l’arte dei graffiti, nata nel Sud del Bronxdi New York nei primi anni 1970. Questo mi-scuglio di generi e l’identità multietnica del-l’Hip-Hop ha reso possibile la sua adozio-ne, il suo adattamento e l’appropriazione inaltre parti del mondo, al di fuori degli Sta-ti Uniti, dove i sostenitori ritengono che lasostanza o l’essenziale dell’identità “black”non è poi così pressante e il processo diadattamento può essere semplice. Nella cultura tradizionale australiana c’è sta-ta una persistente mancanza di accettazio-ne dell’Hip-Hop. Il Rap e la breakdance era-no percepiti come appartenenti ad una sot-tocultura giovanile violenta, e i graffiti co-me una forma di vandalismo da eliminare.Questa paura per la cultura Hip-Hopspesso è sfociata nella xenofobia nei con-fronti dei giovani immigrati non di origi-ne anglofona e di giovani aborigeni, mol-ti dei quali hanno abbracciato l’Hip-Hopcome stile di vita identificandosi come unaminoranza di estranei.La prima compilation Hip Hop risale al 1988:Down Under By Law, pubblicata dalla Vir-gin Records.

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libero dalle pose misogine e omofobe delrap delle gang statunitensi.Oggi, il movimento Hip-Hop è un fenome-no culturale e sotterraneo che esprime laresistenza dei giovani dei sobborghi dell’o-vest a chi si oppone alla loro cultura, a chidisprezza le loro periferie e le loro vite equesto attraverso una cultura adottata dastudenti universitari, quelli con esperienzanelle arti performative, nell’accademia e, so-prattutto, che vivono al centro della città.

Un tentativo di costruire una identitàmulticulturale nazionale

Lontano dal rappresentare la perdita diidentità nazionale australiana di fronte al ca-

pitalismo globale, gli artisti Hip-Hop austra-liani sono impegnati nel tentativo di costrui-re un’identità multiculturale nazionale al po-sto di un modello razzista monoculturaleche sta ora guadagnando forza nella poli-tica nazionale australiana.I giovani in questa posizione cercano il mo-do per sviluppare una cultura che è impor-tante per le loro esperienze inter-cultura-li. Nell’Hip-Hop, si può trovare un po’ diquesta cultura che ha il senso di combatte-re contro l’esperienza del razzismo, af-frontando la segregazione e la vittimizzazio-ne vissuta dalle persone di colore.Il rap parla del razzismo e di altri elemen-ti della cultura giovanile; lo stile Hip-Hopfornisce il modo per dare spazio nellecittà australiane a questa nuova produ-zione culturale.L’appello dell’ Hip-Hop che coinvolge igiovani di diverse etnie e indigeni cercadi valorizzare ciò che non è “bianco” inuna società bianca razzista.Nel processo di adozione, adattamento eri-appropriazione degli elementi del-l’Hip-Hop in una forma tipica della sub-cultura australiana artistica e musicale, gliHip-Hopper australiani sono riusciti aridefinire l’identità nazionale come poli-glotta. Questo fenomeno multietnico è al-l’avanguardia di nuove espressioni dellerealtà complesse e diversificate della vi-ta contemporanea australiana.Il fatto che l’Hip-Hop australiano ha proli-ferato e si è moltiplicato, pur essendo ingran parte ignorato dall’industria tradizio-nale della musica australiana (almeno finoa poco tempo fa) è la prova della forza diquesta sottocultura, e la sua importanza neldefinire ed esprimere aspetti della vita di in-digeni e non anglofoni ignorati o discrimi-nati dai mass media e dalla cultura tradizio-nale australiana.

15 ANNO LX • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2013dma damihianimas

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nicazione, vengono delegate all’onda emo-zionale di filosofie, opinioni e preferenze sog-gettive, le une e le altre pretese e vantate co-me diritti inalienabili da far valere. Natural-mente dopo aver liquidato tutti i crismi deicriteri veritieri oggettivi e, in quanto tali, vin-colanti dei comportamenti soggettivi.

Autodeterminazione

Allora la libertà, avulsa dal contesto della re-sponsabilità, prevarica qualsiasi diritto, finan-che quello alla vita. Venduta sotto le menti-te spoglie dell’autodeterminazione, ma co-sì lontana dall’accezione etica e morale di chisacrificava la propria vita piuttosto che ne-gare la propria dignità, il proprio credo o ipropri (autentici) diritti. L’autodeterminazione si trasforma in concet-to sfaccettato, sfuggente e sfuggevole, natu-ralmente solo per chi vuol rimanere liberodi non capire o fingere di non farlo.Certo che l’autodeterminazione è principiofondamentale, irrinunciabile, dell’operareumano. Certo che è espressione prima dellalibertà, come esercizio di decisione e di scel-ta, che rende un individuo soggetto di respon-sabilità. Ma se l’autodeterminazione nasce sulvolere della persona, ciò non significa che puòa suo piacimento anche prosperarvi, perchéil volere stesso non è potere arbitrariamentecolmabile da opzioni e possibilità indifferen-ti. Perché l’autodeterminazione non può ca-ratterizzarsi con variabili indifferenti. Tutela-re la vita o decidere la sua eliminazione, affer-mare la verità o la falsità, rispettare la fedeltàconiugale o curare i propri figli, non può es-

La deriva dell’autodeterminazione

Libertà senza responsabilità

Rosaria Elefante

Siamo liberi. Persuasi e affascinati dalla con-vinzione che tutto possa legittimarsi graziealla “libertà”, scivoliamo nel rifiuto di ogniconfine che possa limitare ciò che crediamoessere diritto senza limiti. “Responsabilità” ad esempio: termine desue-to, anacronistico, roba da persone che, fuo-ri dal mondo, provano ancora quelle stranesensazioni del rispetto dell’altro, del legamecon l’altro (l’assenza delle quali ha via via de-terminato addirittura la perdita del senso dicolpa per aver fatto o, peggio, non fatto).Siamo liberi e senza freni. Col risultato,pressoché inevitabile, dell’annullamento del-le fondamenta di civiltà ed etica. Conseguenza del privilegio di una presunta“libertà” del tutto slegata appunto dalle re-sponsabilità, ma interpretata in modo esaspe-ratamente soggettivo e plasmata secondo lepreferenze del caso e, soprattutto, secondole proprie convenienze.Tuttavia, con la smania d’inseguire la danno-sa moda di una libertà a oltranza – conside-rata caratteristica di grande avanguardia e mo-dernità – facilmente si scivola nell’eccesso. Facilmente, per mostrare una recondita (ste-rile) abilità, magari fin lì negata, si può anchefinire col delinquere o quasi. Perché non im-porta se l’agire irrefrenabile, “libero” e sen-za regole, lede il diritto di chi è accanto: il qua-le, forse, ha diritti pari ai nostri. Dietro la spin-ta di un’egoistica tendenza, tutto viene filtra-to e modellato in base al principio dell’auto-noma e incondizionata volontà del singolo.E dunque le scelte che riguardano vita, ses-sualità, matrimonio, procreazione, amicizia,fede, educazione, ma anche la stessa comu-

camilla

Si fa per dire

16RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primopiano

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sere oggetto di libertà autodeterminante allostesso modo della scelta di un abito piuttostoche di una pietanza al ristorante. E la differen-za profonda che determina la scelta non puòche fondarsi sulle conseguenze che essa de-termina, nel rispetto di se stessi e degli altri.Al contrario, spesso il concetto di libertàviaggia a senso unico. Pretende riconoscimen-to alla propria assenza di limiti e con altrettan-ta intolleranza ne pone agli altri.Se un tempo dichiarare una relazione extra-coniugale, specie per una donna, risultava scre-ditante socialmente, adesso è una sorta di sta-tus symbol di cui andar fiere, soprattutto se,impossessatesi della casa coniugale e sradica-ta la quotidiana (e notturna) presenza pater-na dall’alveo casalingo, viene pure avanzata lapretesa di un mantenimento cospicuo, maga-ri anche per l’amante. Questa è “libertà”?

Quale libertà

Asserviti all’ingannevole apertura giustificati-va anche per ciò che farebbe turbare o quan-tomeno arrossire il più incallito degli amora-li, ci spingiamo con enfasi a condurre battagliea favore del panda gigante, ormai in estinzio-ne, ma senza realmente aiutare i disabili o lavita nascente. Finalmente, però, siamo liberi.Liberi forse di non avere più vergogna. Libe-

ri di provare violenta indignazione verso chiabbandona il cagnetto per le vacanze estive,eppure non accusare chi lascia soli e senza aiu-to i genitori anziani in casa. Di giustificare ogniazione e comportamento in nome di un’auto-determinazione finanche, a volte, mortifera. Di elaborare enunciati spacciandoli come ve-rità assolute e insieme invocare l’assoluto con-trario, con la sottesa pretesa dell’ottusità di chiascolta. Liberi – ancora – di sfasciare famiglie,togliendo ai nostri figli l’amore insostituibiledi due genitori, imponendo il concetto a la pa-ge di “famiglia allargata”. Di poterci drogare alfianco dei nostri adolescenti, per dimostrareloro che non siamo così decrepiti come imma-ginano. Di sbandierare (mal) costumi ses-suali e arrogantemente pretenderne non lacomprensione, ma la difesa a spada tratta. Liberi di odiarci in nome di un amore falso. Liberi di giustificarci reciprocamente, sebbe-ne relativamente, perché in fondo è sempli-ce: oggi io lo faccio con te, domani tu dovraifarlo con me. Liberi di essere più furbi. Liberi di far tutto e, sopra a tutto, non esserepiù responsabili. Un errore pesantissimo, mache può diventare tragico. Perché la vita è fat-ta proprio di responsabilità, assai prima che dilibertà. E lo stiamo dimenticando.

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17 ANNO LX • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2013dma damihianimas

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comunità umane. Questi rapporti nonsempre sono in sintonia col disegno di Dio,che vuole nel mondo giustizia, libertà e pa-ce tra gli individui, i gruppi, i popoli (cf ivi,118). È interessante chiarire che il peccatosociale non si identifica con il “peccato col-lettivo”, così denominato dopo l’esperien-za della seconda guerra mondiale. Il pecca-to collettivo è un peccato “organizzato” cheviene commesso assieme ad altri e al qua-le ognuno, in qualche modo, collabora. Entro una organizzazione terroristica, ad es.,alcuni derubano per finanziare le loro atti-vità, altri ottengono le armi, altri pianifica-no le azioni e, infine, qualcuno uccide. La responsabilità dei peccati collettivi ri-guarda tutti coloro che li hanno resipossibili e di conseguenza tutti i membridella collettività devono far fronte alleriparazioni che la giustizia esige (cfGonzález-Carvajal L., Le strutture di pec-cato e la carità politica, RT (2012)174).

