Rivista DMA - ALLARGATE LO SGUARDO: CON I GIOVANI (Maggio – Giugno 2015)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE ALLARGATE LO SGUARDO: CON I GIOVANI 2015 Anno LXII Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane di don Bosco)

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RIVISTA DE

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ALLARGATE LO SGUARDO: CON I GIOVANI

2015Anno LXII Mensile n.5/6 Maggio/Giugno

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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4EditorialeAbbracciare la via della Pace

5Primopiano6La Pace è la viaSeminare la Pace

8Donne in contestoLa bellezza femminile

10Cultura ecologicaSicurezza alimentare.Quale futuro?

12Filo di AriannaDalla sincerità alla verità

15DossierCon i giovani

27In ricerca 28Dono e CultureIl bisogno di gratuità

dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneMaria Helena MoreiraGabriella Imperatore

CollaboratriciMaria Américo Rolim

Julia Arciniegas • Patrizia BertagniniMara Borsi • Carla Castellino

Piera Cavaglià • Maria Antonia Chinello Anna Rita Cristaino • Emilia Di Massimo

Dora Eylenstein • Palma Lionetti Anna Mariani • Adriana Nepi

Maria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi

Eleana Salas • Martha SéïdeGiuseppina Teruggi

2RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

sommario

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30La ParolaEmmaus:parlare al cuore

32Carisma e leadershipSiate Madri

35Uno sguardo sul mondoMyanamar

37Comunicare38Vita consacrataComunicazione e carisma

40Video Still Alice

42LibroIl piccolo Burattinaiodi Varsavia

44MusicaPeace Vs War

46CamillaConferenza? C’è modo e modo!

n.3/4 Marzo Aprile 2015Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettoria Austria - Germania

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000

Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970

Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

3 ANNO LXII • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2015dma damihianimas

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so coloro con cui viviamo quotidianamen-te. “Con lo sguardo fisso su Gesù e il suovolto misericordioso possiamo cogliere l’a-more della SS. Trinità”, è l’invito di papaFrancesco a vivere la grazia del giubileodella Misericordia.

Nella pace, il cui grido proviene dalle visce-re del cuore umano e della terra. Salvaguar-dare e lottare per il diritto inalienabile allapace. Impegnarsi a sanare le cause dell’indif-ferenza, della guerra, della morte. Educarealla pace e alla convivialità per costruire unasocietà fondata sulla convivenza rispettosadelle differenze, sullo sviluppo sostenibile,nella cura per la Madre Terra, casa abitabilee sicura per tutti. La pace è possibile comemissione condivisa, in collaborazione conlo Spirito di Dio, costruendo reti di coope-razione, nella ricerca di comprensione tra ipopoli, lasciando i propri interessi per unbene comune, per una economia sostenibi-le ed etica, di comunione solidale. Il dialo-go è una via possibile per la pace, perché af-fina la sensibilità che aiuta a percepire larealtà dell’altro, a mettersi al suo posto.

Continuare a vivere in tempo pasqualeè decidere di abbracciare la via della lu-ce, assumendo una condotta coerentecon il Vangelo, calpestando strade diospitalità-convivialità, di misericordia-compassione e di pace-dialogo, segnicredibili della presenza dell’Amore delRisorto per tempi nuovi.

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Abbracciare la via della PaceMaria Helena Moreira

Come vivere da discepoli di Gesù risortoin un mondo con realtà tanto contrastan-ti? Lasciamo che i nostri passi si incrocinocon quelli di Gesù nell’ospitalità, nella mi-sericordia, nella pace.

Nell’ospitalità, che ci fa entrare nella no-stra condizione umana più profonda,aprendoci all’altro, così com’è, imparan-do ad ospitare, essendo ospiti di Gesù eospitando Gesù nell’altro. Entrare nellamistica della visitazione: visitare ed esse-re visitato sarà un unico movimento inte-riore. Mettersi in cammino, condivideresogni e aspettative. Ospitare la realtà sof-ferente di migliaia di migranti, di bambinisenza diritto all’infanzia, di donne vittimedi violenza, che vivono la fame, la sete,l’esclusione, la paura, l’insicurezza, lamorte. Ospitare la Parola presente nell’al-tro e desiderare che essa riecheggi in noie ci impegni a cercare una convivenza cheincluda tutti nel diritto alla vita. Ospitareil dialogo e viverlo come profezia oggi.

Nella misericordia di Dio, che sperimentia-mo nella nostra vita. Il chinarsi di Dio su dinoi, con instancabile benevolenza, impe-gna ad assumere lo stile di Dio con tutti:“Siate misericordiosi, come è misericordio-so il Padre vostro” (Lc 6,36). Il volto di que-sto mondo, segnato dall’esclusione e dagliinteressi di mercato, può mutare se percor-riamo i sentieri del Vangelo del perdono edella compassione. L’esperienza personaledella misericordia di Dio diventa un forteappello a muoverci con compassione ver-

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editoria

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Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

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ressi: l’economia, la disuguaglianza socia-le, l’oppressione politica, le divisioni etni-che. Nella regione dei Grandi Laghi, la so-vrappopolazione del Rwanda, la contesa ric-chezza del sottosuolo, la presenza spessoinvadente dei partner occidentali contribui-scono ad alimentare il conflitto. Dopo il genocidio in Ruanda nel 1994 e nel1998, la Repubblica Democratica del Con-go è stata vittima dell’occupazione. Diverse truppe ribelli si sono stabilite nelPaese, così come altri Paesi africani sonostati coinvolti in atti di aggressione territo-riale. Le ambizioni espansionistiche daparte di alcuni Paesi vicini alla RepubblicaDemocratica del Congo sono state ac-compagnate da gravi violazioni dei dirittiumani, da massacri e distruzione delle ri-sorse naturali. La conquista territoriale èuna delle cause dell’invasione del Congoda parte delle regioni vicine. La questione del sovraffollamento inRwanda è tra le motivazioni dell’incursio-ne nel vasto Congo. Ciò ha portato gli scienziati a spiegare ilgenocidio del 1994 come un’occasioneunica, poiché una riduzione della popo-lazione avrebbe potuto più facilmente be-neficiare i sopravvissuti. La presenza delle maggiori potenze nellaguerra dei Grandi Laghi è rilevante. Per le grandi potenze, ma la guerra è un pro-blema strettamente interno al Congo, men-tre coinvolge non solo i Paesi africani, an-che le Nazioni occidentali.

La Repubblica Democratica del Congo(ex Zaire) è lo Stato più grandedell’Africa, secondo solo al Sudan.Ricchissimo di risorse minerarie e agricole e di legnami pregiati,questo Stato non ha però maiconosciuto una vera pace interna e la povertà è ancora molto diffusa.

Complessità di un conflitto

La questione dei conflitti nell’Est della Re-pubblica Democratica del Congo è com-plessa e difficile. In essa si intreccianoproblematiche di natura socio-economica,politica, etnica e culturale, all’interno di unambiente politicamente molto instabile,che, quindi, rende la gestione e la risoluzio-ne del conflitto sempre più lontano. Una delle principali cause dei conflitti è pro-prio di natura economica-espansionista. In-fatti la Repubblica Democratica del Congo,per la vicina zona dei Grandi Laghi, è stataspesso caratterizzata da rivalità economiche,minacce e domini. In questo contesto si in-serisce la situazione del Rwanda: nel 1960con la caduta del regno Hima e l’istituzio-ne della Repubblica c’è stato l’esodo di ol-tre 200.000 Tutsi. L’accesso Hutu al potere ha cambiato il rap-porto tra Tutsi e Hutu, i principali gruppi et-nici nel Ruanda. Contemporaneamente loZaire ha iniziato un processo di democra-tizzazione verso un governo più partecipa-tivo. Ma non si tratta di una sola causa, per-ché ad essa sono spesso associati altri inte-

6RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primopiano

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via Seminare la Pace

Bizige Nirere Charlotte, fma

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Conseguenze sulla popolazione locale

Il conflitto armato ha prodotto conseguen-ze negative per la popolazione. In effetti, lacrisi ha portato rapidamente a grandi disa-stri umani, morti, spostamenti di popolazio-ne, fame e povertà, malattie dovute alla so-vrappopolazione in piccole aree considera-te più sicure. L’agricoltura è inesistente,perché le campagne sono state abbandona-te dai contadini partiti per la guerra o sco-raggiati per i frequenti saccheggi e attacchicompiuti nei loro campi. In città sono tantia chiedere l’elemosina, la disoccupazione èforte e si verificano frequenti casi di furto.Inoltre il conflitto ha generato molte formedi depravazione morale, sono in aumento idecessi dovuti a malattie trasmesse dall’ac-qua inquinata e dalla malnutrizione. Tanti so-no gli orfani e si moltiplicano i bambini distrada, risultato della destabilizzazione e del-la disgregazione del nucleo familiare.

Semi di Pace

Di fronte a questa situazione, la gente cer-ca le strategie per sopravvivere. Ci sono al-cune organizzazioni umanitarie e non gover-

native impegnate a lavorare per la preven-zione dei conflitti armati e per promuoverela cultura della pace. Ci sono alcune strut-ture religiose che fanno sforzi per lottarecontro la povertà: si prendono cura dell’istru-zione, della sanità, dello sviluppo rurale; al-tri sostengono i bambini di strada, tra i qua-li i bambini soldato, e si interessano della lo-ro formazione professionale e del reinseri-mento sociale, come la Rete di giovani in tut-to il mondo per la pace, un gruppo che si tro-va nella provincia del Kasai Occidentale, inKananga e che porta avanti l’idea che “ciòche ci unisce è più forte di ciò che ci divide”.La Repubblica Democratica del Congo sem-bra stia vivendo la fase del post-conflitto, an-che se è sempre imminente e la gente si èrassegnata a ciò considerando il conflittoquasi una ‘normalità’ del quotidiano. Negli ultimi anni c’è stata un’accresciuta sen-sibilità alla pace e giustizia, per questo nel-le parrocchie e nelle scuole si organizzanoincontri per educare ed educarsi alla pace.Tale educazione incomincia nelle famiglie,anche se le Istituzioni politiche non sosten-gono i valori della tolleranza, dell’accettazio-ne della diversità, della libertà di espressio-ne e di dialogo. La Chiesa si impegna per lacostruzione di un ordine sociale e per l’e-quità nella Repubblica Democratica delCongo, con lo slogan: “Lo sviluppo è ilnuovo nome della pace”. Il suo contributo è notevole soprattutto incampo educativo-formativo. La Chiesa si faeco della voce di papa Paolo VI: “Combat-tere e lottare contro l’ingiustizia è promuo-vere il benessere, il progresso umano e spi-rituale di tutti, e quindi il bene comunedell’umanità”. Molte persone di ispira-zione cristiana, o appartenenti ai movimen-ti ecclesiali, sono coinvolte in associazio-ni per la promozione dei diritti umani, perla difesa dei profughi e dei prigionieri.

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critico e complice, preparano il loro vol-to, sistemano dettagli, provano ad indos-sare qualcosa o a ritoccare quello che iltempo ha disegnato per loro. In questo caso è ciò che non inganna, chenon nasconde i dettagli della vita che de-vono essere invece osservati e raccolti. Ri-flette così quei dialoghi interiori ed este-riori, lontano dall’essere in sé un oggettofuorviante lo diventa quando “l’egocentri-smo dello sguardo” restringe la visuale so-lo su di noi, concentrandola sull’apparen-za e il compiacimento di noi stessi, comefossimo l’ombelico del mondo. Tutte e tutti siamo contaminati e influenza-ti da immagini, da canoni estetici, dalla per-fezione delle forme e ossessionati per i di-fetti, perché bombardati ovunque da imma-gini di corpi modellati. Per questo anche noinon siamo affatto al riparo e da educatricinon possiamo che interrogarci sul deside-rio di bellezza, sul nostro corpo e su comecomunichiamo, attraverso di esso, la gioiadella vita e della consacrazione.

Prendersi cura

Ma l’atto estetico per eccellenza è la cura!Una cura che grazie alla sensibilità comu-nitaria femminile diventa espressione diuna bellezza declinata al plurale, che fadelle donne il volto della coesione socia-le, della solidarietà e del “prendersi cura”un atteggiamento eco-antropologico im-portante. Scrive Antonietta Potente nelsaggio “Non è tempo di trattare con Dioaffari di poco conto”, sulla scelta e il sogno

La bellezza femminile

Palma Lionetti

“Specchio specchio delle mie brame…chi è la più bella del reame?” Se lo specchio delle donne potesseparlare! Dallo specchio le donnecercano costantemente conferme per quel viso, quel corpo che si rispecchia, che in alcuni casiinquieta, che condiziona nelle scelte e nelle relazioni e che si trova a confrontarsi con un immaginariospesso prefabbricato e perfetto, in cui l’immagine di donna è priva di imperfezioni: non un brufolo, non una smagliatura, non un capello fuori posto!

