Rivista DMA - PAROLE E GESTI DI SPERANZA (Novembre – Dicembre 2014)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE PAROLE E GESTI DI SPERANZA 2014 Anno LXI Mensile n.11/12 Novembre/Dicembre Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane di don Bosco)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

PAROLE E GESTI DI SPERANZA

2014Anno LXI Mensilen.11/12 Novembre/Dicembre

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeOltre l’ottimismoGiuseppina Teruggi

5DossierParole e gesti di speranza

13Primopiano14Spiritualità missionariaCorriamocon perseveranza

16Anima e dirittoFecondazione eterologae buon senso

18Cultura ecologicaUn futuro da costruire

20Filo di AriannaLa resilienza

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Maria Pia Giudici Gabriella Imperatore • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiMaria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi•

Bernadette Sangma • Martha Séïde

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sommario

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27In ricerca 28SGS-CultureUna spiritualità educativa

30PastoralmenteFuori dal recinto...con credibilità

32Uno sguardo sul mondoLa forza della vita

35Comunicare36Si fa per direPartecipare

38Donne in contestoDonne che guariscono

40Video Storia di una ladra di libri

42LibroColpa delle stelle

44Musica e teatroIl mondo hip-hop

46CamillaBuon compleanno,don Bosco!

n. 9/10 Novembre Dicembre 2014Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettoria Austria - Germania

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

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Di don Bosco, come di Madre Mazzarello,è stato detto che hanno saputo “sperarecontro ogni speranza”. E non sono rimastidelusi. Hanno cercato vie per educare i gio-vani alla speranza e con la speranza, soste-nendo che questa è una dote fondamenta-le per chi vive con loro. Educare alla speranza è fare in modo che ilgiovane abbia orizzonti ampi, che possa ap-poggiarsi sulla fiducia nella vita e negli al-tri, con un atteggiamento positivo nei con-fronti della realtà. Educare alla speranza èanche attrezzare le nuove generazioni adacquisire una caratteristica oggi urgente: laresilienza, “l’arte di risalire sulla barca rove-sciata”, la capacità di fronteggiare avversitàe ostacoli senza soccombere.

Papa Francesco ci indica alcuni fondamen-tali pilastri per educare alla speranza: nonsmarrire la memoria del passato, il discer-nimento del presente, la gestione dei sogni. È un percorso non facile. Paolo VI parlavadi speranza come “crocevia, punto di incon-tro tra croce e gioia”. Siamo chiamate ad es-sere donne di speranza, più che di ottimi-smo: facendone la scelta consapevole ognigiorno, pur sapendo che “non siamo ange-li e sebbene abbiamo fatto promesse cadre-mo lo stesso”, ci ricorda M. Angela Vallese.“L’importante è rialzarsi e incominciare dinuovo come al principio”. Nella certezza che camminare e sperare so-no sinonimi, come ci ricorda il Papa.

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Oltre l’ottimismo

Giuseppina Teruggi

Tra gli incontri avuti dalle Capitolari, signi-ficativo è stato quello con mons. José Rodri-guez Carballo, Segretario della Congrega-zione per gli Istituti di Vita Consacrata e leSocietà di Vita apostolica. “Qualora mi chie-deste – ha affermato durante l’omelia del-la Messa – se sono ottimista sul futuro del-la Vita Consacrata, vi direi di no. Ma se michiedete se ho speranza sul suo futuro, vidico certamente di sì”. L’ottimismo – ha ri-levato – è una dimensione che si fonda suconsiderazioni umane, mentre la speranzasi radica nella fede e ci dà la certezza che aDio “nulla è impossibile”, per questo non“dobbiamo temere”.La speranza è una scelta in favore di Dio, nondi noi stessi: si tratta di cambiare l’ottica delprotagonismo. La nostra forza non sta in “car-ri e cavalli”, come viene espresso nella Bib-bia, ma nella forza di Colui che è Amore e cheha garantito di “stare con noi per sempre”.Questa visione di fede ampia e profonda so-stiene e accompagna i nostri passi in un cam-mino di fiducia e di totale affidamento. Per questo continuiamo a impegnare energie,risorse e la nostra vita per compiere in respon-sabilità ciò che Dio vuole da noi. Nonostan-te le sfide e gli immancabili fallimenti.

Il tempo in cui viviamo ci provoca ad en-trare in questa ottica, che per tanti versi si-gnifica andare controcorrente e collo-carci in un’alternativa non facilmente ca-pita da molti, anche credenti. E forse i dubbi si annidano pure in noi!

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Parole e gestidi speranza

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La ‘piccola sorella speranza’“È lei, questa piccola, che spinge avanti ognicosa, vede ciò che sarà, ama quel che nonè ancora e che sarà nel tempo e per l’eter-nità” (Péguy). Aveva certamente ragione ilpoeta perché la speranza non è la virtù deiforti, ma dei deboli. Il debole, il piccolo sadi non poter contare solo sulle proprie for-ze, ma si affida a Dio. La Bibbia, infatti, ripor-ta molte pagine che raccontano la forza del-la debolezza trasformata dalla potenza diDio. Basta pensare ad alcune figure comeMosè, poco abile nel condurre dibattiti; Da-vide, l’ultimo dei figli di Iesse, ignorato e di-menticato anche dal padre; Ruth, Ester,Giuditta e altre donne deboli ed emargina-te dalla società; Geremia, giovane balbu-ziente e timido; Maria umile fanciulla di Na-zareth ... Tutti hanno sperimentato l’amorefedele di Dio che ha fecondato la loro pic-colezza portando a compimento la suapromessa, confermando la certezza dellasperanza che non delude mai.

Gesù sorgente della nostra speranza “Cristo Gesù, nostra speranza” (1Tm 1,1) èl’espressione con cui Paolo descrive la sor-gente della speranza cristiana. Infatti, se per-corriamo il Vangelo, ci rendiamo conto co-me Gesù si comportava con gli uomini e ledonne che affidavano a lui le loro piccolee grandi speranze. Pur rispondendo alle lo-ro domande di vita, di liberazione, di di-gnità, egli li invitava alla scoperta dellaGrande Speranza, che trova pieno compi-mento nel mistero pasquale.

Parole e gesti di speranza

Martha Séïde, Julia Arciniegas

In una società denominata spessosocietà «liquida», dove tutto sembraessere relativo, senza certezze nel futuro, definita da alcuni studiosi«l’epoca delle passioni tristi», la speranza emerge come una sfidache “non solo apre orizzonti futuriinsperati, ma consente anche un presente diverso” (cf Spe Salvi, 2-3).

Uno sguardo sulla realtà odierna, con le sueconquiste e delusioni, gesti di bene e incoe-renze esistenziali, sembra mettere in crisi ilconcetto stesso di speranza. Eppure questi contrasti sono forti appelli a sca-vare nella profondità della realtà spazi sem-pre più aperti alla speranza. Si possono segnalare alcuni aspetti tra quel-li maggiormente rilevanti: dialoghi per un av-vicinamento tra confessioni religiose diverse,negoziati per una pace duratura tra nazioniin conflitto, sforzi sempre più tenaci per ri-solvere i grandi mali che affliggono le popo-lazioni più deboli, campagne mediatichemassive a favore della vita, conquiste tecno-logiche che avvicinano mondi diversi.Per non cadere in un pessimismo ansioso checerca risultati immediati perdendo il senso del-l’attesa evangelica occorre fidarsi della ‘pic-cola sorella’ che secondo il poeta franceseCharles Péguy, è appunto la speranza.

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In realtà, per comprendere la profonditàdell’esperienza di Gesù come sorgentedi speranza, occorre contemplarlo, nonsolo nei momenti di gloria quando com-piva miracoli e trascinava le folle, ma so-prattutto quando, al culmine della suapassione, rimane da solo, respinto dallaterra ed estraneo al cielo, al punto da gri-dare: «Dio mio, Dio mio, perché mi haiabbandonato?» (Mc 15,34). Gesù abbandonato, col suo grido, dà vo-ce a ciascuno di noi e mostra come l’in-finitamente piccolo possa rivolgersi all’in-finitamente Grande e interrogarlo, inun rapporto di parità. Il Crocifisso Risorto, dunque, è l’unicapersona che può insegnare ai credenti levie adeguate per abitare il nostro mon-do con speranza. Alla morte e alla risur-rezione di Gesù sono legati e acquista-no senso tutti i nostri drammi, le nostresconfitte e le nostre piccole vittorie (cf

CEI, Traccia di riflessione in preparazio-ne al Convegno di Verona, 2). La testimonianza di Gesù, il Crocifisso Ri-sorto, è un invito ad accoglierlo come sor-gente di speranza e fondamento dell’impe-gno del credente per rinnovare la vita e ilmondo. In un contesto in cui gli orizzontisono spesso incerti, come può la speranzacristiana mobilitare le energie spirituali, pu-rificare e orientare le speranze fragili, soste-nere i momenti di delusione? La risposta è chiara occorre volgere losguardo verso il Crocifisso Risorto per at-tingere da lui nuove energie di bene, dina-miche di trasformazione che risvegliano lasperanza (cf Strumento LavoroCGXXIII, 8).

“La speranza, presente del futuro” È questa una significativa espressione di S.Tommaso d’Aquino: “La speranza, presen-te del futuro”. Nel Vangelo, infatti, non c’èla parola speranza, perché c’è la realtà: Ge-sù. Le sue parole e le sue opere annuncia-

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produce pazienza, la pazienza virtù prova-ta e la virtù provata, speranza”(5, 3-4). Le sofferenze del mondo presente sono co-me i gemiti e le doglie che preannuncianouna nuova vita. Non solo l’umanità, ma tut-to il creato si associa a questa attesa: “…Sappiamo bene, infatti, che tutta la creazio-ne geme e soffre fino ad oggi nelle dogliedel parto” (cf 8,19-22). Assieme ai gemiti della creazione, affermaPaolo, anche i credenti gemono nella spe-ranza di un mondo nuovo, diverso, libera-to e glorioso: “Essa [la creazione], non è so-la. Ma anche noi, che possediamo le primi-zie dello Spirito, gemiamo interiormenteaspettando l’adozione a figli, la redenzionedel nostro corpo” (8,23-24).La speranza cristiana, tuttavia, non è unasemplice attesa passiva, né comoda evasio-ne dal presente, né si riduce ad un ottimi-smo facile: è, invece, fiduciosa e attiva pre-senza nel mondo (Báez 2005).

no il compimento delle Scritture: il Regnodi Dio è ormai presente, il futuro si rendevisibile nel Verbo fatto carne, volto umanodella compassione e della misericordiadel Padre verso i poveri e gli smarriti.La teologia della speranza è stata svilup-pata da San Paolo, nelle sue Lettere, met-tendone a fuoco il fondamento e il dina-mismo spirituale. Nella Prima Lettera aiTessalonicesi (50 d.C.) Paolo segnala le trecoordinate essenziali della vita cristiana:“essa è un’esperienza che nasce dalla fe-de, si manifesta nell’amore e si vive nel-la speranza” (cf 1, 2-3).Nella Lettera ai Romani, dopo aver descrit-to la dinamica della speranza alla luce del-la fede di Abramo (cf. cap. 4), Paolo indi-ca le circostanze concrete in cui il creden-te vive questa virtù: “Ci vantiamo nella spe-ranza della gloria di Dio. E non soltantoquesto: noi ci vantiamo anche nelle tribo-lazioni, ben sapendo che la tribolazione

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Il suo fondamento ultimo è, infatti, l’a-more di Dio che “è stato riversato nei no-stri cuori per mezzo dello Spirito Santoche ci è stato dato” (5,5). È lo Spirito che“viene in aiuto alla nostra debolezza e in-tercede con insistenza per noi, con ge-miti inesprimibili” (8,26). Una conseguenza logica della sua riflessio-ne è il riferimento di Paolo alla preghiera:essa è espressione di una speranza soste-nuta dallo Spirito di Dio, per mezzo del qua-le gridiamo “Abbá, Padre” (8,15). L’augurio finale ai fedeli romani, e a noi lun-go i secoli, racchiude, come una perla, laprofondità e ricchezza del pensiero paoli-no sulla speranza: “Il Dio della speranza viriempia di ogni gioia e pace nella fede, per-ché abbondiate nella speranza per la virtùdello Spirito Santo” (15,13).

La speranza, virtù dell’educatore Se la speranza cristiana è anticipare il futu-ro appoggiandosi su una promessa che nonsi potrà sperimentare nell’immediato, essadiventa la virtù principale delle educatricie degli educatori. L’educazione è, infatti, la scommessa fidu-ciosa sulle potenzialità dell’educando in unaccompagnamento paziente e lungo, delquale non si vedrà il compimento ma solola promessa. In questa prospettiva, investi-re nell’educazione è un modo concreto direndere credibile la speranza.

