Rivista DMA - Testimoni dell'Ascolto (Maggio - Giugno 2011)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE damihi animas 2011 Anno LVIII Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma TESTIMONI DELL’ASCOLTO

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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damihianimas2011Anno LVIII Mensile n. 5/6 Maggio/Giugno

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

TESTIMONI

DELL’ASCOLTO

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4 EditorialeNuovo modo di comunicaredi Giuseppina Teruggi

5DossierTestimoni dell’ascolto

13Primopiano14Passo dopo passoCamminare con sicurezzaSanta Teresa d’Avila

16Radici di futuroLa Madre

18Amore e Giustizia“...l’avete fatto a me”

20Filo di AriannaAutorità

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas

Mara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola Pignatelli

Lucia M. Roces • Maria Rossi

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Foto Unicef- Giacomo Pirozzi

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27In ricerca 28CultureAncora Africa

30 PastoralmenteQuale educazioneall’amore oggi

32Donne in contestoDonne mediatrici di pace

34Nostra TerraDeforestazione,Una minaccia per il pianeta

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ANNO LVIII • MENSILE / MAGGIO GIUGNO 2011

35Comunicare36Testimoni digitaliHo un popolo numerosoin quella città...

38Da persona a personaChiara e i Rom

40Video Miral

42ScaffaleRecensioni video e libri

44LibroGelato a mezzanotte

46Lettera da un’amica

n.5/6 maggio giugno 2011Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970

Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

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pensare, con inedite opportunità di stabi-lire relazioni e di costruire comunione».

I giovani, i “nativi”, immersi nella nuova cul-tura della comunicazione, ne vivono profon-damente gli influssi. E ne sperimentano «leansie, le contraddizioni, la creatività propriedi coloro che si aprono con entusiasmo e cu-riosità alle nuove esperienze di vita».

Il Papa fa riflettere su alcune sfide insite inuna mutazione epocale che tende a com-promettere l’equilibrio tra le relazioni me-diate dalla tecnologia e le relazioni interper-sonali, faccia a faccia. «Chi è il mio ‘prossi-mo’ in questo nuovo mondo? Esiste il pe-ricolo di essere meno presenti verso chi in-contriamo nella vita quotidiana? Abbiamotempo di riflettere criticamente sulle nostrescelte e di alimentare rapporti umani chesiano veramente profondi e duraturi?».

Quale il posto della dimensione “umana”nell’era digitale? Benedetto XVI ci stacomunicando che «è importante ricorda-re sempre che il contatto virtuale non puòe non deve sostituire il contatto umano di-retto con le persone a tutti i livelli dellanostra vita» e che «rimangono semprefondamentali le relazioni umane direttenella trasmissione della fede!».

[email protected]

Nuovo modo di comunicareGiuseppina Teruggi

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Il 5 giugno si celebra la 45ª Giornata Mondia-le delle Comunicazioni Sociali dal tema:«Verità, annuncio e autenticità di vita nell’e-ra digitale». Dal commento di BenedettoXVI emerge la visione positiva circa le possi-bilità offerte dalle nuove tecnologie per co-municare il Vangelo oggi. Il Papa invita a uti-lizzare i social network e li considera “unagrande opportunità” per i credenti, invitan-do i cristiani a «unirsi con fiducia e con con-sapevole e responsabile creatività nella retedi rapporti che l’era digitale ha reso possibi-le. Non semplicemente per soddisfare il de-siderio di essere presenti, ma perché questarete è parte integrante della vita umana». Sug-gerisce quindi di «testimoniare con coeren-za, nel proprio profilo digitale e nel modo dicomunicare, scelte, preferenze, giudizi che sia-no profondamente coerenti con il Vangelo».

Il messaggio rileva con lucidità la compren-sione dei grandi mutamenti culturali e so-ciali del nostro tempo, guidati in gran par-te dalla «profonda trasformazione in atto nelcampo delle comunicazioni». «Le nuovetecnologie non stanno cambiando solo ilmodo di comunicare – afferma il Papa – mala comunicazione in se stessa, per cui sipuò affermare che si è di fronte ad una va-sta trasformazione culturale… Sta nascen-do un nuovo modo di apprendere e di

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Testimoni

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a cui abbiamo destinato inconsciamente lanostra libertà. In effetti, la relativa facilità conla quale si può manipolare una notizia e laperdita di punti di riferimento certi, non fa-voriscono una valutazione oggettiva dellarealtà e una sana reazione critica. Giovanni Paolo II lo rilevava già nel 2005: «Imezzi di comunicazione sociale hanno rag-giunto una tale importanza da essere permolti la principale guida e ispirazione per icomportamenti individuali, familiari e socia-li» (Rapido Sviluppo 3). Infatti, molteplici mo-menti dell’esistenza umana si snodano at-traverso processi mediatici, o perlomenocon essi si devono confrontare. Che fare?Come comportarci in questo confronto?

Necessità di un decoder

In questo contesto, che alcuni qualificano di“fracasso mediatico”, dove la persona è di-venuta, per dirla con Picard, “un’appendicedel rumore”, l’attenzione alla vita richiedeun “decoder “, cioè, degli strumenti, dei cri-teri che aiutino a comprendere le dinamichesociali, ad interpretare e valutare la realtà inmodo oggettivo, per fare delle scelte liberee responsabili. In questo senso, Papa Bene-detto XVI nel suo messaggio per la Giorna-ta mondiale delle comunicazioni socialiorienta a sviluppare la capacità di sfruttarei benefici potenziali derivanti dai mezzi di co-municazione e al contempo rileva la neces-sità di vigilare sul loro utilizzo. Invita gli ope-ratori della comunicazione sociale ad esse-

Testimoni dell’ascoltoMara Borsi, Martha Séïde

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«Gli uomini che hanno qualcosa da diresono pochi e quelli che sanno ascoltare an-cora meno». Questa affermazione del teo-logo francese Maurice Zundel, pur datata neltempo, è di grande attualità per noi oggi del-l’era telematica e tecnotronica. Sono molti, infatti, coloro che vivono unasituazione di estrema solitudine condan-nati dal frastuono delle nostre città o dal-l’attivismo delle istituzioni educative. Inrealtà, nell’era attuale, tutti parlano e nes-suno ascolta, perché si è sopraffatti dallemigliaia di messaggi che continuamente ciraggiungono in ogni settore della vita. Ilflusso di informazioni proveniente daimedia è davvero ininterrotto.

L’ascolto della vita e il fracasso mediatico

I media trasformano il mondo in unapioggia continua di immagini, suoni, pa-role che, per la velocità e la quantità del-le proposte, lasciano poca traccia nella me-moria. Questo genera difficoltà nel presta-re attenzione alla realtà e quindi poca ca-pacità di ascoltare la vita. Secondo il noto scrittore inglese GitlinTodd, i media costituiscono come un torren-te di immagini, suoni, ritmi e stimoli conti-nui, un habitat multimediale “naturalizzato”che coinvolge tutti i nostri sensi e al qualenon riusciamo a sottrarci. In una società chesi crede la più libera di tutti i tempi, trascor-rere il tempo con i media è l’uso principale

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re promotori della verità e della pace e ad evi-tare le degenerazioni che si verificano quan-do l’industria dei media diventa fine a se stes-sa, rivolta unicamente al guadagno, perden-do di vista il senso di responsabilità nel ser-vizio al bene comune (cf n. 3). Ribadiscequindi l’importanza della formazione, peraiutare ad utilizzare i mezzi di comunicazio-ne in maniera intelligente e appropriata. Si tratta di una necessità oggi più urgenteche mai. Gli educatori e le educatrici han-no innanzitutto bisogno di acquisire lecompetenze necessarie per svilupparenelle giovani generazioni capacità autono-me nel riconoscere le opportunità e i rischidel mondo telematico, nel discriminarepersone ed esperienze, nel compiere scel-te consapevoli. Poiché educare, cioè inse-gnare a vivere e a crescere anche nel mon-do virtuale, ormai parte integrante della no-stra vita, è un compito urgente.

Per sviluppare queste competenze è indiscu-tibile l’apporto delle scienze umane, e percoloro che si riconoscono nella fede cristia-na, sono indispensabili criteri di giudiziofondati sulla Parola di Dio e la Tradizioneecclesiale. «Per i credenti e per le perso-ne di buona volontà la grande sfida in que-sto nostro tempo è sostenere una comu-nicazione veritiera e libera, che contribui-sca a consolidare il progresso integrale delmondo» (Rapido Sviluppo n. 13). Per attua-re questo processo di discernimento, oc-corre sviluppare la capacità di silenzio instretta relazione con l’ascolto.

Il silenzio condizione dell’ascolto

In questo mondo violentato da un imperver-sare frenetico di suoni, cose, parole, informa-zioni, immagini emessi a velocità sempremaggiori, emerge il bisogno del silenzio perassicurare l’ascolto vigile, quello capace di

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quel terreno buono di cui leggiamo nel Van-gelo (cf Lc 8, 8) capace di ricevere il seme del-la Parola. Il silenzio, ancora, educa e raffor-za nella vigilanza, nell’attenzione ai minimiparticolari del vissuto, capaci di rivelare - aduno sguardo penetrante – la novità che si na-sconde persino nella monotonia e nel quo-tidiano banalizzato. Per uno spirito religio-so questo atteggiamento ha un nome: con-templazione. Capacità di percepire l’invisi-bile (cf Ebrei 11, 27).In una bellissima preghiera Etty Hillesumscrive: «Tutto avviene secondo un ritmopiù profondo… che si dovrebbe insegna-re ad ascoltare: è la cosa più importanteche si può imparare in questa vita. Il silen-

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discernere. Il silenzio conduce ad accorger-si della forza della sorpresa, rende capacidi stupore, di riflessione, richiama l’atten-zione e dunque favorisce l’ascolto. Dall’im-patto del silenzio sulla comunicazione na-sce una nuova capacità di ascolto.La ricerca del silenzio ci spinge ad andareoltre il limite massimo dei nostri sensi; il si-lenzio rappresenta la porta verso nuovimondi, e l’attenzione, il mezzo con cui po-terne essere coscienti. Il silenzio, ancor pri-ma di essere possibilità di riflessione è spa-zio per l’ascolto, capacità di accoglienza, re-cettività senza pregiudizi, disponibilità libe-ra dalla presunzione di sé.Il silenzio, così inteso, può paragonarsi a

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Intervistaa due giovani

Direttrici

Come vivi il ministero dell’ascolto?

P. L. - Quando penso all’ascolto e a comeposso viverlo, mi piace pensarlo come ungesto d’amore raffinato, un distillato di at-tenzione per l’altro, soprattutto per lesorelle della comunità! Nell’assumere laresponsabilità dell’animazione comunita-ria, devo dire che le sorelle mi aiutano consimpatia e grande disponibilità, per cuiposso ritenermi fortunata. Inizialmente, mitremavano le gambe quando pensavoper esempio al colloquio e a quello che si

dice in genere di questo momento alquan-to disertato. Invece, la mia breve esperien-za mi sta insegnando che questo momen-to “formale” si costruisce giorno dopogiorno, incontro dopo incontro, sorrisodopo sorriso non tanto “nell’ufficio del-la direttrice”, quanto nei corridoi, quandol’incontro non è programmato e richiede,nell’immediatezza una tua reazione. Èquesta preparazione che rende poi il col-loquio un’esperienza relazionale signifi-cativa e non disertata, ma cercata, in cuila direttrice può esprimere con delicatafraternità il suo compito di mediazione edi chiarificazione delle dinamiche in cor-so a livello personale o comunitario, dalpunto di vista umano e spirituale.Mi sono resa conto, inoltre, che l’ascol-to attento, onesto e amorevole nei con-fronti di ciascuna sorella non basta, oc-corre che tale ascolto diventi la condizio-ne per mettere in comunicazione le so-relle della comunità tra loro. È questaesperienza che costruisce la comunità.

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zio può così essere strada che conduce allaprofondità. Ecco perché le grandi donnee i grandi uomini dello spirito hanno ama-to e vissuto il silenzio» (Diario di Etty Hil-lesum, Milano, Adepti Edizioni 1985).Recentemente Enzo Bianchi in Ogni cosa allasua stagione annota: «Il silenzio ci insegnaa parlare, ci aiuta a discernere il peso delleparole, porta ad interrogarci su quanto ab-biamo detto o sentito: nessun mutismo, maquel silenzio che restituisce ad ogni parolaun significato, che impedisce ai suoni di di-ventare rumori, che trasforma il “sentito dire“in ascolto. Il silenzio, allora, come custodiadel fuoco che arde nel nostro cuore, custo-dia delle motivazioni più profonde, occasio-

ne di uscita dal vortice: con il silenzio pos-siamo scendere dalla giostra, smettere di ruo-tare senza mai avere in mano la direzione».

L’ascolto per governare il tempo

Un altro pretesto con cui giustifichiamo spes-so la nostra incapacità di ascolto è la mancan-za di tempo. Non c’è il tempo per fermarsi,non si è più padroni del tempo. Per ascolta-re ci vuole tempo, e noi abbiamo troppo dafare, occorre correre. Se analizziamo il rit-mo della nostra vita quotidiana, non è checi manchi il tempo, in realtà siamo incapacidi fermarci, e soprattutto non abbiamo maiimparato ad ascoltare profondamente. Inol-tre, assumendo consciamente o inconscia-

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C. F. - Ascoltare, come anche esprimereil proprio parere, non è facile. Soprat-tutto perché chi si deve ascoltare hamolti più anni ed esperienza di vita...Non si tratta di ascoltare le parole maquello che nascondono e non sempre,chi è ascoltato, è disposto ad una lettu-ra più profonda. La mia esperienza diascolto è soprattutto una esperienza di si-lenzio: a volte non capisco, a volte non honemmeno le categorie per capire, a vol-te le persone non vogliono essere capite:se mi fermo alle parole la sorella mi diceche non ho capito, se pongo una doman-da per andare oltre, la reazione è di chiu-sura. È faticoso e, oso dire, frustrante... misembra che il mistero della persona si ri-vela nella contraddizione.