Lo specchio e la vita

Lo specchio, un oggetto forse estraneoa noi consacrate e lo specchiarsi un’azio-ne che abitualmente non compiamo,anzi la riteniamo quasi un cedimento in-debito alla nostra vanità.Infatti lo specchio è un simbolo caro allamistica e alla spiritualità, per alcuni un ele-mento tentatore, per altri un interlocuto-re crudele che, mentre riflette passivamen-te, rivela nel contempo in maniera spieta-ta i difetti. Nonostante ciò lo specchio èil “luogo” dove si incrociano e si intrec-ciano aspetti differenti della vita, interio-rità ed esteriorità, le rughe più evidentidel viso così come quelle interiori. Davanti a lui in genere le donne, comedavanti all’amico più caro e per questo

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dei voti: «I voti non li pronunciamo con laragione, ma con il corpo e entro la nostraspecifica storia. Per ripensarli ci aiutano lepiccole cose, i dettagli, i simboli che fan-no parte delle nostre vite. Ci accompagnano lo sguardo di Teresad’Avila e quello di molte altre donne chericordiamo con affetto, ammirazione estupore. Donne che camminarono e cam-minano, intravedono qualcosa grazie al lo-ro atteggiamento di ricerca, pur in situa-zioni tanto diverse dalla nostra».

Due premi dati a due Figlie di Maria Au-siliatrice raccontano di questa bellezza tut-ta femminile del prendersi cura, e di co-me questo assume un senso ‘politico’ nelsuo significato più profondo.

Suor Philomena B. D’Souza dell’ispettoria in-diana S. Maria Domenica Mazzarello, inBombay (INB) l’8 marzo è stata premiata dalcardinale Oswald Gracias, Arcivescovo diBombay, per il lavoro svolto come Respon-sabile della Commissione per la promozio-ne della donna nell’Arcidiocesi di Bombaynegli anni 2005 - 2009. Le azioni che l’han-no resa “bella” come donna e come edu-catrice sono state tante e significative: laformazione per le donne leaders, i centridi ascolto e di sostegno per le donne e ra-gazze maltrattate e abusate, la partecipa-

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zione alla 1a Assem-blea dei Vescovi in-diani sul tema “Em-powerment of Wo-men in Church andSociety”. Ha pianificato e rea-lizzato itinerari for-mativi sulla parità digenere per ragazzee ragazzi, ha proget-tato e realizzato cam-pagne di sensibilizza-

zione contro la violenza sui bambini, hacollaborato alla preparazione del “GenderPolicy” per tutta la chiesa indiana e alla ste-sura di un regolamento per i casi di abu-so sessuale sui bambini e sulle donne.

Suor Mary Farid, della comunità Maria Im-macolata di Heliopolis nell’ispettoria GesùAdolescente in egitto (MOR) che il 21 mar-zo, primo giorno di primavera e festa del-la mamma per gli egiziani, ha ricevuto ilpremio come “Madre esemplare dell’anno2015” per la zona di Heliopolis e il Nozha.È interessante che si stato proprio un papàMoutaz Mokhtar ha proporre la candida-tura di suor Mary, diffondendola sui Socialnetwork per la richiesta di voto. Suor Mary ha ricevuto più like per la suamaternità e fraternità, accoglienza deipiù poveri, degli orfani e ammalati, per ilsostegno ai senza tetto.

La bellezza femminile e delle donne con-sacrate è quella forza del cuore che avan-za per una passione, che sgorga da que-gli aspetti luminosi del femminile contem-poraneo, non un femminile rampante etrionfalistico di stile televisivo, ma più este-tico perché etico. Uno spirito femminilenon polemico e competitivo, ma piuttostocollaborativo, co-evolutivo, creativo.

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tori naturali e antropici. Da questa circola-rità complessa emerge allora la quinta pa-rola chiave: la persona che, «con gli stru-menti del suo vivere e del suo lavoro, con-tribuisce a trasformare in positivo o in ne-gativo la natura nella quale vive» (Memoran-dum Expo 2015-FAO).

Per uno sviluppo umano integrale

È solo la persona umana, artefice di unostraordinario percorso d’evoluzione e inter-vento sulla natura, che può dare risposta atutte le domande. Da qui la sua grande re-sponsabilità. Se, infatti, le civiltà documen-tano l’impressionante capacità dell’uomo dirispondere sempre più al bisogno alimenta-re con creatività e genialità, al contempo te-stimoniano anche la possibilità che sceltesbagliate portino ad alterare la fecondità del-la natura e a pregiudicarne la trasmissionealle future generazioni (Cfr. Guida del Tema,a cura del gruppo di lavoro TEG).Tale forte riferimento alla centralità della per-sona umana implica, in particolare, che lo svi-luppo sostenibile sia concepito come partedello sviluppo umano integrale. Ciò significa anche passare da un’idea disviluppo basata su termini meramenteeconomici a uno sviluppo integralmenteumano nelle sue dimensioni, economica,sociale ed ambientale, che parta dalla di-gnità della persona. Da questo approccioculturale umanistico si possono affronta-re in modo adeguato le maggiori sfide le-gate all’alimentazione e al cibo.

Sicurezza alimentare.Quale futuro?Julia Arciniegas

È possibile assicurare a tutta l’umanitàun’alimentazione buona, sana,sufficiente e sostenibile? Come cibo e salute sono in relazionenegli stili di vita, nelle attività motorie,nel benessere delle persone? Come lo sfruttamento delle risorse e la sostenibilità ambientale possonoconvivere? In che modo la salubritàdel cibo deve influenzare le scelte di produzione dell’energia e l’usodelle risorse naturali? Questi e tanti altri interrogativisostengono le ricerche dell’ExpoMilano 2015.

Se novecento milioni di persone patisconola malnutrizione e altrettanti subiscono idanni di un’alimentazione eccessiva e disor-dinata è evidente che il tema della sicurez-za e salubrità alimentare si pone su una sca-la globale, che coinvolge direttamente o in-direttamente la maggior parte delle perso-ne e dei popoli del mondo.

Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita

Il tema generale dell’Expo Milano 2015 rac-chiude queste quattro parole: alimentazio-ne, energia, pianeta, vita. Ogni forma di vi-ta ha bisogno di energia e l’energia vienefornita dall’alimentazione. A sua volta, il nesso vita-alimentazione in-cide sullo sviluppo del pianeta, unitamen-te all’interazione di una molteplicità di fat-

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Alcune condizioni irrinunciabili

Di fronte alla complessità e alla vastità deltema, L’Expo 2015 intende sottolineare alcu-ne priorità:

- lotta alla fame, al fine di garantire a tuttele persone un accesso fisico, sociale ed eco-nomico al cibo;

- sostenibilità, come capacità dei mercati di ri-conoscere il valore dei beni, l’applicazioneadeguata della tecnologia ai sistemi di produ-zione, e l’equilibrio nell’impiego della terra;

- salute, intesa come stato di benessere,frutto anche di un adeguato utilizzo delcibo appropriato, secondo i principi ba-silari della nutrizione, dell’igiene e del-la salute, terreno sul quale occorre indi-viduare strategie d’intervento per ridur-re l’insicurezza alimentare, la malnutri-zione e le malattie alimentari;

- cibo come strumento di pace e di espressio-ne culturale, mediazione di incontro, dialo-go, conoscenza e integrazione tra i popoli.

Le priorità sono condizioni irrinunciabili percostruire nel tempo soluzioni concrete e so-stenibili per la salute e il benessere globa-le, nella consapevolezza che per nutrire ilpianeta non giova ripiegare su una posizio-ne difensiva, in una prospettiva di pura con-servazione, ma occorre definire obiettiviprecisi che passano attraverso l’aumento eil miglioramento delle possibilità e poten-zialità esistenti (Cfr. Documento Strategicodell’Expo Milano 2015). In questo senso, ri-mane sempre prioritaria la necessità dieducare a una sana alimentazione per favo-rire corretti stili di vita nelle popolazioni ein particolare nei bambini, adolescenti,gestanti, diversamente abili, anziani.

Diritto universale al cibo

La sicurezza alimentare nella sua accezio-ne di diritto universale all’accesso al cibo èal centro del dibattito globale e si riassumein un fondamentale interrogativo: come ga-rantire a tutti continuativamente cibo sano,corrispondente ai gusti e alle tradizioni diciascun popolo e compatibile con i diver-si sistemi di produzione locale?La sfida alimentare dei prossimi anni coin-cide prima di tutto con la capacità di svilup-pare un’agricoltura sostenibile. Essa può rap-presentare, inoltre, la via più concreta perl’uscita dalla povertà di intere fasce di po-polazione nei Paesi più poveri. La ricerca della qualità del cibo costitui-sce il secondo obiettivo fondamentaledella risposta al bisogno alimentare del-l’umanità. La salubrità del cibo si ottienecon un rigoroso controllo dei sistemi diproduzione e con una conoscenza sem-pre più approfondita della relazione tracondizione umana e nutrizione.

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11 ANNO LXII • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2015dma damihianimas

«La sfida è: come realizzare un’agricol-tura a basso impatto ambientale? Comefare in modo che il nostro coltivare laterra sia al tempo stesso anche un custo-dirla? Di fronte a questi interrogativi,vorrei rivolgere un invito e una propo-sta. L’invito è quello di ritrovare l’amo-re per la terra come madre – direbbe sanFrancesco – dalla quale siamo tratti e acui siamo chiamati a tornare costante-mente. E da qui viene anche la propo-sta: custodire la terra, facendo alleanzacon essa, affinché possa continuare adessere, come Dio la vuole, fonte di vi-ta per l’intera famiglia umana»(Papa Francesco ai Dirigenti della Con-federazione Nazionale Coldiretti,31/01/15).

LUCECONTRO

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quante sono le persone che compongo-no la comunità. Ma, pur nella grande va-rietà, si possono notare alcune tendenzee anche come la sincerità non coincidecon la verità e/o con tutta la verità.Non è raro trovare persone poco riflessiveche, anche per un certo senso di inferioritànon elaborato, sembrano programmate apuntualizzare qualsiasi cosa venga detta.Correggere una persona, significa sapernedi più, essere e sentirsi migliori. Se una, ad esempio, dice che parte con iltreno delle nove, subito ribadiscono: “No,è alle nove e tre minuti”. Se un’altra diceche fa caldo, con tonalità a volte poco ri-spettose, affermano: “No, oggi è più fre-sco di ieri” e così via. Se poi chi viene rim-beccata è piuttosto tesa, può nascere unpoco simpatico battibecco dove non c’èné sincerità né verità, ma superficialità, stu-pidità o una innocua patologia.Non mancano persone che, per l’educa-zione ricevuta e spesso per una profondainsicurezza di base, tendono ad essere ri-gide e a cercare sicurezza attraverso diver-se forme di controllo. L’aver tutto o il più possibile sotto control-lo dà sicurezza e placa l’ansia che qualco-sa/qualcuno, sfuggendo al proprio con-trollo, possa in qualche modo nuocere. Riguardo alla verità, credono di posseder-la. Possedendo la verità, non possono sba-gliare nè ammetterlo. Il loro atteggiamen-to nei confronti degli altri non è direttamen-te violento, ma profondamente offensivo.Di solito sono sincere, hanno un buon lin-

Dalla sincerità alla verità

Maria Rossi

Nel parlare usuale, i termini sinceritàe verità sono ritenuti come sinonimi e sono utilizzati indifferentemente,come se l’uno equivalesse all’altro. Di una persona che di solito è sincera,si dice anche che è veritiera. In realtà i due termini hannosignificati simili, ma anche contenutidiversi. Secondo il Dizionario della lingua italiana, sincero è colui“che rifugge da qualsiasi inganno o falsità nel comportamento o nell’atteggiamento” e sincerità è corrispondenza di un’espressione o di un comportamento all’effettivomodo di sentire o di pensare. Veritiero è colui che è “fedele e conforme al vero, sincero” e la verità è “rispondenza alla realtàeffettiva”, ma “il concetto [di verità] è naturalmente suscettibile di tutte le limitazioni relative alla soggettivitàdella conoscenza”.

Possibili atteggiamenti

Se ci si pone all’interno dello scorrere del-la quotidianità e si osserva con occhio be-nevolo, distaccato, senza pregiudizi epositivamente critico il vivere e il comu-nicare di una nostra o di una qualsiasi co-munità umana si possono cogliere i diver-si atteggiamenti assunti da coloro che co-municano la propria verità. Spesso, questi atteggiamenti, sono tanti

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guaggio anche se piuttosto formale e ri-petitivo. Non sanno ascoltare e quandolo fanno, invece di porsi nell’atteggiamen-to di comprendere le ragioni dell’altro,sono attente a cogliere l’errore o la lacu-na per intervenire e affermare quanto, se-condo loro, è vero e giusto. Tendono a indottrinare, a obbligare, otte-nendo, spesso, l’effetto contrario. Se poihanno un buon titolo di studio, è quasi im-possibile tentare di esprimere la propria ve-rità, oppure, se si riesce ad esprimerla, que-sta non tocca l’interlocutore, ma torna in-dietro come un boomerang. Di fronte a queste persone, si può averel’impressione che non siano sincere, maquello che manca non è la sincerità, è la ca-pacità di consentire alla verità di emergere,di avere mille sfumature e di essere liberada costrizioni moraleggianti. Questo atteggiamento è soprattutto dichi, assumendo un ruolo di comando, siidentifica troppo nel ruolo, cerca la sicu-rezza nel ruolo e scambia il servizio dell’au-torità con l’autoritarismo.Nelle comunità umane, religiose compre-se, ci sono persone oneste, buone, che do-po aver dato spazi adeguati alla preghierae all’aiuto, riempiono il tempo libero racco-gliendo notizie di ogni tipo, in particolaredei fatti di cronaca e di quanto si dice nelpaese o nella comunità. Nascite, morti, fallimenti, litigi, matrimoni,tradimenti, eredità, cambi di casa, debolez-ze, deviazioni e altro vengono registrate ericordate con una discreta precisione. Queste persone hanno una particolareabilità nel mettere insieme i frammentiraccolti e costruire profili apparentemen-te coerenti. La cosa strana è che, sebbeneavanzate in età, credono fermamente ai pro-fili da loro costruiti e si meravigliano se qual-cuna/o fa qualche cenno di dubbio o di dis-senso. La tale e il tale, secondo loro, sonoproprio così. La sincerità in questi casi for-

se non manca. Qualcosa di vero ci può es-sere. Tutta la verità sul mistero della perso-na, però, sfugge non solo alle dicerie, maanche alla stessa interessata. Una cosa cu-riosa, facilmente osservabile, è che, se lapersona di cui si sono sottolineati aspetti ne-gativi muore, con estrema disinvoltura, sicambiano i toni e anche i contenuti.Alcune persone, buone e piuttosto timide,di fronte a tipi autoritari e a quelli che, cre-dendo di saper tutto, sono sempre lì a rim-beccare quanto si dice, tendono a dire quel-lo che fa piacere all’interlocutore, traden-do la verità e salvando il quieto vivere. Non si tratta, però, di persone bugiarde,perché, in un clima di fiducia e di rispet-to, sanno dire quello che pensano. In questi casi, comunque, non è salva néla sincerità né la verità.