Sottostrutture di peccato

Giovanni Paolo II ha denunciato l’esisten-za nel mondo di “strutture di peccato”. Afferma infatti che esse si radicano nel pec-cato personale e, quindi, sono sempre col-legate ad atti concreti delle persone, che leintroducono, le consolidano e le rendonodifficili da rimuovere. E così esse si raffor-zano, si diffondono e diventano sorgen-te di altri peccati, condizionando la con-dotta degli uomini. Alla base di questestrutture si trovano soprattutto la bramaesclusiva del profitto e la sete del potere,a qualsiasi prezzo (cf SRS, 36-38).

Contro il peccato sociale

Julia Arciniegas

“Nuovi poveri si affacciano sulle strade del-le nostre città: sono disoccupati, espulsi pre-cocemente dal mercato del lavoro…”. Il telereporter John Pilger (Australia), si èmesso in viaggio per visitare il “pianeta” del-le multinazionali e scoprirne i segreti. Ha potuto osservare grandi fabbriche in cuivengono cuciti vestiti alla moda, scarpe dilusso, tappeti da sogno, arrivando alla con-clusione che le multinazionali sono “i nuo-vi padroni del mondo”. La sua denuncia ha puntato il dito sulle cau-se e le conseguenze della delocalizzazionedella produzione in Paesi che non rispetta-no i diritti dei lavoratori e dell’ambiente.

Una cruciale interdipendenza

Alla radice delle lacerazioni personali e so-ciali, che offendono in varia misura il valo-re e la dignità della persona umana, si tro-va una ferita nell’intimo dell’uomo: il miste-ro del peccato. Una ferita che il peccatoreapre nel proprio fianco e nel rapporto conil prossimo. È vero, il peccato è personale,è sempre un atto di libertà di un singolo uo-mo; ma ogni peccato si ripercuote in qual-che modo sugli altri, ha una dimensione so-ciale (cf Compendio DSC, 116-117).E non solo questo: le aggressioni dirette alprossimo costituiscono il peccato sociale.È sociale ogni peccato commesso contro lagiustizia, contro la dignità e l’onore del pros-simo; contro il bene comune e le sue esi-genze, in tutta l’ampia sfera dei diritti e deidoveri dei cittadini. Infine, è sociale quelpeccato che riguarda i rapporti tra le varie

camilla

Si fa per dire

18RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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ace

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La prima struttura di peccato è il sistemaeconomico che domina il mondo: il capita-lismo neoliberale globalizzato. Esso funzio-na “sotto la spinta di meccanismi che nonsi possono non qualificare come perversi”(SRS, 17). Tra i più noti segnaliamo: il siste-ma internazionale di commercio, il sistemamonetario e finanziario mondiale, il com-mercio delle armi, il debito estero... Inoltre, le imprese multinazionali e transna-zionali costituiscono un campione di que-sto modello di globalizzazione capitalista.Il loro potere si basa soprattutto nellosfruttamento dei paesi del Sud.

Conversione e trasformazione

Nella costruzione della pace la responsabi-lità non si limita a coloro che reggono il mon-do. La conversione dei singoli e la trasforma-zione delle strutture sono due compiti chevengono reclamati assieme.

La conversione del cuore si esprime nell’im-pegno di assumere nuovi stili di vita nel quo-tidiano e di condividerle con tutta la comu-nità educante. Scegliamo pertanto di crearenuove relazioni: con le cose, passare dal con-sumismo al consumo critico, al risparmio, al-la sobrietà; con le persone, potenziare i va-lori della comunicazione, dell’incontro, del-la gratuità; con la natura, esprimere la respon-sabilità ambientale mediante l’uso delle seiR: Ripensare, Ristrutturare; Ridurre; Riutiliz-zare, Riciclare, Ridistribuire…; con la mondia-lità, passare dall’indifferenza alla correspon-sabilità e alla partecipazione; promuovere l’e-ducazione all’interculturalità, all’ecumenismoe al dialogo interreligioso (A. Sella). Siamo convinte che questo nostro impegnocontribuisce a sostituire le strutture di pec-cato con strutture di solidarietà.

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19 ANNO LX • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2013dma damihianimas

Come esprime la nostra comunità l’impegno per la pace?

La guerra in Siria è letteralmente un “poz-zo senza fondo”: il regime ha armi e le ar-mi arrivano ai ribelli. In questo contesto,le FMA dell’Ispettoria del Medio Orientesono segni di pace per la popolazione. Le tre comunità presenti in Siria racconta-no la loro esperienza: «Noi FMA non cischieriamo né con gli uni né con gli altri,desideriamo solo pace, vita, fraternità pertutti… Al nostro ospedale di Damasco, co-nosciuto come Italiano, stanno arrivandoferiti dalle due parti, nessuno è rifiutato,anzi con molta sicurezza e cautela li pro-teggiamo e curiamo. Nella vicina scuolaMaria Ausiliatrice, con la collaborazione

dell’alto Commissariato delle NazioniUnite per i rifugiati (UNHCR), sosteniamoun gruppo di donne profughe, non solosiriane ma anche africane e irakene, of-frendo loro un corso intensivo di taglio ecucito. Nella scuola materna della mede-sima comunità, e con l’aiuto dello stessoEnte, continuano a frequentare la scuola200 bimbi, cristiani e musulmani, ricchi epoveri. Inoltre, abbiamo cercato altri bam-bini al campo profughi e li abbiamo por-tati a casa nostra per imparare musica, ri-ciclare scatole o altro materiale con cui fa-re piccoli strumenti a percussione. In unastanza abbiamo dato ospitalità a quattrogiovani, due cristiane e due musulmaneimpiegate, che abitano in una zona peri-colosa e che avrebbero perso il lavoro.Ringraziamo il Signore che si serve di noiper dire il suo amore ai suoi figli e conti-nuiamo a chiedere con insistenza il donodella Pace. Salam per tutti».

Suor Ibtissam Kassis, fma

LUCECONTRO

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te prudenti e durature; non è possibileuna riflessione seria, una meditazioneprofonda, una preghiera di unione.

I silenzi personali

Fin da piccoli s’impara ad esprimersi con pa-role e con silenzi e a cogliere il significatodelle une e degli altri. A differenza delle parole che sono molte eabbastanza pertinenti ad esprimere i diver-si stati d’animo, il silenzio, pur presentan-dosi in forme diverse, è uno.Nella comunicazione interpersonale, inter-pretare adeguatamente i silenzi, è fonda-mentale. Quando si conoscono le persone,la lettura è relativamente facile. Nella mag-gioranza delle situazioni, comunque, il si-lenzio si rende decifrabile solo attraversola parola dell’interlocutore. Credere di ca-pire al volo, a volte, è solo una pretesa. Quando si desidera comprendere il silen-zio di una persona, di solito si cerca di rian-dare alla situazione che lo ha generato, siosserva l’atteggiamento di chi tace e si in-terpella rispettosamente l’interessata/o. Difronte al figlio, alla/o studente, alla perso-na affidata, che non parla, il genitore, l’in-segnante, la persona responsabile, si chie-de e chiede: “Cosa c’è che non va? Cos’èsuccesso?”. E, mentre interpella, pensa a co-sa è accaduto prima, cosa si è detto, cosa siè fatto o non fatto. E resta in ascolto. Se,però, chi ascolta – e può succedere – purcon tutto il desiderio di comprendere, si la-scia prendere dalla paura o da sensi di col-pa e comincia a parlare, a spiegare le sue ra-

Il silenzio. I silenzi

Maria Rossi

Il silenzio ambientale

Il silenzio di solito è inteso come una“condizione ambientale definita dall’as-senza di perturbazioni sonore” (Devoto –Oli). In alcuni momenti della vita, un luo-go silenzioso può essere desiderato comeun’oasi; in altre, invece, può suscitare pau-ra, repulsione ed essere sfuggito.Gli adolescenti e i giovani sono general-mente attratti da ambienti con giochi mo-vimentati, canzoni e musiche assordanti, in-contri facili; ambienti che suscitano emozio-ni in grado di placare momentaneamentetensioni e angosce, di distogliere da preoc-cupazioni, di distrarre, salvo poi ritrovarsidi fronte alle difficoltà senza soluzioni. Sfuggire al silenzio spesso significa fug-gire da se stessi e dalle proprie respon-sabilità; paura di guardare in faccia le dif-ficoltà; ubriacarsi di superficialità, di-sperdersi, dilazionare.Ogni tanto, un po’ di “stordimento” non famale. Potrebbe, se non altro, far apprezza-re maggiormente il valore del silenzio.Rompere la monotonia del quotidiano,scandire i tempi con la festa, il gioco, la mu-sica, …è doveroso, sano, sacro. Quello che nuoce a una crescita armoni-ca è l’essere continuamente esposti alle pa-role, al chiasso, alle musiche assordanti e laricerca ossessiva di tutto questo.Senza spazi e tempi di silenzio, non èpossibile mettersi in contatto con sestessi e con la natura, elaborare unaidentità personale integra, piena e dareuna direzione alla propria vita con scel-

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Si fa per dire

20RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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gioni, può chiudere la comunicazione e la-sciare spazio a penosi fraintendimenti.I silenzi sono molti, come molti sono i vis-suti che li inducono. Possono essere posi-tivi o negativi o problematici.

I grandi silenzi

Sono i profondi silenzi dell’anima nell’unio-ne mistica, nell’estasi, nella meditazioneprofonda, nella preghiera di unione, nell’in-tesa fra amanti. È sperimentare l’incanto, lostupore, l’attesa gioiosa dell’oltre, è viverela comunione, ai vertici più alti, dove la ra-zionalità non è annullata, ma è superata dal-l’amore e le parole diventano inutili, vacue.

I silenzi dell’empatia, della prudenza, del rispetto, della compassione

Sono i silenzi di chi ascolta con attenzionee rispetto, cercando di mettersi in sintoniacon colui che parla e di cogliere il suo pun-to di vista, per comprendere, aiutare, soste-nere, guarire. Sono i silenzi di chi preferi-sce aggiustare un malanno piuttosto checercare il colpevole; di chi tace per non umi-liare chi è già messo in cattiva luce; di chinon vuol togliere autorità nei confronti dichi fa già fatica ad animare un gruppo, unacomunità. È “lo stare” (stabat mater) difronte a un male irreparabile, a un dolorepersonale indicibile; è “lo stare” colmo dicompassione di fronte a chi soffre. È il silenzio dignitoso di chi, di fronte a chicrede di avere la verità e vuole avere ragio-ne, lo preferisce a una inutile e disgustosapolemica. È il silenzio dell’offerta.

