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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 APRILE 2013 NUMERO 425 CULT La copertina DAVID BROOKS e MAURIZIO RICCI Troppi dati o troppo pochi? Perché i numeri non spiegano tutto Il libro IRENE BIGNARDI Abbandoni e cattiverie La riscoperta di Jean Rhys All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Lisetta Carmi “Con la musica si può sempre cambiare vita” Il festival ANNA BANDETTINI Teatri di vetro una ricognizione sulla scena giovane che deve crescere L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo Un Perseo “dark” di Burne-Jones Harry Houdini, mi sonoliberato dalle catene L’inedito ANGELO AQUARO HARRY HOUDINI e LORENZO JOVANOTTI Twitterer d’Italia i perfetti sconosciuti fanno opinione L’attualità EMILIO MARRESE MOSCA I l Palazzo dei segreti è un edificio imponente, in pietra grigia, sulla Stolešnikov, una delle vie più alla moda del centro di Mo- sca. Ha un nome ufficiale, Rgaspi, Archivio della Storia poli- tica e sociale, ma tra i moscoviti c’è chi lo chiama ancora Ar- chivio del Comintern. Probabilmente è il solo luogo al mondo che per vastità di materiale e ricchezza di possibili interpretazioni si po- trebbe paragonare alla Biblioteca infinita immaginata da Borges. Nell’invenzione letteraria dello scrittore argentino, il visitatore cer- ca il libro che contiene la Verità. Lo trova, ma scopre che ne esistono innumerevoli altri con altre verità, talvolta opposte. Nel Palazzo dei segreti sono i documenti storici a mostrare tante verità, talvolta l’u- na alle altre opposte. Dal primo piano un grande bassorilievo in bronzo di Lenin osserva severo le boutique di Vuitton, Fendi, Prada e il via vai delle macchine di lusso. (segue nelle pagine successive) GIANCARLO BOCCHI I n una fredda sera del 25 dicembre 1991 fui casuale testi- mone di una cerimonia tutt’altro che solenne: al Cremli- no si ammainava la bandiera rossa. Non credevo ai miei occhi: possibile che quel mostro fosse davvero morto? Ora mi sembra che la mia incredulità fosse in parte profetica. Si può far risorgere l’Unione Sovietica? O l’ipotesi appartiene a una cattiva metafisica politica che non poggia su alcuna base rea- le? Penso che fino a pochi anni fa giochetti del tipo “Facciamo ri- sorgere l’Urss” sarebbero apparsi come una beffa. Ma i tempi cambiano, e nella coscienza del potere russo l’idea del ritorno ai valori sovietici sta diventando più dolce del miele. Cominciamo dal tentativo di restaurare il concetto arcaico di popolo. È questo lo scudo che oggi il potere innalza contro qual- siasi dissenso. (segue nelle pagine successive) VIKTOR EROFEEV DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Rivoluzioni L’archivio delle L’archivio delle Rivoluzioni C’è un palazzo a Mosca che custodisce memorie e segreti del mondo in rivolta E cheora rischia di scomparire Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 28APRILE 2013

NUMERO 425

CULT

La copertina

DAVID BROOKS

e MAURIZIO RICCI

Troppi datio troppo pochi?Perché i numerinon spiegano tutto

Il libro

IRENE BIGNARDI

Abbandonie cattiverieLa riscopertadi Jean Rhys

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Lisetta Carmi“Con la musicasi può semprecambiare vita”

Il festival

ANNA BANDETTINI

Teatri di vetrouna ricognizionesulla scena giovaneche deve crescere

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondoUn Perseo “dark”di Burne-Jones

Harry Houdini,mi sonoliberatodalle catene

L’inedito

ANGELO AQUARO

HARRY HOUDINI

e LORENZO JOVANOTTI

Twitterer d’Italiai perfetti sconosciutifanno opinione

L’attualità

EMILIO MARRESE

MOSCA

Il Palazzo dei segreti è un edificio imponente, in pietra grigia,sulla Stolešnikov, una delle vie più alla moda del centro di Mo-sca. Ha un nome ufficiale, Rgaspi, Archivio della Storia poli-tica e sociale, ma tra i moscoviti c’è chi lo chiama ancora Ar-

chivio del Comintern. Probabilmente è il solo luogo al mondo cheper vastità di materiale e ricchezza di possibili interpretazioni si po-trebbe paragonare alla Biblioteca infinita immaginata da Borges.Nell’invenzione letteraria dello scrittore argentino, il visitatore cer-ca il libro che contiene la Verità. Lo trova, ma scopre che ne esistonoinnumerevoli altri con altre verità, talvolta opposte. Nel Palazzo deisegreti sono i documenti storici a mostrare tante verità, talvolta l’u-na alle altre opposte. Dal primo piano un grande bassorilievo inbronzo di Lenin osserva severo le boutique di Vuitton, Fendi, Pradae il via vai delle macchine di lusso.

(segue nelle pagine successive)

GIANCARLO BOCCHI

In una fredda sera del 25 dicembre 1991 fui casuale testi-mone di una cerimonia tutt’altro che solenne: al Cremli-no si ammainava la bandiera rossa. Non credevo ai mieiocchi: possibile che quel mostro fosse davvero morto?

Ora mi sembra che la mia incredulità fosse in parte profetica.Si può far risorgere l’Unione Sovietica? O l’ipotesi appartiene auna cattiva metafisica politica che non poggia su alcuna base rea-le? Penso che fino a pochi anni fa giochetti del tipo “Facciamo ri-sorgere l’Urss” sarebbero apparsi come una beffa. Ma i tempicambiano, e nella coscienza del potere russo l’idea del ritorno aivalori sovietici sta diventando più dolce del miele.

Cominciamo dal tentativo di restaurare il concetto arcaico dipopolo. È questo lo scudo che oggi il potere innalza contro qual-siasi dissenso.

(segue nelle pagine successive)

VIKTOR EROFEEV

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TIRivoluzioni

L’archiviodelleL’archiviodelle

RivoluzioniC’è un palazzo a Mosca che custodiscememorie e segreti del mondo in rivoltaE cheora rischia di scomparire

Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

Per varcare l’ingresso dell’e-dificio, più esteso dell’atriodi una stazione ferroviaria,bisogna passare tra agenticon giubbotto antiproietti-le e superare una statua di

Lenin che guarda perplesso i poveri fio-ri di plastica lasciati ai suoi piedi daqualche estimatore. All’interno quat-tro piani di casseforti e armadi blindatigonfi di cartelle protetti da serratureelettroniche e piccole telecamere. Duemilioni di fascicoli contenenti ciascunouna media di duecento documenti. Icorridoi e gli uffici hanno un odore par-ticolare. Non è quello acre delle carteammuffite, semmai il profumo di do-cumenti ben tenuti. Quello del Comin-tern è il più grande archivio della storiapolitica al mondo. Decine di milioni difogli, su cui è scritta, e in parte è ancorada scrivere, la storia delle rivoluzioni edella politica dalla fine del Settecento atutto il Novecento. Oltre ai documentidei cento partiti comunisti aderenti al-l’Internazionale, oltre alle risoluzioni

del Politburo sovietico, agli atti e alle co-municazioni dell’Nkvd, la polizia se-greta staliniana, i carteggi sulla lotta fra-tricida tra anarchici e comunisti nellaguerra di Spagna, le carte private deimaggiori dirigenti del comunismo,l’Archivio contiene materiali di tutte letrame clandestine, di tutte le insurre-

zioni e le rivoluzioni dall’Europa all’A-sia, dall’Africa all’America latina. Cartemolto invidiate dai cinesi, che ne vannoa caccia pagando fino a quindicimilaeuro a foglio.

In queste stanze silenziose, lungo icorridoi che i funzionari percorronocon rispetto, quasi in punta di piedi,

sempre parlando sottovoce, si aggiraanche un fantasma benevolo. Ha unnome che tra gli archivisti russi incuterispetto e ammirazione, quello di DavidBorisovic Rjazanov, l’uomo che nel1921 fondò l’Archivio chiamandoloIstituto Marx-Engels. Eccentrico, col-tissimo, dotato di una memoria ecce-zionale e di una capacità illimitata di la-voro, passò gran parte della giovinezzain esilio e in prigione. Già negli anni im-mediatamente successivi alla Rivolu-zione d’ottobre, criticò la linea bolsce-vica di soppressione dell’opposizione edella libera stampa («Le discussioninon danneggiano il partito, lo rafforza-no!») e denunciò le posizioni autorita-rie di Lenin e di Trotskij, sfidando infineanche il monolitismo degli anni bui delterrore staliniano. Inizialmente il suoArchivio fu aperto al mondo e alle testi-monianze. Rjazanov creò una rete in-ternazionale unica, quasi un suo perso-nale “servizio segreto culturale” di cor-rispondenti autorizzati a scovare e ac-quistare libri rari e manoscritti dei gran-di rivoluzionari nelle maggiori città eu-ropee, tanto che negli Anni Trental’Istituto divenne la Mecca per gli stu-diosi di tutto il mondo: Kautsky, Béla

Kun, Maksim Gorkij. Quando l’Urssnon aveva fondi per comprare in Occi-dente neppure un trattore, partivanodalle capitali europee decine di vagoniferroviari pieni di carteggi che i segugi diRjazanov erano riusciti ad acquistaredagli antiquari e nelle aste. Quando nel’27 Stalin visitò l’Istituto e vide i ritrattidi Marx, Engels e Lenin gli chiese:«Dov’è il mio?» lui rispose: «Marx e En-gels sono stati i miei maestri, Lenin unmio compagno. Tu chi sei per me?».Un’altra volta lo irrise pubblicamente,interrompendolo mentre dissertava diquestioni ideologiche durante un con-gresso: «Smettila, lo sanno tutti che lateoria scientifica non è esattamente iltuo campo!». Fu inviato in esilio, nel lu-glio del ’37 arrestato e l’anno successi-vo fucilato.