Quali positività e difficoltà sperimenti?

P.L. - Dal momento che l’ascolto, qualeaspetto di una comunicazione più ampia,si caratterizza come un “lavoro” relazio-nale che serve a dare significato ai rappor-ti reciproci, a creare un clima emotivo in

cui ciascuna si senta libera di “dire se stes-sa” , conosce le sue gioie e le sue fatiche!Naturalmente, per poter sperimentarequalche “positività” è necessario che le so-relle sentano che di te si possono fidare,che tra parola e comportamenti non ci siatroppa distanza, per cui si crea un clima dipiacevolezza che rende gradevole lo stareinsieme e, soprattutto, più sopportabile ilpeso delle difficoltà che il lavoro su se stes-se e le esigenze della missione richiedono.

C. F. - Un aspetto positivo e una ricchez-za è la differenza di età e, attraverso l’ascol-to, il poter avvicinare e conoscere un’espe-rienza profonda di donazione incondizio-nata della propria vita al Signore. La differenza di età diventa anche una dif-ficoltà. A volte percepisco che proprio inragione di tale differenza le mie sorelle nonsi sentano capite nel loro vissuto e io dav-vero, sono sincera, a volte non capisco, mirendo conto che non ho le categorie percapire! In questa difficoltà cerco di rima-nere tranquilla e di dimostrare vicinanza.

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co, educativo, giuridico ecc. Ma qui, quan-do parliamo di ascolto, ci riferiamo all’a-scolto in generale, cioè, a quell’attenzio-ne alla vita che si svolge attorno a noi cheper essere efficace deve diventare unascolto attivo, empatico. L’ascolto attivo èaperto e disponibile non solo verso l’altroe quello che dice, ma lo è prima verso sestessi, per essere consapevoli delle propriereazioni, dei limiti del proprio punto di vi-sta e per accettare il non sapere e la difficoltàdi non capire. L’antropologa MarianellaSclavi, nella sua opera Arte di ascoltare e mon-di possibili, propone sette regole per espri-mere l’arte di ascoltare. Ci sembra utile richia-marle per una valutazione del nostro mododi ascoltare:

• Non avere fretta di arrivare a delle conclu-sioni. Le conclusioni sono la parte più effi-mera della ricerca.

• Quel che vedi dipende dal tuo punto di vi-sta. Per riuscire a vedere il tuo punto di vi-sta, devi cambiare punto di vista.

• Se vuoi comprendere quel che un altro stadicendo, devi assumere come tue le sue ra-gioni e chiedergli di aiutarti a vedere le cosee gli eventi dalla sua prospettiva.

• Le emozioni sono strumenti conoscitivifondamentali se sai comprendere il loro lin-guaggio. Non ti informano su cosa vedi, masu come guardi. Il loro codice è relaziona-le e analogico.

• Un buon ascoltatore è un esploratore dimondi possibili. I segnali più importanti perlui sono quelli che si presentano alla co-scienza come al tempo stesso trascurabili efastidiosi, marginali e irritanti, perché incon-gruenti con le proprie certezze.

• Un buon ascoltatore accoglie volentieri i pa-radossi del pensiero e della comunicazioneinterpersonale. Affronta i dissensi come oc-

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mente la logica economica, “time is money”,ci sembra di perdere tempo se ci fermiamoper un ascolto gratuito.Si dice spesso che solo chi è capace di ascol-tare se stesso è capace di ascoltare gli altri.Quindi, la nostra incapacità di ascoltare glialtri, di ascoltare la vita proviene in gran par-te dall’incapacità di rientrare in noi stessi perconoscere le nostre emozioni, il nostrocorpo, i nostri sentimenti ecc. Un primo passo per governare il tempo po-trebbe essere proprio imparare ad ascolta-re noi stessi. Accogliamo l’invito delloscrittore Michel Quoist: «Se ti fermi, è perprendere coscienza di te, riunire tutte letue forze, riordinarle e dirigerle, al fine diimpegnarti tutto intero nella tua vita. Ac-cettare di fermarsi, è accettare di guarda-re se stessi, e accettare di guardarsi, è giàimpegnarsi, perché è far penetrare lo spi-rito nell’interno della propria casa». È por-re le condizioni per servire gli altri e Dio.Dietrich Bonhoeffer lo conferma in modoilluminante quando afferma: «Il primo ser-vizio che si deve al prossimo è quello diascoltarlo. Come l’amore di Dio incomin-cia con l’ascoltare la sua Parola, così l’ini-zio dell’amore per il fratello sta nell’impa-rare ad ascoltarlo. Chi non sa ascoltare ilfratello, ben presto non saprà neppurepiù ascoltare Dio. Anche di fronte aDio sarà sempre lui a parlare». Per rimediare a questa situazione, è neces-sario imparare l’arte dell’ascolto e impe-gnarsi a viverlo nel quotidiano.

Imparare l’arte dell’ascolto

Partendo dalla nostra esperienza quotidia-na, possiamo individuare una pluralità dicondizioni e di situazioni di ascolto. Alcu-ne richiedono delle competenze specifi-che come ad esempio l’ascolto terapeuti-

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casioni per esercitarsi in un campo che lo ap-passiona: la gestione creativa dei conflitti.

• Per divenire esperto nell’arte di ascoltaredevi adottare una metodologia umoristica.Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umo-rismo viene da sé.

Tutto questo può aiutarci ad ascoltare il nondetto perché ogni atto del dire è una momen-tanea integrazione tra il detto e il non detto.Sarebbe interessante una riflessione su que-ste regole per verificare, nella quotidianità,quelle che riusciamo a sperimentare con mag-giore facilità e quelle che ci pongono più dif-ficoltà. La consapevolezza è la prima arma perqualunque cambiamento. È importantecomprendere il nostro modo di ascoltare edi essere ascoltati, per un cammino di con-versione all’ascolto che si fa testimonianza.

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L’ascolto radice dell’evangelizzazione

Il giovane Salomone succede a suo padreDavide come re di Giuda. Salomone è gio-vane e non vi è nessun segno che lasci pre-sagire il suo futuro successo. La notteprecedente al suo viaggio a Gabaon per of-frire un sacrificio fa un sogno. Il Signore gliappare e dichiara: «Chiedi! Cosa ti possodonare?». Un’offerta inaspettata e a dirpoco favolosa, potrebbe chiedere millecose: la vittoria nelle guerre, un regno sem-pre più grande... ma Salomone chiede«un cuore che ascolta».Salomone desidera ricevere da Dio un cuo-re capace di ascoltare. Una domanda cheDio esaudì.I maestri dello spirito sono concordi nel so-stenere che l’ascolto di Dio è un’operazione

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difficile. Richiede silenzio, povertà interiore,attenzione, un atteggiamento di ricerca.Il cammino del credente è sempre un nuo-vo inizio: «ogni mattina fa attento il mio orec-chio», dice il Servo del Signore (Is 50,4), el’orante gli fa eco con l’invito: «Ascoltateoggi la sua voce» (Sal 95,8). L’ascolto prece-de l’evangelizzazione. Ma che cos’è l’evan-gelizzazione? È una forza che trasforma ilpresente, lo riconfigura e lo spinge versoil futuro, una forza mediante la quale il re-gno di Dio si fa strada nel mondo, in mez-zo alle angustie e alle persecuzioni, portan-do vita, giustizia, libertà e pace. Evangeliz-zare non è un indottrinare, ma è una testi-monianza, nello Spirito, mediante la paro-la e l’azione. È il contrario dell’autosufficien-za e del ripiegamento su sé stessi, dellamentalità dello status quo e di una conce-zione pastorale che ritiene sufficiente con-tinuare a fare come si è sempre fatto.

Una sfida spirituale

Il primo passo per un cammino di fede è unatto di fiducioso abbandono: c’è «Uno» chemi «accetta», mi rende certo di non essereprodotto del caso e uno scherzo del desti-no. La certezza dell’esistenza di un Uno chemi sta di fronte, che io posso invocare, ver-so il quale posso gridare, e che ascolta que-sto appello e questo grido anche quandonessuno più mi ascolta, che posso ringrazia-re per la mia esistenza e per l’esistenza di al-tri, che posso ammirare, lodare ed esaltaredà senso all’esistenza, al vissuto quotidiano.Questo rapporto personale con Dio rag-giunge il suo punto più alto in Gesù. Per Gesù la buona novella liberatrice èquella di essere introdotti in una comunio-ne personale. È questo dare del tu a Dio,che ci libera dalla paura di essere in balìadi un destino senza volto e ci permette di

sentirci al sicuro nella vita e nella morte.Forse vi sono molte più persone di quan-to crediamo che apertamente o tacitamen-te ci interpellano e ci chiedono: «Insegna-ci a pregare» (Lc 11,1). Oggi la nuovaevangelizzazione si profila soprattuttocome una scuola di preghiera. Vera evangelizzazione significa ricomin-ciare da Gesù Cristo, ritornare a scuola dalui per imparare attraverso di lui a conosce-re Dio e l’umanità.L’introduzione nell’amicizia con GesùCristo e l’introduzione nella vita della co-munità, della Chiesa sono strettamentecollegate. Il rinnovamento missionariodella comunità educante è un imperati-vo del nostro tempo. Specialmente nel-l’attuale contesto occorre essere cristia-ni, educatrici consacrate in prospettivamondiale, occorrono comunità a dimen-sione ecclesiale universale.La domanda critica che dobbiamo porci è: sia-mo interessate a trasmettere la fede e a gua-dagnare alla fede coloro che non conosconoDio? Abbiamo veramente a cuore la missio-ne? Il mandato missionario parla di testimo-ni pieni di Spirito Santo. Il testimone ripienodello Spirito di Dio non parla solo con la boc-ca ma con tutta la sua vita, mettendo a rischiopersino la sua esistenza. Perciò la nuovaevangelizzazione è soprattutto un compito euna sfida spirituale; è un compito di chi per-segue la santità. Parola forse retorica? Non cer-tamente per don Bosco che l’ha propostacome via di felicità ai giovani del suo tempo.Egli ha saputo dimostrare che essere santi si-gnifica impegnarsi a realizzare la propriaumanità in pienezza. La sfida perciò è dive-nire umanamente santi, manifestare la buo-na vita del Vangelo con gesti e fatti concreti.

[email protected]@yahoo.com

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vorire la responsabilità e la maturità di tut-te le sorelle “con amore di madre”, cercan-do di “farsi amare per farsi obbedire”.

Con la sua pedagogia pregata, la santa ac-compagna nel cammino della preghiera edella vita, personalmente e comunitaria-mente, le sue figlie, insistendo continua-mente sulla crescita delle virtù umane pri-ma di tutto, quali l’affabilità e la magnani-mità, e poi su quelle che lei ritiene essen-ziali per essere “amiche forti di Dio”: l’amo-re vicendevole, il distacco da tutte le crea-ture e l’umiltà. Considera fondamentalepure avere una “determinata determinazio-ne”, condizione indispensabile per unavera crescita spirituale. Le virtù sono radi-cate nell’humus mistico della grazia e del-l’amore divino, ma hanno assolutamente bi-sogno di essere sostenute dalla volontàumana, fortemente determinata a comincia-re il cammino e a non lasciarlo più, costiquel che costi. Qui si innesta l’ascesi tere-siana, ma anche e soprattutto la sicurezzache il proprio itinerario spirituale porteràalla pienezza della comunione con Dio. Luinon può mancare mai e lui solo basta a chiintraprende la strada con questa assolutacertezza, in un dono pieno di se stessi, per-ché “Dio non si dà del tutto se non a chi sidà del tutto a lui”. Nel dono di sé si incar-na l’amore puro per Dio e per gli altri, amo-re che per crescere ed approfondirsi ha bi-sogno di due valori indispensabili, la “san-

Camminare con sicurezza.Santa Teresa d’AvilaMarta Bergamasco*

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“Non mi manca né l’amore, né il desideriodi fare di tutto perché le anime delle mie so-relle progrediscano nel servizio di Dio… IlSignore, come l’ho pregato, si degni di met-tervi le mani e di dirigere ogni cosa alla suamaggior gloria”. Così scrive S. Teresa diGesù nel Prologo al Cammino di perfezio-ne, libro in cui espone il suo insegnamen-to spirituale alle sue “figlie” di ieri – che glie-lo hanno chiesto insistentemente – e dioggi. Da questo scritto emerge tutta la suastraordinaria capacità pedagogica.