I silenzi della paura, di difesa

Come gli altri silenzi, per comprenderli, ènecessario cogliere le circostanze che lihanno generati. Nei regimi totalitari, lapaura, spesso, non consente di esprimereil proprio pensiero divergente, neppure aifamiliari. Di fronte a genitori intransigenti,

è facile che un brutto voto preso a scuola,un primo tentativo di fumare, trovino rifu-gio e copertura in un silenzio timoroso. Co-sì pure, di fronte a un capo-ufficio, a un su-periore, a una superiora, piuttosto autori-tari e rigidi, la paura di essere rimossi o diperdere alcuni privilegi o di essere sgradi-ti e “presi di punta”, può far preferire un si-lenzio di difesa, anche se penoso. Può in-durre al silenzio la paura di risposte sprez-zanti e umilianti nell’interazione con per-sone arroganti e preferirlo a un battibecco,come pure la paura di non essere all’altez-za o di disturbare. Sono pure silenzi di di-fesa quelli dello sprezzante che esclude, delrisentito che si autoesclude, dell’arrabbia-to che non si sa dove va a finire. Col tem-po e in determinate circostanze, i silenzi dipaura e di difesa possono trasformarsi in bu-gie o in atteggiamenti aggressivi.

I silenzi - lacune

Non sono facili da cogliere. Appartengo-no alla “normalità”, ma possono anche ra-sentare la patologia. Creano, comunquequalche difficoltà. Si trovano nelle narra-zioni delle storie personali. Quando una persona, nel narrare verbal-mente o nello scrivere non accenna maia uno stadio importante della sua vita o auna persona significativa con la quale havissuto, di solito lo fa inconsciamenteper coprire un trauma, una sofferenza che,per il suo peso insopportabile è stata ri-mossa, eliminata dalla memoria. Nel mio lavoro, l’ho sperimentato più vol-te. Un esempio. Anni fa, una studente uni-versitaria, di vent’anni, si trovava nella dif-ficoltà di mantenere rapporti di amicizia-in-namoramento con ragazzi interessati a leie a lei graditi. Nel narrarmi la sua storia, pri-ma oralmente e poi nello scriverla sul suodiario, non fece un minimo cenno allemestruazioni. Richiesta su questa lacuna,riuscì a parlarne con disagio. L’aveva vissu-

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sere e aprire orizzonti impensati sia a chi leaccoglie, sia a chi le dona. Anche le appa-rentemente strane e incomprensibiliespressioni dei giovani, come pure quelledei “diversi” per cultura, religione, lingua,possono trovare comprensione in un ascol-to silenzioso, rispettoso, empatico. Il problema è che tutti vorrebbero trovarequesto tipo di ascolto, ma solo pochi lo san-no offrire. Per poterlo offrire, bisognereb-be aver raggiunto quella maturità e serenitàdi fondo che viene dall’accettazione pienadi se stessi e del proprio limite e dal supe-ramento delle paure profonde che spessosi crede di non avere.Il silenzio consente anche di mettersi incontatto con la natura, di sperimentare unsano e spontaneo stupore davanti alle suemeraviglie, istanti di chiara intuizione sulsenso e l’armonia del tutto, un’ingenua sor-presa di fronte alla meraviglia di un colore,di un sapore, di una scintilla di luce cheorientano e introducono al cuore stessodella realtà, all’immenso oceano di luce edi vibrazioni di cui siamo circondati, comein una continua sinfonia di silenti melodie(Cf. BELLESTER Mariano, Meditare un sogno,Messaggero, Padova 2011, pag. 96).Non è dimostrato che non si possa incon-trare Dio nel frastuono, ma i grandi maestridello spirito e anche l’esperienza persona-le di ciascuna/o, consigliano spazi e tempidi silenzio per rendere maggiormente pos-sibile una meditazione, una preghieraprofonda, un incontro con Lui.Il silenzio, nella sua accezione positiva, peril fatto che consente di essere e stare in con-tatto con se stessi, con gli altri, con la natu-ra, con Dio, rende liberi e fedeli, capaci diguardare e apprezzare le mille e attraentipossibilità che l’attuale società offre, sen-za esserne dipendenti o distratti o tentati diinseguirle come un miraggio.

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ta come qualcosa di oscuro, di negativo.Non aveva potuto parlarne con la madre,perché, a sua volta le aveva vissute moltomale. Nel corso degli incontri di chiarifica-zione e di sostegno, anche la madre, anco-ra sofferente e con sensi di colpa, sentì il bi-sogno di parlarne per rasserenarsi.Silenzi-lacune di non grave entità, sono ab-bastanza comuni. Possono riferirsi a un ge-nitore, a un fratello o sorella, a un parenteo insegnante, a un evento. Se, con un po’di coraggio e superando le paure semprein agguato, si riesce a coglierli, a elaborar-li e a inserirli serenamente nella propria sto-ria, oltre che vivere meglio, ci si abilita an-che ad aiutare gli altri a farlo.

I silenzi patologici

Sono generati, normalmente, da difficoltà,traumi, sofferenze che la persona non è riu-scita a superare. Si tratta dei casi più gravidi depressione, del mutismo nelle sue va-rie forme, dell’autismo, della paura quan-do diventa terrore. Per l’approfondimentodi questi disturbi, esiste una vasta e specia-lizzata letteratura di facile accesso.

Silenzio e comunicazione

Il silenzio fa parte della comunicazione. È una delle sue più alte forme, nei con-fronti degli altri, della natura, di Dio e an-che di se stessi. Nei rapporti interperso-nali sociali, comunitari, educativi, saper-lo interpretare adeguatamente è impor-tante quanto comprendere le parole nelloro vero significato.Un silenzio profondo che si fa ascolto ri-spettoso ed empatico, che crea spazio perl’altra/o, può cogliere, oltre alle parole, lemille sfumature dei silenzi di chi avvicina,comprese le posture e la mimica. E le parole che emergono dopo aver affon-dato le radici in questo “sacro” silenzio, pos-sono generare senso, vita, serenità, benes-

22RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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inserto fma

GUAI A ME SE NON ANNUNCIO IL VANGELO!

1 COR 9,16

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ginserto fma

VOI AVETE UNA PARTE IMPORTANTE

NELLA FESTA DELLA FEDE, VOI CI PORTATE

LA GIOIA DELLA FEDE E CI DITE CHE DOBBIAMO

VIVERE LA FEDE CON UN CUORE GIOVANE,

SEMPRE...

PAPA FRANCESCO

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Page 26: Rivista DMA  - TRA PAROLA E PAROLE (Maggio - Giugno 2013)

inserto fma

I GIOVANI DEVONO DIRE AL MONDO:

È BUONO SEGUIRE GESÙ. È BUONO ANDARE CON GESÙ.

È BUONO IL MESSAGGIO DI GESÙ. È BUONO USCIRE DA SE STESSI,

ALLE PERIFERIE DEL MONDO E DELL’ESISTENZA,

PER PORTARE GESÙ! PAPA FRANCESCO

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Letturaevangelica

dei fatticontemporanei

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Sant’Agostino nel suo commento alla Pri-ma lettera di San Giovanni mette ben in evi-denza la rilevanza della virtù teologaledella carità. È la virtù più grande che richie-de maggiore concretezza e quindi è quel-la che ci mette più in difficoltà.Kafka scrive all’amico Gustav Janouch:«Amore è tutto ciò che aumenta, allarga, ar-ricchisce la nostra vita, verso tutte le altez-ze e tutte le profondità. L’amore non è unproblema, come non lo è un veicolo; pro-

La virtù più grande

Mara Borsi

«Quale volto ha l’amore? Qualeforma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può dire.Tuttavia l’amore ha piedi che lo conducono alla Chiesa, ha mani che donano ai poveri, ha occhi coi quali si scopre chi è nelle necessità, ha orecchi riguardo ai quali il Signore dice: Chi ha orecchiper intendere intenda» (S. Agostino).camilla

Si fa per dire

28RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

in ricerca

cultu

re

Virtù in pratica: piccoli gesti di amore fanno crescere la vita

Prima di venire a studiare a Roma ero im-pegnata in una scuola superiore e lavo-ravo con adolescenti di 15-17 anni. Ungiorno organizzammo una passeggiatacon gli alunni di un’altra scuola. Al termine i nostri invitati se ne andaro-no e noi educatrici con i nostri alunni ri-manemmo nel parco ancora un po’ perparlare, stare insieme e giocare.Nel parco c’era un grande scivolo e i ra-gazzi si misero di nuovo a giocare. So-lo uno se ne stava lì vicino a guardare gli

altri. Nei suoi occhi si vedeva che aveva mol-ta voglia di divertirsi insieme agli amici. Maessendo molto grasso non si azzardava apartecipare al gioco.I compagni si resero conto della situazio-ne e qualcuno si avvicinò chiedendomi:“Suor Ana Cristina lo possiamo invitare?”.Si domandavano con delicatezza se l’invi-to era conveniente e se lo avrebbe fatto sen-tire bene. Di risposta feci un gesto afferma-tivo e così lo invitarono a prendere parte algioco. Dopo alcuni momenti di esitazionesi diresse verso lo scivolo, ma fatti alcunipassi inciampò. Cadde a terra con tutto il suo peso, i mieialunni erano ammutoliti e in un secondotutti si lanciarono verso di lui. Con l’aiutodi diversi compagni si rimise in piedi. Gli al-tri ragazzi si dimostrarono molto sensibilie solidali, nessuno rise per la sua caduta. Ilragazzo non disse nulla, si diresse piutto-sto mortificato verso il bagno per togliere

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29 ANNO LX • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2013dma damihianimas

blematici sono soltanto il conducente, iviaggiatori, la strada».I due autori citati, molto lontani nel tempo,fanno intravedere che le difficoltà nel vive-re e praticare la carità sono dovute all’egoi-smo e ai limiti personali. Alla radice di questa virtù teologale comedella fede e della speranza c’è la gratuità diDio, che depone in ciascuno un seme chesta a noi coltivare, far crescere e maturare.Il nostro amore nasce dall’amore di Dio checi precede. Gesù alla domanda - Qual è il primo di tut-ti i comandamenti? – risponde: «Amerai ilSignore Dio tuo con tutto il tuo cuore, contutta la tua anima, con tutta la tua forza econ tutta la tua mente e il prossimo tuo co-me te stesso». Amati gratuitamente siamochiamati ad amare allo stesso modo.Nel Nuovo Testamento Giovanni affermacon forza la connessione tra i due amori ildivino e l’umano già presenti nell’Antico Te-stamento: «Se Dio ci ha amati anche noidobbiamo amarci …Se ci amiamo Dio di-mora in noi… Se uno dicesse amo Dio, eodiasse suo fratello, è menzognero… Co-me io vi ho amato, così amatevi anche voigli uni gli altri».La carità nella sua dimensione verticale eorizzontale, non solo è “il più grande co-mandamento” ma anche la via per raggiun-gere la vita eterna strappandoci alla morte.L’esercizio della carità nei confronti delprossimo affamato o assetato o forestieroo nudo o malato o carcerato è condizioneper la felicità eterna.La beatitudine più intensa, afferma il cardi-nale Gianfranco Ravasi, che il Primo Testa-mento riserva al giusto è quello del Siraci-de, sapiente del II secolo a. C.: «Beati colo-ro che si sono addormentati nell’amore!».