Nessuno osò però distruggere il suolavoro. Così, da allora, i preziosi scritti diMarx e Engels sono ancora conservatidentro il caveau sotterraneo fortificato,chiuso non solo al pubblico ma soven-te anche agli studiosi e in cui vengo ec-cezionalmente accompagnato. Supe-rare le sue enormi porte blindate, chesembrano uscite dalla fantasia di JulesVerne, è come accedere alla macchina

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DOMENICA 28 APRILE 2013

Da Robespierre a Marx, dall’Urss a Cuba,passando per Garibaldi e guerra di Spagna

Nei bunker di un severo palazzo moscovita sono conservati i documenti relativi a tutte le rivoluzioni e a tutti i rivoluzionaridel mondo. Ecco cosa abbiamo trovato nei sotterraneidell’altra metà della Storia

Memorie dal sottosuolo

GIANCARLO BOCCHI

La copertina

GARIBALDI

E MAZZINI

La Relazione

Romm per

la Dichiarazione

dei diritti

dell’uomo

(1792-95)

A destra lettere

di Garibaldi

(1860) e Mazzini

(1849)

IL PALAZZO

L’ingresso del palazzo che ospita l’Archivio con i volti di Marx, Engels e Lenin

Tra gli scaffalie le barricate

Repubblica Nazionale

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del tempo. Nell’immenso caveau spet-trali corridoi, rivestiti di piastrelle, por-tano a numerose porte blindate cheproteggono grandi locali stipati di au-steri armadietti grigi e anch’essi blinda-ti. Il responsabile del settore è ValerijFomichev, un sessantenne che ha tra-scorso molta parte della sua vita quidentro. Ogni giorno, come facevanouna volta i tre decrittatori ufficiali degliscritti di Marx, sfoglia pagine e pagineseguendone la scrittura minuta e le an-notazioni veloci in cui saltava tutte levocali, per svelarne poi l’ultimo segre-to. Con aria divertita osserva dei docu-menti sul figlio che Marx ebbe dalla do-mestica Helene e che il padre del co-munismo non volle mai riconoscere, eestrae poi un foglietto dove Stalin hascritto: «È una cazzata. Lasciate sepoltoquesto materiale per sempre». Qui è cu-stodito persino il fiocco rosso che Marxera solito indossare: «Era ricavato dallastoffa di una bandiera dell’ultima barri-cata della Comune di Parigi», ci raccon-ta con appena un filo d’emozione.

Negli uffici dei piani superiori è con-servata in perfetto ordine anche unapreziosa collezione di manoscritti chespaziano dal ’700 al ’900 e che riguarda-

no tutta l’Europa. Atti della Rivoluzionefrancese, lettere di Voltaire e di Rous-seau, l’originale della Dichiarazione deiDiritti dell’Uomo, lettere di Garibaldi edi Mazzini. «Ma il più grande segreto ditutti i segreti del Novecento sono i car-teggi dell’Nkvd, la polizia segreta sovie-tica…» racconta il vice direttore dell’Ar-chivio, Valerji Šciepeliov. Attraverso lecarte del Politburo è possibile ricostrui-re molte trame ancora sconosciute, eper esempio si può scoprire che moltidei membri della dirigenza sovieticaerano tenuti all’oscuro delle strategie diStalin. «Non era affatto matto, giocavasempre d’anticipo…» commenta Šcie-peliov, che conosce bene quelle carte.Con un semplice ma efficace sistema dinumerazione dei dossier, ad esempio,Molotov veniva informato di un fattoche invece �danov non doveva sapere.Anche il caveau di Lenin è uno dei gran-di segreti custoditi in questo edificio.Sta sottoterra ma nella parte oppostadell’edificio, protetto da una serrandacorazzata e, di nuovo, da enormi porteblindate fabbricate appositamente daitedeschi della Krupp negli anni ’30: unoscudo d’acciaio in grado di resistere auna bomba di 500 chili. All’interno cas-

seforti a tenuta stagna per permetterein caso d’incendio il completo allaga-mento dei locali. La mastodontica im-presa letteraria di Lenin è fatta di tratta-ti, tesi, proclami, risoluzioni, saggi distoria, filosofia, economia. «Come avràtrovato il tempo di scrivere tutto que-sto…» sfugge detto a Svetlana Kotova,

l’esperta del reparto nonché curatricedei due musei smantellati negli anniNovanta per far posto ai club della nuo-va aristocrazia russa, il Museo della Ri-voluzione e il Museo di Marx e Engels.

Un vero cruccio per gli archivisti,espertissimi e necessariamente poli-glotti, è quello di non essere riusciti a fa-

re passi avanti con la decifrazione deicodici segreti che il Comintern usavanei messaggi più riservati. L’allora Kgb,ora Ffb, non ha mai dato la chiave di de-codificazione: «Segreto di Stato». Maanche il processo di desecretazione dimolti altri documenti essenziali a com-prendere la storia del Novecento è sta-to avviato solo in minima parte. L’ar-chivio online, finanziato negli anni No-vanta anche da istituzioni straniere, èsolo una goccia nell’oceano delle cartedell’archivio reale. Ma del resto non èneppure questo il problema più impel-lente. Oggi questi custodi dei grandi se-greti del Novecento guardano sconso-lati dalle finestre l’assedio al loro forti-lizio. Invece di essere tutelato dall’U-nesco, come meriterebbe, è circonda-to dalle grandi firme della moda chepuntano a questo grande spazio comeall’ultima casella che ancora manca lo-ro per poter aggiungere un’altra vetri-na di lusso per lo shopping dei ricchi delpost comunismo. Nella notte mosco-vita il rigido volto di Lenin, sulla faccia-ta di pietra grigia del Palazzo, è un’om-bra che pian piano scompare tra le in-segne multicolori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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DOMENICA 28 APRILE 2013

Quando la Russiasogna l’Unione Sovietica

VIKTOR EROFEEV

LA COMUNE DI PARIGI

In basso una lettera di Louis Rossel,

Capo di stato maggiore

della Comune di Parigi (1871)

Sopra, una lettera di Antonio Labriola

MARX

E ENGELS

Sulla pagina

di sinistra

la prima

edizione

francese

de Il Capitaledi Marx,

qui sotto

una pagina

dello stesso

volume

con alcune

note a margine

di Jenny Marx

A fianco,

una lettera

di Engels

a Marx

con caricature

di amici comuni

IL CAVEAU

Una delle casseforti in cui sono custoditi i documenti di Vladimir Ilic Lenin

(segue dalla copertina)

Si civetta con il popolo, in particolare con la classe operaia, della quale chissà come negli ultimi vent’anni ci siera dimenticati. Il popolo è nuovamente chiamato a diventare eroe della storia, con il suo innato patriottismo,la sottomissione e la diffidenza per tutto ciò che è straniero. Agli eroi della storia odierna d’ora in poi sarà con-

ferita, per iniziativa di Putin, la più alta onorificenza, quella di Eroe del Lavoro: simbolo assolutamente sovietico. Come può tutto ciò conciliarsi con l’economia della Russia, orientata verso il capitalismo? In nessun modo. Ma

se così ordineranno, si concilierà. Il passo successivo sarà la riesumazione del bel distintivo Gto: Gotov k Trudu iOborone, “Pronto al lavoro e alla difesa”. Lo assegneranno in massa, come in Unione Sovietica, a tutti quelli che so-no bravi nella corsa e nel salto, e nel contempo a difendere il paese dal nemico. Parallelamente, è prevista l’intro-duzione dell’uniforme scolastica obbligatoria per tutti i bambini e le bambine della Russia — ancora una volta, co-me nell’Urss.

Stiamo andando verso una generale caserma della felicità. Come reagisce a questo il nostro popolosemi-mitico,che nei vent’anni dopo la fine dell’Unione Sovietica si è trasformato in popolazione con un diverso livello di reddi-to e di bisogni, e con concezioni diverse circa i valori della vita? A dire la verità, il popolo reagisce fiaccamente. Fiac-camente perché è appunto semi-mitico e quindi semi-inventato. Rivolgendosi al popolo, il potere tenta di toccarele corde ideologiche, quelle dell’eterna anima russa e dell’ex Homo Sovieticus. Ma il popolo si è disgregato, divisotra giovani che non sanno giocare all’Uomo Sovietico e anziani che guardano al potere attuale con indifferenza osospetto. Per loro l’Unione Sovietica è proprio l’esempio di ciò che ora non vedono: dove sono le imprese spaziali?Dov’è l’assistenza medica gratuita? Dove sono gli alloggi a basso prezzo? Dove sono i nostri intellettuali? Mi capitaspesso di parlare davanti a queste persone nelle biblioteche comunali: sono per lo più persone stanche, disilluse su

tutto. Ma dubito che il potere russo nel suo giocare all’Unione Sovietica punti davvero su di loro. Punta in realtàsulle proprie ambizioni imperiali. Con la stessa instancabile consequenzialità con cui Stalin procedeva

a riappropriarsi degli spazi dell’Impero russo perduti dopo la rivoluzione del 1917, il potere at-tuale aspira a riportare la Russia al rango di superpotenza. E questa è un’efficacissima arma

nella disputa con ogni genere di opposizione politica, dai liberali ai nazionalisti: voi non fateche chiacchierare a vanvera, noi invece rimettiamo in piedi la Russia e la rendiamo invincibile.

Il guaio di questo sogno è che Mosca parla con i vicini, fratelli ucraini in primis, in manierabrusca, perentoria, impaziente. Invece del sorriso e della seduzione, la voce brusca del fratello

maggiore. Ecco, non riusciamo in nessun modo a sbarazzarci di questo tono da fratello maggio-re, a cui ci siamo troppo abituati in epoca sovietica e addirittura zarista. Altrimenti forse li avrem-

mo anche convinti. E adesso vivremmo tutti - russi, ucraini, georgiani - in una nuova Unione So-vietica, senza Lenin, ma con il rispetto per Stalin, senza kolchoz, ma in compenso con il gas e il pe-

trolio. E della vecchia Unione Sovietica ricorderemmo solo il bene, il lato più gioioso ed eroico, men-tre cancelleremmo dalla memoria tutto il resto, come una spiacevole inezia. E vivremmo felici, e vo-

leremmo ogni giorno nello spazio — in barba a tutti voi!© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 28 APRILE 2013

Si chiamano Bonnie La Cozza, Grande Lebowska o Insopportabile. Sono perfettisconosciuti. Ingegneri, ragionieri, receptionist o insegnantiche, a colpi di battute in 140 caratteri, hanno conquistato

fino a centomila fan.Ecco come. E soprattutto perché

L’attualitàFollow me

Nome: Massimo Santamicone

Età: 38 anni

Studi: laurea in Filosofia

Nickname: Azael

Professione: progettista web

Città: Perugia

Nome: Natalia Cavalli

Età: 36 anni

Studi: lauree in Filosofia e Lettere

Nickname: Natalia Cavalli

Professione: redattrice

Città: Milano

Nome: Matteo P.

Età: 33 anni

Studi: ragioniere

Nickname: Comeprincipe

Professione: contabile

Città: Lecce

massimo santamicone aka azael,38 anni e spicci, scrivo cose per evitareche gesù pianga da qui a uffaBivacco nella mente di @casalegglo

Follower20.438

Natàlia, l'accento è làIo, limonare duro, ce l'ho come soggetto sottinteso

Follower17.653

Un uomo col coltello dalla partedel sadico. E una coscienza due punto Zeno

Follower21.728

Enrico Letta è uno cui vendereivolentieri un’auto usata

Premier

@azael

Governissimo si può direanche “governo governo”o “molto governo”[La situazione è grammatica]

Governi

@nataliacavalli

Il vantaggio di un errore condivisoè che puoi spacciarloper una scelta sensata

Intese

@Comeprincipe

Facile essere Michelle Hun-ziker e sfamare i propri750mila seguaci con con-cetti tipo «Un bacio a tuttigli amici di twitter!!!!! MuàMuà Muà» (mercoledì 25

aprile, ore 15.40). Meno facile, se sei lareceptionist di un agriturismo o un ra-gioniere leccese, conquistare un pub-blico di quindicimila utenti, fate contoun bel paesone come Ponsacco (o il tri-plo dei sostenitori di Rodotà sul web).Meno facile, altrettanto, attirare tra ipropri followers addirittura BarackObama, se ti chiami Marco Lupoi e tioccupi di fumetti, eppure i tuoi pensie-ri liofilizzati in 140 caratteri li leggonooltre centomila persone (e qui siamogià a una Bolzano virtuale).

