Rivista DMA - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

48
RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE PAROLE E GESTI DI DONO 2014 Anno LXI Mensile n. 7/8 Luglio/Agosto Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

description

Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane di don Bosco)

Transcript of Rivista DMA - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Page 1: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

RIVISTA DE

LLE FIGLIE

DI M

ARIA AUS

ILIAT

RICE

PAROLE E GESTI DI DONO

2014Anno LXI Mensile n. 7/8 Luglio/Agosto

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

Page 2: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

4EditorialeUn piccolo pezzo di storiaGiuseppina Teruggi

5DossierParole e gesti di dono

13Primopiano14Spiritualità missionariaAngela, la «Madre Buona»

16Anima e dirittoIl prezzo della vita

18Cultura ecologicaConversione ecologica

20Filo di AriannaLa relazione

4

dmaRivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 8100139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Maria Pia Giudici Gabriella Imperatore • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiMaria Perentaler • Loli Ruiz Perez Debbie Ponsaran • Maria Rossi• Bernadette Sangma • Martha Séïde

2RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

sommario

Page 3: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

27In ricerca 28SGS-CultureFelici nel tempoe nell’eternità

30PastoralmenteGiovani e liturgia

32Uno sguardo sul mondoUn cortile in città.Progetto Patio 13

35Comunicare36Si fa per direScambiare

38Donne in contestoL’etica nel modello femminiledi leadership

40Video Philomena

42LibroLa piramide del Caffè

44Musica e teatroL’impegno socialenella musica

46CamillaLa lezione...

n. 7/8 Luglio Agosto 2014Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettoria Austria - Germania

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

3 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 4: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

tagonista. Giovanni Paolo II ha parlato di“genio femminile” proprio in riferimentoa questo tratto della sua identità.Che cosa veramente vale e rimane nellavita? Che cosa convince i giovani e lagente? Soprattutto la testimonianza di per-sone dal cuore buono, pronte al dono,fino a dimenticare se stesse per gli altri.

“La vita è un dono legato a un respiro, do-vrebbe ringraziare chi si sente vivo”, affer-mava Renato Zero in una sua canzone de-dicata a Giovanni Paolo II. E continuava:“il bene… è un dono che si deve accettare,condividere e poi restituire”, perché tuttonella vita è dono che chiede di essere ri-cambiato. È nella natura del dono, infatti,orientare alla condivisione, aprire all’Altro,agli altri. I doni, i talenti che abbiamo rice-vuto dobbiamo saperli investire senza con-servarli per noi stessi.

La vita è un laboratorio dove si imparaogni giorno ad amare, a donare, a intrec-ciare relazioni vitali, a volte liete e tranquille,a volte impegnate e faticose. La vita è dav-vero l’arte di amare, di donarsi, imparandoogni giorno. E tutto nella vita è dono: ogniincontro, ogni sorriso, ogni avvenimento.Un nuovo giorno è un’occasione unicaper diventare quello che siamo: amoreche si dona, e donandosi sperimenta lafelicità di trasformare un piccolo pezzo distoria.

[email protected]

Un piccolo pezzo di storia

Giuseppina Teruggi

A chi chiedeva a don Bosco quale sognocoltivasse per i suoi giovani, il Santo ri-spondeva senza esitazione di volerli “felicinel tempo e nell’eternità”. E metteva in re-lazione felicità con bontà e con capacitàdi dono per costruire un piccolo pezzo distoria. Lui stesso ne era esempio con igesti e le scelte quotidiane. Le suore e leragazze del collegio di Mornese e di Nizzasentivano in Madre Mazzarello una vera“madre”, premurosa, tenera, intuitiva. Per la sua capacità di dono, Madre AngelaVallese - di cui celebriamo in agosto il cen-tenario della morte - è stata definita la “ma-dre buona” dal cuore grande, dallo sguardoattento, dalle mani intraprendenti. Buonaperché affascinata dalla bontà di Dio, dalsentirsi amata, aperta a Lui in un dono disé intriso di gesti anche eroici. Donna diVangelo, ha privilegiato i poveri, gli esclusi,quanti erano relegati nelle periferie, alla“fine del mondo” nella Patagonia australe.

Nella spiritualità e nella pedagogia salesiana,bontà e capacità di dono sono dimensioniintercambiabili, inscindibili. Costituisconole premesse per maturare attitudini rela-zionali sane e felici, per rendere l’ambientecomunitario luogo di relazioni umanizzanti. Gli articoli di questo numero della Rivistaprovocano a riflettere su questi aspettitipici del carisma salesiano, a partire dallaconsiderazione che la vita concreta è spazioincessante di dono ricevuto e offerto, dicui in particolare la donna sa essere pro-

camilla

Si fa per dire

4RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

editoria

lein

que

sto n

umer

o

Page 5: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Parole e gestidi dono

Page 6: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

mento, l’esercizio cui dedicarsi sia da solisia insieme con gli altri. Il dono, infatti, chie-de di essere imitato: in un contesto in cui sidona gratuitamente si impara a donare e sigenera una sorta di “circolarità”.Il dono è l’espressione di quanto c’è di piùprofondo e prezioso nelle persone: la lorospiritualità.Riflettendo sul dono, è possibile prestareattenzione ad un altro aspetto fondamentale:la vita ci è stata donata, l’abbiamo ricevutagratuitamente; “si diventa grandi” e “si ègrandi” se si mette a frutto tale dono congenerosità. Proprio in questo consiste la spi-ritualità degli esseri umani, vale a dire ciòche veramente ci rende donne e uomini.L’insieme dei “valori” che il dono porta consé è estremamente ricco e ampio. Il dono, fatto o ricevuto, esprime che ogniessere umano ha bisogno di essere amato edi amare, è capace di accogliere e di donare;dice che la persona non si accontenta dioggetti materiali o di sentimenti superficiali,ma richiede un’attenzione più profonda,“spirituale” appunto; rivela che ogni essereumano è capace di interiorità e di trascen-denza, di “andare oltre” se stesso e oltre leapparenze, “dentro” di sé e “dentro” le cose,“al di là” di sé e “al di là” delle cose imme-diate.Prendere sul serio il dono, nei suoi variaspetti, significa ascoltare la forte domandadi significato e di senso che emerge in ognipersona tentando di rispondere ai tanti “per-ché” che gli uomini e le donne si pongonoda sempre.

Parole e gesti di dono

Mara Borsi

Quando si parla di “dono”, vengono allamente molte situazioni. Questa parola ri-chiama qualcosa di bello e piacevole. I doni,infatti, presuppongono un sentimento diaffetto verso qualcuno e gli oggetti che ven-gono donati lo rappresentano. Il “dono” èveramente tale solo se è spontaneo, liberoe se lascia liberi, se è fatto con gratuità, condis-interesse. Nel commercio c’è scambio,interesse, profitto, convenienza. I rapporti tra le persone avvengono su unaltro piano, che non riduce le persone a“merce”. Il dono comporta un altro mododi pensare la vita e il mondo.

Senza nulla in cambio

Chi fa esperienza del “dono” diventa piùpersona. Il dono fa crescere sia chi lo fa siachi lo riceve: il dono fa stare bene tutti!Dare e ricevere doni ci ricorda che, in fondo,noi persone umane siamo povere perchébisognose di tutto, ma siamo anche fonda-mentalmente ricche perché capaci di dare. Chi è “povero” sa chiedere, pregare e addi-rittura supplicare. Chi è povero sa ringraziareed essere riconoscente in tanti modi.Chi è “ricco”, per essere davvero uomo tragli uomini, deve saper diventare un fratello,solidale con gli altri, attento al prossimo,addirittura capace di prevenire i bisognialtrui. Ma ancora, il dono esprime gioia, fe-licità: “si è più beati nel dare che nel ricevere”(At 20,35). La capacità di ricevere e di donare è presen-te in tutti, ma va educata, formata, allenata,esercitata. Qui il valore è proprio l’allena-

camilla

Si fa per dire

6RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

dossierp

arol

e e

gesti

di d

ono

Page 7: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Interpreti del dono

Ci sono persone che con la loro vita si sonofatte loro stesse dono per gli altri, sull’e-sempio di Gesù. Le loro scelte di vita e ilmodo in cui hanno vissuto è di per sé mes-saggio eloquente.

Raoul Follereau: il vagabondo della caritàUno dei giganti ingiustamente dimenticatidel Novecento è Raoul Follereau (1903-1977).Ha compiuto 32 volte il giro del mondo persconfiggere una malattia infamante come lalebbra. Ha chiesto invano alle superpotenzeatomiche l’equivalente di due aerei bom-bardieri per guarire i lebbrosi. Ma soprattutto,nelle lettere ai giovani, lanciate ogni anno apartire dal 1961 fino al suo messaggio-testa-mento del 1977, ha lasciato al mondo unmessaggio che suona tuttora rivoluzionarioe attualissimo: «Nessuno ha il diritto diessere felice da solo».Nel 1955 a chi ascolta il suo famoso Discorsosulla carità (1955) racconta questo episodio:«Le dieci di sera. Sono stanco. Ho bisogno

di solitudine e di silenzio. Suonano ancora!Hanno suonato tanto quest’oggi alla porta!Spazientito vado ad aprire. C’è un ragazzino,piccolo e pallido… mi porge una letterasenza dire una parola e scappa via […]. Aprola lettera. Dentro ci sono 25 franchi conqueste righe: “Signore, accettate da parte diun operaio nel suo sesto anno di malattia,questa modesta somma, per non privarlodella gioia di aiutare i più infelici”».E Follereau conclude il suo discorso così:«Troppo a lungo gli uomini hanno vissutogli uni a fianco degli altri. Oggi capisconoche devono vivere tutti insieme… gli uniper gli altri. La sola verità è amarsi».Ai giovani nel 1962 scrive: «Mi rivolgo a voigiovani di tutte le nazioni. Perché voi pos-sedete il potere più grande del mondo: l’av-venire. Gli uomini hanno solo questa alter-nativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere.Subito. E per sempre. Per questo una sola consegna: siate intran-sigenti sul dovere di amare. Non cedete,non venite a compromessi, non retrocedete.

7 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 8: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

naro, il successo, il potere? Facciamo alloraun atto di coraggio e puntiamo il dito contronoi stessi. Diciamo: io comincio qui e ora.Qualcosa cambierà certamente, per lo menoin quel pezzetto di mondo che ci è stato af-fidato».Confrontarci con il modo di farsi dono didon Pino ci offre l’occasione di prenderecoscienza della mafiosità presente dentrodi noi: atteggiamenti di passiva rassegnazionedi fronte al male, silenzi, omertà. Don Puglisidiceva: «non ho paura delle parole dei vio-lenti, ma del silenzio degli onesti». La lotta contro la criminalità organizzata,realtà globalizzata presente in tutti i continenticon i suoi tentacoli di morte, resterà inefficacefinché continueremo a considerarla maleda estirpare fuori di noi, finché continueremoa non riconoscere il ‘pensare mafioso’ neinostri piccoli atti di prevaricazione e di com-promesso quotidiani.Il primo passo per divenire testimone au-tentico della cultura del dono è creare lamentalità nuova dell’uomo nuovo, delladonna nuova: un lavoro personale per indi-viduare la radice del “pensare mafioso” pre-sente dentro di noi. La mafia, infatti, è prima di tutto un modo dipensare il mondo e le relazioni, una culturafondamentalista.Alcuni atteggiamenti tipici dei mafiosi sono:sentirsi ‘superiori a’, non rispettare le norme,farsi norma a se stessi, considerare e usarel’altro come strumento, dare per scontato ilconsenso dell’altro, che è l’altro che devepiegarsi/adeguarsi, cercare protezione, col-ludere, rinunciare a pensare autonomamente,sottomettersi al più forte. Di fronte a tutto questo possiamo interro-garci: quante volte nel quotidiano, in piccoloriproponiamo comportamenti che tradisconoun modo di pensare di questo tipo?Quando parcheggiamo in doppia fila o pas-siamo avanti nella coda ad uno sportello,quando non paghiamo il biglietto dell’auto-

Ridete di coloro che vi parleranno di pru-denza, di convenienza, che vi consiglierannodi mantenere il giusto equilibrio… La piùgrande disgrazia che vi possa capitare è dinon essere utili a nessuno, è che la vostravita non serva a niente…Siate fieri ed esigenti. Coscienti del dovereche avete di costruire la felicità per tutti gliuomini, vostri fratelli».Nel 1974, al limite delle forze, rivolgendosiai membri della sua associazione dice: «Piùla mia vita s’avvicina alla fine e più sento ilbisogno – e il dovere – di ripeterlo senzatregua: è amandolo che salveremo il mondo».