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il fango dai vestiti. Tutti erano preoccupa-ti per lo stato d’animo del loro compagno.Un fatto semplice ma che mi fece riflet-tere molto perché toccai con mano i va-lori dei miei alunni: sensibili perché lagioia fosse di tutti, prudenti e delicati nel-l’incoraggiare, attenti a far sentire benechi non si sentiva a proprio agio nelgruppo per il suo aspetto fisico.Sono queste piccole situazioni che rive-lano se in una comunità educativa si vi-ve l’amore, la carità in concreto e non co-me idealità astratta.Sono testimone che il protagonista diquesta piccola vicenda, vivendo in un am-biente positivo che non lo ha stigmatiz-zato e deriso è stato capace di superarei suoi problemi, di calare di peso in mo-do significativo integrandosi bene nellavita sociale e sportiva della scuola al pa-ri dei suoi compagni.

Ana Cristina Chaviva, Messico

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ta lungo i secoli, la fede è considerata co-me «via», «strada», «cammino», «itinerario».L’Antico Testamento è ritmato dall’esperien-za itinerante di Abramo, di Isacco, di Gia-cobbe, dell’esodo, dei pellegrinaggi alla cittàsanta, del ritorno dall’esilio babilonese,della fedele osservanza della Legge inter-pretata come «iter di santità». Il Nuovo Testamento presenta il camminodi Gesù e dei suoi discepoli dietro di Lui (Lc19,28) e proclama con solennità il Cristo co-me «via» (Gv 14,6). Anche la storia dellaChiesa offre numerosi itinerari spirituali, di-versi e preziosi: Agostino, Benedetto, Tom-maso d’Aquino, Giovanni della Croce, Te-resa d’Avila e Teresa di Lisieux, per citarnesolo alcuni. Anche don Bosco nel predisporre il suo si-stema educativo sui pilastri della ragione,religione e amorevolezza è riuscito a trac-ciare una via «facile» di santità per i giova-ni, creando un ambiente idoneo per talecrescita come cittadini del mondo e comecristiani e riuscendo a personalizzare ipercorsi educativi concepiti su misura peri suoi ragazzi. Basta accostare le tre biogra-fie di Domenico Savio, Francesco Besuccoe Michele Magone per notare come gli iti-nerari fossero fortemente unitari, negli in-tenti educativi e sapientemente differenzia-ti secondo la singolarità dei soggetti.

Gli itinerari nel tempo della Rete

Oggi, nel contesto contemporaneo, la lo-gica della Rete con le sue potenti metafo-re che lavorano sull’immaginario, oltre che

Una questione aperta

Itinerari di Educazione alla Fede M. Borsi, P. Lionetti, A. Mariani

Dalle linee progettuali agli itinerari educativi: è questo il passaggio più delicato da affrontare per un’efficace azione educativa ed evangelizzatrice.

Le Linee Orientative della Missione Edu-cativa sollecitano le Comunità Educanti adattuare una Pastorale giovanile organicache implica la progettazione di itinerarieducativi tesi a promuovere nelle giovanie nei giovani atteggiamenti e disposizio-ni a scegliere ed agire secondo la logicaevangelica (Cf n. 97). L’esperienza di questi anni ha fatto matu-rare la convinzione che l’itinerario non èun ritrovato metodologico più o meno ori-ginale, ma rappresenta una traduzione inprocessi di una visione antropologica indialogo con il mistero di Dio.

Storia e tradizione

L’attenzione agli “itinerari”, nella Pastoralegiovanile FMA e SDB, ha un’interessantestoria a partire dagli anni Novanta del seco-lo scorso. In diversi contesti, infatti, si so-no vissute esperienze significative come adesempio quelle della Spagna, dell’Italia, del-le Ispettorie Latinoamericane del ConoSud, dell’India e più recentemente quelledelle Ispettorie SDB e FMA del Brasile. La mentalità dell’itinerario appartiene allagenuina tradizione della Bibbia e dellaChiesa. Nella grande riflessione sviluppa-

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sull’intelligenza, influisce sull’ascolto e sul-la lettura della Bibbia, sul modo di compren-dere la Chiesa e la Comunione Ecclesiale,la Rivelazione, la Liturgia, i Sacramenti.Occorre quindi considerare la sfida che cisi pone davanti: pensare gli itinerari nel con-testo di questa nuova cultura. Non possiamo continuare a progettare co-me in passato. Gli educatori e le educatrici contempora-nei sono chiamati ad essere “intagliatori disicomori”. Nel Convegno “Parabole Media-tiche” (2002) l’allora cardinal Ratzingerusò questa metafora per dire che il cristia-nesimo è come un taglio su un fico. Il si-comoro è un albero che produce moltifrutti che restano senza gusto, insipidi, senon li si incide facendone uscire il succo. I frutti, i fichi, rappresentano la cultura delnostro tempo. Il Logos cristiano è un ta-glio che permette la maturazione dellacultura. La cultura digitale è ricca di frut-ti da intagliare, e il cristiano è chiamato acompiere un’opera di mediazione. Il compito non è esente da difficoltà, maappare oggi più che mai esigente (A.Spadaro, Cyberteologia. Pensare il cri-stianesimo al tempo della rete, 2012).È perciò necessario considerare meglionella Pastorale giovanile la logica della re-te e di conseguenza rivedere gli Itinera-ri di Educazione alla Fede.

I punti fermi

In questo tempo di ripensamento, tutta-via, ci sono alcuni punti fermi acquisiti at-traverso l’esperienza che non sono da di-menticare.ò Pensare la maturazione delle persone

in modo dinamico (a spirale) e non se-condo lo schema dell’accumulazione.

ò Il ruolo essenziale della ComunitàEducante in merito alla progettazione,attuazione e verifica degli Itinerari.

ò L’importanza della vita quotidiana nel-l’educazione della Fede (interessi, am-bienti di vita, differenze personali,esperienze).

ò La meta unificante: la “vita piena e ab-bondante per tutti” delineata da Gesù.Tutta la Comunità si pone in camminoverso la meta globale che si specificain mete differenti in rapporto ai diffe-renti soggetti in cammino.

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L’itinerario non è...

...un bagaglio di idee ipoteticamenterealizzabili, un insieme di pii propo-siti, perché ha bisogno di concretez-za e di aderenza alla realtà.Un processo ideato a tavolino, unaspecie di conduttura forzata, perché saessere dinamico accogliendo le novitànon preventivabili, gestendo nel miglio-re dei modi gli imprevisti educativi. Un tracciato che coglie solamente leesigenze dei singoli o esclusivamen-te le esigenze del gruppo, perchécompendia insieme processi di per-sonalizzazione e di socializzazione.Una scansione ripetitiva del camminoprecedentemente svolto, perché rispet-ta le nuove condizioni evolutive dei sog-getti e le orienta verso traguardi forma-tivi sempre nuovi e progressivi. Un cammino unilaterale e chiuso allemolteplici dimensioni della fede, per-ché coinvolge in modo organico le di-mensioni: educativa, evangelizzatri-ce, sociale, associativa, comunicativa,vocazionale.

(Cf G. Ruta, Progettare la Pastorale giovanile oggi, 2002)

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ri di Torino come un sintomo evidente diuna carenza di educazione. Non dimenti-chiamo che la violenza è il modo più natu-rale di gestione dei conflitti, di esprimere lacollera, i propri sentimenti di rabbia. Nella sua visita a Parigi, nel 1883, don Boscodisse: “Prendetevi cura dei giovani primache loro si prendano cura di voi”. Questo è quello che ho provato io da ragaz-zo quando ho incontrato Jean-Marie PetitClerc, SDB, nella sua Valdocco di Francia, ve-dendo in pratica tutta la pedagogia del darefiducia che passa attraverso l’accompagna-mento e il rafforzamento della confidenza. Ciò che caratterizza i giovani di oggi, comequelli di don Bosco è proprio la mancanza difiducia negli adulti, l’ansia per l’avvenire, le dif-

MGS Europa, movimento in comunione e responsabilitàA cura di Runita Borjia e David Viagulasamy

Testimonianza di David Viagulasamy

David Viagulasamy è un giovane di 28 anni,ingegnere e capo di progetti informatici. Ge-nitori immigrati indiani e vietnamiti, nato inFrancia, nei quartieri delle periferie di Pari-gi è presidente del movimento giovanile sa-lesiano per la Francia e il Belgio dal 2005. Da tre anni è coordinatore per il MGS dei gio-vani in Europa e responsabile delle proble-matiche della diversità e dei giovani in diffi-coltà per l’associazione di Scout e Guide Cat-toliche della Francia che conta 70.000 iscritti. «Credo che l’intuizione geniale di don Bo-sco e che resta molto attuale nel mondo dioggi, è di aver saputo decodificare i fenome-ni di violenza che lui osservava nei quartie-

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In questi ultimi decenni il MovimentoGiovanile Salesiano (MGS) si è sviluppatonelle diverse ispettorie e nazioni dell’Eu-ropa e del Medio Oriente, con ritmi diver-si. Sono cresciute diverse forme di coor-dinamento nazionale e opportunità diconoscenza e scambio tra giovani e grup-pi dei diversi Paesi e ispettorie. Partendo dalla richiesta dei giovani,espressa nel Documento Finale del ForumMGS 2000, di irrobustire il MGS con un mi-nimo di strutture di comunicazione e dicoordinamento, nel 2004 si è avviato perle ispettorie di Europa e Medio Orienteil Coordinamento del MGS.Il Coordinamento MGS Europa e MedioOriente ha i seguenti obiettivi: approfon-

dire l’identità del MGS come movimentointernazionale nell’Europa e MedioOriente; favorire lo scambio di esperien-ze ed informazioni e la collaborazione trale ispettorie (SDB – FMA) e le nazioni; rap-presentare il MGS in organismi o piattafor-me civili ed ecclesiali.Si sono adoperate due scelte come moda-lità di concretizzare il Coordinamento:l’Assemblea Generale – composta da gio-vani, FMA e SDB rappresentanti delle Na-zioni o ispettorie e dai rappresentanti delDicastero SDB e dell’Ambito FMA per laPastorale giovanile. La Segreteria è com-posta da rappresentanti giovani, FMA eSDB eletti dall’Assemblea generale. Ha tre anni come periodo di attività.