In principio furono i blogger poi ven-ne YouTube a selezionare dall’anoni-mato autori, opinionisti e talenti comi-ci (tipo Maccio Capatonda o GuglielmoScilla, oggi deejay, attore e scrittore).Adesso è il momento di pescare su Twit-ter tra le centinaia di sconosciuti inge-gneri, contabili, insegnanti, grafici, di-soccupati eccetera, capaci di fare con-

correnza, quanto ad audience, ad arti-sti o personaggi già noti, ritagliandosiuna popolarità sul web a colpi di battu-te, aforismi o invettive su politica, ses-so, calcio, tv, gente e semplicemente su-gli affaracci loro. In sintesi: il cazzeggioall’ennesima potenza. Di cui sono mae-stri al pari di chi ne aveva già fatto me-stiere prima ancora dell’avvento diTwitter, come i seguitissimi Lia Celi,Johnny Palomba, Guia Soncini o Sel-vaggia Lucarelli. È satira dal basso. I piùcompulsivi sparano in media un tweetall’ora, dopocena poi è una santabar-bara dal divano. Macchianera, all’ana-grafe Gianluca Neri, 41enne ragioniere,ha escogitato anche gli awards per pre-miare ogni anno i twittatori non vip piùdivertenti e arguti. E per qualcuno di lo-ro il gioco si sta tramutando in qualco-sa di più, visto che arrivano proposteper scrivere libri, blog, testi televisivi,veline politiche o articoli sul giardinag-gio. «Io continuo a fare la spesa con ilmio vecchio stipendio 1.0, ma ho la pos-sibilità di pettinarmi l’ego con i compli-menti della gente, un bacino di pazzisempre pronti a leggere qualsiasi cosaio scriva, cazzate, battute o cose più se-rie» dice Massimo Santamicone, pro-

gettista web abruzzese di 38 anni lau-reato in Filosofia, in arte Azael. È uno diquelli che si sono inventati il falso Casa-leggio che sta spopolando con una raf-fica di assiomi assurdi (“Evitare spre-chi. Aprire vongole chiuse” “Basta in-gannare la gente. Vendere fusilli sroto-lati” o “Patrimoniale sui gattini”). «E ilbello è che continuano ad arrivare ri-sposte serie». Eh, il Popolo della Rete.Che poi non significa nulla: anche suTwitter, come in uno stadio o al super-mercato, c’è di tutto, il meglio e il peg-gio. Quello degli influenceramatoriali èsolo un aspetto, un ingrediente del pen-tolone. Nulla a che fare col grillismo ol’attivismo smanettone, altre piumedell’uccellino blu: tra questi anonimi disuccesso il comune denominatore è ilsenso dell’umorismo, pure esasperato,e un buon livello medio di istruzione.«La soddisfazione principale è proprioquella di arrivare per ciò che si pensa,senza la mediazione forte dell’immagi-ne o del contesto sociale. È un modo diconfrontarsi con un numero e una qua-lità di interlocutori altrimenti impensa-bile per me che sono timidissima» spie-ga egyzia, tipografa di Olbia appassio-nata di architettura. Ci crede un po’ me-

EMILIO MARRESE

Il Twittererdella porta

accanto

22 APRILE 2013 24 APRILE 2013 26 APRILE 2013

Repubblica Nazionale

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Nome: - - - - - -

Età: 45 anni

Studi: laurea in Ingegneria

Nickname: insopportabile

Professione: ingegnere

Città: Sassari e Cagliari

Ne ho le scatole piene,ma con eleganza

Follower57.743

Comunque anche mia mogliedice che è colpa di TwitterMa lei ha ragione

Colpa

@insopportabile

Nome:Marco Marcello Lupoi

Età: 48 anni

Studi: maturità classica

Nickname: Marco M. Lupoi

Professione: direttore publishing

Città: Bologna

Comic book publisher, lapsed mathematician, wannabe Gestalt counsellor, radical geek

Follower104.606

Le città sopravvivono ai passi degli uominiAi nostri e a quelli di coloro che le hanno percorse con noiIn questa vita e in cento vite fa

Passi

@mlupoi

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Nome:Silvia Rosetti

Età: 32 anni

Studi: laurea in Fisica

Nickname: Grande Lebowska

Professione: insegnante

Città: San Benedetto del Tronto

Nome:Alessandro

Età: 31 anni

Studi: laurea in Filosofia

Nickname: Iddio

Professione: imprenditore

Città: Foligno

Lavoro come pagliaccio nel circodella vita. Poi mi strucco, mi guardoallo specchio: occhi grandi da bambina il corpo di donna, i denti al cuore

Follower15.339

il Signore Iddio Onnipotente,fondatore e CEO dell'UniversoEntra sempre nel bagno delle donne,perché c’è scritto Signore

Follower125.292

Sono seduta in autobus vicino al mattoche parla da solo con la vocinadel bimbo di Shining. C’ho un certafortuna con gli uomini

Uomini

@sissetta80

Il mese scorso ho sostituitole stelle con le lampade a led

Illuminazione

@Iddio

no Natalia Cavalli, violoncellista roma-na con due lauree che lavora a Milano inun’agenzia letteraria: «Riscuoto moltosuccesso quando mi chiedo, per esem-pio, se l’analisi di Heidegger sulla di-menticanza dell’essere può essereiscritta nei termini di una storia delladecadenza. Ma a onor del vero, credoche un buon uno per cento si debba at-tribuire alle tette nella foto». Fermi là: sivede più roba su un autobus. «Credoche Twitter sia il luogo per la meritocra-zia sociale per eccellenza» esagera untantino l’aretina Bonella C., alias Bon-nie La Cozza, impiegata in un agrituri-smo, laurea in Lettere con indirizzomusica e spettacolo.

E dunque cosa avrà mai da dire di co-sì interessante Marco Marcello Lupoi,direttore publishing della Panini, dacatturare anche la figurina di Obama?«Twitter ha un suo algoritmo per cui sehai tanti follower il sistema ti alimenta ilnumero, proponendoti come “personada seguire”. Così è arrivato anche Oba-ma, dio solo sa perché, e l’algoritmo si èulteriormente rinvigorito. Ma a parteciò, quando catturi l’esperienza o l’ideache vuoi ricordare, e la immetti in untweet, e sono 140 caratteri che rollano

sulla lingua come un vino perfetto, allo-ra sì, hai una certa soddisfazione, anchecreativa. Altri vantaggi zero: solo quellodi essere ammesso in visita al quartiergenerale di Twitter a San Francisco co-me uno dei Vit (Very Important Twitte-rer) italiani e rimediare una T-shirt».

Francesco Altomare, economista ca-labrese, è un altro dei pionieri, twitta dal2007 quando si parlava in terza personaa quattro gatti: «È uno strumento chesenza alcuna competenza ti permette dimettere online il tuo pensiero nel giro dipochi secondi, ti fa sentire parte di qual-cosa di realmente grande. Per diventareun opinion leader bastano una connes-sione a Internet e un cervello (ben ap-puntito)». Non sono requisiti base, mase volete sfondare su Twitter (a parte ivari decaloghi che circolano in Rete e isoftware dalle gambe corte per drogaredi utenti fasulli il proprio pubblico) aiu-tano anche un po’ di esibizionismo,protagonismo e ossessività. E qualchebuona regola di comportamento: «Nonrispondere alle provocazioni. Fare at-tenzione alla grammatica. Retwittarepoco, ma cose fondamentali» enumeraMacchianera: «Non utilizzare Twitteresclusivamente come veicolo pubblici-

tario o di promozione. Quando c’è uncerto tipo di convenienza forse si è utilia se stessi, ma non agli altri, e credo chechi ti segue se ne accorga».

«Sono uno che dice cose abbastanzaovvie e le dice in modo abbastanza ov-vio. Mi sembra ovvio avere seguito inun mondo ovvio»: minimizza, ovvia-mente, Insopportabile, ingegnere sar-do, 45 anni. «Poter lanciare un’idea, di-scuterla, vedere che prende strade ina-spettate e sorprendenti, diventa fiumee scardina argini e dighe di supponen-za o scema inesorabilmente nell’ansadell’indifferenza: osservare questospettacolo mi gratifica. Sono dentro unvideogame di parole».

Il confine con la dipendenza o l’alie-nazione è sempre sottile, l’autoironial’unico antidoto. «Ora ogni cosa chefaccio, vedo o sento, mi fa domandare“come posso raccontarla in 140 carat-teri”. Finisco col ragionare per tweet...Ma tutti noi ci crogioliamo al pensierodi poter smettere quando vogliamo» sischernisce Bonnie. Comeprincipe hauna platea di oltre ventimila followers,si chiama Matteo ed è un contabile pu-gliese trentatreenne che si definisce ra-gioniere «a indirizzo classico»: «Uso

Twitter, o a questo punto dovrei direche lui usa me, dal 2009, ma è dal 2011che ne ho fatto uno strumento di so-pravvivenza intellettuale. Non è facileattrarre l’attenzione utilizzando solol’alfabeto. Amo scrivere di quel che ren-de infelici i meschini come me: senti-menti, beghe morali e tutto il resto. De-dico a Twitter tutta la giornata, nel sen-so che da quando apro gli occhi la miamente lavora costantemente su due li-velli, quello concreto dell’occupazioneche regolarmente porto a termine equello dello “spettacolo” che amo rega-lare a chi mi legge e quindi a me stesso.Ma non lo nascondo: è l’unica parte del-la mia vita che mi renda la soddisfazio-ne che ho sempre sognato. Mi rende vi-vo. Mi tiene dritto. In piedi. Dimenticotutto e mi sembra di avere un bel moti-vo per combattere. La regola è esserci.Sempre. Macinare continuamente no-tizie, luoghi, volti, nomi, emozioni.Twitter crea dipendenza. Assoluta-mente. Inevitabilmente. Ed è difficil-mente guaribile. L’attenzione degli altriè l’ossigeno di una società effimera cheperò non giudico. Ne sono parte e nonho mai fatto niente per guarirla».

