Rivista DMA - RECIPROCITÀ E CONDIVISIONE (Maggio – Giugno 2014)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE RECIPROCITÀ E CONDIVISIONE damihi animas 2014 Anno LXI Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane di don Bosco)

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2014Anno LXI Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeComunicazione, culturadell’incontroGiuseppina Teruggi

5DossierParole e gesti di reciprocitàe di condivisione

13Primopiano14Spiritualità missionaria“Guardate come loro... amano”

16Anima e dirittoCoerenza e sconfitta!

18Cultura ecologicaInterdipendenza e reciprocità

20Filo di AriannaLa corresponsabilità

dmaRivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 8100139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Maria Pia Giudici Gabriella Imperatore • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiMaria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi• Bernadette Sangma • Martha Séïde

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27In ricerca 28SGS-CultureEssere testimoni del Dio della vita

30PastoralmenteGiovani fede e Chiesa

32Uno sguardo sul mondoUna strada diversa

35Comunicare36Si fa per direSperimentare

38Donne in contestoDonne di Vangelo

40Video La mafia uccide solo d’estate

42LibroTi racconterò tutte le storieche potrò

44Musica e teatroLa formazionedella personalità

46CamillaOcchio per occhio

n. 5/6 Luglio Agosto 2014Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettoria Austria - Germania

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

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sono intercambiabili perchè “comunicarebene ci aiuta ad essere più vicini e a co-noscerci meglio tra di noi, ad essere piùuniti. I muri che ci dividono possono es-sere superati solamente se siamo pron-ti ad ascoltarci e ad imparare gli uni da-gli altri”, disposti non soltanto a dare, maanche a ricevere. Papa Francesco propone anche l’iconadei discepoli di Emmaus: noi pure siamochiamati a inserirci nel dialogo con gli uo-mini e le donne di oggi, per condivider-ne attese, dubbi, speranze e offrire laBuona Notizia che è Gesù. «La sfida richiede profondità, attenzionealla vita, sensibilità spirituale. Dialogare significa essere convinti chel’altro abbia qualcosa di buono da dire,fare spazio al suo punto di vista, alle sueproposte.

Dialogare non significa rinunciare alleproprie idee e tradizioni, ma alla prete-sa che siano uniche ed assolute».Il Papa auspica infine che «la nostra co-municazione sia olio profumato per il do-lore e vino buono per l’allegria» e che lanostra luminosità «non provenga datrucchi o effetti speciali, ma dal farci pros-simo di chi incontriamo ferito lungo ilcammino, con amore, con tenerezza». Per questo esorta a non avere timore difarci cittadini dell’ambiente digitale.

[email protected]

Comunicazione, cultura dell’incontro Giuseppina Teruggi

Da quando Paolo VI, il 1° maggio 1967, hadiffuso il primo Messaggio su “I mezzi diComunicazione sociale”, si sono celebra-te molte Giornate mondiali CS, fino all’at-tuale della domenica che precede la Pen-tecoste. Dai Messaggi, cogliamo uno spac-cato di conoscenza del pensiero dellaChiesa sulla comunicazione, una baseautorevole per ulteriori analisi. Il tema del 2014 pare un riflesso della vi-ta di papa Francesco, che presenta la co-municazione come servizio di un’autenti-ca cultura dell’incontro.

La tematica ci tocca da vicino in questa fa-se di preparazione al CG XXIII, che fa del-la relazione il cardine nella costruzione diuna casa che evangelizza.«La comunicazione è una conquista piùumana che tecnologica”, osserva il Papa. “Mi piace definire questo potere della co-municazione come ‘prossimità’. Come si manifesta la ‘prossimità’ nell’usodei mezzi di comunicazione e nel nuovoambiente creato dalle tecnologie digitali?Trovo una risposta nella parabola delbuon samaritano, che è anche una para-bola del comunicatore. Chi comunica, si fa prossimo». Il Papa rileva che i media hanno il poteredi farci sentire più prossimi gli uni agli al-tri e di farci cogliere il senso di unità del-la famiglia umana nella solidarietà e nel-l’impegno per una vita più dignitosa. Cultura dell’incontro e comunicazione

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Parole e gesti

di reciprocità e condivisione

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ciprocità tra uomo e donna, tra fratelli, tracolleghi, tra laici e religiosi; si definisce, inol-tre, “reciprocità educativa” la relazione tragenitori e figli, tra educatore e bambini, ra-gazzi e giovani. Nelle relazioni più quotidia-ne ci si trova a volte, a vivere male per man-canza di reciprocità: si è disponibili, gene-rosi, ma senza reciprocità. Si vive uno stato di frustrazione continua,di disistima, pare di dipendere dai capric-ci degli altri, si accumula insicurezza enon si comprende perché gli altri noncondividono, ci si sente defraudati, in-compresi, e la qualità dei rapporti crolla to-gliendo serenità, possibilità di sensazionibelle, di gratificazioni, di positività.Enzo Bianchi, fondatore della comunità diBose, in un suo scritto afferma: «Il vero do-no non vuole la reciprocità». Il discorso sulla reciprocità certamentenon parte da un’idea contabile dei rappor-ti tra le persone (dare e avere), e non pre-suppone una continua verifica di questiconti ideali, ma esige una domanda amonte: come è il nostro rapporto con glialtri? che cosa intendiamo per “amore”?Reciprocità significa per definizione “con-segnare un bene nelle mani di un altro sen-za ricevere in cambio qualcosa”.

C’è una parola di Gesù - non riportata neiVangeli, ma ricordata dall’apostolo Paolo nelsuo discorso a Mileto riferito negli Atti de-gli apostoli - che è molto eloquente: “C’èpiù gioia nel dare che nel ricevere”. L’atto deldonarsi provoca gioia anche se l’altro rima-

Parole e gesti di reciprocitàe di condivisioneGabriella Imperatore

Nella cultura contemporanea, fortementesegnata dall’individualismo, si nota unprofondo bisogno di relazioni interperso-nali, di comunicazione autentica che per-metta di superare l’isolamento e stabilireun confronto costruttivo con gli altri. Tale bisogno si esprime non solo come unessere con l’altro o un essere per l’altro, maanche nella consapevolezza crescente diun essere grazie all’altro. È un atteggiamento che richiede di decen-trarsi, di porsi dalla parte dell’altro in unasituazione di parità reale, e non solo no-minale, che rende possibile un confron-to vero nel quale si chiede non tanto chel’altro cambi, ma che ci si renda disponi-bili al cambiamento. È il principio della re-ciprocità: ciascuno è chiamato a dare e aricevere, a costruirsi nella relazione dellareciproca donazione, nella condivisione enella libera interdipendenza per amore.

Relazione di reciprocità

La vocazione alla reciprocità e, quindi, al-la condivisione parte dal riconoscimentodella originaria e complementare diversità,riconosciuta come ricchezza. È una dellechiavi per vivere meglio, tutti. Tutti i giorni.La mancanza di reciprocità ci fa vivere ma-le. Oggi, si parla con sempre più frequen-za di etica della reciprocità, soprattutto inrelazione alla donna,ma purtroppo questanon sempre viene messa in pratica. Il tema della reciprocità investe la dimen-sione delle relazioni a tutti livelli, ma noncon tutti allo stesso modo: relazione di re-

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ne indifferente o, più ancora, presuntuoso;tuttavia è sempre persona che si percepi-sce come speranza di comunione. Nel donarsi, che va oltre la giustizia, si faspazio l’amore che è ispirato dalla sovrab-bondanza, come dichiara Benedetto XVInell’enciclica “Caritas in Veritate” e portacon sé il «buon debito dell’amore». Il do-narsi (che si può manifestare come cura, co-me presenza, come condivisione…) nonchiede e non è sottoposto alla speranza del-la restituzione, tuttavia lancia una chiama-ta, suscita una responsabilità, ispira e creaun legame. Diventerà reciprocità? Forse conil tempo, ma anche se non divenisse reci-procità esplicita, la persona sa scoprirenel cuore dell’altro e sa ricevere dall’altro,ciò che di bene, di vero e di bello egli cu-stodisce nel profondo del suo essere. Così cresce nell’altro il “debito dell’amo-re” che è costitutivo dell’uomo, perchéogni vita umana ha origine da un debito diamore. Non tutti i giorni si saprà condivi-dere con questa apertura e libertà di cuo-

re, ma è importante che non venga mai me-no la convinzione che la reciprocità si co-struisce a partire da ogni persona, è un me-ta, è un obiettivo, anche a lungo termine.

Don Bosco e Madre Domenica: una relazione di Fondatori nella reciprocità

La relazione di reciprocità ha caratterizza-to fin dagli inizi il rapporto tra Bosco e le pri-me Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese.La relazione tra don Bosco e Madre Mazza-rello è stata originale perché non era orien-tata alla sola direzione spirituale ma, al con-trario, era orientata dalla e alla missioneeducativa. Il rapporto di reciprocità chestrinsero tra loro i Fondatori era impronta-to a gratuità, condivisione e comunione. Negli anni 1862-1869 si avverte, da parte didon Bosco, l’intuizione del valore della per-sona, del significato spirituale e del valoremorale del gruppo, mentre da parte di Ma-ria Domenica si evidenzia la significativa in-tuizione della umanità e della santità di don

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bile, totale, incondizionato. (cf Gv 14; 15-16).È l’attenzione concreta alla persona: «Igiovani sentano di essere amati», racco-mandata da don Bosco. Ognuno sapeva di “essere amato” con“amore di predilezione”, fatto non di par-ticolarità, carezze, privilegi, ma di unsorriso, di accoglienza sincera, di condi-visione, di ascolto, di perdono. E a Mornese com’era la vita? Il clima diMornese è quello testimoniato dalle pri-me sorelle che, insieme a Madre Mazza-rello vivevano lo stile della prossimità,della “familiarità”, della reciprocità-con-divisione, atteggiamenti che esplicitanouna delle principali istanze preventivedell’educazione salesiana. Maria Domenica fu “discepola” di don Bo-sco per l’intelligente docilità con cui intuì,comprese, accolse e portò a compimento l’i-spirazione primigenia del Fondatore, nellaquale era presente, come in germe, l’esse-re intero dell’Istituto e il dinamismo della suaespansione lungo il corso della storia. Dunque, fu “discepola autentica”: in una se-quela libera e totale, come rischio e auda-cia di una presenza e una missione che si so-no prolungate nello spazio e nel tempo.Don Bosco, da parte sua, fu ispiratore, col-laboratore e guida di Maria Domenica e delnascente Istituto attraverso la sua presenzadiscreta, intelligente e prudente; avvalendo-si delle mediazioni, applicando il Sistemapreventivo come criterio di discernimento.In conclusione, lo stile di reciprocità vissu-to dai nostri Fondatori rimane un esempioda imitare, un paradigma relazionale con cuiconfrontarsi e al quale ispirarsi.Dal loro rapporto si può comprendere co-me ogni persona, partendo dalla vocazio-ne che le è propria, è chiamata a integrar-si in armonia con l’altro/a. Ciò è del resto confermato anche dalla no-stra struttura antropologica (la dimensioneuni-duale dell’essere umano), dalla rifles-

Bosco, nonché della sua missione educati-va. Si legge nella Cronistoria: «Don Boscoarriva a Mornese con i suoi giovani nel 1864per aprire un collegio per i ragazzi del pae-se. Maria lo guarda ed esclama: “Don Bo-sco è un santo, e io lo sento”.Don Bosco vi-sita il piccolo laboratorio delle Figlie dell’Im-macolata e ne resta molto colpito».Col passare degli anni (1869-1876) vi è unoscambio di “senso”: di vedute, di proposta-accettazione, di condivisione, di collabora-zione per il sorgere e consolidarsi di unanuova realtà verso la quale convergono idue “poli” della relazione, “corrisponden-do” non solo psicologicamente e spiri-tualmente, ma anche storicamente. Negli anni 1876-1881 si arriva alla manife-stazione più alta ed espressiva della reci-procità. Non solo è convergenza di pen-siero, vedute, mete, ideali, ma di affetto,volontà, dono interiore. Questa conver-genza “crea” l’Istituto nascente. La relazione di reciprocità si sviluppa e siconsolida grazie all’atteggiamento dei dueFondatori. Maria Domenica, infatti, fu perdon Bosco un vero “aiuto” proprio per lasua comprensione e intuizione femminiledall’interno del carisma salesiano, e per ilsuo impegno totale e assoluto nel portarea compimento un disegno provvidenziale.Il suo apporto nella fondazione dell’Istitu-to fu, quindi, sostanziale. Don Bosco, invece, aveva fiducia nella ca-pacità di animazione di Madre Mazzarello,da lui designata alla guida dell’Istituto. Per questo, raccomandava a don Cagliero,direttore spirituale della comunità, di la-sciarla fare nella traduzione al femminiledello spirito salesiano. Riconosceva così l’apporto arricchente diuna modalità diversa tutta femminile nell’a-nimazione e gestione dell’opera educativadel nascente Istituto.«Come il Padre mi ha amato, così anch’io vi hoamati», con lo stesso amore infinito, immuta-

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sione teologica (siamo creati a immagine diDio Trinità, comunione di persone che siamano in reciprocità), dal Sistema Preven-tivo come spiritualità e metodo educativo.Infatti, lo “spirito di famiglia” che devepermeare gli ambienti salesiani, per realiz-zarsi richiede l’integrazione di diverse figu-re di riferimento, soprattutto di educatori/educatrici che, in reciprocità relazionalesappiano ricreare il clima della famiglia na-turale. Il Documento “In preparazione alCGXXIII”, sottolinea: «La comunità educan-te si configura come “luogo di incontro e direciprocità, dove si educa e ci si educa, nel-l’attenzione al quotidiano per cogliere i se-gni della presenza di Dio”. I giovani non arrivano a Dio, all’incontro conGesù, se solo parliamo di Lui, ma se essi pos-sono toccarlo, farne esperienza in una comu-nità che vive e testimonia, se offriamo lorole condizioni perché essi stessi divenganoagenti di trasformazione e di evangelizzazio-ne nel loro ambiente.Anche la compresenza nell’ambiente di piùgenerazioni provoca e arricchisce la vita eil dialogo intergenerazionale ed è espres-

sione di un clima di famiglia dove tutti han-no voce e ciascuno dà un contributo spe-cifico all’armonia comunitaria».