Anzi, “educare è di per sé un atto di speran-za”, non solo perché si educa per costrui-re un futuro, ma soprattutto “perché l’attostesso di educare è intriso di speranza”. Con la speranza, tutti i giorni i maestri “di-stribuiscono il pane della verità”. Educarealla speranza è fare in modo che un giova-ne “abbia degli orizzonti”. La memoria delpassato, il discernimento del presente e lagestione dei sogni sono i pilastri per edu-care alla speranza (Card. Bergoglio). Il compito educativo diventa sempre più dif-

ficile e la lentezza della crescita invita a per-correre ciò che Nouwen chiama il “sentie-ro dell’attesa”, cioè attendere con un sen-so di promessa e con speranza. Per questo motivo, l’educatore è una per-sona che sa dar credito a ciò che non si ve-de ancora come fa il contadino, che pian-ta, irriga, cura il seme che non vede più. La speranza del contadino è attesa. Come lui, l’educatore pianta e innaffia col-tivando un’autentica relazione con le per-sone che sono affidate alla sua responsabi-lità e al tempo stesso coltiva dentro di séquei grandi orizzonti che lo rendono testi-mone della speranza. Pertanto si impegna nel quotidiano a semi-nare parole e gesti di speranza. Sarebbe au-spicabile che le comunità educanti si impe-gnassero a rileggere la loro azione educa-tiva alla luce della speranza identificando igermi, i peccati e i cammini di speranza perl’oggi. Inoltre occorre educare alla speran-za mediante la speranza: risvegliando la fi-ducia nella vita e nell’altro; sviluppando unatteggiamento positivo di fronte alla realtà;credendo nelle potenzialità dell’altro epromuovendo il suo pieno sviluppo.

Lo splendore della speranza Con questo titolo è stato pubblicato recen-temente un libro che raccoglie la riflessio-ne della “XLIII Semana Nacional de la VidaConsagrada”, promossa dall’Instituto Teoló-gico para la Vida Religiosa, con sede a Ma-drid (Spagna) e svoltasi, in tale città, nel me-se di aprile 2014. Un tema suggestivo che ripristina la dimen-sione escatologica della vita consacrata nel-la Chiesa, pellegrina nella storia. Essa nasce, infatti, quando i cristiani comin-ciano a dimenticare la parusia e lo Spiritosuscita le varie forme di monachesimo neiprimi secoli dell’era cristiana. Un tema che aiuta a integrare la differen-za tra la speranza della vita in pienezza e

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nza l’esperienza della precarietà nel quoti-

diano delle nostre comunità. La ricchezza della riflessione, offerta da va-rie prospettive, si snoda a partire dallacontestualizzazione della vita consacratanella cultura attuale e risulta di grande in-teresse perché motiva a rendere semprepiù trasparente la testimonianza dellepersone consacrate chiamate a generarevita e a donare speranza.I nostri Fondatori hanno ricevuto un“carisma di speranza” e l’hanno vissutocon grande audacia e creatività, tra il ‘giàe il non ancora’, tramandandolo a noiperché lo consegniamo rinnovato e lumi-noso alle nuove generazioni di consacra-ti a Dio nella vita salesiana.

Don Bosco è stato denominato “un profe-ta di speranza educativa”. La pedagogia del Sistema preventivo, infat-ti, fa leva sulle risorse interiori dei ragazzie richiede dall’educatore un’alta percentua-le di speranza. Don Bosco, anche quandosembrava tutto perso perché qualche allie-vo non corrispondeva alle cure che gli siprodigavano, non prendeva nessuna deci-sione, sperava sempre. Ed era questo il suoragionamento: “Siccome non v’è terreno in-grato e sterile che per mezzo di lunga pa-zienza non si possa finalmente ridurre a frut-to, così è dell’uomo, vera terra morale, perquanto sia sterile e restia, produce non dimeno tosto o tardi pensieri onesti e poi at-ti virtuosi, quando un direttore con arden-ti preghiere aggiunge ai suoi sforzi la manodi Dio nel coltivarla e renderla feconda ebella. In ogni giovane, anche il più disgra-ziato, c’è un punto accessibile al bene. E do-vere primo dell’educatore è di cercar que-sto punto, questa corda sensibile del cuo-re e di trarne profitto” (MB V, 367).La prospettiva escatologica ha particolarepeso nel Sistema preventivo:“Vi voglio fe-lici qui e nell’eternità”.

Il pensiero del Paradiso va sempre unitoall’impegno operoso, all’amore di Dio, ric-co di dinamismo e di intraprendenza. In molte occasioni don Bosco incoraggiavai suoi figli con frasi colme di questa speran-za che sostiene la fatica del presente: “Pane,lavoro e Paradiso” (MB XII, 600); “In punto dimorte l’uomo raccoglierà il frutto delle sueopere buone” (MB III, 587); “Un pezzo di Pa-radiso aggiusta tutto” (MB VIII, 444).Egli vuole i suoi figli con lo sguardo rivol-to al cielo e i piedi saldamente poggiati interra, in un cammino costellato di buoneopere ancorate sulla speranza. “Coraggio adunque! La speranza ci sorreg-ga, quando la pazienza vorrebbe mancarci”(MB XII, 458).

Madre Mazzarello, figlia dei campi, cre-sciuta in mezzo ai vigneti, sa molto bene co-sa significa la speranza. A contatto con la durezza della terra mor-nesina, provata dal rigore delle stagioni non-ché della malattia e della debolezza fisica,Main conosce il desiderio dell’attesa e im-para ad affrontare ogni difficoltà con sanorealismo e con quella fiducia che scaturiscedall’amore al suo Signore.Il coraggio raccomandato da don Bosco siritrova nelle esortazioni e nelle Lettere diMadre Mazzarello alle figlie vicine e lonta-ne come un leitmotiv che risveglia e sostie-ne la risposta generosa all’amore. Alla comunità di Borgo San Martino scrive:“Dunque coraggio, lavorate volentieri per Ge-sù e state tranquille che tutto quanto fate e sof-frite vi sarà ben pagato in Paradiso” (L 26,5).A suor Angela Vallese, la giovane suora par-tita a capo della prima spedizione missio-naria in America, sprovvista ancora di espe-rienza e con una grande responsabilità di-nanzi a una terra inesplorata, la Madreraccomanda: “Coraggio dunque, gran con-fidenza in Dio…” e dopo la sua firma ag-

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giunge ancora: “… fatemele stare allegre tut-te, fatele tanto coraggio … Coraggio, corag-gio, mie buone figliuole!” (L 17,4.6).Alla novizia Laura Rodriguez, prima vocazio-ne latinoamericana: “Coraggio dunque,dopo pochi giorni di combattimenti, avre-mo il paradiso per sempre”(L 18,3).A suor Giovanna Borgna, all’epoca vica-ria nella Casa di Montevideo: “Ma! Que-sta vita è una continua guerra di battaglia,non bisogna che ci stanchiamo mai se vo-gliamo guadagnarci il Paradiso. Fatti dun-que coraggio” (L 19,1).Le citazioni dell’Epistolario potrebberocontinuare, ma quelle segnalate sonoportatrici di alcuni elementi costitutivi del-la speranza cristiana che, dalla prospetti-va educativa, costituiscono quella che èstata chiamata “una pedagogia dell’inco-raggiamento” (M. Parente 1996).

Parole e gesti di speranzaLa nostra storia è cosparsa di testimoni chehanno incarnato la virtù teologale dellasperanza e lungo il sentiero della vita l’han-no seminata con parole e gesti.

La speranza non si spegnerà In un’epoca in cui la speranza cristiana eraconsiderata come qualcosa di superato ri-spetto alle varie utopie che sembravanoaver presa efficace su larga parte dell’uma-nità, Paolo VI diceva: «Noi avvertiamo nel-l’umanità un bisogno doloroso e, in certosenso, profetico di speranza. Senza speranza non si vive […]. Ebbene, uo-mini amici che ci ascoltate: noi siamo in gra-do di rivolgere a voi un messaggio di spe-ranza […]. La speranza non si spegnerà» (cfUdienza 27 maggio 1970).In lui la speranza è stata il crocevia, cioè il

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nza punto d’incontro di due grandi realtà: la cro-

ce e la gioia. Per la croce basta ricordare iltipico Crocefisso di Paolo VI e per la gioianon si può non pensare alla sua esortazio-ne apostolica Gaudete in Domino.

Non fatevi rubare la speranza In un momento di crisi, è un messaggio for-te per le migliaia di giovani e meno giova-ni, i quali lottano ogni giorno per avere unfuturo. La speranza è una delle paroled’ordine di papa Francesco, parola cheriecheggia nel suo magistero precedentecome Cardinale di Buenos Aires. In un volume intitolato “La bellezza edu-cherà il mondo”, che raccoglie vari discor-si inediti pronunciati tra il 2008 e 2011, in di-verse occasioni, si legge: “Abbiamo bisognodel balsamo della speranza per andareavanti”. Camminare e sperare possono inrealtà diventare sinonimi. Mettersi in cam-mino significa così entrare in una “speran-za viva”, che spinge ad andare avanti.

Una luce sullo StrettoRientrata a Natale a Punta Arenas, il 1° gen-naio 1894 Madre Angela Vallese riprende ilmare alla volta di Talea, nel Nord del pae-se, per aprirvi una nuova comunità di suo-re. Parte con tre consorelle lasciandosi al-le spalle l’amata Punta Arenas che ormai dinotte brilla di tante finestre illuminate.Certo ripensa con nostalgia a quelle inter-minabili sere passate forando con una lan-terna l’immensa oscurità del mare agitato,in attesa che le compagne in viaggio tornas-sero dall’ultima spedizione oltre lo Strettodi Magellano.Dietro al vetro della finestra era capace direstare per ore, immaginando la felicità dichi era nell’incertezza delle onde nel vede-re quel piccolo lumicino acceso nella com-pleta oscurità dell’orizzonte (cf D’Attilio M.,Angela dalla terra del fuoco).

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La proposta pastorale dei Fratelli Mari-sti della regione mediterranea è in pie-na sintonia con la nostra riflessione e il-lustra bene le caratteristiche del gestodi seminare speranza. Riportiamo qui un frammento.

IL GESTO DI SEMINARESPERANZA

È un gesto attivo che ci invita a non fer-marci. Il tempo che viviamo, ci spingealla consapevolezza che è giunta l’ora,che questo è un buon momento.

È un gesto semplice che ci dimostrache le piccole azioni quotidiane sonoun’opportunità per seminare e genera-no piccoli cambi che contribuiscono amigliorare il nostro mondo. Ciò implica che siamo costanti nelle no-stre azioni quotidiane d’amore, pace,servizio e giustizia.

È un gesto che implica la VITA. Seminia-mo affinché ci sia nuova vita. Abbiamola speranza che la semina crescerà edarà frutto. Aiutare a crescere, metterci al serviziodegli altri e dare priorità alla dignità uma-na sono gesti del Vangelo che ci libera-no e ci fanno sentire sempre più vivi.

È un gesto gratuito. Quando il semina-tore semina, non spera nulla in cambio.Ciò che è importante, è seminare, anchese è consapevole che non tutto ciò chesemina germoglierà. Dare, donare, condividere sono azioniche non implicano una condizione di ri-torno.

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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pensiamo che la vita è breve». «In questomondo tutto passa, la vita è solo un pun-to». «Questo mondo non è il luogo di sta-re, ma di passaggio».

Suor Angela ha i piedi e le mani in terra, vi-ve veramente inculturata, mentre il cuoreè sempre rivolto al Cielo: «Il cuore nostroè fatto per Dio e solo in Lui troverà riposo».Si è totalmente identificata con la Patago-nia come se fosse la sua terra nativa. «Alle volte mi domandano come sto di sa-lute ed io rispondo che sono tutta di Pun-ta Arenas». In suor Angela, abitava un cuore univer-sale: «Sono qui in America, ma col pensie-ro qualche volta veniamo in Italia, ma noinon siamo né d’America né d’Italia, la no-stra casa si trova dappertutto».

Per lei, il cielo è il premio, «dove non ci se-pareremo mai più». Parla con insistenzadel Paradiso e vive protesa verso di esso,senza rifiutare la croce, anzi “le croci”, per-ché il Signore «ci ha creati, per conoscer-lo, servirlo, amarlo e poi goderlo per tut-ta l’eternità». La croce uno deve portarse-la con serenità e pazienza.

Non ha paura di riconoscersi umana. «Nonsiamo angeli, e sebbene abbiamo fatto pro-messe, cadremo lo stesso. L’importante èrialzarsi e incominciare di nuovo come alprincipio». Conosce i propri limiti e afferma:«Andiamo avanti lavorando e con buona volontà, facendo un poco di bene a questefanciulle. Ma con tutto ciò non mancano lecadute; la debole natura non sempre vincee qualche volta cede».

Suor Angela Vallese ci parla ancoraoggi. Ascoltiamo quanto ha scrittodalla lontana, fredda e imprevedibilePatagonia, diventata per sempre la sua “benedetta” patria del cuore.Suor Angela Vallese è una donna moltosemplice, saggia e concreta. Ha vissuto inun ambiente che offriva più spine che ro-se. Le sue lettere ci rivelano un cuore in con-tinua tensione verso l’Amore, la ricerca del-la perfezione, la meta desiderata.

Ama la sua vocazione, dono innegoziabilee iniziativa di Dio. È una FMA felice: «Sonosempre più contenta, un giorno più chel’altro, di essermi fatta Suora di Maria Au-siliatrice, e tanto più che mi è toccata lasorte di essere venuta in America!». «Vi dico schietto che non cambierei lamia sorte neppure colla Regina più for-tuna[ta] del mondo». «E tu prega per me,affinché possa così corrispondere allamia vocazione non solo di Suora, ma an-che di Missionaria».