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ficoltà nel processo di socializzazione. Tre va-lori della pedagogia salesiana mi stanno mol-to a cuore: la fiducia, la speranza e l’alleanza.

La fiducia

Senza fiducia non ci può essere educazio-ne. Un’educazione basata sulla confidenzae la fiducia è un’educazione fondata sullaragione. L’educatore che agisce in modo ra-gionevole è convinto che l’adolescente siadotato della capacità di ragionare ed è ca-pace di comprendere gli interessi della gio-ventù. Nel 2005, nel mese di settembre unamico salesiano mi ha chiamato di merco-ledì per incontrarmi il sabato “David – mi hadetto – c’è un nuovo movimento che iniziae io ti invito a venire a partecipare”. Il sabato sera, io sono stato eletto al consi-glio nazionale come vice-presidente. Questo salesiano mi ha detto: “Io mi fido dite, tu puoi farcela!”.Il mio lavoro è stato lungo per esplicitare gliobiettivi di questo nuovo movimento, all’e-sterno, ma anche e soprattutto all’internodell’Ispettoria. Qualche salesiano mi sussur-rava all’orecchio: “David, avanti, avanti!”.

Una pedagogia della speranza

“Il salesiano non si lamenta dei suoi tem-pi” è quanto diceva don Bosco ai suoi. Questo richiede il coraggio di sognare e dilasciar sognare i giovani. L’unico modo perrispettare il diritto a crescere, è quello di ve-dere nei giovani sia il bambino che lui è sial’adulto che diventerà. All’inizio del suo la-voro, don Bosco ha avuto l’idea di chiede-re ai giovani più grandi di essere responsa-bili, e di accompagnare i più piccoli. Il Movimento Giovanile Salesiano è un’in-credibile esperienza di responsabilizza-zione umana, di proiezione nell’avvenire,di costruzione di un sogno, che mette inmovimento i giovani per rispondere ai bi-sogni del mondo di oggi.

pa, mette in relazione i giovani del conti-nente e dà loro la possibilità di confronta-si con le diverse culture, di apprezzare il la-voro insieme e soprattutto di conoscersi. Tutti gli anni ciascun responsabile/coordi-natore si incontra per un week-end discambio e condivisione intorno a ciò chesi ha in comune e tutti ripartono con nuo-vi progetti da realizzare nelle loro regio-ni e nei diversi paesi. A partire dalla miaesperienza, l’invito che posso fare è que-sto: fidatevi dei giovani con tutto il vostrocuore e con tutta la vostra anima, non ab-biate paura di amare i giovani alla follia,amate in loro gli uomini e le donne di do-mani, vi posso garantire che domani saran-no in grado di spostare le montagne».

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Una pedagogia dell’alleanza

Don Bosco propose una pedagogia dell’al-leanza. Questa pedagogia non è qualcosada mettere in pratica per i giovani, ma coni giovani, loro non sono solo i destinatari,ma piuttosto i protagonisti, i partner. Il Movimento Giovanile Salesiano in Euro-

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Un giorno di ritorno dal lavo-ro, si sentiva sfinito e quin-di aveva deciso di metter-si subito a dormire. Al mattino seguente si èalzato felice e ha raccon-tato il sogno che avevafatto: stava in un deserto

accasciato ed esausto e al-zando lo sguardo aveva visto

i sandali e i piedi di un uomoche stava di fronte a lui.

Alzando lo sguardo, si rese conto della gran-dezza della presenza di quest’uomo. Quando il suo sguardo si stava posando sulvolto di quell’uomo, si è svegliato con unaconsapevolezza: quello era Gesù venuto adirgli che tutto sarebbe andato bene. Dopo quel giorno Julián ha continuato aprendere le sue medicine, ma non ha avu-to più episodi di epilessia e ogni giornorinnova la sua esperienza di fede. Il suoesempio mi insegna a confidare in Dio cheintercede sempre per noi con un amoreincondizionato, in questo modo riusciamoa comprendere il senso della sofferenzache arriva nella nostra vita». L’esperienza di fede di Julián, che si affidatotalmente al Signore, mettendo nelle suemani la vita e la salute, viene rinnovata ognigiorno, oltre la sofferenza e il disagio.Confidare il suo sogno, e la sua certezza cheil Signore non l’abbandona è diventata te-stimonianza per chi gli vive accanto e for-za per dire con coraggio: “Io Credo”.

Testimonianza di ValeriaAlejandra Galindo Franco Anna Rita Cristaino

Valeria Alejandra, è una giova-ne colombiana che frequen-ta l’11° grado del CollegioMaría Auxiliadora di Bo-gotá (Colombia), l’ultimaclasse delle superiori. Le abbiamo chiesto dicondividere una testimo-nianza di fede che l’ha par-ticolarmente colpita e che leè stata di aiuto nel suo cammi-no spirituale. Lei ci ha raccontatola storia di suo cugino Julián.Una fede solida, che parte da un’esperien-za di sofferenza, letta alla luce della vo-lontà di Dio. Una fede che si incarna nelquotidiano e diventa dialogo con il Signo-re, che riempie di senso le diverse circo-stanze della vita. «Voglio condividere l’esperienza di fede dimio cugino Julián, un giovane di 23 anni,che da molto tempo soffre di epilessia. C’è stato un momento in cui le crisi epilet-tiche erano frequenti e lui ogni giorno spe-rimentava l’esaurimento delle sue forze. Le sue giornate erano diventate difficili, imedici gli avevano ordinato medicine perla vita, ma non intravedevano per lui un fu-turo di speranza. Julián, però, anche nellasofferenza ha sempre creduto che avrebbepotuto curarsi, e sperava in un miracolo diDio e lo chiedeva attraverso l’intercessio-ne della Vergine Maria. Era passato un anno, lui continuava a pren-dere le sue medicine senza che si verificas-se alcun episodio di epilessia.

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Informazioninotizie e novità

dal mondodei media

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e canali che, evitando di trattenere, favorisco-no la comunicazione e alimentano la vita.

Rete, relazione, comunicazione

Ogni nostra comunità, nel suo piccolo, è unarete, ma se il modello a cui fa riferimento nonpromuove la comunicazione, essa si tra-sforma in una gabbia per quanti la avvicina-no e anche per chi la vive da dentro. Già nel 2009 Benedetto XVI, nel messaggioper la 43a Giornata delle comunicazioni so-ciali, ricordava che «Il desiderio di connes-sione e l’istinto di comunicazione, che so-no così scontati nella cultura contempora-nea, non sono in verità che manifestazionimoderne della fondamentale e costante pro-pensione degli esseri umani ad andare ol-tre se stessi per entrare in rapporto con glialtri»: questa dimensione relazionale dell’e-sperienza umana non può e non deve esse-re disattesa né a livello intracomunitario néa livello extracomunitario.Nell’era digitale in cui viviamo, la Rete, ren-dendo patrimonio di chiunque la reciprocitàe la partecipazione, contribuisce al declinodella comunicazione unidirezionale; nellostesso tempo, tuttavia, essa mostra quali bi-sogni si nascondono nella comunicazionecircolare che trionfa nei social networks: l’ur-genza di un contatto che trasformi la connes-sione in incontro e di un collegamento checonverta la distanza in presenza.

La comunità come rete di relazioni

Se, come dice la Madre nella lettera di con-vocazione del Capitolo Generale XXIII, la

Comunicazione e reti di relazionePatrizia Bertagnini

“La Rete è immagine della Chiesa nella misura in cui la si intende come un corpo che è vivo se tutte le relazioni al suo interno sono vitali” (A. Spadaro).

Rete: quale modello?

Quando facciamo nostre alcune immagini perdescrivere la realtà in cui siamo immerse, cor-riamo sempre il rischio di non prestare do-vuta attenzione a quale visione di umanitàesse presuppongono e, nella migliore del-le ipotesi, ci esprimiamo in modo un po’ ge-nerico. Il concetto di rete, oggi tanto usatoper descrivere non soltanto la connessioneplanetaria favorita dalla diffusione di inter-net, ma pure il tipo di società che da questapluriconnessione emerge, non sfugge alla lo-gica della terminologia ‘alla moda’.Per questo motivo è necessario distingueretra due modelli di rete che, in verità, presen-tano differenze non proprio innocue: c’è larete-ragnatela, vera e propria trappola per cat-turare le prede; c’è la rete-reticolo idrico, cheinvece è un sistema di canali deputati all’ir-rigazione della terra e al trasporto fluviale.La rete-ragnatela è il prodotto finito e chiu-so in se stesso di un unico individuo; le suemaglie appiccicose hanno il solo scopo di ir-retire chi vi cade dentro, condannato a tro-varvi la morte. La rete-reticolo idrico è un si-stema aperto di sempre nuovi corsi d’acqua

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presenza di «rapporti funzionali, formali, af-frettati che non soddisfano il bisogno di in-contro» mette in crisi lo spirito di famiglia,si comprende come diventi indispensabi-le coltivare la dimensione relazionale qua-le via privilegiata di educazione evangeliz-zatrice. Ancora la Madre azzarda che «il fu-turo si giocherà sulla qualità delle relazio-ni» (Circ. 935) e proprio per questo ognirealtà comunitaria è chiamata a «maturarerelazioni interpersonali umanizzanti», rea-lizzando quell’ascesi che deriva dalla ricer-ca condivisa delle «condizioni che favorisco-no rapporti veri, semplici, capaci di espri-mere il volersi bene di chi ha incontrato Ge-sù e si è lasciato trasformare il cuore da Lui».D’altra parte gli strumenti per dar vita a que-sta rivoluzione del cuore e degli atteggia-menti sono già chiaramente presenti nelleCostituzioni; quelle che, nell’articolo 52, ven-gono presentate come azioni che competo-no alla Direttrice sono, di fatto, strategie che,se assunte personalmente da ciascun mem-bro della comunità, possono aiutarla a de-finirsi come ambiente capace di coinvolge-re la persona nella sua interezza:ò dedicarsi all’incontro personale

con l’altro;

ò promuovere nel gruppo rapporti di qualità;

ò coltivare la consapevolezza delle pro-pria identità vocazionale e carismatica;

ò mettere le proprie energie a serviziodella missione condivisa.