La reciprocità nella Chiesa e l’evangelizzazione oggi!

Per la Chiesa, la scelta dell’opzione prefe-renziale per i poveri non è una possibilitàtra le tante, ma un elemento inderogabi-le della sua forma e un luogo di partico-lare emergenza della reciprocità. Tale scelta ecclesiale trova il suo fonda-mento nella corrispondenza allo stile di vi-ta di Dio, richiamato con brevi ma efficacis-simi tratti da Papa Francesco nel Messaggioper la Quaresima 2014.«Dio non si rivela con i mezzi della poten-za e della ricchezza del mondo, ma conquelli della debolezza e della povertà: “Daricco che era, si è fatto povero per voi”. Cri-sto, il Figlio eterno di Dio, uguale in poten-za e gloria con il Padre, si è fatto povero; èsceso in mezzo a noi, si è fatto vicino adognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, perrendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb4,15). È un grande mistero l’incarnazione di

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vuole formata dal Vangelo. La comunità cri-stiana custodisce la memoria della dedizio-ne incondizionata di Dio che dona vita pie-na a tutti i suoi figli e ha compassione soprat-tutto del più bisognoso, perché il Suo donoattraversa le disparità più radicali. Essa perciò si lascia interpellare e conver-tire, nel suo fare e nel suo dire, dalla rive-lazione dell’Abbà-Dio in Gesù e trova nelsuo dialogo con lo Spirito la creatività ne-cessaria per restituire il dono vivendo la re-ciprocità nella cura e nella prossimità contutti, soprattutto quanti ancora oggi soffro-no degli innumerevoli volti della povertà:di senso, di relazione positiva, di speranza. L’atteggiamento di reciprocità nasce dal-la consapevolezza che ogni uomo è pove-ro, radicalmente bisognoso di misericor-

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Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amo-re divino, un amore che è grazia, genero-sità, desiderio di prossimità, e non esita adonarsi e sacrificarsi per le creature amate.La carità, l’amore è condividere in tutto lasorte dell’amato. L’amore rende simili, creauguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infat-ti, “ha lavorato con mani d’uomo, ha pen-sato con intelligenza d’uomo, ha agito convolontà d’uomo, ha amato con cuore d’uo-mo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fat-to veramente uno di noi, in tutto simile a noifuorché nel peccato”».Queste affermazioni sostengono l’affermar-si dell’opzione preferenziale per i poveri che“resta per tutti” e costituisce un punto di non-ritorno nella coscienza ecclesiale che si

La “Cooperativa Sociale Na-zareth” per promuovere ivalori della coesione sociale,reciprocità e solidarietà, par-te dall’ascolto di un biso-gno concreto: la presenzadi minori non accompagna-ti e la fragilità della loro situa-zione, che può essere unaminaccia o una risorsa per lacomunità. A partire da questo dato,che interpella la città, met-te in atto prima un tentati-vo di comprensione del fe-nomeno e cioè “perchéproprio qui tanti minorinon accompagnati?” e, apartire da quanto emerge egrazie alla presenza di retiamicali o parentali, attiva ri-

sposte corali e inclusive al-le sfide dell’oggi.L’idea è semplice ma insiemepotente: attivare una rete difamiglie affidatarie, in gradodi dare casa, affetto, educa-zione ai minori stranieri nonaccompagnati, attingendotra le famiglie di migrantigià inserite in città, e anchetra i singoli che hanno già vis-suto quel tipo di esperienza. Valorizzando la capacità diaccoglienza, che non è l’as-sistenzialismo, per produrrevalore e legame con l’energiache si sprigiona da due sor-genti fondamentali: la reci-procità e la gratuità.La prima, contrariamente aun senso comune un po’

condiscendente, ha profon-damente a che fare con la di-mensione dell’ospitalità: cheviene da “hostis”, terminelatino che significa tanto‘straniero’ quanto ‘nemico’, alquale si aggiunge il termine“-pa”, che indica il ‘prender-si cura’. È proprio il “prender-si cura” che neutralizza ilpotenziale di minaccia dello‘straniero’ e trasformarlo, dapossibile nemico, in ‘ospite’.Una categoria della recipro-cità, che definisce nel loro le-game sia chi ospita sia chi èospitato, perché proprioquesta apertura accoglienteregala a entrambe le partiuna nuova identità.È l’esperienza del “condomi-

Reciprocità e condivisione in un mondo plurale

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dia, segnato dal desiderio di un compi-mento che lo eccede e che può riceveresolo in offerta; in un modo o in un altrociascuno porta i segni visibili della sua po-vertà, le ferite dei suoi fallimenti che pergrazia possono essere perdonati. Nella logica della reciprocità, non basta fa-re per i poveri; si tratta piuttosto, come sot-tolinea papa Francesco, di vivere in amici-zia con loro. Una comunità cristiana capa-ce di reciprocità, che sia un “ambiente difede comunicativo”, si apre costantemen-te a nuovi membri, a nuove richieste e sfi-de, anzitutto da parte dei poveri.Nell’Esortazione apostolica Evangelii Gau-dium, papa Francesco scrive: «Per la Chie-sa l’opzione per i poveri è una categoria teo-logica prima che culturale, sociologica,

politica o filosofica. Dio concede loro “la suaprima misericordia”. Questa opzione – insegnava Benedetto XVI– “è implicita nella fede cristologica inquel Dio che si è fatto povero per noi, perarricchirci mediante la sua povertà”. Perquesto desidero una Chiesa povera per i po-veri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltrea partecipare del sensus fidei, con le pro-prie sofferenze conoscono il Cristo soffe-rente. È necessario che tutti ci lasciamoevangelizzare da loro. La nuova evangeliz-zazione è un invito a riconoscere la forzasalvifica delle loro esistenze e a porle al cen-tro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, aprestare ad essi la nostra voce nelle lorocause, ma anche ad essere loro amici, ad

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nio solidale”: come dividen-do si moltiplica, secondo lalogica paradossale dell’ec-cedenza, così l’incontro difragilità non è necessaria-mente una somma di criticitàin crescendo, ma un modoper ridurle e contenerle.Mettere insieme nella stessacasa donne sole con figli,minori non accompagnati,ex minori non accompagna-ti, anche per la precarietà ditrovare risorse, con il coor-dinamento di un volontarioprivo di lavoro, si genera uncontesto vivibile e accoglien-te, dove si sperimenta una vi-ta dignitosa nella recipro-cità e condivisione delle pro-prie fragilità.Le famiglie straniere acco-glienti ricevono da questogesto di ospitalità un sguar-do nuovo, di gratitudine da

parte della città e delle istitu-zioni, allo stesso tempo spe-rimentano la propria capacitàdi farsi ‘grembo ospitale’ peraltrettante storie fragili, comeun tempo è stata la loro. L’altra forza potente è quel-la della gratuità. Difficile condividere ciòche non si � ricevuto; cono-scere e fare proprio ciòche non si è sperimentato.È il caso del giovane sene-galese, ex minore non ac-compagnato accolto, chea sua volta accoglie un mi-nore non accompagnato. In un mondo dove tutto �“contrattualizzato”, la gra-tuità ricevuta, che si trasfor-ma in dono, rappresenta unforza dirompente, un ‘di più’rispetto al dovuto che mettein circolo nuova energia,un’eccedenza che mobilita

risorse mettendole in siner-gia. Il circuito della gratitudi-ne non resta, infatti, confina-to al rapporto io-tu, all’obbli-gazione, al contraccambioche il dono rischia così spes-so di produrre, ma è eccen-trico e vitale, proprio perchéla restituzione non procedea ritroso verso chi ci ha aiu-tato, ma in avanti verso chipuò aver bisogno di noi. La restituzione più bella èquella che restituisce ad altri,che mette in circolo risorsefresche e nuove. E, soprattutto, testimonia l’u-mana capacità di condivisio-ne e di attenzione per gli al-tri visti come fratelli; è pro-prio quell’“I care” che, giu-stamente, don Milani avevamesso al centro della propriaazione educativa come anti-doto al “who cares”!

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à... ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la

misteriosa sapienza che Dio vuole comuni-carci attraverso di loro». Quando la comunità cristiana mette alcentro i poveri nella gratuità dell’amore,condividendo fraternità, libertà e cura, si at-tua una reciprocità per cui il bene donatoritorna su di essa, in quel misterioso scam-bio che molte persone hanno potuto spe-rimentare con la sorpresa di “aver ricevutopiù di quanto abbiano donato”.Quando si sperimenta la vera condivisio-ne con i poveri, la reciprocità si realizza inuna forma sorprendente e il legame con

il povero diventa una grazia provvidenzia-le per la singola persona e per la comunità:il bene donato viene misteriosamenterestituito come una “benedizione”, ritor-nando al donatore come forza e vita rice-vuta dal povero. Ciò che spinge il credente è l’amore rice-vuto da Dio, che muove la libertà alla com-passione per ogni uomo, soprattutto quan-do si trova nell’indigenza: “uno è morto pertutti” e tutti, nessuno escluso, sono chiama-ti a diventare creature nuove in Cristo (cfr.2Cor 5,1) in una vita buona e felice, insie-me. La Chiesa annuncia ai poveri la BuonaNotizia con le parole e nelle opere, perchénessuno si pensi escluso dalla dedizione in-condizionata di Dio.Con i poveri – come con i nemici – l’amo-re è facilmente spogliato delle gratificazio-ni che una reciprocità paritaria può offrire,e chiede di attivare soprattutto il registrodella gratuità. Tuttavia, misteriosamente,nella relazione con i poveri la reciprocità siattua in modo inaudito; una grazia di bene-dizione sgorga dal legame con loro. Nell’Angelus del 27 gennaio 2014, PapaFrancesco ha detto: «I poveri sono maestriprivilegiati della nostra conoscenza di Dio;la loro fragilità e la loro semplicità smasche-rano i nostri egoismi, le nostre false sicurez-ze, le nostre pretese di autosufficienza e ciguidano all’esperienza della vicinanza e te-nerezza di Dio, a ricevere nella nostra vitail suo amore , la sua misericordia di Padreche, con discrezione e paziente fiducia, siprende cura di noi, di tutti noi.Le Comunità cristiane siano veramenteluoghi di accoglienza, di reciprocità e dicondivisione! La Chiesa deve uscire dase stessa. Dove? Verso le periferie esi-stenziali, qualsiasi esse siano, ma deveuscire! “Andate in tutto il mondo! Anda-te! Predicate! Date testimonianza delVangelo!”» (Mc 16, 15)[email protected]

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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sa molto povera ma impregnata dell’amo-re di Dio, che traspariva dallo sguardo dol-ce e fermo di suor Angela Vallese sua diret-trice. Era il 14 maggio 1878. «Il giorno suc-cessivo, con quella postulante, segno tan-gibile della feconda benedizione di Dio sul-l’Istituto, la piccola comunità poteva inizia-re con un fervore di primizia la novena al-la Madonna Ausiliatrice. Anche in America il ‘monumento vivo’ sta-va per porre il suo fondamento stabile. Naturalmente, il postulato di Laura fu tut-to alla scuola di madre ValIese e delle suegiovani sorelle: scarse parole e solida testi-monianza. Laura imparò a cercare in tuttosolo il piacere di Dio, ad amarlo nel fervo-re del sacrificio, nell’ansia insaziabile di por-tare al suo Cuore di Padre tante fanciulIe:imparò a fare del lavoro un’incessante pre-ghiera, ad abbandonarsi con fiducia in Ma-ria Ausiliatrice, che delI’Istituto è la Madretenera e l’Educatrice sapiente». E che dire delle quattro bambine orfane,della tribù onas, portate da Mons. Fagnanodopo un viaggio nella Terra del Fuoco e con-segnate alle cure di suor Angela Vallese ecomunità? Le bambine erano rimaste soledopo momenti di terrore e confusione: uo-mini bianchi, spari, sangue, morte, fuga... Tra loro, la piccola Luisa Peña, la cui vita siplaca e si trasforma a contatto con suor An-gela Vallese, l’unica capace di capirla anchesenza dire una sola parola. Basta lo sguardo, la pazienza materna, laprotezione donata, la presenza vigile checalma e infonde coraggio e fiducia.