Teresa vuole con tutta se stessa accompa-gnare le sue sorelle nel cammino verso l’u-nione con Dio e aiutarle ad essere “ciò chedevono essere” secondo la loro vocazione,perché dalla qualità umana e spirituale del-la donna che ha consegnato tutta se stes-sa al Signore dipende anche l’efficacia del-la sua missione a servizio del Regno. E lofa in un continuo atteggiamento di aper-tura al dialogo, intrecciando insegnamen-ti che attinge dalla sua esperienza umanae mistica e consegna, riflessioni e preghie-re, includendo se stessa tra i destinatari delproprio messaggio. La forza della sua pa-rola scaturisce dalla concretezza dellasua esperienza e dalla preghiera che con-tinuamente la plasma. Teresa è vera mae-stra perché è prima di tutto viva testimo-ne, è autentica formatrice perché madredello spirito. Vuole che siano così anchele priore delle sue comunità: devono fa-

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ta libertà” e la “scienza”. Teresa, costretta avolte al silenzio dalle strutture sociali ed ec-clesiali del suo tempo, limitata dalle incom-prensioni altrui verso il suo spirito e la suaumanità liberi e capaci di vedere orizzon-ti nascosti ad altri, esige perentoriamenteper le sue sorelle una “santa libertà”, sia per-sonale che comunitaria. È la libertà nella sfe-ra della coscienza, nella direzione spiritua-le, nella formazione, nell’esprimere la pro-pria identità carismatica. Chiede con for-za a Dio di non permettere che alcuna del-le sue figlie si senta coartata nell’anima e nelcorpo, perché questo impedirebbe la cre-scita nell’amore. Vigilare sulla libertà dellapropria comunità è una delle consegne piùforti che affida a coloro che saranno le re-sponsabili delle comunità teresiane.Teresa insiste pure sull’importanza di leg-gere libri sostanziosi che alimentino lapreghiera, approfondiscano la formazio-ne e diano luce su tutta la vita. Una del-le sue raccomandazioni più appassiona-te è quella di camminare sempre nella ve-rità, di cercarla senza tregua sia su se stes-

si che sulla realtà in cui viviamo. Per lostesso motivo invita le sue sorelle adavere dialoghi e confronti con personecolte, teologi, biblisti, capaci di illumina-re con le loro conoscenze coloro che vo-gliono seguire la via della verità.“Il cammino della verità” è un principio co-stante nel suo compito di educatrice. Que-sta donna “andariega” negli spazi dellospirito, ha fatto un’esperienza mistica di Diocome verità talmente intensa che la fa scri-vere: ”Per conformarci in qualche cosa alnostro Sposo e Dio, occorre che cerchiamosempre e molto di camminare nella verità”.Tale cammino, che è in fondo l’autenticoprofetismo della vita consacrata, richiede undiscernimento costante, possibile soltantose si ha una qualità fondamentale, il “buoncriterio”. Secondo Teresa è un requisito es-senziale per chi si presenta come candida-ta per condividere il genere di vita che havoluto nei suoi monasteri. Afferma catego-ricamente che non si ammetta assolutamen-te una giovane priva di buon criterio, di que-sta intelligenza indispensabile al discerni-mento, perché per vivere con verità la vo-cazione ricevuta, oltre alla grazia di Dio eassieme ad essa, è necessaria un’adeguataapertura mentale, che permette di compie-re il viaggio interiore verso la pienezza sen-za naufragare. S. Teresa vuole che le sue so-relle abbiano una grande apertura di men-te, di cuore e di spirito. “Dio non è meschi-no” come noi talvolta lo immaginiamo,scrive. Così quanto più ci avviciniamo a lui,ci inabissiamo nella comunione con lui, tut-to il nostro essere, umano e spirituale, siapre, si dilata. “Abbiate desideri grandi – cidice ancora – e lo saranno anche le vostreopere”. Lo sarà sicuramente la vita.

*Monaca Carmelitana del Carmelo Tre Madonne a Roma

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va dalle altre superiore del Consiglio gene-rale, come nota suor Ana María Fernandeznel suo documentato studio su questeLettere. Da parte sua, era la consapevolez-za di un’identità a cui non poteva rinuncia-re, anche se aveva detto e ripetuto di nonsentirsi in grado di essere la guida della co-munità e dell’Istituto in continua crescita.Era convinta di essere sorella tra le sorelle,ma per il suo ruolo di animazione e di go-verno si autodefiniva “La Madre”, “La Madreche tanto vi ama nel Signore”.Si coglie da questa espressione la pre-gnanza di un appellativo: colei che accom-pagna la vita, se ne prende cura, la fa cre-scere, ma sempre nell’ottica di un amoreche trascende l’affetto umano sia purecosì intenso, l’amore del Signore.Dal suo essere e sentirsi Madre derivano al-cuni atteggiamenti che emergono in con-troluce dalle espressioni da lei usate nellelettere e che delineano i tratti di un volto in-confondibile: comprensione e interessa-mento attento per la situazione concreta diogni persona, affetto profondo espresso inmodo percepibile, incoraggiamento fiducio-so, esortazione ferma e decisa a cammina-re sui sentieri della santità, gioia dell’incon-tro e della comunicazione. Nelle lettere racconta se stessa con schiet-ta lucidità e si pone in relazione con im-mediatezza e vivacità: ora arguta, ora in-coraggiante, ora pronta a dissentire, a cor-reggere. Esigente e al tempo stesso rispet-

La MadrePiera Cavaglià

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Quest’anno ricorre il 130° anno della mor-te di Maria Domenica Mazzarello. Fin dal-l’inizio dell’Istituto (1872) è chiamata “Ma-dre” dalle sorelle e dalle giovani. Lungo il cammino dell’Istituto delle FMA,fondato da don Bosco con l’attiva collabo-razione di Maria Domenica, di generazionein generazione è rimbalzata incalzante la do-manda: “Com’era madre Mazzarello?”.I biografi si impegnano a delineare il suopercorso storico, la sua spiritualità, la suaopera. Gli studiosi, a partire dalle fonti do-cumentarie, aiutano a penetrare in profon-dità qualche aspetto della sua figura e delsuo stile educativo.Le testimonianze al Processo di canonizza-zione – iniziato cento anni fa il 23 giugno1911 – lasciano percepire la fama di santitàche ha avuto questa Madre nei suoi 44 annidi vita. Sono soprattutto le sue 68 lettere chepermettono di incontrare la Madre ad unadistanza ravvicinata e di sentire quasi il pal-pito del suo cuore e la freschezza delle suerelazioni. Mai avrebbe immaginato chequalcuno a distanza di tempo leggesse isuoi scritti, al di là delle destinatarie o de-stinatari ai quali si rivolgeva in piena con-fidenza. Desta stupore innanzitutto la suafirma e l’appellativo con cui conclude qua-si tutte le lettere alle FMA: Affma la Madre;Aff.ma in Gesù la Madre Suor Maria Mazza-rello, oppure: Aff.ma Madre la povera suorMaria Mazzarello.Madre era il titolo familiare che la distingue-

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tosa, comprensiva, sempre ottimista epiena di speranza. In ogni persona scopre– direbbe Simone Weil – quel “depositod’oro puro” da valorizzare e da potenzia-re, e concepisce la sua vocazione come untrovare la strada per metterlo in eviden-za e farlo crescere.Si può dire che la maternità di Maria Dome-nica Mazzarello si esprime con il caratteredell’accompagnamento spirituale dalleprofonde risonanze educative. Nel suo sti-le di animazione, ella non comanda, prefe-risce esortare, incoraggiare, confortare, la-sciar percepire che comprende, intuisce per-sone e situazioni, e parte di lì per guidare allameta. Nella sua sapienza pratica, additauna Sapienza più alta che non passa attra-verso le nozioni, le lingue, i titoli di studio,ma attraverso l’umile adesione al mistero diDio che solo può rendere sapienti. Nel farsi sentire “compagna nel cammino”non esita a riconoscere i suoi limiti, a chia-mare per nome le sue stesse fragilità e de-bolezze facendosi così ancora più vicina.«Era di una compagnia piacevolissima» ri-cordava il suo direttore spirituale, don

Giovanni Battista Le-moyne. E dall’Argenti-na don Giacomo Co-stamagna, ricevuta lanotizia della morte disuor Maria Mazzarelloavvenuta a Nizza Mon-ferrato il 14 maggio1881, scriveva: «Io ave-vo tre Madri carissime:mia madre là in Cara-magna che mi dicevasempre: Ricordati, Gia-como, che io non sonotua Madre che per cu-stodirti, tua Madre stanel Cielo. Ma trovai in

questa terra un’altra Madre per custodir-mi, e questa fu la Madre Mazzarello! Ah,quanto mi amava quell’anima del Signo-re!... Io non posso darmi pace di questamorte» (Lettera del 4 luglio 1881). Erano in tanti e in tante a raccontare laprofondità del suo “prendersi cura” di ognipersona. Una missionaria, che da ragazza fuaccolta a Mornese, ricordava: «Solo chi haprovato può farsene un’idea!... Pareva cheio fossi sola in quella casa per farmi delbene!» (Maccono, Santa II 243).Il suo stile affettuoso e a volte fermo ed esi-gente dava volto alla tenerezza di Dio cheama le sue creature e desidera che sianosempre più suoi figli e figlie.Senza forzature si può applicare anche asuor Maria Mazzarello quello che scrivevaPaolo ai Tessalonicesi: «Siamo stati amore-voli in mezzo a voi, come una madre che hacura dei propri figli. Così, affezionati a voi,avremmo desiderato trasmettervi non soloil Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita,perché ci siete diventati cari» (2 Ts 7,8).

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forza un maggiore impegno ai governiper sradicare questa piaga che generapovertà ed esclusione. Infatti, la negazione del diritto fondamen-tale all’educazione ossia l’analfabetismo, hadelle conseguenze gravi che possono esse-re addirittura mortali per le persone. Sen-za istruzione è difficile svolgere un lavoroproduttivo, curare la propria salute, mante-nere o proteggere se stesse e la famiglia, be-neficiare di una vita culturalmente appagan-te. L’analfabetismo pregiudica la capacità diavere rapporti sociali improntati alla com-prensione, alla pace, alla tolleranza, alla pa-rità tra i sessi, tra i popoli e i gruppi umani.L’educazione costituisce il fondamentodella cittadinanza democratica e del pro-gresso sociale e la sua negazione danneg-gia queste opportunità vitali.Le esperienze di tanta gente, adulti ebambini illustrano bene questa dramma-tica situazione. Le storie che seguono, nesono la prova tra tanti esempi:

«Sono Christopher, ho 10 anni, sono ilmaggiore di 4 fratelli. Dal terremoto del 12gennaio, viviamo in una tenda. Non sonomai andato a scuola. La mia mamma non miha mandato perché non ha soldi. Durantela giornata, do una mano a mamma nei ser-vizi di casa. Quanto mi piacerebbe andarea scuola come gli altri bambini! Non soquando arriverà questo giorno per me».

«Mi chiamo Siliana, forse ho 48 anni, non so

«…l’avete fatto a me»Martha Séïde

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Il secondo degli otto Obiettivi di Sviluppodel Millennio riguarda l’impegno di garan-tire a tutti un’istruzione primaria, cioè«Fare in modo che tutti i bambini e le bam-bine completino il ciclo scolastico prima-rio». Ricordarlo è più che doveroso, in untempo dove l’analfabetismo è ancora mol-to elevato. Infatti, le istituzioni, impe-gnate nella tutela dei diritti umani, affer-mano che l’educazione è l’unica vera risor-sa per lo sviluppo sostenibile. In questosenso, l’analfabetismo è una delle causemaggiori di tante miserie nel mondo. È vo-cazione di ogni cristiano, scoprire questemiserie, nel corso della storia, perché sadi incontrare in queste il volto del Maestrodivino. Infatti, Gesù stesso si identifica ne-gli indigenti e nei bisognosi: “Ogni vol-ta che avete fatto queste cose a uno solodi questi miei fratelli più piccoli, l’avetefatto a me... Ogni volta che non avete fat-to queste cose a uno di questi miei fratel-li più piccoli, non l’avete fatto a me”.

Parlano i fatti

Secondo gli ultimi rapporti dell’Organiz-zazione delle Nazioni Unite per l’educa-zione e la cultura, nel mondo ci sono cir-ca 900 milioni di analfabeti, di cui 110 mi-lioni sono bambini, ed il 60% bambine. Inoccasione della Giornata internazionaledell’alfabetizzazione 2010, il segretario ge-nerale dell’Onu, Ban Ki-moon, chiede con

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né leggere né scrivere. Ho perso la miamamma quando avevo 1 anno e mio padrea 2 anni. Mio zio mi aveva accolto a casa suada piccola. Mi ha tenuto a casa per i servi-zi domestici mentre i suoi figli andavano ascuola. A 18 anni, mi ha mandato via con 10soldi dicendo che potevo guadagnarmi lavita da sola. Ho cominciato a vendere cara-melle sulla strada. Fare la venditrice ambu-lante è una vita molto dura, esposta a tan-te umiliazioni. Sono riuscita con fatica adandare avanti. Certamente, se avessi avutola fortuna di frequentare la scuola penso chela mia vita ora sarebbe molto diversa. Conil mio lavoro ho potuto far studiare mio fi-glio sperando che la sua vita sia diversa».

«Mi chiamo Kevin, adesso ho quasi 9anni, mi piace giocare a biglie, a carte, apallone, a fare le corse. Ero piccolo quan-do in guerra è morto mio padre, mi piaceleggere, scrivere e disegnare. Dopo laseconda elementare, non sono più anda-to a scuola, ma ci voglio proprio tornare».

Alle sorgenti dell’amore

Il più grande dei comandamenti della legge èamare Dio con tutto il cuore e il prossimo comese stessi (cf Mt 22, 37-40). Cristo ha fatto pro-prio questo precetto e lo ha arricchito di unnuovo significato, avendo identificato se stes-so con i fratelli dicendo: « … l’avete fatto a me»o « … non l’avete fatto a me » (Mt 25,40-41). Lui,il Figlio di Dio, che ha voluto nascere, vivere esoprattutto morire in una povertà estrema, siidentifica in tutti i poveri, in tutti i più piccoli.L’attenzione agli ultimi, ai piccoli è dunque mo-mento essenziale nel percorso di crescita cri-stiana. La dottrina sociale della Chiesa incorag-gia l’impegno sociale e politico in ambito cul-turale con alcuni orientamenti precisi. Il primoè quello che cerca di garantire a ciascuno il di-ritto a una cultura umana e civile conforme alladignità della persona. Tale diritto implica il di-ritto delle famiglie e delle persone ad una scuo-la libera e aperta (Cf Compendio DSC 557).