Per suor Angela la vocazione alla vita con-sacrata è santa e richiede coerenza di vita:«Affinché ciò che dico agli altri lo faccia ioper la prima e possa così corrispondere al-la mia vocazione». Dio è il padrone dellastoria, e di questo ne ha piena coscienza.«Tutto viene dalle mani di Dio, il Quale per-mette tutto pel nostro bene, [… ] nelle gioiee nelle amarezze, “Dio sia benedetto!”».

Ha compreso il senso della brevità della vi-ta e del transitorio: «Facciamoci coraggio,

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miss

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ria «Corriamo con perseveranza, tenendo fisso lo sguardo su Gesù»Maike Loes

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L’amore di suor Angela verso le sorelle e isuoi “pobrecitos” trova la sorgente nell’a-more di Gesù. Invita ad amarlo e amarlo an-che al posto suo, perché è immenso il suodesiderio dell’Infinito. «L’amore è fortecome la morte; l’amore tutto vince, tuttopuò, amalo un poco anche per me affinchémentre te lo dico non rimanga io indietro».

Come don Bosco, il suo cuore è strapie-no del da mihi animas cetera tolle: «La no-stra Missione va crescendo e il buon Diodopo le prove ci manderà certamente leconsolazioni, cioè la grazia di poter sal-vare molte anime, anzi, tutte le anime di

questi tre paesi». «Abbiamo molta curadelle bambine e molta assistenza; bisognasacrificare qualunque cosa perché l’assi-stenza sia ben fatta».

Vive con rassegnazione la volontà di Dio,non per incapacità di protagonismo, ma co-me un atto di fede. «Vedi come prova Iddioi suoi servi, dopo la grande allegria viene l’a-marezza. Sia fatta, lodata, in eterno esalta-ta la santa Volontà di Dio».

Il segreto di suor Angela è la vita di preghie-ra unita alle mani intraprendenti. «Sonocontenta che […] tutte lavorino con buonavolontà, e che non manchi il lavoro. È da de-siderare che si unisca al lavoro la preghie-ra ben fatta, cioè la Meditazione e le altreopere di pietà». Per lei, i sacramenti danno«più forza per vincere le difficoltà».

Lo spirito di Mornese trapiantato in Ame-rica da suor Angela Vallese e dalle primemissionarie è ancora oggi il faro di ogni no-stra comunità. «La Santa Allegria e la Caritàche regna nella casa ci fa godere di un Pa-radiso anticipato». «Nella vita Religiosa ilmolto lavoro reca allegria e tranquillità; dun-que avanti e sempre avanti». «Sii umile, ob-bediente, rispettosa ed abbi confidenza coituoi superiori». «Soffro che in casa sia en-trata la superbia: e pensare che madreMazzarello era tanto umile! Perché non laimitiamo?… procuri di essere umile; e ve-drà che andrà molto bene».

Una FMA che tiene fisso lo sguardo su Ge-sù è capace di superare “generosamenteogni risentimento e suscettibilità” (C53), purdi costruire e ricostruire la fraternità. «Tran-gugi amaro e sputi dolce e vedrà che la ca-sa camminerà meglio con più unione e ca-rità». Suor Angela Vallese, donna semplice,saggia, concreta, donna dell’essenziale!«Cerchiamo di essere vere Figlie di MariaAusiliatrice».

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nato non solo ad avere le necessarieinformazioni in merito alla mappa delgenoma dei suoi genitori naturali (ovequesto si riveli indispensabile per eventua-li diagnosi e terapie), ma a conoscerneeventualmente la stessa identità.

Pretendere che la procreazione assistitavenga posta in essere senza che ci sia la ga-ranzia del rispetto di alcuni essenziali con-trolli di rilevanza pubblica, significa nega-re al bimbo che nascerà una serie di dirit-ti che a livello internazionale, almeno sul-la Carta, sono riconosciuti e protetti.

Problematiche patologiche

È necessario controllare che le coppie cheaccedono alla procreazione assistita sianoadeguatamente informate e diano un vali-do consenso non trattabile a seconda del-le situazioni che si presenteranno da lì a 9mesi (divorzi, litigi, precarietà varie dellacoppia). È necessario controllare, con lamassima serietà, la “qualità” dei gameti,non certo degli embrioni, da utilizzare nel-la pratica, per impedire che attraverso diessi possano trasmettersi al nascituro pa-tologie di carattere genetico e, al tempostesso, con norme rigorosissime, bisognaimpedire che attraverso l’eterologa siaprano le porte all’eugenetica.

In molti paesi del mondo esiste la “strava-gante” categoria dei “donatori di gameti apagamento” cioè di spermatozoi o diovociti. Non ci vuole molto a capire qua-li e quante siano le problematiche patolo-

Fecondazione eterologa e buon sensoRosaria Elefante

Uno degli argomenti più delicati e discus-si, almeno per le persone di buon senso,in tema di procreazione assistita rimanequello della procreazione eterologa.È bene ricordare che si ha la fecondazio-ne eterologa quando il seme maschile ol’ovulo utilizzati per il concepimento invitro di un bambino, non appartengonoad uno dei genitori, ma ad un donatoreesterno alla coppia. Il contrario è la fe-condazione omologa.La fecondazione eterologa fonda le sueragioni sul presunto diritto di esseregenitori anche quando madre naturanega questa ipotesi.

Gli “eventi avversi” sono tantissimi – peresempio lo scambio di embrioni – ma ven-gono tutti etichettati sotto l’ipocrito cartel-lo dell’“ostruzionismo dei cattolici”.In realtà tutte le pratiche di procreazione invitro, eterologa, ma anche quella omologa,richiedono cautele rigorosissime, per non di-re severissime, che nulla hanno a che farecon il Credo e una Confessione religiosa.La libertà di pensiero che anima e suppor-ta il presunto diritto genitoriale trova neces-sariamente dei limiti oggettivi e inviolabilinel diritto del nascituro che quantomeno“dovrebbe” poter avere la libertà di sape-re qual è il suo patrimonio genetico in ori-gine, anche e soprattutto per ragioni lega-te alla sua salute. Bisogna risolvere giuridicamente attra-verso una norma di ordine internaziona-le, il conflitto tra l’interesse all’anonima-to dei donatori di gameti e l’interesse del

camilla

Si fa per dire

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giche che spesso scaturiscono grazie aquesta grottesca e pericolosa categoria.Fratelli genetici che rischiano di incontrar-si e innamorarsi, per esempio. O ancoraun giovane donatore che incontra dopocirca vent’anni una bella donna che pen-sa possa essere la donna della sua vita escopre invece essere sua figlia!E allora? È necessario garantire – e come?– la privacy dell’eterologa?Va da sè che tale privacy svanisce all’attodella nascita se da coppia europea nasce unbambino con caratteri somatici tipicamen-te africani o asiatici.

Il nodo della questione

E quindi? Il nodo della questione non è némedico né giuridico, ma semplicemente na-sce da un puro egoismo camuffato daamore di genitorialità.Questo non vuole essere affatto un insul-to a coppie infertili, tutt’altro. Il dolore, la

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mortificazione, l’angoscia e l’eterna terribi-le speranza che accompagna il quotidianodi chi cerca un figlio, che naturalmente nonarriverà mai, non può essere compreso senon vissuto personalmente. Ma proprioquesta condizione non deve essere aneste-tico pesante capace di rendere dormientii futuri genitori. Un figlio non è solo quel-lo che si partorisce, ma è quello che si amae si impara ad amare giorno per giorno, oraper ora, attimo per attimo, anche se parto-rito da altri. Considerare i neo diritti pro-creativi quali diritti fondamentali è perico-loso, se non si tiene conto del fatto che van-no considerati fondamentali anche i dirit-ti del nascituro, anche i diritti del bambinoche sia nato dall’eterologa.Il buon senso, la lucidità e l’amore auten-tico per un figlio sono le uniche cose chepossono tracciare il giusto cammino.

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ti e di ciascuno è e rimane comune, perchéindivisibile e perché soltanto insieme è pos-sibile raggiungerlo, accrescerlo e custodir-lo anche in vista del futuro” (CompendioDottrina Sociale della Chiesa -CDSC-, 164). I beni comuni sono le risorse che permet-tono al singolo di esercitare il suo diritto alpieno sviluppo della persona umana. Sonocomuni, appartengono a tutti, quindi alla co-munità, nessuno può vantare su di essi pre-tese esclusive. Devono essere amministra-ti muovendo dal principio di solidarietà; es-si incorporano la dimensione del futuro edevono essere governati anche nell’interes-se delle generazioni che verranno. In questo senso sono patrimonio dell’uma-nità e ciascuno deve essere messo nellacondizione di utilizzarli e di difenderli.

Esigenze del bene comuneCi si accorge dell’importanza di un bene perla società quando c’è il rischio che una ri-sorsa venga sottratta alla fruizione della co-munità di riferimento. Il bene comune esi-ge la promozione integrale della personanel rispetto dei suoi diritti fondamentali. Tali esigenze riguardano anzitutto l’impe-gno per la pace, la salvaguardia dell’ambien-te, la prestazione di quei servizi essenzia-li delle persone, in vista del bene comunedell’intera umanità, anche per le generazio-ni future (cf CDSC, 166). Per rispondere a queste esigenze occorreun impegno educativo che privilegia trecoordinate fondamentali: partecipazione,condivisione, responsabilità.

Un futuro da costruire

Julia Arciniegas - Martha Séïde

Il teologo luterano J. Moltmann, in una suarecente Lectio magistralis riporta un raccon-to interessante: “Due pianeti si incontranonell’universo. Il primo chiede: «Comestai?». L’altro risponde: «Abbastanza male.Sono ammalato. Ho l’homo sapiens». Il primo replica: «Mi spiace. È una brutta co-sa. Anch’io l’ho avuto. Però consolati, passa!». E conclude con uninterrogativo aperto: Ecco la prospettivanuova e planetaria per l’umanità: questa ma-lattia umana planetaria passa perché il ge-nere umano si autodistrugge, oppure pas-sa perché il genere umano saprà diventaresaggio e curare le ferite che esso ha finorainflitto al pianeta «Terra»?”.Dopo aver rivisitato alcune teorie sulla re-lazione Dio-uomo-mondo, l’A. mette in ri-lievo la linea della nuova Teologia ecologi-ca che presenta la terra come la nostra “ca-sa”: «L’umanità è parte di un universo con-tinuamente in evoluzione. La nostra casa, laTerra, offre lo spazio vitale per una comu-nità di esseri viventi unica nel suo generee multiforme… Proteggere la capacità di vi-ta, la varietà e la bellezza della terra è un do-vere sacro» (Carta della Terra 2000).

Ecologia e bene comunePer affrontare la crisi ecologica attuale sirende necessario un nuovo paradigmaecologico sostenuto da una chiara conce-zione del bene comune e dei beni comu-ni. “Il bene comune non consiste nella sem-plice somma dei beni particolari di ciascunsoggetto del corpo sociale. Essendo di tut-

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Si fa per dire

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Partecipare alla custodia del creato è di-chiararsi a favore della vita, è situarsi dal-la parte di coloro che s’impegnano a ga-rantire la sostenibilità del pianeta, è assu-mere la consegna: “Pensa globalmente,agisci localmente”. La condivisione è un gesto di partecipazio-ne, ma ad un livello più profondo, è un at-to consapevole di coinvolgimento; è usci-re da se stessi in un donare e ricevere che

arricchisce e mette in gioco le diversecompetenze per il bene di tutti. Il senso di responsabilità è il motore dell’im-pegno perché le cose cambino al meglio.Nei confronti del pianeta è adottare misu-re a livello globale per evitare che l’ecosi-stema terra venga consumato e distrutto (cfCem Mondialità, giugno-luglio 2013, Dos-sier). Il monaco zen vietnamita, Tich NhatHanh, al quale, una volta, venne chiesto co-sa dobbiamo fare per salvare il nostromondo rispose: «Ciò che più di ogni altracosa dobbiamo fare è ascoltare in noi stes-si il grido della Terra che piange».

L’impronta ecologicaUn indicatore interessante dell’impattoche il nostro stile di vita ha sulla terra è “l’im-pronta ecologica”. Lo sviluppo, infatti, è sostenibile quando ibisogni delle generazioni presenti noncompromettono le capacità delle generazio-ni future di soddisfare i propri. L’impronta ecologica mette in relazionegli stili di vita di una popolazione con la“porzione di territorio” (sia essa terra o ac-qua) necessaria per produrre in maniera so-stenibile tutte le risorse che consuma e perassorbire i rifiuti. Se lo spazio bioproduttivo richiesto è mag-giore di quello disponibile, possiamo ragio-nevolmente dire che il tasso di consumonon è sostenibile. L’impronta ecologica é considerata ormai unottimo indicatore della sostenibilità deiconsumi, ma è un mero strumento, non lasoluzione agli innumerevoli danni ambien-tali provocati dall’uomo. Ripartiamo da noi, cambiando lo stile di vi-ta fin troppo orientato alla produzione di ri-fiuti e inquinamento e trasformiamo imodelli di consumo attuali in altri in gra-do di farci pensare al domani senza timori(cf. http://www.instituteforthefuture.it).