Don 3 P«Il discepolo di Cristo è un testimone. Latestimonianza cristiana va incontro a difficoltà,può diventare martirio. Il passo è breve,anzi è proprio il martirio che dà valore allatestimonianza».Queste parole di Padre Pino Puglisi, procla-mato Beato il 25 maggio 2013, risuonanocome una profezia. 3P, come amavano chiamarlo i suoi ragazzi,assassinato dalla mafia venti anni fa, è statotestimone nel senso letterale del termine(dal greco μάρτυς = martire), esempio di unasantità fatta non solo di virtù private, ma an-che di virtù pubbliche: di impegno civile, digrande passione per la giustizia, di coraggioprofetico, di denuncia, di libertà dai condi-zionamenti dei potenti del mondo. La sua battaglia è stata soprattutto culturale:far emergere la cultura mafiosa che ci por-tiamo dentro. Il suo farsi dono nello scorreredei giorni ha scavato nelle vite dei ragazzidel quartiere di Brancaccio, a Palermo, etanti oggi portano avanti la sua battaglia dicultura e civiltà.«Non parliamo di mafia come fosse unacosa fuori di noi; parliamo della mafiosità,del male spicciolo che è dentro di noi. Chidi noi non ha acceso anche solo un lumicinopiccolo, piccolo ai tre idoli dominanti: il de-

8RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

dossierp

arol

e e

gesti

di d

ono

Page 9: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

bus, quando sprechiamo i sacchetti di plasticao non rispettiamo la raccolta differenziata,quando cerchiamo raccomandazioni per fa-cilitare il percorso di una pratica o trasgre-diamo la segnaletica stradale, quando dele-ghiamo ad altri la fatica di pensare o tacciamoper timore reverenziale, quando…, quan-do…, quando… L’elenco può continuare,diventare molto lungo. Con questi compor-tamenti non alimentiamo forse la culturamafiosa del non rispetto, del disprezzo delleregole della convivenza civile, della subor-dinazione/sottomissione ad una pseudo-au-torità che ci espropria della soggettività per-sonale?Il farsi dono di don Puglisi, il suo martirio ciinvitano a costruire comunità adulte nellafede, capaci di coraggio profetico, di assun-zione di responsabilità nella storia; sono sti-molo a creare percorsi di formazione al-l’impegno civile e politico che partano dallaconcretezza della vita quotidiana.

Romina: I doni di Benguela«Nel mese di agosto di quest’anno, al terminedel corso di formazione e con trent’anni inspalla anch’io, sono partita per un’esperienzadi volontariato grazie al VIDES internazionale,ospite della comunità FMA di Benguela,nella costa meridionale dell’Angola. È stato un mese di tanta vita nel centro“Laura Vicuña”. Svegliarmi alle voci festantidei bambini del turno mattutino, averli in-torno tutto il giorno e ancora, fino alla sera,con il terzo e ultimo turno di scuola, hafatto sì che ogni giornata si amplificasse, di-venisse molto più lunga di ventiquattr’ore. “La Laura”, così conosciuta nel quartiere, èmolto più di una scuola, o di un’operasociale. È casa, e me ne sono accorta subito.È stata l’accoglienza il primo grande donoricevuto. Milleottocento ragazzini che nonmi conoscevano mi hanno aperto le lorobraccia, senza esitare. A volte con sorrisi,altre solo con sguardi lunghi e pieni di do-

9 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 10: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

mi è stato fatto dono. Io non potevo ricordaretutti i loro nomi, ma nessuno di quei visi miè passato inosservato; in ognuno ho avutomodo di ritrovare un po’ me stessa, inmaniera nuova.Sento di aver dato ancora con la mia passioneper l’insegnamento delle lingue, con la vogliadi giocare in classe, di dialogare. E con ilmio ascolto; è stato quello, forse, il miodono più autentico. Intorno a un falò, nellafesticciola a casa di una giovane maestradel centro, nelle messe animate da cori fe-stosi, mi sono riempita le orecchie e il cuoredelle melodie dei canti umbundu, degli“inni” per la fede scritti da giovani della miaetà con la musica nel sangue, e intonati agran voce, a ritmo di passi danzanti e battitidi mani. Di questo mese di dare e ricevere, portocon me la ricchezza di ogni sguardo ricevutoe offerto, nella consapevolezza sempre più

10RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

dossierp

arol

e e

gesti

di d

ono mande, mi hanno offerto la loro compagnia.

E poi la loro curiosità, la voglia di conoscereuna persona così apparentemente diversa,l’entusiasmo nel mostrarmi i loro giochi:dal fabbricare bambole con mezzi rudimen-tali, alle acrobatiche dinamiche di “macaca”e “garrafinha”. Quei pomeriggi erano belli,ancor di più perché erano momenti al difuori delle attività programmate, vissuti nellasola gioia della condivisione. Io ho insegnatoa fare qualche lavoretto con la carta e brac-cialetti di filo con i colori angolani; a volte,su richiesta, raccontavo semplicemente storiesulla “mia terra”.Mi sentivo accolta, e anche riconosciuta:per ciò che ero, per ciò che stavo scoprendodi me in quel momento. Sentirmi chiamareper nome in strada ogni volta che tornavodalla spiaggia era una sensazione forte. Ri-conoscermi nell’altro ed essere riconosciutada lui, è stata l’altra grande ricchezza di cui

Page 11: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

forte che sia l’intenzione e l’amore che met-tiamo in ogni gesto a cambiare la realtà»(Romina Lucchetti, VIDES Internzionale 2013).

Il dono delle donneLa testimonianza di Romina dà l’occasioneper rendersi sempre più consapevoli deldono di essere donne, per accorgersi dellaricchezza che la presenza della donna puòrecare alla vita delle singole persone e allasocietà tutta. Passano davanti agli occhi immagini comela carezza di una giovane donna sul voltostanco e sofferente di un vecchio; la vicinanzadi alcune donne accanto a persone che sof-frono, con la discrezione e la naturalezza dichi compie una scelta ovvia; la profonditàdella fede di tante donne che sanno affidarsinell’amore alla persona del Signore Gesù;la dedizione di tante mamme, che con sere-nità affrontano la vita quotidiana: i bambinida portare a scuola, il lavoro, la casa, una te-lefonata alla nonna, la spesa: donne fedelialle loro scelte, sostenute dalla decisionepresa un giorno di vivere fino in fondo, nonvivendo per se stesse. Giornate piene, tenute insieme non si sacome. Forse anche così, nel giorno per gior-no, si manifesta la fecondità e la forza del“genio femminile”. È il genio di una dedizione quotidiana portataavanti con naturalezza, senza rammarico,senza scrivere sul libro dei propri crediticiò che si fa per far crescere la famiglia, lacomunità, il contesto di lavoro, il quartiere,il villaggio, la città.Di donne disposte a giocare fino in fondo illoro genio c’è straordinario bisogno nelmondo di oggi, che rischia di inaridirsi nellacultura del tornaconto, dell’individualismoe dell’interesse egoistico. C’è bisogno di persone ancora capaci digratuità, di attenzione alla persona; capacidi tessere la trama forte di relazioni fatte disolidarietà e di dedizione.

Il dono più grande

L’Eucarestia è il dono che Gesù ci ha fattoprima di darci l’appuntamento nella casadel Padre. Riccardo Tonelli, salesiano, esperto di Pa-storale giovanile, morto nell’ottobre 2013nella certezza della risurrezione di Gesù,nel suo ultimo libro – Vivere di fede in unastagione come la nostra – scrive: «L’Eucarestiaè un dono così grande che non può mai es-sere compreso soltanto attraverso la medi-tazione e lo studio, ma va sperimentato perpoterlo vivere e scoprire. Va sperimentatopersonalmente nel grembo materno dellacomunità ecclesiale a cui il dono dell’Euca-restia è stato affidato». Tonelli invita a pensarealla celebrazione eucaristica come a un fram-mento di futuro, alla gioia di poter fare unasosta, per ritrovare la forza di riprendere ilcammino nel tempo della necessità. «L’Eucarestia è la festa cristiana del presentetra passato e futuro, tra memoria e profezia:il tempo del futuro dentro i segni della ne-cessità, tanto efficace e potente da generarevita nuova. Memoria solenne ed efficacedel passato, riscrive nell’oggi i grandi eventidella salvezza. Restituisce il presente alla sua verità per laforza degli eventi. Immerge nel futuro lanostra piena condivisione al presente, inquel frammento del nostro tempo che ètutto dalla parte del dono insperato e inat-teso».Nella Didaché si legge che il tiranno dellacittà di Abilene aveva proibito ai cristiani lapartecipazione all’Eucarestia, pena la morteviolenta. Essi rispondono con un’afferma-zione eloquente: «Senza la domenica nonpossiamo vivere». Per essi l’Eucarestia celebrata la domenicarappresenta veramente quel pezzo di futuroche restituisce la possibilità di vivere nellafesta anche il tempo duro del presente,soprattutto quando si è segnati dalla sof-

11 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 12: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

12RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

dossierp

arol

e e

gesti

di d

ono ferenza, dalla lotta, dalla croce.

A livello personale e comunitario abbiamocontinuamente bisogno di fare attenzioneo meglio di riscoprire l’Eucarestia: il donopiù grande che Gesù ci ha lasciato.Abbiamo sempre bisogno di combattere latentazione di ridurla a un rito vuoto e for-male.L’Eucarestia è memoria, attualizzata e impe-gnativa, della Pasqua del Crocifisso Risorto.

Essa è pasqua quotidiana perché consegnala nostra ricerca di senso, di vita, di felicitàalla morte di Gesù accolta come gesto su-premo di amore, come condizione fonda-mentale per la vita.«Fate questo in memoria di me» è prima ditutto un invito a fidarsi così tanto del misterodi Dio da consegnare la propria vita perchétutti abbiano vita in abbondanza.

[email protected]

Gesti

Lampedusa è stato il primo viaggio di Papa Francesco.Un viaggio non programmato ma voluto d’istinto. È andato lì come il buon samaritano. Ha pianto gli oltre 20.000 morti, sepolti in mare.

Casal del Marmo, giovedì santo. Il Papa lava i piedi a 12 giovani detenuti e spiega così il suo gesto: «Lavare i piedi è: “Io sono al tuo servizio”… che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro. Questo segno è una carezza di Gesù».

Udienza generale: 5 giugno 2013. Come autentico “padredei poveri”, che è l’antico titolo del vescovo, Papa Francesco critica la cultura dello scarto. Il cibo che si butta via è come venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame!

La macchina papale. Anche in Brasile ha rinunciato alla tradizionale limousine e ha affermato:«Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che rispondea una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura di segni dei tempi».

Santa Marta. «Un cosa per me fondamentale è la comunità. Cercavo sempre una comunità. Io non mi vedevo prete solo: ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta».

L’ alfabeto del dono

Parole

Piangere…ri-imparare a custodirci gli uni gli altri

Accarezzare: Aiutare….essere disponibili a servire

Condividere…per esprimere il desiderio che l’altro viva

Discernere...per fare scelte solidali, sobrie e giuste

Vivere la vita insieme agli altri…senza volti e incontri la vita non ha sapore

Page 13: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Approfondimenti biblicieducativi

e formativi

Page 14: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

La gente la riconosceva non soltanto come“Madre”, ma una “Madre buona”. In questamissionaria della prima ora si trova il bene,il vero, il bello secondo il Vangelo. Si trovauna Madre dal cuore grande, dallo sguardoattento e dalle mani intraprendenti.Leggendo la biografia di suor Angela Vallesescopriamo in lei una missionaria «severa conse stessa nel suo essere sempre a servizio,dolce e comprensiva con gli altri, nel capire,addirittura nel prevenire, i loro bisogni e neldonare affetto e speranza».All’inizio della missione, quando ancora nonera possibile comunicare con parole, suorAngela parlava con la dolcezza del suo sor-riso, la tenerezza nell’occuparsi dei bambini,ispirando confidenza alle mamme. Ogni lunedì era sempre la prima in lavan-deria e nelle case dove non c’era, precedevale sorelle al ruscello dove, nei lunghissimimesi invernali, occorreva spezzare il ghiac-cio e rimboccarsi le maniche con forza d’a-nimo. Le mani di Angela si irrigidivano e ilvolto sbiancava per il freddo pampero. Can-tare diventava difficile!A suor Josefa Picardo, arrivata in Patagoniaappena sedicenne e non ancora abituata alclima freddo, un giorno suor Angela chiese:«Dimmi, figlia mia, hai freddo, vero?». SuorAngela le stringe le mani tra le sue e con ilsuo sguardo cerca di riscaldare il cuore dellasorella. Di notte, quando tutto tace nellacasa, tranne il vento, ella appoggia una co-perta in più al letto di suor Josefa. È proprio quella tolta dal suo letto. Non soltanto con le sorelle, ma anche con

Lasciata definitivamente l’Isola di Dawson, i missionari, le missionarie e un gruppetto di indigeni arrivano a Punta Arenasper poi ripartire per la missionedella Candelaria. Al porto li aspetta suor AngelaVallese. Al momento dello sbarcogli indigeni, timidi, imbarazzati,smarriti, ripetono sommessamente: “Madre buona... Madre buona!...”. Suor Angela li chiama per nome ad uno ad uno, e ad ognunorivolge una parola materna.