Guardando alla Prima Spedizione missio-naria FMA (Mornese – 1877), contemplia-mo una comunità in partenza con l’uni-ca motivazione di portare l’amore diDio in una terra lontana, alla Patagonia“terra promessa”, alla gente che ancoranon conosceva Gesù.Questa comunità, guidata dalla giovanesuor Angela Vallese, aveva in comunedue bauli che contenevano tutta la loro ric-chezza; due dipinti di Maria Ausiliatrice(uno “rubato” dalla sagrestia di Valdoccoe benedetto da don Bosco e l’altro – dicia-mo - “preso in prestito” dal Collegio diMornese da don Costamagna); oltre l’an-sia di andare in America ad evangelizzaregli indigeni: «la gioia di evangelizzare»...«L’annunzio non è mai un fatto persona-le». L’annunzio è frutto di una comunitàche vive «radunata nel nome del Signo-re», che prega e lavora insieme, checondivide le gioie, le speranze, le soffe-renze… la quotidianità.È all’interno di una comunità e con la comu-nità che suor Angela Vallese scrisse la sto-ria dell’Istituto delle FMA nel continenteamericano. La comunità di suor AngelaVallese, come la comunità dei primi cristia-ni, compiva segni e prodigi, suscitava stupo-re; condivideva non solo il pane ma anchela povertà, godeva la simpatia degli indige-ni, soprattutto delle bambine e delle don-ne, e ad essa si aggiungevano altre persone.Pensiamo a Laura Rodriguez, la prima fmadell’America. Laura fece il suo ingresso nel-l’Istituto a Villa Colòn (Uruguay), in una ca-

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come loro... amano!Maike Loes

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Salesiani e FMA arrivano nella Patagoniail 20 gennaio 1880. È il quotidiano vissu-to in umiltà e servizio che rivela la gran-dezza di suor Angela Vallese, una donnaconsacrata che ha fatto della comunità«non una dimora stabile, ma una base dilancio», per portare in tutta la Patagoniail “fuoco” dell’Amore di Dio.Don Giuseppe Fagnano, partito per l’A-merica nel 1875 e poi inviato da Don Bo-sco all’estremo sud del mondo, quandoarriva a Patagones, prima di tutto unificale due parrocchie di Carmen e Mercedesde Patagones che si fronteggiano sulledue sponde del Rio Negro e fonda un col-legio per i bambini delle tribù indigene. Le testimonianze dimostrano che la mis-sione mette davvero radici nel territoriocon l’arrivo della comunità di fma anima-ta da suor Angela Vallese. Nel collegio, le suore istruiscono le don-ne e le bambine, le preparano al battesi-mo. Il numero delle alunne aumenta dianno in anno, e obbliga la comunità a tra-sferirsi in una casa più grande. Attesta Lino Del Valle, in un suo Studio,che “senza le suore... nella conversionedella pampa e della Patagonia, le missio-ni salesiane avrebbero seguito la stessasorte di quelle dei precedenti missiona-ri...”. Don Costamagna, in una lettera a don Bo-sco in data 19 agosto 1879, dice fra l’altro:«Non mi sarei mai immaginato che le no-stre suore ci potessero aiutare tanto in

una missione. Non si sarebbe fatto dav-vero tanto bene alle donne e alle ragaz-ze senza l’intervento delle suore. Al loro catechismo accorrevano, oltre lebambine, anche moltissime signore chependevano dal loro labbro come daquello di un predicatore. Mentre noi sacerdoti eravamo chiusi inconfessionale, le quattro suore stavanoistruendo a una certa distanza, e ci man-davano i penitenti così ben preparati, chea molti venivano i lagrimoni doppi».La comunità di suor Angela è una comu-nità che lavora assai, e trova il tempo perla preghiera, per l’allegria e anche peril silenzio. Tutto è vissuto insieme, semplicementeinsieme, senza bisogno di ordini. «È la consuetudine del quotidiano, l’ope-roso rispetto delle regole dell’obbedien-za e della povertà: è questo che si vive esi trasmette alle bambine e ragazze, cheimparano tante cose dai libri e dalle le-zioni, ma soprattutto dalla vita accanto al-le loro “madri bianche”».Da Carmen de Patagones, il 6 ottobre1880, suor Angela Vallese scrive a don Bo-sco una lettera a nome di tutte lasciandotrasparire lo spessore di vita di una comu-nità in missione, il desiderio di annuncia-re il Vangelo e di raggiungere la meta del-la santità. «Prima di chiudere questo fo-glio vorrei pregare la S. V. di un favore, an-zi di due. Ci raccomandi in modo specia-le a Maria Ausiliatrice, nostra dolcissimaMadre, affinché, mentre siamo venute inquesti lontani paesi a far conoscere il no-stro celeste Sposo Gesù, Gli rimaniamofedeli sino alla morte. Noi tutte quattrodesideriamo di farci sante, e speriamo diriuscire, se Lei prega per noi.» Noi tutte... la nostra comunità...!

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Suor Angela Vallese, donna di comunione, di comunità

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prattutto in contesti scomodi, dove vienechiesto conto e ragione fino all’ultima impli-cazione di quelle idee e di quei valori.Sensazionale la battaglia degli slogan con-dotta sulle pagine dei giornali, a colpi di edi-toriali, blog e commenti vari. Altra cosa è l’a-gone della vita.Sparare una strepitosa idea che attira con-sensi di un uditorio, riesce a rendere divichiunque: fa sentire brillanti e competen-ti, straordinari. Ma solo quell’idea che vie-ne difesa davanti alla prova dei fatti è degnadi noi; e la prova dei fatti non si terrà maidietro il rassicurante schermo di un perso-nal computer o all’interno del cenacolo anoi più familiare. Essa ci costringerà adesprimere il nostro punto di vista quandomeno ce lo aspettiamo, quando meno lovorremmo, davanti alle persone meno di-sposte ad accoglierlo. In quel momento sivedrà quanto crediamo in quell’idea, quan-to siamo disposti a difenderla, quanto one-sti sappiamo essere con noi stessi.Per far vivere in modo autentico quei valo-ri che abbiamo sposato non basta dar lorovoce in tempi propizi.È la quotidianità della testimonianza, vive-re nell’essenza di quei valori, che si inveranel rigore. Non cede a interessi personalio familistici, non patteggia con ragionamen-ti di opportunità quando finalmente arrivail momento in cui ci viene richiesto di ap-plicare le nostre convinzioni.La capacità di modellarsi alle idee profes-sate nell’arco di una vita è una qualità cheogni libero cittadino dovrebbe coltivare in-

Coerenza e Sconfitta!Rosaria Elefante

Nel processo di mistificazione delle paro-le, cui siamo inevitabilmente tutti coinvol-ti e spesso anche responsabili, forse, unodei concetti più vulnerabili è quello legatoalla coerenza. Ma cos’è la coerenza?Quante volte capita di sentire tuonare di-chiarazioni assolute letteralmente catapul-tate in sostanza il giorno dopo e con invi-diabile nonchalance ci viene rifilato unaddebito di cattiva interpretazione di quan-to argomentato? Predicare bene e razzola-re diversamente è il “tradimento” a cui cistiamo via via abituando. Ma cos’è la coe-renza? Paradossalmente oggi è diventatoquasi difficile delinearne il significato. Il rispetto di una condotta nel modo di pen-sare, vedere, agire e interpretare le cose,non è facile soprattutto se non si hanno deicriteri di riferimento, ovvero dei valori. Essere coerenti significa essere in linea sem-pre con dei principi morali o ideologici chenella nostra testa in realtà esistono, ma la-sciamo che vivano sereni e tranquilli. Di conseguenza la coerenza è quel rispet-to per quei valori-principi-ideali che ognu-no di noi ha, senza quindi rinnegarli o tra-dirli, o semplicemente lasciarli bivaccarenel nostro intimo.Il problema (sempre che lo sia) nascequando la coerenza diventa incoerenza, do-ve quest’ultima è chiaramente il venir me-no di tutti gli enunciati sopra esposti.Proprio allora, dunque, la coerenza diven-ta coraggio. Il coraggio di portare avanti leproprie idee, di rispettare quei valori che untempo abbiamo scelto rispetto ad altri. So-

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nanzitutto nel proprio “giardino”, prima an-cora di pretendere poi quella stessa rigoro-sa attitudine ai soggetti che agiscono nellasfera pubblica e che ognuno di noi scegliedi investire della propria rappresentanza.La coerenza e il rispetto di valori liberamen-te scelti, non sono una qualità innata, chesi esaurisce in un soddisfatto tratto caratte-riale. Tutt’altro. La coerenza è un esercizioquotidiano, ostinato, caparbio, capace dimettere “in crisi”. Sottrarsi a questo signi-fica abdicare a determinare la propria vita,per conformarsi ai valori e alle idee altrui,in altre parole “lasciarsi vivere”.La coerenza richiede un rigore etico, chenon è fanatismo.Anche per chi è sempre pronto al compro-messo, incline a smussare gli angoli altrui,

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pronto a ritornare e far tornare sui propripassi, dovrebbe almeno una volta nella vi-ta provare a difendere un valore in cui cre-de fortemente fino alle sue estreme conse-guenze, costi quel che costi! Finanche la sconfitta renderà loro grandeonore. La storia ci ha insegnato che perde-re con onore può essere più gratificante chevincere vigliaccamente.E allora, in un epoca di valori in bilico e mi-nati alla radice, l’esortazione e al contem-po la provocazione che mi sento in coscien-za di fare è che tutti, almeno una volta nel-la vita, abbiano il coraggio di essere coeren-ti fino alla sconfitta e senza paura. Al mo-mento della resa finale si assaporerà la ve-ra essenza della libertà.

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stro ambiente naturale è possibile soloquando siamo in grado di favorire un’auten-tica ecologia umana, cioè quando pro-muoviamo rapporti umani e interazioniche rispettino la dignità delle persone, il be-ne comune e la natura stessa.

Rispettare la grammatica della creazione

Nella Caritas in Veritate si legge: «quandoci prendiamo cura del creato, siamo ingrado di riconoscere che Dio, tramite ilcreato, si prende cura di noi». Da questa lo-gica di reciprocità, siamo invitati a non ave-re paura di identificare la “grammatica del-la creazione”. Questo implica la conoscen-za dell’ordine interno della creazione e il ri-spetto dell’equilibrio degli ecosistemi rico-noscendo la mano creatrice di Dio. Anzi, nella collaborazione e nel dialogo, lapersona è chiamata a capire sempre meglioil suo ruolo di custode e amministratore re-sponsabile del creato. L’ambiente naturale non è una materia di cuidisporre a piacere ma «opera mirabile delCreatore, recante in sé una grammatica cheindica finalità e criteri per un utilizzo sapien-te, non strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengo-no proprio da queste concezioni distorte»(n. 48), come quelle che riducono la natu-ra a un semplice dato di fatto o la conside-rano più importante della persona umana.

Imparare i principi dell’ecologia

Per coltivare un’autentica ecologia umana ènecessario conoscere e rispettare i principiecologici di base. Il fisico ecologo Fritjof Ca-

Interdipendenza e reciprocità Martha Séïde

«Il degrado della natura è strettamenteconnesso alla cultura che modella la convi-venzaumana, per cui quando “l’ecologiaumana” è rispettata dentro la società, anchel’ecologia ambientale ne trae beneficio».(Benedetto XVI)Quest’affermazione dell’enciclica Caritas inVeritate basterebbe per giustificare il nostrotitolo in quanto l’ecologia umana e l’ecolo-gia ambientale sono strettamente connes-se da un rapporto di interdipendenza e direciprocità. Infatti, sta diventando semprepiù evidente che i problemi cruciali del no-stro tempo, scarsità dell’acqua, inquinamen-to dell’ambiente, deforestazione, cambia-mento climatico, sicurezza alimentare e fi-nanziaria, non possono essere intesi sepa-ratamente, in quanto sono problemi siste-mici, vale a dire interconnessi e interdipen-denti (cf C. Dottrina sociale, C. 8). Si trattadi comprendere, nel suo senso più profon-do, in cosa consiste l’ecologia umana.

Per un’autentica ecologia umana

Nel descrivere l’ecologia umana, il gesui-ta G. Cely Galindo propone tre elementicomplementari: la riconciliazione dell’uo-mo con se stesso (ecologia della mente), laconvivenza armonica con gli altri esseriumani (ecologia sociale) e l’equilibrio soste-nibile con la natura (ecologia ambientale).Tale definizione ci lascia percepire che l’e-cologia umana è un termine conglobantee olistico. Infatti se l’ecologia implica un si-stema di relazioni e di interazioni, il man-tenimento di un adeguato equilibrio del no-

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pra, premio Nobel dell’ecologia umana del2013, propone l’insegnamento dei principidell’ecologia come il compito più importan-te dell’educazione nel XXI° secolo. Egli ne descrive cinque:interdipendenza: tutti i membri sono inter-connessi in un’immensa intricata rete di re-lazioni; traggono le loro proprietà essenzia-li e la loro stessa esistenza dalle relazionicon gli altri membri.ciclicità: essendo sistemi aperti, tutti gli or-ganismi di un ecosistema producono rifiu-ti, ma il materiale di scarto per una specie,è cibo per un’altra, cosicché i rifiuti vengo-no completamente riciclati e l’ecosistemanel suo complesso rimane privo di residui.cooperazione: gli scambi ciclici di energiae di risorse in un ecosistema sono sostenu-ti da una cooperazione diffusa. La tendenza ad associarsi, a stabilire lega-mi, a vivere l’uno dentro l’altro è una carat-teristica dei sistemi viventi.flessibilità: tendenza a riportare il sistemain equilibrio ogni volta ci sia una deviazio-ne dalla norma, dovuta al cambiamento del-

le condizioni ambientali entro i limiti di tol-leranza propri di ciascun ecosistema.diversità: una comunità ecologica eteroge-nea è una comunità elastica, capace di re-sistere e adattarsi alle perturbazioni, poichécontiene molte specie le cui funzioni eco-logiche si sovrappongono e si integrano.Secondo l’autore, l’impostazione delle no-stre società e della nostra economia tradi-sce questa saggezza della natura e crea losquilibrio degli ecosistemi. Per rimediare, propone l’apprendimento diquesti principi come l’essenziale dell’alfa-betizzazione ecologica e via per una societàsostenibile.