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La parola di Gesù e gli orientamenti dellaChiesa ci interpellano ed esigono che ciascu-no esca da sé per interessarsi ai fratelli chesi trovano in situazioni di disagio, in modoparticolare coloro che sono privi del dirittoalla cultura e all’educazione.

Alla radice della povertà di tanti popoli ci sonoanche varie forme di privazione culturale e dimancato riconoscimento dei diritti culturali.Come la nostra comunità educante si rendeattenta alla situazione culturale dei bambinie dei giovani del nostro territorio?

L’impegno per l’educazione e la formazionedella persona costituisce da sempre la prima

sollecitudine dell’azione sociale dei cristiani.Come coinvolgere i giovani e i bambini deinostri centri educativi, affinché si aprano adun maggiore impegno di solidarietà a favo-re dei coetanei?

Sostenere la scolarizzazione, soprattutto perle donne, significa rendere ogni personaprotagonista dello sviluppo all’interno dellapropria famiglia, con una ricaduta importan-te nel destino del proprio Paese, un modo persalvare i propri diritti e la propria esistenza.Quanto queste parole interrogano le nostrecoscienze e ci spronano a promuovere nelconcreto la scolarizzazione di tutti?

Tocca a me… tocca a noi…

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le persone, nella loro capacità di realismoe di superamento dell’emotività ferita.Fa riflettere sul fatto che tutte sono re-sponsabili della vita della comunità: ognu-na può contribuire alla comunione, suo-re e giovani insieme con la direttrice.La lettera 49 esprime in termini chiaricome la Madre intende e vive il servizio diautorità: un ruolo vissuto nella logicaevangelica del portare i pesi gli uni deglialtri, del “lavarsi i piedi” reciprocamente,della corresponsabilità, dell’accompagna-mento reciproco. Ognuna è chiamata a far-si carico dell’armonia della vita insieme,nell’ottica di una comunità educante: le ra-gazze, a St.Cyr, vivevano con le Suore.

Autorità e maternità

La parola latina “auctoritas” rimanda al ver-bo da cui deriva: “augere”, che significa “ac-crescere”, “fecondare”. L’autorità, dunque,è connotata dalla fecondità. In questo sen-so fa riferimento alle esperienze di base, allarelazione primaria con la madre, la primaautorità con cui il bambino si confronta. È lei che ha la funzione di nutrire, orienta-re, insegnare, offrire gli apprendimentifondamentali per affrontare la vita. È proprio della madre farsi spazio di ac-coglienza, provvedere a quanto è neces-sario alla crescita dei figli, dare e riceve-re fiducia, educare all’autonomia e, gra-dualmente, al dono di sé. Conosciamo quanta insicurezza e paura

AutoritàGiuseppina Teruggi

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Ci sono parole che si preferirebbe toglie-re dal vocabolario. E si pronunciano ilmeno possibile. Una di queste, da cui fa-cilmente si prendono le distanze, è “au-torità”. Forse perché collegata a esperien-ze problematiche, a riferimenti negativi.Lo si voglia o no, tuttavia, ogni conviven-za umana non può esimersi dalla presen-za o dal confronto con una “autorità”.

Autorità e corresponsabilità

Ottobre 1880. A St. Cyr in Francia, c’è unacomunità che vive in modo problematicoil cambio inatteso della direttrice tantoamata, Caterina Daghero, eletta vicariagenerale dell’Istituto. Le suore non accet-tano la nuova direttrice. Madre Mazzarel-lo si rende conto della situazione, ascolta,attende, e rimanda suor Caterina perchèle aiuti a rasserenarsi. Dopo un mese scri-ve alle suore una lettera (L 49): “Avrei biso-gno di un piacere da voi, è che lasciate ve-nire la mia vicaria suor Caterina…”. Nessun tono di rimprovero, nessun mora-lismo, ma una richiesta convincente dicollaborazione in una situazione critica. Madre Mazzarello avrebbe potuto “eserci-tare la sua autorità” con una soluzione ra-pida. Non lo fa. Sceglie la via del dialogo,della ragione, dell’amorevolezza. Anchedella fermezza. Porta motivazioni di fede.Invita le suore ad allargare gli orizzonti e atener conto delle conseguenze del lorocomportamento. Dimostra di credere nel-

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provocano nella persona l’assenza dellamadre o del padre, la loro negligenza ouna loro ingerenza inopportuna. Nell’autorità è inscritta una funzione“maieutica”, secondo l’accezione socraticaben nota nel linguaggio educativo. Comel’ostetrica, infatti, chi ha un ruolo di auto-rità privilegia il “tirar fuori” dall’altro valo-ri e pensieri assolutamente personali, alcontrario di chi vuole imporre le proprie ve-dute. È un ruolo che mette in evidenza lo svi-luppo e la crescita delle capacità della per-sona, privilegiando la reciprocità e la relazio-ne. Se non è vissuta così, facilmente l’auto-rità può diventare potere o controllo, preoc-cupazione prioritaria di garantire il rispettodelle norme e delle regole, in modo che tut-to funzioni secondo un piano predisposto.Molto bella, in proposito, l’espressione bi-blica del libro dei Giudici: «Era cessata ogniautorità di governo, era cessata in Israele, finquando sorsi io, Debora, fin quando sorsicome madre in Israele» (Gdc 5,7).

Potenziare e attendere

Non è ovvio esprimere in questo modol’autorità, viverla come aiuto che permet-te di sviluppare le qualità di ciascunoper il bene di tutti, senza scadere nel ma-ternalismo o paternalismo. Ma neppurenel potere e nel controllo, con la pretesadi essere onnipresenti e “avere tutto inmano” per un migliore servizio. Forse è necessario recuperare la “forzamaieutica” dell’autorità, la sua capacità didare espressione, vita e nutrimento allepotenzialità delle persone, l’arte di atten-dere i tempi che sono propri di ognuno,con attenzione alla sua autonomia.È una grande dote non farsi prendere dal-la fretta di intervenire immediatamente.E sapersi porre di fronte all’altro con ri-

spetto, perché mistero insondabile, irri-ducibile a qualunque schema o proget-to. L’impazienza, generata dal bisogno divedere cambiamenti rapidi nel vissutodella comunità e delle singole sorelle, sicontrappone alla logica della gradualitànella progressività, propria della struttu-ra umana e dell’agire di Dio.Niente di passivo in questo, ma l’atteg-giamento di fiducia che sa talvolta esse-re esigente. Il lasciar correre, infatti, ta-cendo di fronte a situazioni ambigue per“non complicarsi la vita”, può portarelentamente alla confusione e all’infe-deltà del proprio specifico servizio.Essere autorità per un’altra persona signi-fica anche conoscere la sua strada, aiutar-la a focalizzare, ad affrontare i problemiche questa strada indica. In alcuni mo-menti, poiché la libertà è fragile, occorredare delle indicazioni, suggerire dellepiste, perchè l’altro possa riconoscere ciòche ancora non gli risulta evidente.

Crescere nella relazionalità

Un aspetto indiscutibile dell’autorità è la suaconnotazione di relazionalità, di interdipen-denza. È difficile pensare ad un sano usodell’autorità senza tener conto della realtà,delle esigenze, della singolarità delle per-sone che sono affidate e con cui si vive. Nel2008 è uscito un documento della Congre-gazione per gli Istituti di vita consacrata ele Società di vita apostolica dal titolo “Il ser-vizio dell’autorità e l’obbedienza”. Ci sono pagine belle e di ampi orizzonti.“L’autorità - si legge al n.20 - promuove lacrescita della vita fraterna attraverso il ser-vizio dell’ascolto e del dialogo, la creazio-ne di un clima favorevole alla condivisionee alla corresponsabilità, la partecipazionedi tutti alle cose di tutti, il servizio equilibra-

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del tutto “scolastico”, del dire le cose aglialtri perché le imparino, secondo il meto-do dell’allevamento dei polli: più dài cibopiù essi lo assorbono. Nella didattica, l’esi-to naturale spesso è l’oblio. Nel secondo, la dimostrazione è motivata,nasce da un convincimento o da un’espe-rienza dello stesso insegnante, incide e con-vince il discepolo che ricorderà il messag-gio ricevuto. Ma c’è il livello più efficace, ilterzo: quello della testimonianza. Non soloil docente dimostra, ma rivela che quella ve-rità ha guidato le sue scelte, l’ha aiutato nelpercorso della vita: allora le sue parole nonsaranno solo ricordate, ma diventerannoesempio da imitare e coinvolgeranno pie-namente l’alunno. È una situazione che vale in ogni processoeducativo. Soprattutto nell’animazione e neicontatti quotidiani con le persone. Mons. Gianfranco Ravasi, in uno scritto ap-parso su “Mattutino” – rubrica del giorna-le Avvenire – alcuni anni fa ha rilevatoquesti tre passi e ne ha fatto una sintesi:“Dimmi e io dimentico; mostrami e io ricor-do; coinvolgimi e io imparo”. È, questo, uno dei doni più alti e delicati cheuna persona può offrire ad un’altra. Ogniautorità è efficace nella misura in cui siesprime in modo autorevole. Autorevolezza è espressione di testimo-nianza e di esperienza coerente tra quan-to si dice e quanto si fa, oltre ad esprime-re competenza nel campo specifico delproprio servizio. Come Paolo VI scrisse:«L’uomo contemporaneo ascolta più vo-lentieri i testimoni che i maestri, o seascolta i maestri lo fa perché sono dei te-stimoni» (Evangelii Nuntiandi, IV, 41).

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to al singolo e alla comunità, il discernimen-to, la promozione dell’obbedienza fraterna”. C’è una fecondità intrinseca in un’animazio-ne che si preoccupa di creare ambienti difiducia, in cui sono riconosciute le capacitàe le sensibilità di ogni persona, e che ali-menta, con le parole e con i fatti, “la con-vinzione che la fraternità esige partecipa-zione e quindi informazione”.Sappiamo che l’armonia delle relazioni in-terpersonali è garantita dalla capacità di dia-logo. Che implica sapere ascoltare per en-trare in una relazione autentica con le per-sone, conoscere i loro bisogni, le loroaspettative, i loro cammini. Il tema dell’ascolto è ben elaborato nel do-cumento e visto come uno dei compiti piùrichiesti a chi è in autorità che «dovrebbeessere sempre disponibile, soprattutto conchi si sente isolato e bisognoso d’attenzio-ne. Ascoltare, infatti, significa accogliere in-condizionatamente l’altro, dargli spazionel proprio cuore. Per questo l’ascolto trasmette affetto ecomprensione, dice che l’altro è apprezza-to e la sua presenza e il suo parere sono te-nuti in considerazione. Chi presiede deve ricordare che chi non saascoltare il fratello o la sorella non sa ascol-tare neppure Dio, che un ascolto attentopermette di coordinare meglio le energie ei doni che lo Spirito ha dato alla comunità,e anche di tener presenti, nelle decisioni, ilimiti e le difficoltà di qualche membro. Iltempo impiegato nell’ascolto non è mai tem-po sprecato, e l’ascolto spesso può preve-nire crisi e momenti difficili» (n.20).

Autorità e autorevolezza

Lo scrittore e politico americano BenjaminFranklin, vissuto nel 1700, distingueva tregradi nell’insegnamento. Il primo è quello,

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NON VOGLIO AVERE PAURA...

DI ASPIRARE ALLA SANTITÀ!

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Dio

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“Giovani di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi

del nuovo millennio! Siate contemplativi e amanti della preghiera;

coerenti con la vostra fede e generosi nel servizio ai fratelli,

membra attive della Chiesa e artefici di pace”

(Giovanni Paolo II)

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Signore Gesù,Non voglio avere paura

della mia giovinezza e di quei profondi desideri

che provo di felicità, di verità, di bellezza

e di durevole amore!

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Intervista a: Sr. Elsabeth Gezahegn Asregdew (AES), Sr. Liliane Kaputo Matinko (AFC), Sr. Marie Thérèse Kamanayo (RMA).

Qual è stata l’esperienza pastorale più si-gnificativa per te?

Sr. Elsabeth - L’esperienza pastorale più si-gnificativa per me è l’oratorio: luogo pri-vilegiato in cui si assimila, si vive e si con-divide lo stile salesiano e dove si trasmetto-no i valori evangelici, sia nella comunità edu-cante che tra i giovani che frequentano l’o-pera FMA. Alcuni momenti hannosegnato fortemente la mia esperienza pasto-rale quali: le feste di Don Bosco, di Maria Au-siliatrice, di Maria Mazzarello e altre feste sa-lesiane, il cammino di preparazione alla Pa-squa. Per me e per la mia gente sono mo-menti di evangelizzazione, di esperienza del-l’amore di Dio per noi. Mi ha sempre colpito la partecipazionedei bambini, dei giovani, degli adulti e de-gli anziani alle proposte formative della co-munità; questo ha suscitato in me un sen-so di stupore e la consapevolezza che appar-teniamo ad una realtà più grande e che sia-mo parte di una grande famiglia che è laChiesa.

Sr. Marie Thérèse - Ho avuto poche oppor-tunità di stare o lavorare con i giovani, male esperienze che hanno toccato di più la

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mia vita sono state quelle vissute nell’ora-torio di Sakania e nella casa famiglia Lau-ra Vicuña, che accoglieva bambine ab-bandonate e in difficoltà. In Mozambico hopotuto lavorare con ragazzi in difficoltà.Esperienze molto diverse, ma che mi han-no aiutato a capire le sfide e le difficoltà del-la crescita delle nuove generazioni.