Il Vangelo di Marco racconta che, mentre«Gesù usciva per mettersi in viaggio, un talegli corse incontro e, gettandosi in ginocchiodavanti a lui, gli domandò: “Maestro buono,che cosa devo fare per avere la vita eterna?”»(Mc 10, 17). La domanda rivolta a Gesù vienefatta da una persona che Lo riconosce nonsoltanto come Maestro, ma come un Mae-stro buono.Nel Sistema preventivo, la bontà, l’esserebuono, è un elemento essenziale; è unmodo di essere che distingue un educatoresalesiano da tutti gli altri. È la bontà che con-quista e trasforma, avvicina e comprende,ama ed educa. Dietro alla bontà, all’esserebuono, si nascondono il bene, il vero, ilbello!Suor Angela Vallese veniva chiamata dallagente, soprattutto dalle bambine e donnecon cui era a contatto, “la Madre buona”.

camilla

Si fa per dire

14RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primop

iano

spiri

tual

ità m

issio

naria Angela, la «Madre buona»

Maike Loes

Page 15: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

gli indigeni, le sue mani esprimeranno sem-pre la sua materna bontà. Sceglie per sé i lavori più pesanti e difficili:prepara da mangiare, cuce vestiti e indu-menti per i bambini e le donne, insegna loroa usare acqua e sapone, con pazienza e «perore si dedica alla pulizia delle indigene, aiu-tandole a lavarsi e ad eliminare i parassitidai capelli. Il suo amore di madre va oltre ildisgusto che istintivamente ognuno puòprovare nel compiere simili operazioni».Con affetto, accoglie tutti nonostante il malodore e la loro sporcizia, perché si ungonocon il grasso di balena per difendersi dal ri-gore del vento polare. Visita i loro toldi, dovei bambini non solo giocano con i cani, madividono anche con loro il cibo e il letto. Incontra le famiglie indigene, «si avvicina alloro dolore con affetto materno, ripetendoa voce bassa: “Pobrecitos, pobrecitos”, po-veretti. Porta doni per tutti: coperte, vestiti,cibo, una testimonianza di affetto. Chiamaognuno col proprio nome, ad ognuno regalauna carezza, una parola che avvicina, un se-gno che rimane vivo nel ricordo».Quando va a incontrare le sorelle, soprat-tutto nell’Isola di Dawson, sono le mani disuor Angela a caricarsi con materna solleci-tudine di provviste d’ogni genere, perchéconosce la povertà del posto e le molte dif-ficoltà: un ferro da stiro, l’amido per il mo-destino, qualche pentola, sapone, aghi, di-tali, stoffa, pettini..., tutto è per la gioia dellefiglie lontane e sperdute in quella terra, so-gnata ed amata, ma sempre “alla fine delmondo”.La “Madre buona” è una madre che sa ve-gliare... sia davanti al Tabernacolo, dove ri-carica le forze e alimenta la santità del quo-tidiano, sia dietro il vetro di una finestra – aPunta Arenas – dove una piccola candela il-lumina l’oscurità dello Stretto di Magellano,come segno di una presenza per chi nellanotte deve affrontare l’incertezza del mare. In comunità, è capace di intuire ogni piccola

o grande necessità. Quante volte rammendadi nascosto la biancheria delle Suore! E quando si accorge che qualcuna ha biso-gno di ricucire l’abito – perché nessuna nepossedeva due – aspetta che la sorella vadaa letto, poi «cauta e silenziosa glielo portavia». Lavora tutta la notte. Al mattino la suora,alzandosi, trova l’abito in ordine.Quando qualcuna è ammalata, è suor An-gela che si prende cura di lei giorno e notte.«Intuisce anche un semplice malessere, unafugace malinconia; persino dal modo di par-lare, di guardare, di ridere capisce se le suefiglie hanno qualche pena. Si avvicina loro, con pronta carità e chiedesommessamente: «Cosa hai? Posso aiutarti?Sono qui per te».«E quante sollecitudini per conservare incasa l’armonia, per tenere allegre quelle suefiglie tanto sacrificate, tanto lontane da tutti;per preparare loro una gradita sorpresa, ri-cordare un caro anniversario, procurare ilsollievo di una bella passeggiata».

Che importa?

«Per suor Angela Vallese i sacrifici non con-tano più, quando trionfa la grazia nelleanime!».Che importa se a casa manca il necessario?Che importa consumare le mani a lavare, adimpastare il pane...? Che importa se mancala legna e bisogna percorrere sei o sette chi-lometri, con qualunque tempo per cercarla?Che importa avere le mani gonfie dal freddoe dai geloni, dilaniate dalle spine, induritedalla vanga con cui si rompe a fatica l’aridoterreno...? «Tutto è nulla, purché Dio regni!Questo è lo stile di suor Angela Vallese».“Madre buona”. “Madre de los Indios”. “Ma-dre bianca”. Non importa come la chia-mano. Per i suoi fueghini, suor Angela Vallese fuveramente Madre. In lei hanno trovato ilbene, il vero, il bello, secondo il Vangelo.

[email protected]

15 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 16: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

L’organo più caro è il polmone, per cui sipuò arrivare a superare i 350.000 euro. I renisono invece gli organi per cui è presentemaggiore offerta (il 77% degli organi). Ma non sempre chi viene espiantato ne hala volontà, anche se disperato.Esiste un innegabile terrificante link tra que-sto mercato nero e le persone scomparse,specialmente i bambini.

Parlare di questo è sempre più un tabù, maevitare di farlo o ignorare il fatto, purtroppo,non significa salvare questi innocenti.Tutt’altro. A parte le migliaia di denunce nelmondo di bimbi letteralmente svaniti nelnulla, esiste una categoria che potrebbe es-sere definita dei “minori invisibili”. Invisibili perché la loro esistenza non vieneneanche dichiarata all’atto della nascita. Lemotivazioni sono tante e non solo relegateal traffico d’organi, ma anche a quello delleadozioni, dove appunto si comprano ibimbi per la discutibile gioia di sentirsi ge-nitori… Altre volte, invece, centinaia di mi-gliaia di bambini sono catturati e immessinel circuito della prostituzione minorile,grazie anche a compiacenti agenzie diviaggi pronte a offrire pacchetti turistici“tutto incluso”.Negli ultimi anni si sono moltiplicate oscuresparizioni di giovani e raccapriccianti rin-venimenti di cadaveri senza reni, fegato,pancreas, cuore, occhi, organi sessuali. Inu-tile in questa sede fare l’elenco dei paesidove questi ritrovamenti sono avvenuti edove le autorità locali, nella migliore delle

Il prezzo della vita

Rosaria Elefante

Uccidere per vivere, ma anche per guada-gnare. Da una parte i compratori, impossi-bile definirli persone-individui malati,spesso cronici, in angosciosa attesa di untrapianto. Convinti che la loro vita valga piùdelle altre, al punto di commissionare unomicidio per tentare di vivere più a lungo. Dall’altra i donatori. Bambini, ragazzi, uo-mini di ogni età, pieni di vita e in perfettasalute, spesso con il grosso neo di esserecresciuti nella povertà più nera. Al centro tra i due disperati l’infernale con-gregazione di chirurghi, senza pietà nédeontologia professionale, di sinistri per-sonaggi politici, pronti a fornire le oppor-tune coperture burocratiche.

Le organizzazioni internazionali di trafficod’organi prolificano sempre di più, alimen-tando il mercato illegale che garantisce or-gani a chi ne ha bisogno e soldi non solo achi viene espiantato. Nessuna Nazione è esclusa! E grazie allacrisi economica non esiste più neanchequello che potrebbe definirsi “prezzariod’organi”. La crescita del mercato nero de-gli organi è sorprendente. Non bisogna essere un hacker per imbat-tersi in particolari e criptati siti internet,dove persone disperate mettono in venditaparti del loro corpo, allestendo così un ma-cabro commercio basato sulla disperazionereciproca di chi compra e chi vende. Centomila, sessantamila, cinquantamilaeuro, queste le cifre con le quali si puòcomprare qualsiasi parte del corpo umano.

camilla

Si fa per dire

16RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primop

iano

anim

a e

dirit

to

Page 17: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

ipotesi, hanno aperto un’inchiesta. Bastainterrogare l’informatissimo mondo delweb per avere una mera idea di quanto ac-cade, scivolando in uno stato letterale disgomento, rabbia e vergogna. Sì vergogna. Possibile che nessuno riesca afare nulla? Passato l’imbarazzo e l’inquietu-dine del momento rimane silenzioso l’urlosicuramente agghiacciante di questi indifesie innocenti martiri dei giorni nostri.

Cosa fare allora? Sicuramente non volgerelo sguardo altrove. Occuparsi dei bambinie delle persone deboli è un dovere e unobbligo internazionalmente riconosciuto.Informare l’opinione pubblica e smuoverele coscienze di tutti, anche dei politici, aché intervengano per fermare l’orrore è ilprimo passo. Dichiarare che il traffico d’or-gani, voluto o subito, qualunque sia l’etàdell’espiantato, è inammissibile, inconce-

17 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

pibile, irrazionale. Una vita non può e nondeve valere più di un’altra!

L’orrore che accade segna la macabra me-tamorfosi delle relazioni sociali e culturalitra se` e l’altro: da un lato il corpo inteso insenso “scientifico”, luogo semantico dellavita biologica; depauperato ed evirato diqualsiasi valore etico, figlio di una sterile ecorrotta filosofia capitalistica coniugata alladimensione medica che considera il corposemplicemente fonte di “pezzi smontabili”con cui estendere le nostre esistenze; dal-l’altro un corpo nella sua integralità, in cuiogni elemento è “prezioso e unico pezzodi vita”, insostituibile e inalienabile.Allora giù i veli. Ognuno ha un suo ruolo eun compito in questa missione, l’omertà èsinonimo di complicità.

[email protected]

Page 18: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

diversamente in ordine ai valori su cui s’im-pegna a improntare un nuovo stile di vita.Ed è per questo che per andare oltre nonbastano determinate iniziative ecologiche.Il processo di conversione, assolutamentenecessario, deve andare molto più in profon-dità. Deve coinvolgere tutta la persona, anzitutta l’umanità.

“È un bene di tutti!”

La conversione ecologica implica il ricono-scimento della creazione come un dono ela consapevolezza che questo dono è unbene comune da condividere con tutti gliabitanti del pianeta, secondo giustizia e ca-rità. Il mondo, infatti, si offre al nostrosguardo come traccia di Dio, luogo nelquale si dispiega la sua potenza creatrice,provvidente e redentrice (cf DSI, 487), chenon esclude nessuno, ma che fa sorgere ilsuo sole su tutti (cf Mt 5,45). Sono significative in questo senso due sto-rielle riportate nella presentazione di unrecente Convegno dei religiosi Saverianisu “Educare ai beni comuni”. Il primo rac-conto parla di un bambino che camminasu un sentiero di montagna, e ammirandola bellezza del bosco chiede al papà: «Madi chi è questa valle?». E il papà dopo un at-timo di spiazzamento, risponde: «Beh, nonè di nessuno, in particolare, cioè … è ditutti!». La seconda storia, anche questavera, parla di un parco, il parco della cascatedi Molina (Verona), ricco di reperti archeo-logici. All’ingresso c’è un cartello che dice:«Proprietà della comunità». Ed è così, la

Conversione ecologica

Julia Arciniegas

Nei numeri precedenti della nostra rubrica“Cultura ecologica” ci siamo collocate dallaprospettiva della terra come “la nostra casacomune”, la casa della vita, affidata allenostre cure, ma ormai depauperata assaidalla propria ed altrui avidità. La terra è stata devastata fino al punto didiventare oggi “un pianeta con risorse li-mitate”. L’interdipendenza e la reciprocitàtra l’ecologia umana e l’ecologia ambientalelasciano aperta la domanda sulla nostra re-sponsabilità di assicurare un futuro soste-nibile alla nuove generazioni.

Un segno dei tempi

I fatti dimostrano che la crisi del creato, dicui l’uomo è responsabile, è ben più diuna semplice crisi ambientale: essa rappre-senta un segno dei tempi, un appello cherichiede una risposta. È, soprattutto, una crisi di orientamento edi identità che affonda le radici nell’atteg-giamento interiore dell’uomo nei riguardidel Creato e del Creatore.Il Dizionario teologico di Spiritualità delCreato (M. Rosemberg, EDB 2006) affermache di fronte a questo fatto la diagnosi nonè difficile: l’uomo, governatore della casa,deve convertirsi. Il greco metanoien/metanoia contiene l’ideadi un rinnovamento di mente e di cuore,un ravvedimento fatto con tutto l’essere.La conversione è un atto consapevole daparte del soggetto, che si rammarica delsuo modo di agire, oppure si risveglia dallasua inerzia e incoscienza e cambia, agisce

camilla

Si fa per dire

18RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primop

iano

cultu

ra e

colo

gica

Page 19: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

comunità ha deciso di aver cura di un beneche appartiene a tutti. Entrambi gli aneddotiruotano intorno al concetto di possesso,ma in un certo senso lo superano. Le coseinfatti non sono solo per possederle. Educareai beni comuni significa anche educare aduna buona relazione con le cose, con lanatura, con la realtà che ci circonda, perchétutti possano usufruirne in modo adeguato(cf “Cem Mondialità” 10.12.2013, 3-4).Il bene comune, insieme alla sussidiarietàe alla solidarietà, è uno dei principi perma-nenti della Dottrina sociale della Chiesa. Essi custodiscono la dignità, l’unità e l’u-guaglianza di tutte le persone, fondamentoal quale ogni aspetto della vita sociale deveriferirsi per trovare pienezza di senso (cfnn. 160-170).La conversione ecologica affonda le sueradici nella destinazione universale dei beni,

una delle implicazioni più feconde del prin-cipio del bene comune. La fede cristiana afferma che Dio ha dato laterra a tutto il genere umano, perché essasostenti tutti i suoi membri, senza escluderenè privilegiare nessuno. L’attuazione con-creta di questo principio richiede però in-terventi regolamentati, frutto di accordi na-zionali e internazionali, ed un ordinamentogiuridico che determini e specifichi un eser-cizio equo e ordinato del diritto all’uso deibeni (cf ivi nn.171-184).