Per una relazione comunicativa

Infine, nella misura in cui le nostre comu-nità sapranno diventare luoghi dove ognipersona può muoversi ed esprimersi con li-bertà, cioè nella misura in cui le nostre con-vivenze saranno veri e propri intrecci di vi-te e di storie, reti di relazioni significativee non tranelli in cui naufraga la speranza di

essere accolti, riconosciuti, portati, allora lacomunicazione che le connota si farà gra-dualmente più efficace, capace di narrarevissuti autentici e di testimoniare sincerapassione per l’umano.Soltanto in quest’ottica i parametri comu-nicativi che adotteremo sapranno tenerconto di alcune istanze irrinunciabili:ò l’abbandono di quell’autoreferenzialità

che rende il vissuto personale e comu-nitario chiuso, ripiegato su di sé e re-stio al dialogo;

ò la costruzione del dialogo mediante lapromozione della comunicazione inter-na alla comunità e la cura del confrontocon la società civile;

ò il superamento del semplice desideriodi esprimersi, accompagnato dall’atten-zione a cogliere la domanda dell’altro ea conoscere il proprio interlocutore;

ò la consapevolezza della propria identitàe l’intenzionalità con cui si mettono glialtri a parte di ciò che si ritiene signifi-cativo;

ò la capacità di identificare la propria spe-cificità in termini comunicativi, riuscen-do ad individuare, rispetto ad altri, ciòche si ha da dire e come lo si vuole dire;

ò l’impegno a rispondere di sé e dellapropria comunità garantendo dell’au-tenticità e dell’affidabilità della propriavita e di quella della comunità;

ò la disponibilità a mettere in gioco unacomunicazione improntata all’ascolto e alla trasparenza.

Laddove la rete non favorisce l’incontro tra-disce se stessa e tradisce le persone; que-sto apre alle nostre comunità educanti ilcompito di restituire ad ogni persona unambiente in cui comunicare ed incontrar-si non sono rischi ma opportunità.

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sita soprattutto ai poveri e ai gruppi di mi-noranza etnica. La partecipazione attiva del-le donne nell’opera evangelizzatrice è visi-bile anche dal numero crescente di giova-ni vietnamite che abbracciano la vita religio-sa per essere a servizio del Vangelo. Sonoloro che radunano le donne in gruppi dipreghiera e per la condivisione del Vange-lo. In questi spazi, le donne imparano a leg-gere la volontà di Dio nelle vicende quoti-diane. Generalmente, si radunano una vol-ta alla settimana raccontandosi il loro incon-tro con Dio tra i meandri della vita, delle fa-miglie e dei posti di lavoro. Per le donne più povere, l’opera evangeliz-zatrice procede di pari passo con le attivitàdi promozione umana ed economica. A queste donne si insegna l’arte di picco-le produzioni ed il risparmio per sostene-re economicamente le loro famiglie. Ciò che si nota in questi gruppi di donne èl’aiuto reciproco. Sono disposte a condivi-dere ed assistere coloro che fanno fatica adapprendere i progetti di produzione.

Puoi raccontarci alcuni episodi di qualche donna che consideri essereuna profonda ed efficace comunicatrice di Dio agli altri?

Huynh Thuy: Due episodi hanno toccato inparticolare la mia vita di fede e di religiosaconsacrata.La donna in Vietnam può essere conside-rata il pilastro della fede. La verità di que-sta affermazione emerge soprattutto nei ca-si di donne che sposano uomini buddisti

Donne che generano credentiBernadette Sangma

È la voce dall’Oriente. Huynh Thi BichThuy è del Vietnam, attualmente studenteall’Istituto per la Pastorale giovanile del Col-legio Universitario Tangaza a Nairobi, Kenya.È religiosa appartenente alle Figlie di NostraSignora delle Missioni (RNDM). Le abbiamo posto alcune domande su qua-le sia il ruolo delle donne nell’evangelizza-zione del Vietnam e dalle sue risposteemerge una forte fede e tutta la ricchezzadella spiritualità femminile orientale.

Qual è la percentuale dei cattolici in Vietnam?

Huynh Thuy: Il Cattolecismo è stato intro-dotto nel XVI secolo e da allora ha continua-to a crescere. Oggi i cattolici sono circa il7% della popolazione.

Qual è secondo te il contributo delle donne nel processo di evangelizzazione del Vietnam?

Huynh Thuy: Le donne vietnamite sono mol-to laboriose, diligenti e disposte ad af-frontare le rinunce e le privazioni della vi-ta a servizio della vita. Tali atteggiamenti ledispongono ad essere aperte all’opera del-l’evangelizzazione in Vietnam perchè l’evan-gelizzazione non è altro che la comunica-zione della pienezza di vita in Cristo.I sacerdoti in Vietnam hanno molte cose dadisbrigare nelle parrocchie e questo lascialoro poco tempo per avvicinare la gente. Sipuò dire che le donne siano loro comple-mentari in quanto, sia le religiose che le lai-che appartenenti ai vari gruppi, fanno vi-

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perchè il matrimonio misto è comune equasi inevitabile in Vietnam. Ho conosciuto una donna in questo tipo dimatrimonio e che ha quattro figli. La sua fi-glia primogenita aveva espresso il deside-rio di farsi religiosa, ma il padre non le da-va il consenso. Da qui era nato un conflit-to. L’intervento e il dialogo paziente dellamadre è riuscita a convincere il maritoche ha deciso di rispettare il desideriodella figlia. Però, dopo l’entusiasmo e l’in-canto iniziale, di fronte alle sfide quotidia-ne della vita consacrata, la figlia ha confida-to alla madre di voler fare un passo indietro.Ancora una volta, è la madre ad orientare undiscernimento realizzato alla luce di una fe-de profonda. L’accompaganmento offertodalla madre è paragonabile ad un atto di ri-generazione della figlia nella fede fondatasull’infinito amore di Dio. La vita da sposa-ta, da consacrata, da laica e da religiosa nonè mai priva di sfide, anche molto forti, ciòche rimane fermo però è l’amore incondi-

zionato di Dio. I gesti concreti d’amore, latestimonianza di una fede solida, parole d’a-more di Dio espresso con la tenerezza diuna madre... Sono tutti atti che hanno con-tribuito alla rinascita della figlia, la quale oraè una felice e convinta religiosa. Non solo,la fede di questa donna ha trascinato ancheil marito alla vita di fede nella chiesa comeun cristiano convinto ed impegnato.Per la seconda storia devo premettere chele donne in Vietnam pregano Dio con laconcretezza della vita: pregano e intercedo-no per i loro mariti, i loro figli, le vicendedella vita familiare. Sanno che devono es-sere ‘custodi’ della fede e della spiritualitànella loro famiglia. Anche qui si tratta di unadonna sposata con un buddista, una fami-glia ricca e benestante. L’esperienza del fal-limento d’impresa mette alla prova non so-lo la fede, ma anche la vita stessa in quan-to il marito, in un momento di profonda cri-si, stava pensando di uccidere i figli per ri-sparmiare loro la durezza di una vita cam-biata e sfortunata. La preghiera, la ferma fe-de della donna, le parole rassicuranti che“ciò che succede nella vita non è mai la pu-nizione di Dio” sono scese goccia a goccianell’anima del marito. Infatti, non solo ha su-perato la crisi, ma è diventato presidente delconsiglio parrocchiale assumendo la re-sponsabilità di accompagnare le coppie deimatrimoni misti nella vita di fede e nel ri-spetto reciproco.

Come definiresti la donna vietnamita?

Huynh Thuy: Per la società vietnamita, ledonne sono come la madre terra. Sul suolo del suo essere germina la vita enutre di fede, di gioia e di amore i propri fi-gli e familiari. Come la madre terra, le donne generano,custodiscono, alimentano e donano in mo-do vitale, gratuito e incondizionato.

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sì a lungo in ma-re: oltre sette in-terminabili mesi.E nessuno in com-pagnia di una tigredel Bengala».Nato in India, Pi

Patel è figlio del guardiano dello zoo di Pondi-cherry, costretto ad emigrare in Canada con tut-ta la famiglia e gli animali, a bordo di una gran-de nave da carico. Si ritroverà naufrago e dispe-rato, solo in una scialuppa di salvataggio con latigre, dopo aver perso tutti e tutto. Sete, famee mille pericoli gli faranno compagnia in tuttiquei giorni nell’oceano ed è lui stesso a raccon-tarlo quando – adulto, laureato e sposato confamiglia – incontrerà Yann Martel. Lo scrittorein piena crisi creativa andava in cerca di una sto-ria autentica e convincente per poter scrivereun libro che, anche in modo a-confessionale,potesse provare l’esistenza di Dio. Quando Pi inizia la sua vita serena in India, lacuriosità dell’adolescenza segna il suo avvicinar-si agli insegnamenti di diverse religioni: incon-tra quella cattolica, quella islamica e l’induismo,opponendosi così al razionalismo del padre piut-tosto rigido. Non deve sorprendere, perché inIndia queste religioni convivono e per il ragaz-zo è naturale provare il desiderio di conoscer-le tutte. Una volta solo, in mezzo al mare e in co-stante pericolo di vita, si aggrappa agli insegna-menti ricevuti invocando un Dio assoluto, nonriconducibile a una religione particolare. Ang Lee schiva il sincretismo spiegando qualisono le ragioni profonde della sua scelta: “Ol-tre al divertimento, i ragazzi possono scoprirela forza dei valori che sono alla base dell’esisten-za umana”. E Pi li sperimenta sulla scialuppa,mentre tutto rimanda al trascendente: “Quan-

La vita di Pi di Ang Lee, USA, 2012

Mariolina Perentaler

Romanzo di formazione, favola spiritualista, rac-conto d’avventura, riflessione filosofico/trascen-dente? “Vincitore del Man Booker Prize 2002, scri-ve la Levantesi, il best seller Life of Pi (Piemme)dello scrittore ispano-canadese Yann Martel è unpo’ tutte queste cose, intrecciate con un garbo cheha reso credibile e appassionante per 7 milioni dilettori la più incredibile delle storie. Ma Ang Lee, il celebre regista di Taiwan che ha fat-to fortuna in America, lavorando con gli effetti spe-ciali come mai nessuno prima, lo porta sullo scher-mo e lo rende straordinario”. Per tutta la sua du-rata, senza mai sospendere l’incredulità, ci si chie-de come sia riuscito a girare un film come questo. Vincitore del Golden Globe, viene premiato an-che a Los Angeles 2013 con 4 Oscar (miglior re-gia, fotografia, colonna sonora, effetti speciali) e13 Nomination! Vedere per credere. L’opera ci offre uno spettacolare apologo sul mi-stero del creato, la crescita umana e spirituale, alcospetto della maestosità dell’universo. Due i protagonisti: Pi diciassettenne e una tigre delBengala che, per sopravvivere, devono impararea convivere su una barca alla deriva nell’oceanoper 227 giorni. Il loro naufragio diventa così me-tafora della ricerca umana della salvezza.