Adottare nuovi stili di vita

Il magistero ecclesiale da Paolo VI in poi hadato un posto di rilievo al tema ecologicoe sottolinea l’urgenza di una nuova menta-lità che induca tutti ad adottare nuovi stilidi vita,« nei quali la ricerca del vero, del bel-lo e del buono e, la comunione con gli al-tri uomini per una crescita comune siano glielementi che determinano le scelte dei con-sumi, dei risparmi e degli investimenti». Tali stili di vita devono essere ispirati alla so-brietà, alla condivisione e all’autolimitazio-ne aspirando a una vita più sostenibile, va-le a dire uno stile che non cerca tanto il con-sumo di beni, quanto il mantenere buonirapporti con l’ambiente nel suo insieme. È proprio in questo contesto, che Papa Fran-cesco continuando la linea del suo prede-cessore affronta il tema dell’ecologia am-bientale collegandolo, a quello dell’ecolo-gia umana mettendo in guardia contro la“cultura dello scarto”ed esortando a colti-vare la solidarietà inter e intra generaziona-le. Si tratta di un particolare impegno adeducare ed educarci alla responsabilitàecologica per assicurare un futuro sosteni-bile alle nuove generazioni

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Educarci ed educare alla responsabilità ecologica

Riflettere sulle implicanze dei princi-pi ecologici nella vita concreta.Qual è il contributo della comunitàeducante a uno stile di vita sostenibi-le? Che cosa dovremmo cambiarenella nostra vita perché le cose miglio-rino davvero?

LUCECONTRO

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di, è nostro dovere conoscere fino in fondole realtà dei ragazzi di oggi anche se ciò signi-fica andare oltre ciò che per noi é noto e ras-sicurante. Se noi adulti non ci impegniamo acomprendere i giovani, questi ultimi avverti-ranno sempre la sensazione di essere un sa-tellite incompreso che avanza in solitudine.

Tale progetto educativo può essere realiz-zato solo da persone profondamente mo-tivate che si riconoscono nell’adesionepersonale e comunitaria a quei principichiave che permangono alla base della re-lazione inter-personale tra educatore ededucando, quali il rispetto per l’altro, l’ascol-to attivo, il sostegno non invadente, l’assen-za di giudizio, l’accoglienza della diversità.Ma la messa in opera di un progetto edu-cativo slegato da una sinergia operativa congli altri componenti laici perde di efficacia.É necessario pensare in un ottica di globa-lità e diversità in cui ognuno, rispetto allapersonale esperienza di vita, possa diven-tare per i giovani testimonianza. Così comeha detto Benedetto XVI la Chiesa cresce pertestimonianza e non per proselitismo.

La possibilità per le nuove generazioni di os-servare la vita da una pluralità di punti di vi-sta, grazie al contributo formativo dei con-sacrati insieme ai laici, garantirebbe la pos-sibilità di cogliere le diverse sfumaturedelle scelte esistenziali.I laici da una parte, vivendo un intreccio di re-lazioni familiari e sociali spesso vicine aquelle dei ragazzi, possono favorire l’apertu-ra psicologica dei più giovani nelle fasi di tran-

La corresponsabilità Giusy Fortuna

L’evoluzione repentina e talora contraddit-toria dell’odierno contesto socio-culturale, suscita sfide educative che inter-pellano, con la medesima forza ed intensità,sia la comunità cattolica che quella laica, al-l’interno della quale si distribuiscono nume-rose agenzie educative, prima fra tutte la fa-miglia, e numerosi centri di aggregazionee socializzazione che, quotidianamente, sipongono la sfida di trasmettere alle nuovegenerazioni valori e regole.Di fronte ai nostri occhi si stagliano realtà edorizzonti mai visti prima che spingono gli edu-catori non solo a porsi nuovi obiettivi educa-tivi, ma anche a strutturare altri e diversi in-terrogativi. Noi educatori, infatti, siamo cre-sciuti in un mondo fatto di regole, di solida-rietà, di famiglie spesso (anche solo apparen-temente) unite, di una società perbene e/operbenista, mentre oggi le nuove generazio-ni vivono una quotidianità fatta di individua-lismo, di relativismo morale, di famiglie spes-so non coese, di una società che sembra as-sumere sempre la veste del grande fratello,che controlla, scruta e rende pubblica quel-la fetta di vita privata all’interno di conteni-tori digitali quali Facebook e Twitter.

Il mondo dei ragazzi di oggi è caratterizza-to da una disomogeneità, disarmonia, insta-bilità affettivo-emotiva che influenza le lo-ro scelte e può trascinarli verso esperien-ze pregiudizievoli per la salute psico-fisica,in quanto a-valoriali ed a-morali.In questo frame culturale, noi adulti siamochiamati ad essere giuda ed esempio e, quin-

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sizione o difficoltà ed, inoltre, cooperandocon le comunità delle Figlie di Maria Ausilia-trice potrebbero potenziare i rapporti tra lacomunità educante e le istituzioni culturali,civili e politiche presenti sul territorio.L’assunzione responsabile da parte di ognistruttura educativa, religiosa o laica, diobiettivi educativi specifici da raggiungereattraverso metodi condivisi all’interno diuna diversità di vocazioni, è il primo verogrande perno sul quale fondare la “rivolu-zione educativa” del nostro tempo. L’apertura consapevole alla corresponsabi-lità educativa da parte delle comunità FMAverso il mondo laico, diventerebbe testimo-nianza di comunione fraterna e esempio diaccoglienza e collaborazione nell’otticaeducativa verso i giovani.

Siamo in un mondo che è sempre più am-pio e diversificato, in quest’ottica le co-munità delle Figlie di Maria Ausiliatricenon possono rimanere uguali a se stes-se, chiudendosi all’interno delle proprierealtà, devono bensì fare un movimentodi apertura verso ciò che è diverso da sé,nell’ottica del confronto costruttivo edell’arricchimento reciproco.

Educazione è reciprocità

La pluralità di idee e metodiche, l’intervento si-nergico di educatori provenienti da contesticulturali e religiosi differenti richiede, però, unimpegno di discernimento e di accompagna-mento accresciuto. Ma è proprio nella possi-bilità di essere “ in comunione” con la diver-sità delle multiple comunità educanti, cheaumenta in maniera esponenziale la forzapotenziale dell’intervento su e per i giovani. Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apo-stolica post-sinodale Vita Consecrata al n.54 scrive: «Uno dei frutti della dottrinadella Chiesa come comunione, in questi an-ni è stata la presa di coscienza che le sue va-rie componenti possono e devono unire leloro forze, in atteggiamento di collaborazio-ne e di scambio di doni, per partecipare piùefficacemente alla missione ecclesiale. Ciòcontribuisce a dare un’immagine più arti-colata e completa della Chiesa stessa, oltreche a rendere più efficace la risposta allegrandi sfide del nostro tempo, grazie all’ap-porto corale dei diversi doni». Si tratta di concatenazioni di relazioni attra-verso cui l’educatore interviene con i ragaz-zi nell’ottica della cooperazione e reci-procità. Non si può pensare infatti, di edu-

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zato da Don Bosco a metà dell’800. Egli, in-fatti, accoglieva i giovani di qualunquecondizione sociale, facendoli sentire com-presi e rispettati. Ma non affrontava questasfida educativa in solitudine, bensì cercaval’apporto differenziato di più persone, an-che di chi era più distante dalla Chiesa.Questo perché tutti coloro che vivono re-sponsabilmente sono chiamati all’educazio-ne delle nuove generazioni, un’educazio-ne fatta di relazioni, una “cosa di cuore”.

La Leadership nel Coordinamento per la Comunione

La rivoluzione educativa del nostro tempodeve senz’altro nascere all’interno del cuo-re di ogni singolo educatore, laico e consa-crato, ma per avere un impatto sociale signi-ficativo è necessario che la leadership del-le comunità delle Figlie di Maria Ausiliatri-ce si apra ad alcuni cambiamenti.Lo stesso Papa Francesco, osservando conuna lente di ingrandimento la Vita Consa-crata, sottolinea come essa sia caratterizza-ta da una certa autoreferenzialità e clerica-lismo. Con questo si vuole intendere che,oggi, numerose comunità educanti, attra-verso una chiusura ideologica e pragmati-ca, non avvicinano, ma allontanano le per-sone. Per favorire, invece, un movimentodi cooperazione all’insegna della corre-sponsabilità tra laici e consacrati è neces-sario che le comunità attivino dei proces-si di ascolto e apertura al “nuovo”.Senza ascolto è difficile coltivare relazio-ni significative ed entrare in sintonia conle persone e con il mondo. Per cui sichiede di acquisire una maggiore flessibi-lità ed apertura nei confronti delle idee edelle proposte che arrivano dal mondo lai-co, evitando la chiusura in rigidi schemimentali che spesso determinano un allon-tanamento anche dal contesto sociale.

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care attraverso un braccio di ferro ideo-logico in cui l’adulto, detentore di un’ipo-tetica saggezza, impartisce doveri dall’al-to senza dare spiegazioni comprensibiliai mille perché del giovane.«Chi lavora con i giovani non può fermar-si a dire cose troppo ordinate e struttura-te come un trattato, perché queste cose sci-volano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di unnuovo linguaggio, di un nuovo modo di di-re le cose» dichiara Papa Francesco nel col-loquio con i Superiori Generali del Gennaioscorso. Ciò esige dagli educatori la dispo-nibilità ad un impegno di formazione ed au-toformazione permanente, in rapporto aduna scelta di valori culturali e di vita, da ren-dere presenti nella comunità educativa.

Gli educatori di oggi devono intraprende-re un profondo lavoro su se stessi che li por-ti ad essere consapevoli che l’Altro, l’edu-cando, è un soggetto di esperienza che vi-ve sentimenti ed emozioni, compie atti vo-litivi e cognitivi, proprio come l’educatore.Capire, dunque, a partire da sé, quello chepensa, sente e vuole il giovane, è elemen-to indispensabile per raggiungere obietti-vi educativi tangibili. La comprensione del-l’altro, anche nelle vesti della sofferenza,permette di accogliere profondamente laconcezione che quella umana è una condi-zione di pluralità, in cui non esiste l’uomoadulto che insegna e il ragazzo che impara,bensì vi è un cammino di reciprocità in cuieducatore ed educando evolvono insieme,in cui l’adulto non chiede che il ragazzo dasolo cambi, ma sia disponibile in primapersona a sperimentare il cambiamento.L’educazione è, dunque, un processonel quale l’adulto si pone, senza rinuncia-re al proprio ruolo educativo, in unasimmetria accogliente dove ci si reputapari in dignità, in cui non si è con l’altroo per l’altro, ma grazie all’altro.Questo canale educativo è stato già utiliz-

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DIO È PADRE.MA LA TENEREZZACHE HA PER NOILO FA DIVENTAREMADRE.

CLEMENTE ALESSANDRINO

© Dipinti di Emanuela Colbertaldo

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canto alla vita

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Letturaevangelicadei fatti

contemporanei

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Questa convinzione ci permette di ricono-scere che don Bosco ci ha affidato un pro-getto di spiritualità. Egli è maestro di spiri-tualità giovanile perché ha saputo renderevivo il Vangelo per i giovani, accogliendo-li nelle loro attese e nella loro voglia di vi-vere (Juvenum patris 5).Ad immagine dell’amore di Dio e della mi-sericordia di Gesù che respinge le catego-rie esclusive: “i buoni”, “i cattivi”, l’amore diDon Bosco non escludeva nessuno.A Valdocco, ciascuno dei suoi ragazzi si sa-peva conosciuto e amato. Molti si sentiva-no “preferiti”. Egli guardava e trattava ognigiovane come un essere unico, redento daCristo, con una sua vocazione particolareche bisognava aiutare a scoprire.

Una spiritualità educativa

Don Bosco credeva fortemente che, anchesul semplice piano umano, ognuno ha del-le risorse nascoste, delle forze vive, soprat-tutto in quel periodo di flessibilità che è lagiovinezza. Gli stava a cuore l’esperienza diun modo di vivere la vita cristiana che fos-se capace di unificare tutta l’esistenza. Basta ricordare un’affermazione di SanPaolo che citava spesso: “Sia che mangiate,sia che beviate, sia che facciate qualsiasi al-tra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor10,31).La spiritualità salesiana è una spiritualitàeducativa che crede profondamente nellapersona umana, anche se ferita. È una spiritualità che si impegna e lotta per-ché si allarghino i confini della vita contro

Essere testimoni del Dio della vita Mara Borsi

La Spiritualità salesiana conduce a incontrare il Dio vivente. L’incontro personale si traduce in azioni ritmate dal criteriodell’amore, quello che fa vivere e rende capaci di affrontare ogni disagioe ogni sofferenza. La testimonianza del Dio vivente ha bisogno di stile: umiltà, mitezza,cordialità, fiducia.