C’è l’effetto autoterapeutico, a com-

pensare: «Risparmio molto di psicolo-go» scherza Natalia Cavalli. «Twitter èun modo per sfogarsi e lo sfogo deve es-sere quotidiano e continuativo per unacolata lavica come me. Penso di averetanto seguito, sinceramente, perchésono una furba che sa abbinare il bell’a-spetto all’ironia senza filtri» sorride laGrande Lebowska, cioè una professo-ressa (supplente) di fisica a San Bene-detto del Tronto. «Essere Dio mi portavia un sacco di tempo, ma dato che erodisoccupato il tempo non mi mancava»si confessa dall’alto dei suoi 125 milafollowersDioin persona, un trentunen-ne di Foligno che, grazie a questa trova-ta, sta rimediando varie collaborazionicome autore: «Twitter ha dato un sensoalla mia laurea in Filosofia; mi ha fattotrovare lavoro, più di una volta, arric-chire il curriculum, viaggiare, conosce-re tanta gente e tanti amici (forse trop-pi), e se ho fatto bene i miei calcoli sia-mo solo all’inizio». Ecco: quanto dureràquesto quarto d’ora di celebrità? «Finoal prossimo social network che riusciràa stravolgere veramente, nuovamente,il modo di parlare e comunicare». Paro-la di Bonnie La Cozza. Anzi, tweet.

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DOMENICA 28 APRILE 2013

Gli anni di vita di Twitter

creato il 21 marzo 2006

a San Francisco

7Gli utenti iscritti

nel mondo

di cui 200 milioni attivi

500 milioni

Gli utenti italiani

La fascia più numerosa

è tra i 16 e i 34 anni

4,5 milioni

I tweet inviati ogni giorno

in Italia. Nel mondo

invece sono 400 milioni

1,9 milioni

I followers della cantante

Katy Perry, l’utente

più seguito del mondo

35,6 milioni

I followers di Valentino

Rossi, l’utente italiano

con maggior seguito

1,87 milioni

I NUMERI

VOCABOLARIO

# TT TLRETWEET

messaggio

di un altro utente

rilanciato

RT

Le ultime, drammatiche paroledi Maria Antonietta a Robespierreprima di salire sul patibolo:“Pensaci, Giacobino”

Ghigliottina

@egyziaLeggo, dunque sogno. Potenzialmentemi interessa tutto, dopo scelgoCustode della parola amplissimoDimenticavo, sono sommelier

Nome:Maria Teresa Deiana

Età: 36 anni

Studi: maturità scientifica

Nickname: egyzia

Professione: grafica

Città: Olbia

Follower12.050

Nome:Bonella C.

Età: 33 anni

Studi: laurea in Lettere

Nickname: Bonnie la Cozza

Professione: receptionist

Città: Arezzo

Sono la terrorista di me stessaSto sul ciglio di un baratroper sentirmi viva

Follower15.510

A forza di mettersi dei paletti,si rischia di finire soli dentro il recintoche ci siamo costruiti

Recinti

@BonnieLaCozza

FOLLOWERchi segue

un altro

utente

22 APRILE 2013

5 APRILE 2013 16 APRILE 2013 10 APRILE 2012

11 APRILE 2013 22 APRILE 2013

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 28 APRILE 2013

Scappò dalle celle di sicurezza, sgusciò dalle casseforti,si divincolò da grovigli di lucchetti immerso nell’acquaPoi il più celebre illusionista di tutti i tempisvelò alcuni segreti in un libro pubblicato in Italia per la prima volta

Per ingoiare una spada,e anche vetri o chiodi,iniziate inghiottendo patate intere...

L’ineditoTrucchi del mestiere

Mago, simboloo superspia

ANGELO AQUARO

Harry Houdini cominciò a li-berarsi delle sue catenequando aveva dodici anni esi chiamava ancora EhrichWeiss. Appleton, Illinois,non era neppure la più

profonda delle province degli United Sta-tes of America: un college prestigioso —Lawrence University — e un’Opera Housene avevano fatto una piccola capitale nelMidwest. Ma al figlio dell’immigrato un-gherese riciclatosi rabbino sarebbero pre-sto andate strette perfino le frontiere del-l’America, che a fine Ottocento scopriva legioie (economiche) e i dolori (sociali) dellaprima globalizzazione: e figuriamoci dun-que i confini di quella cittadina che avevaaccolto la sua famigliola in fuga dall’Euro-pa. Racconta la leggenda che il piccolo Eh-rich fu conquistato dall’arrivo di un circo.Provò a copiare nel giardino di casa i primimovimenti da trapezista, avventurandosisu una corda tirata tra due alberi. Passo do-po passo, show dopo show, si ritrovò già infuga e da allora non si fermò più. Una vitain tournée col nome d’arte di Houdini. Sfi-dando la morte, da New York a Londra, conesercizi e trucchi di straordinaria intelli-genza, e invidiabile fisicità.

Fin qui la storia ingigantitasi a mito: cheprima la pubblicistica del tempo e poiquella senza tempo di Hollywood (ricor-date il film con Tony Curtis?) hanno rilan-ciato. Come ogni leggenda, anche questa èdovuta però passare al setaccio del revisio-nismo: per una volta uscendone, altra ma-gia, ancora più rafforzata. Prendete le radi-ci ebraiche che il Jewish Museum di NewYork ha dissotterrato in Houdini: Art & Ma-gic, catalogo della mostra dedicatagli l’an-no scorso: ci voleva tutta la forza dell’esca-tologia giudaica per liberare Houdini dallecatene da super Barnum che il successo gliaveva stretto intorno. “Houdini non soloseppe sfuggire alle costrizioni fisiche e allesituazioni potenzialmente mortali — silegge nella presentazione — ma fu lui stes-so un modello dell’American Dream: sfug-gendo al passato per affermarsi nel NuovoMondo”. Non per niente la celebrazioneha raccolto nel segno di Houdini progetti diartisti culturalmente in fuga da ogni rego-la: da Matthew Barney a Vick Muniz.

Peccato che revisionismo troppo spessofaccia rima con dietrologismo. E qui nep-pure il re degli “escapisti” è riuscito a sfug-gire all’accusa più infamante che semprespiegherebbe i successi inspiegabili. Cihanno provato William Kalush e Larry Slo-man (The Secret Life of Houdini: TheMaking of America’s First Superhero) adaprirci gli occhi e rivelarci il suo più grandetrucco: farci credere cioè di essere un ma-go mentre — peek-a-boo! — in realtà nonera altro che una superspia.

Vero, falso o verosimile? Uno psicologofamoso e intellettualmente spregiudica-to, Stanton Peele, ha sfidato il religiosa-mente corretto per sottolineare la tara an-cora una volta jewish dell’ossessione ma-terna. Proprio la morte dell’adoratamamma portò infatti il mago dei maghi adenunciare lo spiritismo allora imperan-te. Di più. Per sbugiardare i ciarlatani chepromettevano contatti con i cari estinti, ilgrande Houdini arrivò addirittura a pro-mettere diecimila dollari a chiunque gliavesse dimostrato l’esistenza di fenome-ni paranormali.

Ecco: e se alla fine fosse proprio questala sua lezione più grande? Siamo tutti chia-mati a liberarci delle nostre catene. Manon contiamo sui miracoli. La vita è tuttaun trucco. E ogni fuga un’illusione.

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Come fuggire e vivere felici

‘‘

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DOMENICA 28 APRILE 2013

IL LIBRO

Il modo giusto di sbagliare(Add edizioni, 192 pagine, 14 euro)

di Harry Houdini con una prefazione

di Lorenzo Jovanotti, è un ritratto

inedito (in Italia) del popolare

illusionista, collezionista di libri,

amante della scrittura

Ma è anche il racconto dei trucchi

usati da molti suoi colleghi e imitatori

Nel cercare di conquistare il vostro pubblico,ricordate che “le buone maniere rendonoricchi”, quindi non siate insolenti. Un vec-chio trucco ben realizzato è molto meglio diun nuovo trucco mal riuscito. Non dite maial pubblico quanto siete bravi; lo scopriran-

no presto da soli. Non tirate i trucchi per le lunghe, ma pro-cedete il più spediti possibile, tenendo a mente il motto la-tino: Festina lente, affrettati lentamente.

Come incantare il pubblico

Se il vostro pubblico è molto lontano, una certa mimicasarà decisamente apprezzata. Qualche commento benscelto sui temi del momento vasempre bene. Preparatevi sem-pre una breve frase da dire nel ca-so un trucco non vada nel versogiusto. La verità è che non è il truc-co in sé né come lo si esegue a faredi un numero un successo, ma ildiscorso che accompagna il nu-mero stesso.

Tra le sfide da me realizzate cisono quelle di seguito elencate, al-cune delle quali sono molto inte-ressanti: la fuga sotto gli occhi delpubblico da una camicia di forzausata per i pazzi omicidi; l’evasio-ne da una cassa inchiodata; da unacassa costruita sul palcoscenico;da un sacchetto di carta; da una ce-sta di vimini; da una cesta appesaper aria; da un cesto o da una gab-bia d’acciaio improvvisati; da unacaldaia d’acciaio rivettata; appesoa una scala a mezz’aria; inchioda-to a una porta; evasione da una te-ca di vetro improvvisata; da unenorme pallone da football; fugada un grande sacco della posta;evasione da una scrivania a ribal-ta; evasione da un pianoforte zin-cato eccetera eccetera.

Come slegarsi

I numeri con le corde hanno unvantaggio notevole su tutte le altreforme di fuga, ovvero che non èpossibile avanzare sospetti sullecorde in quanto tali. Quando èpossibile, in generale è meglio usa-re dei nastri, perché suscitano an-che meno diffidenza delle corde…La fuga più antica che si conoscanel mondo dei prestigiatori è quel-la nella quale si devono liberare lemani normalmente legate dietrola schiena. Si ottiene piegando il corpo in avanti e facendoscendere le braccia fino a superare le anche, portando le ma-ni giusto dietro le ginocchia. La cosa potrà sembrarvi im-possibile al primo tentativo, ma continuate a provare e do-po un po’ diventerete pratici. Quando le mani sono posizio-nate dietro le ginocchia, sedetevi sul pavimento e incrocia-te le gambe, la sinistra sopra la destra, poi portate il bracciosinistro oltre il ginocchio sinistro e tirate indietro il piede si-nistro e quindi il destro, facendoli passare per il cerchio for-mato dalle braccia. Così avrete le braccia legate davanti alcorpo e a questo punto potrete sciogliere i nodi con i denti.