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EducareIl miglior investimento per il futuro

“La società odierna non troverà soluzio-ne al problema ecologico, se non rive-drà seriamente il suo stile di vita. (...).L’austerità, la temperanza, l’autodiscipli-na devono informare la vita di ogni gior-no” (Giovanni Paolo II, 1990).Per costruire il futuro, è urgente educa-re le giovani generazioni alla cultura del-la sostenibilità, sin dall’infanzia. Solo così sarà possibile favorire un rea-le cambiamento nei comportamenti,nelle scelte e negli stili di vita capaci dicreare un futuro migliore, più ricco, sa-no ed equo per tutti.

Sono moltissimi gli strumenti disponi-bili per insegnanti e studenti offerti dal-l’Associazione Internazionale “Fondomondiale per la natura” (World WideFund for Nature). Rimandiamo al loro sito per un confron-to e possibili spunti di ispirazione perelaborare un progetto di Educazioneambientale (cf http://www.wwf.it/).

LUCECONTRO

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zioni rovesciate con il termine resalio. For-se il nome della qualità di chi non perde maila speranza e continua a lottare contro le av-versità, la resilienza, deriva da qui”.La ricerca scientifica nell’ambito delle neu-roscienze e della psicologia, afferma “concertezza che gli esseri umani sono stati pro-gettati per affrontare con successo difficoltàe stress. E in questo campo sono molto piùforti di quanto comunemente si creda.[…] Discendiamo da gente che è sopravvis-suta a un’infinità di predatori, guerre, care-stie, migrazioni, malattie e catastrofi natu-rali e che ci ha trasmesso i propri geni”.

Da dove viene?L’attuale società, attraverso una massicciapubblicità, tende a far credere che: l’uso diquella poltrona, l’assunzione di omeopati-ci, di integratori, di psicofarmaci, l’uso dicreme e di balsami, la frequenza a palestre,a piscine, a centri di benessere, il ricorso adesperti servano a rendere felici, ad elimina-re lo stress e a superare le difficoltà. Le possibilità che la società offre, utilizza-te quando è necessario, possono essere diaiuto e di sollievo. Disprezzarle potrebbe essere presunzione.Ma credere che producano quello che lebugie della pubblicità affermano, sarebbeun’ottusa ingenuità. Nessun prodotto, nessun esperto, nessuncentro di benessere può eliminare lo stresse le difficoltà che la vita pone. È la persona che, nella consapevolezza di averricevuto una dotazione di base in grado di af-

La resilienza

Maria Rossi

Cos’è?Nella Circolare In preparazione al Capito-lo generale XXIII (p. 29), la Madre propone-va la resilienza come atteggiamento “di chiaccetta la prova come segno di fedeltà”. Va-rie suore, allora, si sono interrogate sul si-gnificato del termine. Ma anche altre per-sone, interpellate su che cosa s’intende perresilienza, sono rimaste perplesse. Sebbene negli ultimi decenni lo studio e laricerca scientifica su questa realtà si sianomolto sviluppati e i dati emersi siano digrande interesse, la gente ancora non sa.Forse, dato il contrasto con l’attuale permis-sivismo dalle mille facilitazioni, fatica atrovare canali di divulgazione. Il termine resilienza proviene dalla metal-lurgia. Nei dizionari è definita come “la ca-pacità di un metallo di resistere ad urti im-provvisi senza spezzarsi”. Resiliente è il con-trario di fragile. “Etimologicamente resilien-za viene fatta derivare dal latino resalio, ite-rativo di salio. Qualcuno propone un col-legamento suggestivo tra il significato ori-ginario di resalio, che connotava anche il ge-sto di risalire sull’imbarcazione capovoltadalla forza del mare, e l’attuale utilizzo incampo psicologico: entrambi i termini in-dicano l’atteggiamento di andare avantisenza arrendersi, nonostante le difficoltà”.La resilienza è detta “l’arte di risalire sulla bar-ca rovesciata”. “Quando la vita rovescia la nostra barca, al-cuni affogano, altri lottano strenuamenteper risalirvi sopra. Gli antichi connotavanoil gesto di tentare di risalire sulle imbarca-

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frontare le difficoltà e lo stress e anche di po-ter imparare a potenziarla e migliorarla, puòfronteggiare in maniera efficace gli eventi ne-gativi che incontra nella vita e raggiungeremete impensate. Per fortuna, la maggior parte degli esseriumani e anche delle suore, tende ad esse-re resiliente, cioè ad adattarsi e a superareindenne le avversità più severe. “Tra le persone direttamente coinvolte ne-gli attacchi alle Torri Gemelle, per esempio,solo una piccola parte ha sviluppato distur-bi psicologici gravi”.

Caratteristiche della persona resilienteLa persona resiliente presenta general-mente alcune caratteristiche psicologicheinconfondibili.

È ottimista e tende a ‘leggere’ gli eventi ne-gativi come momentanei e circoscritti. GiàEpitteto, antico filosofo greco, diceva: «Nonsono i fatti che turbano gli uomini, ma i giu-dizi che gli uomini formulano sui fatti». È la lettura, l’interpretazione o valutazionecognitiva delle vicende, cioè la tendenza avedere il mezzo pieno o il mezzo vuoto delproverbiale bicchiere, che fa la differenza.Se una/o pensa che un dato malessere du-ra qualche giorno e poi passa, lo sente piùtollerabile dal fatto di credere o di temereche sia permanente e insuperabile. Di fronte a un ostacolo, a un insuccesso, auna perdita, una persona se pensa di nonfarcela o che il mondo ce l’ha con lei, ten-de ad abbandonare l’impresa o ad andarein depressione; se, invece, interpreta la dif-ficoltà, la perdita, come una sfida, tende acontinuare nel suo intento finché sfonda oad andare avanti serenamente valorizzan-do quanto le resta. È accertato dalla ricerca scientifica, che lavalutazione cognitiva, cioè l’interpretazio-ne di quanto accade, ha conseguenze con-crete anche sul funzionamento fisiologico.I placebo, essendo interpretati dai pazien-

ti come farmaci efficaci, ottengono general-mente effetti positivi perché “emozioni epensieri modificano il funzionamento cor-poreo per mezzo dei cosiddetti neurotra-smettitori ubiquitari” (24) e lo mettononella condizione di reagire positivamente.

Ritiene di possedere un ampio margine dicontrollo sulla propria vita e sull’ambiente.Un individuo resiliente, se qualche vicen-da gli si volge contro, non pensa che dipen-da da cose esterne, come la sfortuna o lamancanza di aiuto degli altri, ma che dipen-da da lui. Chi crede che il suo benessere di-penda dagli altri o dalla fortuna o da chi co-manda o dalla società, sta lì ad aspettare chegli altri lo aiutino, che la fortuna gli vengaincontro, che la società migliori e rimanepassivo, dipendente, lagnoso. Chi, invece, crede che il suo successo di-penda da lui, il resiliente, si sente respon-sabile e si dà da fare per trovare modalitàe mezzi che gli consentano di arrivare do-ve desidera. Lo scusarsi di un comportamento inadegua-to per il fatto di trovarsi con persone diffi-cili è un tentativo di salvare la propria au-tostima, ma non serve a migliorare niente.

È fortemente motivata a raggiungere gliobiettivi che si è prefissata. La persona resi-liente, essendo motivata interiormente,cioè, desiderando di raggiungere una me-ta perché la ritiene importante per la sua vi-ta, di fronte alle difficoltà, alla fatica, non de-morde, resiste, tenta tutte le strade possi-bili, attende anche anni, ma arriva. Chi, in-vece, fa scelte per motivazioni prevalente-mente esterne, cioè perché lo fanno gli ami-ci o perché lo spinge la famiglia o per diven-tare importante o per sfuggire a una situa-zione, di fronte alla fatica e alle difficoltà ten-de generalmente a lasciare.

Tende a vedere le difficoltà e i cambiamen-ti come una sfida e come una opportunità,piuttosto che come una minaccia.

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nio genetico che possiede, anche se con piùfatica, può sempre tentare di svilupparlo. Nelle nostre comunità, la maggioranza del-le persone, pur a livelli diversi, è decisamen-te resiliente. Non mancano, però, anche quelle che riten-gono che, per essere come si dovrebbe, civorrebbe un’animatrice comprensiva, rispet-tosa, competente; delle consorelle buone,intuitive, educate; delle/dei giovani e bam-bine/i volonterosi, attenti, impegnati. Certo che, con persone con tutte questequalità, sarebbe più facile vivere. Ma la vi-ta, anche nei conventi, non è così. E aspettare che qualcun altro sia compren-sivo per essere contente, sia rispettosoper esserlo, è far dipendere troppo la pro-pria vita dagli altri e precludersi moltepossibilità.

Per vivere bene come persone adulte con-sapevoli e responsabili nelle comunitàumane, religiose e non, ci vuole molta re-silienza sia per le/i giovani che per le/gli an-ziane/i. Una/un giovane, consacrata/o osposata/o, non riuscirà ad essere se stessa/oe fedele alla sua vocazione e alla sua mis-sione se non coniugando insieme la forzadella resilienza con quella della grazia. Anche una persona anziana, per abitare se-renamente nella difficile “periferia esisten-ziale” della vecchiaia, ha bisogno di un sup-plemento di grazia e di resilienza. Per fortuna e per grazia, nelle nostre comu-nità e fra le persone che abbiamo conosciu-to, non mancano luminosi esempi di resi-lienza rivestita di santità gioiosa, evangeli-ca, salesiana.

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Per questo contributo ho fatto riferimento soprattutto al-lo studio di TRABUCCHI Pietro, Resisto quindi sono. Chisono i campioni della resilienza psicologica e come fan-no a convivere felicemente con lo stress,Corbaccio, Mi-lano 2010, V^ edizione. I brani fra virgolette si riferisco-no a questo volume.

L’Autore al quale faccio riferimento, raccon-ta che durante un corso da lui tenuto, ave-va osservato un partecipante particolarmen-te capace di gestire lo stress. Richiesto a checosa attribuiva questa sua capacità, l’inter-pellato rispose che suo padre fin da bam-bino gli aveva insegnato che: “Ogni impe-dimento è un giovamento”. E quel prover-bio era diventato per lui un atteggiamentocostante, un elemento fisso all’interno del-la sua interpretazione dei fatti. E, “ogni vol-ta che incappava in un problema, invece chefocalizzarsi sulla sua sfortuna o sull’infeli-cità del suo destino, egli aveva imparato avederci una sfida che l’avrebbe reso più for-te.” E agiva di conseguenza.

Di fronte a sconfitte e frustrazioni è capacedi non perdere comunque la speranza.Anche la persona più resiliente può scon-trarsi con una sconfitta o con una oggetti-va impossibilità. In questi casi è capace di accettare ragione-volmente e umilmente l’impossibilità e, sen-za perdere la speranza, aggiustare il tiro eritrovare mete adeguate.

È ancora possibile?L’atteggiamento resiliente si impara gene-ralmente in famiglia, nei primi anni di vita,quando i genitori, avendo fiducia nellepossibilità dei figli, li lasciano sperimenta-re difficoltà proporzionate alle loro forze.Pino Pellegrino, in un articolo sul Bolletti-no Salesiano dell’aprile di quest’anno, chia-ma l’atteggiamento dei genitori che dicono:«A mio figlio non deve mancare niente; nonvogliamo che soffra quello che abbiamo sof-ferto noi …», “la grande truffa”. E quanto di-cono, secondo lui, è la “litania insidiosissi-ma e avvelenata” di una cultura che ha con-tagiato i genitori dell’ultima generazione.Comunque chi ha avuto la sfortuna di ave-re troppe facilitazioni da giovane e di nonaver potuto esercitarsi ad affrontare le dif-ficoltà come cosa normale, dato il patrimo-

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PENSA A TUTTA LA BELLEZZAANCORA ATTORNO A TE

E SII FELICEANNA FRANK

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© Dipinti di Emanuela Colbe

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LIMITARSI A VIVERE NON È ABBASTANZA. C’È BISOGNO ANCHE DEL SOLE,

DELLA LIBERTÀ E DI UN PICCOLO FIORE.

HANS CHRISTIAN ANDERSEN

canto alla vita

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canto alla vita

LA SENSIBILITÀ SA FARCI APPREZZARE LA BELLEZZA E L’AUTENTICITÀ

DELLE COSE SEMPLICI MA GRANDI.ALESSIA S. LORENZI

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Letturaevangelica

dei fatticontemporanei

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tiva. Possono variare i modi, sulla misuradella vocazione personale e collettiva; ilcompito resta, unico e irrinunciabile, perchiunque confessa Gesù come il Signore.

Dentro la concretezza della storiaDon Bosco ha operato mosso dalla carità eha perseguito un intento “politico” in mo-do imparziale, non è entrato nelle polemi-che del suo tempo. Ha preparato cittadinie persone responsabili e ha perciò lavora-to per la res pubblica in tutti i Paesi dove siè diffusa la sua opera. Il mondo è stato illuogo della sua missione, nella consapevo-lezza che il tempo escatologico è un pro-lungamento del tempo della storia. «Don Bosco ha rifiutato un’azione spiritua-le disincarnata, espressione di una fedeastratta, che si disinteressasse della vita del-le persone in carne e ossa. Proprio la fede lo ha fatto sporgere dentrola concretezza della vita, impastandosi conessa, fatta di politica, ideologia, econo-mia, società, cultura, educazione» (Motto,Esercizi spirituali 2012). Egli ha promosso un’educazione umaniz-zante in senso pieno che evangelizza, creale premesse e accompagna la crescita spi-rituale esplicita e armonica. Papa Francesco ribadisce oggi che tutta laChiesa non può fare a meno del polmonedella preghiera e al contempo «si deve re-spingere la tentazione di una spiritualità in-timistica e individualistica, che mal si compor-rebbe con le esigenze della carità, oltre checon la logica dell’Incarnazione» (EG, n. 262).