Giustizia e Pace per il Creato

Sebbene non sia possibile cambiare il mon-do solo con delle scelte individuali, è pos-sibile attribuire ad esse un peso non indif-ferente. Se tutti c’impegniamo in una veraconversione ecologica, da una prospettivaantropologica ed educativa, i nostri atteg-giamenti influiranno sulla sostenibilità dellerisorse del pianeta, a favore di tutte le po-polazioni. La pace giusta per il creato di-pende, infatti, da ciascuno di noi.L’educazione è la prima strategia ambientale,affermava il Card. Rodríguez Maradiaga inoccasione dell’apertura del Seminario sultema: «Umanità sostenibile. Natura soste-nibile. La nostra responsabilità», svoltosi aRoma nei primi giorni di maggio 2014, pro-mosso dalla “Pontificia Accademia delleScienze Sociali”. Un’ecologia umana sana in termini di virtùetiche contribuisce al raggiungimento dellasostenibilità naturale e di un ambiente equi-librato. Su questi temi tutte le religioni etutti gli individui di buona volontà possonoessere d’accordo. Il nostro messaggio è an-che di speranza e di gioia. Un mondo piùsano, più sicuro, più giusto, più prospero epiù sostenibile è alla nostra portata (cfhttp://www.pass.va/content/scienzesociali/it/events/2014-18/sustainable/statement.html).

[email protected]

19 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Diventare testimoni di conversione ecologica

Rispetto: stuporeOgni creatura possiede un valore intrinseco

Discrezione: decentramentoEquilibrio tra vicinanza e distanza dalle cose

Responsabilità: attenzione e disponibi-litàServizio alla vita

Prudenza: ModerazioneSobrietà solidale e coscienza critica

Tenerezza: cura del CreatoAscolto, relazione di con-vivenza

LUCECONTRO

Page 20: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

E la relazione si rende difficile, fino a scon-finare in un rapporto conflittuale.

Nella comunità “Maria Ausiliatrice”, le 14sorelle animano diverse opere: dal centrogiovanile, alla scuola, al servizio parroc-chiale della catechesi. L’atmosfera comuni-taria è buona, ma talvolta ci sono faticheper divergenze sullo stile di vita comunita-rio, che alcune vorrebbero più accomo-dante altre più rigoroso, e non meno per ladisparità di età e di carattere: sorelle pacate,altre suscettibili, altre dalla reazione prontae immediata. L’Animatrice tenta più voltedi aprire un confronto insieme per chiariree permettere a ciascuna di esprimere il pro-prio punto di vista: sono poche però a par-lare. La situazione potrebbe appiattirsi o dege-nerare. Ma da qualche tempo, alcune so-relle di età differente, senza molte parole,sembrano coalizzarsi con una serie di gestiche contagiano tutto l’ambiente: si organiz-zano ricreazioni vivaci; la liturgia è curatacon segni ad hoc; si pianifica qualche uscitainsieme; si decide di rendere più flessibilialcuni orari. Soprattutto, in loro scomparela lamentela, il puntare il dito, l’atteggia-mento serioso e accigliato. Tutta la comunità ne è coinvolta.

Suor Rita e suor Giulia condividono l’im-pegno educativo nella scuola. Inserite in ungrande complesso scolastico, si appassio-nano alla vita dei giovani e dedicano ad essile migliori energie cercando di incarnare laspiritualità salesiana anche nel quartiere in

La Relazione

Giuseppina Teruggi

“Essere umani è essere in relazione. La nostra struttura del ‘sé’ emergedalle complesse interazioni umane,in particolare nei primi anni di vitae di socializzazione, ma continuaper tutta la nostra vita. Le relazioni ci contraddistinguono”.

Karl Rogers

Nella vita di ogni giorno

La quotidianità, si sa, è luogo di incontri, discontri, di gioie, di sconfitte. Ma anche spa-zio e intreccio di relazioni che danno signi-ficato alla vita. Anna e Teresa hanno iniziato nello stessoperiodo il loro cammino nella vita salesiana.I primi anni di formazione, fino alla Profes-sione, le hanno viste entusiaste, felici, unitedall’ideale del carisma. Tempo di impegno, di sogni, di amicizia, diesperienza comunitaria intensa. Le rispet-tive famiglie avevano stretto tra loro legamisolidi, soprattutto le mamme, che spesso siincontravano e confrontavano punti di vista,idee, incertezze. Dopo vari anni, suor Annae suor Teresa si ritrovano a vivere nellastessa casa. Una decisione accolta con gioiaper la possibilità di continuare quel per-corso di amicizia iniziato tanti anni prima.La vita comunitaria, le esigenze proprie delcompito affidato ad ognuna evidenzianotuttavia poco a poco le differenze tra le due,con la fatica di accogliersi.

camilla

Si fa per dire

20RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primop

iano

filo d

i aria

nna

Page 21: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

cui vivono. Ci sono disparità sociali piutto-sto marcate nelle famiglie e non sempre leproposte della scuola vengono sostenuteda tutti. I criteri di progettazione non sonoassunti dall’intera comunità educante e ledue sorelle si schierano chi da una partechi dall’altra. Nascono scontri, discussioni.Ci si intende con molta fatica e si rischia diprocedere su linee parallele.

La relazione più profonda

Parlare di relazioni quotidiane è immergersiin quel grande laboratorio di vita nel qualeognuno si muove ogni giorno. Spesso pen-siamo alla relazione riferendoci ai rapportiinterpersonali. Non sempre ricordiamo chene esiste un’altra, che è fondamentale nellanostra vita: la relazione con noi stessi. “Mivengono in mente dei pensieri coi qualinon sono d’accordo”, affermava Woody Al-len, sottolineando proprio questo tipo direlazione. Quella cioè che ciascuno stabili-sce con il proprio mondo interiore fatto disentimenti, idee, emozioni, paure, fantasie,ricordi, desideri. Un mondo ricco, complesso, talvolta pocochiaro, a cui non siamo abituati a dare at-tenzione. Ma esso condiziona fortemente inostri atti, il nostro comportamento perchéè il risultato delle nostre esperienze, so-prattutto dell’infanzia, di come le abbiamovissute, del significato che hanno assuntoper noi, dei timori provati, di come ce nesiamo difesi. Un mondo che non ci è deltutto sconosciuto e incomprensibile, per-ché ci sono “indici” che ce lo possono rive-lare, come i sogni notturni, i lapsus. Ogni adulto porta dentro di sé il bambino,il fanciullo, l’adolescente che è stato. Nel vissuto quotidiano esiste questo retro-terra che tende a condizionare il nostroagire senza che noi lo vogliamo. Un buon cammino da compiere è quellodi conoscerci in modo realistico, senza di-fese, e di decifrare le nostre dinamiche per

quello che sono. Anche se ciò non sempreè piacevole e a volte necessita un aiutoesterno. La normalità, vista come assenzadi problemi, è un mito. Nel percorso evo-lutivo, in ogni persona è presente qualcheferita, qualche paura, qualche difesa. Dallerelazioni primarie, dalle esperienze vissute,dal modo in cui le abbiamo interpretate edelaborate nel tempo, dal modo in cui ab-biamo cercato di correggerle e di adattarci,nasce un nostro stile affermativo o difen-sivo, un nostro stile relazionale con il qualeosserviamo e viviamo nel mondo. Essere consapevoli di questo stile personaleed unico, che tende a ripetersi e a condi-zionare tutte le relazioni della nostra vita, èimportante soprattutto quando tali relazionici rendono inappagate o tristi.

Per una comunicazione buona

Il tema della relazione riscuote molta atten-zione da parte degli studiosi di scienzeumane. Un’interessante teoria, elaboratadal filosofo Emmanuel Lèvinas, ad esempio,parte dalla considerazione dell’altro a par-tire dal suo volto, dall’esperienza che cia-scun essere umano fa del volto dell’altro.«Nel semplice incontro di un uomo conl’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nellamanifestazione, nell’epifania del volto del-l’altro scopro che il mondo è mio nella mi-sura in cui lo posso condividere con l’altro.E l’assoluto si gioca nella prossimità, allaportata del mio sguardo, alla portata di ungesto di complicità o di aggressività, di ac-coglienza o di rifiuto».

Significativi apporti alla psicologia della re-lazione sono stati offerti da Karl Rogers, cheha tentato di definire – e attuato in modoefficace – le regole di una “terapia” incen-trata sulla persona e sulla relazione. Sonoorientamenti che vanno al di là delle situa-zioni terapeutiche e toccano il percorso diogni vita.

21 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 22: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

sione del nostro pensiero e delle nostreemozioni. Una persona congruente è comeun vaso trasparente, senza filtri al suo in-terno. La congruenza crea uno stile di rela-zione che ha le caratteristiche dell’auto-consapevolezza, della sincerità con se stessie con gli altri, della chiarezza.

E i conflitti?

In un incontro con i fedeli in piazza SanPietro per il Regina coeli nel maggio scorso,papa Francesco ha fatto notare che «nellavita i conflitti ci sono: il problema è come siaffrontano». Riferendosi alla prima comunità cristianache si era da poco aperta all’ambito cultu-rale greco, e che sperimentava le prime dif-ficoltà di relazione, il Papa ha rilevato che«allora, davanti a questo conflitto, gli Apo-stoli prendono in mano la situazione: con-vocano una riunione allargata anche ai di-scepoli, discutono insieme la questione.Tutti. I problemi, infatti, non si risolvono fa-cendo finta che non esistano! Ed è bello questo confronto schietto tra ipastori e gli altri fedeli». Si decide una suddivisione di compiti e laproposta viene accolta da tutti. «E così daquel malcontento, da quella lamentela, daquelle voci di favoritismo e disparità di trat-tamento, si arriva ad una soluzione. Con-frontandoci, discutendo e pregando si ri-solvono i conflitti nella Chiesa. Confrontandoci, discutendo e pregando.Con la certezza che le chiacchiere, le invi-die, le gelosie non potranno mai portarcialla concordia, all’armonia o alla pace. Anche lì è stato lo Spirito Santo a coronarequesta intesa e questo ci fa capire chequando noi lasciamo allo Spirito Santo laguida, Egli ci porta all’armonia, all’unità e alrispetto dei diversi doni e talenti. Avete capito bene? Niente chiacchiere,niente invidie, niente gelosie! Capito?».

[email protected]

Un cammino fecondo per ogni persona.Nel rapporto interpersonale un criterio fon-damentale è l’accettazione positiva incon-dizionata dell’altro, per cui la persona vieneaccolta con tutto quello che è: non si fannodistinzioni tra esperienze degne di consi-derazione positiva ed esperienze meno va-lide. La persona viene accolta con un atteg-giamento di apprezzamento sia in ciò di cuiessa ha più timore o vergogna, sia in quellodi cui va fiera o la fa stare bene. Lo stile di accoglienza senza condizioni per-mette di accrescere o ripristinare l’auto-stima, fondamento della fiducia in sé e neglialtri, e la consapevolezza confortante di es-sere sempre di fronte ad un “valore”.

Un atteggiamento che accompagna e po-tenzia l’accettazione incondizionata èquello empatico, proprio di chi si sa metterenei panni altrui, pur mantenendo la distin-zione tra sé e l’altro.Empatia è, infatti, capacità di porsi nella si-tuazione di un’altra persona, cercando dicomprenderne emozioni e stati d’animo,di capire come la persona vede e vive unasituazione e il mondo che le sta attorno.

La relazione si potenzia grazie alla capacitàdi ascolto attivo, che è una competenza co-municativa fondamentale, prerequisito pertutte le altre. L’ascolto attivo è saper ascol-tare con un elevato grado di attenzione epartecipazione comunicativa, esprimendorisonanze significative. Differisce dall’ascolto passivo, inteso comesemplice ricezione di informazioni.

Elemento indispensabile per una buona re-lazione, nel pensiero di Rogers, è la con-gruenza, piena coscienza delle proprie rea-zioni, emozioni e sentimenti. Essere congruenti significa essere in ac-cordo con se stessi, saper esprimere i propribisogni, i propri desideri, far sì che tuttociò che dicono le nostre parole sia espres-

22RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

primop

iano

filo d

i aria

nna

Page 23: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

LA VERA BELLEZZA, DOPO TUTTO, STA NELLA PUREZZA DI CUORE. GANDHI

canto alla vita©

Dip

inti

di E

man

uela

Col

berta

ldo

Page 24: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Dip

inti

di E

man

uela

Col

berta

ldo

Page 25: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)
Page 26: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

canto alla vita

QUESTA BELLEZZA MUTEVOLE CHIL’HA CREATA, SE NON LA BELLEZZA IMMUTABILE? AGOSTINO D’IPPONA

Page 27: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Letturaevangelicadei fatti

contemporanei

Page 28: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

L’allegria è, per don Bosco, risultato di unavalutazione cristiana della vita. Dalla religione dell’amore non può chescaturire la gioia, la letizia, l’ottimismo fi-ducioso e positivo. Per questo nelle casedi don Bosco, “l’allegria è fatta coinciderecon la santità”, come compare esplicita-mente nella vita di Domenico Savio e nellealtre vite scritte da don Bosco. Un anno dopo aver trovato una sede stabilenella tettoia/casa Pinardi, nella periferia diValdocco (12 aprile 1846), don Bosco pub-blica Il giovane provveduto, dove appaionogià alcune delle sue idee e opzioni educa-tive fondamentali. Benché avesse l’appa-renza di “un libro di pratiche di pietà ido-

Felici nel tempo e nell’eternità Mara Borsi

La Spiritualità salesiana è caratterizzata dallagioia e dall’ottimismo e orienta a sperimentarela vita come festa e la fede come felicità. LaFamiglia salesiana continua a dire ai giovani:“Qui facciamo consistere la sanità nello stareallegri”. La consapevolezza che il Signore è con noi ciriempie di gioia: non siamo soli.