Nel dialogo rispettoso, “cercarla pur sapendo di non saperla mai”

Un presupposto e una buona premessa al-la conoscenza della verità è la sincerità, mala sincerità da sola non porta a tutta la ve-rità. Tutte/i abbiamo l’esperienza dellemodalità diverse nel descrivere una stes-sa situazione. Se uno, ad esempio, si tro-va a osservare una manifestazione di pro-testa al di fuori della ressa, la vede e la de-scrive in modo diverso da chi si trova den-tro o da chi la vede alla televisione. Nel descrivere quanto visto e vissuto, ognu-no è sincero, ognuno esprime la sua verità,ma, non potendo conoscere tutta la realtàdella manifestazione, nessuno può dire ocredere di possedere tutta la verità. Se poi, come su tanti fatti incresciosimanca la sincerità, si può indagare ancheanni e con strumenti sofisticati senza riu-scire a cogliere la verità.Se non è facile cogliere tutta la verità perquanto riguarda la conoscenza degli even-ti, per quanto riguarda la verità racchiusa nelmistero della persona, il problema diventa

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più della verità ideologica e dell’oppres-sione violenta”. (Brena, 119).Offrire un ascolto empatico alla persona di-versa per religione, per cultura, per età nonsignifica rinunciare alla propria identità e ve-rità e neppure assumere acriticamentequella dell’altra/o, ma arrivare ad un con-fronto sereno, privo di preconcetti perampliare i propri orizzonti e andare versouna verità sempre più piena e, come diceNicola Cusano, continuare a “cercarla pursapendo di non saperla mai”.Il filosofo gesuita Gian Luigi Brena, rifletten-do sulle filosofie e sulla cultura occidenta-le, afferma: «Manca l’interesse alle ragionidegli altri, mentre si ritengono le proprie ra-gioni assolutamente valide per tutti. La verità è stabilita a priori da una sogget-tività unificata, e concepita come unica eassoluta e quindi univoca, ed esclusiva diogni concezione diversa. Anche il pluralismo postmoderno non su-pera lo scoglio di una assolutezza unila-teralmente stabilita e non comunicante,anzi escludente. In questa specie unila-terale di verità si annidano una forma euna radice della violenza anche quandosi esclude la violenza fisica, che giungea imporre la propria verità. Per disinnescare questa carica di violen-za, la verità deve diventare consapevoledella propria storicità, dei propri limiti edella propria fallibilità, restando apertaalla verità degli altri e al dialogo che fa co-municare le diversità, aprendo alla ricer-ca comune di una universalità concreta»che avvicina alla Verità. (Brena Gian Luigi, Dialogo tra civiltà e seco-larizzazione. Per una laicità non secolaristi-ca, Messaggero, Padova 2012, pag. 120).

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ancora più delicato. Osservare il com-portamento può essere di aiuto in un pri-mo momento, ma quello che si rende in-dispensabile è creare un clima di fiducia,di accoglienza, privo di pregiudizi perpoter entrare in dialogo e porsi in ascoltorispettoso, attento, empatico delle perso-ne direttamente interessate. Ultimamente, con l’avvento di papa France-sco, si sottolinea molto l’atteggiamento dirispetto dell’altro, del diverso per religione,per etnia, per cultura, per povertà, per dif-ficoltà fisiche e della necessità dell’accostar-si a ciascuno come a un territorio sacro, “to-gliendosi i sandali”. In psicologia si parla di empatia, di ascoltoempatico, cioè dell’atteggiamento che of-fre la propria attenzione ad un’altra perso-na, mettendo da parte le preoccupazioni ei pensieri personali. Si tratta di un ascoltonon giudicante, ma recettivo e concentra-to sulla comprensione dei sentimenti, deivalori, dei bisogni dell’altra/o. Solo così è possibile cogliere la verità del-l’altra/o, confrontarla con la propria, non perrinunciare al proprio pensiero, ma per pu-rificarlo e ampliarlo.In questi ultimi tempi attraversati da sem-pre più frequenti flussi migratori, oltre al-l’ascolto empatico personale, occorre attrez-zarsi anche per un ascolto empatico inter-culturale e interreligioso. Siamo cresciuti in una cultura che, facendo-ci credere di essere i detentori dell’unica ve-rità, ha favorito una sorta di antagonismocon i diversi, soprattutto per religione, e haindotto all’esclusione e alla violenza, più chead un sano interesse per le loro ragioni, peri loro valori, per la loro verità. Arrivare a “una verità consapevole deipropri limiti e della propria fallibilitàresta indispensabile precisamente persmascherare la violenza della verità uni-voca, assoluta ed escludente e ancor

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Allargate lo sguardo

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za costantemente l’illusione di ridurre la di-stanza che ti separa dalla giovinezza. Tra l’altro la pubblicità ha studiato benequesto tratto degli adulti e ha fatto dellagiovinezza la grande macchina di felicitàdegli adulti odierni. E se rimanere giovani è d’obbligo, qualespazio hanno di fatto i giovani? Questo amore degli adulti per la giovinez-za non nega forse ai giovani la possibilitàdi essere realmente protagonisti, destinan-doli all’invisibilità e all’oblio? A questa generazione di adulti che ha re-so la giovinezza un mito, un’idea platoni-ca o, addirittura, una religione, un culto,un idolo cui sacrificare il protagonismogiovanile potremmo appartenere anchenoi educatori ed educatrici. “Insieme, con i giovani” è una delle trescelte di conversione pastorale delCGXXIII e la sua posizione negli Atti è si-gnificativa! Il “Trasformate dall’incontro” custodisce alcentro “Insieme, con i giovani” che ha co-me sua conseguenza l’essere “Missiona-rie di speranza e di gioia”. Per cui l’incontro con Dio ci trasformaquando facciamo della presenza dei gio-vani non solo un “paragrafetto” dei nostridocumenti, ma “il punto di partenza delnostro impegno ad incarnare il carismasalesiano”. Certo, in un modo o nell’altro anche sudi noi la cultura esercita una qualche in-fluenza, per cui se educare è un po’ co-me generare, inconsapevolmente, anche

Con i giovani

Palma Lionetti, Emilia Di Massimo

Essere comunità aperte e accoglienti:spazi di Vangelo in cui Gesù sia al centro; dove con i giovani possiamovivere lo spirito di famiglia tipico di Valdocco e Mornese nel rispetto diogni persona e nella corresponsabilità.Essere con i giovani richiede di superare rapporti formali,funzionali e frettolosi e di puntaresull’incontro autentico, vissuto nello spirito di famiglia e nell’accompagnamento salesiano.(Atti CG XXIII).

Nella cultura anti-age...Quale posto per i giovani?

La parola d’ordine nella cultura estetica con-temporanea è “idratazione” e la sua batta-glia combattuta a colpi di creme o di bistu-ri è quella contro le rughe! Così con ogni mezzo a disposizione sicerca di frenare l’inarrestabile cammino deltempo, i cui segni sono stampati sul nostrocorpo, sul nostro viso e, nonostante tutti inostri tentativi di correggerli o addiritturafollemente di eliminarli, il suo passaggio ri-mane inevitabile. La carta di identità può pure dichiarare 50anni, ma la tua pelle deve dichiararne lametà e i nemici numero uno che possonoattestare il contrario sono lo specchio, la bi-lancia, la dieta che non si riesce a portarea termine, la palestra che per frequentarladopo il lavoro richiede orari impossibili, laprofumeria che con i suoi prodotti vaporiz-

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per noi educatrici ci può essere una sor-ta di “paura del figlio”. Così, come per una donna, quelli che do-vrebbero essere i nove mesi più belli e se-reni nella vita spesso diventano mesi di an-goscia, dubbi e paure che rovinano l’incan-to della maternità, anche per una educatri-ce generare nell’educazione potrebbe es-sere vissuto con qualche paura. Perdere la propria forma fisica per le don-ne è un timore che può sembrare “stupido”e meno confessato ma presente soprattut-to tra le mamme più giovani, le quali temo-no di non essere più attraenti per il propriopartner, non riuscendo a gestire i cambia-menti di “forma” che un figlio comporta. Per noi educatrici la paura che potrebbeprenderci rallentando se non impeden-do “la conversione pastorale” che comedice papa Francesco al n°25 dell’Evange-lii Gaudium “non lascia le cose comestanno”, ma richiede un cambiamento diri-forma, appunto, delle strutture, delleconsuetudini, stili, orari e linguaggio!

Così la tentazione dell’autopreservazioneprende anche noi quando i giovani, i figliche generiamo nell’educazione con la lo-ro presenza comportano necessariamentedei cambiamenti strutturali alla nostra vita.

Trasformate dall’incontro

Gli incontri che contano ti cambiano la vi-ta, non ti lasciano come ti hanno trovato.Se i giovani sono per noi il “luogo teolo-gico” dove incontriamo Dio, allora que-sto incontro ci trasforma profondamen-te, non come una “foto-ritocco”, ma ci ri-crea continuamente. Incontrare l’altro, soprattutto quando sitratta dei giovani, significa “uscire”, esse-re “fuori” un’espressione che se da un la-to mette in risalto quella follia o insensa-tezza, dall’altro tante volte fa genialeun’azione o una persona. Nel Magistero di papa Francesco “l’incon-tro” è la categoria-chiave che chiede unaChiesa “in uscita”, una Chiesa missionaria,estroflessa verso il mondo, aperta alla

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ché anche i giovani sappiano con noiabitare la storia alimentando la cultura del-l’incontro che poi è quella della recipro-cità, dell’armonia delle differenze.

Donne felici

Nella Chiesa cattolica si indica con l’appel-lativo di suora la donna consacrata e rico-nosciamo che il termine equivale a “sorel-la”. Inoltre, in molti Paesi è consuetudinedefinire le suore madri e, certamente, nel-l’immaginario comune, evoca qualità posi-tive della persona. In fondo, sono terminiche esprimono i valori nei quali ciascuna dinoi crede, ma sappiamo bene che si posso-no vivere nella misura in cui la nostra iden-tità corrisponde a quella di essere donne fe-lici. La felicità autentica permette di esserefeconde, di generare i giovani alla vita in Ge-sù. Crediamo che sia questa la missioneprioritaria alla quale siamo chiamate: esse-re sorelle e ausiliatrici per l’esistenza dei gio-vani, madri che generano vita e la irradia-no, donando amore e gratuità, doni che igiovani sanno individuare tra le sfumaturedelle vicende, persino all’interno degli ine-vitabili limiti, ai quali sono sensibilissimi. Dunque, educare ci chiede di essere don-ne felici, e se la felicità è una realtà interio-re si diventa, quasi a nostra insaputa, sorel-le e madri; diversamente, forse, non sarem-mo in grado di rispondere con autenticitàa quanto i giovani attendono da noi. In un tempo di liquidità ad ogni livello,è davvero urgente avere una chiara e de-finita identità, felice e stabile, per esse-re principalmente con ciò che siamo, piùche con l’agire, “missionarie di speran-za e di gioia”. Declinato nella concretez-za del quotidiano, significa servire i gio-vani e le persone che in qualche modoincrociano la nostra strada, che hanno bi-sogno di noi, di un sorriso, di un abbrac-cio, di una parola, di una stretta di mano,di uno sguardo espressivo.