Una spiritualità educativa

A cura di Mara Borsi

Nel nome dell’educazione la “spiritualità sa-lesiana” chiede a tutti gli uomini, alle donnedi buona volontà e alle istituzioni pubblicheun impegno di promozione della persona e ditrasformazione politica e culturale. Scegliendo di ‘giocare’ la nostra speranza nel-l’educazione, sappiamo d’essere fedeli al Si-gnore secondo il cuore di don Bosco e di Ma-dre Mazzarello. Crediamo all’efficacia dei mezzi poveri perla rigenerazione personale e collettiva econfidiamo nelle energie positive della per-sona umana come soggetto di rigenerazione.

Alla scuola di don Bosco e di Maria Mazza-rello, chi vive la spiritualità salesiana fa del-l’educazione la sua passione, lo stile dellasua presenza, lo strumento privilegiato del-la sua azione promozionale. Attorno all’e-ducazione organizziamo le nostre risorse. Chi ama la vita e la vuole piena e abbondan-te come la propone il progetto di Dio, siscontra quotidianamente con diverse situa-zioni di morte. Esse inquietano e provoca-no. Per questo si cercano rimedi efficaci ela collaborazione con tutte le persone ani-mate dalla stessa passione per assicurare letrasformazioni culturali e strutturali ne-cessarie, in una solidarietà che investe, inprima istanza, coloro ai quali la vita è statapiù violentemente toccata.Quest’esigenza attraversa la vita quotidia-na d’ogni cristiano che in modo autenticosi impegna nella sequela di Gesù. L’impegno sociale e politico non è un di piùnella spiritualità cristiana, è qualità costitu-

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Un’esperienza per tutti

La convinzione profonda che la spi-ritualità salesiana è una propostaadatta a tutti si rende evidente nel la-voro pastorale con bambini, bambi-ne e adolescenti in situazione di ri-schio e disagio sociale. Ho avuto la fortuna di lavorare per dueanni nel Centro Suor Maria Romero diEstelí, Nicaragua (2009-2011). Questa esperienza ha marcatoprofondamente la mia percezionedell’efficacia e della attualità dellaspiritualità salesiana che nella rela-zione con persone in crescita diven-ta metodo educativo. Bambini e adolescenti in situazione didisagio non sono sempre facili datrattare e da capire. Sono abituati acontare solo su se stessi, a sopravvi-vere in un mondo del lavoro che lisfrutta, a caricarsi di responsailità piùgrandi di loro. Di fronte a queste situa-zioni è necessario tenere presente lalogica dei piccoli passi, attendere conpazienza che il tempo della crecita fac-cia il suo perscorso.

Cambiamenti impensati

L’esperienza di conoscere perso-nalmente adolescenti a rischio socia-le, di dare tempo all’ascolto, di anda-re incontro alle loro necessità di ba-se come alimentazione, vestito eeducazione apre la possibilità a cam-biamenti impensati.

Nel 2010 si è iniziata nel Centro l’espe-rienza del servizio sociale di volontaria-to grazie a un gruppo di liceali dellaScuola cattolica María Auxiliadora prove-nienti da famiglie benestanti. Insieme alle autorità del Liceo abbiamopreparato i giovani volontari a lavorarecon i nostri bambini e ragazzi in mododa anticipare e prevenire eventualiconflitti relazionali. L’esperienza si è ri-velata estremamente positiva per en-trambe le parti. I giovani volontari so-no rimasti meravigliati di come i bam-bini e i ragazzi del Centro Suor MariaRomero si manifestavano contenti di ciòche ricevevano dalla vita nonostante lapovertà, le difficoltà, i limiti personali.

Un seme di bene

Una giovane liceale al termine del suoservizio mi ha detto: «Suora, guardaquesta bambina: ha solo un paio di san-dali che le servono per tutto… per cam-minare, per andare a scuola con la piog-gia o il sole… sempre sorride, mi parlacon entusiasmo, sempre al mio arrivo latrovo allegra. Io che ho tutto quello chedesidero, scarpe, vestiti e cose di ognigenere non sono capace di vedere piùin là e di dare senso alla mia vita… nonso essere felice delle piccole cose».Le reazioni dei giovani ci hanno inco-raggiato come comunità a condivide-re la ricchezza del nostro carisma at-traverso semplici attività formativesul Sistema preventivo. La convinzione che in ogni giovane,bambino, bambina c’è un seme di be-ne ci ha fatto scommettere sulla capa-cità di trasformazione di ognuno deinostri destinatari.

Aracely Mayorga, Nicaragua

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si sconcertante, suona come un rim-provero: «Perché mi chiami buono? Nes-suno è buono se non Dio solo».

Il solo buonoIl rimando a Dio, il solo buono, fa capire algiovane che la bontà di Gesù ha a che farecon quella di Dio, attinge dal solo buono,il Padre. La fonte della bontà della vita uma-na di Gesù non viene da lui, ma dalla sua re-lazione con il Padre, che è buono e fa sor-gere il suo sole su tutti, sui buoni e sui cat-tivi. A questo punto appare evidente che ladomanda sulla vita buona è una richiestapotremmo dire “laica”. Ogni persona desi-dera una vita buona. Questa è una doman-da che implicitamente o esplicitamentetutti si fanno riguardo alla propria vita.Gesù risponde a una domanda umana inmodo concreto con la sua vita umana. La risposta “laica” è quella della quotidianitàdella vita che si vede attuata in adulti e adul-te che sono buoni. E questa vita buona puòdiventare rimando, rivelazione, rinvio spi-rituale alla fonte della bontà, a Dio.«La domanda sulla vita è laica, ma è anchesempre religiosa, perché contiene l’aneli-to a una fede: la fiducia in Qualcuno che dàla vita e la custodisce. È religiosa la domanda che ha a che fare conla fiducia nella vita. La risposta, quando è ve-ramente laica, può divenire anche religio-sa, quando arriva da una persona buona chelascia trasparire la relazione con Dio cherende bella la propria vita» (Castegnaro-DalPiaz-Biemmi 2014).

Fuori dal recinto… con credibilitàMara Borsi

“Maestro buono che cosa devo fareper avere in eredità la vita eterna?”.Gesù risponde: «Perché mi chiamibuono? Nessuno è buono se non Dio solo» (Mc 10, 17).

La domanda riguarda la vita eterna, ma nel-la cultura ebraica essa non si riferisce all’al-dilà, al paradiso, ma ha a che fare con unavita piena, sensata, che ha una qualità ta-le che non muore.In un recente articolo Eliana Zanoletti affer-ma: «Di fronte alla domanda di vita buonanoi adulti rischiamo di rimanere imbaraz-zati e muti: siamo così scombussolati da nonsapere più che cosa sia una vita buona, fe-lice, realizzata, degna».Il giovane del Vangelo si rivolge a un mae-stro buono per chiedergli un aiuto a nonsciupare la vita, a investirla bene, a farne unacosa buona e bella. Una domanda che og-gi i giovani continuano a fare, anche se a vol-te non in maniera diretta, esplicita.Possiamo domandarci: «Perché il giovaneinterpella Gesù?». Perché vede la qualitàdella sua vita. L’evidenza della bontà di Ge-sù che traspare dalle sue parole, dai suoi ge-sti, dal suo modo di guardare le persone, le-gittima la domanda del giovane, anzi contutta probabilità la suscita. Il giovane forse non aveva mai pensatoche ci potesse essere una qualità di vitaa cui aspirare, ma quel rabbì di Nazarethè con la sua umanità una provocazionea essere buoni. La replica di Gesù è ve-ramente interessante, imprevista e qua-

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La viaOggi sembra non ci sia altra strada per l’an-nuncio del Vangelo ai giovani se non quel-la di una proposta umana che risvegli un’a-pertura al Solo che sia all’altezza del nostrodesiderio. I giovani con le loro fragilità so-no anche oggi, come in ogni epoca, “capa-ci di Dio”, sensibili ad una ricerca spiritua-le se incontrano persone con una vita buo-na, abitata dallo Spirito. D’altronde l’azio-ne dello Spirito di Gesù non è quella di ren-derci religiosi, ma di umanizzarci, di dare fi-gura alla nostra umanità nella forma di vi-ta buona e per questo eterna di Gesù: unavita da figli, figlie, da fratelli, sorelle.Papa Francesco sta aiutando tutta la Chie-sa, con il suo magistero fatto di gesti e di pa-role, a non stare alla finestra della storia ela orienta concretamente a essere compa-gna di viaggio pronta a mettere a disposi-zione il dono del Vangelo ma anche a rice-verlo dalle persone di oggi, credenti o me-no. I giovani sono particolarmente attentia chi con la propria esistenza afferma chevale la pena vivere e donare se stessi per co-struire la comunione. È la mancanza di de-siderio a paralizzare l’esistenza fino a far de-

siderare di togliersela. Altro punto nodaleda affrontare oggi è educare al desiderio einsieme educare il desiderio il quale, lascia-to a se stesso, può essere velleitario o ap-piattirsi sulle semplici voglie.

Suscitare, generare, risvegliareI giovani non sono oggi più increduli di ie-ri e neppure più superficiali. La crisi di co-municazione della fede rinvia a tutta la co-munità cristiana, nessuno escluso, rimandaa un rinnovato impegno di ascolto delVangelo. La pastorale giovanile sembra og-gi essere chiamata a rinnovarsi nel senso disuscitare, generare, risvegliare la vita in tut-te le sue dimensioni: fisica, intellettuale, af-fettiva, spirituale. Il distintivo di ogni comu-nità cristiana è essere presente nei luoghidove la vita si mostra precaria, minacciata;stare vicino a quelli e quelle che soffrono,a coloro che la storia lascia ai margini oesclude e lì, attorno “agli scarti” suscitareuna dinamica di solidarietà. Per una moltitudine di giovani, di donne euomini le espressioni culturali della fede cri-stiana risultano incomprensibili. È possibile un nuovo approccio a partire daparole e gesti di solidarietà, vicinanza, te-

nerezza, compassione.Il futuro di molte comunitàcristiane si gioca su questo ter-reno. È importante uscire dairecinti ecclesiali, ma non ba-sta uscire, è necessario unrinnovato ascolto della Paro-la di Dio, una rinnovata rela-zione con Gesù che spinga auscire non credendoci deten-tori, detentrici della verità,ma portatori, portatrici di undono che va offerto con ri-spetto e simpatia per i dubbie le difficoltà di chi ci sta difronte.

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l’alcool. Non ho molti contatti con lui. Le miesorelle sono tutte più grandi. Io vivo sola conmia madre. Lei senza l’aiuto di nessuno harimesso a posto la nostra casa. Mi aiuta mol-to, mi sostiene nei miei studi e mi dà il suoappoggio in tutto quello che faccio».

Per le Figlie di Maria Ausiliatrice inserirsi èuna scelta pastorale che comporta vivere elavorare all’interno di una comunità umanacome parte di essa: avvicinandola, conoscen-dola e condividendone con coraggio la vi-ta quotidiana, i problemi e i progressi socia-li e culturali. A Belford Roxo è presente unaComunità Inserita delle FMA che portaavanti l’opera sociale “Crescendo Juntos”,crescendo insieme. Aloà ha iniziato a parte-cipare al progetto a 9 anni: «Ed è stato lì cheè cambiata la mia vita. Tutto è iniziato cono-scendo le suore, che lavoravano per le stra-de, dove accoglievano i bambini del quartie-re per giocare con loro».

Dalla parte dei giovani

Aloà ha sempre amato danzare, dimostran-do doti non comuni. Già all’età di 10 anni levenne data la possibilità di approfondire lostudio della danza per poi farne una profes-sione. Lei stessa racconta: «Ho iniziato a stu-diare incentivata dalle suore, perché avevomolti dubbi. Oggi frequento il primo annodi un corso per insegnanti di educazione fi-sica. Quello che spero e desidero è avereuno spazio mio per insegnare danza; non so-lamente per i bambini e gli adolescenti chepossono pagare, ma anche per quelli che non

La forza della vita

Anna Rita Cristaino

Arrivando in Brasile, all’aeroporto, si trovascritto sulle insegne di benvenuto… Brasi-le: il paese di tutti.In effetti la grandezza geografica della Na-zione raccoglie al suo interno una moltepli-cità di popolazioni ed etnie: dai popoli indi-geni che abitano le regioni amazzoniche, aidiscendenti dei portoghesi e degli antichicolonizzatori, agli africani arrivati in epocacoloniale come schiavi, ai tanti immigratiche, decennio dopo decennio, hanno oc-cupato zone ben precise del Paese.