“Dio è il Dio della gioia”, pensava san Fran-cesco di Sales. Meglio ancora, in “Diostesso tutto è gioia poiché tutto è dono”. Don Bosco, da lucido educatore cristiano,fa della gioia un elemento costitutivo delsuo modo di educare e non lo separa maidallo studio, dal lavoro e dalla preghiera.

camilla

Si fa per dire

28RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

in ricerca

sgs

cultu

re

FelicitàLa felicità l’ho sperimentata in modo intensonel mio gruppo giovanile. Prima di diventareFMA con altri amici andavo in un villaggioper diverse attività di tipo sociale a favoredi bambini e giovani poveri. La gratuità deldono, non sempre facile, fa crescere. Dive-nuta FMA la gioia si è moltiplicata.Ho continuato ad essere educatrice, maho conosciuto un metodo e un nuovo stileeducativo: il Sistema preventivo. Sintetiz-zando la mia esperienza posso affermareche essere cristiani vuol dire essere feli-ci… naturalmente non lo si può essere dasoli. La felicità chiede di essere condivisa.

Anita Dushing, Mumbai, India

La vita religiosa che sto vivendo è per mefelicità e gioia. Vivere, stare insieme nel nomedel Signore è gioia. Ho sperimentato la felicità quando in comunitàabbiamo saputo andare oltre i nostri limitiper costruire la comunione, quando insiemeabbiamo vissuto le esigenze del sistema pre-ventivo nella missione educativa quotidiana. È questo che mi ha dato gioia e felicità.

Anita Wilson, Chennai, India

In questi anni di vita mi sembra di averecapito che la felicità è sempre una scelta,essa non può dipendere dalle circostanze,dalle cose, dalle persone. In noi la felicità èqualcosa di ciò che siamo. Quando nel lavoroeducativo ho potuto costatare la capacità diragazzi e giovani di diverse religioni di lavorareinsieme per la giustizia e la pace ho sentito

Page 29: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

29 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Ho aspettato per un po’ di tempo, pensando“forse cambierà…” ma niente. Un giornol’ho chiamato da solo e con tanto rispetto,pazienza e libertà gli ho detto di non di-sturbare, offrendo delle semplici motivazioni. Il giorno dopo è stato molto attento. Al termine della lezione gli ho detto unsemplice grazie. E anche lui, con mia sorpresami ha ringraziato tantissimo per non averlorichiamato davanti agli altri, mi ha dettograzie per la pazienza e le parole di inco-raggiamento. Posso dire che in quel mo-mento la felicità è stata proprio tanta. I gio-vani hanno bisogno di essere ascoltati conpazienza e di essere accompagnati conamore. Facciamo questo e la gioia è assicurata.

Aprilda Pasi, Shillong, India

molta felicità. Grandissima gioia nel vederecrescere gli studenti del mio corso dal puntovista culturale, umano, spirituale. Quando mi sono resa conto che la mia pre-senza è diventata un canale di evangelizza-zione ho sperimentato la gioia interiore. Hogoduto della mia vita, quando ho sacrificatoil mio tempo e i miei talenti per i poveri, igiovani e quando ho messo tutta me stessanel campo di missione che mi è stato affidato.

Karackatt Chackomariamma Shiny, Bangalore, India

Sono felice. La vita religiosa dà gioia anchese stare con i giovani richiede sacrificio e pa-zienza. Quando ho insegnato nella scuola diun villaggio mi è capitato questo fatto. Un ragazzo non cattolico della classe distur-bava continuamente la mia lezione.

nee” per aiutare i ragazzi a coltivare la re-ligiosità e la virtù, don Bosco lo presentacome modo per vivere la vita cristiana.Nella sua mente Il giovane provveduto èuna vera proposta per mostrare la pienacongruenza tra vita spirituale e allegria,vita di fede e vera felicità.

Un oggi difficile

La società contemporanea offre ai giovanimolti piaceri e divertimenti, ma poca gioia.L’educatore, l’educatrice può ritenere diaver fatto un grande passo avanti nella suapratica educativa quando aiuta il giovane,la giovane a comprendere e, meglio ancora,a sperimentare la differenza che esiste trail piacere e la gioia. Una questione difficile questa, ma estre-mamente urgente. Chi vive la spiritualitàsalesiana è chiamato a riconoscere le gioiequotidiane insieme ai giovani. Occorre unpaziente sforzo di educazione per imparare,o riapprendere nuovamente, a gustare,con semplicità, le molteplici gioie umane

che Dio mette ogni giorno sul nostro cam-mino. Giovani e adulti insieme per assa-porare le piccole cose: osservare la rigablu del cielo fra i tetti della città, o lastriscia silenziosa della luna, il viso di unbambino, o l’arco dolce che fanno le rughesulla fronte di un anziano, la dolcezza diun fiore, le mani strette di ragazzi inna-morati… E molto altro.Tra gli ostacoli alla nuova evangelizzaneoggi c’è proprio la mancanza di gioia e disperanza. Spesso questa mancanza di gioiae di speranza sono così forti da intaccarelo stesso tessuto delle nostre comunitàcristiane. È la carenza di luoghi in cui spe-rimentare la gioia a rendere molti giovanianalfabeti della felicità. La spiritualità salesiana interpella soprattuttogli educatori a ricevere e sperimentare in loro la gioia del Cristo e a mettere ingioco la vita affinché il Regno sia annunziatoe il Vangelo sia impiantato nel cuore deigiovani.

[email protected]

Page 30: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

piuttosto complesso. Se da una parte sembrache la società contemporanea stia “smar-rendo il senso del rituale”, dall’altra è evidentecome i giovani non siano privi di riti. Essi hanno solamente spostato i “luoghi” incui viene iscritta la ritualità, che è passatadall’ambito religioso a quello secolare. Illoro rapporto con la liturgia è evidente chesia piuttosto difficile; coloro che si dichiaranocredenti preferiscono di gran lunga la pre-ghiera personale a quella liturgica.

I giovani pregano? Si può parlare oggi di “analfabetismo liturgico”?La partecipazione “poco attiva” dei giovanialla liturgia nasce sicuramente dalla pocaconoscenza del significato di gesti e segniliturgici, dal non sapere cosa si celebri, esoprattutto dalla perdita della “capacità sim-bolica” del rito che porta a non comprendereil linguaggio liturgico. Si passa da celebrazioni burocratiche e im-personali a celebrazioni dominate da unasoggettività emotiva che non si affaccia sulmistero. Tuttavia nelle nuove generazionil’anelito d’infinito non è venuto meno, lafede non è spenta, ma solo ricerca modinuovi di espressione.

Come aiutare i giovani a cogliere il significato di segni e gesti?Romano Guardini parla della necessità di“educazione ed esercizio per imparare l’attodi culto”. E questo non si può realizzare at-traverso una conoscenza cognitiva, ma permezzo dell’azione liturgica stessa. I giovani,e non solo, devono essere “iniziati” alla li-

Giovani e liturgia Intervista a suor Elena Massimi

Gabriella Imperatore, Anna Mariani

I giovani apprezzano una fedeannunciata senza imballaggi, senza interminabili preamboli e “trucchi” di pre-evangelizzazione. Sono aperti a chitestimonia loro la fede cristiana nella libertà, senza cercare di convincerli facendo pressione sulla loro capacità di scegliere.

La liturgia è il «luogo educativo e rivelativo»in cui la fede prende forma ed è trasmessa(Orientamenti pastorali 2010-2020 della Chiesaitaliana). È l’esperienza fondamentale chescandisce il quotidiano e i momenti impor-tanti della vita (Linee Orientative della Mis-sione Educativa), è «paradigma» di ogni au-tentica comunicazione con Dio, con i fratellie con le realtà create.Nel rapporto tra educazione, liturgia e mon-do giovanile ci si chiede in che modo e inche misura questa funzione ecclesiale siacapace di “intercettare” le esigenze dei gio-vani di oggi e di offrire risposte/proposteadeguate, e a quali condizioni essa possarealizzare il suo compito di educazione in-tegrale della persona. Abbiamo intervistatosuor Elena Massimi, fma, docente di SacraLiturgia presso la Pontificia Facoltà di Scienzedell’Educazione Auxilium.

Qual è il rapporto tra giovani e liturgia? Quale senso del rito e quali rituali sperimentanoi giovani?Il rapporto tra la ritualità e i giovani è

camilla

Si fa per dire

30RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

in ricerca

pasto

ralm

ente

Page 31: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

da coloro che parte-cipano al rito. Come rendere concreta la dimensio-ne educativa della liturgia?La liturgia rappresen-ta una “risorsa edu-cativa” preziosa. Essaaiuta a riscoprire lavita come dono gra-tuito da accogliere eridonare. Educa a far spazioall’altro, ad andargliincontro (es. il gesto

di pace), a pregare con lo stesso ritmo dichi ci è accanto, ad agire insieme a tuttal’assemblea, a prendere su di sé le sofferenzedi coloro che sono nel bisogno. Nell’attualelabirinto della complessità sociale e dellavirtualità relazionale la liturgia contribuiscealla costruzione di personalità armoniose,aiuta i giovani a riscoprire la bellezza dellarelazione con gli altri e ad educarli ad essa,ad uscire dall’individualismo ed abitare ilmondo dando significato al quotidiano. Laliturgia educa all’ascolto profondo, alla gra-tuità, all’ospitalità, alla condivisione, perquesto propone esperienze generatrici disenso e alternative alla cultura dominante.

Alla pastorale giovanile spetta il compito dieducare i giovani alla liturgia e cioè favorirel’incontro personale di giovani e bambinicon il mistero di Dio mediante la partecipa-zione a liturgie solenni. Partecipazione attivaè fare il proprio ingresso nel rito, nel rin-graziamento, nel silenzio, nell’ascolto, nellapreghiera ed in tutto ciò in cui realmente laliturgia consiste. L’educazione alla fede è un luogo in cui siverifica l’incontro con Cristo nella Chiesa,vivente oggi e sempre.

[email protected] [email protected]

31 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

turgia, devono imparare ad agire ritualmente.“Quando si impara a suonare uno strumentomusicale, conoscere come si suona è im-portante, ma non è sufficiente. Si impara asuonare solo facendo pratica, suonando, equesto richiede tempo ed esercizio costante”.Così è per la liturgia che è l’insieme didiversi linguaggi, verbali e non (musica,gesto, icona…). Da educatrici dobbiamo impegnare le nostreenergie per una solida formazione liturgica,così aiutiamo a riscoprire la bellezza veradella liturgia, che è per eccellenza il luogodell’incontro profondo con Dio.

L’istanza di partecipazione e relazionalità in che misura entra nella liturgia?Non esiste liturgia senza partecipazione co-munitaria. La liturgia è un agire a livellosimbolico-rituale e nella Sacrosanctum Con-cilium si evidenzia come le celebrazioni li-turgiche non siano azioni private, ma dellaChiesa. Quando si prende parte ad una ce-lebrazione liturgica non ci si può isolare,ma si è chiamati a lodare Dio comunitaria-mente. La liturgia è preghiera della Chiesa,e la parola ekklesia significa assemblea con-vocata da Dio. All’interno di una celebrazioneliturgica ci sono momenti di preghiera per-sonale, che però vengono vissuti “insieme”

Page 32: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

tomeno un luogo nel quale si realizza unaproposta educativa. Patio 13 è una conce-zione formativa che cerca di accompagnareil maestro – che si sta formando per questaprofessione – ad un lavoro con un popola-zione vulnerabile e a lavorare con bambiniin situazioni di rischio perché rientrino nellascuola regolare esercitando il loro dirittoall’educazione».

Le strade di Medellin sono ricche di colori,di musica e di gente. Percorrono la cittàquasi a trafiggerla. Il “metro cable”, la funiviache sorvola la città, sembra sia lì per ricucirelo strappo di una città divisa tra chi ha e chinon ha. Tra chi ha una vita dignitosa, affetti,lavoro, un luogo dove abitare, divertimenti,cultura. E chi non ha nulla se non la vitastessa. E in mezzo a queste ferite purtroppoci sono i bambini.

Un cortile in città. Progetto Patio 13Anna Rita Cristaino

Il viaggio a Medellin ci mette di fronte aduna città accogliente, dalle origini antiche,diventata oggi una metropoli che cometutte le grandi città, vive l’intreccio tra pro-blematiche complesse e la voglia di riscattoverso un futuro di giustizia ed equità so-ciale. La città è cresciuta in fretta, e in se-guito a diverse questioni sociali e politiche,oggi si ritrova ad affrontare diverse proble-matiche: mancanza di lavoro, precarietà,violenza, droga, questioni che hanno fattoaumentare il numero di bambini che vivonoper strada.

Nel 2001, per far fronte a questa emergenza,le Figlie di Maria Ausiliatrice della scuolanormale superiore di Copacabana, hannoavviato il progetto Patio 13 in collaborazionecon il Dipartimento di Pedagogia dell’Uni-versità di Heidelberg per offrire una forma-zione scolastica adeguata anche ai bambiniche vivono per strada. L’intervento educativo si sviluppa a partiredall’idea che l’assenza di educazione sa-rebbe un ulteriore elemento di emargina-zione e violazione dei diritti di questi bam-bini e giovani; e che l’insegnamento a lorodiretto non possa seguire gli schemi tradi-zionali. Ne nasce un progetto formativo peril quale gli stessi maestri, in base all’espe-rienza educativa che vivono con i ragazzi,rileggono la propria storia e apprendonoun sapere pedagogico specifico.

È quanto con convinzione sostiene suorSara Sierra, ideatrice del progetto: «Il pro-getto Patio 13, non è un’istituzione né tan-

camilla

Si fa per dire

32RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

in ricerca

uno

sgua

rdo

sul m

ondo

È possibile vedere in che modo vie-ne realizzato il progetto Patio 13 inun DVD prodotto da “Missioni donBosco” in collaborazione con l’Am-bito per la Comunicazione Socialedal titolo Patio 13, Maestri di strada.Nel Video i bambini di strada e leragazze che partecipano al progetto,raccontano la loro esperienza e mo-strano come con l’impegno e laprofessionalità si possono raggiun-gere grandi obiettivi.