Tutta la Bibbia è attraversata da un sensoprofondo della vita in tutte le sue forme. L’Israelita percepisce Dio come una forzaattiva. Dio non è mai un problema da risol-vere, né una risposta alle nostre domande. Al contrario, è colui che interroga e dal qua-le parte ogni iniziativa. Nei Vangeli il Dio che attraversa e trasfor-ma la vita di chi lo incontra ha il volto di Ge-sù: un Dio umanissimo, il «Dio con noi». Gesù ci ha rivelato che Dio è al centro del-la nostra vita. Il suo Spirito è all’opera e pla-sma di sé le persone, i gesti, le situazioni. Diventa uomo e donna “spirituale” colui ecolei che sa decidersi per fare di questa pre-senza, misteriosa e coinvolgente, il sensodella propria vita, il motivo di riferimentodi ogni scelta, il fondamento della speran-za. La pienezza di vita coincide con il do-no: il Padre dona il suo amatissimo Figlioe il Figlio si dona, per amore, ai suoi fratel-li e sorelle. Qui si radica la caratteristica del-l’amore educativo salesiano: amore univer-sale e personale.

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Semplicemente vivere

Ho vissuto in diverse comunità e ho po-tuto sperimentare la serenità di una vi-ta quotidiana centrata sulla forza della Pa-rola di Dio, dell’Eucarestia e intessuta diattenzione, di dialogo sincero tra noiFMA e di perdono reciproco. Comunitàsemplici, sorelle più grandi di me che mihanno dato una concreta testimonianzadi fede e di dono gratuito. Ho visto so-relle mettere a disposizione della comu-nità, della missione, dei giovani più po-veri le loro doti, soprattutto il loro amo-re e la loro dedizione. Questa testimo-nianza è stata ed è per me una forte mo-tivazione a essere più aperta,più atten-ta a rispondere alle chiamate quotidia-ne del Signore, a cercare nelle piccole

cose la sua volontà e ad agire di conseguen-za. La relazione fraterna e familiare mi ha fat-to crescere come persona, sentire la fidu-cia di chi mi viveva accanto, la condivisio-ne di gioie, aspirazioni, preoccupazioni, lapartecipazione responsabile al progettodella comunità.Nonostante il lavoro intenso che la missio-ne richiedeva, nonostante la differenza dietà, formazione, cultura e mentalità, ri-pensando alla mia esperienza vedo conchiarezza che ho vissuto in comunità dovesi sono armonizzate attività e preghiera, la-voro e condivisione fraterna, passione apo-stolica e interiorità educativa. Ho imparatomolto anche dalla relazione con le giovani.Sono stata assistente delle ragazze orfanein un internato e insegnante in una scuo-la. Nell’internato ho capito quanta forza spi-rituale richieda l’assistenza. Vivere a tempopieno con le ragazze mi ha fatto percepirela bellezza della missione educativa, nono-stante le inevitabili fatiche. Si è rafforzata lamia identità di donna, educatrice e madre. Ripenso con gioia ai tanti momenti diascolto, dialogo personale, alla ricerca delcome fare per rispondere alle esigenze del-le differenti età e situazioni, ai momenti for-mativi vissuti con le ragazze, alle piccoleesperienze proposte per far loro speri-mentare i valori evangelici: lealtà, purezza,servizio. Ho imparato insieme alle ragazzea considerare le difficoltà come opportu-nità, come stimoli per andare avanti evitan-do il giudizio e il pessimismo. Ho compre-so con chiarezza che sono chiamata a esse-re testimone, in mezzo alle ragazze, del Diodella vita che ci ama con amore eterno.

Verdiana Samissone Armando, Mozambico

quelli della morte. Vita è costruzione di unacomunità fraterna, comunione filiale conDio, giustizia ed equità per tutti. Morte è ilsuo contrario. Generare vita è restituire

ogni persona alla consapevolezza della pro-pria dignità, contro ogni forma di alienazione.

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re la passione e mettersi in cammino con pa-zienza insieme ai giovani. Educare è un attod’amore, un grande cantiere aperto e unadelle sfide più importanti della Chiesa”. Offrire una proposta educativa-cristiana a tut-ti, nel pieno rispetto della libertà di ciascu-no, che così si potrebbe sintetizzare: GesùCristo come senso della vita. L’offerta di tale proposta esige educatori com-petenti, qualificati, soprattutto perché, comeafferma ancora Papa Francesco, «L’educazio-ne è rivolta ad una generazione che cambia,e quindi ogni educatore – e tutta la Chiesache è madre educatrice – è chiamato a cam-biare, nel senso di saper comunicare con igiovani che ha di fronte». L’educatore deveavere un’alta professionalità, ma la qualitàdella sua preparazione non sarebbe né com-pleta né efficace se non fosse ricca di uma-nità, capace di stare con i giovani con stile pe-dagogico, condividendone l’esistenza, perpromuovere la loro crescita umana e spiritua-le. La ricchezza di umanità nasce da una vi-ta personale di preghiera, costante e quoti-diana, senza la quale non può esserci annun-cio e testimonianza. Oggi i giovani sono par-ticolarmente sensibili agli educatori che so-no profondamente umani, capaci di essereloro accanto gratuitamente, coniugandoamorevolezza e fermezza.

Una Chiesa “in & out”

Essere giovani nel tempo che stiamo viven-do è sempre più difficile, tanto quanto diven-tare adulti; ma se vogliamo davvero assume-re un nuovo sguardo, occorre ancora ricor-

Giovani, fede e ChiesaEmilia Di Massimo, Palma Lionetti

Giovani di poca fede! Perché sempre più ra-gazzi da una parte, nel loro profilo face book,si assegnano un orientamento ateo o agnosti-co, mentre, dall’altra, sono in continua cresci-ta i siti web dove “lasciare” una preghiera, “ac-cendere” una candela, “trascorrere” un mo-mento di pace? I giovani non sono diventatisordi alle ragioni del cuore, il loro orizzontespirituale non è chiuso al trascendente e nonsono increduli e indifferenti, soprattutto neiconfronti del mondo religioso e, più specifi-catamente, della Chiesa. Cercare di com-prendere l’atteggiamento con il quale i giova-ni si pongono nei confronti dell’istituzione ec-clesiale, significa capire, attraverso i loro occhi,come stia mutando il sentimento religioso.

Chi sono e cosa desiderano i giovani?

La sfida che oggi lanciano alla Chiesa è radi-cale, perché chiede una ridefinizione profon-da dell’idea, spesso troppo radicata, che l’i-stituzione venga prima della persona, la ri-sposta prima della domanda, la legge primadella coscienza, l’obbedienza prima della li-bertà. Agli educatori è richiesto, come PapaFrancesco sollecita più volte, di non voleretanto che i giovani tornino nella Chiesa, mache da parte della Chiesa si vada verso i gio-vani, dando loro la parola e lasciando spazioal loro protagonismo, in modo che non sia-no una generazione priva di prerogative. Inun contesto storico e culturale che cambiarapidamente, ha detto Papa Francesco nell’u-dienza alla Congregazione per l’EducazioneCattolica, bisogna cogliere la sfida educati-va e “impegnare le migliori risorse, risveglia-

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dare che la pastorale necessita di una conver-sione che ben si riflette in quanto Papa Fran-cesco afferma nell’ Esortazione apostolicaEvangelii gaudium: «La Chiesa “in uscita” è lacomunità di discepoli missionari che prendo-no l’iniziativa, che si coinvolgono, che accom-pagnano, che fruttificano e festeggiano… An-dare incontro, cercare i lontani e arrivare agliincroci delle strade per invitare gli esclusi. Vi-vere un desiderio inesauribile di offrire mi-sericordia, frutto dell’aver sperimentato l’in-finita misericordia del Padre e la sua forza dif-fusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’i-niziativa!» (Evangelii gaudium, 24). Una Chie-sa che si coinvolge, che si china sull’esisten-za altrui, qualunque essa sia, abbattendoogni divisione, dirà ad un giovane quale signi-ficato può avere l’incontro con Gesù Cristonella sua vita. Non ci sembra che ci siano al-tre vie perché i giovani possano avere anco-ra antenne per Dio e su di esse sintonizzar-si. Sappiamo che la fede cristiana ha subitonel corso della storia un processo di opaciz-zazione della sua capacità di umanizzare, nonconvince più molto sulla possibilità di far di-ventare l’uomo più uomo; si registra l’incapa-cità di afferrare il senso ultimo della fede, apartire, dall’ autentica garanzia di quella ricer-ca della felicità che abita nel cuore di ciascu-no. Molti, oggi, ritengono che la felicità vadaricercata altrove rispetto alla religione cristia-na; lo attesta il loro vivere quotidiano, le lo-

ro decisioni esistenziali, le ragioni che si dan-no per andare avanti. E se il cristianesimo nonporta alla felicità, a chi e a che cosa mai po-trà servire? Gli uomini e le donne del nostrotempo non sono più attratti dal vangelo di Ge-sù, nonostante quest’ultimo sia loro presen-tato in mille modi, in mille toni, in mille co-lori. Torneranno ad avvertire il fascino delMaestro di Nazareth, del suo invito per unavita bella e degna di essere detta umana, sol-tanto se incontreranno educatori felici, cre-dibili perché capaci di donare essenzial-mente amore e compassione.

Quale valore ritieni in assoluto il più importante?”

L’amore figura come la punta emergente nel-la graduatoria dei valori espressa da un cam-pione di 1000 giovani europei. Alla domanda:“Quale valore ritieni in assoluto il più impor-tante?”, il 99% dei mille ragazzi intervistati harisposto: “L’amore. L’amore è quel valore che,unico, mi ripaga della fatica del vivere”. Ago-stino, un ragazzo di Arese morto tragicamen-te a 16 anni, scriveva sotto forma di preghie-ra: “Dicono anche che l’amore è una prova del-la tua (di Dio) esistenza. Forse è per questo cheio non ti ho incontrato: non sono mai statoamato in modo da sentire la tua presenza…”Quando un educatore riesce a far vivere l’e-sperienza dell’amore, allora anche la fede e laChiesa possono cominciare ad assumere unavalenza positiva nella vita di un giovane. E, come ha scritto tempo fa il santo padre, que-sto avviene quando si supera «la tentazione diprivilegiare i valori della mente rispetto aquelli del cuore”. Chissà se proprio noi, cheabbiamo nel nostro DNA educativo incisa lafrase: “l’educazione è cosa di cuore”, riuscis-simo a dare questo bel contributo nella pras-si educativa ordinaria e nell’educazione allafede che “soltanto il cuore unisce e integra.

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trigna fino a quando ho terminato la scuo-la media superiore. Mio padre mi diceva diavere pazienza con lei. Ma era difficile, leiogni volta che mi vedeva mi sgridava, mi di-ceva delle cose che mi facevano capire dinon piacerle affatto e per questo sono an-data via di casa a 18 anni.Sono riuscita a scappare ma non avevo nésoldi né un posto dove andare. Allora ho ini-ziato ad usare le chat. Era un mezzo per fa-re soldi. Non sapevo dove trovare un lavo-ro. Né un posto dove essere accolta. Cosìho incontrato un uomo conosciuto in chat.Ho passato tre giorni con lui tra il motel e

Una strada diversaAnna Rita Cristaino

I ricordi del viaggio in Corea sono tanti.Seoul è difficile da raccontare. È una metro-poli moderna, una città del presente, ma ri-volta al futuro. Sono tantissimi i giovani chesi riversano per le strade, l’economia è incontinua crescita, le linee di trasporto so-no tra le più efficienti dell’Asia. Una città di-namica, a vocazione multiculturale.Una città veloce, che non vuole perderetempo, in cui tutto scorre, quasi come il suofiume, che la percorre come un’arteria.L’immagine tradizionale della Corea ri-manda alla cerimonia del tè, al silenzio e alritmo lento del versare l’acqua e servire gliospiti. Si pensa a una terra di sorrisi, fruttodi quella spiritualità orientale che invita aguardare sempre oltre l’evidenza.Ma in quelle strade adesso sembra tutto tri-tato in un vortice di luci, suoni, odori.Dov’è il cuore della città? Dove si puòsentire il suo battito? Forse è una città con più anime, forse si ècostruita e trasformata troppo velocemen-te. Sicuramente è una città ottimista. Delle tante testimonianza ascoltate, una inparticolare ci ha colpito. È la storia di Hyemin Gi, una ragazza checon molto coraggio ha condiviso partedella sua vita, forse la più dolorosa, ma si-curamente quella che infonde speranza achi decide di rialzarsi e ricominciare. « Da dove inizierò a parlare di me? Io nonandavo d’accordo con i miei genitori, nonvivevo con la mia vera madre e non riusci-vo a sopportarla, inoltre venivo maltrattatada lei. Sono rimasta a casa con la mia ma-

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La storia delle ragazze di Main House e di Mazzarello Center è raccontata in un DVD prodotto da Missioni don Bosco in collaborazione con l’Ambito per la ComunicazioneSociale. Lì sono raccontate altre storie, di ragazze che grazie all’aiuto delle fma, hanno trovato casa, calore,affetto. Hanno potuto prendere consapevolezza del proprio valore. Attraverso il “calore” di una casa, attraverso la chiarezza di compiti e regole, attraverso il riconoscimentoche la vita vale sempre la pena di viverla e di non buttarla via, queste ragazze ritrovano speranza,provano a ricominciare, trovano il coraggio di camminare.