Per questa legatura si dovrebbe usare una corda nuova diquelle che si usano per le finestre a saliscendi, per due ra-gioni: in primo luogo perché è impossibile fare dei nodi dav-vero stretti con quel tipo di corda e in secondo luogo perché

la sua superficie liscia facilita lo scivolamento oltre le anche.Si usano circa 15-18 metri, e quando direte che sono 23 me-tri di corda da bucato nessuno avrà niente da ridire. Il segre-to consiste nel fatto che, purché la legatura inizi con un ca-po della corda e finisca con l’altra estremità, è quasi impos-sibile legare un uomo in piedi con quella quantità di cordain modo che, contorcendosi, non possa liberarsi con relati-va facilità. All’inizio di questa sfida dovete tenere la corda ar-rotolata in una mano e la prima mossa sarà srotolarla e far-la ispezionare dalla commissione. Darete ai membri dellacommissione «corda a volontà», lasciando che vi leghino nelmodo che loro più aggrada. Durante questo discorso, riav-volgete la corda, spiegando nel frattempo tranquillamentealla commissione che così arrotolata sarà più maneggevo-le, passerà meglio nei nodi eccetera; lo scopo è di “forzarli”

a iniziare a legarvi partendo daun’estremità. I primissimi nodivengono fatti con molta attenzio-ne, ma dopo un po’ chi sta legan-do si accorge che rimane ancoramolta corda e inizia a girarla attor-no al corpo facendo pochissiminodi. Se vi capita una commissio-ne particolarmente seria che ini-zia a fare più nodi di quanto vi con-venga, sarà bene gonfiare i mu-scoli, espandere il torace, incurva-re leggermente le spalle e tenere lebraccia un po’ discoste dai fianchi.Nel sottoporvi a questa legatura,dovreste sempre indossare unagiacca, scoprirete che sarà un ul-teriore aiuto per ottenere gioco.Da qualche parte dovrete nascon-dere un coltello affilato con la la-ma ricurva, potreste trovarlo utilenel caso alcuni dei primi nodi, le-gati con più attenzione, si rivelinoproblematici. Se taglierete unpezzettino di corda a un’estre-mità, nessuno se ne accorgerà.

Come ingoiare una spada

Per eseguire il numero del man-giatore di spade è necessario solosuperare la nausea provocata dalmetallo che tocca la membranamucosa della faringe, perché per ilresto dalla bocca al fondo dellostomaco c’è un canale senza osta-coli abbastanza largo da contene-re alcune delle sottili lame usate. Ilcanale non è dritto, ma il passag-gio della spada lo raddrizza. E an-che se alcune gole sono più sensi-bili l’esercizio abituerà al passag-gio della lama. Quando viene usa-ta una spada molto appuntita,l’artista fa scivolare di nascosto un

cappuccio di gomma sulla punta, per evitare incidenti. Da un anziano giapponese della troupe di Kitchy Akimo-

to imparai il metodo per inghiottire oggetti abbastanza vo-luminosi e rigurgitarli a piacere. Per fare pratica all’inizio siusano delle patate molto piccole, così da prevenire inciden-ti; e, una volta padroneggiata l’arte di rigurgitarle, la misuraviene aumentata gradualmente fino a che non si riesce a in-ghiottire e rigurgitare oggetti grandi quanto la gola può so-stenere. I mangiatori di vetro, chiodi, sassi e altro, ingoianorealmente questi oggetti, anche se sembra impossibile, vo-mitandoli fuori una volta finita l’esibizione. Il fatto che conil vomito non ottengano sempre l’effetto voluto è provatodai registri degli ospedali, che riportano molte operazionichirurgiche su artisti di questo genere.

Ci sono maghi calciatori, maghiballerini, maghi scrittori, maghimeccanici, maghi elettricisti,

maghi ortopedici, maghi del sesso. Sidice sempre: quello lì è un mago. Hou-dini era un mago a fare le sue magie. Perme avrebbe potuto anche fare il bagni-no, ascolterei molto volentieri quelloche ha da dirmi sul suo mestiere il piùbravo bagnino del mondo. Houdini èpieno di buoni consigli per chiunqueabbia un “pubblico”, una platea, qual-cuno che giudicherà dalle apparenze,che non ingannano, si sa. Non c’è nien-te di più profondo delle apparenze.

Un giorno a Los Angeles ero in mac-china con un mio amico esperto dellacittà. Passando vicino a una villa deca-dente dalle parti di Laurel Canyon micolpì un certo magnetismo inquietanteche sprigionava da quei muri e venni asapere che ci aveva vissuto il grandeHoudini. In quella casa i Red Hot ChiliPeppers negli anni Novanta ci hannoregistrato Bloodsugarsexmagic, il loroalbum più bello.

Magie. Bisogna fare attenzione conquelli come Houdini. Essere un po’Houdini, almeno provarci, a liberarsisempre, da qualsiasi catena.

Liberiamocidalle catene

LORENZO JOVANOTTI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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HARRY HOUDINI

BIG SHOW

Harry Houdini

(1874-1926)

nel numero

delle corde durante

un suo show

Al centro delle pagine

la locandina

di un suo spettacolo

del 1895

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 36

DOMENICA 28 APRILE 2013

Il rabbioso movimento che, negli anni Settanta, rifiutòil sistema oggi sfila sulle passerelle dell’alta modaUna grande mostra a New York raccontaquesta strana storia di griffe e di anarchia

“Perché nulla ha avuto un impatto così forte sull’estetica”

SpettacoliAbbassa la cresta

‘‘Johnny Rotten

Camminavo su e giùper King’s road pieno di rabbiaC’era uno sciopero della spazzaturaHo pensato di mettermiquei rifiuti addossoIo mi vorrei avvolgerenella spazzatura

‘‘Malcolm McLaren

C’era questo tizio distruttoche sembrava appena uscitoda una fogna, coperto di melma,con la faccia stravoltadi chi non dorme da anniEra un meraviglioso, sudicioragazzo con una t-shirt stracciata

‘‘Sid Vicious

Mina la loro autorità pomposa,rifiuta i loro standard morali,fai dell’anarchia e del disordinei tuoi marchi di fabbricaCausa più caos e disagi che puoima soprattutto non lasciareche ti prendano da vivo

SID VICIOUS

Londra 1977CHANEL

collezione p/e 2011JOHNNY ROTTEN

Londra 1976ALEXANDER MC QUEEN

collezione a/i 2008-9INGAR

Londra 1977DIOR

collezione a/i 2006-7MALCOLM MC LAREN

Londra 1976

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 28 APRILE 2013

Il veropunk, come assicura MickJones dei Clash, è durato centogiorni, poi nei successivi qua-rant’anni o giù di lì ha zigzagatotra cultura, musica e costumearrivando sino al red carpet del

Metropolitan Museum di New York.Dove il 9 maggio si apre la mostraPunk: Chaos to Couturecon Beyonce ela direttrice di Vogue, Anna Wintour, afare da madrine. Per una generazioneche si immaginava come un enormedito medio levato al cielo non è certoun approdo indolore.

Il New York Magazine dedica all’e-vento una lunga inchiesta chiedendosi:se un movimento creato sulla rabbia esulla ribellione diventa il perno di unevento ultramondano è l’ultimo chio-do piantato sulla sua bara o è la provadella sua vita eterna? Alcuni dei prota-gonisti di quegli anni hanno meno dub-bi. Legs McNeil animatore della rivistaPunke storica figura della scena ameri-cana protesta nelle pagine del New YorkTimes: «I ricchi provano sempre a coop-tare tutto quello che non possono pos-sedere. Catturano l’anima di quegli an-ni e la anestetizzano, la rendono noio-sa. Cosa hanno a che fare tutti questi sti-listi con noi? Non ne capisco il senso». Ela sua compagna di avventura DebbieHarry, altra icona dei Settanta ribadi-sce: «Noi non volevamo essere trendy,volevamo solo trasgredire». Nel 1976l’anno del primo Lp dei Ramones, l’an-no in cui nelle cantine di New York eLondra le chitarre elettriche distortegraffiano gli spartiti facendo a pezzi lamelodia e le canzoni insultano il “mon-do pulito là fuori”, urlando “uccidimiper favore”, al Met va in scena una mo-stra dal titolo La gloria del costume rus-so. Nell’aria fluttuano litri di ChanelCuir de Russie. «È come se un club di ve-getariani finisse a festeggiare dentrouna bisteccheria».

Ma il tempo avvicina gli opposti. E inrealtà lo straniamento è meno forte. Èinfatti innegabile che le grandi firmedella moda si sono ispirate agli abitistrappati di quei ragazzi. Andrew Bol-ton è il curatore dell’esposizione, in-sieme all’italiano Riccardo Tisci (uo-mo dell’anno per il New York Times) esi racconta come un fan entusiasta:«Niente ha avuto un impatto così fortesull’estetica come il punk. Anzi c’è dipiù. La sua stessa essenza, quella vo-glia di autodeterminarsi, di creare unostile mai visto prima ha dato grandeenergia a molti stilisti».

Lo spettacolo, ché di questo si trattacon musiche e video, si snoda su settesale, con oltre cento fotografie che gio-cano sul contrasto tra il modello origi-nale e la creazione artistica. Da una par-te i Sex Pistols, i Clash, i Ramones e tuttigli altri con le loro giacche nere di pelle,i pantaloni attillati, le magliette scucite,tenute insieme con le spille da balia. Lecreste sulle teste rasate, i capelli colora-ti, le catene, le borchie, i corpi scheletri-ci per l’eroina e gli occhi cerchiati di ne-ro insonnia. Dall’altra, come riflessi inuno specchio distorto, i modelli creatidai mostri sacri della moda, nessunoescluso. C’è una foto di Johnny Rottendei Sex Pistols che fissa l’obiettivo, stra-lunato, le pupille dilatate sul niente.

Nell’immagine a fianco, una modella diVersace anno 1994, collezione prima-vera estate: stesso sguardo, stessa petti-natura, stesso modo di vestire.

C’è la New York del 1974 e c’è la Lon-dra dello stesso periodo. In America, ipunk sono i figli della classe media stu-fi del rock dei padri e dell’iconografiadegli hippie. Si trovano negli scantina-ti del CBGB, il locale su Bowery fonda-to da Hilly Kristal dove si esibisconotutte le band del momento. Il suo ba-gno diventa una leggenda dall’odoreinconfondibile e dalle mille scritte irri-verenti: luogo talmente mitico cheverrà riprodotto al Met. In Inghilterra lascena gira tutta attorno ad un nego-zietto di King’s Road, dove lavoranoMalcolm McLaren e Vivienne We-stwood: ovvero i veri anelli di congiun-zione tra l’anarchia e il fashion. Coloroche hanno addomesticato, codificatola violenza, trasformandola in un mar-chio. A loro è dedicato, giustamente, ilposto d’onore. «Il punk era caotico, ir-riverente, iconoclasta ma ha cambiatoper sempre la natura della creatività.Sembra una contraddizione, ma inrealtà c’è un filo comune che lega tuttoquesto», spiega il direttore del MetThomas P. Campbell.

Sui blog delle riviste undergroundnewyorchesi, però, i lettori sono più ar-rabbiati che incuriositi. Arrabbiati conJohnny Rotten, che sognava di sconvol-gere le strade di Londra e che ora è qual-che pagina più in là nello stesso catalo-go: «Venivamo dal popolo, eravamo ge-nuini. Il guaio è che poi tutto è stato di-storto dai media, le persone fanno fati-ca a scappare dai luoghi comuni. La si-tuazione economica in Gran Bretagnaè stata la fonte di ispirazione. C’era unsenso di fallimento, mi sentivo come sel’intero paese stesse per crollare. C’eral’idiozia di Margaret Thatcher e noi vo-levamo spaccare tutto».