Page 33: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

33 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

zione di sé e degli adulti; il desiderio di im-parare e persino il desiderio di vivere.

Una parte del progetto Patio 13 è il servizioeducativo offerto dalle studenti della ScuolaNormale all’opera dei salesiani Patio DonBosco dove i bambini e i ragazzi vengonoaccolti per il gioco, lo studio e anche la per-manenza in collegio. Sono accolti giovani dai 7 ai 17 anni e tuttipossono contare sull’aiuto di educatoriesperti e del supporto delle allieve-volon-tarie nel fare i compiti, giocare e svolgereattività diverse di svago e formazione. So-prattutto ciascuno riceve quell’attenzioneche quasi nessuno è disposto a dare loro.

Questa di Patio 13 è un’esperienza forma-tiva per le ragazze della scuola che vi aderi-scono, così come racconta Melissa Giraldo:«Quando frequentavo l’ottava classe, sen-tivo spesso alcune ragazze parlare del fattodi andare per strada ad aiutare alcuni ra-gazzi, loro andavano sempre in un postodove c’erano molti di questi ragazzi distrada. Mi sembrava una cosa nuova, anchese all’inizio avevo un po’ paura.

Katherine Noreña, una delle animatrici delprogetto ci racconta: «Quando uno inizia alavorare con i ragazzi di strada o in situa-zioni di disagio, inizia a valorizzare ciò cheha. Ti chiedi cosa fare per iniziare a lavorarecon loro, ma loro stessi iniziano a valoriz-zarti, iniziano a sentire che hanno qualcunoche li sostiene e che ci sono persone a cuiimporta di loro. Ricevevo lezioni e mi venivainsegnato il modo di fare lezione, ma perquesto tipo di ragazzi è necessaria una for-mazione diversa. Per me era importante capire quali fosserole loro paure, e anche quali fossero le mienel trovarmi di fronte a loro. Fortunata-mente a poco a poco abbiamo sperimen-tato metodi efficaci di approccio».

Le animatrici e gli insegnanti del progettoPatio 13 sono preparati non solo dal puntodi vista delle competenze scolastiche daimpartire, ma ricevono una formazione spe-cifica per saper avvicinare ragazzi di stradae ragazzi disadattati. Lavorare con questi ra-gazzi non significa solo trasmettere dellenozioni, ma trasmettere sicurezza, accetta-

Page 34: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

tari e i maestri di scuola primaria del pro-getto Patio 13. Agli allievi più grandi vieneproposto di fare esperienza di volontariatocon i bambini di strada; alcuni decidonopoi di formarsi professionalmente per di-ventare insegnanti all’interno del Progetto.Sono maestri speciali, perché devono es-sere molto attenti ai loro destinatari. La pro-fessoressa Gloria Herrera che insegna allaScuola Normale delle FMA sostiene: «Chiinizia a lavorare con i ragazzi di strada, deveessere un maestro speciale, deve conoscerei contesti e le differenze sociali e deve es-sere sensibile a quanto sperimenta. Deve essere un maestro che rispetta la di-gnità umana del bambino in qualsiasi suasituazione sociale o economica, un maestroche osa destrutturare lo spazio didattico el’insegnamento, e pianifica forme differentidi didattica e pedagogia».

Le suore e i responsabili del Progetto sisono lasciati interpellare dal territorio. Oltre alle strade della città di Medellin, cisono i quartieri delle campagne intorno aCopacabana. Ogni settimana le studentessedella Normale raggiungono bambini e ra-gazzi nei sobborghi in cui si trovano. Li radunano nel cortile di qualche casa,nelle piazze, nei marciapiedi, usando l’a-sfalto come lavagna e la fantasia per richia-mare la loro attenzione. Poi si gioca, si tengono lezioni, si aiuta chiva a scuola e si spronano molti a tornare astudiare nelle scuole regolari. Più di tutto, le studentesse volontarie dannoa bambini e ragazzi quella attenzione, af-fetto e rispetto che spesso non ricevononeppure in famiglia. Si cerca il modo per poter trasmettere i va-lori dell’onestà, della condivisione e dellaresponsabilità, per evitare che i ragazziprendano strade sbagliate o vadano incon-tro a pericoli.

[email protected]

Ho parlato con i miei genitori dicendo chevolevo partecipare ad un progetto e che sa-rei andata in alcune strade di Medellin peraiutare i bambini che vivono senza famiglia.Questo li preoccupava e hanno tentato discoraggiarmi, ma io volevo fare l’esperienza.Ho parlato con suor Sara chiedendole infor-mazioni più dettagliate e lei mi ha inviataad andare con loro il venerdì successivo.La prima volta che sono andata sono rimastacolpita dall’odore di marijuana e sigarette.I ragazzi che incontravamo avevano unaspetto molto trasandato. Vivevano accanto a un cassonetto dove l’o-dore era molto sgradevole, ma poi iniziandoa parlare con loro, mi sono resa conto chestudentesse e insegnanti andavano là perscoprire il senso dell’umano; lì potevanoscoprire in che modo l’altra persona, anchese sporca, bagnata, anche se non sa né leg-gere né scrivere, è una persona umana eha molto da insegnarci. Allora già dopoquella prima volta ho detto: voglio impe-gnarmi in questo progetto e voglio conti-nuare ad andare ogni otto giorni a parlarecon i ragazzi; e così ho continuato».

Quando un ragazzo arriva sulla strada iniziaa consumare droghe, questo è un modoper sopravvivere e sopportare il dolore fi-sico e la sofferenza interiore. Solitamente cominciano con la colla, chegenera un processo di deterioramento piut-tosto lento; insieme però assumono il crack,che preparano con residui di cocaina, equesto è devastante. Il bazuco, come qui viene chiamato, acce-lera il deperimento fisico; e tra i ragazzi èdiffuso il presentimento che chi lo consumamuoia rapidamente.

La Scuola Normale Superiore delle Figlie diMaria Ausiliatrice di Copacabana è statafondata nel 1958 appena fuori Medellin edè ormai un modello in Colombia. Dalla Scuola Normale provengono i volon-

34RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

in ricerca

uno

sgua

rdo

sul m

ondo

Page 35: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Informazioninotizie e novi

dal mondodei media

Page 36: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

communis (“comune a molti o a tutti”) ecommunicare (“rendere comune, far pren-dere parte a qualcuno relativamente a qual-cosa”, “mettersi d’accordo con qualcuno”).A sua volta, communis è connessa a munusche è alla base dello scambio. È il fondamento della “comunità”, dato checommunis significa letteralmente “che pren-de parte ai munia o munera”. Da qui, laconsapevolezza che ognuno è tenuto a ren-dere nella misura in cui riceve. Uno “scam-bio” costituito da “doni”, accettati e resi,qualcosa di ben diverso dal commercio ascopo di profitto. Il dono deve essere ge-neroso perché quando si dona, bisogna do-nare ciò che si ha di più prezioso. Il valore fondamentale è allora quello di“reciprocità”, di “diffusione incrociata”, di“partecipazione in accoglienza e di ritorno”.Se si vuole riscoprire il senso genuino delcomunicare bisogna tornare all’osmosi bi-direzionale: comunica soltanto chi riceve epartecipa, chi è capace di scambiare il donoaccolto con senso di sacra gratitudine.Papa Francesco scrive che «Il bene tendesempre a comunicarsi. Ogni esperienzaautentica di verità e di bellezza cerca perse stessa la sua espansione […]. Comuni-candolo, il bene attecchisce e si sviluppa»(EG 10). La vita cresce e matura nella misura in cui ladoniamo per la vita degli altri, la missioneè questa. Ogni autentica azione evangelizzatrice è“nuova”, in quanto tornando alla fonte e re-cuperando la freschezza originale del Vangelo

Scambiare

Maria Antonia Chinello

È l’azione che definisce la Rete e l’evangelizzazione. Tessuto di condivisione di idee,conoscenze, gesti di reciprocità, nodi e non ostacoli alla testimonianza e al dono.

In principio, la rete

Lo scambio sta all’inizio della Rete. La storiadi Internet prima e del World Wide Webpoi, riporta tra le righe e le vicende l’idea diuna rete decentralizzata, composta di moltinodi, ognuno dei quali connesso al suo vi-cino. Il concetto è che la comunicazione èil processo che si realizza percorrendo nonun’unica linea di collegamento, ma molte eflessibili, in modo tale che il venir meno diun nodo non metta fuori uso l’intero sistema.Il flusso comunicativo può continuare, at-traverso percorsi alternativi, in quanto nonvi è un nodo centrale, ma tutti i punti del si-stema sono posti sullo stesso livello. Unarete che intrecciandosi tesse l’incontro e lacondivisione, si fa luogo di interazione so-ciale, ambiente di lavoro collaborativo, spaziodove si “parla”, si costruisce il pensiero, sidiscute, si partecipa, si decide. L’obiettivo èpromuovere il libero scambio delle idee edel sapere per affermare il diritto alla co-municazione e così cooperare al rinnova-mento della società.

In principio, la comunicazione

La parola comunicazione affonda le sueradici nell’antichità classica, nelle espressioni

camilla

Si fa per dire

36RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

comunicare

si fa

per

dire

Page 37: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

«spuntano nuove strade, metodi creativi,altre forme di espressione, segni più elo-quenti, parole cariche di rinnovato significatoper il mondo attuale» (EG 11).

In principio, la strada

L’idea della social street è nata a Bologna,da un gruppo di cittadini residenti in viaFondazza nel settembre 2013. L’obiettivo eraquello di socializzare con i vicini della propriastrada di residenza al fine di instaurare unlegame, condividere necessità, scambiarsi

37 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

professionalità, conoscenze, por-tare avanti progetti collettivi di in-teresse comune e trarre quinditutti i benefici derivanti da unamaggiore interazione sociale. Perraggiungere questo si è utilizzatoil gruppo chiuso di Facebook. La bacheca diventa una piazza vir-tuale dove si chiedono favori, sioffrono servizi, si organizzano in-contri, eventi, mostre fotografiche

ed attività di beneficienza. Ci si conosce, ma dal vivo e nella realtà. Chi aderisce alla social street lo fa per esigen-za personale, per conoscere quelli del pro-prio quartiere. Le social street in Italia sonoormai più di 200, coinvolgono circa 3500 per-sone, e hanno l’aria di essere un’intelligenterisposta alla crisi, modello di quotidianità col-laborativa tra abitanti della stessa via. Unamodalità semplice che cambia la prospettivadel vivere e crea nuovi legami sociali. Perché,in un mondo sempre più connesso, le per-sone vanno messe al centro.

Pinterest è un social networkfondato nel 2010 da EvanSharp, Ben Silbermann e PaulSciarra dedicato alla condivi-sione di fotografie, video edimmagini. Permette agli utenti di crearebacheche per gestire la raccoltadi immagini in base a temi pre-definiti o da loro generati. Ilnome deriva dall’unione delleparole inglesi pin (appendere)e interest (interesse).In questi ultimi mesi le fotocaricate sono cresciute del50% e superano ormai i trentamiliardi.

Il social network è particolar-mente diffuso tra le donne,che compongono l’85% del-l’utenza degli Stati Uniti. Secondo la società sono ben100mila i retailers che usanola piattaforma per condividerele proprie immagini, mentrecolossi come Kraft, Nestlè oGap sono stati tra i primi grup-pi di imprenditori a utilizzarele “pins” (foto, immagini, vi-deo) a scopo promozionale. L’anno scorso, gli utenti men-sili negli Stati Uniti erano al-meno 35 milioni. Dagli Usa, ha preso sempre

più piede Oltreoceano, tantoche la quota di utenti esterniagli States raggiunge il 30%circa del totale e Pinterest haaperto uffici in Francia, RegnoUnito e Giappone.Pinterest è integrato e inte-grabile con Facebook e Twit-ter, Flickr e con i siti web. Ba-sta integrare i cosiddetti “pinbutton” all’interno di un sitoweb o blog ed è possibile“pinnare” le immagini pre-senti categorizzandole sottoi propri board di interesse.

[email protected]

Pinterest fotogrammi di scambio

Page 38: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

assumere le proprie caratteristiche femminili.Ma la situazione mondiale di oggi le spingea recuperare il proprio genio femminile. Le donne hanno una comprensione intuitivadel ruolo che la reciprocità gioca nella lea-dership. Le donne impiegano uno stile piùpartecipativo, sono più propense a condivi-dere informazioni e potere, a ridurre le ge-rarchie, e hanno forti capacità relazionali.Per esempio, un leader che si comportacome un capo che ha tutte le risposte, nonsarebbe in grado di sollecitare nuove ideee contributi. Qui entra il ruolo della lea-dership femminile che porta con sé il valoredella reciprocità e interdipendenza.