Sr. Liliane – Ho avuto la possibilità di vive-re esperienze pastorali molto intense findalla giovinezza. Come FMA l’esperienzapiù bella è stata quella di realizzare con igiovani iniziative di formazione. Con ilgruppo degli animatori siamo partiti dalnulla o quasi e siamo arrivati a realizzazio-ni significative allargando sempre di più ilcoinvolgimento ad altri giovani. Ho speri-mentato la creatività, la solidarietà, il de-siderio dei giovani, con cui ho lavorato, diandare incontro a quelli meno fortunati,con poche risorse. Per agevolare i giovanidei villaggi rurali che proprio per le distan-ze, la povertà, hanno meno possibilità dipartecipare ad incontri formativi, di pre-ghiera, di riflessione si sono realizzatieventi in diverse zone della diocesi.

Quali sfide, bisogni, aspettative ti sei trovata ad affrontare nella missionetra i giovani?

Sr. Elsabeth - Le sfide, i bisogni e le aspetta-tive dei giovani nella missione in Etiopia sicollocano in un contesto sociopolitico e cul-

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turale molto complesso e caratterizzato dal-la povertà. Il sistema educativo e quello po-litico ed economico tendono ad aumenta-re il divario tra ricchi e poveri. In tale situazione molti giovani non han-no possibilità di istruzione, educazionee formazione e di conseguenza la qualitàdella vita è compromessa nei suoi aspet-ti più profondi. I nostri ragazzi per emanciparsi emigra-no dal Paese e vanno all’estero per trova-re una vita migliore, altri rimangono e la-vorano nella coltivazione dei fiori, che adoggi è la realtà più redditizia nel merca-to interno ed esterno, lavorano però incondizioni difficili e disumanizzanti. Una sfida con cui le FMA si confrontanocon sempre maggiore frequenza èquella del crescente numero di sette reli-giose. I più giovani sono indecisi, vulnera-bili e migrano a volte da una setta all’altra.

Sr. Marie Thérèse - Nella mia breve espe-rienza pastorale, ho costatato che i giova-ni vogliono vivere una vita piena, perquesto cercano adulti che siano in gradodi orientarli verso scelte di qualità, di im-pegno e di valori per una vita migliore. Attendono da noi adulti un incoraggia-mento sincero. Ho pure potuto cogliere neipiù giovani il desiderio di conoscere Dio.

Sr. Liliane – I bisogni con cui ci si confron-ta nella pastorale giovanile sono molti. Igiovani hanno sete di cultura, di scopri-re il volto di Dio, di incontrare personeche guidino a Dio.Una delle sfide più forti è proprio la presen-za educativa tra i giovani e nella Chiesa lo-cale che sente la necessità del contributodelle FMA, considerate esperte nel campodell’educazione e della pastorale.

Quali segni di speranza intravedi nellarealtà giovanile del tuo contesto?

Sr. Elsabeth - Per me l’unica speranza è l’edu-cazione intesa come promozione di quel po-tenziale che è proprio della persona umanae di tutte le sue risorse in modo integrale eglobale. Ho toccato con mano che le/i exal-lieve/i, cioè coloro che si sono formati nellescuole FMA sono segni di speranza sia nel-la Chiesa che nella società civile. L’esperien-za mi ha convito che l’educazione è la viagiusta per il futuro della mia Nazione. L’al-tro segno di speranza sono i giovani stes-si. Ho incontrato giovani che amano la vitae sono disposti a fare qualunque cosa perviverla bene e migliorare le condizioni del-l’esistenza per se stessi e per la comunità.

Sr. Marie Thérèse - Credo che i giovani sia-no un po’ uguali in ogni Paese e sempreed ovunque ci lanciano dei messaggi disperanza, di gioia, di solidarietà, di giu-stizia, di desiderio di una vita dignitosa.Tocca a noi adulti essere accanto a loroper orientarli a Cristo. I giovani hanno bi-sogno di vedere in noi Gesù...

Sr. Liliane – Il segno più grande di speran-za sono i giovani stessi con il loro modod’essere caratterizzato da fede, vivacità egenerosità. I giovani avanzano nono-stante tutto. Con creatività trovano ilmodo di superare la mancanza di adultiche indichino il cammino. Questo inter-pella le FMA ad essere buone guide per-ché il pericolo di abbandonare la gio-ventù ad altri “pastori” è forte. Le settesono molto vive e agguerrite e cercano didistogliere i giovani dalla vita cristiana. Al-tri segni di speranza sono la libertà di pro-porre il Sistema preventivo non solo nel-le nostre opere ma nel lavoro pastoraledella Chiesa locale e nella Nazione.

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personale nell’educazione dell’amore èindispensabile. E tuttavia non basta. Grande “amico dell’uomo” ed altrettantogrande “esperto pastore d’anime” in que-st’opera traccia una interessantissima ana-lisi dell’amore e di tutte le sue forme, percui passa dall’attrazione, dall’amor concu-piscentiae alla benevolenza, amor bene-volentiae con una finezza di tratto spetta-colare. «L’amore è la realizzazione piùcompleta delle possibilità dell’uomo. È l’at-tualizzazione massima della potenzialitàintrinseca alla persona […]. È evidente cheper essere così, bisogna che l’amore siaautentico […] l’amore di una persona perun’altra deve essere benevolente per es-sere vero, altrimenti non sarà amore, masoltanto egoismo […]. Arriviamo così alproblema del rapporto tra “io” e “noi”. È la reciprocità che, nell’amore decide del-la nascita di questo “noi”. Essa prova chel’amore è maturato, è diventato qualcosatra le persone, ha creato una comunità, edè così che si realizza pienamente la sua na-tura. La reciprocità porta una sintesi, secosì si può dire, dell’amore di concupi-scenza e l’amore benevolente […]. La storia di ciascuno di noi è in fondo mos-sa dal proprio bisogno e dal proprio po-tere di amare e di essere amato. Nel con-creto, però, ci troviamo di fronte ad un bi-sogno di amare e di essere amati a voltepiù o meno ferito, trascurato, smentito,ignorato, negato, per cui queste ferite

Quale educazione all’amore oggiPalma Lionetti

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Il valore e la bellezza della corporeità. Il rispetto dell’altro.

«Comandare a un giovane d’amare?... Egliama come respira, come sogna» scrivevacosì don P. Mazzolari in un suo testo del1943. Infatti i giovani, oggi, come ieri, sonoprotagonisti dell’amore e della carità. Par-lando di educazione all’amore potremmofar riferimento a chissà quanti autori con-temporanei, ma l’evento della beatificazio-ne di Giovanni Paolo II non può che offrir-ci la possibilità di richiamare alla nostra me-moria educativa le osservazioni su questotema fatte dal giovane arcivescovo di Cra-covia in “Amore e responsabilità” edito perla prima volta nel 1960 e tradotto in varie lin-gue nel giro di pochi anni.

In questo testo ha scritto pagine molto bel-le, partendo da alcuni interrogativi impor-tanti: «Che cosa significa l’espressione“educazione dell’amore?”. Si può “coltiva-re l’amore?”. Non è una cosa già fatta, dataall’uomo, o più esattamente a due persone,una specie di avventura del cuore, se cosìpossiamo dire?». E rispondeva: «L’amorenon è mai una cosa bell’e fatta e semplice-mente “offerta” alla donna e all’uomo:deve essere elaborato. Ecco, come bisognavederlo: in certa misura, l’amore non “è”mai, ma “diventa” in ogni istante quel chene fa l’apporto di ciascuna delle persone ela profondità del loro impegno». L’impegno

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possono generare dei modi di fare e di es-sere distorti, assunti per sopravvivere. Al-lora, come educare all’amore? Come per-correre e aiutare a percorrere strade dimaturazione affettiva? Come esprimere eaiutare ad esprimere il proprio amore inmodo buono per l’altro? Esprimere all’altro il proprio amore richie-de anche molto ri spetto. Il linguaggio usa-to deve poter essere buono per entrambie riconosciuto. Nel linguaggio del corpo cisono dei gesti che sono come una pre-de-cisione. Esprimere il proprio amore, trova-re un lin guaggio che faccia comprendereall’altro che lo si ama comporta che il miogesto e la mia parola siano autentici e chesiano in armonia con il mio stato di vita. Inbase alla mia scelta di vita il registro delleespressioni non può essere lo stesso. Le am-biguità non costruiscono mai. Naturalmen-te, questo richiede una certa capacità di«comprensione empatica». Ciò presuppo-ne che si sappia uscire dai propri principi,

dalle proprie maniere di fare, non per spo-sare quelle di altre persone, ma per sinto-nizzarsi come con un diapason. Ciò esigedi essere in co stante cammino di cresci-ta per cogliere che nell’amore c’è sempreuna responsabilità, che «la grande forzamorale dell’amore vero consiste nel desi-derio della felicità, del vero bene perun’altra persona» – per dirla con MartinBuber – «L’amore è responsabilità di unio per un tu». È prendersi a cuore il desti-no di un altro, rispettandone i ritmi, le pie-ghe, il mistero. Riconoscendo all’altropersino il diritto all’errore, facendo peròdel rispetto non un’elegante indifferenza,ma quell’aria in cui l’altro può respirare esentirsi libero di essere se stesso nella ver-sione migliore. Un rispetto fatto di atten-zioni e di silenzio, di discrezione e di pre-senza, di iniziativa e di attesa… perchéamare è volere che l’altro sia se stesso!

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ballerina, lei stessa superstite del geno-cidio. Testimone oculare, a soli 15 anni,di crimini orribili, Marie Claudine raccon-ta ciò che in lei ha generato la scelta ir-revocabile per la vita: «Mentre vedevo uc-cidere i bambini di fronte a me, decisi chese fossi riuscita a sopravvivere alla trage-dia, avrei aiutato gli orfani. Avrei fatto ilmio meglio per aiutare i sopravvissuti».Dopo aver perso genitori, sorelle, cugi-ne, zie, zii, nonni e altri suoi cari, amicie compagni, Marie Claudine si è aggrap-pata alla sua fede per cercare di dare ri-sposta alla sua domanda: “Perchè esisto?”. Durante il quindicesimo anniversario delgenocidio, il 7 aprile 2009, Marie Claudineha cantato all’evento commemorativo pro-mosso dalle Nazioni Unite alla presenza delSegretario Generale Ban Ki Moon.Nel mese di settembre dello stesso anno,ha deciso di fondare la Convenzione dellaPace in Rwanda, la prima del genere nellastoria rwandese. Dice: «Ho trovato spazionel mio cuore per perdonare tutti coloroche hanno commesso crimini contro di mee chiedo ai miei concittadini di perdonar-si a vicenda affinché possiamo sperimenta-re la vera pace nella nostra vita». Nel mese di maggio 2010, Marie Claudi-ne ha ricevuto il Premio “Ambasciatriceper la Pace” dalle Nazioni Unite.

Come Marie Claudine, anche Flora Brovina,Presidente del Movimento delle Donne in

Donne mediatrici di pacePaola Pignatelli, Bernadette Sangma

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Uno dei grandi traguardi raggiunti da par-te del movimento femminile delle donnenegli ultimi anni è la Risoluzione 1325 delConsiglio di Sicurezza – 2000 su Donna,Pace e Sicurezza. Si tratta del primissimo do-cumento mondiale che riconosce il contri-buto delle donne nell’ambito della costru-zione e mediazione della pace e della pre-venzione del conflitto. Il testo della Risolu-zione è stato tradotto in quasi 100 lingue di-verse e si può reperire sul sito www.pea-cewomen.org. Certamente, il passaggiodalle parole ai fatti lascia a desiderare. Nel2010, l’UNIFEM afferma che le donne costi-tuiscono meno del 10% nei negoziati emeno del 3% dei firmatari degli accordi dipace. L’ONU non ha mai nominato una don-na come capo mediatore di pace! Eppuresi afferma che una delle ragioni che ha por-tato al fallimento di più del 50% degli accor-di di pace è proprio la mancanza delle don-ne ai tavoli della pace. Mentre i meccanismi decisionali faticanoa riconoscere il coinvolgimento fattivodelle donne nella mediazione della pace,di fatto, l’apporto positivo delle donnenella risoluzione dei conflitti e nella rico-struzione post conflitto diventa semprepiù visibile e significativa oggi. “Perchè esisto”: è il nome di una fonda-zione, nata per dare nuova vita agli orfa-ni del genocidio avvenuto in Rwandanel 1994. L’autrice di tale iniziativa è Ma-rie Claudine Mukamabano, cantante e

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Kosovo, ha sperimentato le tragiche con-seguenze dell’odio e della violenza. Anchelei si dimostra una donna di grande spes-sore, capace di andare oltre le sue espe-rienze personali di violenza, per mediarela pace. Le sue considerazioni partono dalsuo essere donna. Dice: «In qualsiasicosa, dobbiamo innanzitutto dimostrareche siamo madri, donne e sorelle. Dobbia-mo confrontare e vincere le cause dellepene e delle sofferenze con la potenzadella ragione insistente. Quando ci trovia-mo di fronte ad atti di intimidazione, fer-miamoci a chiederci: come ci sentiremmose fossimo al posto della vittima? [...] Le donne sono riuscite a costruireponti in tutte le parti del mondo. Anche noidobbiamo e possiamo costruirli. [...] Se riu-sciamo a liberarci dai problemi politici e cifissiamo sulle faccende della vita quotidia-na vediamo che condividiamo la stessa lin-gua e gli stessi interessi. [...] Noi dobbiamorenderci conto che la violenza in ex-Jugo-slavia ha colpito maggiormente le donne.Abbiamo la responsabilità verso noi stes-se, verso i nostri figli e anche verso quel-le persone che minacciano la nostra sicu-rezza. Per questo non dobbiamo e non pos-siamo essere messe da parte nei processiche sono vitali per il nostro futuro».

Anche dall’America Latina ci arrivano vocidi profonda intensità come quella di Nor-ma Berti, scrittrice e protagonista del librodella vita in Argentina: Donne ai tempi del-l’oscurità. «Fatto il golpe del 24 marzo del1976, i militari argentini assunsero un mo-dus operandi squadrista , sostenendo di agi-re in una guerra non dichiarata, decidendodi dimenticare di essere i difensori della leg-ge, mettendo tutte le forze armate dello Sta-to al servizio di una repressione condottacon metodi completamente illegali.