Non è andata proprio così. Anche seper molti, il punk ha anticipato il futuro:i no global, gli squatter, la disillusionedei giovani disoccupati. «Lo spirito diquell’epoca dura ancora perché la no-stra protesta è attuale. Non per le ma-gliette colorate che sono diventate sou-venir», argomenta Legs McNeil. E loscrittore Jon Savage aggiunge: «Noi sia-mo ancora qui, perché io ancora ades-so quando sono stanco, sfiduciato allafine di una giornata metto su un discodei Ramones e mi sento meglio».

Ma la cultura radicale spesso nonregge all’urto degli anni. Invecchia ma-le. Il sangue scolora e la rabbia evapo-ra. Il 64 per cento dei nuovi punk inter-vistati nel sondaggio del New York Ma-gazine dice di non essere affatto “ar-rabbiato”. Lo definisce “uno stato d’a-nimo, uno stile di vita” la politica nonviene quasi menzionata. E un terzo diloro muore dalla voglia di andare allamostra del Met. Si spera che almeno,essendo gli ultimi Mohicani, non ab-biano il problema di alcune invitateche confessano di “essere molto stres-sate dal pensiero su cosa sia opportunoindossare”. La cosa più trasgressiva?«Metterò il collare del mio cane». Cherazza è? «Yorkshire». Ecco, una tra-sgressione bonsai.

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‘‘Joe Strummer

Dovevamo adattarci a quelloche trovavamo nei negozi dell’usatoche era veramente orrendoPortavamo i giubbottidal carrozziere e gli dicevamo:“Ok Pete, dacci tuuna colorata con lo spray”

“Le nostre ideerestano diverse”

GIUSEPPE VIDETTI

Se la ribellionediventa solo

questione di stileMASSIMO VINCENZI

MALCOLM MCLAREN

Londra 1976VIVIENNE WESTWOOD

collezione p/e 2009VIVIENNE WESTWOOD

Londra 1976

Vivienne Westwood

«Il numero uno? Yves Saint Lau-rent; è lui il dio della moda. L’u-nico che abbia raggiunto la

perfezione». Fa un certo effetto sentir-lo dire da Vivienne Westwood, la sa-cerdotessa del punk che, su istigazio-ne di Malcolm McLaren, entrò nel fa-shion business con la stessa prepoten-za di una guerriglia armata nelle vie delcentro. «Qualsiasi idea avessi all’epo-ca dell’apertura della prima boutiqueSex, al 430 di King’s Road, oggi è cam-biata al 180 per cento», dice la stilistapasionaria che ha risollevato le quota-zioni del made in England. Divoratadal conformismo? «No, ribelle a ol-tranza. I conformisti semmai sonosempre stati Johnny Rotten e compa-gni, che hanno assolto il loro ruolo nel-la società. Non sei diverso perché hai icapelli verdi o grigi o blu. È il tuo mododi pensare che fa la differenza, l’attitu-dine nei confronti della vita».

Ma prima di Rotten e Sid Vicious fulei ad adottare quel look...

«Al 430 di King’s Road io ci andavoanche da ragazza, è vero. Prima di Sexc’erano stati il Paradise Garage e Mr.Freedom, due negozi in perfetta sinto-nia col R&R anni Cinquanta. Adoravolo stile Teddy Boy. Le prime cosa checomprai da cliente squattrinata furo-no un paio di pantaloni di velluto leo-pardati. Cose che non trovavi da nes-sun’altra parte a Londra. Avevo già i ca-pelli pettinati a cresta, sembravo unaprincipessa aliena».

Come cambiò la sua vita quandoincontrò McLaren?

«Era un uomo alla continua ricercadi stimoli, molto interessante. Abbia-mo vissuto insieme per tredici anni.Alla fine non la pensavamo più allostesso modo, era assetato di gratifica-zioni, di successo. Io sono una che amaandare a fondo alle cose; lui utilizzavail suo talento solo per impressionare ilpubblico».

Proprio nel momento il cui il punkda fenomeno musicale iniziò a in-fluenzare la moda lei ha messo il pie-de sul freno.

«Già, perché per me con il punk nonera successo niente d’importante, néculturalmente né politicamente, soloun’altra stagione entrata a far partedell’iconografia della ribellione.Nient’altro che un’opportunità dimarketing. Anche se ci furono perso-ne, compreso Malcolm, che finironosul piedistallo come portabandiera diuna generazione che lottava per unasocietà libera. I punk non facevano al-tro che scorrazzare per Londra a far ca-sino. Non avevano idee. Io ne avevo,Malcolm ne aveva. All’epoca, in termi-ni di design, mi consideravo una suaaiutante, davo corpo alle sue illumina-zioni perché essendo più vecchia dicinque anni conoscevo meglio gli anniCinquanta – tutto infatti partì da unariconsiderazione della prima genera-zione R&R».

Quindi? Tutto merito, o colpa, diMalcolm?

«No. Tutto merito mio se lo stilepunk è dilagato nel fashion business.Ero io che creavo i modelli. Poi, è vero:lui aveva delle intuizioni commercialiformidabili, aveva sempre la cilieginapronta da mettere sulla torta».

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LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 28 APRILE 2013

IL CONFRONTO

MARTE

TERRA

NextMission possible

Sembra uno scherzo, ma non lo è: una società olandese

cerca (e trova) partecipanti volontari per colonizzare Martecoprendo i costi con la pubblicità di uno show da realizzare lassù tra nove anni Unico problema: il viaggio è di sola andata...

Cominciano selezione

dei quaranta

astronauti

e simulazioni

dello sbarco su Marte

Il tutto viene

trasmesso in tv

686 GIORNI

365 GIORNI

24 ORE E 37MINUTI

24 ORE

6.780 CHILOMETRI

12.745 CHILOMETRI

96% ANIDRIDE CARBONICA

21% OSSIGENO

2,5% AZOTO

78% AZOTO

Tra nove anni. Ad aprile del 2022 parti-remo alla volta di Marte. E lo faremograzie a un reality show planetario, ilpiù grande evento televisivo della sto-ria. Comincia quest’anno con sele-zioni alla X Factor e test di resistenza

come ne L’isola dei famosi. Porterà alla formazionedegli equipaggi che si imbarcheranno uno dopol’altro per il Pianeta Rosso in mondovisone. Trou-pe televisiva compresa. Ecco Mars One, progettoolandese faraonico e così ambizioso da sembrareuno scherzo, una trovata pubblicitaria. Ma che inrealtà nasconde un’intuizione giudicata da alcunibrillante: aver forse trovato il modo, attraverso lavendita di spazi pubblicitari, di superare l’enormeproblema delle missioni spaziali su grande scala:quello dei fondi. Tanto da ricevere l’appoggio diGerardus ‘t Hooft, dell’Università di Utrecht, pre-mio Nobel per la fisica nel 1999. Tanto da racco-gliere diecimila domande di aspiranti astronautiappena pervenute all’organizzazione. Anche se c’èun problemino: il biglietto è di sola andata. Chi an-drà, ci resterà fino alla fine dei suoi giorni.

«Se hai un miliardo di telespettatori, i sei miliar-di di dollari necessari per la colonizzazione di Mar-te non sono poi così tanti», racconta Bas Lansdorp,la mente dietro l’iniziativa. Imprenditore con unalaurea in ingegneria alle spalle, ne parla mentreguida per le strade di Los Angeles nel documenta-rio One Way Astronaut, del quale è stato pubblica-to cinque giorni fa un trailer di qualche minuto. Èpieno di interviste ai candidati, un assaggio dellecentinaia di video che già affollano il sito di Lan-sdorp & Co. Ragazze e ragazzi che hanno inviato laloro presentazione filmata dal Brasile e dalla Ger-

mania, dagli Stati Uniti e dal Giappone, dall’I-talia e dalla Russia. Ma ci sono an-

che qua-

guito modulato in sette tappe diverse, o forse do-vremmo chiamarle “stagioni”, a partire da quella diquest’anno per la selezione dei quaranta astro-nauti e i test all’interno di una replica fedele di quel-la che sarà la base su Marte. Riedizione in chiavefantascientifica del format di Romer, che nel frat-tempo è diventato consulente del progetto MarsOne. Nel 2016 verrà lanciato verso il pianeta rossoil primo cargo con tre tonnellate di viveri, parti di ri-cambio, strumenti, materiali. Due anni dopo saràla volta del rover che dovrà iniziare a preparare ilcampo. In Olanda hanno calcolato che impiegheràtre anni a mettere in piedi la struttura della base, seimoduli. A quel punto il primo equipaggio formatoda quattro persone sarà in procinto di partire. Da-ta prevista del decollo 2022, per raggiungere Martenel 2023. Da quel momento in poi ogni due anniprima e poi a intervalli sempre minori, verranno in-viati altri equipaggi fino ad arrivare nel 2035 a unacolonia di almeno trenta o quaranta persone.

Sembra un copione scritto da uno sceneggiato-re dotato di troppa fantasia. Ma in fondo tutto quelche è legato alla conquista dello spazio ha questosapore. Dwight D. Eisenhower, quando nel 1958ordinò la creazione della Nasa, dopo lo shock pro-vocato dal satellite sovietico Sputnik, chiamò al suofianco Neil McElroy. Classe 1904, nato in Ohio elaureatosi ad Harvard, era entrato da giovane allaProcter&Gamble, la multinazionale del sapone diCincinnati. Da addetto all’apertura della corri-spondenza a direttore del reparto pubblicità in die-ci anni circa. Il sogno americano fatto persona.Non solo, la cosiddetta soap opera è un’idea sua.Quei drammi radiofonici, presto passati alla televi-sione e pensati per essere interrotti dalle pub-blicità del sapone, stavano diventandoparte della cultura popolare. Il mo-tivo che spinse Eisenhower achiamare un tipo del genereper ricoprire la carica di Se-gretario della Difesa è intui-bile. Alla fine la corsa allospazio era una guerra dicomunicazione da com-battere sul piano dell’im-maginario. Cinquantacin-que anni dopo si ricomin-cia, e guarda caso ancora unavolta dalle soap opera.

Tra tre anni partirà il primo cargo:

pesante circa tre tonnellate,

conterrà cibo, strumenti, utensili

e materiali per allestire la base

Decollo del primo rover

per l’esplorazione della superficie

di Marte e per iniziare ad attrezzare

l’area dove sorgerà la base

rantenni con moglie e figli, signori un po’ in là conl’età, gente di ogni estrazione e provenienza. Spac-cato di un’umanità normale che ha un sogno co-mune ed è disposta a pagare un prezzo alto per rea-lizzarlo. Quello di andare a morire su Marte.

Anche questa più che una follia è il superamen-to di un limite tecnico. Arrivare infatti è relativa-mente facile, ripartire è il vero problema. La mis-sione dell’Apollo 11 sulla Luna, a oltre quaranta an-ni di distanza, sembra ancora un miracolo e i mira-coli in genere non si ripetono. Anzi, a volte si guar-dano con sospetto. Diventano il centro di teoriecomplottiste. In Capricorn One, il film del 1978 diPeter Hyams con Elliott Gould e O. J. Simpson, laNasa era senza più fondi, grosso modo come acca-de ora. E per evitare rischi e insuccessi, metteva inscena una missione posticcia in uno studio televi-sivo perso nel deserto del Texas.