realtà, perché il Vangelo sia annunziato atutti, a chiunque, in qualunque situazio-ne di vita si trovi. Una Chiesa che sa es-sere semplice nelle sue espressioni, na-turale, ordinaria, direi normale. E questo per raggiungere tutti e nel tuttiper noi fma, educatrici e madri, ci sono igiovani, ogni giovane! Una pastorale “in uscita” è una pastoraleche progetta a partire da quello che ha re-spirato per strada che sa mettersi in stato dicambiamento continuo; le parole del suocambiamento sono: positivo, prossimo,accanto, presente, non giudicante, gioco-so, cordiale, piacevole. E il suo stile saràquello della concretezza, pazienza, rispet-to dei tempi dell’altro, accettazione del fal-limento e capacità di ripartire, aperti allasperanza, all’immaginazione, al sogno. Scegliere allora di lasciarsi “trasformaredall’incontro”significa che “il cammina-re”, il non restare fermi diventi più che lametafora, la reale condizione personalee comunitaria per condividere la vitacon i giovani. Camminare, affidandosispesso all’intuizione, alla scelta improv-visa, a quanto può sorprenderci, alle oc-casioni a volte uniche, è saper vivere pie-namente anche nella mutevolezza, nellaimprevedibilità del percorso, e persinonel perdere la meta, strada facendo. Camminare senza posa, è un disporsi con-tinuo ad apprendere. Camminare ci educae rieduca alla concretezza, ci invita a coglie-re l’istante, perché sai, che forse quel gio-vane puoi anche non incontrarlo più, cispinge a rifiutare l’immobilità e a saper dia-logare con tutti per via. Comunque, credenti e non, se viandanti, siè sulla strada di Emmaus. Ricordandoci che nella cultura contempo-ranea non siamo gli unici, né i primi, né ipiù ascoltati, senza per questo percorre-re la strada del relativismo, ma quella del-la compagnia con tutti, dell’ospitalità per-

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Sorelle e madri

Essere sorelle e madri, è possibile unica-mente se sentiamo dentro di noi che c’èuna forza potente, la forza di donare la vi-ta, la quale spinge a pensare prima agli al-tri che alle proprie esigenze, da quelle piùelementari quali i bisogni di fame, di son-no, di stanchezza, alle proprie paure e fra-gilità, ai personali imiti e fatiche. «La consacrata è madre, deve essere madree non zitella», ha detto papa Francesconell’Udienza dell’ 8 maggio 2013, spiegan-do il senso della castità come “carismaprezioso, che allarga la libertà del donoa Dio e agli altri, con la tenerezza, la mi-sericordia, la vicinanza di Cristo”. È la fecondità spirituale che i giovani col-gono mediante tutto ciò che siamo, chediciamo, tramite il nostro comportamen-to che, pur così umano, tuttavia comuni-ca Chi ha il primato nel nostro cuore. I giovani hanno il desiderio di incontra-

re donne mature che, avendo trovato il si-gnificato della propria esistenza, li aiuti-no a scoprire il senso della loro vita, cer-cando di praticare quanto Edith Stein, nel-l’opera sulla dignità e vocazione delladonna, afferma: «La donna è la protezio-ne e quasi la dimora di altre anime che inlei possono svilupparsi. Questa duplicefunzione di compagna dell’anima e di ma-dre delle anime, non è limitata agli stret-ti confini dei rapporti matrimoniali ematerni, ma si estende a tutti gli esseriumani che entrano nel suo orizzonte».I giovani con i quali condividiamo la nostravita, in genere manifestano in svariati mo-di un silenzioso grido d’aiuto, pertanto, ne-cessitano di essere incoraggiati perchépossano trovare la fonte dell’amore in lo-ro stessi. Crediamo che ogni loro sofferen-za può essere affrontata in buona parte dal-la nostra disponibilità a guardare con tene-rezza i loro cuori, senza mai giudicare né fa-re moralismo. Siamo chiamate ad amare, ma

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zi la loro stessa e complessa vita giovani-le, che sappiano affiancarli sulla stradache essi percorrono e, insieme con loro,essere ricercatori del vero, del bello delgiusto e del buono. Essere quindi perso-ne ricche in umanità, maestri e testimo-ni che indicano con la loro vita il percor-so da seguire, sanno ridestare le do-mande di senso e offrono l’esperienza dicomunità cristiane credenti e credibili.

Amorevolezza: un atteggiamento quotidiano

La seguente e famosa espressione di donBosco: “I giovani non siano solo amati, mache essi conoscano di essere amati”, è at-tuale in ogni epoca e per ciascuna stagio-ne della vita, in particolare dei giovani. Si tratta di un atteggiamento quotidiano,

di un amore che non pone condizioni, noncerca di trattenere ed è rispettoso della li-bertà altrui. Ciò è possibile se ci si eser-cita continuamente per amare chiunque,indipendentemente dalla relazione che siha e dai sentimenti che si provano, anchese è umano avvertirli ma, chi ha deciso divivere la vocazione ad essere sorella e ma-dre, sa andare oltre e non assecondarequanto prova. Non è facile amare senzatrattenere, ascoltare senza giudicare, con-sigliare senza imporre e donare senza pre-tendere; tuttavia, possiamo riuscirci se perprime facciamo ogni giorno una taleesperienza mediante il Pane e la Parola, lavita di comunione e gli stessi giovaniche abitano la nostra vita. Dare priorità alla vita di preghiera non esi-me dall’impegno di essere sempre piùeducatori preparati per vivere con i ragaz-

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che non si può identificare con il sempliceamore umano. Esprime una realtà comples-sa ed implica disponibilità, coerenza nellostile di vita e comportamenti adeguati. L’amorevolezza, insieme alla ragione e al-la religione, si traduce nell’impegno dell’e-ducatore di essere una persona totalmen-te dedita al bene dei ragazzi che gli vengo-no affidati, presente in mezzo a loro, pron-ta ad affrontare sacrifici e fatiche nell’adem-piere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità diconoscere veramente i giovani, di ascoltar-li, e un vero desiderio di stare in mezzo aloro, di essere con loro e per loro. Veramen-te il cuore di noi consacrate dovrebbe ripe-tere sempre: “Qui con voi mi trovo bene: èproprio la mia vita stare con voi!” Alla luce di ciò, è importane essere perso-ne in grado di far sentire ai giovani che ciprendiamo cura di loro, che li amiamo, nonsolo a parole, ma anche e soprattutto coi fat-ti, dimostrando affetto e interesse per il lo-ro universo che può insegnarci tanto. Infatti, il vero educatore partecipa alla vita deigiovani, si interessa ai loro problemi, cercadi rendersi conto di come i ragazzi vedonole cose, prende parte alle loro attività spor-tive e culturali, alle loro conversazioni. Si pone nei loro confronti come amico ma-turo e responsabile, prospettando loro iti-nerari e mete di bene, interviene per chia-rire problemi, per indicare criteri, per cor-reggere con prudenza e amorevole fermez-za. Si crea così un clima di “presenza peda-gogica” nel quale l’educatore è considera-to “un padre, un fratello e un amico”. In questa prospettiva si punta anzituttoa coltivare e curare le relazioni persona-li. Don Bosco ama usare il termine ‘fami-liarità’ per definire il rapporto correttotra educatori e giovani. La lunga esperienza lo aveva infatti convin-to che senza familiarità non si può dimostra-re l’amore, e senza tale dimostrazione non

può nascere quella confidenza, che è con-dizione indispensabile per la riuscita dell’a-zione educativa. Il quadro delle finalità daraggiungere, il programma, gli orienta-menti metodologici che sono l’obiettivoa cui deve aspirare ogni educatore acqui-stano concretezza ed efficacia se vissutiin ambienti sereni, gioiosi, stimolanti, incui il giovane si sente a suo agio. Il Capitolo Generale XXIII ha ben eviden-ziato tale realtà che soggiace ad ogninuovo orientamento che ci chiede di “al-largare lo sguardo”. Nella spontaneità ed allegria delle relazio-ni, l’educatore dovrebbe saper cogliere imodi di intervento, tanto lievi nelle espres-sioni, quanto efficaci per la continuità e ilclima di amicizia in cui si realizzano. L’incon-tro, per essere educativo, richiede un con-tinuo ed approfondito interesse che portia conoscere i singoli personalmente ed in-sieme le componenti di quella condizioneculturale che è loro comune.Non da ultimo, l’educatore guarda ogni gio-vane con un occhio speciale, trova il cana-le giusto con cui giungere al suo cuore perriuscire a parlargli e fargli percepire che loama. Ciò che muove l’educatore è il desi-derio di aiutare i giovani a formarsi comeuomini e donne onesti e rispettosi dei va-lori e della cultura, persone che conosco-no e riconoscono l’importanza della fami-glia, dell’amicizia, dei rapporti interperso-nali, il tutto in un’ottica di rispetto delle re-gole che la società detta. L’obiettivo dell’educatore che opera conamorevolezza è quello di aiutare i giovania formarsi “buoni cristiani e onesti cittadi-ni”, pronti a operare a loro volta con amo-revolezza nei confronti di chi gli sta accan-to, prendendo coscienza del fatto che la lo-ro vita e il momento che stanno vivendo (lagiovinezza) non è solo un momento di tran-sito tra l’infanzia e l’età adulta, ma un tem-po vivo e fecondo per la costruzione della

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o personalità e per la formazione della per-sona che si aspira di diventare. Don Boscoaltro non ha fatto se non comprendere apieno ciò che Dio continuamente ci mani-festa: il Suo progetto d’amore non è soloteorico, non pretende da noi che ci fidiamodi Lui a prescindere, ma ci insegna e ci di-mostra quotidianamente che ci ama. L’attualità del concetto di amorevolezza sirinnova di generazione in generazione e,anche se deve tener conto dei cambiamen-ti sociali e culturali in atto nella nostra realtà,dalla più precoce “emancipazione” dei ra-gazzi al multiculturalismo, è sicuramenteuno dei testamenti più significativi che i no-stri Fondatori ci hanno lasciato, adatto ad

ogni situazione e ad ogni ragazzo. E proprioperché si fonda sulla conoscenza persona-le dell’educatore nei confronti di ognigiovane, deve essere la base del nostroquotidiano stare con i giovani. L’amorevolezza è davvero un mondo inte-ro di atteggiamenti e di comportamenti checiascuna ne può trovare molti altri, infinitied originali, da far diventare visibili nell’a-more che, come donne consacrate, e dun-que madri e sorelle, esprime per far senti-re ad ogni giovane che lo ama e condurlocosì alla sorgente dell’amore vero.

[email protected] [email protected]

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OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

AGENDA POST 2015

ASSICURARELA SOSTENIBILITÀ

AMBIENTALE

IL SETTIMO OBIETTIVO VUOLE ASSICURARE CHE L’AMBIENTE SIA TENUTO PULITO E PROTETTO

E CHE LE ORGANISMI VIVENTI, LE PIANTE, GLI ANIMALI E GLI ESSERI UMANI,

SIANO NELLA CONDIZIONE MIGLIORE PER VIVERE.

LO SVILUPPO ECONOMICO, PERCIÒ, DEVE ESSERE PENSATO

IN TERMINI DI SVILUPPO SOCIALE E NON PUÒ DECOLLARE

SENZA UN INNALZAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA

CHE SIA DIRETTAMENTE PROPORZIONALE ALLA QUALITÀ AMBIENTALE

CHE L’UOMO VIVE.

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OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

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…ANCHE UN PICCOLO GESTO

PUÒ FARE LA DIFFERENZA!

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TUTTI DOVREMMO RISPETTARE L’AMBIENTE IN CUI VIVIAMO… È RESPONSABILITÀ DI TUTTI TUTELARLOPERCHÉ DA QUESTO DIPENDE LA NOSTRA VITA!

OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO

AGENDA POST 2015

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Letturaevangelica

dei fatticontemporanei

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Il silenzio e la parola davanti a se stessi e aglialtri e l’incontro con la natura sono due areein cui praticare lo sviluppo e il consolida-mento della gratuità. Nell’ambito delle re-lazioni si vivono spesso rapporti di estra-neità. Ci si accoglie sulla base dell’utilità esi frequenta chi è simile per esserne rassi-curati. Gli inutili, gli anziani e gli handicap-pati in particolare, sono banditi dai rappor-ti interpersonali. Il linguaggio è formale e

Il bisogno di gratuità

A cura di Mara Borsi

Il cammino educativo alla gratuitàinizia nel riconoscimento della domanda di gratuità che i giovani si portano dentro. Un ambiente educativo abilitaall’essere gratuiti quando riconoscel’altro e la «novità» di cui è portatore.