Un’incredibile storia di vita e di fede

«Pi è stato protagonista di un’incredibile storiadi coraggio e di resistenza in un contestostraordinariamente tragico e difficile, scrive ilgiapponese Okamoto per descrivere Pi, dopoaverlo incontrato di persona, nelle ultime righedel romanzo di Martell. Che io sappia, la sua vi-cenda non ha precedenti. Pochissimi naufraghipossono affermare di essere sopravvissuti co-

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sì a lungo in ma-re: oltre sette in-terminabili mesi.E nessuno in com-pagnia di una tigredel Bengala».

Patel è figlio del guardiano dello zoo di Pondi-

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do cominciò la mia solitudine – ricorda alla fi-ne del suo racconto per il romanzo – mi rivol-si a Dio. E sopravvissi”. È certamente una pel-licola di formazione e di avventura, tra ragionee fede, in cui però l’ora centrale “è puro gran-de cinema firmato Ang Lee” e definito dalla cri-tica “uno di quegli spettacoli totali destinati a nu-trire a lungo l’immaginario collettivo”. Pur accet-tando dalla sceneggiatura (e dal romanzo) variepisodi di contorno, il regista si è sforzato di trat-teggiare con attenzione i turbamenti, le crisi in-teriori e di fede di Pi, facendo poi leva in primopiano su quella tempesta micidiale (abilmentericostruita in un bacino idrico di Taiwan) e suquella tigre che sembra vera ma è necessaria-

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mente frutto di effetti speciali realizzati attraver-so il computer. Il regista sperimenta per la pri-ma volta in quest’opera il 3D ed è di un’abilitàstraordinaria nel gestire i suoi stregoni digitali. A volte sembra che gli eventi siano osservati dal-l’alto del cielo, altre dalla profondità dell’acquae altre ancora dalle pupille socchiuse della tigre.Splendide inquadrature a specchio tra oceanoe cielo e altre immagini di magica bellezza con-feriscono all’avventura un incanto davvero ra-refatto. Come di una vita che proprio in quan-to appesa a un filo può sublimarsi in dimensio-ne religiosa, dentro una cronaca drammatica digiornate indimenticabili e senza tempo.

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L’idea del film

Rappresentare un’ avventura inimmaginabile e tra-gica per accompagnare verso una scoperta: “Laspiritualità è una provvista vitale”.

“Tutto sembra perduto” pare ci dica Pi, naufra-go diciassettenne in mezzo all’Oceano sullascialuppa, in compagnia della pericolosa tigre.Ricco di pustole, ferite, ematomi, cicatrici, nu-do e sfinito (nel debuttante Suraj Sharma che èperfetto), soffrendo in tutta la sua carne e in tut-ti i suoi pensieri, ci accompagna verso l’evolver-si interiore della sua storia, esplicitandone l’ideacentrale: «l’istinto di conservazione unito all’in-telligenza e alla volontà allenata a superare ognidifficoltà per salvarsi, corroborata dalla fiducianell’aiuto provvidenziale di Dio sinceramenteinvocato, aiuta a sopravvivere anche nel perico-lo estremo». Nella scialuppa scopre stivateprovviste e altre cose utili alla sopravvivenza, mal’approvvigionamento invisibile più strategicosi rivela nell’accesa esperienza spirituale dellasua giovinezza. È come se l’intero racconto vo-lesse dirsi - ed essere prima di tutto - lotta con-tro lo scoraggiamento che viene da noi stessi.Lo conferma il protagonista Pi in persona,quando nel romanzo se lo ripromette afferman-do: «Se fino a questo momento sono sopravvis-suto per miracolo, adesso trasformerò il mira-colo in abitudine. Tutti i giorni si compirà l’in-credibile. Lotterò con tutte le mie forze. Sì, fin-ché Dio è con me, non morirò».

Il sogno del film

Consegnare al pubblico la convinzione che la fe-de consente di “trasfigurare” anche il panoramapiù cupo dell’esistenza.

Se la lettura del film può essere sintetizzata al-la Taddei con: È la storia di PI, adulto e sistema-to nella vita, che ricorda commosso e ricono-scente la sua infanzia e adolescenza avventuro-sa, ma nonostante tutto provvidenziale, all’in-tervistatore che lo ascolta con crescente interes-se – «le bellissime immagini del regista taiwane-se, distillano per il pubblico più vasto e di ognietà, la questione di Dio e il rivolgersi a Lui quan-do tutto sembra perduto perché si è alla deri-va». A scriverlo sono Luca Pellegrini insieme adArianna Prevedello che hanno elaborato per ladiocesi di Padova una lettura pastorale dell’ope-ra. La metafora è quella del mare aperto (dellavita) – proseguono – e il miracolo che il senti-mento di Dio porta nella giovane esistenza di Piè proprio la capacità di offrire nella gran partedel film una storia ‘risanata’ da una ferita dram-maticamente mortale. Sì, Dio è nel mare aperto. È l’alleanza che ritem-pra i cuori e lo spirito dei tanti naufragi (terre-ni), nelle tempeste della vita accompagnate dal-le arsure. In definitiva cioè, la ricerca della Ve-rità che ogni esperienza religiosa porta con séè l’unica e vera scialuppa su cui Pi è disponibi-le a salire e suggerisce di scegliere. Film da co-noscere e proporre, discutere.

PER FAR PENSARE

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ta criticamente con i dubbi dell’uomo con-temporaneo. Il tragitto si snoda, in un cre-scendo emotivo e spirituale, lungo la diret-trice che collega tre grandi porti: la “cittàsecolare”, la moderna metropoli, vortico-sa e disincantata, che ha relegato il sacrofuori dai suoi confini e nella quale Dio, sedovesse presentarsi sulla piazza principa-le, «al massimo verrebbe fermato come unestraneo a cui chiedere di esibire i docu-menti d’identità»; la «città dell’uomo»,«affascinante e scintillante di luci» maspesso «devastata dalle sue scelte stori-che», un luogo dal forte valore simbolico,che può diventare segno e anticipazionedell’incontro col divino o inaridirsi nell’il-lusione di bastare a se stessa; e infine «lacittà di Dio», il traguardo ultimo della no-stra peregrinazione, che si può abbraccia-re solo con lo sguardo della fede. Si parte quindi dalla “città secolare”: sonoindicate ad esempio Milano e New York.Della prima l’autore rileva come ‘centro’ ilDuomo, «infitto nel cuore stesso dellastruttura urbana». Della seconda la selva dei grattacieli che se-gna la «desertificazione religiosa connessaal processo di urbanizzazione e al sorgeredella “tecnopoli”». In particolare nel paragrafo «Tra Cesare eDio» il cardinal Ravasi distingue il significa-to preciso di alcuni termini, come ‘secola-rità’ - ‘secolarismo’, ‘laicità - ‘laicismo’, indi-candone gli ambiti e l’interazione. È ugualmente assai importante la distin-zione tra cristiani e buddisti.

Gianfranco RavasiGuida ai naviganti Anna Rita Cristaino

Gianfranco Ravasi, cardinale e presidentedel Pontificio Consiglio della Cultura edelle Pontificie Commissioni per i Beniculturali della Chiesa e di Archeologia sa-cra, nel testo Guida ai naviganti propone unpercorso di ricerca attraverso la metaforadel ’navigare’.Il termine ‘navigare’, sembra essere moltoattuale per il nostro tempo, caratterizzatodal linguaggio informatico. L’autore, conprofondità intellettuale e biblica, traccia uncammino suddiviso in diverse tappe chepossono essere affrontate con la fede (chepresuppone un atto di fiducia, quindi unsottofondo di amore) e con la ragione. Due modi che non si escludono, ma si in-tersecano attraverso l’ascolto reciproco,che si può aprire al dialogo, con un note-vole arricchimento di prospettive. In questo emerge la ricca esperienza delcardinal Ravasi nel “Cortile dei Gentili”, unprogetto nato da un’intuizione di papa Be-nedetto XVI e sviluppato in uno spazioneutrale di incontro e dialogo tra creden-ti e non credenti. L’autore parte dalla domanda se ci sia an-cora un senso nell’inseguire un approdoo bisogna rassegnarsi nel procedere a vi-sta. La rotta sembra incerta e l’umanità ap-pare un po’ disorientata «naviga nel maredi Internet come un Ulisse che non ha,però, alle spalle nessuna Itaca e, quindi,non sa dove volgere la prua della nave perpuntare a una meta». Il cardinal Ravasi propone un percorso diricerca in cui una sapienza antica si confron-

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Nel capitolo “La città dell’uomo” si affron-ta il rapporto tra uomo e Dio, con nume-rosi riferimenti biblici e letterari, attraver-so cui si spiega l’incontro con l’Infinitoche, pur all’interno della comunicazione,lascia “un fondo di oscurità”, nel qualeentra in gioco la fede.Nella “esaltante navigazione della fede” siarriva alla “Città di Dio” (cf opera di Ago-stino). Si parte dal Vangelo di Giovanni (1,1.14), si percorre l’esistenza storica diGesù, dal ‘sì’ di Maria alla passione, alla ri-surrezione. Nella ‘’Città di Dio” «Dio e l’uomo passeg-giano insieme riconciliati, grazie all’ope-ra salvifica di Gesù, che ha alla base l’amo-re (agàpe)».Proprio grazie a questo amore, all’uomo cheliberamente accoglie il messaggio, è conces-so il perdono delle colpe e quindi l’incon-tro – abbraccio che conduce dal tempo al-

l’eterno. È l’Approdo, in cui si trova ripo-so e che è l’ultima parte del testo. Il percorso indicato però non è semplice,e l’autore segnala i rischi, anche presen-tati da false ideologie, persino dai vari am-biti della scienza, se visitati con orgoglio-sa autosufficienza.In ultima analisi la nave con cui l’autoreci invita a solcare l’oceano della storia,«batte bandiera cristiana» e la sua busso-la è la Bibbia, ma lungo l’itinerario sipossono incrociare, anche solo per un at-timo, compagni di viaggio provenienti dal-le più svariate esperienze: scrittori edrammaturghi come Borges, Pirandello eIonesco, filosofi come Pascal, Kierke-gaard e Nietzsche, artisti come Gauguine Chagall, cantautori come Guccini e DeAndrè, e altre grandi personalità che, inogni epoca, hanno dato voce alle doman-de fondamentali dell’umanità. Con la consueta profondità intellettuale ela propensione al dialogo che la stessa cul-tura laica gli riconosce, Ravasi affronta an-che gli scogli più insidiosi dell’attualità co-me quello dei rapporti tra Chiesa e Statoo tra ricerca scientifica e religione, e im-mergendosi nell’inquietudine e nelle la-cerazioni del nostro tempo disegna lecoordinate per un viaggio ricco di sugge-stione, che coinvolge credenti e non cre-denti accomunati dal desiderio di conti-nuare a interrogarsi.L’autore nell’ultima pagina del testo affer-ma: «Il credere e il comprendere devono in-contrarsi e procedere insieme, sia pure fa-ticosamente. Tuttavia il loro camminareappaiati non giunge fino ad una meta comu-ne. A un certo momento, infatti, la ragionesi arresta e sul sentiero finale, che è una ri-schiosa ascensione, si avanza con una diver-sa compagnia che si affaccia dall’alto eche indica percorsi comprensibili solo a chiadotta un altro vedere e ascoltare».