Rio de Janeiro e San Paolo, sono le due cittàpiù popolose della Nazione. Tantissima gente, tante singole persone checon le loro storie di vita uniche, costituisco-no tutta questa umanità. Storie particola-ri, originali, irripetibili. Ecco perché è bel-lo guardare il mondo con gli occhi di chi loabita, di chi trascorre la vita sulle strade diquesto pianeta, e con il proprio essere con-tribuisce a creare qualcosa di nuovo. Per-sone che si incontrano immergendosicompletamente nella realtà, con tutte le suecontraddizioni. La storia di un Paese forsela si comprende meglio guardando alla vi-ta quotidiana – ordinaria – di uomini e don-ne che ogni giorno combattono per i pro-pri diritti, che resistono ai soprusi per di-fendere la propria dignità e con coraggioscelgono di non avere più paura.

A Belford Roxo, città dormitorio per tanti chelavorano a Rio de Janeiro, abbiamo incontra-to Aloà che ci ha raccontato la sua storia:«Mio padre purtroppo ha problemi con

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getto socio-educativo rivolto a circa 130bambini e adolescenti tra i 7 e i 17 anni checomprende laboratori culturali, di pedago-gia, gioco e sport. Dicono le FMA della co-munità di Belford Roxo: «Basta che sianogiovani in difficoltà, che siano poveri, chenon abbiano opportunità culturali, di tem-po libero, che qui sono accolti».

Problemi differenti

Diadema, invece, è una città annessa alla zo-na metropolitana di San Paolo. Le FMA han-no una comunità di tre suore che condivi-de la vita e la fede con tutta la gente del quar-tiere. Qui abbiamo conosciuto Viviane, unaragazza di 20 anni che ha sempre vissuto conla madre, le 3 sorelle, la nonna ed il patrigno.Proprio la presenza di quest’ultimo, alcoliz-zato e sempre ostile alla figliastra, non ha fa-vorito un clima di serenità in famiglia. Leistessa racconta: «Quando ero piccola lui miaggrediva, qualche volta mi picchiava. Mia

sono in condizioni di farlo. I bambini nonhanno molte opportunità e mi piacerebbepoterli aiutare attraverso questo progetto».

A Belford Roxo le FMA operano in quasi tut-ti gli ambienti della vita quotidiana della gen-te come presenza materna e attiva dellaChiesa. Hanno progetti di promozione uma-na e culturale rivolti ai più giovani e alle fa-miglie in stretta collaborazione con le isti-tuzioni locali; e progetti di evangelizzazio-ne in unione con la Chiesa locale e le Co-munità Ecclesiali di Base.Aloà parlando delle FMA dice: «Grazie al-le suore che stanno sempre dalla parte deigiovani, mostrandoci un cammino di fede,non ci perdiamo. Loro ci invogliano a per-correre un cammino di fede, ci aiutanochiarendo i nostri dubbi. Sono delle vereamiche che camminano con noi».

La presenza delle FMA è molto attiva conil progetto “Crescendo insieme”. Un pro-

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madre non sapeva cosa fare. Lei ha chiestoa molte persone per cercare qualcunoche potesse prendermi in casa. Alla fine haparlato con la comunità delle FMA che han-no subito detto che mi avrebbero accoltonella loro casa, ma mia madre avrebbe do-vuto trovare un modo di affrontare mio pa-dre, lui non poteva cacciare una figlia di ca-sa, una figlia ancora minorenne».

Con l’appoggio della comunità delle suorela mamma di Viviane ha trovato il coraggiodi denunciare quanto accaduto in casa sua,trovando giustizia per sua figlia. Ripensan-do a tutto quello che ha vissuto Viviane di-ce: «Stranamente non provo nessun odio.Non sento rabbia; non sento niente. Sola-mente non voglio stare vicino a lui. Nel pe-riodo che sono stata con le suore ho impa-rato molte cose. Ho una comunità che mi so-stiene continuamente: dico sempre che houna famiglia meravigliosa e molto grande,nei momenti in cui ho avuto bisogno loro so-no state con me. Oggi in casa il clima è mi-gliore. Per il futuro, penso di sposarmi, co-struire una famiglia, avere dei figli».

Viviane e sua madre hanno avuto appoggioe sostegno non solo dalle suore, ma anchedagli altri che appartengono alla ComunitàEcclesiale di Base, una comunità costituita-si 50 anni fa e che conserva il senso di appar-tenenza e di fratellanza tra i suoi membri.

Suor Maria, suor Iracema, suor Manoracy, vi-vono in questo quartiere da molti anni.Conoscono le famiglie, le loro storie, le lo-ro gioie e le loro sofferenze. Hanno segui-to generazioni di giovani. Li hanno sostenu-ti nella fede e nella tutela dei loro diritti e del-la loro dignità. La loro è la testimonianza diuna vita consacrata che manifesta la sua pie-nezza diventando realizzazione del Vange-lo e scuola di immensa umanità.

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madre non era d’accordo, ma non poteva in-tervenire. La nonna era sempre pronta adaiutarci, a darci un appoggio; e lui non inter-feriva particolarmente. All’inizio, quando eromolto piccola, mi sentivo sola, pensavo cheil centro dei litigi fossi sempre io. E pensa-vo di essere l’unica colpevole».

Problemi differenti

Con l’adolescenza, per Viviane, sono suben-trati problemi differenti che lei ricorda consofferenza: «C’era una stanza vuota con i gio-cattoli. Con molta fatica convinsi mia madrea far dormire me e mia sorella in quella stan-za, perché io avevo sempre sognato di ave-re una stanza tutta per me. Dopo un po’ ditempo che dormivamo in quella stanza,una notte mi sono accorta che lui stava se-duto al lato del mio letto solo con la bianche-ria intima e stava cercando di toccarmi conla mano. Io mi sono mossa e lui si è blocca-to ed è tornato nella sua camera. La mia stan-za era di fronte alla sua. Da quella notte nonriuscivo più ad addormentarmi, avevo pau-ra che lui entrasse di nuovo e cercasse di far-mi qualcosa. E lui ci ha provato. Nei giorniseguenti avevo paura: non sapevo se pote-vo raccontarlo o se fosse meglio stare zitta;non sapevo se avrei peggiorato la situazio-ne con mia mamma, perché in quel momen-to, io e mia mamma non parlavamo molto,non ci capivamo, litigavamo spesso».Ma un giorno il patrigno litiga con sua ma-dre, lei ormai adolescente, interviene in di-fesa della mamma e l’uomo le intima di an-dare via e di non tornare più a casa. Lui ha una pistola e minaccia di ucciderla.«Quando ho detto che avrei chiamato lapolizia – continua Viviane – lui ha preso iltelefono senza fili e lo ha buttato a terra fa-cendolo rompere. Ha iniziato a dirmi di an-dare via di casa, che se non avessi lasciatola casa in quello stesso giorno lui mi avreb-be ammazzato. A partire da quel momen-to mia mamma aveva molta paura. Quan-do lui è uscito per andare a lavorare, mia

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Informazioninotizie e novità

dal mondodei media

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relazione delle persone tra di loro. Nel web2.0 l’interazione tra chi pubblica informazio-ni e chi le riceve è divenuta ‘viva’. Partiti politici, gruppi sociali, istituzioniecclesiali hanno dovuto confrontarsi conqueste nuove forme di comunicazione e diricerca del consenso; sebbene trovare con-senso per le proprie proposte rimanga loscopo di tali soggetti, le modalità con cui sicerca di raggiungere questo obiettivo sonomutate ed occorre tener conto delle richie-ste della gente che, sempre più, pretendel’abbandono di linguaggi ermetici e di atteg-giamenti distanti dalla vita reale.Tuttavia, sebbene sembri paradossale, l’at-tuale struttura del web 2.0 ha poco di par-tecipativo; i social network nella loro formaattuale, piegata agli interessi economicidelle corporation proprietarie, sono tutt’al-tro che social: la maggior parte dei conte-nuti prodotti sulle piattaforme come Face-book vengono visualizzati solo da cerchieristrette di contatti, tendenzialmente omo-genei. Sui social network contemporanei,inoltre, non esiste lo spazio del dissenso: suFacebook, ad esempio, non esiste il tasto“non mi piace”, e le possibilità di esprime-re un parere sono solo due: o like o igno-rare. Così il pensiero unico si impone mor-tificando ogni ambizione partecipativa.

Partecipare è esserci davveroTrasferire il concetto di partecipazione al-la vita della Chiesa che è, per natura, unaistituzione gerarchica non è operazionesemplice. Al di là, però, delle reali possibi-

Partecipare

Patrizia Bertagnini

Partecipare – che significa, nello stesso tempo, prendere parte e far parte, e cioè, tanto ricevere chedare – fondamentalmente contiene in sé l’idea di uno scambio. Riesce la rete a garantirne la sussistenza?

Il problema della partecipazione – perchénon solo di risorsa si tratta ma di vera e pro-pria criticità – implica un’azione culturaleche abbia come scopo la formazione di unacoscienza individuale e collettiva più con-sapevole delle sue potenzialità, del bene-ficio che le deriva dalla contaminazione conciò che è di tutti, dell’urgenza di un effet-tivo decentramento.Partecipare, in questo senso, diventa unaconcreta opportunità di dividere con equitàil potere (cioè il servizio) e di valorizzare lespinte aggregative che provengono dal bas-so, senza dimenticare che sviluppare il di-battito sugli obiettivi e le modalità delle di-namiche partecipative, non garantisce diper sé un reale sostegno alla partecipazione.

L’esempio della ReteIn questi ultimi anni si è assistito allo svilup-po di movimenti di protesta e di rivendica-zione che hanno coinvolto ampie compo-nenti della società; soprattutto i nuovi me-dia, la Rete, il web, i social network come Fa-cebook e Twitter, hanno sottratto il control-lo e la gestione della comunicazione e han-no favorito nuove forme di partecipazioneinnovando quelle tradizionali. Con l’avven-to del web 2.0, inoltre, si sono realizzate tra-sformazioni ancora più forti delle forme di

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lità di sentirsi parte viva della comunioneecclesiale e di assumerne in prima perso-na l’onere, il magistero di papa Francescorichiama alla responsabilità cui ogni cristia-no è chiamato: «Mentre nel mondo, special-mente in alcuni Paesi, riappaiono diverseforme di guerre e scontri, noi cristiani insi-stiamo nella proposta di riconoscere l’altro,di sanare le ferite, di costruire ponti, strin-gere relazioni e aiutarci «a portare i pesi gliuni degli altri» (Gal 6,2)... In tal modo si manifesta una sete di parte-cipazione di numerosi cittadini che vo-gliono essere costruttori del progresso so-

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ciale e culturale» (Evangelii Gaudium, 67).Nell’esperienza di vita cristiana il prende-re parte o partecipare non si gioca solo a li-vello verbale; non si tratta soltanto di direliberamente quello che si pensa – per laqual cosa basta una semplice cassa di riso-nanza come spesso è la Rete – ma di pen-sare con spirito libero a quello che si dice;occorre essere in prima persona casse di ri-sonanza che, facendosi carico dei fratelli,trasformano le comunità in veri e propri la-boratori di partecipazione.

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Su Wikipedia circola un elen-co di social network emergen-ti (circa 206), ognuno con lesue caratteristiche e il suopubblico di riferimento, che sipongono come “alternativi” aFacebook. Eccone alcuni…da tenere sotto osservazioneperché si stanno diffondendotra i ragazzi…

SOBRR, qui le amicizie dura-no 24 ore, a meno che non sidecida altrimenti;

SECRET, un’app fatta di mes-saggi e immagini anonimi(non è richiesto il nickname),che consente di sfogarsi, spet-tegolare, confidarsi senza do-ver uscire allo scoperto;

OoVoo, un’app (disponibilesu Facebook) che supportaconversazioni di gruppo – convideo, voce e messaggi – finoa 12 partecipanti. È gratuita e ipiù giovani la usano per chiac-chierare e per studiare e fare

Social ma non troppo i compiti in modo collettivo;

SHOTS, è per gli appassionatidei “selfie”. Consente di scat-tare e condividere foto e anchedi impostare conversazioni(pubbliche e private) fatte so-lo di immagini e didascalie;

PHEED, è un’innovazione nelmondo dei social network:qui i post sono a pagamento.Si possono creare testi, vi-deo, musiche e altro tipo didati e poi chiedere agli uten-ti di pagare un abbonamentoper iscriversi e leggere i post.

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to bene potrebbe accadere se nei negozia-ti di pace, nei paesi in conflitto, fossero coin-volte a livello decisionale le donne!Le donne sono disposte a mettere i bisognidegli altri dopo i propri. Le donne si prendono cura degli altri e si ral-legrano del successo dei loro cari, speri-mentano il senso di colpa e la depressionequando il loro comportamento va controqueste norme (Gilligan 1982). In uno studio riportato dal “Science Daily”,i ricercatori del MIT, Carnegie MellonUniversity e Union College, studiando i li-velli di intelligenza collettiva nei gruppi han-no scoperto che i gruppi che coinvolgonopiù donne dimostrano una maggiore “sen-sibilità sociale” – la capacità di percepire isentimenti degli altri membri – e quindi so-no più competenti nei compiti complessi.Nel contemplare Maria, sperimentiamo lapienezza della maternità che non solo si ba-sa sulla logica, ma anche sull’intuizione, sul-la relazionalità e sulla fede. La maternità della Chiesa e la maternità spi-rituale trovano in Maria un esempio perfet-to da imitare prima di tutto a causa del suoessere la Madre di Dio.