I Campi Clandestini inghiottirono migliaiadi persone fra cui si contavano fra l’altro fi-gure sociali come preti, minorenni, donneincinte, intellettuali, ecc., senza disturbarela coscienza del Paese, che non era prepa-rata per pene di morte indiscriminate.In quegli anni nella società civile sarannole donne quelle che sfideranno i militari,cercando di conoscere la sorte dei loro fi-gli scomparsi. Per molti anni la sola oppo-sizione visibile al regime saranno i loro girisilenziosi e pacifici attorno alla Plaza diMayo, i loro fazzoletti bianchi, i loro cartel-li che costantemente denunciavano i nomidei repressori, il loro grado, l’arma d’appar-tenenza, l’ubicazione dei centri clandesti-ni di detenzione, cioè quanto serviva perrendere manifesta la verità che il regime cer-cava di nascondere e di negare. La loro“mania” per la ricerca della verità è stataper anni l’unica nota discordante e striden-te che fuoriusciva da una società incate-nata, timorosa e succube d’un terroreimposto dall’alto. Ma queste donne han-no fatto di più: con il ritorno della demo-crazia quando si è palesata l’impossibilitàdella ricomparsa dei propri figli non sisono smobilizzate e hanno trasformato laloro lotta per la ricomparsa dei figli in unalotta civile per la verità e la giustizia. Giu-stizia, che dopo una strada lunga 30 annidi lotte sono riuscite a ottenere, perché inquesto momento l’Argentina è l’unicopaese dove si è riusciti a processare il ge-nocida». Marie Claudine, Flora Brovina, NormaBerti e tante altre... dimostrano il coraggio,la forza e l’impegno delle donne a tesse-re trame di relazioni e a far risorgere laconvivenza umana anche dalle ceneri!

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posto l’ossigeno. Le foreste consentono difiltrare e trattenere le acque, riducendo irischi idrogeologici del territorio, distrug-gere l’habitat per migliaia di specie anima-li e vegetali (biodiversità), aumentare l’u-midità del clima, frenare l’erosione del suo-lo ecc. La deforestazione è il risultato diun’azione irrazionale dell’uomo. Quando il taglio degli alberi eccede il lorotasso di ricrescita, allora la popolazione dialberi si riduce (deforestazione).Col passare del tempo si ridurranno anchegli effetti positivi apportati dalle piante al-l’intero ecosistema.Nelle foreste tropicali, ad esempio, vivemetà di tutte le specie animali esistenti sul-la terra. Questo vero scrigno della biodi-versità è anche il “polmone verde” del no-stro pianeta, che gioca un ruolo decisivonegli equilibri climatici globali. Ma su un totale di 2 miliardi di ettari di fo-reste tropicali, ogni anno ne vanno perdu-ti tra 11 e 15 milioni di ettari. Come dire che ogni tre secondi scompa-re l’equivalente di un campo di calcio!

La Terra è malata e sta facendo di tut-to per comunicarcelo. Se continuiamoad ignorare i segni, l’organismo-Terrasarà costretto a reagire e i primi a rimet-terci saremo proprio noi.

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Deforestazione, una minaccia per il pianetaAnna Rita Cristaino

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La deforestazione sta minacciando la sus-sistenza di più di un miliardo e mezzo dipersone che dagli alberi e dalla natura cir-costante traggono direttamente sostegnoper vivere: è il monito lanciato dalle Nazio-ni Unite per il 2011, “Anno Internazionaledelle foreste”, un’iniziativa che mira a pro-teggere i polmoni verdi del mondo - oltreil 31% della superficie del pianeta, circa 4miliardi di ettari - e i suoi abitanti. Secondo l’Onu, di oltre 1,6 miliardi di per-sone che dipendono direttamente dalle fo-reste, circa 60 milioni appartengono a co-munità autoctone e locali, senza risorseeconomiche. Sempre secondo dati ONU,circa 13 milioni di ettari di boschi sono ab-battuti ogni anno a causa dello sviluppo ur-banistico o per esigenze agricole.L’Anno Internazionale delle foreste vuoleaccrescere la consapevolezza e promuo-vere un’azione globale per la gestione,conservazione e sviluppo sostenibile di tut-ti i tipi di foreste. La deforestazione non è altro che la ridu-zione delle aree verdi naturali della Terra.Questo è uno dei principali problemi am-bientali del mondo contemporaneo. La presenza delle foreste gioca un ruolo digrande importanza per il mantenimentodegli equilibri dell’ecosistema. Tramite il processo della fotosintesi lepiante sottraggono l’anidride carbonicanell’aria (effetto serra) rilasciando al suo

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scepoli del nuovo millennio, non do-vremmo arretrare né avere paura. Il mo-nito di san Paolo risuona ancora: «Guai ame se non predicassi il Vangelo!».La sfida è dunque quella di rendere vivoed attuale Dio nei molteplici e variegaticanali, nelle forme comunicative a cui cisollecitano i nuovi media, negli ambien-ti e spazi costruiti dalle tecnologie digi-tali senza perdere il patrimonio di sapien-za religiosa del passato. È una “storia nuova” caratterizzata da unatrasformazione incalzante e inarrestabile.Nello scenario attuale muta anche l’idea di“universalità” e si estende il concetto di“cattolicità”. Nel mondo digitale tutti siamoormai connessi con tutti (almeno virtual-mente). Il problema non è tanto quello diraggiungere le persone a cui annunciare ilVangelo, quanto quello di intercettare ipensieri, le parole, le emozioni, compren-dere le rappresentazioni e gli immaginari,in un contesto di “surplus di comunicazio-ne”, dove è diffusa la con-fusione.Là dove gli uomini e le donne si incontra-no, si interrogano, a volte senza speran-za, lì ci deve essere la presenza dei cristia-ni. Come per Paolo l’Aeropago di Atene,il web è la piazza per interagire, perconfrontarsi. Perché il bisogno di Dio cheagita il cuore umano, di ogni tempo e diogni latitudine, è quello di trovare un“Tu” che ascolti e risponda.La verità del Vangelo, l’annuncio della Buo-

Quale annuncio nel tempo della connessione?

Ho un popolo numeroso in quella città…Maria Antonia Chinello

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L’interrogativo è di sempre: «Da questa ga-lassia di immagini e suoni [Internet, ndr.],emergerà il volto di Cristo? Si udirà la suavoce?». Benedetto XVI, nel Messaggio perla 45° Giornata Mondiale per le Comunica-zioni sociali (5 giugno 2011), riporta i cre-denti al cuore della domanda circa la mis-sione della Chiesa nel mondo contempo-raneo: Verità, annuncio e autenticità di vitanell’era digitale. Ancora una volta, lo sguar-do e il pensiero hanno i toni e le sfumatu-re dell’apertura al “nuovo”, anche se conun’ottica più ampia: l’impegno per una te-stimonianza del Vangelo nel continente di-gitale. C’è posto per tutti, nessuno escluso.

Sappiamo che la Rete «è parte integrantedella vita umana». Allo stesso tempo, però,siamo consapevoli che il nostro temponecessita di una «pressante seria riflessio-ne sul senso della comunicazione»; che èurgente uno «stile cristiano di presenza an-che nel mondo digitale»; che c’è bisognodi cristiani adulti e giovani, convinti dellaloro fede, esperti della vita secondo lo Spi-rito, pronti a rendere ragione della loro spe-ranza, testimoni dell’amore senza limiti diDio, perché la Buona Notizia raggiunga esvegli il “popolo” numeroso del Web. È tempo di rinnovata missione, di annun-cio e di testimonianza della Buona Noti-zia. Come agli inizi i testimoni del Vange-lo non si sono tirati indietro di fronte allenovità e alle avversità, tantomeno noi, di-

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na Notizia e l’autenticità della testimo-nianza nascono dall’incontro con un Tu chesempre ci raggiunge, tocca la nostra vita egli dà senso, la rende un’avventura impen-sabile nel dono dato e ricevuto. È nei fili in-terconnessi e negli spazi mutanti dei socialnetwork che “il mio prossimo”, soprattut-to chi è “digitale nato”, nomade e navigato-re, va ascoltato, accettato nelle forme delsuo comunicare, a volte così inafferrabileper l’espressione e i significati che riveste. La tendenza alla googlizzazione non può la-sciarci indifferenti. Sempre più spesso quando si necessita diuna informazione si interroga la Rete peravere la risposta da un motore di ricerca. Lerisposte di Internet, però, sono un insiemedi link che rinviano a testi, immagini, video.L’uomo della Rete va alla ricerca di Dio at-

tivando una navigazione. Quali conse-guenze? Forse quella di illuderci che il sa-cro o il religioso siano a portata di mouse,a disposizione nel momento in cui se ne habisogno. Il cristiano oggi, con una metafora utilizza-ta da Antonio Spadaro, deve essere un de-coder, rendersi capace cioè di decodifica-re le domande, reperire il messaggio di sen-so, riconoscerlo sulla base delle moltepli-ci risposte che vengono continuamente of-ferte. La testimonianza digitale è «rendereragione della speranza» in un contesto incui le ragioni si confrontano rapidamente.Un atteggiamento fondamentale è quellodel discernimento, perché la risposta è illuogo di emersione della domanda. Il Van-gelo non è un’informazione tra le altre,mala chiave, un messaggio di natura totalmen-te diversa dalle molte informazioni che cisommergono giorno dopo giorno.Percepire la muta invocazione a trovare un“tu” (e anche il Tu) che tenga aperto il con-tatto, che sveli e dia pienezza all’umanità e al-l’alterità, apre la strada per farsi compagni diviaggio, riconoscere le voci e la Voce, essere“epifania” dell’amore, acconsentendo a “so-stare” insieme dalla parte di Dio e del suo po-polo. Dentro e fuori il continente digitale.

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«… Solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia”

della nostra redenzione. Questo è il fine dell’evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo.» (Giovanni Paolo II)

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cortile dove corrono i bambini cheaspettavano la visita. Sono allegri, diver-titi, giocano con quegli amici, che ognisettimana portano loro la cena. “I bambini sono bambini”, dice Rita, una ve-terana della comunità di S. Egidio, che fre-quenta questo campo da più di 10 anni. “I bambini sono bambini”, perché tuttihanno la stessa voglia di correre e giocare.Sono furbi, hanno occhi intelligenti. I piùpiccoli sanno come attirare su di loro l’at-tenzione. Ammiccano e sorridono, corro-no, giocano. Chiara guarda con stuporecome tutti quelli della comunità di S. Egi-dio siano lì fermi, tranquilli. Non c’è nessu-na fretta nel voler dare i panini e la frutta.Stanno lì. Prima chiedono come è andatala settimana. Si informano sulla scuola, sulresto della famiglia. A poco a poco si avvi-cinano le mamme e dietro di loro qualchenonno o nonna. Allora si riprendono i rac-conti di vita. Si ricomincia la conversazio-ne interrotta la settimana prima. Una comu-nicazione fatta di scambio e reciprocità.Ora sono in uno dei baracconi. Nello stan-zone grande, condiviso da tutte le famiglie,ci sono diversi fornelli e arnesi da cucina.Più i tavoli per mangiare insieme. Poi ci sonotante porticine, che danno accesso a picco-le stanzette. È tutta la loro casa. Vivono an-che in 10 in quelle stanzine. Ma Chiara notaun senso di dignità. Di voler custodire il latoprivato della loro vita. C’è in loro una ricer-ca di normalità. Quante volte Chiara ha sen-

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Abbiamo tutti una vita interiore. Tutti sentiamo di far parte del mondoe nello stesso tempo di esserne esiliati.Bruciamo tutti nel fuoco delle nostre esistenze. Abbiamo bisogno di parole per esprimere ciò che abbiamo dentro.