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mai legata all’industria del divertimento, èillegale ed è combattuta dalla polizia. Le ragazze una volta entrate in questo girofanno fatica ad uscirne. Sono intrappolate.Quando riescono a scappare poi hannomoltissime difficoltà: problemi legali da ri-solvere, cure mediche da sostenere. Attraverso la polizia e i centri counselling,hanno informazioni sulla casa fma. Il primoaiuto che si offre loro è quello di sistema-re la loro posizione di fronte alla legge, gra-zie all’aiuto di professionisti.Le ragazze che vivono in comunità alla MainHouse hanno un’età compresa tra i 19 e i 24anni. Le fma offrono loro un anno di forma-zione al Caffè Main, non lontano da MainHouse, perché siano in grado di entrare nelmondo del lavoro. Inoltre queste ragazzesi preparano agli esami statali per il ricono-scimento del grado di studi o per una cer-tificazione professionale. Infine, seguonodiverse terapie attraverso il counseling.Pakk Ha Na Rosa, è una delle ragazze chelavora al Caffè Main e questa è la sua espe-rienza: «Pensavo fosse una cosa impossibi-le per me lavorare in un caffè come barista,ma le suore che gestiscono questo caffèhanno offerto a me e ad altre ragazze un po-sto di lavoro per aiutarci. È stata una buona opportunità. In questo

l’internet caffè. Alla fine mi ha lasciata. Ero di nuovo da sola e senza soldi. Ho girato dappertutto, ma non sapevo co-sa fare. Ho provato a cercare lavoro e unposto dove stare, ma nessuna voleva unaragazza di 18 anni. Nessuno mi dava ascol-to e così ho incontrato un altro uomo chemi diceva che avrebbe cercato per me unlavoro e un posto dove stare. Sapevo di non dovergli credere visto cheero già stata abbandonata, ma l’ho seguitolo stesso, ero molto stanca.Ho avuto dei rapporti con lui e mi ha paga-to. Con quei soldi sono venuta a Seoul percercare una casa che avevo trovato in inter-net per ragazze scappate dalla propria. Ma l’uomo con cui dovevo stare, aveva giàun’altra ragazza e quindi mi ha presentataad un suo amico perché io potessi viverecon lui. Sono stata lì un anno, senza pensa-re a niente, cercando di divertirmi. Lui non mi diceva di andare via, e non sa-pendo fino a quando sarei rimasta con lui,ho incontrato altri uomini, sono andata a let-to con loro, ho avuto rapporti non buoni.Sono stata lì un anno e mezzo e poi qual-cuna mi ha parlato di Main House e ho de-ciso di smetterla e venire qui».

Le fma che lavorano nella comunità MainHouse raccontano che la prostituzione è or-

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zarello Center dove sono accolte minorimandate dal tribunale. Il Mazzarello Centerinfatti è una casa di recupero. Le ragazze chesono qui, dovrebbero essere in una casa dicorrezione per minori. Le suore qui si pro-pongono di restituire alle giovani una pa-gina bianca e dare loro la possibilità di scri-vere in prima persona i sogni, i desideri, ciòche vogliono realizzare. Le fma collabora-no con altre istituzioni. Il lavoro coordina-to infatti è senza dubbio più efficiente. Il Mazzarello Center è molto diverso dalleprigioni in cui il tribunale avrebbe potutofar andare molte delle ragazze, qui invecele giovani hanno molta autonomia e sonoin grado di auto-correggersi quando com-mettono un errore. Le suore hanno capitoche prima di tutto queste ragazze devonoriacquistare la consapevolezza delle loro ca-pacità. Imparano a comprendere il valoredel limite, che non è sottostare a regole for-zate, ma trovare il giusto equilibrio tra il be-ne per sé e il bene per gli altri.Come il riso nelle risaie, che aspetta il mo-mento migliore per venir fuori dall’acqua,che si lascia scaldare dal sole, e che si in-curva quando è il momento di essere rac-colto, così queste ragazze richiedono lastessa passione e pazienza, la stessa cura,lo stesso calore.

La Corea è una nazione giovane. Le fmasanno che in una società dove tutto luc-cica, dove i sorrisi che si vedono stampa-ti sui muri sono di plastica, i giovani con-tinuano a cercare la felicità. La cercanodentro di loro. La vogliono trovare inqualcosa che non appassisca.Le ragazze che abbiamo incontrato e chehanno deciso di regalarci la loro testimo-nianza, hanno voglia di sanare le loro fe-rite e di colmare i vuoti. E ogni giorno guariscono. Ogni giorno èl’alba della loro rinascita.

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caffè il tempo di maggior affluenza è duran-te l’ora di pranzo. Ma dopo troviamo il tem-po di sederci e bere un tè insieme per farpassare la stanchezza. È il momento più felice perché ritorniamopiene di vita e di energie nuove. Lavoran-do al caffè guadagniamo un po’ di soldi ele suore ci aiutano ad inserirci nel mondodel lavoro. Le più giovani vengono ad im-parare e noi abbiamo speranza di aprireuna, due o tre filiali del Caffè Main. Per questo facciamo del nostro meglio e ciimpegniamo con tutte le nostre forze».

Le fma, sono coraggiose. Guardano ai pro-blemi di tante ragazze che vengono cattu-rate nella rete della prostituzione giovani-le e lo affrontano, non fanno finta che nonci sia, non si voltano dall’altra parte. Non cercano Maddalene da salvare. Sonolì perché ogni persona ha un tesoro e ha di-ritto ad una vita degna. Restituiscono a que-ste giovani una chiave per interpretare sestesse e la loro vita. Quando una giovane ha ricevuto ciò di cuiha bisogno, ha la possibilità di specializzar-si in qualcosa per cui sente inclinazione, co-me parrucchiera, come cuoca, o altro. Peravere un lavoro passa attraverso il self sup-port center. La ragazza è seguita fino a quan-do non è completamente autonoma.

Hyemin Gi, infatti ci dice: «Qui mi trattanobene più che in una famiglia, mi hanno ac-colta con calore e affetto. Anche le altre ragazze che sono in questacasa mi trattano bene e sono loro ricono-scente. Ora studio per diventare infermie-ra e prendermi cura degli altri».

C’è sempre un punto accessibile al bene.C’è sempre la possibilità di voltare pagina.E questa sembra essere la missione dellefma che lavorano al Main House ma anchein altre strutture sempre a favore di chi sitrova in difficoltà, come la comunità Maz-

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Informazioninotizie e novità

dal mondodei media

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sponiamo è l’incertezza». Con questo non si vuol dire che non si pro-getta più, che non si guardi al futuro. Lo sifa, ma con scadenze più ristrette, pro-grammazioni a breve termine e flessibili. Sono i giovani a captare immediatamentegli scenari odierni. Immersi in un «presen-te continuo», ininterrottamente online,abili nel multitasking, le giovani generazio-ni, alla ricerca di esperienze diverse, non ne-cessariamente coerenti e/o conseguentitra loro, si ritrovano «esploratori». Speri-mentano, provano, imparano come in unmare aperto. Navigano, destreggiandosi escoprendo, prendendo decisioni… Comein Rete, cercano link a cui approdare, rife-rimenti a cui aggrapparsi, valori e verità incui credere, speranze a cui affidarsi. Cerca-no qualcuno che li aiuti e li orienti ad evi-tare di cadere nella falsa equivalenza che,anche nella vita, si interagisce con lo statodi acceso/spento; in/off, selezionato/dese-lezionato. Adulti responsabili e riconosci-bili, che non abbiano sbiadito il profilo, laconsistenza e la coerenza della propriaidentità.

Saltimbanchi, ovvero accettare il rischio

C’è un’immagine che ci portiamo negliocchi: Giovannino Bosco ai Becchi, in bili-co sulla corda tesa tra due alberi per far di-vertire gli amici e le famiglie della piccolafrazione di Castelnuovo. Sospeso tra cielo e terra, tentava e riten-tava l’attraversamento sospeso nel vuoto.Può essere metafora di uno stile pedago-

Sperimentare

Maria Antonia Chinello

Nella comunicazione, come nella nuovaevangelizzazione, bisogna mettersi in gio-co, coinvolgersi, camminare… Come impa-riamo attraverso “prove ed errori” è impor-tante non smettere di cercare e di andare,di cambiare rotta e di ritornare sui propripassi con umiltà e misericordia.

Tra «presente continuo» e «futuro prossimo»

Viviamo in un tempo non difficile ma diver-so rispetto alle epoche che ci hanno prece-duti (EG 263), segnato dalla rapidità dell’in-novazione e dell’informazione, come puredalla precarietà economica e sociale. Non è facile fare previsioni: qualche voltanon siamo in grado di sapere se le scelteche facciamo oggi, domani saranno anco-ra valide e se, soprattutto, si avranno i risul-tati che si sperano. Se si considerano leoscillazioni del mercato e le previsionieconomiche è quasi impossibile costruirescenari futuri minimamente certi. Ci muo-viamo in un contesto sociale segnato da cre-scenti interdipendenze dove ogni azione lo-cale ha ripercussioni globali. Secondo Ulrich Beck agiamo nel «capitali-smo globale del rischio», dove i tradiziona-li punti di riferimento stanno cambiandoprofondamente e rapidamente, dove a unfuturo non sempre prefigurabile corri-sponde, quasi un controsenso, un ventagliodi opportunità ampie da scegliere, da sele-zionare, da comprendere e percepire nel-le loro dinamiche e processi.Sembra che «l’unica certezza di cui oggi di-

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gico che non lascia niente di intentato eche, con gli occhi fissi in avanti, si affida efida del rischio del vuoto, pur di condur-re alla meta. È quanto ha suggerito anche Papa France-sco nell’incontro con i ragazzi, gli insegnan-ti, i genitori delle scuole dei Gesuiti: «Nel-l’educare c’è un equilibrio da tenere, bilan-ciare bene i passi: un passo fermo sulla cor-nice della sicurezza, ma l’altro andando nel-la zona a rischio. E quando quel rischio di-venta sicurezza, l’altro passo cerca un’altrazona di rischio. Non si può educare soltan-

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to nella zona di sicurezza:no. Questo è impedire che lepersonalità crescano. Ma neppure si può educaresoltanto nella zona di rischio:questo è troppo pericoloso».La nostra missione educatri-ce evangelizzatrice chiede,oggi come ieri, dinamismomissionario che porti sale eluce al mondo, per non para-

lizzarsi, non rimandare oltre la risposta al-l’amore di Dio che ci convoca alla missio-ne e ci rende completi e fecondi.Prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accom-pagnare, fruttificare e festeggiare… non cisono scuse, anche di fronte a grandi dif-ficoltà, per ridurre il nostro impegno: «èproprio a partire dall’esperienza di que-sto deserto, da questo vuoto, che possia-mo nuovamente scoprire la gioia di cre-dere, la sua importanza vitale per noi, uo-mini e donne. (Benedetto XVI).

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Candy Crush Saga è una apptra le più scaricate (e giocate)per iPhone, iPad e Android…ma si può giocare anche su Fa-cebook. Quarantacinque mi-lioni di giocatori nel mondo,600 milioni di partite al giorno,oltre 30 miliardi di partite almese, più di 500 milioni diutenti che l’hanno scaricata alivello globale e che ci hannogiocato più di 150 miliardi divolte. Una compagnia senza li-miti di età: si va dai ragazzi del-la scuola primaria ai giovani,agli adulti fino ai pensionati.

Tutti insieme appassionata-mente con un unico obiettivo:far esplodere quante più cara-melle possibili, raggruppando-le per colore, forma, tipologia.Appena ci si prende un po’ lamano, diventa difficile uscirnefuori. Il gioco non è sempre fa-cile, perché è basato al 90%sulla fortuna e al restante 10%(ma forse meno) sull’abilità. Se si vuole vincere con più co-modità, basta pagare e com-prare caramelle bonus, pescidi gelatina magici, tempo emosse in più.

Ma sembra che la dolcezzastia finendo: una notizia delleultime settimane ha travolto ilbusiness che sta dietro a tale(e simili) applicazioni:“King.com”, la società ingleseeditrice del gioco, ha ottenu-to il copyright esclusivo dellaparola “candy” con i relativi di-ritti d’utilizzo. Chi ora utiliz-zerà la parola “candy” nel tito-lo di qualche app dovrà dimo-strare che il loro gioco nonviola il marchio, altrimenti do-vrà pagare multe salatissime.

Caramelle che scoppiano

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e lasciando morire la moglie. L’episodio si ri-pete nella medesima fatidica notte una secon-da e una terza volta con un mussulmano edun indù. Tre donne che muoiono di parto permancanza di donne medico! Il fatto scuoteIda profondamente tanto da provocare in leiun cambio totale, passando dal suo rifiuto divivere in India al decidere di studiare medi-cina per aiutare le donne indiane. Torna negli Stati Uniti nel 1895 e si iscrive nelCollegio Medico Femminile in Pennsylvania.Completati gli studi nel 1899, torna con pas-sione per cambiare la situazione. Nel 1900, inizia un piccolo ambulatorio aVellore e due anni dopo costruisce unospedale con 40 posti letti. Da allora i pas-si per lo sviluppo di questo centro mediconon vedono limiti. Oggi il collegio offre corsi di dottorato e 150corsi di licenza in medicina, infermeristicaed altre discipline affini. Un totale di 2.000studenti sono iscritti ogni anno. L’ospeda-le ha 2.000 posti letto e 5.000 in ambulato-rio, diventando uno degli ospedali più rino-mati a servizio dei poveri della Nazione.È a servizio di tutti senza distinzione, mal’approccio evangelico segna l’ambiente inmodo inconfondibile. I brani della Parola di Dio echeggiano neiquadri su ogni muro, nelle preghiere orga-nizzate e negli inni che si cantano e/o suo-nano. Sono varie le denominazioni cristia-ne che collaborano nell’offrire assistenzaspirituale ai pazienti e si respira un clima disolidarietà e sostegno per affrontare lasofferenza fisica, psicologica e spirituale.