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Sono Daniela Maccioni di Roma, laureata inDiritto umanitario e diritti umani. Collaboro come consulente legale pressoun’Organizzazione non governativa (On-lus) che offre orientamento ed assistenzagiuridica a richiedenti asilo, rifugiati e mi-nori stranieri non accompagnati. Il mio percorso è iniziato nel 2007, annoin cui io e la mia migliore amica Claudia,al termine degli studi universitari, abbia-mo realizzato il nostro grande sogno:partecipare ad un progetto di volontaria-to internazionale in Africa. Abbiamo così conosciuto il Vides Interna-zionale. Cercavamo una Onlus seria, affida-bile, che offrisse delle garanzie ed un mini-

mo di formazione ai giovani volontari “alleprime armi”, desiderosi di partire per cam-pi di volontariato in Paesi non sempre faci-li. Con grande motivazione, entusiasmo evoglia di fare, siamo partite per Dilla, un pic-colissimo villaggio nel sud dell’Etiopia, sul-la strada che porta in Kenya, a 6 ore di jeepda Addis Abeba. Lì ci attendevano con tre-pidazione e grandi sorrisi circa 400 bambi-ni di età compresa tra i 4 e i 12 anni. La giornata era sempre piena di mille attività:al mattino corso di inglese per i bambini diDilla e dei villaggi circostanti per il supera-mento dell’esame di ammissione alla scuo-la; mentre al pomeriggio l’oratorio, i balli digruppo, i giochi di squadra, la scuola di cu-

La parola ai giovani

in ricerca

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cito. Tanti sono i ricordi e i momenti di con-divisione con i bambini, le suore, i volonta-ri etiopi e il gruppo di volontari italiani delVides. Ricordo i momenti trascorsi a prepa-rare le lezioni e i giochi di gruppo, i momen-ti di riflessione e dibattito per migliorare. Ricordo i tanti bambini con la loro matita eun foglio di carta in mano ad attendermi sul-la porta dell’aula per entrare. Non importava il dover fare chilometri a pie-di per raggiungere la scuola, o affrontare untemporale tropicale, ciò che contava erache qualcuno gli dedicasse del tempo, chequalcuno gli insegnasse qualcosa. L’esperienza con il Vides Internazionale inEtiopia ha profondamente segnato le no-stre vite. Di ritorno dall’Africa Claudia siè iscritta al corso di Laurea specialistica inCooperazione allo sviluppo ed attual-mente lavora per una Onlus impegnatanella lotta alla povertà, alla fame e alle in-giustizie sociali. Io, invece, ho iniziato unanuova esperienza di volontariato presso

l’Ufficio dei Diritti umani delle Figlie diMaria Ausiliatrice a Ginevra. Se guardo indietro ripenso ai tanti insegna-menti ricevuti da questa esperienza di volon-tariato. Il sorriso dei bambini nell’apprende-re cose nuove, il loro primo buongiorno ininglese, i loro piccoli progressi. Ho capito che volevo dedicare il mio tempo,le mie energie per lottare, affinché le perso-ne, in particolare i bambini, i richiedenti asi-lo, potessero godere dei loro diritti. Ho imparato che l’ostinazione, la perseve-ranza, il sacrificio nel raggiungere l’obietti-vo di promuovere e proteggere i diritti uma-ni sono le uniche armi per poter vincere, esuperare anche quei momenti di frustrazio-ne, di sconforto e di dubbio che si presen-tano durante il cammino. Oggi sono più determinata grazie all’esem-pio dell’instancabile e costante lavoro del-le Fma con cui ho avuto la fortuna di colla-borare e di condividere tratti del mio per-corso di vita.

le parole sono di convenienza perché nonemergono dal profondo. Per uscire daquesta situazione occorre ritrovare il gustodel silenzio e il senso della parola.

Silenzio e parola

Silenzio, anzitutto, davanti al mistero del-la propria vita per diventare capaci di cono-scersi e accogliersi nella calma e nella so-litudine. Questo non basta: occorre analiz-zare a fondo il proprio vissuto e far sì cheogni parola nasca dal profondo o sia alme-no invocazione di profondità.Silenzio, in secondo luogo, davanti agli al-tri. Vuol dire apertura al mistero che è l’al-tro, disponibilità a lasciarsi sorprendere dal-la ricchezza che è l’altro e accogliere la suasofferenza senza troppe parole di conve-

nienza. Un aspetto della gratuità è l’aiuto al-l’altro, perché trovi la «parola» per nomina-re le proprie ed altrui esperienze, per col-legarle in un insieme di significati, per faremergere una domanda di senso e di tra-scendenza. La gratuità si esprime anchenel rapporto con la natura e le cose. Comprende il rispetto per le risorse na-turali e una nuova disciplina nella loro uti-lizzazione. Non deve essere la paura di unfuturo senza risorse a spingere all’ecolo-gia, ma la convinzione che la distruzionedella natura cambia l’equilibrio psicofisi-co della persona umana. Gratuità vuol dire, dunque, recuperare ilsenso del mistero della natura, immerger-si in essa e lasciarla parlare.

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bisognava che il Cristo patisse queste sof-ferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profe-ti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò chesi riferiva a lui. Ed essi dissero l’un l’altro:«Non ardeva forse in noi il nostro cuorementre egli conversava con noi lungo lavia, quando ci spiegava le Scritture?».

Lettura: Il testo in se stesso

Lo sconosciuto incomincia a parlare, comeun profeta. Che cosa sta dicendoloro?(vv.25-26). “Il Messia ha sofferto per en-trare nella sua gloria”. E questa è la confer-ma della missione redentrice. La Passione di Cristo non è avvenuta perla malvagità dei suoi nemici ma per un di-segno di Dio. (Cf. vv. 26. 44.).

Emmaus: parlare al cuore

Eleana Salas

Ambientazione

Una Bibbia grande e vicino un cero accesoal centro della sala e per ogni partecipante.

Invocazione allo Spirito Santo

Una preghiera o una canzone, nota a tutti,per invocare l’azione dello Spirito Santo.

Il contesto

Probabilmente la situazione esistenzialedelle comunità per cui Luca scrive si trova-va in profonda confusione: questi cristianidi seconda o terza generazione, inizialmen-te entusiasti per la loro adesione a Gesù, ilCristo, incominciano a cedere, appena è sta-to loro annunciato che Gesù sarebbe pre-sto ritornato trionfante. Nel corso degli an-ni, i testimoni oculari scompaiono, ma Ge-sù non torna!; incominciano a sentire lemolestie della comunità ebraica e la cultu-ra greco-romana, e Gesù non ritorna!Dio ha detto di stare sempre con noi: do-ve lo incontreremo?Uno dei “segni” della sua presenza è cer-tamente la Parola: è Gesù che ascoltiamoquando la Chiesa proclama le Scritture. Lu-ca lo esprime con l’icona di Emmaus.D’ora in poi la Chiesa imparerà a leggerela Scrittura guardando a Gesù come lachiave interpretativa, il luogo della mani-festazione del Signore.

Lucas 24, 25-27.32

Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a crede-re in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non

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“Ha spiegato di Lui ciò che sta nelle Scrit-ture”. Questa è la chiave della preghiera.Commenta il v. 45 di questo capitolo.“Non ci ardeva il cuore mentre egli ci par-lava ... “ . L’ esperienza mistica di Israele alSinai è stata vissuta dai discepoli ricevendodalle labbra di Gesù la spiegazione delleScritture, che gli permette di riscoprirla co-me rivelazione della sua presenza viva.

Meditazione: il testo per noi oggi

Gesù ci sfida a rivedere la nostra fede e adassumere la passione del Da mihi animas eA te le affido… A rivedere il nostro atteggia-mento di fronte alla sofferenza e al fallimen-to…La fede e la speranza ci sostengono inquesti momenti? Lasciamo risuonare nelnostro cuore questo invito del Signore?...La Parola, testimonianza scritta di Gesù vi-vente, è il luogo della rivelazione per me,per la nostra comunità? Verificare il valoreche diamo alla Parola nella nostra pre-ghiera personale e comunitaria. Rivediamola qualità della condivisione della Parola: co-me comunichiamo l’esperienza del Signo-

re, condividiamo la profondità della nostraesperienza di fede, la nostra sete di Lui?

Orazione

Ardeva il nostro cuore mentre egli parlava.Chiediamo allo Spirito Santo il dono di gu-stare la presenza di Gesù nella Parola.Chiediamo di amare, venerare e essere at-tente alla Parola.

Contemplazione – Impegno

Non basta studiare e pregare la Parola diDio, è importante che vada germogliandonella nostra vita. Confronta la proposta del-la Chiesa in questo Anno della Vita consa-crata e quella dell’ultimo Capitolo genera-le XXIII sul tema della lettura assidua e frut-tuosa della Parola di Dio. Come integro lapreghiera personale con la Parola? Come può la condivisione comunitariadella Parola rafforzare la nostra esperienzadi fede e l’amore per il Signore Gesù?Canto finale: “La tua Parola”

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ne dello Spirito Santo in ogni persona, evi-denzia ciò che è positivo e su questo co-struisce. Le sue parole e i suoi consigli so-no precisi e penetranti, convinzioni confer-mate con l’esempio della sua vita.Nelle lettere lascia affiorare il cuore, svelacon semplicità e naturalezza se stessa,esprime con libertà e umiltà i suoi senti-menti: “Hai una madre che ti comprendemolto bene” (L 141). “Mi sembra di vivere della vostra vita” (L 63).“Sento nostalgia di te, di tutte voi” (L 40). A una sorella confida: “Soffro, taccio enon so davvero a quale partito appigliarmiperché ognuna faccia il suo dovere, man-tenendo la pace in casa” (L 52).

Sempre d’accordo: delicate e sorridenti

Il suo modo di relazionarsi è semplice, con-creto, diretto: “Come state? Vi invoco gra-zie da Dio, pace, conforti, denari affinchépossiate sistemare tutto bene, ma soprattut-to mi raccomando che in mezzo a voi vi siala pace, la carità. Fate tutto, ma sempre d’ac-cordo, sempre buone, sorridenti e piene didesiderio di amare Dio” (L 41). “Dobbiamo aiutarci a vicenda, compatirele nostre mancanze generosamente sen-za far conoscere a tutto il mondo le debo-lezze nostre e quelle degli altri” (L 196). “Siate delicate nel parlare, nel tratto, nelcontegno e per tutti un buon sorriso chedica la gioia del nostro cuore per esserespose di Gesù” (L 45).Sono questi gli atteggiamenti da coltivarenelle giovani in formazione: “Ti raccoman-

Siate madri

Carla Castellino

È la consegna che i giovani e i laici hannolasciato al CG XXIII: “Siate madri colme dicompassione e di speranza per indirizza-re, responsabilizzare, incoraggiare, nutri-re la visione di un futuro più positivo pertutti. Madri che rimproverano, educano eabbracciano i giovani. Siate esigenti, senza timore di esserlotroppo, e siate dolci ed amorevoli senza ti-more di esserlo troppo poco. Le nostre case, come la nostra vita, nonpossono essere luoghi privati, ma luoghidove s’impara ad entrare in relazione, a fa-re passi di riconciliazione, a vivere l’amo-revolezza, a uscire dalla spirale della com-petizione; dove gli adulti vivono ciò chechiedono e la testimonianza dei gesti hapiù forza delle parole. Luoghi di gioia, di accoglienza incondizio-nata e attenzione ai più fragili, dove la ve-ra amicizia è possibile e si sperimenta co-sa significa contare sull’altro” (Atti CGXXIII n. 13; p. 162-163).Siate è un imperativo che esplicita la no-stra identità: “essere un riflesso dellabontà materna di Maria” (C 14); “esprime-re con cuore di madre il suo amore fortee soave, farsi tutta a tutte” (C 114).

Mateczka=mamma

È il nome nuovo, unico dato dalle sorellepolacche a madre Laura Meozzi: una vitatutta amore! Fare del bene a tutti: il suo mot-to. Far felici gli altri: la sua felicità. Si adatta ai diversi caratteri e tratta ognunoin modo adeguato; scopre e rispetta l’azio-

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do le postulanti: parla loro dell’amore fra-terno che le deve animare. L’interesse del-l’una deve essere l’interesse di tutte. Che siaiutino a vicenda e sia interesse di tutte chele altre imparino. Se una sa fare una cosa lainsegni all’altra, affinché tutte si rendano uti-li alla Congregazione. Che fra di loro ci siaarmonia, bontà e serena delicatezza” (L 59).

Sempre insieme: siamo casa, unica famiglia

Sa coinvolgere, responsabilizzare, dare fi-ducia: “Vedete insieme da buone sorel-le, combinate: sono contenta di quelloche farete; fate come meglio vedete da-vanti a Dio e per la convenienza delle co-se” (L 60; 61). “Ti consegno la responsa-bilità della casa. Lavorate in perfetta armo-nia come a casa propria” (L 145). «Sii sem-pre comprensiva e sacrificati come fa lamamma per i propri figli, senza posa; labontà di cuore ti suggerirà in ogni circo-stanza come devi fare» (L 147).

Nei suoi interventi si intrecciano e si armo-nizzano confidenza, comprensione e amo-re esigente che sa far emergere il limitechiamandolo per nome, sa porre le perso-ne di fronte alle conseguenze del loromodo di agire, sa indicare mete alte e mo-tivazioni profonde. “È più che naturale chele suore devono andare insieme. Se non lofanno, non c’è il desiderio di servire Dio incomune, non c’è unità. In questo fatto c’è

anche poco criterio e pochissimo deside-rio che nella Congregazione si mantenga ilbuon spirito. Dove si è unite là c’è Dio conla sua grazia, con i suoi favori. Quindi hodetto tutto. Sempre insieme, sempre, sem-pre” (L 61). Ad una direttrice scrive: “Ti man-do suor Emilia per la guardaroba; all’inizioci vorrà pazienza perché non ha mai fattoquest’ufficio e quindi bisognerà aiutarla; maè una figlia fedele, seria e buona. Tu vedi didimostrarle affetto, interesse e guidala be-ne. Insegna alle suore, e tu stessa impara-lo, a far festa a chi arriva perché siamo di unastessa famiglia e bisogna essere cordiali,cordialissime, per piacere a Dio e far del be-ne” (L 76). “Come vorrei far capire a tutte lesuore il dovere di lavorare il proprio carat-tere. Non avere gelosie, né ambizioni, népaura di sciuparsi a lavorare, ma cercareDio, cercarlo sempre” (L 8).

Stare in mezzo, stare con…

Nei confronti delle ragazze e dei bambiniinvita le comunità a creare un clima di fa-miglia, di libertà e di comprensione: “Trat-tate bene le ragazze; usate poche parole, fa-te molti fatti” (L 45); capitene i bisogni e, perquanto potete, accontentatele (L 218); fateper loro tutto quello che potete e sapete,senza aspettarvi ricompensa alcuna; la ri-compensa alle nostre fatiche sia un aumen-to di amor di Dio in noi” (L 220). “Farete molto bene alle ragazze se sarete inmezzo a loro per aiutarle, vigilare con cuo-re materno, dar loro buon esempio, spe-cie di serietà di vita” (L 219). “Con i bam-bini ci sia una suora sempre, sempre. Fa-teli parlare molto, correggeteli, teneteuna disciplina da famiglia per cui il bim-bo possa svilupparsi liberamente (L 118). Siate madri: una presenza senza risparmioche lascia trasparire Dio sprigiona vita earmonia!