Facendo nascere la pienezza

La leadership femminile include ed integra.«Non si tratta di donne vs uomini, ma piut-tosto la mancanza di diversità nel campo,che ha portato alla scarsa qualità nel pro-cesso decisionale ... l’equilibrio maschile-femminile conta, perché le donne portanovalori diversi al tavolo», dice Halla Toma-sdottir spiegando la necessitá della presenzaanche delle donne nella gestione dell’eco-nomia nel contesto di una risposta femminilealla crisi finanziaria islandese. Halla Toma-sdottir, co-fondatrice di servizi finanziariAudur Capital, è stata di grande aiuto nellaricostruzione dell’economia islandese dalsuo crollo nel 2008.Corazon Aquino (1933-2009) filippina, primapresidente donna asiatica, il cui stile di lea-dership era una democrazia più partecipa-tiva, in uno dei suoi discorsi ha detto: «La

L’etica nel modello femminile di leadershipDebbie Ponsaran

La donna è intrinsecamente dotata del donodi essere in relazione. Lei sente nel suo es-sere l’interconnessione di tutta la vita. Lei sa che non si possono fare piani lineariquando ci sono tante variabili, ma si può ri-spondere con la saggezza che integra la to-talità e tutte le sue connessioni. Perché lei abbraccia tutto, abbraccia sia ladebolezza, sia il potere. Lei riconosce lasua vulnerabilità, piange e sente il dolore. C’è un potenziale nascosto nella vulnera-bilità. In tutta la creazione, percepiamo l’in-terazione degli opposti: vulnerabilità e po-tere, luce e ombra, malattia e salute. Questa interazione degli opposti crea unareciprocità che è intuitivamente compresadalla donna. La reciprocità degli oppostitrova in lei un terreno sacro.

Reciprocità: risorsa innata nelle donne

Oggi la realtà complessa fa nascere la ne-cessità di un nuovo modello di leadership,quello che sostituisce il “comando-e-con-trollo” con “la massima partecipazione einclusione”. Questo stile di leadership stamettendo sempre più in luce il valore diun approccio più femminile. Sta valorizzandosempre più l’etica della reciprocità. Qualsiasipersona può farlo, ma le donne leader pos-sono farlo in modo più naturale. Nel passato e ancora oggi, particolari esi-genze e circostanze portano le donne aconformarsi ad uno stile maschile di lea-dership. La maggior parte delle donne scel-gono di adeguarsi per essere accettate. Èpiù difficile essere veramente se stesse, e

camilla

Si fa per dire

38RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

comunicare

donn

e in

con

testo

Page 39: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

politica non deve restare un baluardo didominio maschile, perché c’è molto che ledonne possono portare in politica, ciò ren-derebbe il nostro mondo un luogo più gen-tile, più delicato nel quale può prosperarel’umanità. Le donne sono candidate naturaliper le posizioni di leadership negli affari,nel mondo accademico, nella società civile,nella politica.Noi, che siamo le custodi dei valori dellafamiglia e della società, non dobbiamo la-sciare solo agli uomini l’importante compitodella leadership nella sfera politica. Si trattadi un lavoro che uomini e donne possonoe devono fare insieme, in complementarità,e così anche nella famiglia».«Mi chiamo Rigoberta Menchú Tum. Ho 23anni. Questa è la mia testimonianza. Nonho imparato da un libro e non ho imparatoda sola. La mia esperienza personale è larealtà di un intero popolo». Rigoberta, unaleader indigena del Guatemala, ha vinto ilPremio Nobel per la Pace nel 1992 per ilsuo lavoro per i diritti dei popoli indigeni ela riconciliazione tra i gruppi etnici. Lei so-stiene l’unificazione come unico modo perporre fine alla repressione. Crede nel lavoro di un’entità collettiva, diun essere “connesso” e nella circolaritàcome principio di ordine, nel contributo di

ogni membro della comunità e nel lavorareinsieme per creare un sistema di poterecondiviso. La saggezza innata femminile di“essere in relazione” la spinge ad includerepiuttosto che separare e questo, fa nascerela pienezza.

Le donne che ci hanno precedute Miriam, sorella di Mosè, ci insegna che laleadership è servire piuttosto che esercitareun potere. Debora, giudice, ci insegna aguidare ispirando le persone. Giovanna,discepola di Gesù, ci insegna la fedeltà el’impegno nel servizio. Priscilla, collaboratrice di Paolo nella co-struzione della Chiesa nascente, ci insegnala saggezza della collaborazione. Dorcas,donna fedele nella comunità cristiana, ciinsegna a guidare attraverso il suo esseremodello di valori cristiani. Maria, madre diGesù e madre nostra, ci insegna ad esseredonne autentiche. Le donne fedeli che cihanno precedute, ci ispirano a recuperareil nostro genio femminile e integrarlo conla coscienza maschile, in modo che unanuova comprensione della pienezza dellavita possa essere utilizzata per aiutare aguarire il nostro mondo.

[email protected]

39 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 40: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

incinta e vienemandata nel con-vento di Roscrea

perché considerata una “ragazza perduta”. Par-torisce e dopo tre anni le suore le portano via ilbambino per darlo in adozione ad una famigliaamericana, ma Philomena non dimentica suofiglio e, 50 anni dopo, grazie all’interesse delgiornalista Martin Sixsmith riesce a scoprire laverità. Sixsmith nel film è interpretato da SteveCoogan che conosciamo per lo più come attorecomico. Qui però, prima ancora di cimentarsinel dare volto al personaggio, si è messo allaprova per scrivere la sceneggiatura di questocommovente racconto “di amore e di perdita”,ottenendo un risultato ottimo. Ha convinto granparte della critica internazionale, oltre che Ve-nezia e l’Italia. «Colpisce non solo per la storiacosì toccante, ma per la capacità di affrontaredei temi profondi e drammatici con il sorriso ela leggerezza elegante che strizza l’occhio alcontenuto humour inglese. Pur profondamentecommovente e accuratamente riflessivo, non sipermette di deprimere. L’ho visto due volte emi sono sentito trasformato, arricchito, assorbitoe ottimista entrambe le volte” ha scritto il criticodel New York Observer, condividendo la visionedell’Empire che aggiunge: “Una formidabilecommedia sofisticata che affronta problemi sericon un tocco leggero e uno spirito d’acciaio».Effettivamente è una storia così bella da sembrarefinta. Un trionfo di sentimenti umani e universaliproiettati contro un doppio sfondo storico: l’Ir-landa povera dei primi anni ‘50, un Paese in cui«qualsiasi cattolico con 1000 sterline in tascapoteva comprarsi un bambino». E l’Inghilterraincattivita del 2003, segnata dall’appoggio diBlair alla guerra in Iraq, che scorre in filigranadietro il film ambientato per metà proprio aWashington. Ma ancor più che per il suo rimando

PHILOMENAdi Stephen FrearsGB/USA/FR 2013

Mariolina Perentaler

Un trionfo: film amatissimo. Presentato in concorsoa Venezia 2013, il titolo è stato a lungo in lizza peri premi più importanti, ottenendo infine il Leoneper la migliore sceneggiatura. Ha invece messo in bacheca molti altri premi ‘col-laterali’, delle più larghe intese. Primo tra tuttiquello SIGNIS dei Cattolici: il più antico tra i rico-noscimenti attribuiti al Lido, in precedenza deno-minato OCIC (Office Catholique International duCinéma). Gli fa seguito il Brian, quello degli atei eagnostici razionalisti; L’Interfilm dei protestanti,per la promozione dialogo interreligioso; il QueerLion dei gay e quello dei Gesuiti: Premio NazzarenoTaddei, la cui giuria rileva nell’opera «la capacitàdi esaltare la forza di un amore materno e filialeche supera tutti gli ostacoli e tutte le difficoltà,persino la morte, esaltando dei valori, amore eperdono che sono universali». Si aggiungono anche il Mouse d’oro miglior film eil Premio Giovani Giurati del Vittorio Veneto FilmFestival. «Troppa grazia?» chiede/scrive il notocritico Pontiggia. «No, risponde deciso: regiaclassica, script di precisione, battute fulminanti,empatia alla carta, attori sublimi e un tot di furbizia.‘Philomena’ piace. Sì, piace a tutti: problemi?» Si ispira all’inchiesta reale del giornalista MartinSixsmith (volume edito da Piemme), un tempo responsabile della comunicazione per il governoBlair.

Un film che sa commuovere,far pensare e divertireLa pellicola porta sullo schermo la storia vera diuna madre alla ricerca del figlio perduto nell’Ir-landa del 1952. Si chiama Philomena Lee (neipanni di un’indimenticabile Judi Dench) e cu-stodisce un segreto doloroso: è una donna che,quando ancora era solo adolescente, rimane

camilla

Si fa per dire

40RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

comunicare

video

incinta e vienemandata nel con-vento di Roscrea

perché considerata una “ragazza perduta”. Par-

Page 41: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

storico, ‘Philomena’ vale per la sottigliezza concui nella messa in scena vivacizza e dettaglial’incontro fra i due protagonisti, così diversi perposizione sociale e per educazione. Lui tuttoironia, cultura, razionalità: un intellettuale snobuscito da Oxford, ora giornalista politico scetticoe disoccupato. Lei ex infermiera ‘piccolo bor-ghese’, imbevuta di fede e schiettezza, ma capacedi vedere anche più lontano del giornalista. Unbel gioco a contrasti: l’ateo e la credente, dueprotagonisti che non si capiscono per l’interofilm, ma alla fine imparano qualcosa di fonda-mentale l’uno dall’altra. Judi Dench con il suobel viso autentico di ottantenne dalle millerughe e dallo sguardo azzurro, illumina irresi-

41 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

stibile l’intera pellicola: «Una storia straordinarianegli intrecci del destino e nella forza invincibiledell’amore, che ha molto da dire sul perdono esulla guarigione delle ferite nel corso del tempo»,sintetizza Fizzetti. Infine, prima di concludere,resta d’obbligo non sottacere quanto evidenziatodal riconoscimento ricevuto dal film con il Leoneper la Migliore Sceneggiatura: «Le sceneggiaturecinematografiche sono testi tecnici, difficili daleggere – sentenzia L’Unità. Ciò nondimenoquella del nuovo film di Stephen Frears andrebbepubblicata e assegnata come lettura obbligatoriain tutte le scuole di cinema».

[email protected]

L’idea del film

Trasformare la vicenda di un “a caccia di scoop”dallo spirito scettico che poteva diventare attaccoanticlericale di successo, in una storia che locambia.

I due protagonisti ci offrono momenti di con-fronto ideologico innegabilmente agli antipodi:lei cattolica, profondamente credente e pro-pensa all’accettazione delle cose così comesono andate fino al perdono (lo darà alla finecon le parole più concrete e semplici: «Nonvoglio abbandonarmi all’odio come lei. Esseresempre arrabbiati è così faticoso, non si vede?»),lui laico, inflessibile verso gli ipocriti, incolleritocon mezzo mondo. Ma «l’alchimia che si crea tra i due, unita aduna sceneggiatura intelligente e ad una regialevigata, rendono questa storia di vita realemolto interessate», scrive Total Film, sottoli-neando che «unendo la commedia e la tragedia,il film secerne un potente pungiglione». Alla fine infatti, lui è in grado di darle le risposteche cerca, ma lei dona a lui un cuore. L’intera-zione tra Judi Dench e Steve Coogan è innega-bilmente magica, riuscita. Il primo dona al rac-conto quella giusta dose di ironia e di leggerezzadell’uomo sprovveduto davanti a temi come lafede, l’altra rende Philomena indimenticabile,mostrando come la capacità di sbagliare e dicredere, di amare e redimersi, risiedano all’in-terno della stessa persona.

Il sogno del film

Far brillare e commuovere con il tema delperdono cristiano.

Considerati gli sviluppi reali della ricerca intra-presa dai due, la costruzione dell’opera si svincoladel tutto dal rischio di diventare un attacco albigottismo cattolico. Esalta invece nel modo piùtoccante la dignità di chi crede e – proprio nellasequenza più significativa dell’intero film – affidaad una parola “perdono” il senso ultimo e piùprofondo dell’intero viaggio. «Verità e perdonosono certamente i due elementi dentro i quali èracchiusa la parabola di Philomena – scrive infattila Commissione di Valutazione Pastorale Film –da giovanissima subisce una violenza impossibileda dimenticare – tanto che non la dimentica perben mezzo secolo – e che pure, ricostruiti i fatti,non alimenta in lei istinti di vendetta o di rivincita.Al giornalista che si meraviglia di tale e tanta ge-nerosità, la donna, anziana ma lucida, offre unalezione di civiltà e umanità, derivata da una fedeche non è dogma ma intelligenza, tesoro dispirito e di preghiera, apertura verso l’altro. Giu-stamente premiato per la scrittura incalzante,serrata, stringata del copione, il film offre moltialtri temi sottotraccia, sguardi non convenzionalisulla società inglese e americana, sulla religione,sulla famiglia (…) Resta un film di notevole im-patto drammatico che, dal punto di vista pastorale,è da valutare come consigliabile, problematicoe adatto per dibattiti».

PER FAR PENSARE

Page 42: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

(zia Ada) che se n’è accorta, prima lo rim-provera e lo minaccia, poi non riesce a farea meno di abbracciarlo come farebbe unamamma. In una specie di breve postfazione, l’Autoreinforma: «Nell’estate del 2005 sono capitatoper caso in un orfanotrofio. In quel luogoche appariva povero e triste, ho trovato na-scosta una straordinaria abbondanza di gioia. Da allora ci sono tornato spesso, perché misono reso conto che lì stava nascosto il segretodella felicità. E volevo scoprirlo».