Donne di VangeloBernadette Sangma

In questi ultimi mesi, per le sorprese che Dioci regala, sono a Vallore nel Sud dell’India.Qui ho potuto testare il cuore evangelico didue donne capaci di trasformare l’interoterritorio in un oasi di bene a servizio soprat-tutto dei più poveri ed emarginati. Vellore è un luogo semi arido ornato qua elà dalle cime rocciose il cui riflesso crea uncalore enorme soprattutto nei mesi estivi. È in questo luogo che due donne lontane perorigini, formazione e interessi diversi, anima-te però dalla stessa passione per Dio e dallacompassione per l’umanità, convergono inmodo provvidenziale. Una statunitense, l’altra italiana; una Prote-stante e l’altra Cattolica, religiosa e fma; unainterpellata dal campo della salute per le don-ne e l’altra dall’educazione delle donne: am-bedue hanno seminato e testimoniato laforza trasformatrice del Vangelo.

Ida Scudder, fondatrice del Collegio Medico Cristiano

Figlia di una coppia di missionari cristiani de-gli Stati Uniti, Ida non voleva seguire i passidei genitori, ma la malattia della madre l’hafatta ritornare in India nel 1890. Un ritorno cheha cambiato radicalmente la sua vita. Tutto accade una sera quando un indianoindù della casta alta venne da Ida chiedendoun aiuto medico per la moglie con parto dif-ficile. Era suo padre il medico, ma seguendoi costumi indiani di quel periodo, un uomoal di fuori della famiglia immediata non po-teva curare una donna. L’uomo torna a casarifiutando l’offerta di aiuto del padre di Ida

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Cesira Gallina, sognatrice dell’AuxiliumCollege, Katpadi

Cesira Gallina è nata in una grande famigliadi 15 figli di cui quattro muoiono da bambi-ni. Dei rimanenti undici figli, tre diventano re-ligiose, tra cui una missionaria FMA in Argen-tina. Cesira sbarca per l’India nel 1929 con ungruppo di altre sette missionarie e la primaispettrice dell’India, Madre Tullia Berardinis.I suoi primi anni di vita missionaria li trascor-re nei dintorni di Vellore e a Vellore stesso,lavorando nella scuola, visitando le famigliee distribuendo medicine nei villaggi.Nel 1952, è nominata quarta ispettrice dell’In-dia. È mentre ricopre questa responsabilità dal1952 al 1959 che realizza il suo sogno educa-tivo per le giovani donne. All’origine del sognoè l’interpellanza di un Mussulmano, ufficialeeducativo del distretto. Costatando la qualitàeducativa delle scuole delle fma nella zona,l’ufficiale chiede a Madre Cesira di completa-re tale servizio con l’apertura di un collegiouniversitario che possa far progredire l’edu-cazione superiore delle giovani donne. Il racconto dell’episodio dice che mentrestavano conversando, l’ufficiale si rende con-to che è tempo per la sua preghiera serale, siscusa, entra in capella e si prostra cinque vol-te nell’atto della preghiera islamica e poi si con-

geda da Madre Cesira sorridente dichiarandoche era sicuro della sua risposta positiva. E co-sì avvenne... perchè nonostante la mancanzadei mezzi e del personale, il sogno diventeràrealtà dopo due anni. I primi iscritti erano 60nel 1954 con la possibilità anche di un convit-to per accogliere 250 studenti residenti.Oggi, la realtà dell’Auxilium College, Katpa-di, è un mondo di espressione femminile d’in-telligenza, di scienza, di cultura, di fede, di re-ligiosità, di arte ed estetica, di creatività, diidee innovative che portano pian piano alcambiamento, riconoscendo le proprie radi-ci e le percezioni sulla situazione della don-na, dove vige tuttora la discriminazione e l’e-marginazione vereso chi nasce femmina.

Raccogliendo la fiamma

Suor Arokiya Jayaceeli, fma, professoressa edirettrice del dipartimento di letteratura Ta-mil, dice: «Il contesto in cui viviamo oggi ècambiato profondamente. Andare al cuoredel sogno educativo di Madre Cesira e di IdaScudder è puntare sulla formazione dell’in-tera persona della giovane. Implica formazio-ne di donne dotate di libertà interiore, don-ne che attingono dal Vangelo e quindi don-ne, protagoniste di trasformazione sociale».

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ogni livello dell’e-sperienza quoti-diana.

Tutti i protagonisti vivono una doppia vita: da unaparte quella di tutti i giorni, compreso l’innamo-rarsi e l’andare a scuola del delizioso protago-nista Arturo, dall’altra i soprusi, la corruzione egli omicidi del mondo mafioso. Ogni personaggio deve trovare un equilibriosuo, o per far convivere queste dimensioni co-sì diverse, o per ‘schierarsi’: ecco la chiavestrutturale dell’opera. Un’impresa colossale soprattutto per la sceltadello stile/registro: raccontare la mafia ridendo-ci su. Pif ce la fa, e riesce ad essere nello stes-so tempo godibile e comico senza rinunciare al-la dimensione della pensosità e del dramma. Sa raccontare attraverso gli occhi di un bambi-no le atrocità della mafia e di riflettere sulla ne-cessità di ‘prendere coscienza’ in parallelo conil percorso di crescita personale che coincidecon quello sociale/culturale della città. Fino all’epilogo, in cui si scioglie in un poeticoe commosso omaggio a chi ha realmente per-so la vita per combattere la mafia. Arturo è un bambino palermitano che viene con-cepito proprio il giorno del massacro di Viale La-zio. Alle elementari si innamora di Flora, unacompagna di classe, amore che rimarrà intattoper tutta la vita, nonostante il divario sociale trai due e la distanza che li separa quando il padredella bambina porta la famiglia in Svizzera. A Palermo accadono colpi di mano della mafiae l’autore li sottolinea con qualcosa che accadeal bambino. Sembra l’unico che s’interessa al-le cose del mondo criminale, tutti gli altri fan-no finta di non vedere, tanto che quando Artu-ro chiede al padre se la Mafia sia pericolosa glirisponde: “è come i cani, se non li disturbi nonmordono”, e aggiunge: “puoi stare tranquillo

LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATEdi Pierfrancesco DilibertoItalia, 2013

Mariolina Perentaler

Applausi! Mentre al Torino Film Festival 2013 vin-ce il premio del pubblico come migliore film, leistituzioni si affrettano a pubblicare: «Si consigliauna diffusione urgente nella scuola di questo bel-lissimo film, per il suo alto valore educativo e so-ciale», favorendo anche il nascere di progetti chein alcuni comuni sponsorizza il noleggio della pel-licola e ne promuove la proiezione/dibattito. Esordio sorprendente nella regia di Pif (Pierfran-cesco Diliberto, un conduttore-autore televisivodi grande successo) La mafia uccide solo d’esta-te «era l’anello mancante del cinema civile, osser-va M. Porro sul Corriere della Sera. Alterna informazione, formazione e satira in mo-do nuovo, divertente e accattivante, le stragi ma-fiose dagli anni 70 con gli occhi di un bambino».Pif nasce a Palermo in una regione inclinata al fa-talismo come la Sicilia, ma fa qualcosa di più chedimostrare la parabola discendente di Cosa No-stra. Sceglie come protagonista un ragazzinoche cresce, coltiva sogni, speranze e illusioni. Che imparerà a sottrarsi alle regole del gioco sen-tendosi e volendosi ‘diverso’ rispetto alla culturadiffusa di cui la criminalità organizzata è espres-sione. Un romanzo di formazione che trova la suarilevanza in quello che racconta e la sua forza income lo racconta. Da conoscere/valorizzare.

Un film di spessore che fa ridere e riflettere

Il regista ci tiene a precisare che non è autobio-grafico, anche se essendo cresciuto a Palermoi rimandi personali non mancano. Prende spunto dalla sua biografia ma cerca dirappresentare in generale le esperienze dei mol-ti palermitani che durante gli anni 80 si sono con-frontati con la diffusione della “mafiosità” ad

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perché ‘la mafia uccide solo d’estate’, e noi orasiamo in inverno…”La vera e propria presa di coscienza di Arturo av-viene con l’uccisione di Falcone e Borsellinoquando, già grande, il suo amore per Flora tor-nata a Palermo lo accompagna anche nellaprofessione giornalistica. Dapprima si trova ad assumerla per caso, ma poidiventerà una scelta sempre più sua, caratteriz-zata dalla crescente curiosità e dall’impegno acomprendere in modo più critico quanto avvie-ne. Alla fine la vicenda si conclude con un happyand. Non solo riguardo ai risvolti personali di Ar-turo e Flora - finalmente sposati e genitori - maper offrire indicazioni toccanti sulla necessità dialimentare nei propri figli uno sguardo consa-pevole: i semi di una coscienza civile che non

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può fare a meno del supporto della memoria so-ciale, storica, collettiva. Cinema impegnato in pri-ma linea che dice: se l’ironia fa parte del DNAdi Pif, un attento autocontrollo e la sua cono-scenza della materia gli permettono di non far-le superare i limiti. Approda ad una conclusione che commuove:con il figlio in spalla Arturo procede con fermez-za ad insegnargli ciò che ha conosciuto. Posa egli fa posare lo sguardo sulle targhe di marmoche ‘medicano’ le ferite di Palermo. Targhe fis-sate sui suoi muri e nella sua memoria. Su cuilegge e fa leggere i nomi dei caduti, il loro im-pegno, le loro imprese: la verità. Perché da qua-lunque parte venga, è sempre la benvenuta.

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L’idea del film

È faticoso uscire dal coro. A maggior ragione sesi chiama mafia. Perché allora non raccontarlo condue occhi blu, da cui è impossibile staccarsi, e unsorriso da scugnizzo siculo che la sa lunga, ma tela racconta un poco per volta?

« Di fronte alla mafia, per quanto amaro possaessere - afferma Pif nell’intervista - sul momen-to si vive meglio abbassando la testa, e poi si ve-drà. Allora, essere un bambino a volte convie-ne. Perché imiti i tuoi modelli, cioè gli adulti. E se per loro non ci sono problemi, non ci so-no neanche per te. I problemi arrivano quando,un giorno, il bambino capisce che ‘la mafia nonuccide solo d’estate’ (…) Ecco perché ho volu-to che il protagonista fosse Arturo. Quand’ero ragazzo in Sicilia non si voleva am-mettere il problema. Questo atteggiamento didisinteresse ha isolato magistrati e giornalisti cheinvece quelle cose le vedevano e bene anche al-lora. Per questo ho fatto questo film. A Palermobisogna essere o bianchi o neri, perché la ma-fia è grigia, ti trascina verso di sé… ed è dapper-tutto.» Arturo, come tutti i bambini, accetta pas-sivamente i ragionamenti degli adulti, che difronte al suo problema preferiscono girarsidall’altra parte. Pian piano, però matura la con-sapevolezza dell’importanza di assumere unapresa di posizione chiara nei suoi confronti.

Il sogno del film

“Il gruppo fa la forza. So che il problema esistema ‘insieme’ si può vincere, perché se la mafianon ha un solo leader da abbattere ha difficoltàa vincere”. (Pif)

Volutamente caratterizzato dall’intenzione diconsiderare le generazioni più giovani i suoi in-terlocutori privilegiati, il film racconta un per-corso di formazione scandito dalle reazioni per-sonali di Arturo agli eventi della Cronaca che di-venterà Storia. «Non solo come tributo alla me-moria dei tanti caduti di allora – insiste Pif. Spe-ro si pensi che non debba succedere più. Sia-mo chiamati tutti a non farlo succedere più! Mipiace dire che noi oggi ci possiamo scherzaresenza rischiare la vita. La mafia è meno poten-te rispetto a quegli anni, ma non bisogna abbas-sare la guardia (…) Falcone e Borsellino eranodue giganti, ma la loro grandezza è stata ingigan-tita dalla solitudine in cui li aveva relegati lo sta-to. E’ necessario che i giovani lo sappiano. Chela loro crescita anagrafica coincida con la loromaturazione interiore perché possano diventa-re giganti loro stessi insieme ai giganti che an-che oggi ci sono. Ad esempio quelli di ‘Addio piz-zo’: 800 commercianti che non pagano il pizzoed espongono orgogliosi il loro cartello. Anchenoi abbiamo girato senza pagare il pizzo (…)».

PER FAR PENSARE

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re tutta la verità sulla morte di Paolo, di Gio-vanni e tutti gli altri martiri di Palermo». E hadeciso che era venuto il momento di raccon-tare le sue tante battaglie, prima e dopo il 19luglio 1992, il giorno della tragedia di Via D’A-melio.

Momenti indimenticabili

Questa decisione di raccontare, si compren-de che non è solo un grido di ribellione, la de-nuncia appassionata di una verità che si è vo-luta occultare, è soprattutto il bisogno di ri-percorrere le tappe della propria umana av-ventura: il tempo della giovinezza ignara e unpo’ frivola, i tempi felici dell’amore per Pao-lo, che inconsciamente è diventato per leimaestro di vita, il tempo dello strazio di unaferita insanabile, che non la chiude tuttavia in

Ti racconterò tutte le storie che potròAgnese Borsellino con Salvo Palazzolo

“Cara mamma,ci hai fatto un gran bel regalo… Neanche noi tuoi figli conoscevamotutti gli aneddoti e le confidenze checi hai voluto lasciare in questo racconto affidato a Salvo Palazzolo, prima che la tua malattia prendesse definitivamente il sopravvento… Queste pagine non sono una biografia, una raccolta di testimonianze storiche, sono molto di più: il tuo ultimo atto di amore verso papà, anzi sono la vostra storia d’amore”.