Guarire il mondoI grandi passi compiuti dalle donne profes-sionalmente e culturalmente rendono lo-ro e il “genio femminile” catalizzatori delcambiamento sociale. Il “Global Sisters Report” (globalsistersre-port.org) è un sito web dedicato a notiziee informazioni sulle suore cattoliche e le lo-

Donne che aiutano a guarireDebbie Ponsaran

La Chiesa dà una grande importanza al ruo-lo della donna nella società di oggi. La cul-tura della vita semplicemente non si può co-struire senza il contributo delle donne. Pa-pa Giovanni Paolo II ha detto: «Occorreadoperarsi convintamente perché alle don-ne sia aperto il più ampio spazio in tutti gliambiti della cultura, dell’economia, della po-litica e della stessa vita ecclesiale, sicché l’in-tera convivenza umana risulti sempre più ar-ricchita dai doni propri della mascolinità edella femminilità» (Angelus, 23/07/1995).Secondo il Global Gender Gap Index 2013,stilato dal World Economic Forum (L’indiceglobale della parità di genere - Forum Eco-nomico Mondiale), c’è una crescita nel ri-conoscimento dei contributi delle donne inmolti Paesi e tra i primi cinque c’è l’Islan-da, la Finlandia, la Norvegia, la Svezia e leFilippine. Nella prefazione al report si leg-ge anche: “I paesi e le aziende possono es-sere competitivi solo se riescono a svilup-pare, attirare e ritenere i migliori talenti, siamaschile che femminile”.

L’energia archetipica della madreIl femminile è la matrice della creazione. Diol’ha dotata del dono della maternità. La don-na partecipa al più grande mistero di farsbocciare la vita e nel processo impara adaspettare, ad ascoltare, ad accogliere. L’atteggiamento materno favorisce la costru-zione di comunità unite e a favore della vi-ta. È l’influenza materna che promuove l’u-nità all’interno delle famiglie ed è l’iniziodella pace in tutta la famiglia umana. Quan-

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ro missioni che mettono in evidenza soprat-tutto i temi della pace, l’integrità del crea-to, l’uguaglianza, la migrazione e la trattadelle persone. Suor Susan Rose Francois hapubblicato un articolo sul sito e afferma:«C’è tanta sofferenza provocata dall’uomoche sta accadendo nel mondo... C’è anchemolta bontà promossa dall’uomo... mi ritro-vo più entusiasta per le capacità delle pic-cole comunità religiose, con la loro condi-visione dei carismi e una maggiore libertàdi movimento per rispondere alle esigen-ze della comunità mondiale. Forse Dio ci in-vita ad essere lievito essenziale».La “Women’s International League for Pea-ce and Freedom” (Lega Internazionale del-le Donne per la Pace e la Libertà - www.wilp-finternational.org) è una delle più anticheorganizzazioni di donne del mondo a favo-re della pace. È stata fondata nel 1915 da mil-letrecento donne provenienti dall’Europae Nord America che hanno preso posizio-ne contro quella che è poi diventata la pri-ma guerra mondiale. Il gruppo da moltotempo è coinvolto nel lavoro di pace.

La “Medica Mondiale” (www.medicamon-diale.org) è un’organizzazione femminilenon governativa con sede in Germania. Es-sa assiste le donne e le ragazze nelle zonedi guerra e di crisi. Il loro sostegno per la cultura della vita èchiaramente evidente nelle loro paroledurante la crisi del Kosovo: “Abbiamo vis-suto la guerra. Sappiamo cosa vuol dire spe-rimentare l’ostilità, piangere e sentire la rab-bia. Capiamo che il desiderio di vendettaè forte ma sappiamo che non dobbiamo far-lo vincere in noi. Sappiamo che una rispo-sta violenta può portare solo più violen-za e non la giustizia”.La “Nobel Women’s Initiative” (nobelwo-mensinitiative.org) è stata fondata nel 2006da sei donne che sono state vincitrici delPremio Nobel per la Pace e, in seguito, al-tre donne vincitrici si sono iscritte all’inizia-tiva delle “Donne Nobel”, che rappresentaun mondo trasformato, un mondo di sicu-rezza, di non violenza, di uguaglianza e dibenessere per tutti”.

Il volto materno di DioMolti anni fa il famoso compositore dicanti liturgici cattolici, Dan Schutte, hascritto una canzone intitolata “Dio d’Amo-re”. Una frase della canzone mi ha colpitola prima volta che l’ho sentita: “Tutti colo-ro che amano sono nati da Dio, nostro Crea-tore e nostra Madre”. La Bibbia è piena di immagini che esprimo-no la dimensione “materna” di Dio. InIsaia 42 al versetto 14 si legge: “Ora grideròcome una partoriente, mi affannerò e sbuf-ferò insieme”. Al salmo 131: “Resto quietoe sereno come un bimbo svezzato in brac-cio a sua madre, come un bimbo svezzatoè in me l’anima mia”. In Osea (11,3-4) Diosostiene Israele come una madre si pren-de cura del proprio figlio.

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«Il romanzo miha profonda-mente emoziona-to: è una storia molto positiva e piena di spe-ranza, ho apprezzato che il personaggio princi-pale fosse una ragazza che pur non avendo nul-la alle spalle e alcuna prospettiva futura, riuscis-se non solo a sopravvivere ma a prosperare. (…) Incomincia a capire le parole e il loro potere. Si rende conto che è possibile utilizzarle per ilbene come per il male. Ciò le permette dicambiare la sua vita e di compiere scelte che nonavrebbe potuto fare prima di aprire un libro.Questa è la chiave del suo spirito». La vicenda si sviluppa in Germania e la sua pro-tagonista, Liesel, è una ragazzina vivace e corag-giosa. Viene affidata dalla madre stessa ad HansHubermann, un imbianchino buono e gentile,con sua moglie Rosa. L’adolescente scossa dalla tragica morte del fra-tellino e intimidita dai nuovi “genitori”, fatica adadattarsi sia a casa che a scuola, dove i compa-gni la prendono in giro perché non sa leggere.Poi, con grande determinazione e con l’aiuto delsignor Hubermann riuscirà a cambiare la sua si-tuazione. Nel corso di lunghe notti insonni ilpapà adottivo le insegnerà a leggere il suo pri-mo libro, “Il manuale del becchino”, rubato alfunerale del fratello, e da quel momento l’amo-re di Liesel per la lettura diventerà incontenibi-le. Importante per lei diventa anche l’amiciziadi Rudy, un compagno di scuola che si innamo-ra e, seguendola, la scopre ladruncola di libri.Generosi e profondamente umani gli Huber-mann decidono di nascondere nel loro scanti-nato anche Max, un giovane ebreo sfuggito airastrellamenti tedeschi. Colto e sensibile, sarà lui a completare la forma-zione di Liesel invitandola a trovare le parole perdire il mondo e le sue manifestazioni. “Perché

STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI di Brian Percival, Stati Uniti 2013

Mariolina Perentaler

Diretto dal pluripremiato regista Brian Percival,il film racconta una storia commovente e ricca diemozioni, ambientata nella Germania della Secon-da Guerra Mondiale. Il regista inglese si ispira alvoluminoso “La ragazza che salvava i libri”, un be-st seller internazionale da 8 milioni di copie del-l’australiano Markus Zusak, le cui opere sono sta-te tradotte in più di 40 lingue e gli hanno guada-gnato un’infinità di premi. Ha ricevuto il plauso della critica e continua adessere presente nelle classifiche dei lettori in mol-ti paesi del mondo. Brian ne trae un film superbo, con interpretazio-ni magistrali di attori già famosi o appena emer-genti, come la dodicenne Sophie Nelisse interpre-te dell’incantevole ‘Ladra di libri’. Sono i suoi occhi di bambina che ci raccontanoterrore ed amore, affetti e speranze. Attraverso leiripercorriamo momenti e temi fondamentali delgrande conflitto: dalla ‘notte dei cristalli’ del ‘39alle campagne di Polonia e Russia, dalla lotta al-la cultura, al fanatismo cieco di chi è entusiastadi andare a combattere. Nonostante il suo finale tragico, la pellicola è unvero e proprio inno alla speranza, alla cultura, al-la solidarietà, all’amicizia.

Una parabola umanista contro ogni barbarie

“Il racconto costeggia una bella voglia di riscat-to e di uscita dal buio, disegna personaggi se-gnati da ottimismo e positività e offre il ritrattodi una fanciulla insieme gracile e forte. Il film è da utilizzare in programmazione ordi-naria e successive occasioni come proposta perragazzi, anche a livello scolastico e didattico”, sin-tetizza la CNVF nella valutazione pastorale. Anche il Regista in conferenza stampa dichiara:

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mente emoziona-to: è una storia molto positiva e piena di spe-

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le parole sono vita, alimentano la coscienza,aprono lo spazio all’immaginazione, rendonosopportabile la reclusione”. Intanto fuori dalla loro casa, la guerra incombee la morte (una voce fuori campo che accompa-gna tutto il racconto) ha molto da fare, accoglien-do pietosa le vittime di Hitler e dei suoi aguz-zini, decisi a fare scempio degli uomini e dei lo-ro libri. Con l’ascesa del partito nazista, infatti,la libertà di espressione fu ferocemente repres-sa e i libri venivano bruciati in piazza. «Al popo-lo tedesco si diceva cosa credere, cosa pensa-re e cosa leggere – puntualizza l’Autore – ma no-nostante questi ostacoli Liesel, imparando a leg-

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gere, conquista la capacità di essere creativa, dipensare con la propria testa, di non andare a ri-morchio delle idee degli altri». Ecco il messaggio del film. Con pennellate de-licate il regista lo tratteggia grazie ad un ottimocast e ad una colonna sonora che lascia il segno.Ritratto poetico e struggente di una famiglia chefronteggia la tragedia, senza retorica né buoni-smi ci porta dritti al cuore. I veri orrori vengo-no sfiorati, accennati, intravisti, sempre attraver-so lo sguardo a tratti disincantato di Liesel, deisuoi occhioni da bambina velati da lacrime edincredulità.

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L’idea del film

Ci sono film in cui il Libro ha la potenza di sal-vare l’uomo, come in effetti accade, tramandan-do il valore della memoria.

È quanto ci insegna e succede anche con il Dia-rio di Anna Frank. «Piacerà a chi ama le storiealla Anna Frank – scrive infatti la critica –. An-che per Liesel il terrore e l’incombere dellamorte si combattono con la fantasia». Markus Zusak ha tratto ispirazione per il suolibro dalle storie narrate dai suoi genitoriquando era ancora un bambino in Australia.«Era come se un pezzo d’Europa entrassenella nostra cucina quando mamma e papà rac-contavano di come fosse crescere tra Germa-nia e Austria, dei bombardamenti di Monaco,dei prigionieri che i nazisti facevano sfilare perle strade – racconta lo scrittore . Allora non me ne rendevo conto, ma sono sta-te queste storie a spingermi a diventare scrit-tore. Era un’epoca di estremo pericolo emalvagità e mi hanno profondamente colpi-to i tanti gesti di umanità compiuti in queitempi cupi – continua Zusak . Storia di una ladra di libri parla proprio di que-sto: della capacità di trovare la bellezza anchenelle situazioni più orrende». Uno dei punti centrali della storia è che Hi-tler stava distruggendo la mente delle perso-ne con le parole, mentre Liesel di quelle stes-se parole si appropria per scrivere una storiacompletamente diversa.

Il sogno del film

Diventare un ottimo spunto per riflettere sul valo-re della letteratura come testimonianza della propriaidentità e del rapporto con il mondo circostante.

“Storia di una ladra di libri” resta un film co-municativo, in grado di catturare lo spetta-tore e donargli un insegnamento veramen-te sentito. Per Brian Percival, infatti, i libri hanno un va-lore rilevante, culturale e formativo: “Insie-me al cinema, possono veicolare contenutiimportanti, farsi serbatoio dei capitoli dellastoria universale, della formazione umana,nutrimento dell’immaginario, senza rinuncia-re ad emozionare”. Mentre sul piano lette-rario rende centrale il rapporto tra la prota-gonista e la possibilità di leggere e di espri-mersi con le parole, a livello didattico l’ope-ra diventa utilizzabile in una prospettivastorica per riflettere sull’avvento del regimenazista, sulle politiche culturali restrittive chevietavano certa letteratura e arte. Ricorda ed insegna che anche in Germaniaci sono coloro che danno più valore alleidee che alle dottrine, che nascondonoebrei pur di non dimenticare cosa significagratitudine, che amano ed odiano come intutto il resto del mondo. “Nel film ci sono,insomma, così tanti valori positivi che po-trebbe essere davvero considerato un sere-no testo didascalico sulla seconda guerramondiale” (Agiscuola).

PER FAR PENSARE

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al cancro, Hazel riesce a stare a galla. Non si aspetta miracoli perché ha capito dinon poterne avere, finché non entra nellasua vita Augustus. Ha perso una gamba perun cancro alle ossa e vive un po’ meglio, or-mai abituato alla protesi, lui è specialetanto quanto lo è lei. Ma sono speciali co-me ogni essere umano, infatti, per tutti “l’a-more è una malattia dalla quale non vuoiguarire”, e quale adolescente non osereb-be dire: «Mi sono innamorata così come cisi addormenta: piano piano, e poi tutto inuna volta?». Augustus, brillante compa-gno di sventure che affascina con la sua se-te di vita, di passioni, di risate, dimostra adHazel che il mondo non si è fermato: insie-me possono ancora affrontarlo.