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Chiara questa sera non è più la stessa. Stapensando a ciò che ha appena vissuto. È sta-ta testimone di un incontro di umanità. Ècon gli altri del gruppo giovani dell’orato-rio, in queste settimane hanno riflettuto tan-to sul loro futuro e sul loro impegno per glialtri. Con loro ci sono Mena e Francesca del-la comunità di sant’Egidio. Raccontano inmodo molto semplice e naturale ciò che vi-vono tutti i giorni e poi invitano Chiara e glialtri ad andare a fare il “giro” con loro.Qualcuno va dai barboni alla fermata del-la metropolitana, altri da alcuni alcolizza-ti che vivono per strada a ridosso di unapompa di benzina. Chiara va in un campoRom. È in un grande quartiere della suacittà. Riceve una busta piena di panini,qualcuno ha della frutta, altri hanno qual-che bevanda calda da offrire. Sono fermi in una strada frequentata, cisono molte macchine e palazzi illumina-ti. Sul marciapiede ad un tratto scorgeuna piccola porta di metallo. È l’ingres-so al campo. La porticina si apre su un

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tito parlare dei Rom. Ma ora sta pensandoche ne ha sempre sentito parlare in gene-rale. Quando al telegiornale si racconta diqualche sgombro nei campi Rom, o diqualche incidente causato da loro, o di qual-cuno che si lamenta della loro “vicinanza”,si è soliti parlare di loro come di una cate-goria. I Rom, gli zingari ecc. Nessuno li chia-ma per nome. Come se non fossero perso-ne, ma solo “qualcosa” da tenere alla larga. Invece questa sera lei ha conosciuto Florian,Malvina, Adrian, e tanti altri. Rhiana ha 16 anni. È sposata con Maiek. Traqualche giorno Maiek compirà 19 anni eRhiana vuole fargli una festa a sorpresa.Chiede allora agli amici di S. Egidio una tor-ta. Non vuole altro, solo una torta. Ha vogliadi regalare un momento di gioia a suo ma-rito. Una gioia piccola ma piena di amore. Sienae non c’è questa sera. È dovuta ritor-nare in Romania perché una sua zia è mor-ta. Lei è una delle poche che ha trovato la-voro presso una famiglia. Fa le pulizie. Nelquartiere non si fidano di loro: “Si sa che glizingari rubano!” - dicono. Ma lei ha sapu-to conquistarsi la fiducia di queste perso-ne. Con quel che guadagna però non rie-sce comunque a lasciare il campo. La fami-

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glia è grande, e le spese in una grande cittàsono tante. Alcuni al campo sono un po’ dif-fidenti. Chiara lo nota e chiede il perché. Leviene spiegato che sono quelli appena ar-rivati. Hanno bisogno di tempo e quelli diS. Egidio non hanno alcuna fretta. Aspette-ranno tutto il tempo necessario, non for-zeranno nessuno e prima o poi anche i nuo-vi gli accorderanno fiducia.Chiara osserva, guarda, cerca di capire e so-prattutto di capirsi. Ma i bambini le strap-pano tutta l’attenzione. Inizia a giocarecon loro. Si china e li guarda negli occhi. Ini-zia a sorridere. Non vogliono più i suoi pa-nini, vogliono lei. La più piccola la presen-ta agli ultimi arrivati: “Lei è Chiara, una miaamica”. Chiara arrossisce e continua a far-si prendere tutta da questi bambini. Ma è ora di andare via. I bambini allora scor-tano tutti all’uscita. Ci si ferma ancora perqualche minuto sul marciapiede. Ci siscambiano promesse e arrivederci. Poi ognuno ritorna nella sua casa. Chiara è nella sua stanza. Un luogo caldo,protetto. Non aveva mai pensato che a pocadistanza da lei ci fossero persone nelle ba-racche. Lo sapeva, i telegiornali ne parlano,ma lei non aveva mai voluto pensare chefossero così vicini a lei. Conoscere le lorostorie poi li aveva resi ancora più prossimi.E lei ora, sentendo la pioggia venire giù contanta potenza, pensa a loro che sicuramen-te non sono adeguatamente riparati né dalfreddo, né dall’umido. Non è più la stessa.Se continuasse a mentire a se stessa tuttorimarrebbe uguale ma lei non vuole piùmentire. Non riesce a dimenticare gli occhidi quei bambini, aperti e desiderosi di en-trare in comunicazione con lei. Non sa benecosa fare. Ma ha deciso di tornare.

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Il fascino del femminile a Gerusalemme

Tutto nasce da: “La strada deifiori di Miral” di Rura Jebreal.Miral e Rura sono la stessapersona: quella giornalista cheMiral si appresta a diventare nelfinale del film, ed oggi é moltoattiva e conosciuta soprattuttoin Italia. «Ognuna delle storieraccontate nel mio libro e inquesto film è vera, affermal’autrice. Ho cambiato i nomi,ho collegato gli eventi, ho me-scolato personalità e perso-naggi, ma è tutto vero. Non esi-ste spazio per l’immaginazione

nel Medio Oriente. Puoi soloraccontare quello che hai vistocoi tuoi stessi occhi. Ogni sin-golo giorno questo luogo tiobbliga a decidere chi devi es-sere e cosa devi fare». Miral è solo una tra milioni diragazze, ma eredita tutte lepressioni, le ansie e le speran-ze che il popolo Palestinese haaccumulato nel corso di quat-tro decenni. Attraverso il ri-tratto intimo e semi-autobio-grafico di quattro donne intrap-polate in questa situazionedrammatica e complessa, ilfilm riesce a svelare la realtàdella vita quotidiana dei profu-ghi palestinesi. Si parte dal1948, a Gerusalemme: HindHusseini (Hiam Abbass) trova

55 orfani per strada e non rie-sce ad abbandonarli. Li prendecon sé, li accudisce e li sfama,finché diventano quasi 2000. Lasua casa si trasforma nell’Istitu-to Al-Tifl Al-Arabi: una scuolaper dare istruzione alle orfanel-le e ridare speranza alle vittimedel conflitto. Poi, con un saltoin avanti, la storia si sposta ne-gli anni ’60. La vicenda di Hindviene messa a confronto conquella di altre due donne chehanno alle spalle un percorsodi vita completamente diversoe si incontrano in una prigioneIsraeliana. Sono Fatima, un’in-fermiera, la cui rabbia per quel-lo che ha visto la spinge alla ri-bellione e alla violenza, e Nadia– un personaggio ispirato alla

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MIRALdi Julian Schnabel Gran Bretagna, Francia, Israele, 2010

Perché vederlo e proporlo? Molte le motiva-zioni espresse dalla critica e dal pubblico: perimmergersi in una storia intensa che parla del-l’amore, dell’istruzione, della gente e dellasperanza. Perché racconta le vicende di quat-tro donne arabo-Israeliane sullo sfondo dellacomplessa realtà politica di Israele, dalla sua na-scita nel 1948, agli Accordi di pace di Oslo, nel1994. Per seguire il difficile percorso di forma-zione della protagonista del romanzo “La stra-da dei fiori di Miral”, scritto da Rula Jebreal, cheriesce a uscire da una dimensione esistenzialeche la intrappolava e a dedicarsi con impegnoalla pace. Presentato tra i film in concorso allaMostra del Cinema di Venezia 2010, è stato pre-miato dall’UNICEF che, nel suo giudizio com-plessivo, ribadisce in modo esplicito: «I bambi-ni non hanno fazioni. Prima di tutto hanno diritti, ancor più in una si-tuazione di conflitto (...). Il film racconta l’im-

presa straordinaria diHind Husseini, la gran-de palestinese che, op-ponendosi alla difficilerealtà politica della suaregione, riesce a contra-

stare quello che, per un’intera generazione, ap-pare un destino segnato. La sua dedizione all’e-ducazione e all’insegnamento si completa (…)dando una possibilità di riscatto a migliaia dibambine, prese a cuore come figlie. È per que-ste ragioni, ma soprattutto per il grande pregiodi aver riaffermato l’importanza del diritto al-l’istruzione come unica via per la convivenza pa-cifica tra i popoli, che siamo lieti di consegna-re questo riconoscimento a “Miral”, il nobile filmdi Julian Schnabel».All’inizio della sceneggiatura leggiamo: «Miralè un fiore rosso che cresce ai lati della strada.Probabilmente ne avrete visti milioni», ma sot-tende: li avete davvero incontrati e compresi?La bella pellicola ci accompagna a farlo, con sen-sibilità ed emozione, anche attraverso la splen-dida interpretazione delle protagoniste.

a cura di Mariolina Perentaler

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vita della vera madre della Je-breal – un’adolescente sfuggi-ta agli abusi, che inizia a prova-re una grande ammirazioneper Fatima e ne sposerà il fratel-lo. Spetterà alla loro figlia Miral,chiudere il cerchio di tutta la vi-cenda-racconto. A 7 anni appro-da infatti nella scuola di Hinddove le viene offerta l’occasio-ne di vivere una vita nuova, maall’età di 17 anni, mentre infu-

ria l’Intifada, va a insegnare inun campo di rifugiati dove tut-to cambia. Trova l’amore per unattivista politico e, ancor prima,la consapevolezza della guerrache infuria e che nessun accor-do internazionale sembra poterfermare... «Ho sentito che eramia responsabilità fare questofilm sia come regista che comeessere umano», dichiara Schna-bel. Pensavo a pellicole come

La Battaglia Di Algeri e El Salva-dor - al modo in cui ho riflettu-to sulle tematiche in esse de-scritte – e volevo che avvenis-se lo stesso con questa storia.Il merito di aver raggiunto inbuona parte l’obiettivo spettaanche all’efficace contributodell’attrice Hiam Abbass, cheha dato il suo pieno supportocon la forte interpretazionedel ruolo di Hind.

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Sull’idea del filmRaccontare oggi Gerusalemme, utilizzando “sulset della sua vita” Rura, la sceneggiatrice, pro-tagonista e testimone della storia.

Il regista ha confessato di essere un ame-ricano ebreo nato a New York, che primadi fare questo film della Palestina sapevaben poco. È stato l’amore a spingerlo ver-so l’avventura di Miral, pellicola compli-cata e controversa, senza aver paura disbagliare o di schierarsi. Incentrato qua-si interamente sul romanzo autobiografi-co della sua nuova compagna di vita, affer-ma: «Non avrei mai potuto fare il film sen-za di lei».Sarebbe stato impossibile girarlo a Gerusa-lemme, a Ramallah, Haifa e in molti altri luo-ghi. Rura aveva vissuto lì la sua infanzia e lasua adolescenza, si sono aperte molte por-te. Di solito gli sceneggiatori non lo fanno,ma io volevo sapere da lei cosa esatta-mente avevano visto in un campo profughigli occhi di una bambina di 15 anni.Lo scenografo ha agito sempre su suo con-siglio, abbiamo potuto descrivere quellarealtà solo grazie a lei, decideva lei cosa met-tere e cose togliere (…)

Sul sogno del filmAccompagnare il pubblico ad auto-comprende-re che l’istruzione può moltiplicare la vittoriadi Miral per le altre, incalcolabili Miral, che an-cora vivono nelle ‘Gerusalemme’ del mondo.

Una delle speranze più grandi dei due auto-ri è che il film riesca a risvegliare quella stes-sa passione che ha permesso ad una donnacome ‘mamma Hind’ di aiutare così tanti bam-bini ad andare avanti con le loro vite e a tra-scendere la violenza e l’oppressione delloro mondo. Rura lo dichiara esplicitamen-te, nell’intervista di presentazione del film.«Come accade a Miral, dice, oggi posso ripe-tere che l’amore e i valori che ho ricevuto daHind Husseini – che credeva fermamente nel-la virtù dell’istruzione – mi hanno salvata. Piùavanti nella mia vita, in veste di giornalista,ho avuto l’opportunità di essere testimonedei conflitti in Iraq, Afghanistan e Pakistan.Mi hanno riconfermata nella consapevolez-za che l’istruzione è senza dubbio la miglio-re arma per superarli. È questo che il film ela vita di Miral raccontano». Oggigiorno, molto spesso, sembra che l’uni-ca soluzione possibile sia quella militare,mentre, l’unica vera speranza per le perso-ne normali, che cercano di vivere delle vitereali, è la diplomazia e la pace.

PER FAR PENSARE

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contiene già il messaggio (...) ci dice che è il rac-conto di una sconfitta. E non c’è dubbio che“Noi credevamo” sia un film tragico, ma quan-do dico tragico, intendo anche ‘catartico’. Vor-rei cioè che desse una spinta all’azione. Il pun-to non è che tutto è finito, il problema è che tut-to è da cominciare». L’affermazione proiettaverso un orizzonte di grande idealità, ribadiscela necessità di arrivare ad una memoria condi-visa sulle radici della nazione italiana. Personag-gi di rilievo potente e sequenze di innegabilesuggestione lo rendono un affresco vigoroso,avvincente, in grado di catturare per tre ore eventi (come nell’edizione integrale) il pubblicopiù vario. Un prodotto «di notevole impegno ecoraggio», sintetizza la Commissione di Valuta-zione film, che pertanto lo definisce «consiglia-bile, problematico, adatto per dibattiti, soprat-tutto nella riflessione sul tema centrale del Ri-sorgimento Italiano». Merita davvero una valo-rizzazione larga e responsabile.

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Mario Martone NOI CREDEVAMO Italia, 2010

Viaggio lungo ed emozionante nel Risorgimen-to italiano, questo film di Martone è uscito inconcomitanza con la celebrazione dei 150 annidell’unità d’Italia. Ricco, complesso, pieno distorie e di figure «Noi credevamo» è un film cheripercorre 30 anni di storia italiana, dai moti in-surrezionisti del 1828 sino all’alba dell’unità eoltre, attraverso le storie di tre giovani affiliatialla Giovine Italia di Mazzini. Intorno alle lorovicende é stato costruito il racconto «compostodi fatti, comportamenti e parole attinti rigoro-samente alla documentazione storiografica,precisa il regista. Uno dei tre personaggi é ispi-rato al protagonista del romanzo di Anna Banti‘Noi credevamo’ che solo in parte confluiscenel film. Ma il titolo mi é apparso bellissimo:

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

gio, riusciranno a farsi ascoltare dai sindacati,dalla comunità locale e dallo stesso Governo.Una di loro, Rita O’Grady, leader della protestasenza esperienza sindacale ma forte della solida-rietà di tutte – sarà un’avversaria non facile pergli oppositori e troverà nella deputata BarbaraCastle un’abile alleata per affrontare il Parlamen-to. Insieme alle colleghe Sandra, Eileen, Brenda,Monica e Connie, decide lo storico sciopero chesconvolge Londra e si estende nel resto del pae-se, ponendo le basi per la legge sulla parità sala-riale. L’opera documenta quindi la lotta sindaca-le e una conquista dei diritti da parte delle don-ne, con un piglio però da commedia “impegna-ta”. Nonostante lo spessore del messaggio la pel-licola diverte, intrattiene e coinvolge in modobrillante. Nigel Cole è un regista che predilige lefigure femminili, e qui, concentrandosi su un fat-to vero - nei titoli di coda, vedremo le operaie diallora - riesce a disegnare senza retorica una bat-taglia che non è eroica ma «umana».