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Nel capitolo “La città dell’uomo” si affron-

l’eterno. È l’so e che è l’ultima parte del testo. Il percorso indicato però non è semplice,e l’autore segnala i rischi, anche presen-tati da false ideologie, persino dai vari am-biti della scienza, se visitati con orgoglio-sa autosufficienza.In ultima analisi la nave con cui l’autoreci invita a solcare l’oceano della storia,«batte bandiera cristiana» e la sua busso-la è la Bibbia, ma lungo l’itinerario sipossono incrociare, anche solo per un at-timo, compagni di viaggio provenienti dal-le più svariate esperienze: scrittori edrammaturghi come Borges, Pirandello eIonesco, filosofi come Pascal, Kierke-gaard e Nietzsche, artisti come Gauguine Chagall, cantautori come Guccini e DeAndrè, e altre grandi personalità che, inogni epoca, hanno dato voce alle doman-de fondamentali dell’umanità. Con la consueta profondità intellettuale ela propensione al dialogo che la stessa cul-

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il mondo cantando Moi, lolita.O una giova-ne ragazza appena maggiorenne che diven-terà una star internazionale e che al Festivaldi Sanremo cantava La solitudine: LauraPausini. Per passare attraverso un’adole-scente indifesa come era Britney Spears alsuo debutto planetario con la canzone Babyone more time che riuscì a vendere 9.154.000copie di CD singoli. E i più recenti prodottidiscografici sfornati da High school Musical(Vanessa Hudgens, Corbin Blue, Zac Efron),Il Mondo di Patty (Laura Esquivel), l’univer-so Disney (Miley Cirus, Selena Gomes; Ch-ristina Aguilera, Justin Timberlake, DemiLovato), i cantanti del famoso telefilm Gleeo gli acclamati One Direction. Insommatanti bambini e adolescenti che iniziano dagiovani ad entrare nello show business.

Ma è giusto che si inizi una qualsiasi carriera artistica in giovane età?

Il mondo dello sport prevede di default chela carriera inizi in giovane età. Ma vale an-che per la musica? Molti artisti giustificanoquesta scelta perché spinti dai genitoriche qualche volta trovano nei figli la lororealizzazione artistica, altri la giustificanoperché è in giovane età che bisogna getta-re le basi per costruirsi il proprio futuro ar-tistico, altri perché va colto ogni momentonella propria vita e se il successo arrivaquando si è giovani perché rifiutarlo?Il fenomeno del momento si chiama JustinBieber che a soli 14 anni viene scoperto daun noto discografico grazie a dei video cheaveva caricato su YouTube. Da lì inizia la

Da Baby singera cantante veroMariano Diotto

Jim Morrison, famoso cantante e leader delgruppo storico dei Doors diceva: «Cre-scere vuol dire avere il coraggio di nonstrappare le pagine della nostra vita ma sem-plicemente voltare pagina. Crescere signi-fica riuscire a superare i grandi dolori sen-za dimenticare. Crescere significa avere ilcoraggio di guardare il mondo e di sorride-re. Crescere significa guardarsi indietro eabbracciare i ricordi senza piangere. Crescere è saper distinguere la realtà daisogni. Crescere è sapersi rialzare dopouna brutta caduta. Crescere... non tuttihanno voglia di crescere... forse perchésono consapevoli delle difficoltà che in-contreranno crescendo...».Il mondo discografico ha fatto tesoro diqueste parole e ha deciso di coltivare al-cuni propri talenti dalla tenera età conian-do un termine che li includesse tutti assie-me: i baby singer.Chi non ricorda Shirley Temple la bambinasoprannominata Riccioli d’oro che in nume-rosi film cantava e ballava assieme agli at-tori di Hollywood? Come dimenticare un’al-tra bambina sempre con tanti boccoli,Nikka Costa, che cantava con il papà la fa-mosissima canzone On my own? Abbiamoancora di fronte a noi un giovane Luis Miguelche viene lanciato nel mondo a soli 12 annie diventa famosissimo già a 15 anni con quel-l’aria da latin lover un po’ demodé già al tem-po. O una ragazzina francese negli anni 90che cantava Joe le taxi e che ora è una famo-sa attrice: Vanessa Paradis. Oppure la suaconnazionale Alizee che nel 2000 ha girato

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sua fulminante carriera che lo porta a ven-dere quasi 20 milioni di copie di CD in so-li 3 anni di carriera. Il video di esordio daltitolo “Baby” è al secondo posto tra i videopiù visualizzati al mondo con ben 830 mi-lioni di visualizzazioni.A parte i numeri che non lasciano via discampo nel decretare il successo di questiprodotti comunicativi, la domanda che po-tremmo porci dovrebbe essere: è corret-to che questi adolescenti vivano un perio-do della loro vita tanto importante per illoro sviluppo così sovraesposti, con ritmilavorativi che anche gli adulti fanno fati-ca a tenere, strappati dalla loro scuola, dal-la loro compagnia e dai loro amici?

Gli effetti sulla vita dei Baby singer

Valutando i baby singer di un tempo e ve-dendo la loro vita attuale risulta evidenteche sono state importanti le persone chesono rimaste loro accanto negli anni dimaggior successo. Chi non ha avuto figu-re adulte al proprio fianco che li potesseguidare, ha smarrito la strada cadendo an-che in forme depressive e autolesioniste.Laura Pausini ha dichiarato che, solo re-centemente, ha recuperato la sempli-

cità che aveva perso nel corso degli an-ni. La cantante ammette che solo fino apoco tempo fa aveva perso di vista quel-lo che era davvero importante nella vitae che in effetti “si era montata la testa”. Racconta che c’erano stati periodi in cuisi arrabbiava solo perché magari non sitrovava nell’hotel giusto per essere vistada tutti. Questa eccessiva attenzione al-l’immagine non le ha giovato: ma di-chiara che adesso ha capito che è arriva-to il momento di tornare con i piedi perterra per capire che la musica è ciò checonta davvero. Naturalmente insieme al-la sua famiglia. Ha ammesso di essere riu-scita a ritrovare la semplicità perdutagrazie all’aiuto dei suoi genitori: è ora diriscoprire la semplice bellezza delle co-se per sentirsi ancora un po’ bambina.In fondo, a questi adolescenti viene richie-sto di essere già adulti e di essere già per-fetti sul palco, nelle interviste, nei backsta-ge. Conviene allora ricordare quanto dice-va lo scrittore Antoine de Saint Exupery:«La perfezione non si ottiene quandonon c’è più nulla da aggiungere, bensìquando non c’è più nulla da togliere».

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vita, e noi, come Giovanni davanti al se-polcro vuoto, lo vediamo e lo crediamo!Ma vedere il positivo in comunità, vede-re e credere che anche lì, come dentro ilnostro cuore (e purtroppo non sempredentro quello altrui...), dimora il Signore,beh... a volte rasenta l’impossibile! Siamo sincere, se ne vedono un po’ trop-pe per pensare che in certe situazioni Dioè all’opera: direttrici ascoltate poco, mache fanno poco per farsi ascoltare; giova-ni suore che vogliono dire la loro, ma chespesso non hanno qualcosa di loro da di-re; suore più mature che rimpiangono ilpassato, ma che nel passato hanno lascia-to i segni della loro maturità...Potrei continuare e ve lo risparmio, ma ca-pite bene che su questo terreno scivolo-so è meglio aggrapparsi ad un atteggia-mento di fiducia prudente e moderata,evitando sia di essere credulone superfi-ciali sia di passare per scettiche incallite.Come? Il criterio? Sicuramente non un criterio basato solosul nostro umore, che a volte ci fa proten-dere verso il positivo e altre verso “il tut-to nero” I miei tanti anni in comunità mi hanno in-segnato una cosa, l’importante è la pro-spettiva, avere ogni tanto il coraggio (e cene vuole) di cambiare la propria posizio-ne, l’angolatura da cui guardiamo le per-sone e gli eventi.

Parola di C.

La fede su misura

Camilla

Non vi nascondo che la fede mi tormen-ta... Sì, lo so che siamo proprio nell’annodedicato a questa virtù, ma essa mi tor-menta lo stesso, anzi... forse ancora di più!Non è che proprio io non ne abbia ma –come dire? – ho una fede misurata, o me-glio, su misura per me! Né troppo larga né troppo stretta, insom-ma, una fede bilanciata che sa bene checosa abbracciare e che cosa tralasciareperché un sano equilibrio ed un oculatodiscernimento non guastano mai!Non si può certo credere a tutto e crede-re a niente!Direi piuttosto che questo atteggiamen-to calcolato è necessario particolarmen-te nell’ambito della fede, soprattuttoquando suo oggetto è non tanto l’insegna-mento di Santa Romana Chiesa quanto leopinioni o i modi di fare che caratterizza-no le nostre benedette (ma non sempresante) comunità. Chi come me ha un po’ di esperienza divita comunitaria, sa che non è facile con-servarsi persone serene e solari in am-bienti che a volte stentano a proporsi co-me “case” accoglienti (a proposito: bellasfida quella del prossimo Capitolo!).Non posso certo affermarlo di tutte, maso che tra noi siamo in tante ad essere pernatura portate a vedere il positivo ovun-que; questo ci riesce particolarmentebene specialmente dentro noi stesse,perché Dio è stato generoso con la nostra

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Nel prossimo Numero

DOSSIER: Lasciare un’eredità - Vostro è il regno dei cieli

FILO DI ARIANNA: Prendersi cura

COSTRUIRE LA PACE: No alla ‘guerra giusta’

PASTORALMENTE: Il percorso: linearità o reticolo?

SI FA PER DIRE: Comunicazione e memoria

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LA RUGIADA NON MITIGA FORSE IL CALORE?

COSÌ UNA PAROLA È PIÙ PREGIATA DEL DONO. SIRACIDE 18,16

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