Vivere, non sopravvivere

L’intesa tra i due è intensa, entrambi letto-ri appassionati, amano giocare con le paro-le, in particolare il ragazzo ama le metafore.Il tumore ha bloccato questi ragazzi e, nono-stante abbiano amici sani, con loro la comu-nicazione è parziale: essi non fanno più par-te di quel mondo in cui il futuro è certezza;Hazel ed Augustus devono lottare ogni gior-no per avere un’occasione che li faccia anda-re avanti, per non farsi abbattere dalle dolo-rose cure alle quali devono sottomettersi. La malattia li lega con un vincolo indissolu-bile e si trasforma in fine ironia, come la si-garetta che pende sul lato della bocca di Au-gustus: “Non ti uccide, se non l’accendi. È unametafora sai: ti metti la cosa che uccide fra identi, ma non le dai il potere di farlo”.

John Green

Colpa delle stelle

Emilia Di Massimo

John Green, autore del libro “Colpa dellestelle”, ha conquistato particolarmente ilcuore dei giovani tanto da far pensare cheegli abbia scritto un romanzo d’amore sa-pientemente costruito con speciali effettiletterari. È certamente una commovente sto-ria di amore, ma è anche un dramma esi-stenziale di grande intelligenza, coraggio eprofondità: è la storia di due adolescenti checombattono il cancro. Hazel Grace Lanca-ster e Augustus Waters, due ragazzi moltodiversi tra loro: lei, 17enne, pessimista e rea-lista in forma disarmante, con la paura diesplodere come una granata lasciando tri-stezza nel suo piccolo mondo; lui, 18enne,con un desiderio profondo di vivere in pie-nezza e di lasciare un segno nel mondo.

“Colpa delle stelle” è come una girandoladi emozioni, è una storia forte, carica di si-gnificati metaforici e ricca di meravigliosecitazioni e dialoghi nei quali il sapore sala-to delle lacrime è intrecciato con il frago-re delle risate. La voce narrante del libro èquella di Hazel, un’adolescente che ha do-vuto lottare sin da bambina contro un ma-le che continuava ad avanzare. A sedici anni ha già ricevuto un miracolo:un farmaco sperimentale ha fatto regredi-re la malattia, anche se dovrà vivere attac-cata ad una bombola di ossigeno e soppor-tare le frequenti crisi respiratorie. Hazel ha anche imparato che i miracoli han-no un prezzo: mentre lei rimbalzava tra cor-se in ospedale e lunghe degenze, il mondocorreva veloce, lasciandola indietro e sola.Rinchiusa nel suo piccolo mondo, arresa

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I protagonisti si fanno amare, non si provacompassione per loro, li si ama spontanea-mente perché hanno una rarissima capacitàdi percepire sia le semplici sia le difficili realtàdell’esistenza. La storia dà significato al tem-po, lo alimenta, lo rende tangibile: ogni bat-tito del cuore è un po’ di tempo che se ne va;ogni minuto che passa è un miracolo che siavvera: «Mi hai dato un per sempre nei mieigiorni contati», dichiara Hazel ad Augustus. Il segreto di ciò non è il frutto tipico dell’ado-lescenza: la malattia ha fatto fare esperienzaai ragazzi del dolore e ha loro insegnato qualè il significato della sofferenza: “Il dolore ne-cessita di essere sentito”, esso non cambia, marivela lo spessore delle persone. Hazel e Au-gustus riescono ad andare oltre non perchécostretti a percorrere strade in salita, ma per-ché sono semplicemente ragazzi aperti all’a-more. Non provano pietà l’uno dell’altra. Non hanno bisogno di parole, perché il do-

lore riduce tutto all’essenziale e indica che,per chi lo vive, si può solo provare a vivere ilminuto successivo. Vivere, non sopravvivere, a tal punto checi si rende conto che anche le cose più tri-sti possono trasformarsi in leggere risate,superando il naturale ripiego al qualeconduce il dolore.

Cos’è il vero amore

“Colpa delle stelle” è una storia che ha la ca-pacità di spiegare in maniera spensierata larealtà clinica legata al cancro. Ci sono “stra-zianti descrizioni di dolore, vergogna, rabbiae fluidi corporei di ogni tipo” – scrive il NewYork Times. “Si tratta di una narrazione sen-za arcobaleni o fenicotteri; non ci sono ma-giche tempeste di neve estive”. Al contrarioHazel deve trascinare una bombola di ossi-geno portatile, da tenere con sé ovunque va-da, e Augustus ha una protesi alla gamba. Questi dettagli sgradevoli non diminuisco-no certo il romanticismo; nelle mani di JohnGreen, lo fanno solo più commovente. Eglimostra cos’è il vero amore – due adolescen-ti che si aiutano e si accettano reciprocamen-te attraverso le prove fisiche ed emotive piùumilianti – ed è molto più romantico di ognitramonto sulla spiaggia. I protagonisti non vo-gliono sguardi pieni di compassione che ven-gono spesso indirizzati ai malati: desideranosolo trascorrere più tempo possibile con leproprie famiglie e i propri amici.

“Colpa delle stelle” è una storia d’amore, dicrescita, di malattia e guarigione, è un roman-zo che offe spunti di riflessioni e momenti dipura gioia e ironia, fatti di dialoghi e battu-te di spirito.“Colpa delle stelle” trova il suo epilogo nel-l’affermazione di Hazel: «Come tutte le verestorie d’amore, la nostra morirà con noi, infondo, la straordinarietà dell’amore non di-pende da una vita perfetta, qualora esistesse!».

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Non hanno bisogno di parole, perché il do-

Green, lo fanno solo più commovente. Eglimostra cos’è il vero amore ti che si aiutano e si accettano reciprocamen-te attraverso le prove fisiche ed emotive più

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Secondo: DJingUn elemento fondamentale nel hip hop è ilDJ che è colui che fornisce il ritmo al rappermediante una base musicale, solitamenteelettronica, dove lui gioca mixando più bra-ni assieme o sottolineando alcuni intermez-zi musicali quando il rapper prende fiato.

Terzo: WritingLa cultura hip hop non è solo musica ma an-che arte e i writer ne fanno parte. I graffitisono un modo per etichettare una crew ouna gang, e vennero utilizzati soprattuttonegli anni Novanta nella metropolitana diNew York, espandendosi più tardi agli altrimuri della città. Le primordiali immagini era-no dei nomi e delle firme realizzate con ver-nice spray, ma presto si svilupparono ingrandi ed elaborate lettere o visi, comple-ti di ombreggiature da sembrare in 3D.

Quarto: B-boyingIl B-boying è uno stile di danza che comu-nemente chiamiamo break-dance ma cheoggi si chiama new style in quanto è lega-ta alla musica house. È uno stile di danza che prevede movimen-ti rapidi e discontinui l’uno dall’altro (perquesto si chiama break) con evoluzioniacrobatiche di piroette e salti.

Quinto: BeatboxingIl Beatboxing è una tecnica vocale chepermette di riprodurre con la bocca lepercussioni tipiche dell’hip hop. È considerata un’arte vera e propria nelcreare melodie e beat.

Il mondo hip-hop

Mariano Diotto

Hip hop è la parola più usata in questo mo-mento nel mondo dei giovani. Verrebbe dapensare, quindi, che sia una parola moder-na o tecnologica, ma invece non lo è. L’hip hop è un movimento culturale com-plesso, dalle mille sfaccettature, che inquesto momento riesce a catalizzare ungrande pubblico attorno a sé. Nasce nel lontano 1973 nel Bronx a NewYork. In assenza di luoghi di aggregazione,la strada divenne il luogo dove i giovaniafroamericani si incontravano per ballare,cantare e disegnare. I mass media accorgen-dosi di questo fenomeno negli anni Ottan-ta e Novanta lo sdoganarono imponendo-lo alla cultura mainstream generando unmassiccio fenomeno commerciale e socia-le, rivoluzionando il mondo della musica,della danza, dell’abbigliamento e del desi-gn. Cinque sono gli elementi che contrad-distinguono la cultura hip hop.

Primo: Master of Cerimonies MC (Master ofCerimonies) è il rapper, cioè colui che intrat-tiene il pubblico con le sue rime rap. Ci pos-sono essere anche più rapper che si scon-trano in una battle dove lo scopo è scredi-tare le rime dell’altro partecipante per rice-vere l’ovazione dei presenti. La musica hip hop nasce dalla mescolanzadella musica americana e quella giamaica-na su una base abbastanza ripetitiva in 4/4dove vengono raccontati i problemi e le si-tuazioni di insoddisfazione e disagio. Il rap-per, infatti, non deve essere un bravissimocantante in quanto il più delle volte il suocanto è un parlato a ritmo.

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Il fenomenoSi può ben capire come mai la cultura hiphop si sia diffusa così rapidamente dall’A-merica in ogni parte del mondo. In ognipaese i giovani si incontrano in strada ecantano, ballano, disegnano, parlando deiloro problemi e del loro futuro. È il mixperfetto tra musica, ballo, modo di vestir-si e arte. Riesce, quindi, ad includere tut-ti i partecipanti di una “compagnia” sen-za escludere nessuno perché persino ilmondo femminile ha una sua parte.È per questo che l’hip hop si è diffuso ra-pidamente e ha preso tagli differenti neidiversi paesi del mondo, sottolineando-ne le peculiarità, sia nella scelta dei temida proporre (contro la povertà, control’ingiustizia, contro i ricchi e le multina-zionali, contro la guerra) sia nelle melo-die musicali proposte.

In questo momento i maggiori esponentisono (nonostante loro ritengano di non do-ver essere categorizzati in un genere benpreciso): Eminem, 50 cent, Jay-Z, LMFAO,Aloe Blacc, Black Eyed Peas, Snoop Dogg,Emis Killa, Guè Pequeno, Nesli, Mondo Mar-cio, Fabri Fibra, Fedez, J-ax.

Il mondo dei giovani

Questa è la musica che parla ai giovani, do-ve accanto ad un ritornello molto orecchia-bile e cantabile si affianca un rap (molte vol-te anche pieno di parolacce e doppi sensi)che racconta il mondo dei giovani con lesue possibilità e le sue incomprensioni. Al mondo degli adulti spetta il compito didecifrare questo linguaggio per capire me-glio i giovani con le loro difficoltà ma anchecon le loro potenzialità.

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zie online: passo in rassegna diversi gior-nali e non trascuro di visitare anche il si-to dell’Istituto. Certo ci vuole un po’ ditempo e, quando arriva l’ora di pranzo, hoappena finito di rispondere alla posta elet-tronica. Nel primo pomeriggio mi ci vuole un ri-posino e ne approfitto per esercitarmi conqualcuno dei giochi che mio nipote mi hascaricato sullo smartphone regalatomi aNatale (casomai mi capitasse di chiacchie-rare con qualche ragazzo dell’oratorio...);il resto della serata – mentre porto avan-ti qualche lavoretto – guardo un po’ di tv,tanto per capire che cosa amano davve-ro le nuove generazioni, a volte sono pro-grammi davvero interessanti e dispiacespegnere quando arriva l’ora delle prati-che di pietà. Meno male che ho un’applicazione sulcellulare che mi permette di pregare i ve-spri senza dover scendere in chiesa... ba-sta un tocco sullo schermo! Detto in confidenza, c’è chi – arrivata a se-ra – non vede l’ora di andare a letto perun ‘meritato’ (così dice) riposo... Ma che dovrei dire io che quando arrivoin camera sento l’obbligo morale di veder-mi almeno un film?Eh, benedetta tecnologia... bisogna dav-vero impegnarsi molto per tenere il suopasso! Ma per i giovani questo ed altro!

Parola di C.

Buon compleanno don Bosco!

Care amiche, ve ne siete accorte che sia-mo nel bel mezzo del bicentenario del-la nascita di Don Bosco? Che cosa state facendo per fare memoriadi questo compleanno che Dio vi conce-de di vivere in prima persona? Lo sentobene il vostro silenzio; vi ho colto di sor-presa, ammettetelo...Ma io voglio solo raccontarvi che cosa hopensato di fare per celebrare degna-mente il nostro Padre. Ho deciso di affi-darmi alle parole del Rettor Maggiore che,nella presentazione della Strenna di que-st’anno, dice chiaro e tondo che perconcretizzare al meglio il carisma salesia-no nella nostra vita dobbiamo sentire nel-le viscere quella passione grazie allaquale don Bosco arrivava ad incontrarsicon ogni giovane.E così mi son detta: «Cara Camilla, incon-trare i giovani alla tua età non è la cosa piùsemplice del mondo, ma la passionepuoi coltivarla cercando di amare quelloche amano loro! E cosa c’è di più amatodai giovani se non la tecnologia?».Detto, fatto! Mi sveglio di buon’ora e su-bito do voce alla radio che mi introducenella giornata con una bella musica chemi aiuta a concentrarmi; poi – siccome so-no un po’ lenta – mi sintonizzo sul mio ca-nale preferito e prego il Rosario. Dopo colazione salgo subito in camera edaccendo il computer per leggere le noti-

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da mihi animas:

il nostro modo di crescere insieme

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UN CLIMA DI SPERANZA FA CREDERE CHE UN FUTURO

È APERTO E CI ATTENDE...M. YVONNE REUNGOAT