Nigel Cole WE WANT SEX Gran Bretagna, 2010

A scanso d’ogni equivoco: il titolo nasce dallostriscione di protesta con la scritta“We Want SexEquality” – “Noi vogliamo la parità di sesso” (ov-vero pari diritti e pari salario dei loro colleghimaschi) che il gruppo delle 187 operaie nella fab-brica della Ford a Dagenham (Inghilterra) porta-no in corteo - incidentalmente srotolato soltan-to in parte - nel 1968. La Ford è il cuore industria-le dell’Essex e dà lavoro a 55mila operai. Mamentre gli uomini lavorano in un nuovo diparti-mento sulle automobili, loro sono addette allacucitura dei sedili nell’ala del 1920, che ora cadea pezzi. Lavorando in condizioni insostenibili,quando vengono riclassificate professionalmen-te come “operaie non qualificate” trovano il co-raggio di reagire. Con ironia, buonsenso e corag-

a cura di Mariolina Perentaler

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CLASSICO

Jostein Gaarder IL MONDO DI SOFIALonganesi & C, 1991

L’autore norvegese, già noto e apprezzato inpatria, pubblicò nel 1991 questo libro, cheebbe subito una risonanza mondiale. Il sot-totitolo è magari poco accattivante: Roman-zo sulla storia della filosofia. Il fatto singo-lare è … che si tratta di un romanzo giallo.Senza morti né commissari di polizia, benin-teso, ma avvincente e ricco di colpi di sce-na. Quali i possibili destinatari di questo sin-golarissimo libro? I giovani vi possono tro-vare una sintesi più divertente del Bignami,ma anche le persone meno giovani, special-mente se digiune di filosofia anche peraverla studiata poco o male, vi possono tro-vare una piacevole lettura. Le nozioni sonoelementari ma esatte, lo stile è semplice,scorrevole, vivace. Entra subito in scenauna ragazzina, Sofia appunto, coinvolta in unintreccio inverosimile di casi misteriosi (e quicomincia il giallo) e, non in parallelo ma at-traverso connessioni inestricabili, vengonosubito poste le grandi domande: chi siamo,da dove veniamo, dove andiamo? (e qui co-mincia la filosofia). Un viaggio di secoli e secoli attraverso quel-la grande avventura del pensiero che è la ri-cerca della conoscenza. Seguendone glisviluppi, le deviazioni, i ritorni, ci si accor-ge che, più di qualunque altra materia sco-lastica, la filosofia non si può insegnare senon attraverso un dialogo costruttivo (in que-sto aveva ragione Socrate!), ricorrendo aesempi, similitudini, metafore. E allora per-ché non proporre pure agli insegnanti que-sto originalissimo libro, almeno come feli-ce esempio di didattica? Importante: noncercare la chiave del mistero prima di esse-re arrivati alla fine: se no, cade l’effetto …

NOVITÀ

Cecilia PoliCOME PIETRA SOLCATA DAL VENTOPaoline, 2011

Cecilia Poli è una giovane donna felice, spo-sa da due anni, mamma da tre mesi; ama lamusica, coltiva la danza, scrive poesie. LAL(leucemia acuta linfoblastica) è la terribilesigla della malattia che la ucciderà a 34 anni.Giorno dopo giorno, lei annota le fasi mu-tevoli del male. Lotta caparbiamente, si af-faccia sull’abisso della disperazione, ma nonsi arrende.Si entra con emozione dentro questa espe-rienza di fragilità e di coraggio, di appassio-nato amore alla vita, nelle vibrazioni arden-ti della donna innamorata, nello strazio del-la madre allontanata dal suo piccolo. Un li-bro triste, dunque? No, anche se vi si par-la di chemio, di piastrine, di trasfusioni. Iltono è a tratti persino scherzoso. Ceciliaprega, prega disperatamente: vuol vivere,non può lasciare il suo bambino, il maritoche la circonda di tenerezza … Ma ecco cheun po’ alla volta si compie in lei quasi un mi-racolo. Cessano le ansie, cessano le paure.L’anima riposa in un totale abbandono. Il 7agosto 2006 è imminente una riunione dimedici e familiari per una difficile scelta cir-ca una terapia di mantenimento, date le in-cognite del dopo trapianto. Lei non sacosa decideranno, ma sembra vivere ormaisu un’altra sponda. Pensandosi già al mareche l’attende in vacanza coi suoi, scrive:“Un’onda mi accarezza e porta via ogni pau-ra. Ne arriva un’altra e mi porta il respiro del-l’universo. … È un respiro sacro, è il respi-ro stesso di Dio, eterno, sapiente, che tut-to dispone secondo un’imperscrutabile emagnifica armonia”. Il diario si chiude suqueste parole. Cecilia vivrà ancora quasi unanno, ma nulla ormai resta ancora da dire…

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a cura di Adriana Nepi

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tore lo coglie senza difficoltà nel corsivo dialcune pagine) accanto alle quotidiane vicen-de, tanto simili anche se lontane nel tempo,degli adolescenti di un’altra generazione.Come già si è osservato, mancano nel rac-conto espliciti giudizi morali, ma il benes’impone come salute del corpo e dell’ani-ma. Come avviene ad esempio, in modoparticolarmente espressivo, in quella chepotremmo chiamare la “rivelazione” del per-dono: non più sentito come un dovere ar-duo e innaturale, ma come liberazione e pu-lizia interiore, ritrovato equilibrio e ritrova-ta gioia di vivere. Barbara, quand’era giova-ne liceale, si è lasciata un giorno coinvolge-re in un gesto gravemente riprovevole daMonica, la sua amica del cuore: questa ave-va riportato una valutazione assai mediocreall’esame di stato e ne aveva riversato la re-sponsabilità sulla brava e mite professores-sa di matematica; in un impeto di rabbia ir-ragionevole, l’aveva aggredita con violen-za, provocandole una caduta dalle serieconseguenze. Barbara era stata trascinatanel gesto insano suo malgrado ma senzareagire come avrebbe dovuto. A distanza ditanti anni, ormai adulta e madre di famiglia,non perdona a se stessa né tanto meno per-dona all’amica di un tempo. Circostanze ca-suali le fanno incontrare l’anziana insegnan-te di liceo; questa invece, sì, ha perdonato,e spiega con semplicità alla sua allieva di untempo, imbarazzata e commossa: “Sai, farepace con se stessi, ma anche con gli altri na-

Gelato a mezzanotteAdriana Nepi

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Il titolo bizzarro, legato a una specie di leitmotiv inteso a dare unità al racconto, sem-bra fatto per attirare i giovanissimi, così por-tati a tutto ciò che è strano e fuori serie.La donna che ha scritto questo libro, certa-mente li ama: non la spaventano le lorocontraddizioni, le loro stravaganze, nemme-no…le loro parolacce. E riesce a darci un ro-manzo intelligente, calandosi con una speciedi immedesimazione empatica nel mondo de-gli adolescenti: l’età delle prime infatuazioni,delle delusioni cocenti ma passeggere, del gu-sto della trasgressione e insieme di un ansio-so bisogno di sicurezza; e anche l’età dell’in-transigenza che non perdona, specialmentequando sono gli adulti, in particolare i geni-tori, a tradire la fiducia dei figli. Il messaggio morale non è mai propinatocome tale, ma scaturisce spontaneo attraver-so lo snodarsi delle situazioni. Il linguaggioha l’immediatezza spregiudicata propria deiragazzi e non rifugge dall’usare il loro inno-cente turpiloquio: il quale è, purtroppo,quasi il modello linguistico che questa nostrasocietà imbarbarita offre già confezionato.

Daniela, Tati, Mara, Fabio, Andrea, Monica,Sergio: piccolo mondo vibrante di vita, pic-cole avventure, dove già s’intravede il pro-filarsi di un carattere e di un destino.Barbara, la mamma di Tati e Mara, è, per cosìdire, il baricentro della vicenda narrativa. Per-ché, attraverso ampie parentesi, il suo lon-tano vissuto di adolescente s’inserisce (il let-

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turalmente, ha un potere… come dire?… tifa sentire pulita, ti rende leggera… Perdo-nare è un po’ come togliersi una scarpatroppo stretta, hai mai provato? Il piede al-l’inizio ti resta tutto ammaccato, dolorante,però se hai pazienza, se lo massaggi con de-licatezza, allora torna a distendersi e ilsangue torna a circolare…”.

In realtà una ben più profonda delusione ave-va ferito molti anni prima l’adolescente Bar-bara. Una momentanea debolezza del padre,da lei giudicata imperdonabile, aveva raffred-dato e poi chiuso ogni rapporto con lui, pri-ma teneramente amato, più vicino a lei del-la mamma pittrice, sempre assorta e come as-sorbita dalla propria arte. Quand’era ragaz-zina, padre e figlia s’incontravano in cucina,in una specie di affettuosa complicità, men-tre la mamma, che amava lavorare alle prime

luci del mattino, si era già ritirata a dormire.Il babbo portava un gelato, e se lo sorbiva-no insieme chiacchierando a volte fino a tar-da ora. Forse solo ora Barbara comprende cheil padre trovava nella sua bambina l’unicoconforto alla sua dolorosa solitudine. Qualcosa si è sciolto in lei dopo il contat-to con la bontà e la saggezza dell’anziana si-gnora. Questa non l’ha esortata né ammo-nita. Ha fatto di più: l’ha contagiata.E la storia si conclude con la dolcissima sce-na del ritorno di Barbara nella vecchia casadella sua infanzia. Ha portato un gelato, qua-si a far sentire non interrotta la cara fami-liarità di una volta. “Prese per mano suo pa-dre e lo condusse piano verso la cucina …‘Sbrighiamoci o si scioglierà’ sussurrò conla voce rotta. Lui avvicinò alle labbra il dor-so della mano di sua figlia e lo baciò. ‘Gra-zie, bambina…”. Così si conclude il roman-zo. Non è dichiaratamente indirizzato ai gio-vani, ma forse proprio questo può render-lo loro accetto e benefico.

Segnaliamo, della stessa autrice, “Solo unaparentesi” e “Rumore di mamma”, di carat-tere autobiografico, pubblicati dalla Monda-dori nel corso del recente decennio. LauraTangorra, giovane scrittrice, laureata inscienze biologiche e insegnante, felice-mente sposata e madre di tre figli, ha vissu-to l’esperienza drammatica di una malattiainvalidante (sclerosi laterale amiotrofica) ve-nuta ad abbattersi su di una famigliola feli-ce, senza toglierle la speranza e la gioia divivere. Si resta ammirati, quasi sbalorditi, difronte all’allegria e all’umorismo di questadonna, che pur conosce lo strazio di nonpoter stringere tra le proprie braccia inertila sua Alice: è l ultima nata, una meraviglio-sa bambina da lei voluta quando, già colpi-ta dal male, i medici la consigliavano di nonportare avanti la gravidanza.

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Vi ho chiamato amici

C’è un’insistenza in questi anni, nei nostri Capitoli generali, nelle assemblee, nel-le verifiche, nel nostro pensare, insomma, sul tema della relazione, dell’accom-pagnamento. È come se ne riconoscessimo la priorità, l’urgenza, la necessità.La chiamiamo relazione, accompagnamento, direzione spirituale, affidamento.Potremmo anche chiamarla con un altro nome: AMICIZIA. Strano a dirsi, ma que-sto termine, consacrato dalla Bibbia, “vi ho chiamato amici”, come forse il piùalto per descrivere il rapporto uomo-Dio e le relazioni umane, suscita spesso,nelle nostre comunità religiose, una reazione. Qualcuna di noi ne fa addirittu-ra quasi un motivo di vanto: “Ah, io non sono amica di nessuno”! E dire di dueo più suore che sono amiche a volte non significa dire qualcosa di positivo. E nonè infrequente che si verifichi ciò che mi ha scritto questa fma: “…i laici, i geni-tori, i ragazzi mi vogliono bene, con loro riesco ad instaurare profonde relazio-ni umane. Perché in comunità non è così? Perché devo spesso constatare che irapporti che vivo con le mie consorelle non sono amicali, spontanei, ma piut-tosto freddi, distaccati o funzionali al mio ruolo?”Sarebbe importante riflettere sul fatto che se la vita consacrata non produce unapolifonia di affetti, un centuplo di amicizia, è un segno spento. L’altro nome dellaverginità è “molto cuore”. La caratteristica di un’anima grande e pura è amarecon passione, senza quella avarizia di sentimenti, senza quella parsimonia di emo-zioni con cui nel mondo religioso si gestiscono abitualmente le relazioni. Dice-va Bonhoeffer: “La santità non consiste nella moderazione dei sentimenti. Dov’èmai infatti questa moderazione nella Bibbia?”. E Teresa d’Avila, che pure in una delle sue più celebri affermazioni sosteneva che“solo Dio basta”, pregava: “Mio Dio, concedetemi di essere amata da molti”, per-ché “mezzo eccellete per godere Dio è appunto l’amicizia con i suoi amici…”.È una visione luminosa dell’amicizia quella di S. Teresa, non dettata dalla pau-ra, ma da una forte positività. “So per esperienza che se ne ricava sempre un gran-de vantaggio. Se io non mi trovo all’inferno, dopo Dio, lo devo agli amici”. Ecco, l’amico è per l’amico “una salvezza che gli cammina accanto”. “Superiore all’affetto non c’è nulla. Vale più una goccia di affetto che un maredi spiritualità”.Siamo comunità affamate di relazioni amicali e il vero debito che abbiamo neiconfronti di chi vive insieme a noi è un debito di amore e di amicizia.

La tua amica

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DOSSIER: Testimoni di Gratuità

PRIMO PIANO: Radici di futuro da Mornese al mondo

IN RICERCA: Donne in contesto Il grazie alle donne

COMUNICARE Testimoni digitali Profili del continente digitale

NEL

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PRENDETE IN MANO LA VOSTRA VITA E FATENE

UN CAPOLAVORO GIOVANNI PAOLO II

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SULLA TUA PAROLA

LA TUA VITA SORGERÀ PIÙ FULGIDA DEL PIENO GIORNO,L'OSCURITÀ SARÀ COME LA LUCE DEL MATTINO.

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