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Per approfondire: M. DomenicaGRASSIANO, Nel paese delle betul-le, Roma, Istituto FMA 1981.Ascolta o figlia. Lettere di madre Lau-ra Meozzi pioniera dell’Opera delleFMA in Polonia, a cura di Lina DAL-CERRI FMA, Roma, Istituto FMA 1984.

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no con 19 ragazze provenienti da situazionidi povertà, offrono corsi di computer e di lin-gua inglese, catechesi, visite nei villaggi perla promozione della donna e da poco ancheuna scuola materna. L’ultima ad essere sta-ta eretta come comunità nel 2010 è quella diYangon, anche se la presenza in questa cittàrisale al 1994. Le fma si occupano dell’acco-glienza, vivono con 12 universitarie internee fanno pastorale e doposcuola. Ci racconta suor Veronica Nwe Ni Moe, di-rettrice della comunità di Anikasan: «Lìdove siamo, ci accolgono sempre molto be-ne, siamo stimate, supportate dai vescovi edalla gente del posto che in maggioranza èdi religione buddhista».

Suor Veronica dice sempre che le sfide piùgrandi che le fma si ritrovano ad affrontaresono quelle legate alla povertà economica,sociale, morale e spirituale del contesto in cuilavorano. Un fenomeno che preoccupa mol-to è quello del traffico degli esseri umani so-prattutto giovani donne e bambini. Anche la qualità dell’offerta educativa non èmolto alta a causa di un sistema in cui man-cano insegnanti educatori preparati. Si sente la necessità di educare sempre di piùalla libertà responsabile, alla pace, al dialo-go interreligioso, soprattutto in questo tem-po in cui la Nazione sta cercando vie per ar-rivare ad un sistema democratico. Il cristianesimo è visto come una religionestraniera, e in molti hanno il timore di per-dere i riferimenti alla propria cultura.

Ma le fma, sentono che questo è il tempo di

Myanamar

Anna Rita Cristaino

La storia della presenza delle fma in Myana-mar si intreccia in qualche modo con la sto-ria della Nazione, un tempo chiamata Birma-nia. Le prime fma missionarie dall’Italia, dal-l’India e da Malta arrivarono a Mandalay il 14novembre 1961 accolte dai confratelli salesia-ni, ma dovettero lasciare il Paese nel 1966,quando il governo socialista diede l’ordinedi espulsione di tutti gli stranieri. Le suore avevano iniziato le loro opere perle ragazze e stavano terminando la costruzio-ne di una scuola a Mandalay. Le fma riuscirono a rientrare nel Myanmar ead aprire una prima casa nel 1994 a Anikasan,nel distretto di Mandalay, comunità MariaMazzarello che ora è composta da 9 sorelle,10 ragazze del periodo di verifica e orienta-mento, e 50 ragazze interne a cui viene offer-ta una formazione professionale con corsi ditaglio e cucito. L’opera ha anche una scuolamaterna con 150 bambini, un doposcuola con50 ragazzi provenienti da fasce povere di po-polazione, 3 oratori con 150 bambini. Diverse sono anche le attività parrocchiali: ca-techesi, formazione dei giovani, incontri dipreghiera nella famiglia, visita agli ammalati. Attualmente sono 33 le fma in Myanmar: 26sono distribuite nelle 4 comunità del Paese,3 sorelle studiano in Italia, 2 sono in Cambo-gia e 2 nelle Filippine. Le altre comunità si trovano una a Pyin OoLwin con un pensionato per 60 studentiche vivono situazioni di rischio, una scuolamaterna, attività pastorale nei villaggi, cate-chesi, doposcuola e formazione dei giovani. Un’altra è a Chanthagon, dove le fma vivo-

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essere coraggiose nel diffondere sempre dipiù il carisma e la cultura vocazionale. La maggioranza delle fma sono giovani e il lo-ro entusiasmo va insieme alla ricerca di unaformazione e preparazione sempre piùprofonda per poter accompagnare le giova-ni con cui condividono la vita.

I giovani di questa Nazione si trovano ad af-frontare un tempo di transizione non sem-pre facile. Il sogno di un paese più democra-tico si accompagna alla conoscenza di cultu-re diverse con cui vengono a confrontograzie alle tecnologie della comunicazione.Molti sono attratti dal benessere, cercano difuggire dalla povertà, ma non sempre scel-gono la strada di lavori dignitosi. Spesso si lasciano ingannare ed entranonel giro del traffico di essere umani e del-la prostituzione. Hanno più libertà, ma nonsempre sanno gestirla, per questo si sen-te l’urgenza di proposte educative e for-

mative adeguate a loro. E tutto questo di-venta più difficile quando la pace internaè continuamente minacciata da lotte di po-tere tra diverse fazioni.

Ecco perché il lavoro delle fma è impegna-tivo, ma importante per il futuro della Nazio-ne stessa. Attraverso l’educazione si posso-no salvare intere generazioni. Suor Veroni-ca nel suo racconto, condivide con noi la sto-ria di Margaret, una delle tante che testimo-niano come il lavoro delle nostre sorelle siincarni nel tessuto quotidiano di tante per-sone che hanno bisogno di sostegno.

La storia di Margaret

«Margaret è una ragazza di 19 anni arrivatanella nostra comunità due anni fa comestudentessa di taglio e cucito, orfana di tut-ti e due i genitori. Ha solo un fratello mag-giore già sposato con figli. Non ha avuto l’opportunità di studiare. La ca-

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la attraverso di voi, care sorelle, e so che Ge-sù ha perdonato tutti come ho imparato davoi nella catechesi. Dio ci perdona e ci amasempre. Anche io vorrei essere una figlia diDio che sa perdonare. Aiutatemi e suggeritemi cosa devo fare perfavore. Se mio fratello maggiore sa questa miasituazione mi ucciderà. Ho tanta paura”. Quando abbiamo sentito questo, abbiamopensato di metterci in contatto con le sorel-le del Buon Pastore che hanno più esperien-za nel seguire casi come questo. Margaret ciha dato fiducia e ha accettato la proposta ditrasferirsi da queste suore, tra cui c’era ancheuna mia amica che conoscevo bene. Qui Mar-garet è stata aiutata a dare alla luce sua figlia. Mentre era con le sorelle del Buon Pastore,abbiamo mantenuto contatti telefonici eabbiamo chiesto l’aiuto materiale e moralead alcuni parenti delle nostre suore che vi-vono vicino alle suore del Buon Pastore. Margaret, con tanta sofferenza, ha dato inadozione la sua bimba. Ha sentito forte il di-stacco da lei, ma ha pensato ad un futuro se-reno per sua figlia. Margaret adesso è di nuovo con noi per con-tinuare il suo percorso di formazione e cer-care di costruirsi un futuro dignitoso. L’espe-rienza vissuta le ha cambiato la vita. La suabimba le rimarrà sempre nel cuore e non saràfacile per lei abbandonarne il ricordo. Questa esperienza ci ha mostrato concreta-mente come il lasciarsi trasformare dall’in-contro con Gesù, porta a scegliere la vita.Margaret ci ha dato testimonianza di comesi può arrivare a perdonare anche in modosofferto qualcuno che ci ha fatto tanto delmale. E noi in Margaret abbiamo incontratoquel Gesù che viene per chiederci opere dimisericordia. Il desiderio è quello di esseresempre di più mediatrici dell’’amore preve-niente di Dio dando forza al nostro incontropersonale con Lui».

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techista del suo villaggio aveva sentito par-lare del nostro centro di promozione delladonna attraverso le nostre exallieve e le haproposto di venire da noi. Margaret è una buona ragazza, silenziosa,bella, semplice, con grande senso di re-sponsabilità e mentre era qui riusciva benenel taglio e cucito. Era felice con noi e si tro-vava bene. Trovava interesse in tutte le pro-poste, sia quelle formative e di catechesi,che tutto ciò che riguardava la cura della suapersona. Partecipava alla preghiera e allacondivisione della Parola. Soprattutto le dava gioia lo spirito di fami-glia che respirava nella nostra casa. Dopo alcuni mesi che era con noi, ha inizia-to ad accusare dolori allo stomaco e le si gon-fiavano i piedi. La dottoressa che l’ha visita-ta ci ha detto che era incinta di quattro me-si. Lei stessa ci ha raccontato di aver subitoabusi da un uomo nel suo villaggio. Era molto arrabbiata, non voleva accettare diessere incinta, non riusciva a perdonarequell’uomo e avrebbe desiderato morirelei e far morire la bambina. Noi abbiamo cer-cato di affrontare questa situazione contanta delicatezza verso di lei. L’abbiamoascoltata tanto. Lei ci ha raccontato tutte lesofferenze subite. Si è aperta con noi, dopoche ha capito il nostro affetto e la nostra ac-coglienza incondizionata. Ma la sofferenzaera tanta, vedeva il suo futuro compromes-so. Voleva costruirsi una famiglia, studiare percercare un lavoro. Ma in quel momento lesembrava che ogni sogno venisse infranto. Non era facile per lei affrontare questa sfidae anche per la nostra comunità. Era la prima volta che ci trovavamo di fron-te ad una situazione come questa. Abbiamodeciso di ascoltare e lasciar parlare moltoMargaret, mostrandole il nostro sostegno eil nostro affetto sincero. Poi, pian pianol’abbiamo aiutata a perdonare quest’uomo,e ad accettare la bimba e se stessa. Più tardici ha detto: “sono convinta che Dio mi par-

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Informazioninotizie e novità

dal mondodei media

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no ugualmente chiamati e impegnati a testi-moniare il Vangelo nei loro specifici ambien-ti di vita: la famiglia, il mondo del lavoro, l’im-pegno politico e sociale. Un altro significa-to di laicità è quello che ci si contrappone al-la Chiesa, che non coglie l’importanza del-la fede per la vita delle persone. In questa dialettica, dove e come si pone lavita consacrata? È capace di “parlare” ai lai-ci cristiani che frequentano la Chiesa, a co-loro che non ci vanno ma mostrano interes-se alla vita consacrata riconoscendone il pa-trimonio di esperienze, idee e valori, a chiè lontano e indifferente? Il laico cristiano è un alleato prezioso per laChiesa istituzionale e per la vita consacrata,in quanto riesce a spiegare aspetti della vi-ta e a dare riscontro alle analisi ed agli sfor-zi di evangelizzazione e per parlare al mon-do di oggi in modo significativo.

Comunicare è più che informare, è attivareprocessi, far circolare contenuti, stili di vitae valori, attraverso l’informazione. È conoscere il pubblico a cui ci si rivolge. Nel momento in cui si scende in camponella grande agorà della comunicazione,dobbiamo sapere chi è il target a cui indi-rizziamo il messaggio e qual è l’obiettivoche ci prefiggiamo. Serve allora una men-talità comunicativa che si traduca in proget-to, che impieghi risorse, preveda stru-menti e strategie di verifica, possa conta-re su persone a tempo pieno.

Carisma è un termine sociologico ed espri-me quell’anelito che tutti abbiamo (pensia-

Comunicazione e CarismaMaria Antonia Chinello

Nel 1993, l’allora neonato Dicasteroper la Comunicazione sociale, inviava una “lettera-proposta” alle “donne in rete”, fma sotto tutti i cieli, invitandole a riflettere su come affrontare la cultura attuale e come tradurrenell’oggi le intuizioni delle origini.

La nostra missione sempre più catapultata inun mondo giovanile a più facce, è pressan-te impegno a parlare la lingua dei giovani,perché questo, forse, è il segreto per arri-vare a loro e farseli amici. La nostra Congregazione, insieme a tuttala vita consacrata, è consapevole che co-municare all’esterno significa far scorrereil proprio carisma verso il mondo, aprirestrade nuove, immettere nello scenario so-ciale e culturale un messaggio alternativo,a volte controcorrente, scomodo, di dife-sa e denuncia, di tutela e giustizia.

Comunicare “il” carisma

In una società dove tutto è comunicazione,comunicare è un compito, un dovere, il mo-do per trasmettere il messaggio affidato alVangelo, l’essenza della missione e della pre-senza nel mondo. Secondo un autore con-temporaneo, per “comunicare il carisma” oc-corre far dialogare quattro aspetti, solo ap-parentemente distanti tra loro: laicità e mis-sionarietà, comunicazione e carisma.La laicità è propria di coloro che non essen-do consacrati o ordinati nel sacerdozio, so-

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Per capire che cosa far conoscere all’esternodelle congregazioni è necessaria ricomincia-re ogni giorno. Non è un’operazione automa-tica: non si può far conoscere qualcosa di noiall’esterno, se non c’è comunicazione all’in-terno, se il circuito comunicativo non è at-tivato e non coinvolge tutte le persone chefanno parte di una comunità. Saper uscire all’esterno con modalità nuo-ve mette a confronto con il mondo laico, noncristiano, ed obbliga a verificare e rinnova-re il linguaggio; a confrontarci con i laici insenso cristiano; a scegliere modalità nuovedi dialogo e di collaborazione.