Così Manfredi, il secondogenito dei tre figli,in una specie di prefazione scritta come de-dica alla mamma, a quella donna ecceziona-le che fu la moglie di Paolo Borsellino.A sua volta il noto giornalista, che si può con-siderare il coautore di questo libro, c’informadelle circostanze in cui esso è nato.“Un giorno di aprile del 2013, Agnese PirainoBorsellino ha deciso di uscire di casa, nono-stante fosse costretta su una sedia a rotelle ei medici avessero imposto cautela per il ter-ribile male che affliggeva il suo corpo. Èuscita per incontrare i giovani che, in corteo,dal palazzo di giustizia erano arrivati davan-ti a casa sua per esprimere solidarietà al so-stituto procuratore Nino Di Matteo e ai ma-gistrati di Palermo e Caltanissetta minacciatidi morte per le indagini sulle stragi del 1992…«Non ci fermeranno, ha detto, vogliamo sape-

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una solitudine amara, ma si apre alle più te-nere relazione con gli altri per essere a tuttiun dono di sé. “Ho accanto i miei figli, Lu-cia, Manfredi, Fiammetta… non posso cheandare orgogliosa di loro… Accanto ho gliamati nipotini, e poi mia nuora Valentina, imiei generi Fabio e Antonio, che sono comedei figli per me…“. In un passo precedente è nominata per in-ciso la madre di Borsellino, “Maria, unadonna dolcissima, che il figlio coccolavacome una bambina”, e il pensiero di chi leg-ge corre a quell’ultima visita alla mamma fat-ta dal giudice Borsellino, assassinato proprioall’uscire dalla casa di lei, in quel tragico 19aprile.

La sua voce allegra...

«Tante vite ho vissuto - confida Agnese - pri-ma e dopo Borsellino, il padre dei miei figli.Me l’hanno portato via una domenica di lu-glio di vent’anni fa, ma è come se fosse ieri.Lo sento ancora avvicinarsi, mi fa una carez-za, mi dà un bacio, poi esce accompagnatodagli agenti della scorta», e lei lo ricorda neicari indimenticabili momenti della sua quo-tidianità, quando magari sorrideva nell’accor-gersi di un nuovo germoglio nelle piantine si-stemate sul balcone. «Gli chiedevo: “Paolo, a chi sorridi?”. Mi diceva: “Sorrido a fratello sole che oggi cidarà un’altra bella giornata” “Sai Agnese,sussurrava, sono un uomo fortunato perchéalla mia età riesco ancora a emozionarmi!”. Intanto i ragazzi si svegliavano, uno dopo l’al-tro. Manfredi e Fiammetta erano di veri dor-miglioni, si rigiravano sotto le coperte men-tre Lucia era già vestita. Allora Paolo iniziava a battere le mani, alza-va le serrande. Era una festa che si ripetevacon il solito gioioso rituale. Paolo tirava via lecoperte, magari apriva anche la finestra, pri-mavera o inverno non faceva differenza… Misembra oggi. Sento l’odore del caffè, che Pao-lo adorava. Sento la sua voce allegra mentreracconta le solite barzellette.

A un certo punto la voce si fa seria, il papàchiede ai ragazzi delle cose di scuola. Poisquilla il campanello di casa, sono gli uomi-ni della scorta. Paolo mette al fuoco un’altracaffettiera. Quegli agenti sono come figli perlui, li tratta con la massima attenzione».

Cordiale e rispettoso con tutti, Paolo Borsel-lino era capace di dire ai suoi imputati, per-sino ai mafiosi: «Voi siete come me, aveteun’anima come ce l’ho io. E oltre l’anima checosa avete? I sentimenti» Gli rispondevano: «Signor giudice, si sbaglia,noi siamo delle bestie», e lui insisteva: «No,anche voi li avete, allora è venuto il momen-to di tirarli fuori i sentimenti, solo che non sa-pete di possederli».

Agnese ricorda di averlo sentito dire: «Paler-mo non mi piaceva, per questo ho imparatoad amarla. Perché il vero amore consiste nel-l’amare ciò che non ci piace per poterlo cam-biare». Sembrano le parole di un santo… oper caso lo sono davvero?Ed è poi tutto un interrogare i luoghi, gli og-getti che furono a contatto della persona ama-ta, un frugare in ogni angolo della memoriaper ritrovare una presenza, una parola chenon deve andare perduta.

Tutto come sempre

L’ultima pagina ci conduce a Villagrazia, unavilla sul mare già appartenuta al padre diAgnese, dove lei e Paolo amavano ogni tan-to rifugiarsi, eludendo la scorta.

«Amore mio, lì è rimasto tutto come sem-pre… Mi sembrava quasi di sentire le tue ri-sate, stamattina. Poi anche il ticchettio dellatua macchina da scrivere nello studio di miopadre: stavi ore e ore a scrivere, ti ricordi? tiera perfino venuto un callo, e tu ti prendeviin giro. Continuo a cercarti in casa, ma nonci sei. Allora apro una finestra. E aspetto.Aspetto di vederti spuntare da un momentoall’altro, con la tua bicicletta, il pane nel ce-stino e il braccio destro in alto mentre fai conla mano il segno di vittoria».

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zione, ad esempio del fitness o anche la for-mazione mentale applicata in differentisport possono beneficare in modo inversoil lavoro corporale nel teatro. La differenzasta nel fatto che una sequenza espressivadi movimento nel teatro non è la mera ap-plicazione di una tecnica qualificata. Nel tea-tro pedagogico l’attore sulla scena porta laqualità della sua espressione corporale edelle strutture di senso, i motivi, le emozio-ni del mondo interiore proprio o di quel-lo del ruolo che sta interpretando. Per questo i giovani attori devono avere unconcetto molto chiaro delle abitudini, del-le qualità e dei lineamenti della figura chevogliono personificare. A volte alcuni ruo-li – come purtroppo spesso accade – sonorappresentati solo in modo superficiale estereotipato, e in questo modo non si puòconseguire il livello di sviluppo della per-sonalità nella creazione artistica. Nella estesa estetizzazione di un gran nu-mero di aree sociali, la nozione di esteticasta perdendo ogni volta più il livello di unprocesso artistico. Questo lo vediamo dal-la cura estetica dei beni di consumo. Lo sguardo di un compratore potenzialeverso un prodotto si ferma sulla confezio-ne. Il compratore viene convinto a prende-re la sua decisione a partire dall’involucro,senza interessarsi molto alla qualità del pro-dotto vero e proprio.Nel teatro il pubblico non crederà all’inter-pretazione di un attore che presenta il suopersonaggio, se lui si nasconde dietro il co-stume e la maschera e senza rendere visi-

La formazione della personalitànel teatro pedagogicoSara Cecilia Sierra, Wolf Rüdiger Wilms

In questo articolo desideriamo tornare dinuovo alla domanda sul valore formativoche hanno i giochi teatrali, perché in un am-bito di lavoro pedagogico sociale, il teatrodeve essere considerato dal punto di vistadell’educazione. I giochi teatrali si svolgono nel settore dellaformazione artistica (estetica) nella quale ilsoggetto si confronta con se stesso e il suostesso ambiente in un contesto artistico.Come professori di teatro è bene creare inquesto modo le condizioni per uno sviluppodella personalità degli studenti in un modoindipendente e autodeterminato. Il tipo di esperienza che è importante peril teatro pedagogico, si basa su impressio-ni sensoriali concrete che non possono es-sere tradotte in una lingua accademica, per-ché sono parte di un processo di realizza-zione creativo e di significato.È bene stare attenti a tutte le possibilità cheil teatro in un contesto pedagogico può of-frore anche come rimedio a fenomeni di cri-si individuali e sociali. Anche se non tutto può fare il teatro. In pri-mo luogo il teatro pedagogico agisce su al-cuni comportamenti (competenze sociali)come la capacità di relazione in gruppo ein equipe, la tolleranza, l’abilità comunica-tiva, la concentrazione, la presenza, l’au-toformazione e molto di più. Sicuramente alcune tecniche teatrali pos-sono essere apprese sistematicamente nelteatro pedagogico e essere usate con suc-cesso anche in altre aree di attività non ar-tistiche. Ugualmente gli elementi di forma-

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bile e tangibile il suo gioco e il suo gesto di-retto per impulso del suo mondo interiore. L’essenza di una esperienza estetica nel tea-tro, e con questa anche il suo significato perla formazione della personalità, consiste nelfatto che l’attore (e per una certa estensio-ne anche lo spettatore) faccia un auto-espe-rienza dalla prospettiva di una conoscenzaestranea, per porre in gioco non se stesso,se non personaggio.

In questo processo si viene a creare un cer-to dialogo interiore e anche un conflitto tral’attore e il personaggio al quale il giocato-re/attore deve reagire. La segnalazione epresentazione di tali contraddizioni e dispa-rità è un aspetto centrale nel teatro epicodi Bertolt Brecht. Alla base di questa pro-spettiva differente e estranea dell’espe-rienza propria, l’attore può creare nuoverealtà nelle quali è capace di utilizzare lospazio ampliato per nuove possibilità di per-cezione della realtà sociale nel gioco.

La rottura con ciò che è familiare, che si

verifica spesso in questo contesto, puòprovocare insicurezza e disordine nell’at-tore. Il valore della formazione di questospazio tra attore e personaggio rafforza lefacoltà di giudizio sul mondo sociale nelquale vive il soggetto che gioca.

In sintesi:

• Il teatro pedagogico dispone di unaestetica propria. Con questa vuole pro-vocare qualcosa sia nel giocatore/attoresia nello spettatore. Tuttavia il teatro pedagogico non può es-sere strumentalizzato o ridotto ad un ac-cumulo di risorse e rimedi per obiettivifuori dal teatro. Tali aspettative esagera-te possono portare a forti delusioni.

• Il teatro pedagogico crea uno spazio diesperienza nel quale gli attori apprendo-no a vedere loro stessi e il mondo nelquale vivono, all’inizio con gli occhi de-gli altri e dopo con i propri occhi, ma tra-sformati, in modo da interagire in modopossibilmente differente.

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perché neanche si accorge che chi le vi-ve accanto può aver bisogno di lei. Ipocrisia? Ma non scherziamo! Sempli-cemente impossibilità a mettere a fuocociò che ha sotto il naso, incapacità di po-sare lo sguardo su quello che tocca di-rettamente la sua vita. Occhio presbite.Sr Zoe. Il suo sguardo è omogeneo,equilibrato, sa porre ogni cosa al postogiusto... Sì, va bene, talvolta ha dei ripen-samenti ma chi non è mai tornato suipropri passi? Incertezza? Nemmeno per sogno! Ogni giudizioche formula sulla realtà ha bisogno di uncorrettivo perché le appare sempre indue ottiche diverse... del resto il benenon sta mai sempre e solo da una parte! Occhio astigmatico.

Sr Addolorata. Il suo sguardo è realista,talvolta un po’ cupo, sì, ma del resto c’ècrisi ovunque e non sono più i tempi diuna volta... Non c’è proprio da stare alle-gri! Pessimismo? Niente di più falso! Col passare degli anni l’offuscamento vi-sivo globale riduce la luminosità ecces-siva degli ingenui slanci giovanili. Cataratta.E poi io, Sr Camilla. Il mio sguardo è... Come dice dottore?Sì certo, certo, meglio intervenire subi-to! La mia visita è finita.E tu, di che occhio sei?

Parola di C.

Occhio per occhio

Devo essere sincera: per la mia vene-randa età non posso certo lamentarmidella salute che il Signore generosa-mente mi conserva piuttosto florida,tuttavia, come immagino accada permolti, a volte la vista mi gioca dei bruttischerzi; per questo ho dovuto ricorre-re alla consulenza di uno specialista. E – non ci credereste – in quello studiooculistico mi si sono aperti gli occhi!

Occhio per occhio (nel vero senso dellaparola) è possibile passare in rassegnatutto il variegato mondo che si nascon-de in una comunità religiosa; e, mentrel’oculista mi spiegava tutti i problemi divista che possono affliggere una perso-na, io mi vedevo scorrere davanti l’alle-gra brigata delle mie sorelle...Sr Mercede. Il suo sguardo è attivo, viva-ce, coglie nel segno tutto ciò che le pas-sa accanto; ma solo quello. Il suo ufficio, i suoi doveri, la sua conver-sione, i suoi giovani, il suo Gesù... più ol-tre non può andare. Cattiva volontà? Certo che no! Ciò che è lontano (magari anche solo inispettoria...) è talmente sfocato da con-fondersi col nulla. Occhio miope.

Sr Vera. Il suo sguardo è intraprendente,lungimirante, capace di cogliere le trac-ce di Dio disseminate nelle esperienzepiù originali, nelle missioni più remote. Poi però è inutile bussare alla sua porta

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Nel prossimo Numero

DOSSIER: Parole e gesti: di dono

CULTURA ECOLOGICA Conversione ecologica

FILO DI ARIANNA: La relazione

SGS/CULTURE: Per essere felici

PASTORALMENTE: Giovani e liturgia

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IO SONOILPANE DELLA VITA

(GV 6,35)