Oggi, a poca distanza da quell’area, Sir RichardBranson sta costruendo la sua Virgin Galactic: viag-gi oltre la stratosfera a partire dal prossimo anno euno spazioporto firmato dall’architetto NormanFoster in costruzione nel grande nulla del NewMexico per “appena” 250 milioni di dollari. Le or-me sono quelle di Juan Trippe, il fondatore dellaPan Am che nel 1968 cominciò a raccogliere le pre-notazioni per i primi voli per la Luna. Il biglietto sa-rebbe costato quattordicimila dollari. Centomilapersone si misero in lista pensando di partire tren-ta anni dopo. La compagnia però fallì nel 1991.Branson invece potrebbe farcela. Ha le risorse e staacquisendo le compagnie con il know-how tecni-co necessario. Nel frattempo guarda oltre, alla co-lonizzazione di Marte, con l’intenzione di offrireanche lui biglietti one way come Bas Lansdorp. Manon si è spinto fino ad immaginare uno show in tv.In realtà, non lo ha fatto nemmeno Lansdorp. «Nel2011» spiega «dopo aver venduto la mia compa-gnia per la produzione di energia alternativa, stavolavorando al progetto di Mars One. Ma non riusci-

vamo a trovare un modo per finanziare l’o-perazione. A quel punto Paul Romer,

uno dei creatori del Grande fra-tello, mi consigliò di trasfor-marlo in un evento mediati-

co di portata mondialevendendo gli spazi

pubblicitari».Evento in se-

2018 L’ESPLORAZIONE

2016 IL PRIMO LANCIO

2013 I PREPARATIVI

COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERADIAMETRODURATA DEL GIORNODURATA DELL’ANNO

JAIME D’ALESSANDRO

Reality senza ritorno sul Pianeta Rosso

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■ 39

DOMENICA 28 APRILE 2013

MISSIONIRIUSCITE

1971 MARINER 9

Dopo altre nove

missioni fallite

(sei dall’Urss)

gli americani

entrano

nella sua orbita

1964 MARINER 4

Dopo cinque

tentativi sovietici

falliti quella Usa

fu la prima sonda

a sorvolare

Marte

LA TAZZA

LA FELPA

LA MAGLIETTA

1996 PATHFINDER

Fu la prima

a trasportare

un rover

per l’analisi

del suolo

e delle rocce

Parte la seconda

missione,

la colonia marziana

inizia a ingrandirsi

Entro il 2035

sarà abitata

da quaranta parsone

-128 GRADI CENTIGRADI

-60 GRADI CENTIGRADI

30 GRADI CENTIGRADI

60 GRADI CENTIGRADI

0.38 G

1G*

27,9 CHILOGRAMMI

75 CHILOGRAMMI

L’ORTO

IL SOGGIORNOLA CUCINA

IL MAGAZZINO

Viene ultimata

la base composta

da sei differenti

moduli. È stato

calcolato infatti

che siano necessari

tre anni

per approntarla

2021 LA BASE

2025 NUOVI ARRIVI

Il primo equipaggio raggiunge Marte. I volontari

si stabiliscono nei moduli abitativi. Ciascuno dei quali

è composto da una cucina, un soggiorno con divani

e super schermo, stanza da letto, magazzino e orto

2023 I MODULI ABITATIVI

Parte il primo

equipaggio,

quattro persone scelte

anche dal pubblico

nel corso

degli show televisivi

Il viaggio di sola

andata durerà un anno

2022 I VOLONTARI

LE STANZE DA LETTO

FORZA DI GRAVITÀTEMPERATURA MASSIMATEMPERATURA MINIMA

Se hai un miliardo di telespettatorii sei miliardi di dollari necessariper la colonizzazione non sono poi così tanti‘‘ Bas Lansdorp Ideatore del progetto Mars One

PESO DI UNA PERSONA

* un “G” corrisponde

a un’accelerazione di 9.8 m/s2

GADGET SHOW

1975 VIKING 1

Tappa storica:

la sonda Usa

invia le prime

immagini

del pianeta

È ancora in orbita

2012 CURIOSITY

L’ultimo rover

americano

è stato lanciato

per indagare

se c’è vita

su Marte

Repubblica Nazionale

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I saporiFatti in casa

C’era una volta pane-burro-marmellata, magico trio ca-pace di scatenare l’acquoli-na in bocca e far abbandona-re i giochi — tra un baffo zuc-cherato sul labbro e l’ineli-

minabile fastidio delle dita appiccicose — ultimobaluardo sanamente goloso, spazzato via da on-date successive di merendine confezionate. Unapiccola rivoluzione alimentare su cui l’industriaha investito con successo crescente, fino all’eli-minazione totale del fai-da-te di metà pomerig-gio, in favore dei fagottini imprigionati nel cel-lophane. Naturalmente, non di solo pane-burro-

zucchero vivevano gli intermezzi famelici deibambini. Fin da piccini, la scelta tra dolce e salatoschierava gli infanti in contrapposizione saporitafra i cultori del krapfen e gli ardimentosi di burroe acciughe. Generazioni di allievi di elementari emedie sono cresciuti sapendo che masticare lasofficezza burrosa di una brioche o la fragrantecarnalità di un panino alla mortadella faceva unabella differenza, prolungata dalla scelta di cosabere tra un morso e l’altro, cioccolata calda oaranciata, tè o gazzosa. Una sorta di comfort foodin formato mignon che sapeva tacitare lo stoma-co e far gongolare il palato, prima di finire i com-piti e in attesa della cena. E in caso di temporaneo,scarso appetito, non c’era genitore che si sot-traesse al fortunato sacrificio di finire la merendain vece del figlio.

Il rito è cambiato molto, costretto nei ritmi ac-celerati dei pomeriggi fatti di compiti e piscina,scuola d’inglese e lezioni di judo, con mamme epapà in fuga affannosa dagli uffici o incollati al cel-lulare per dare istruzioni a nonne e tate. Un elen-co infinito di ingredienti, così vistosamente arduida leggere nelle pieghe delle confezioni, ha sosti-tuito i pochissimi di un tempo. Creazioni a provadi tabella nutrizionale per gli adulti di domani. Fa-cili e comodi. Non necessariamente più econo-mici, né più salutari.

Così, tra il prolungarsi avvilente della crisi eco-nomica e gli allarmi ravvicinati sul numero cre-scente di preadolescenti supersize — l’ultimo èdatato martedì — l’idea di recuperare le merended’antàn ha cominciato ad animare piccoli localidedicati e trasformare quelli che avevano da tem-po abdicato al rito della focaccetta farcita. Com-plice l’inarrestabile diffusione del biologico, nic-chia in controtendenza in tempi di taglio dellaspesa alimentare, mele e sandwich di pane scurosono tornati a far capolino dagli zaini e sui banco-ni dei bar insieme al piacere di una fetta di crosta-ta fatta come-dio-comanda, di un rettangolo difocaccia deliziosamente unta (lievito madre edextravergine d’obbligo), di una fetta di buon pro-sciutto avviluppata su un grissino croccante.

Più che la riproposizione di gusti retrò, il far dinecessità virtù, tornando a scegliere il cibo inve-ce che subirlo. Se trovate del buon pane (o fateloin casa, le macchinette aiutano assai), spalmate-lo con la crema di pistacchi di Corrado Assenza ocon il bio stracchino delle Cascine Orsine, affon-date i denti e chiudete gli occhi. I compiti, riman-dateli a domani.

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LICIA GRANELLO

LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 28 APRILE 2013

Generazioni di bambini cresciuticon le brioche confezionateMa ora, tra crisie consapevolezze alimentari,a metà pomeriggiorispuntano mele,crostate e focacce

Merendala Rivincitadella

A grande richiesta pane e marmellata

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Gli indirizzi

ClassicaLa confettura

di frutti rossi

spalmata sul pane

è la classica

merenda casalinga

da accompagnare

a una bevanda calda

o a una spremuta

Pane e...Bianco o integrale,

il pane è il supporto perfetto

per burro e zucchero,

oppure olio, aceto e sale,

passando per i fruttini Zuegg

e l’estratto di carne Liebig

BruschettaPane casareccio,

un poco raffermo

e ben abbrustolito,

condito con extravergine

e sale grosso,

o strofinato con pomodoro

PaninoBaguette, rosetta, bocconcino,

meglio se ancora caldi,

imbottiti con salame,

mortadella, formaggio,

frittata, verdure,

fino alla poderosa cotoletta

Salamedi cioccolatoImpasto irresistibile

di biscotti sbriciolati, burro,

zucchero, cacao

e qualche goccia di rum,

raffreddato e tagliato a fette

GelatoÈ la scelta più sana

- a patto che gli ingredienti

siano latte, frutta, zucchero -

ma anche il trionfo di cornetti,

mottarelli (antesignani

del Magnum) e coppette

ToastDa addentare caldissimo

Pan carré sbordato,

fontina filante e prosciutto

cotto senza polifosfati

Il più croccante,

lievemente spalmato di burro

BriocheIl simbolo delle paste lievitate

(bombolone, croissant...)

cotte al forno oppure fritte

Vuota o con una farcitura

di crema, confettura,

oppure cioccolato

CrostatinaVersione mignon

della classica frolla

con marmellata

Un guscio di pasta

per farciture di ricotta, ganache

di cioccolato, tocchetti di frutta

Biscottodella SaluteDalla ricetta targata Wamar

al Lagaccio di Genova,

la sintesi di fetta biscottata

e biscotto. Sopra,

confettura o crema di nocciole

TramezzinoMorbido pan carré

tagliato a triangolo ,

farcito con tonno e carciofini,

pomodoro e uova sode,

burro e acciughe,

insalata di pollo

FocacciaVenduta a tranci

in due versioni:

alta e spugnosa

o bassa e croccante

Sottilissima con stracchino

quella tipica di Recco

■ 41

DOMENICA 28 APRILE 2013

TorinoM** Bun

Via Rattazzi 4

Tel. 011-19704606

MilanoPavè

Via Casati 27

Tel. 02-94392259

Arzignano (Vi)Damini

Macelleria&Affini

Via Cadorna 31

Tel. 0444-452914

ParmaPepen

Borgo Sant'Ambrogio

2/C. Tel. 0521-282650

BolognaPane burro & wifi

via Tiarini 1/C

Tel. 366-3665855

FirenzeIno

via dei Georgofili 3

Tel. 055-219208

RomaLa Santeria

Via del Pigneto 213

Tel. 06-64801606

NapoliAnhelo

via Bisignano 3

Tel. 081-402432

Avellino Ghi Caffè

Via Amabile 19/B

Tel. 0825-1911605

Altamura (Ba)Panificio

Ninivaggi

Via Torino 36

Tel. 080-3115852

Se penso alla mia generazione, risulta fin troppo evidente che quand’erano le nonne a occu-parsi delle nostre merende l’educazione alimentare e al gusto fosse una cosa naturale e auto-matica. Il che rendeva quasi superfluo il tema, oggi invece scottante, del suo essere affrontata

nelle scuole o da soggetti terzi. Le nonne con amorevolezza e sensibilità aiutavano noi bambini asuperare i piccoli pregiudizi alimentari, a fare le prime esperienze gustative importanti, a nutrirciin maniera sana.

Cibo, gusto, memoria e affettività sono collegati profondamente e diventano un marchio inde-lebile per chi ha potuto godere dei suoi primi rudimenti gastronomici accompagnato dai gesti del-la propria grand-mère. Mi ritengo fortunato a essere passato da questa scuola, per merito di mianonna paterna. Le dedico alcune pagine in un recente libretto, Zuppa di latte (Slow Food Editore),nelle quali non ho potuto dimenticare il pane — lusso ritrovato nel secondo dopoguerra — che neigiorni di festa a merenda si arricchiva di una spalmata di burro fresco e di una spolverata di zuc-chero. Capisco soltanto ora quale fosse il valore di quei prodotti per una generazione, come quelladella madre di mio padre, che li aveva visti contingentati e che finiva con il sognarseli la notte.

Un marchio nella mia memoria sensoriale, semplice e prezioso, il cui gusto, riprovato oggi, ri-manda inevitabilmente alla cucina spartana in cui passavo i miei pomeriggi, accanto al potagé, lastufa a legna per cucinare, uno degli oggetti di design più riusciti del Ventesimo secolo. Non so quan-ta poesia si mescoli alla realtà di un ricordo, ma sta di fatto che il mio palato e la mia fame erano sta-ti educati da una nonna: beati i bambini che oggi possono ancora contare sui gesti di una semplicepreparazione come pane e burro, piuttosto che della consegna frettolosa di un pacchettino colo-rato da scartare e di cui ingurgitare il contenuto.

Io, la nonna e un vecchio potagéA tavola

CARLO PETRINI

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Repubblica Nazionale

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con sua moglie e il figlio piccolo,quando vide dei ragazzi che insulta-vano un mendicante. Intervenne insua difesa, ma i ragazzi riconobberoun accento straniero, e poi l’intona-zione da “meridionale” bavarese disua moglie: gli insulti si moltiplicaro-no, stavolta contro di loro. «La xe-nofobia è una minaccia seria, forsepiù che in Italia o in Francia», dice.

Lo provoco sul terreno che gli è piùcongeniale, la musica. Qual è l’operache cattura meglio lo spirito tedesco?«I Maestri cantori di Norimberga diWagner — risponde — perché con-densa l’anima della Germania nellasua dimensione buona e meno buona.Heine e Heidegger, insomma: la spiri-tualità amorevole di Heine, la forza diHeidegger al servizio di un’ideologiamalefica. Nei Maestri cantori c’è la te-stardaggine di chi vuole basare la so-cietà su una virtù assoluta, inconfuta-bile». Stessa domanda per noi: l’operache meglio descrive l’Italia eterna? «Si-mon Boccanegra di Verdi: fazioni, liti-gi, intrighi…». E se dovesse provare amettere d’accordo Germania e Italia,con quale musica lo farebbe? «LaSinfonia fantastica di Berlioz: c’è den-tro qualcosa del romanticismo tede-sco, e un po’ della gioia sfrenata di cuisiamo capaci noi italiani». Ha scelto uncompositore francese. Che vi dicevo:un gran diplomatico.

— dice — eppure è difficile immagina-re un luogo che sia più agli antipodi diManhattan. Arrivarci da New York èuno shock culturale, ma benefico. An-che nella sua ristrettezza, nella soprav-vivenza del dialetto, nella conserva-zione del paesaggio e dell’architettura,Camogli ci sembra un piccolo scrignodi valori solidi».

Luisi per la sua storia italo-tedesca èun osservatore speciale del rapportotra questi due paesi. Una relazione cheraramente è stata così tormentata co-me in questi tempi. Perfino una brevevacanza pasquale di Angela Merkel aIschia è stata trasformata in occasionedi polemiche velenose tra noi e loro.(Non siamo gli unici: a Cipro dopo ilcontroverso salvataggio bancario so-no apparsi manifesti con la Merkeltruccata da Hitler. Dalla Grecia allaSpagna, l’intera Europa mediterraneaè percorsa da furori anti-tedeschi. Benricambiati).

«Conosco bene — dice Luisi — laGermania della Merkel. Quella dell’E-st, e quella dell’Ovest, ancora duepaesi molto diversi: e forse ci vorran-no venticinque anni perché la lororiunificazione sia compiuta. Per capi-re l’animo tedesco di oggi bisogna ri-salire agli anni Cinquanta, alla scon-fitta, all’imposizione delle potenze al-leate che dettarono alla Repubblicafederale la sua Costituzione demo-cratica e federale, insieme con il ruo-lo dei sindacati. Mio suocero avevaquindici anni quando finì la guerra, ericorda una Germania in cui si facevala fame. Quel che sono riusciti a fare ènotevole: sono tornati a essere il nu-mero uno europeo, e tra le prime po-tenze economiche mondiali. Di sacri-fici, loro ne hanno fatti tanti. Canaliz-zando le loro virtù antiche come la te-nacia e la precisione, hanno anche co-struito uno Stato sociale avanzato,senza soffocare l’impresa e il liberomercato. Io mi levo tanto di cappello.Il lato negativo, è anch’esso tipico del-la storia tedesca: la fiducia in sé, la fe-de nei propri valori, può essere scam-biata per arroganza».

Ci sono dei demoni sempre in ag-guato, e Luisi li ha visti in faccia. Miracconta un episodio che lo ferìprofondamente qualche anno fa. ADresda, era a spasso una domenica

Per gli americani Luisi è un fenome-no singolare anche sotto il profilo lin-guistico e musicale. Italiano, ma conun curriculum germanico-wagneria-no di primissimo ordine. Conducendole prove d’orchestra al Met esordì nel2005 e fece subito scalpore per un in-glese perfetto, condito solo da una leg-gera intonazione… tedesca. Eppure isuoi legami con l’Italia sono solidi. Al-la Scala ha già diretto Manon e torneràa dirigere il Don Carlo. Soprattutto,sente il richiamo delle sue radici liguri.Di recente ha comprato un apparta-mento a Camogli. (Confessione perdovere di trasparenza: ci unisce un’an-tica fedeltà al ristorante “Rosa”, conterrazza panoramica sul porticciolo,caro anche a Piero Ottone). «Mia mo-glie e io siamo innamorati di Camogli

LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 28 APRILE 2013

Ha preso il posto che fu di ArturoToscanini, ma non per questo il nuovo direttore d’orchestradel Metropolitan Opera di New Yorksi è montato la testa. E appena può

si rifugia nella casa di Camogli. Genovese di nascita, wagneriano di formazione, ha una sua ricetta:“Cerco di essere

una persona normaledifendendo dall’anormalitàdell’arte la mia esistenzapiccolo borghese”

NEW YORK

Esiste un direttore d’or-chestra che non ha un egosmisurato, e io l’ho incon-trato. Fabio Luisi, geno-

vese di cinquantaquattro anni, occu-pa un posto di raro prestigio. È di fattoil direttore principale al MetropolitanOpera di New York. «Un teatro di leg-genda» dice Luisi, e aggiunge di sentir-si «onorato di occupare un ruolo che fudi Arturo Toscanini un secolo fa». Chenon si sia montato la testa, però, lo di-mostrano gli elogi molto speciali chegli ha tributato il New York Times. Lui-si si è guadagnato il rispetto di AnthonyTommasini, il gran sacerdote della cri-tica musicale newyorchese, per l’im-peccabile qualità del suo lavoro (soloin questa stagione, Luisi ha diretto alMet con grande successo Un ballo inmaschera, Aida, Les Troyens e il ciclowagneriano de L’Anello del Nibelun-go). Ma del maestro italiano viene ap-prezzata anche un’altra dote, poco co-mune nel mondo della lirica: la diplo-mazia. Luisi è stato chiamato a NewYork per una vera e propria “missionimpossible”. La sua nomina nel 2011come direttore principale dovevariempire un vuoto creato dalla malat-tia del settantenne James Levine, il ve-nerato direttore d’orchestra america-

no la cui storia s’identifica con l’ascesadella fama mondiale del Met negli ulti-mi decenni. Un personaggio ingom-brante, che malgrado i problemi di sa-lute non si rassegna a dare l’addio fina-le. E infatti il compito assegnato a Lui-si è delicato: sostituire Levine senzaeliminarlo, lasciandogli la possibilitàdi tornare a dirigere di tanto in tanto, see quando la salute glielo consente.Non molto conosciuto fuori dagli Sta-ti Uniti, Levine è un mostro sacro nellasua casa madre newyorchese. Luisigliene dà atto con fair play: «Levine vaammirato — dice il maestro italiano —per la dedizione a questo teatro, a cuiha consacrato tutta la sua vita. Fu no-minato direttore musicale qua-rant’anni anni fa, da allora ha fatto unlavoro impressionante: ha rafforzatol’orchestra, ha reso meravigliosamen-te efficiente la macchina organizzativadelle prove, ha consolidato il reperto-rio verdiano e quello wagneriano».

Un maestro che «non ha problemi diego», come il New York Times ha defi-nito Luisi, è un animale raro in questoambiente. Lui si spiega così: «Ho un’al-tra vita, fuori dall’opera. Ho semprecercato di non essere monomaniaca-le. La musica sarà sempre la mia gran-de passione, mi è difficile immaginareuna vita senza di lei. Però per sentirmicompleto ho bisogno di altre cose digrande valore: mia moglie, l’educazio-ne dei miei figli, l’interesse per la so-cietà che mi circonda. Cerco di essereuna persona normale, e così facendooscillo, in bilico tra una vita piccoloborghese e un’arte che è l’antitesi diquesta normalità».

La vita familiare non ha mai volutosacrificarla, o confinarla su un binarioparallelo. Non è stato facile. Cresciutomusicalmente nel mondo germanico,Luisi è stato direttore principale del-l’opera di Dresda e poi di Zurigo (lo ètuttora), nonché direttore dell’orche-stra sinfonica a Vienna. Vanno aggiun-ti altri traslochi a Ginevra, Lipsia, infi-ne New York (a più riprese): in tutto do-dici sedi di lavoro diverse in quindicianni «e sempre con la famiglia al se-guito, mai da solo». Sua moglie, bava-rese, è violinista e fotografa. Dei tre fi-gli, uno è un fisico, uno frequenta la fa-coltà di medicina, solo il terzo (quindi-ci anni) studia pianoforte.

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L’incontroMaestri

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In Wagner c’è l’animatedesca, nel SimonBoccanegra di Verdi tutto

lo spirito italianoPer farli andared’accordo ci vorrebbe un francese: Berlioz

Fabio Luisi

FEDERICO RAMPINI

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Repubblica Nazionale