Procedendo nella storia, vediamo che Imi,grazie alla prestanza fisica e alle buone ma-niere, è divenuto barista alla Proper Coffe,ed eccolo intento a fare il caffè espresso, ilcappuccino e anche la cioccolata con la panna. Fa amicizia con Jordi, un ragazzo spagnoloche è spesso di turno con lui, ma che noncondivide l’ingenuo entusiasmo dell’amico:sveglio e smaliziato, ha compreso che laProper Coffee è una compagnia di sfruttatoridisonesti. Anche la signora Lynne, presso laquale Imi abita, tenta di spiegargli la stessacosa, ma per il momento, le sue argomenta-zioni non fanno presa su di lui che intantocontinua a scrivere ai suoi amici dell’orfano-trofio: «Cari bambini, a Londra ho già unlavoro importante, faccio il barista e ho co-minciato a scalare una grande piramide incima alla quale si trova il signor Carruthers:un uomo ricchissimo che gira in elicottero eha incontrato persino la regina Elisabetta. I clienti del bar sono molto gentili: chiedonotutto per favore e ringraziano sempre quandoservo loro il cappuccino. I miei direttori sichiamano Andrew e Victoria. Sono molto se-

Nicola Lecca

La piramide del caffè Adriana Nepi

Da un orfanotrofio ungherese parte, pienodi speranze e di entusiasmo, avendo raggiuntoi diciotto anni, il giovane Imi e trova lavoro aLondra presso la Proper Coffee, la più celebrecatena di caffetterie del Regno Unito. Gli mettono subito tra le mani un manualed’istruzioni: tutte le regole da seguire scru-polosamente per essere un valido assistentegenerale, in vista di una promettente carriera. L’assistente generale è in realtà il gradino piùbasso dell’organizzazione lavorativa e corri-sponde a un faticoso “tutto fare”. L’orfano, ancora affettivamente legato all’or-fanotrofio, in cui è stato accolto neonato edè cresciuto serbando un’intatta purezza dicuore, apre ora lo sguardo ingenuo e fiduciososul mondo che lo attende e di cui non avvertela squallida logica che lo domina: una corsasenza scrupoli al successo e al profitto. Nondimentica i compagni che ha lasciato, ricordache i più piccoli hanno pianto alla sua partenzae lui dà spesso sue notizie e invia regalucci aquella che è stata la sua famiglia e dove hapure conosciuto la tenerezza delle bravedonne che lo accudivano.

Nella prima parte del racconto, assistiamo,in parallelo con le vicende di Imi, alla vitadell’orfanotrofio, che è come il retroterra esi-stenziale del protagonista: alle giornate dagliorari monotoni ma dove i bambini, con lafantasia creativa dell’infanzia, trovano mododi gioire di tante piccole cose, mentre i piùgrandi si abbandonano ad atti compulsivi diautolesionismo, come Fabian che di notte sifa tagli nelle braccia con un lametta nascostasotto le coperte. Guai se il direttore lo sapesse! Ma Ada neni

camilla

Si fa per dire

42RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

comunicare

il lib

ro

Page 43: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

veri e mi fanno lavorare parecchio. In compenso però, a fine serata, se ci sonotramezzini in scadenza o panettoncini chenon sono stati venduti, possiamo portarcelia casa… Mamma mia, quante cose vi devoraccontare, mi sa che oggi non farò in tempo. Una però devo assolutamente dirvela: Jordiabita nel quartiere di Vauxhall, dove ci sonodue palazzi enormi, tutti di vetro… Ai piani alti ci sono appartamenti con la pi-scina privata e ci abitano tutte le personepiù ricche della città. La zona dove abito èmolto bella, insomma tutto va a meraviglia. L’unica cosa brutta è successa in un grandemagazzino. Eravamo lì io e Jordi, e lui perpagare di meno, ha scambiato il cartellinodi un maglione con quello di una felpa. For-tuna che la cassiera non si è accorta diniente, ma io tremavo di paura, e dopo misono sentito in colpa. Non sono mica venutoa Londra per fare il ladro!».

Imi ricorda che, all’orfanotrofio, zia Ada rac-comandava agli orfani di desiderare una cosaalla volta e di concentrare tutte le forze nella

loro realizzazione. Sapeva, la brava donna,che i desideri sono la droga dei poveri equesti rischiano di diventarne dipendenti,ma sapeva pure che il desiderio è ossigenoper chi è senza futuro. Ebbene, il desiderio impossibile accarezzatoda Imi sarà proprio diventare proprietario diquel palazzo di sogno.

Fra i clienti abituali cui Imi serve in fretta ilcappuccino c’è un ragazzo di origine medio-rientale, Morgan, che lavora in una libreriapoco lontana dal caffè. Un mattino, in un raro momento di calma,attacca discorso, invitando Imi a passare in li-breria per la presentazione di un romanzo,premio Nobel per la letteratura. Morgan èun ragazzo che ha conosciuto le durezzedella vita, riflessivo e responsabile. In librerianon perde mai un libro dei più importantiscrittori. Lui e Imi sono fatti per intendersi, el’amicizia nasce solida e immediata.

Attraverso Morgan, Imi conoscerà una famosae ricchissima scrittrice che sarà un po’ il deusex machina della vicenda, ma senza dare l’im-pressione di forzatura o di artificio. Il libro si concluderà, infatti, come una bellafiaba a lieto fine. I disonesti smascherati, l’orfano, licenziatoper non aver voluto gettare nell’immondiziadei tramezzini scaduti l’indomani e che i di-pendenti si sarebbero portati volentieri acasa, conoscerà il trionfo della sua limpidarettitudine e diventerà ricco, tanto da poterrealizzare il sogno di acquistare il sontuosoappartamento nel palazzo tutto di vetro. Corre a contemplarlo, con le sue mille finestreaccese. Ma ecco accendersi in lui comeun’altra luce. Londra gli appare davanti, come“una gabbia triste e senza amore”. E si ricorda di Landor, il suo villaggio unghe-rese, il suo orfanotrofio e pensa che con tantisoldi potrebbe aprire un caffè tutto suo, e cilavorerebbero tutti i bambini e zia Ada pre-parerebbe ogni giorno la sua squisita torta dimele. Si avvia verso casa senza voltarsi indietro.Nel cuore ha già deciso.

43 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

loro realizzazione. Sapeva, la brava donna,

Page 44: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Dai campi di cotone…

Prima ancora del blues e del gospel, lamusica originaria africana era nata per ac-compagnare il lavoro degli agricoltori nellapropria terra come persone libere. Con ladeportazione nel Nuovo Continente, que-ste canzoni divennero un canto di lamento:i cosiddetti canti di lavoro. Questi divenneroper gli schiavi il nuovo linguaggio peresprimere i loro sentimenti, le loro situa-zioni di disagio, la loro mancanza di libertà.Sono queste le prime canzoni a impegnosociale che rivendicano valori che tutti do-vrebbero comprendere e vivere: pace,amore e libertà.

…alla musica con impegno sociale

Il Novecento con le due Guerre Mondialie l’industrializzazione sfrenata degli anni60 portarono un’altra ondata di musica cheaveva al centro dei propri testi la libertà dipensiero, la possibilità di riscatto sociale ela richiesta di un lavoro. Tutti i Paesi hannocanzoni di questo genere che sono diventatiormai dei canti tradizionali: Bella ciao inItalia, Le deserteur scritto da Boris Vian nel1956 per la Francia, Masters of war di BobDylan per gli Stati Uniti, El pueblo unidojamás será vencido per il Cile.Nel periodo post bellico si sono sviluppatein tutte le Nazioni, forme di cantautorato afavore degli “ultimi e dei più poveri”. Nesono un esempio le bellissime canzoni diFabrizio De André, di Francesco Guccini,dell’indimenticabile John Lennon, dei De-

L’impegno sociale nella musicaMariano Diotto

La musica ci avvolge, ci circonda, ci affascinae si deposita dentro di noi senza grandesforzo da parte nostra. Perché la musica riesce a toccare quellecorde più profonde dentro di noi e suscitadei sentimenti. Chi non ha una sua canzone preferita? Chi dopo diversi anni riascoltando unacanzone significativa per la sua vita nonritorna con la memoria e con il cuore allaprima volta che l’ha sentita? Tutto ciò accade perché la musica è pas-sione ed emozione. Una musica ci puòfar ballare, piangere, divertire oppureriflettere. La musica è sempre stata unostrumento di denuncia sociale e moltospesso le canzoni si sono trasformate inun inno per intere generazioni.

camilla

Si fa per dire

44RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

comunicare

mus

ica

e te

atro

Page 45: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

peche Mode, dell’introverso Jacques Brel.Il benessere degli anni ‘80 e ‘90 portò icantautori anche di fama internazionale aconcentrarsi sulle disuguaglianze socialie le discriminazioni di razza. Come nonricordare: Sunday bloody sunday degli U2in cui Bono canta della “domenica di san-gue” che si verificò il 30 gennaio 1972 nellacittà nord irlandese di Derry in cui l’esercitodel Regno Unito sparò sui partecipanti ad una manifestazione uccidendo quat-tordici persone disarmate e ferendone al-trettante.Oppure Zombie dei Cranberries che è unachiara denuncia delle violenze causate dalconflitto in Irlanda del Nord all’indomanidell’attentato terroristico organizzato dall’Iraa Warrington, in Gran Bretagna, in cui unbambino di 12 anni, Timothy Perry, persela vita. Infatti gli zombie a cui si riferiscesaremmo tutti noi perché ormai assuefattialla violenza; Clandestino di Manu Chaoche è diventato l’inno di tutti coloro che sisentono diseredati nella propria terra enella propria nazione; Do they know it’s

Christmas? scritta da Bob Geldof e MidgeUre nel 1984 e We are the world scritta nel1985 da Michael Jackson e Lionel Richie ecantata da più di 50 artisti, i cui proventiraccolti furono devoluti alla popolazionedell’Etiopia, afflitta da una disastrosa carestia; O la più recente Living in Darfurdei Mattafixa sostegno dei diritti umani in Darfur e infavore della cessazione delle ostilità.

…al marketing sociale

Le canzoni ad impegno sociale sono ancheil “toccasana” per i cantanti che si trovanoin difficoltà con le vendite. I discograficichiamano questa fase della loro carriera:redemption. Se un cantante vuole rilanciarsibasta che componga una canzone a sfondosociale e che intraprenda una battaglia me-diatica a favore di un intervento sociale:natura, disuguaglianze, razzismo… Ma noi, che le canzoni le viviamo con ilcuore, cercheremo sempre di boicottarequeste strategia di vendita perché colpi-scono ciò che c’è di unico nella musica:raccontare la verità.

45 ANNO LXI • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2014dma damihianimas

Page 46: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

bile?! Fa più caldo fuori che dentro!». E apre.Ore 19.30. Sr Rita: «Mamma mia che umi-dità! Non c’è più rispetto per i miei reu-matismi...». E chiude.Ore 21.30. Sr Giulia: «Che tramonto stu-pendo! Impossibile perdersi questo spet-tacolo». E apre.Ore 23.30. Sr Dolores: «Guarda qua! Poise entrano i pipistrelli sono io che devocacciarli fuori…». E chiude.

Ore 01.30. Insonne, mi accosto ai suoi vetrie, mentre li sfioro con una carezza, mi do-mando che cosa pensa questa povera fi-nestra delle mille necessità di chi le chiedesempre qualcosa di diverso da quello chesta facendo; buffa la vita, non vi pare? Uno ti passa accanto e decide che devi es-sere in un modo piuttosto che in un altro,e magari soltanto perché non sa prestareattenzione ai bisogni altrui... «Eh sì Camilla,a volte mi infastidisco proprio con le vostrecontinue pretese...»... Ehi, non facciamoscherzi, le finestre non parlano!... «...mapoi mi metto a pensare alle poche paroleche accompagnano quel gesto che mi spa-lanca o mi spranga...» ... Parlano, parlano...«...e hanno un senso, hanno un motivo! Eallora capisco che per questo sono nata...io devo solo tenere ben oliati i miei cardinie cigolare il meno possibile!»... Parlano e pensano. Di certo più di me!

Parola di C.

La lezione della finestra

Finalmente, amiche mie, l’inverno può dirsifinito! Torna il bel tempo e con esso ilsole, e con esso il calore, e con esso l’irri-solto dilemma della finestra! Perché nella mia comunità c’è un vero eproprio concentrato di esperte in scienzedella finestra; tutto ciò che può essereaperto e chiuso finisce sotto lo sguardovigile di un esercito di sorelle che su usci,vetrate e quant’altro potrebbero scrivereveri e propri trattati! Non lo fanno – ovvio – per umiltà, ma se lafinestra che dà luce al corridoio delle ca-mere di casa mia potesse parlare, raccon-terebbe certo di una vita piuttosto movi-mentata per lo zelo di molte…

Ore 05.30. Sr Giovanna: «Aria, aria!!! Quici vuole un po’ d’aria pulita!». E apre.Ore 07.30. Sr Anna: «Ecco, è ancora prestoe già abbiamo caldo! Che fissazione...». E chiude.Ore 09.30. Sr Rosa: «Oh santa pace!!!Quanto bel sole sprecato!!!».E apre.Ore 11.30. Sr Paola: «Possibile che tutti gliodori della cucina debbano infilarsi in ca-mera mia?». E chiude.Ore 13.30. Sr Enrica: «Benedetta povertà!Siamo in pieno giorno e teniamo le luciaccese... mah?!». E apre.Ore 15.30. Sr Maria: «Senti che corrente!Poi ci ritroviamo con tutte le porte sgan-gherate!». E chiude.Ore 17.30. Sr Carmen: «Ma sarà mai possi-

camilla

Si fa per dire

46RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

comunicare

cam

illa

Page 47: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

Nel prossimo Numero

DOSSIER: Parole e gesti: di vicinanza

CULTURA ECOLOGICA In ascolto del creato

FILO DI ARIANNA: Chi sogna ancora?

PASTORALMENTE: Quando i giovani incontrano la Parola

SI FA PER DIRE: Ospitare

PAROLE E GESTI DI VICINANZA

Page 48: Rivista DMA  - PAROLE E GESTI DI DONO (Luglio – Agosto 2014)

ViVere è aiutare a ViVere. Bisogna creare altra felicità per essere felici.(RAOUL FOLLEREAU)