Oggi come ieri

Maria Mazzarello era una donna di intensa in-teriorità, perché ha saputo vivere profondi rap-porti di comunicazione fin dai primi anni del-la sua giovinezza. Essa era punto di riferimen-to chiaro e sicuro per le famiglie del paese; pos-siamo chiamarla precorritrice dell’animazio-ne dei laici nella chiesa e comunità locale.Madre Mazzarello aveva scoperto che era sìimportante conoscere il linguaggio dell’animacon Dio, ma che lo era altrettanto «impararele lingue degli uomini per poter arrivare a tut-te le contrade della terra». Nelle lettere, conuno stile semplice, parlato, scrive pagine di no-tiziario di famiglia che raggiungono l’America.Con l’intuizione propria dell’animo femmini-le, fa circolare informazione, coglie il cuore deifatti, riflette sul loro senso intriso di Provviden-za. Le lettere di Madre Mazzarello impiegava-no un mese per giungere a destinazione; og-gi siamo messe a conoscenza in tempo realedi ciò che accade e questo interpella la nostravita e quella delle nostre comunità perché nonè più possibile stare tranquille dentro le mu-ra di casa. Ma è urgente educarci ed educarea leggere dentro i fatti, per dare la voce a tut-ti, soprattutto a coloro che sono vittime del po-tere economico, sociale, politico e religioso.

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Proponiamo di formare con noi unalarghissima rete di comunicazione, diriferimento: una rete che avvolga ilmondo. Siamo tante donne, in tanticontesti diversi, abbiamo entusiasmo,energie, forza. Niente potrà resistere al nostro pas-so quotidiano di autocoscienza, allanostra volontà di affidamento solidale. (ACG XIX, Messaggio alle giovani).

mo ai leader politici, a chi guida paesi e isti-tuzioni, movimenti e aggregazioni). Per noi,carisma è qualcosa di più, che già possedia-mo, magari senza rendercene conto, e checontinuamente siamo chiamati a riscoprire,interpretare, inculturare «Un carisma hascritto don Giussani, fondatore del movi-mento Comunione e Liberazione � si può de-finire come un dono dello Spirito dato a unapersona in un determinato contesto storico,affinché quell’individuo dia inizio a unaesperienza di fede che possa risultare inqualche modo utile alla vita della Chiesa».

Una scelta di campo

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che nel dicem-bre 2011 rice-vettero una te-lefonata in cui 2 produttori li invitavano adare un’occhiata al romanzo della Genova. Il te-ma, una forma precoce di Alzheimer li spaven-tava non poco, ma all’inizio di quell’anno Richardsi era sentito dire dal neurologo che lo aveva vi-sitato in seguito ad alcune difficoltà nel parla-re: «Credo sia SLA». Da quel momento l’approc-cio con il libro si è fatto forte e motivato, sfocian-do nella conseguente sceneggiatura e nella scel-ta di Julianne per il ruolo della protagonista. «La storia di una deriva che elude qualsiasi for-ma di patetismo o di esibizionismo, interrogan-dosi e misurandosi col dolore muto di questomale» sottolinea concorde la critica. Bisogna dire che la Moore restituisce il dram-ma con asciuttezza e semplicità esemplari: nes-suna retorica, né sbavatura. Il fatto che Alice Howland sia una famosa pro-fessoressa di linguistica che insegna alla Colum-bia University e tiene brillanti conferenze in tut-to il Paese, distingue in parte Still Alice da al-tre declinazioni ‘senili’ sullo stesso tema. Un male terribile che, come spiega la donna al-la figlia Lydia, “a poco a poco ti strappa via date stessa”. La struttura ha uno sviluppo linea-re e inserisce alcuni flashback: sono ricordi difamiglia, momenti lieti e significativi che pocoalla volta vanno scomparendo dalla sua memo-ria e a cui la donna cerca di aggrapparsi con tut-te le sue forze. All’interno dei vari blocchi nar-rativi si delineano 2 filoni strutturali. Il primo, il più evidente, è alla base di tutta lanarrazione: si riferisce alle varie tappe che ca-ratterizzano il sorgere e lo sviluppo della ter-ribile malattia. Il secondo, meno appariscen-te ma decisivo ai fini della tematica, mette inrisalto i vari atteggiamenti e le diverse reazio-

STILL ALICEdi Richard Glatzer, Wash Westmoreland - Usa, 2014

Mariolina Perentaler

L’eccellenza dell’opera ha ricevuto il riconosci-mento più condiviso e universale. È l’adattamen-to cinematografico del romanzo ‘Perdersi’,scritto nel 2007 dalla neuroscienziata Lisa Ge-nova. Presentato in anteprima mondiale a To-ronto l’8 settembre 2014, ha partecipato in con-corso al Festival di Roma, e nel 2015 ha vintoil Golden Globe insieme all’Oscar per JulianneMoore - Miglior Attrice Protagonista. Fra i vari film dedicati all’Alzheimer – la malat-tia del «lungo addio» – nessuno si era mai av-venturato a raccontarne il dramma dal punto divista della persona colpita, come accade in ‘StillAlice’ della neuropsichiatra americana: assisten-do la nonna nella deriva degenerativa, si è in-terrogata su che cosa accadeva “dentro di lei”.Altrettanto hanno dovuto/voluto fare i co-regi-sti, di cui uno, Richard, coinvolto in prima per-sona come ammalato di SLA. Il progressivo scivolamento nello spazio bian-co dove si cancellano parole, significati e ricor-di, avviene senza nessuna enfasi, grazie a unamessa in scena e a una performance oltremo-do misurata. Ciò non impedisce però al film di spaccare ilcuore conquistando in profondità, e – insiemealla sua magnifica interprete – di bussare for-te alla porta dell’interiorità-riflessione.

Sprofondando nell’abisso dell’Alzheimer

«Cinema in lutto: è morto Richard Glatzer, re-gista di Still Alice» annunciano i media il 13 mar-zo, dopo la vittoria di Julianne Moore a Los An-geles. «Per comunicare con la troupe durantela lavorazione di questo film, Richard usava l’i-pad scrivendo i suoi pensieri con un dito del-la mano!» Il co-regista Westmoreland riferisce

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ni delle persone, a partire dai membri dellafamiglia, nei confronti della protagonista nelsuo cammino verso un «perdersi» drammati-co inarrestabile. C’è poi il momento particolarmente significa-tivo in cui Alice tiene un indimenticabile discor-so per l’Associazione Malati di Alzheimer di cuimerita riportare qualche espressione perchéentra direttamente nella tematica del film. «Sono una persona che convive con un esor-dio precoce dell’Alzheimer, dice. E in quantotale mi trovo ad apprendere l’arte del perdereogni giorno (…) Tutto quello che ho accumu-lato nella vita, tutto quello per cui ho lavoratocon tanto impegno, ora, inesorabilmente, miviene strappato via. Come potete immaginare,

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o anche come sapete, questo è atroce. Ma c’è ancora di peggio. Chi ci può più prende-re sul serio quando siamo così distanti da quel-lo che eravamo? Il nostro strano comportamen-to e il nostro parlare incespicante cambia la per-cezione che gli altri hanno di noi e la nostra per-cezione di noi stessi. Noi diventiamo ridicoli, incapaci. Ma non è que-sto che noi siamo. Questa è la nostra malattia».Per il resto, tutto nel copione ha una compattez-za di presa immediata, senza urlare, strepitare,denunciare, facendo appello alla necessità di te-nere alto il livello di dignità e umanità, la capa-cità di credere comunque nel valore della vita.

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L’idea del film

Il personaggio di Alice è chiaramente universaliz-zabile e può diventare emblematico.

La vita umana è caratterizzata dalla fragilità, mapossiede un valore inestimabile in quanto ric-ca e dignitosa. Nonostante le malattie e le me-nomazioni, nonostante le apparenze, resta pursempre una vita umana, una vita destinata a non“perdersi” definitivamente. Va pertanto consi-derata, rispettata ed amata. Quest’opera intende esplicitamente avviare ri-flessioni sulla malattia, sui suoi riflessi nella vi-ta individuale e della famiglia e anche sul suorapporto con il cinema. Giustamente è statoscritto che raccontare la malattia al cinema è unodei campi minati più difficili da attraversare: peril rischio dell’eccesso, del ricatto, a volte anchedella superficialità, e perché lo spettatore spes-so finisce per «respingere» quasi inconsciamen-te un argomento che lo costringe a confrontar-si con la parte più debole e indifesa di sé. È tuttavia una sfida coinvolgente, stimolante, chevale la pena di affrontare. Il Morbo di Alzheimerin particolare è entrato nelle storie letterarie/ci-nematografiche, aggiungendo una nota di pau-ra e commozione, specie perché tra le più no-te forme di demenza che coinvolge la memoria.Qui Julianne Moore vince splendidamente,grazie alla classe e alla luminosa/dolorosa na-turalezza della sua recitazione.

Il sogno del film

Far riflettere, persuadere il pubblico, che “Aliceè ancora sé stessa”: Still Alice appunto

Il sogno del film è nel suo significato. Qui la co-siddetta ‘significazione’ nasce dall’incontro deidue filoni strutturali: quello della malattia e quel-lo degli atteggiamenti delle persone che ne con-dividono gli effetti. Ciò che succede ad Alice èuna cosa terribile ed è segno della sua fragilità.Ma fa parte della sua vita, una vita che è stata «notevolissima», ricca e felice. Una vita che continua nella misura in cui la don-na è ancora in grado di ricordare. In altre parole, Alice è ancora sé stessa, anchese in modo diverso a causa della malattia, e nel-la misura in cui viene riconosciuta tale da par-te di chi le sta accanto con amore. Nel suo discorso per l’Associazione dei mala-ti afferma: «Me la prendo con me stessa per-ché non riesco a ricordare le cose, ma ho an-cora dei momenti nella giornata di pura alle-gria, di gioia. E, vi prego, non pensate che iostia solo soffrendo. Se pure sto soffrendo, io mi sto battendo. Stolottando per restare parte della vita, per resta-re in contatto con quello che ero una volta. Così, “Vivi il momento”, è quello che mi di-co». Dramma da commozione ‘con dignità’quindi, che offre spunti superlativi di rifles-sione e apprezzamenti umani.

PER FAR PENSARE

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casa in casa strappando sorrisi anche ai piùinfelici. Il teatro di burattini rallegreràmolte volte i piccoli che vivono nell’orfa-natrofio di Januzs Korczak, scrittore per ra-gazzi, educatore e pediatra ebreo-polaccoche, sebbene avesse ottenuto i documen-ti di rilascio, sceglierà di essere deportatoa Treblinka con i duecento bambini e il per-sonale dell’orfanatrofio. Tra loro non siconterà nessun sopravvissuto.

Lo spettacolo di burattini

La notizia del giovanissimo burattinaio sipropaga veloce e giunge fino ai soldati te-deschi. Fino a Max, un ufficiale che rimanetalmente affascinato dal piccolo “inventa fa-vole” da trascinarlo in un patto terrificante:ogni sera Mika potrà uscire dal ghetto sen-za incontrare ostacoli, a patto però di recar-si alla caserma delle SS e allestire per loroil teatro di burattini. Se saprà incantarli con le sue storie potràritornare ogni notte sano e salvo dalla suafamiglia, altrimenti... L’andirivieni dentro efuori dal ghetto potrebbe essere nient’altroche una roulette russa contro la morte, perun ragazzino di dodici anni armato solo deipropri burattini e della propria capacità diincantare gli animi. Ma, con indosso il suocappotto pieno di tasche, si rivela un’inso-spettabile via di fuga verso la salvezza.L’autrice, Eva Weaver, riesce nella più diffi-cile delle imprese: raccontare contempora-neamente il cuore fragile della tragedia, laperdita dell’innocenza di un bambino e lasua inesauribile capacità di sognare nuova-mente. Ricorda che, se ragazzini come

Eva WeaverIl piccolo Burattinaio di VarsaviaEmilia Di Massimo

“Vecchio, malandato, impregnato di storia,sembra un animale feroce che si aggira nel-l’ospedale, gettando scompiglio. Ieri l’infermiera lo fissava come se brulicas-se di pulci”. Non si tratta di una persona,ma di un cappotto. Un cappotto particola-re che chiede soltanto di non essere but-tato via, di non essere più chiuso in unascatola, ma di avere un posto nel cuore.

Il cappotto di lana nero

Mika ha dodici anni quando il cappotto vie-ne cucito. Nathan il sarto lo confeziona persuo nonno nella prima settimana di marzo,nel 1938: l’ultimo anno di libertà per Varsa-via, per Mika e per la sua famiglia. Quel semplice cappotto di lana nero a seibottoni, con una stella di David cucita sul-la manica destra, li segue silenzioso e ap-parentemente inanimato nel ghetto dovevengono rinchiusi insieme a centinaia diamici e conoscenti. Quando il nonno muore, rimane per Mikal’unica eredità in grado di proteggerlo dalgelo e dalla paura. All’apparenza si tratta diun cappotto qualunque, non fosse per lesue tasche che nascondono altre tasche,pertugi e vicoli ciechi. Una ragnatela di luo-ghi invisibili in cui far sparire i segreti piùpreziosi, a partire da un intero teatro di bu-rattini di cartapesta dai colori vivaci: unprincipe, un giullare, un coccodrillo emolti altri. Quale migliore sorpresa per di-strarre il cugino malato e i vicini, stipati inuna stanza mal ridotta, di uno spettacolodi burattini? In poco tempo tutto il ghet-to parla del piccolo burattinaio che gira di

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Mika, con la loro infinita immaginazione,non fossero esistiti, l’atrocità della guerraavrebbe addormentato i cuori, soffocato lospirito; avrebbe vinto nel cuore.

Una storia di emozioni

Il Piccolo Burattinaio di Varsavia è una sto-ria piena di emozioni in contrasto tra loro,di sensazioni che si assopiscono e di altreche rinascono: è l’intreccio di due vite e poidi tre, quattro, dieci, mille e milioni. La sto-ria è vista attraverso gli occhi di Mika, il pic-colo burattinaio, il quale inizia a racconta-re la sua vita dall’adolescenza. Tutto ha davvero inizio tra le innumerevo-li tasche di un vecchio cappotto: la storia ditante altre storie che in esso hanno trova-to rifugio, conforto, ispirazione, nostalgiae rammarico, calore, protezione, alle voltedivertimento, altre volte terrore e un fred-do pungente nell’anima. Racchiude nelsuo piccolo universo l’amore e la crudeltà,la sofferenza e lo sconcerto, l’umiliazionedel popolo ebraico martoriato. Dal lento mainesorabile confinamento degli ebrei all’in-

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spiegabile crudeltà dei tedeschi, alla ciecaabnegazione nei confronti dei comandan-ti da parte di soldati e civili che non aveva-no nessuna idea di ciò che stava accaden-do oltre il muro del ghetto. Eva Weaver nonpresenta soltanto un punto di vista; con raf-finatezza di stile, introduce il lettore nelmondo tedesco: le domande, le bugie, leconseguenze, la sofferenza degli stessi te-deschi, tutto espresso mediante alcunisemplici burattini, costruiti con oggetti difortuna ma animati dall’appassionata vogliadi vivere del burattinaio e dei suoi piccolie grandi amici. È così che le emozioni ven-gono interpretate, si fanno viva incarnazio-ne sia della gioia sia dell’orrore, e si com-prende che, indipendentemente dalla na-zionalità e dalla religione, il cuore umanoè uguale ed unico sempre. È quanto emer-ge in Max, il soldato tedesco, il quale nonpotrà più non associare la freschezza del-la sua nipotina alla bimba della stessa etàche, con la stessa e traboccante voglia di vi-vere, era stata spenta nel ghetto.Il filo rosso della storia è un burattino: ilprincipe, nelle sue guance color porpora,l’amore di un nonno e la forza di una ma-dre. La voce narrante dello spettacolo uma-no, spesso inquietante ma mai privo di spe-ranza. L’amatissimo burattino, sarà il testi-mone silenzioso dell’esistenza di Mika, diMax e di chi capirà che mediante i buratti-ni si può superare ogni barriera e raggiun-gere il cuore delle persone. «Ho avutouna lunga vita. Ho visto luoghi e cose chenon potreste neanche immaginare. Ho rac-colto molte testimonianze in tante linguediverse, abbastanza da capire cosa si celanel cuore di voi umani», così si esprime inpubblico il principe, dopo essere ritornatoa casa da un viaggio davvero molto lungo. Il Piccolo Burattinaio di Varsavia è dedica-to alla “vittime di guerra, di allora e di og-gi”, desidera “curare le ferite, favorire ildialogo e la pace”.

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Sólo le pido a Dios

«Sólo le pido a Dios, di León Gieco, è la can-zone che non passerà mai di moda: è un te-ma di sempre e per sempre e un successointernazionale con parole che dobbiamotutti tenere molto presenti, soprattuttoquando dicono: solamente chiedo a Dio chela guerra non mi sia indifferente. Nelleguerre tutti perdono. In tutti i conflitti nonci sono vincitori né vinti; tutti perdono».Sono queste le parole della famosa cantan-te argentina Mercedes Sosa, paladina dellasua terra e della lotta per i diritti e la pace,che ha portato al successo questo branoin tutto il mondo. È un inno alla pace e alsentimento di fratellanza. «Sólo le pido aDios que la guerra no me sea indiferente,es un monstruo grande y pisa fuerte todala pobre inocencia de la gente (Chiedo so-lo a Dio che la guerra non mi sia indiffe-rente, è un grande mostro che calpesta lapovera innocenza delle persone)».

The green fields of France

No Man’s Land era il titolo originale di que-sta canzone scritta da Eric Bogle, cantauto-re australiano di origine scozzese. Dopo aver visitato i cimiteri della Primaguerra Mondiale in Francia rielaborò unacanzone popolare scozzese in un dramma-tico colloquio immaginario con il soldatosemplice William McBride.«And I can’t help but wonder now Willie Mc-Bride, do all those who lie here know whythey died? / Did you really believe them

Peace Vs War

Mariano Diotto

C’è un tema che viene da sempre affronta-to nel mondo della musica e dai cantauto-ri perché non ha tempo e permea tutta lastoria dell’umanità: la pace contro la guerra.Dalle voci dei canti gospel di liberazione chesalivano dai campi di cotone, alle parole a raf-fica dei rapper dei giorni nostri, i conflitti e ledisuguaglianze sono state sempre presenti inquella parte soul che la musica possiede.Non c’è popolo che non abbia una can-zone che racconta la propria liberazionedall’invasore, non c’è nazione che non ab-bia un canto che parli dell’oppressione,non c’è religione che non abbia unamusica che evochi la liberazione dalpeccato e porti alla pace interiore.

Guantanamera

«Yo sé de un pesar profundo entre las pe-nas sin nombres: la esclavidad de loshombres es la gran pena del mundo!(Io sodi un dolore profondo fra le pene senzanome: la schiavitù degli uomini è la granpena del mondo!)».Questa canzone, scritta dal popolare per-sonaggio radiofonico degli anni trenta Jo-sé Fernández Diaz, quando viene cantataci porta ad un clima scanzonato e gioio-so ma in realtà racconta le lotte di indipen-denza che infiammavano Cuba, coloniaspagnola alla fine del XIX secolo. Il suo ca-rattere romantico unito ai valori patriot-tici l’hanno resa una delle canzoni piùamate dai cubani ed emblema di tutti glioppressi delle dittature.

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when they told you the cause? / Did youreally believe them that this war would endwar? / But the suffering, the sorrow, the glory,the shame, the killing, the dying – it was alldone in vain (E non posso fare a meno dichiedermi ora, Willie MacBride, tutti quel-li che giacciono qui sanno perché sono mor-ti? Ci hai creduto davvero quando ti han det-to perché? Hai creduto davvero che quellasarebbe stata l’ultima guerra? E la sofferen-za, la pena, la gloria e la vergogna, uccide-re e morire - tutto è stato invano)».

Self Evident

Arrivando ai nostri giorni c’è il brano del-la cantautrice folk americana Ani Difrancointitolato Self evident che più che unacanzone è un lungo inno poetico contro laguerra. Racconta con estrema crudezza lasua posizione dopo la tragedia delle Torrigemelle, mettendo in luce le contraddizio-

ni degli Stati Uniti che si definiscono una na-zione di pace che però porta in giro nelmondo, con le sue armi e il suo esercito, laguerra: «and the shock was subsonic andthe smoke was deafening between the se-tup and the punch line / cuz we were all ontime for work that day / we all boarded thatplane for to fly and then while the fires we-re raging /we all climbed up on the window-sill and then we all held hands and jumpedinto the sky and every borough looked upwhen it heard the first blast and then everydumb action movie was summarily surpas-sed (e lo shock fu subsonico e il fumo as-sordante perché eravamo tutti al lavoro inorario quel giorno / e tutti ci siamo imbar-cati su quel volo e poi mentre le fiamme in-furiavano ci siamo tutti arrampicati sul da-vanzale / e poi ci siamo presi per mano, tut-ti / e ci siamo lanciati nel cielo e ogni distret-to ha alzato gli occhi quando ha sentito ilprimo scoppio e ogni stupido film d’azio-ne di colpo è sembrato superato)».

Il mondo che vorrei

«Il mondo che vorrei avrebbe mille cuori perbattere di più avrebbe mille amori. Il mon-do che vorrei avrebbe mille mani e millebraccia per i bimbi del domani che coi lo-ro occhi chiedono di più. Salvali anche tu.Per chi crede nello stesso sole, non c’è raz-za non c’è mai colore. Perché il cuore di chiha un altro Dio è uguale al mio».Questa canzone della famosa cantante ita-liana Laura Pausini indica proprio la stradacorretta per raggiungere la pace: investiresulle nuove generazioni. Infatti sono pro-prio i bambini, le persone più deboli che so-no le vittime principali, ma che sono il no-stro futuro per un mondo migliore dove iconflitti non esistono più e non c’è più chimuore per un pezzo di terra o per un pro-prio credo: «Salvali anche tu.»

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buona mezzoretta; che sollievo perl’anima e per il corpo!Adesso, invece, a molte direttrici è presala smania della modernità; si sono fissa-te che è necessario partecipare, esprime-re pareri personali, condividere… e cosìè finita la pace! Hanno cominciato invi-tandoci a sottolineare che cosa ci ave-va colpito dell’ultima circolare della Ma-dre, e poi hanno avanzato richiestesempre più impegnative fino a propor-re, talvolta, domande di riflessione per-sonale e comunitaria, passando per ilprogetto comunitario che è diventatoun vero e proprio tormento.

Insomma, la conferenza della direttricenon è più un appuntamento atteso congioia, ma un lavoro in più per noi pove-rine che di cose da fare ne abbiamo giàtante; mentre le direttrici – detto tra le ri-ghe – quando non si sono preparatemolto hanno la scappatoia del coinvolgi-mento della comunità… Eh no, care Superiore di ultima generazio-ne; noi suore abbiamo diritto a quel mo-mento tanto prezioso della vita comuni-taria in cui voi – è vostro dovere – parla-te parlate parlate, e noi – in silenzio reli-gioso – ascoltiamo tranquille finché un’al-tra campanella non ci fa sobbalzare… Benedicamus Dominum!

Parola di C.

Conferenza?... C’è modo e modo!

Mie care amiche, che gioia poter stare unpo’ con voi e mettervi a parte di quelloche ho pensato in queste settimane! È bello avere qualcuno a cui poter affi-dare le proprie confidenze, soprattut-to quando esse richiedono comprensio-ne e segretezza.Ora, dico, pazienza se qualcuno snaturala ricreazione, pazienza se il colloquionon si sa nemmeno più che cosa sia, matoglierci la conferenza della direttrice,questo no! È intollerabile! E non venitea dirmi che no, non è vero che è stata tol-ta, solo perché la vostra Superiora vi ra-duna tutte le settimane… non illudetevi!... Sapete una cosa? Ci vorrebbe un sinda-cato per lottare unite contro chi ci ha sot-tratto la conferenza: deve restituircela!Chi ce l’ha rubata??? Ma proprio coloroche dovrebbero prepararla e farla!E ce l’hanno tolta in nome di quella mo-dernità che in altre circostanze ci mi-gliora la vita!

Mi spiego: fino a poco tempo fa, quandosuonava la campanella della conferenzatiravi un sospiro di sollievo; la tua giorna-ta di lavoro era praticamente finita! Sistemavi in fretta le ultime cose, lascia-vi le tue occupazioni e ti accomodavisu una sedia, ad aspettare la voce pa-cata, sicura e rilassante della tua diret-trice che parlava parlava parlava (nonimporta di che cosa), cullandoti per una

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cam

illa

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da mihi animas:

il nostro modo di crescere insieme

Nel prossimo numero

DOSSIER: ALLARGATE LO SGUARDO

... ANNUNCIO DI DIALOG

O

L’incontro con Gesù trasforma anche il nostro quotidiano,

crea e alimenta la comunione, ci rende, insieme ai giovani

e a tutta la comunità educante,

evangelizzatori convinti, profezia per il mondo.

CULTURA ECOLOGICA: CORRESPONSABILI DEL D

OMANI

Esseri umani, piante, animali: esseri viventi,

ognuno in relazione con l’altro,

ognuno corresponsabile del destino dell’altro.

FILO DI ARIANNA: FERITE SOFFERTE E PROVO

CATE

Le inevitabili “ferite” del vivere nelle piccole comunità familiari

e nelle più numerose comunità religiose.

La consapevolezza di essere tutte/i possibili feritrici, feritori

oltre che essere ferite/i, rende la persona più realista, più vera,

più capace di comprensione, di uno sguardo misericordioso

e di perdono oltre che di relazioni più serene.

COMUNICARE: COMUNICAZIONE E MIS

SIONE

Superare la paura di non essere compresi, coltivare la formazione, l’ag-

giornamento, evitando la tentazione di mettere al centro le nostre com-

petenze; cercare insieme strategie per voler bene ai giovani d’oggi e

per dire il bene che gli vogliamo.

CARISMA E LEADERSHIP: FAR VIBRARE LO SPIRITO

DI FAMIGLIA

Le tematiche affrontate nel testo, con riferimenti carismatici

a Elisa Roncallo sono: capacità di vicinanza/lontananza;

promuovere relazioni giuste, da persone adulte

che si promuovono reciprocamente.

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TUTTO DAREI PER GUADAGNARE

IL CUORE DEI GIOVANI,E COSÌ POTERLI REGALARE

AL SIGNORE...DON BOSCO

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdmadamihianimas