UomoIntervista a Craig Venter - La...

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DI REPUBBLICA DOMENICA 31 MARZO 2013 NUMERO 421 CULT La copertina SIMONETTA FIORI e MASSIMO RECALCATI Perché scriviamo leggiamo e vendiamo il nostro dolore Il libro SUSANNA NIRENSTEIN La saga pacifista stile Buddenbrook del meno famoso dei fratelli Singer All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Franco Zeffirelli “Io, la Callas e il mio primo amore partigiano” Il teatro ANNA BANDETTINI I due Servillo e le maschere della cattiva coscienza L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo Il gioco del calcio visto da de Staël Roberto Bolaño un paio di occhiali e infiniti fogli L’archivio JAVIER CERCAS e RICCARDO IORI ELENA DUSI I l 28 febbraio del 1953, benché fosse sabato, il ventitreenne James Wat- son si recò in laboratorio la mattina presto, ed ebbe l’intuizione della sua vita: rimescolando i quattro ti- pi di tessere di un puzzle tridimen- sionale di cartone sul quale stava lavoran- do, che corrispondevano alla struttura chimica delle quattro lettere dell’alfabeto del Dna, si accorse che esse combaciava- no perfettamente a coppie. A metà mattina il trentasettenne Fran- cis Crick raggiunse il compagno di ricerca, e comprese immediatamente che la sua scoperta significava che il Dna aveva una struttura a doppia elica, costituita da due catene di lettere orientate in direzione op- posta. All’ora di pranzo i due si recarono al loro solito pub, l’Eagle, e Crick annunciò modestamente ai commensali che, insie- me a Watson, aveva appena scoperto “il segreto della vita”. Fin dalle origini della sua storia coscien- te l’uomo aveva infatti cercato di rispon- dere alla domanda più fondamentale che poteva porsi: “Cosa c’è di misterioso, ma- gico, o addirittura divino, nella vita?” (segue nelle pagine successive) PIERGIORGIO ODIFREDDI DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI L’ LADOMENICA Sessant’anni fa due scienziati scoprivano in una doppia elica il segreto della vita Oggi il loro erede lancia una nuova sfida: “Avremo un Dna creato al computer” Intervista a Craig Venter Uomo che verrà L’ Roma è Las Vegas viaggio al neon tra gli slot people L’attualità WALTER SITI S essant’anni anni fa la nostravi- ta ha preso la forma di una doppia elica. La molecola del Dna apparve davanti agli oc- chi di James Watson e Francis Crick nel 1953 in un laborato- rio di Cambridge, e il 25 aprile di quell’an- no la scoperta fu pubblicata su Nature. Og- gi alla molecola che è il fulcro di ogni forma vivente sulla Terra sono affidate molte speranze. Tra quanti hanno visto più lon- tano di altri c’è lo scienziato americano Craig Venter. Il coautore del sequenzia- mento del Dna umano, oggi dirige l’Istitu- to che porta il suo nome e che raccoglie cin- quecento studiosi. Tre anni fa annunciò la creazione della prima forma di vita artifi- ciale: un batterio (battezzato Synthia) che vive grazie a un Dna sintetizzato comple- tamente in laboratorio. Non contento del- le controversie suscitate in quell’occasio- ne, ci preannuncia una nuova scoperta. Intanto, come sta Synthia? «Bene, stiamo realizzando un nuovo esemplare. Entro l’anno faremo un altro annuncio». (segue nelle pagine successive) FOTO SCIENCE PHOTO LIBRARY

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DIREPUBBLICA DOMENICA 31MARZO 2013NUMERO 421

CULT

La copertina

SIMONETTA FIORIe MASSIMO RECALCATI

Perché scriviamoleggiamoe vendiamoil nostro dolore

Il libro

SUSANNA NIRENSTEIN

La saga pacifistastile Buddenbrookdel meno famosodei fratelli Singer

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Franco Zeffirelli“Io, la Callase il mio primoamore partigiano”

Il teatro

ANNA BANDETTINI

I due Servilloe le mascheredella cattivacoscienza

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondoIl gioco del calciovisto da de Staël

Roberto Bolañoun paio di occhialie infiniti fogli

L’archivio

JAVIER CERCASe RICCARDO IORI

ELENA DUSI

Il28 febbraio del 1953, benché fossesabato, il ventitreenne James Wat-son si recò in laboratorio la mattinapresto, ed ebbe l’intuizione dellasua vita: rimescolando i quattro ti-pi di tessere di un puzzle tridimen-

sionale di cartone sul quale stava lavoran-do, che corrispondevano alla strutturachimica delle quattro lettere dell’alfabetodel Dna, si accorse che esse combaciava-no perfettamente a coppie.

A metà mattina il trentasettenne Fran-cis Crick raggiunse il compagno di ricerca,e comprese immediatamente che la suascoperta significava che il Dna aveva unastruttura a doppia elica, costituita da duecatene di lettere orientate in direzione op-posta. All’ora di pranzo i due si recarono alloro solito pub, l’Eagle, e Crick annunciòmodestamente ai commensali che, insie-me a Watson, aveva appena scoperto “ilsegreto della vita”.

Fin dalle origini della sua storia coscien-te l’uomo aveva infatti cercato di rispon-dere alla domanda più fondamentale chepoteva porsi: “Cosa c’è di misterioso, ma-gico, o addirittura divino, nella vita?”

(segue nelle pagine successive)

PIERGIORGIO ODIFREDDI

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LA DOMENICASessant’anni fa due scienziatiscoprivano in una doppia elicail segreto della vitaOggi il loro eredelancia una nuova sfida: “Avremo un Dnacreato al computer”Intervista a Craig Venter

Uomoche verràL’

Roma è Las Vegasviaggio al neontra gli slot people

L’attualità

WALTER SITI

Sessant’anni anni fa la nostravi-ta ha preso la forma di unadoppia elica. La molecola delDna apparve davanti agli oc-chi di James Watson e FrancisCrick nel 1953 in un laborato-

rio di Cambridge, e il 25 aprile di quell’an-no la scoperta fu pubblicata su Nature. Og-gi alla molecola che è il fulcro di ogni formavivente sulla Terra sono affidate moltesperanze. Tra quanti hanno visto più lon-tano di altri c’è lo scienziato americanoCraig Venter. Il coautore del sequenzia-mento del Dna umano, oggi dirige l’Istitu-to che porta il suo nome e che raccoglie cin-quecento studiosi. Tre anni fa annunciò lacreazione della prima forma di vita artifi-ciale: un batterio (battezzato Synthia) chevive grazie a un Dna sintetizzato comple-tamente in laboratorio. Non contento del-le controversie suscitate in quell’occasio-ne, ci preannuncia una nuova scoperta.

Intanto, come sta Synthia?«Bene, stiamo realizzando un nuovo

esemplare. Entro l’anno faremo un altroannuncio».

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la Repubblica

(segue dalla copertina)

Ci dia un indizio.«Non posso dirle di più. Cisiamo sempre chiesti sefosse possibile progettareun essere vivente al com-puter, partendo da zero. Il

Dna architettato dal calcolatore poi an-drebbe assemblato in laboratorio. E al-la fine non resterebbe che vedere se quelgenoma fa funzionare un essere viven-te. Una cellula per esempio».

La vita nata dal silicio. E nel frattem-po dove è finita Synthia?

«In frigorifero. Per noi rappresentavaun esperimento pilota. È stata impor-tante per dimostrare che il metodo fun-ziona, ma era solo un risultato prelimi-nare per passare alla fase successiva».

Immaginiamo di trovare vita suMarte. Si aspetta sia basata sul Dna?

«Tutta la vita, così come la conoscia-mo, è basata sul Dna. E la composizionechimica dell’universo è simile a quelladella Terra. Mi aspetto senz’altro di tro-vare vita altrove nell’universo. Non cre-do che sia evoluta come la nostra, per-ché il percorso dell’uomo ha seguitotappe rapide. Probabilmente sarà solovita microbica, ma la sua chimica la im-magino effettivamente basata sul car-bonio e su informazioni contenute e tra-smesse dal Dna».

Quindi sapremmo interpretare unaeventuale vita extraterrestre.

«Non sarebbe neanche necessarioportare sulla Terra dei campioni di Dnamarziano. Organizzare un trasporto si-mile richiederebbe razzi da miliardi didollari, noi invece potremmo usare ap-parecchi per il sequenziamento geneti-co direttamente su Marte o sul pianetain questione, per poi spedire le informa-zioni in forma digitale sulla Terra. A quelpunto nulla ci impedirebbe nemmenodi ricreare un marziano in laboratorio».

Sessant’anni fa abbiamo osservatoper la prima volta il Dna. Da allora la

sua struttura a doppia elica è diventatal’icona della vita. Riusciremmo a im-maginare una forma diversa?

«Non credo che una tripla o quadru-pla elica funzionerebbero. E penso chela scienza abbia vissuto negli ultimi ses-sant’anni il periodo più straordinariodell’umanità. Nel 1953, quando Watsone Crick (anche sulla base dei dati di Ro-

salind Franklin) pubblicaro-no lo studio sulla doppia eli-

ca, l’idea che il Dna fosse il re-sponsabile dell’eredità geneti-

ca non si era ancora affermata deltutto. La scoperta era avvenuta

una decina di anni prima, manon tutti gli scienziati eranoconvinti. Alcuni credevanoche le informazioni biologi-

che passassero attraverso le proteine».Il Dna è stato usato per immagazzi-

nare libri, musica, immagini. Nel geno-ma di Synthia avete inserito dei passidell’Ulisse di Joyce. La molecola dellavita potrà essere usata come una bi-blioteca di Alessandria in miniatura?

«La natura usa il Dna da quattro mi-liardi di anni per immagazzinare infor-mazioni. Il metodo non ha rivali. Il ge-noma però ha permesso l’evoluzionedelle specie viventi attraverso mutazio-ni che, occasionalmente, creano uncambiamento in un organismo. Perquesto è necessario che il Dna non siacompletamente stabile e consenta ognitanto degli errori. Non vorrei che il codi-ce del mio conto in banca fosse conser-vato in una molecola simile».

La biologia sintetica, ovvero la capa-cità di creare Dna artificiale in labora-torio, potrà risolvere alcuni dei proble-mi dell’umanità?

«Ci consentirà di continuare ad avereacqua pulita, nuove fonti di nutrimentoed energia, vaccini, medicine e metodiper riciclare l’anidride carbonica. Ab-biamo iniziato dalle alghe. Lavorandosul loro Dna riusciamo a indurle a pro-durre proteine, acidi grassi omega tre,antiossidanti più potenti degli attuali.Per affrontare il problema dell’inquina-mento, possiamo aumentare la capa-cità delle alghe di catturare anidridecarbonica dall’atmosfera, o spingerle aprodurre combustibili puliti. Abbiamoallo studio una nuova biologia che cipermetterà di produrre bottiglie di pla-

La copertinaL’uomo che verrà

ELENA DUSI

LA PROVAIl processoa O.J. Simpson,nel 1995 rendepopolare l’uso del Dnacome prova

IL SEQUENZIAMENTONel 1990 partenegli Usa il progettoper eseguireil sequenziamentodel genoma umano

LA SCOPERTAIl 28 febbraio 1953James Watson e FrancisCrick osservanoche il Dna ha la formadi una doppia elica

ILLINOIS (USA). 1965

IL NOBELNel 1962 Watsone Crick ricevonoil Nobel. Dieci annipiù tardi si imparaa leggere il Dna

Le tappe

Craig Venter.Domani il Dna

Ha sequenziatoil genoma umanoe tre anni fa annunciòla creazionedel primo essere viventein laboratorio

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DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

stica partendo dall’anidride carbonicaanziché dal petrolio».

Non avremo più bisogno di agricol-tura, pesca o allevamento?

«Fra dieci anni la popolazione mon-diale sarà aumentata di un miliardo dipersone. Immaginiamo di aggiungereun’altra Cina al nostro pianeta. Ci ac-corgeremo che non riusciremo a pro-durre cibo per tutti senza esaurire le ri-sorse naturali. Già gli oceani sono in sof-ferenza per l’eccesso di pesca. Dobbia-mo inventare altre tecniche per nutrir-ci, altrimenti cancelleremo tutte le altreforme di vita dal pianeta».

Tre anni fa avete avviato una colla-borazione da 600 milioni di dollari conExxon Mobil per produrre biocarbu-rante dalle alghe. I risultati però non so-

no stati quelli sperati. Come mai?«Abbiamo perso tempo a dimostrare

quel che poteva essere intuito fin dall’i-nizio: la quantità di carburante prodot-to dalle alghe per via naturale è troppobassa. La tecnica non diventerà maieconomica. Da quando abbiamo ini-ziato a usare la biologia sintetica permodificare il Dna degli organismi vege-tali i passi avanti si stanno vedendo. Sia-mo riusciti a migliorare l’efficienza trevolte rispetto alla fotosintesi naturale.Abbiamo testato le nostre alghe sia nel-la serra dell’Istituto sia in alcuni laghet-ti che abbiamo creato all’aperto».

Una delle applicazioni sta invece ri-voluzionando i vaccini.

«Il primo vaccino nato dalla geneticaè stato approvato pochi mesi fa in Euro-

pa. Lo ha ottenuto per la Novartis pro-prio uno scienziato italiano, Rino Rap-puoli. Serve a combattere un ceppo dimeningite e ci abbiamo lavorato insie-me a partire dal 1997. Quell’anno il no-stro team completò il sequenziamentodel genoma del batterio che causa lamalattia, il meningococco B. Usando glistrumenti della bioinformatica, indivi-duammo quali frammenti del genomasono meno soggetti alla pressione evo-lutiva. Essendo porzioni di Dna stabili,possono fornire un bersaglio fisso per ilfarmaco. Rappuoli e i suoi ricercatorihanno creato e testato un vaccino capa-ce di colpire questi bersagli. Per la primavolta nella storia un vaccino è stato pro-dotto partendo non dal microrganismoresponsabile della malattia, ma solo

dalla sequenza del suo Dna. Stiamo ap-plicando la stessa tecnica contro l’in-fluenza. Siamo in grado di produrre unagente immunizzante in meno di dodi-ci ore, mentre con il metodo tradiziona-le occorrono alcuni mesi».

Allora non è vero che la genetica nonè utile alla vita quotidiana.

«Questo dimostra però quanto il tem-po sia importante. I passi avanti non av-vengono nel giro di una notte. Sono pas-sati quindici anni da quando abbiamosequenziato il meningococco all’intro-duzione del farmaco in Europa».

Lei crede che l’eredità genetica contidi più rispetto all’ambiente?

«Lo credo per una cellula, non sonoconvinto che sia così anche per un esse-re umano».

Tredici anni fa, quando fu completa-to il sequenziamento del Dna umano,ci venne promessa una cura per moltemalattie. Perché non è avvenuto?

«Alcuni scienziati hanno fatto troppepromesse a quel tempo».

Sequenziati i geni dell’uomo, ci ave-te detto che c’era da capire il ruolo delDna non racchiuso nei geni. Poi avetestudiato cosa accende e spegne i geni.Ora dite che anche il Dna dei batteri chevivono in simbiosi con noi gioca unruolo importante per la salute. Non fi-nirete mai di spostare l’asticella più inalto? Non si rischia così di illudere chiha bisogno di cure?

«Proviamo a pensare ai numeri dellavita umana. Cento trilioni di cellule,duecento trilioni di batteri. Possiamosperare un giorno di reincarnarci inun’ameba o in un batterio, e in questocaso la vita sarebbe più semplice. Manon credo che l’idea ci tenterebbe. Sve-lare la complessità è il mestiere dellascienza. Se pensiamo ai progressi degliultimi cento anni c’è da restare stupe-fatti. Un secolo fa medicina e biologiaquasi non esistevano. Oggi più cono-sciamo, più disponiamo di strumentiper fare progressi. Come si fa a non es-sere ottimisti?».

(segue dalla copertina)

Ela risposta che Wat-son e Crick avevanoappena trovato era:

“Niente!”. La vita risultavainfatti non essere altro che ilprodotto di normali proces-si fisici e chimici, e per spie-garla non era neppure statonecessario inventare unanuova scienza, come qual-cuno aveva supposto o te-muto: bastava quella chec’era già.

Per metabolizzare una si-mile risposta, che ci dovreb-be finalmente liberare dallamitologia che per millenniha avvolto nelle sue nebbiemetafisiche il problemadella vita, ci vorranno de-cenni. Lo dimostrano, peresempio, le parole con cui ilpresidente Clinton annun-ciò dalla Casa Bianca, il 26giugno 2000, il completa-mento della prima bozzadel genoma umano: «Oggiapprendiamo il linguaggiocon il quale Dio creò la vita».E lo dimostrano le mille po-lemiche che accompagna-no il Dna in ogni sua mani-festazione, dagli Ogm allestaminali. In attesa che l’oradi Dna sostituisca, o almenosi affianchi, all’ora di reli-gione nelle scuole, la storiadelle conquiste teoriche dimezzo secolo di biologiamolecolare, e il ventagliodelle applicazioni praticheche la conoscenza del Dnaha reso possibili, si possonoleggere in uno dei più bei li-bri di divulgazione scientifi-ca di questi anni: Dna. Il se-greto della vita (Adelphi,2004), che Watson stesso hascritto per celebrare il cin-quantenario della sua sco-perta, e ora ha aggiornatoper celebrarne il sessante-nario. Watson e Crick rice-vettero il Nobel per la medi-cina nel 1962, e la doppia eli-ca contribuì a portare il Dnaalla ribalta. A scanso di equi-voci, l’idea che la molecolafosse costituita da un’elicanon era affatto nuova: ilgrande chimico Linus Pau-ling, vincitore di ben dueNobel (chimica e pace),aveva annunciato proprionel 1953 un modello a triplaelica, poi risultato sbagliato.Anche Maurice Wilkins eraconvinto che si trattasse diun’elica, e cercò di determi-narla non mediante model-li, come Watson e Crick, maattraverso la diffrazione araggi X: le foto del suo labo-ratorio fornirono una con-ferma della struttura, eWilkins condivise con loro ilpremio Nobel nel 1962.

Ora, come direbbe Tho-mas Eliot, quella che sem-bra la fine della storia è inve-ce soltanto un inizio. Ad at-tendere la biologia moleco-lare sono infatti i tre grandiprogetti della genomica(comprendere la funzionedei singoli geni e la loro azio-ne congiunta), della proteo-mica (sequenziare e studia-re le proteine) e della tra-scrittomica (determinarequali geni siano attivi in unadata cellula), con l’obiettivodi capire nei dettagli l’interomeccanismo della vita, dal-la prima cellula all’interoorganismo, per la maggiorgloria dello spirito umano.

PIERGIORGIO ODIFREDDI

LO SCIENZIATOIl biologo americanoCraig Venter sintetizzain laboratoriol’intero Dnadi un batterio: è il 2010

ALBUM DI FAMIGLIADalla middle class family americanaa quella triestina, fino ai gitaniirlandesi. Sfogliando i nostri albumdi famiglia un gesto, un sorriso,uno sguardo, ci ricordanoche abbiamo qualcosain comune: è il Dna

La vitae nient’altro

IL GENOMAQuello dell’uomoviene pubblicatonel 2000. Sette anni doposarà sequenziatol’intero Dna di Watson

LA CLONAZIONENel 1996 vieneclonata la pecoraDolly, il primomammifero riprodottoda cellula adulta

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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lo faremo al computer

“Oggi disponiamodi moltissimi strumentiper fare progressiCome si faa non essereottimisti?”

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LA DOMENICA■ 32DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

La Capitale ha il record delle sale giochiSi chiamano Dubai Palace, Royale, ManhattanStanno cambiando il panorama urbano e sociale delle periferieE così là dove doveva sorgere un grande polo tecnologicoè nato quello dell’azzardo. Viaggio di uno scrittore nell’Italia alla deriva

Il reportageNiente va più

Roma LasVegasLa lunga notte degli slot people

ROMA

«No, nun te cre-dere ch’è rici-claggio… cedev’esse ‘n gi-

ro d’egiziani… ‘o capisco da ‘e ragazze,so’ ‘e stesse… fanno ‘e cameriere ‘n piz-zeria e n’antro giorno ‘e ritrovi qua a ‘emacchinine… quelli se so’ creati ‘nafortuna co’ er ristorante de San Giovan-ni, e mo’ cercano da reinvestì…». Fa-bietto, il mio provvisorio Virgilio in que-sto giro per la Tiburtina, non dà pesoagli allarmi sulla presenza della malavi-ta organizzata, scommette piuttostosull’invasione degli immigrati. Che l’E-gitto c’entri qualcosa sembrerebbeconfermato dal bar di fronte, anch’essocon la sua piccola dotazione di slot: sichiama nientemeno che Cleopatra.Siamo al Las Vegas, una delle sale gio-chi, o casinò automatizzati, che si stan-no pian piano disseminando lungo laconsolare; involucro di alluminio ano-dizzato, tutto nero e rosso, con tante lu-ci e un poker d’assi gigantografato al-l’ingresso. Per arrivare qui (a un paio dichilometri dal ponte sulla ferrovia, zo-na Casal Bruciato più o meno) di postisimili ne abbia-mo già incontratidue: il Terry Belle il Manhattan.Ma erano piùmodesti, cupi econ un odore dichiuso, il classicoodore di disinfet-tante che si sentenei pornoshop, se-die girevoli di pelle eun solo gestore allacassa.

Qui al Las Vegasl’investimento èstato maggiore, allacassa c’è una cagliari-tana mora e carina cheassorbe le attenzioni diFabietto; ci spiega chele ragazze sono in tuttouna decina e che fan-no i turni perché la sa-la è sempre aperta (diceorgogliosa «acca venti-quattro») e che due vol-te al giorno passano condei piattoni di pasta gra-tuiti per i giocatori; an-

che ora, saranno le sei e mezza di sera,ce n’è una che gira con un vassoio di pa-nini e vol-au vent. La clientela è scarsa:qualche giostraio sbrancato («‘na voltaerano i zingari, mo’ se deve da dì rom»,così Fabietto), due o tre maghrebini af-faticati, una coppia italiana di mezz’etàche spinge i pulsanti senza dirsi una pa-rola. La mattina vengono gli studentiche fanno sega a scuola, il movimentovero c’è di notte. Oltre alle slot che ab-biamo visto negli altri due, qui c’è unaroulette automatica con limite di vinci-ta a duecento euro e la voce registrata diun croupier che traduce malamentedal francese («non va più») — e c’è an-che una consolle dove più tardi si in-stallerà il dee-jay.

Poco più avanti si trova il Royale, chesi vanta di essere il primo; razionale, so-brio nell’arredamento anzi astratto,così geometrico e asettico che assomi-glia ai locali che si vedevano su SecondLife. Ci meravigliamo che sia semivuo-to il venerdì e il gestore si giustifica cheè ora di cena, e in ogni caso il loro è untarget medio-alto, c’è gente che ci per-de anche due-tremila euro per volta.«Ha telefonato tu’ madre, te stava acercà», grida a un ragazzo che tanto me-dio-alto non sembra; poi si butta a la-mentarsi che le macchine restituisco-no per legge circa il novanta per cen-to di quello che inghiottono, del re-stante dieci lo Stato se ne piglia piùdella metà, e sul meno di cinque ci de-ve pagare il comodato d’uso — a luiresta un misero due, due e mezzo.

Con le semplici slot a monetine non siguadagna quasi niente, va un po’ me-glio con le Vlt, le video lottery che accet-tano banconote e carte prepagate, con-sentono vincite (o perdite) fino a cin-quemila euro e col jackpot cumulativonazionale fissato da un server remotopromettono un colpaccio da due o tre-centomila. “264, 460” lampeggia infattia intermittenza al centro della parete.Un mese fa uno ha vinto diciottomilaeuro (ma è diventato leggenda, tutte lesale sostengono che è successo da loro).«Ecco, ecco uno di quelli che giocanoforte», indica sollevato il gestore all’en-trare di un vecchietto pelato, giacca an-tiquata pied-de-poule; si specchia alvetro della roulette, pigia svogliato unnero pair et manque, perde subito dueeuro e se ne va.

Per arginare lo sconforto e il senso disquallore invito Fabietto a cena in unatrattoria di pesce; dopo proseguiamoverso l’incrocio col raccordo anulare,dove si favoleggia del nuovo Dubai Pa-lace, il più grande e il più fornito. Arri-vando troviamo in effetti un mare di au-to, un parcheggio sotterraneo enormee ben sorvegliato — e una struttura im-ponente, tutta illuminata d’oro, conlettering arabeggiante e il logo ossessi-vamente ripetuto della Palma, la famo-sa penisola artificiale di Dubai. Qui aigrandi saloni delle slot e alla zona rou-

lette si aggiunge la sala bingo, più un’a-la dedicata alle scommesse sportive(calcio internazionale e cavalli); c’è unampio ristorante con una piattaformaper musica dal vivo, cabaret, sfilate dimoda (“event room”, la settimana scor-sa un concorso di miss over Cinquan-ta). Schermi televisivi ovunque, più de-corativi che funzionali. «Intratteni-mento integrato» ci soffia all’orecchiouno dei proprietari e comincia ad affa-bulare la propria visione del mondo:era un imprenditore (rimane sul vago,«difesa, telecomunicazioni, biomedi-cale»), ma adesso nell’industria non cicrede più; al tempo degli scatoloni allaLehman Brothers se ne andò in Cina e lìsi è convinto che l’Europa è destinata adiventare un continente di camerieri —il futuro sta nel business del diverti-mento. Gli piacerebbe una sala per iltexas hold’em e una roulette coi crou-pier in carne e ossa, ma per quello nonha la licenza; ci mostra dei cartelli (a di-re il vero quasi invisibili) con avverten-ze sui rischi del gioco d’azzardo, assicu-ra di essere in contatto con un ludopa-ta a cui affidare i casi più pietosi di di-pendenza.

Via di nuovo verso l’ultima creaturadel gruppo, il Dubai Due dalle parti diSettecamini; qui il parcheggio è ancorain costruzione, troviamo posto per pu-ro bucio, perché uno sta uscendo, è giàmezzanotte. Ma traccheggia, non si de-cide, sicché scendiamo a sollecitare; ilguidatore grasso, sulla cinquantina, hamollato il volante e tiene le mani tra lecosce di una ragazza orientale — nonvoglio pensar male, magari è la fidanza-ta (ma Fabietto scettico “si je sganci ‘na

WALTER SITI TIBURTINAIl viaggionella nottedel giocoromana iniziadal ManhattanCafè,sulla viaTiburtina

le sale da giocoa Roma e provincia

440le sale da giocoin Italia

5milagli incassi in Italiada slot e bingo

4,7 mld

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la Repubblica

piotta quella se fidanza pure co’ tte”). Lasolita decorazione moresca, all’ingres-so una tabaccheria coi peluche e gliovetti kinder; più che un nido del viziosembra un autogrill. Tra i tavoli del ri-storante (menù pizza quindici eurocompresa bevanda), sotto gli occhi fa-melici di pochi e la stanca distrazione dimolti, si esibiscono “Les jeux sont faits”:tre ballerine e un ballerino che hannoperso da tempo la speranza di essereammirati. Per il venerdì successivo èannunciata l’esibizione di Khaled Jack-son “uno dei sette sosia ufficiali di Mi-chael al mondo”. Forse alle tre o allequattro del mattino l’atmosfera si faràlosca, forse accadrà qualcosa di inte-ressante; non ce la faccio ad aspettare,usciamo e non entriamo al Black JackCafé che sta quasi di fronte. Leggiamosolo un cartello sulla porta, “vietato sta-re in piedi dietro ai giocatori”.

Perché le slot non dipendono dall’a-bilità, ma solo dal caso, e se la macchi-

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netta è stata troppo avara è più facilestatisticamente che poi gratifichi ilnuovo arrivato, come i numeri in ritar-do alle ruote del lotto. In questo pelle-grinaggio che dura da sette ore, quel chemi ha colpito di più non è la trasforma-zione (segno dei tempi) della progetta-ta ottimistica Tiburtina Valley, polodell’informatica e dell’innovazionetecnologica, in una deprimente “gamevalley” di locali che si installano dovestanno chiudendo le falegnamerie, iblockbuster o la Alenia. Non è nemme-no la percezione acuta della crisi, cheporta i più disperati ad affidarsi alla sor-te, come se un’intera strada potessefunzionare da spropositato gratta-e-vinci. A colpirmi è stata la sottrazione diresponsabilità: i videogame che preve-dono un po’ d’azione da parte dei gio-catori sono spariti e nelle stesse slot c’èun pulsante “auto” che ti esime dal tira-

re la leva o spingere ibottoni. Puoi stare abraccia conserte, perminuti e minuti, a fis-sare catatonico un di-splay che fa tutto da so-lo; ti spara negli occhicactus e piramidi, dol-lari vampiri e prugne, enumeretti che girano.Perfino al bingo, se haipiù di sei cartelle e temidi confonderti, puoi af-fidarti a uno schermoche le controlla per te eti avverte squillando sehai completato la cin-quina. Un popolo dizombie, di zombiegentili che se chiedi

qualche informazione ti rispondono ri-conoscenti: non è ludopatia, è noia,vuoto e rassegnazione. Uomini soli, ditutte le etnie e di tutte le età; coppie didonne anziane che non sanno dove al-tro passare la serata; famiglie che assi-stono alla fortuna o sfortuna di papà;giovani innamorati senza fantasia chesi baciano quando si illumina una com-binazione. Non solo borgatari, direi, nétantomeno solo trasgressivi o dispostiad avventure illegali. Qui c’è l’Italia chePasolini cantava nelle Ceneri di Gram-sci, ma devitalizzata e privata di iden-tità. Tra un casinò e l’altro, la Tiburtinanotturna coi suoi sventramenti, la suaedilizia demente e corrotta, i vetri infrantumi dei negozi alla deriva e dellefabbriche dismesse.

GAME VALLEYAlcune delle saleda gioco romaneSulla via Tiburtinaci sonoil Las Vegas Cafè,il Dubai Cafèe il Dubai Palace,il Royale,il Bingolande il Black JackIn piazzaRe di Roma invecec’è il Bingo Re,una delle piùgrandi saled’Europa:900 postazionida giocosu due pianiI dati pubblicatiqui sotto sono stati fornitida Agimeg

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BARCELLONA

Nella cucina letteraria diRoberto Bolaño vivevaun guerriero. «Un guer-riero che alcune voci

(voci senza corpo, né ombra) chiamanoscrittore», spiegava lui stesso in un arti-colo del 2001. Una mostra allestita dalCentro di cultura contemporanea diBarcellona (“Archivio Bolaño 1977-2003”, fino al 30 giugno) svela ora unaparte di quella grande cucina in cui so-no stati sfornati capolavori della lettera-tura contemporanea come I detectiveselvaggi (1997) e 2666, monumentaleopera postuma. Gli ingredienti: storie,ossessioni, vita quotidiana, ritagli digiornale, fotografie. E gli strumenti: tac-cuini e quaderni invasi da una calligra-fia cristallina e torrenziale, la macchinada scrivere con i tasti consumati, il rudi-mentale computer, senza dimenticare isuoi inseparabili occhiali da vista.

Bolaño, cileno di nascita, visse la suaadolescenza in Messico, dove abban-donò la scuola a quindici anni per dedi-carsi alla sua vocazione di scrittore. Do-po aver girovagato il Sudamerica —tornò anche nel suo Cile alla vigilia delgolpe del 1973 e passò otto giorni nelle

carceri di Pinochet — si stabilì in Spagnache aveva ventiquattro anni: Barcello-na, Girona, Blanes, dove diventerà pa-dre. E il decennale della sua morte, chelo sorprese a cinquant’anni mentreaspettava un trapianto di fegato chenon arrivò in tempo, è il momento scel-to dalla vedova, Carolina López, peraprire una parte del suo archivio (quat-tro romanzi, ventisette racconti e centi-naia di poesie, la sua prima passione,sono ancora inediti) e far emergere cosìle sue due uniche grandi ossessioni: leg-gere e scrivere, fino allo sfinimento.

La sua cucina era sempre aperta. «Eracapace di svegliare la gente all’una dinotte per commentare un verso di unapoesia. Nella mostra si può leggere unadescrizione minuziosa di una pala d’al-tare medievale per poi scoprire che èuna riproduzione su una scatola di ceri-ni che aveva davanti alle quattro di mat-tina mentre lavorava come guardianonotturno nel campeggio di Castellde-fels», racconta Juan Insua, organizzato-re della mostra insieme a Valerie Miles.I suoi incessanti esercizi di stile non di-sdegnavano nessun ingrediente; noti-zie bislacche e di dubbia veridicità pro-venienti dalla Cina cui i giornali dedica-vano un insignificante trafiletto — unuomo di 142 anni che pedala in biciclet-ta, un bambino i cui occhi portentosi

nazista in Americaè una dettagliata en-ciclopedia di scrittori immaginari, le vi-cissitudini sue e dei suoi colleghi diven-tavano oggetto di narrazione, come nelmeraviglioso racconto Sensini, in cui iprotagonisti sono un giovane parteci-pante di concorsi letterari e un grandevecchio della narrativa. Vittima del suostesso gioco metaletterario, Bolaño en-trò a far parte, come personaggio, de Isoldati di Salamina (2001), romanzochiave della Spagna contemporanea, ilcui autore, Javier Cercas, fu un suo caroamico nelle ultime tappe della vita.

Il suo riconoscimento come artista ètardivo, e però indubitabile. Mentre inCina apre una libreria che si chiama“2666”, negli Stati Uniti l’effetto dei suoi

LA DOMENICA■ 34DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

Leggeva di tutto e scriveva dappertutto. Ecco perchéla mostra che Barcellona dedicaall’autore di “Detective selvaggi” e “2666”è un tripudio di appunti e ineditiMa anche la conferma che dieci anni fa ad andarsenefu “il miglior scrittore latinoamericano della sua generazione”

L’archivioNuovi classici

BolañoRoberto

Il trionfo non fa per me

RICCARDO IORI

MAPPASopra, da Il Terzo Reich,la mappa. Accantoun manoscritto ancora inedito:“Cuaderno primero”Nella foto grande, Bolañonel ’79 a Barcellona

AUTOBIOGRAFIAAccanto, riflessioni e disegni:“...la mia scrittura, linee capacidi prendermi per i capellie tirarmi su quando il mio corponon regge più...”In alto: manoscritto del 1980Nelle foto tessera: Bolañocon la moglie Carolina e il lorobambino, Lautaro, nel 1992

possono vedere attraverso i muri e unmostro marino che appare in un lagocome se di una Nessie orientale si trat-tasse — si trasformano in una storiacoerente che prende vita prima in un’a-genda, poi in un quaderno e finalmentein una copia dattiloscritta con la qualeparteciperà a un concorso letterario,uno dei modi in cui Bolaño tentava di te-nersi a galla economicamente. «Era alcorrente di tutti i concorsi. Una voltadisse che i premi erano bufali e lui unpellerossa che doveva andarne a caccia,perché da quello dipendeva la vita. Laprima volta che lo fece cacciammo in-sieme e la nostra freccia fu Los Con-sejos», ricorda con orgoglio AntonioGarcía Porta,col quale Bolaño scrisseappunto il suo primo romanzo, nel1984, Consigli di un discepolo di JimMorrison a un fanatico di Joyce. Le ricet-te elaborate potevano essere tenute incaldo aspettando il momento propizio;una frase di un taccuino del 1980 chiu-de nove anni più tardi il secondo capi-tolo di un romanzo, La pista di ghiaccio.I dispiaceri del vero poliziotto, su cui la-vorerà dal 1990 al 2003 (e che uscirà po-stumo), è in gran parte smembrato e fa-gocitato da 2666.

Ma non erano liquidi solo i confini traun’opera e l’altra, bensì anche quelli trarealtà e fiction. Mentre La letteratura

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libri «è più simile a uno tsunami che auna marea ascendente, tutto il mondoche legge letteratura parla di Bolaño»,scrive Barbara Epler, direttrice di NewDirections, la prima casa editrice a pub-blicarlo negli States. «Una parte dellamia libreria è riservata ai classici deiquali periodicamente rileggo qualchepagina. In quello scaffale ci sono Salin-ger, Borges, Joyce, Proust e senza cheme ne accorgessi Bolaño vi si è intrufo-lato», confessa Porta. E Insua rincara ladose: «Allo stesso modo in cui Bolañodisse che chiunque scriva in spagnolodeve passare per le fessure e le porte la-sciate aperte da Borges, oggi qualsiasiscrittore che voglia dire qualcosa dinuovo in castigliano deve passare perl’opera di Bolaño». Un passaggio obbli-gato a partire da I detective selvaggi, il ri-cordo dei suoi movimentati anni mes-sicani (Arturo Belano, uno dei protago-nisti, è il suo alter ego) e un canto d’a-more alla poesia omaggiata in forma diprosa. Spiega Porta: «Quando lo leggi,sai che è figlio di una generazione nuo-va, capace di scrivere con lo zaino inspalla, seduto per terra, totalmente di-versa da quella del Boom». Il Boom a cuifa riferimento è il movimento di cui si èappena celebrato il cinquantenario.Nel 1962 furono pubblicati libri comeLa città e i cani, opera prima di Mario

Vargas Llosa, La Mala Ora e I funeralidella Mamá Grandedi Garcìa Márquez,La Morte di Artemio Cruz di CarlosFuentes e Storie di cronopios e di famasdi Julio Cortázar, che solo un anno dopoavrebbe dato alle stampe Il gioco delmondo. Un terremoto che collocò l’A-merica Latina al centro della letteraturamondiale e lasciò un’eredità difficile dagestire. «Gli scrittori della generazionesuccessiva al Boom si trasformarono inepigoni, continuatori senza talento, op-pure cercarono, con scarso successo, diuccidere il padre, dicendo che i VargasLlosa e i Márquez non erano poi così ec-celsi. Bolaño fu l’unico capace di farequello che, citando Pasolini, si deve fa-re con i maestri: mangiarli in salsa pic-

cante. Squartarli, tirarne fuori le budel-la, cucinarli e poi divorarli per crearequalcosa di nuovo», chiosa Cercas.

Una metafora che ci riconduce aquella cucina in cui Bolaño non smette-va mai di combinare, amalgamare,creare. Il guerriero che vive in quellastanza «sa che alla fine, qualsiasi cosafaccia, uscirà sconfitto», scriveva. Delresto lo aveva spiegato a chiare letterequanto poco gli importasse di uscirevincitore dalla battaglia con i demonidella letteratura: «Non credo neltrionfo. Tra i trionfatori uno può incon-trare gli esseri più miserabili della terra,e fin lì io non ci sono arrivato. E non cre-do di avere lo stomaco per arrivarci».

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L’episodio avvenne intorno al 1981 o 1982,all’entrata del Bistrot, un bar del centrostorico di Girona. Io camminavo verso

l’università con il mio compagno di studi JavierCoromina quando lui si fermò a salutare un tipopiù grande di noi, con l’aria dell’hippy che ti ven-de cianfrusaglie e l’accento latinoamericano. Simisero a parlare. A un certo punto Corominachiese al tipo come andasse il romanzo che sta-va scrivendo. Il tipo fece una smorfia scettica e ri-spose: «Va, va, però non si sa molto bene dove».Non successe nient’altro, e la frase mi rimase im-pressa, forse perché, sebbene segretamente iovolessi già fare lo scrittore, con i miei diciannoveanni non avevo ancora avuto il coraggio di rico-noscerlo, e mi impressionò la naturalezza concui quel tipo — il primo scrittore reale o fasullocon il quale mi incrociavo nella mia vita — parla-

va del suo progetto di ro-manzo.

Naturalmente ero sicu-ro che non avrei mai piùsentito parlare di lui, che iltipo non sarebbe mai di-ventato un vero scrittore oche al massimo avrebbeingrossato le fila dei tantiscrittori latinoamericanidella sua generazione, chesi sarebbe buttato via perlo sradicamento dalla suaterra, la vita da bohémien ela povertà. Eppure sette ootto anni più tardi, quan-do scrivevo negli Stati Uni-ti il mio secondo romanzo,ci misi un dialogo nel qua-le un personaggio doman-da a un altro come va la suatesi di dottorato e l’altro ri-sponde: “Va, va, però nonsi sa molto bene dove”.

Adesso il salto non è disette od otto anni, bensì diquindici o sedici. Siamonel dicembre del 1997. Vi-vo a Barcellona, però sonoandato a Girona a scrivereun pezzo per El País sull’e-sposizione di un amico.Alla stessa ora dell’inau-gurazione della mostra,nella Llibreria 22 — pro-prio davanti la sala — PonçPuigdevall presenta Chia-

mate telefoniche, di Roberto Bolaño.In quel periodo, dopo aver pubblicatoin poco tempo La letteratura nazistain America e Stella distante, il nome diBolaño comincia a farsi sentire in al-cuni circoli letterari, ma io, che mi tro-vo totalmente fuori dai suddetti circo-li malgrado abbia pubblicato già treromanzi, ancora non l’ho letto. Primache si inauguri la mostra prendo uncaffè con Bolaño e Puigdevall. Bolañoracconta che vive a Blanes, che si dedi-ca esclusivamente alla scrittura, che siguadagna da vivere — «in modo assaiumile», puntualizza — con la lettera-tura. Di colpo, mentre lo ascolto parla-re, ho un’illuminazione. Chiedo a Bo-laño se all’inizio degli anni Ottanta vi-vesse a Girona; risponde di sì. Allora gliparlo del nostro incontro fugace da-vanti al Bistrot e, ormai già dentro lasala, gli mostro il passaggio del mio se-condo romanzo in cui un personaggiodice che la sua tesi va, va, però non si samolto bene dove. Bolaño ride; rido an-ch’io.

Quell’episodio finì alle cinque delmattino, dopo che io trascorsi tutta lanotte a gridare “Viva Bolaño!”, comese si trattasse di festeggiare smodata-

mente il fatto che, contro qualsiasi pronostico, ilvenditore ambulante con l’aria da hippy dei mieidiciannove anni non si era buttato via ed era riu-scito a diventare uno scrittore vero. Pochi giornidopo mi arrivò a casa una copia di Stella distan-te. Lo mandava Bolaño. In alcune pagine piene diammirazione aveva scritto parole troppo gene-rose sul mio secondo romanzo. Chiudeva così:“Viva Cercas!”. Da quel giorno ci unì un’amiciziamolto stretta, e non appena lessi i suoi libri seppiche Bolaño era quello che oggi tutto il mondo sache Bolaño è: il miglior scrittore latinoamerica-no della sua generazione.

(traduzione di Riccardo Iori)

Va, va, però non si samolto bene dove

JAVIER CERCAS

■ 35DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

MEMORABILIAIn mostraanchegli occhialidelloscrittoreSopra,la tesserada studentedi catalanoalla scuoladi Barcellona

MANOSCRITTIA lato, pagine e disegnidal primo romanzodi Bolaño, Consiglidi un discepolo... Sotto altri manoscrittie la copertinadi Literaturapara enamorados 2

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

Nel ’73 “La grande abbuffata” di Marco Ferreri debuttò a Cannestra i fischi. Poi fece incassi record e rimase nella storia del cinemacome critica feroce di una società folle. Oggi Andrea Férreol,allora giovane “maestrina” dei quattro mattatori,racconta il più scandaloso dei set

PARIGI

La ragazza burrosa che qua-rant’anni fa turbò i sogni di milio-ni di uomini e che fu invidiata ocompatita, imitata o aborrita da

altrettanti milioni di donne, è oggi una bella si-gnora sorridente. Seduta in un cafè salutistaaccanto a place de la République — non lon-tano dal Teatro Déjazet nel quale fino a mag-gio interpreterà, nel ruolo del soprano, La vé-ritable histoire de Maria Callas — Andrea Fér-reol sorseggia una spremuta “arancio-zenze-ro”. E parla. Parla molto e senza vergogna de LaGrande Bouffedi Marco Ferreri, La grande ab-buffata che cambiò la sua vita, e anche losguardo sulla borghesia e sui suoi vizi, sul con-sumismo, l’erotismo e le fantasiose possibilitàdell’arte culinaria. Presentato nel maggio del1973 al Festival di Cannes il film fece scandalo,ma poi ebbe un grande successo. In Franciasuperò il milione di spettatori, record assolutoper i tempi.

Andrea Férreol fu la donna di cuori in mez-zo a quattro assi — Piccoli, Noiret, Mastroian-ni e Tognazzi — i quali, per confondere anco-ra di più le idee, conservarono nel film il loronome di battesimo. I cinque attori ne uscironovivi, senza traumi apparenti. «Maria Schnei-der, che mi era amica, non è sopravvissuta aUltimo tangoa Parigi. Si disperava perché la ri-cordavano soprattutto per la scena del burro»racconta l’attrice in perfetto italiano. «Io inve-ce ce l’ho fatta. Se sei una persona fragile, il suc-cesso che ti danno film come questi può di-ventare una maledizione. Io su quel set diven-tai attrice e donna. A quel film devo tutto.Quando Ferreri mi scelse ero una ragazza bor-ghese del sud della Francia che faceva i primipassi nel cinema. Avevo venticinque anni. Ilcopione non mi aveva per nulla scioccata».

Così finì anche lei rinchiusa per più di tre

Tabù

La

Bouffe

LAURA PUTTI

Spettacoli

Philippe Noiret“Tra le mie bracciadovette ingollarsi

una torta a forma di tetteEra più bella che buona

e a fine ripresesputò tutto, poverino”

“Fu l’unicoad avereuna veraerezionementre

giravamo,ma io feci

finta di nulla”

Quarant’anniduri da digerire

Grande

MarcelloMastroianni

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■ 37DOMENICA 31 MARZO 2013

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I MAGNIFICI 4Una locandinade La GrandeBouffe. Nelle fotodal set Tognazzi,Mastroianni,Noiret e, in bassoa destra, Piccoliinsieme alla Férreol

dalla claustrofobia della villa e mi portarono acena fuori. Eh sì, mangiavamo sempre, sul sete fuori dal set». Tognazzi cucinava davvero?«No, ma la cucina lo appassionava. I piatti ar-rivavano tutti i giorni pronti da Fauchon. Buo-nissimi, sempre molto pesanti. Pizze, polenta,gratin, timballi, arrosti, torte. Ricordo che, do-po la morte cinematografica di Marcello equella di Michel, accompagnata da quel lun-ghissimo peto, toccò a Ugo. La sua scena fina-le era davanti a una torta a forma di basilica diSan Pietro. Fauchon la mandò dolce, ma Ugonon ce la fece a mangiarla. Non amava lo zuc-chero. Tanto che Fauchon dovette rifarla sala-ta. Anche Philippe, l’ultimo a morire, il lunedìmattina tra le mie braccia su una panchina delgiardino, dovette ingollarsi una torta a formadi tette. Era più bella che buona. A cinepresespente sputò tutto, poverino». Tognazzi muo-re mangiando San Pietro mentre Andrea, conlo sguardo di madre pietosa, lo masturba. «Inquelle scene Ugo si infilava una banana nellapatta. Marcello invece… Marcello è stato l’u-nico ad avere avuto un’erezione durante le ri-prese. Fu nella scena in cui mi prende da die-tro». Che notizia, signora. «Nulla di cui vergo-gnarsi e adesso posso anche dirlo. Eravamotutti molto professionali. Nessuno, dico nes-suno, neanche nella scena della statua —quando Marcello con una mano tocca il miosedere e con l’altra quello della ragazza di mar-mo — mi ha mai sfiorata. Quando mi accorsiche a Marcello stava accadendo qualcosa fecifinta di niente per non metterlo in imbarazzo.Chiara era appena nata e in quegli anni lui vi-veva a Parigi con Catherine Deneuve. Ma il piùprotettivo fu Piccoli. Sul set, a un certo punto,arrivò una fotografa di Playboy. Io non ne vo-levo sapere, ma quella era sempre lì: “Quandovuole, mademoiselle, appena si sente pron-ta...”. Mi ossessionava. Michel andò da Ferre-ri e gli disse: “Se non se ne va io non recito più”.Fu l’unico a capirmi, e l’unico a difendermi».

Quarant’anni di dieta. Una “grande abbuffata”, poi un senso di colpa gran-de così e vai con la purga, anzi il detox, con la vita agra e magra, il saluti-smo e la presunta remissione dei peccati a mezzo astinenza. Lo storico

film di Marco Ferreri è stato uno spartiacque. Da allora, e per una volta davve-ro, niente più è stato come prima. Il pranzo è servito: a sparecchiare la tavola,svuotare i posacenere, rifare i letti, trasformare il teatro dell’esagerazione in unaclinica asettica, dove si salvi chi può, ma nessuno può veramente.

Il tema forte di quella pellicola è un tabù culturale: l’autodistruzione. Il temaè stato esorcizzato e rimosso. Vietato concepire la fine di sé, con qualsiasi mez-zo, pensiero incluso. Perfino il concetto di “fine della Storia” è stato tradottocome un glorioso assestarsi sul culmine del progresso. Inaccettabile l’ideache il terminale sia raggiungibile attraverso il piacere. Il piacere stesso èstato degradato a pericolo, un concetto molto più spaventevole di pec-cato. Educazione e moderazione sono le parole chiave attraverso cuisi è cercato di accedere a una nuova, improbabile dimensione. L’i-nevitabile fallimento ha portato a soppressione e colpevolizzazio-ne. Abbiamo ristretto i piatti, elettrizzato le sigarette, virtualizzatoil sesso. Preso le distanze dalla goduria e dalla vita stessa. Baratta-to l’autodistruzione spettacolare con una consunzione lenta, tele-novelistica, noiosa.

Negli Stati Uniti d’America generazioni di spettatori nostalgiciguardano la serie Mad Men per rivivere la bellezza di quei pranzipreceduti da tre martini, introibo a una bistecca alta così e a unasveltina in camere d’albergo con l’amante passeggera/o. Da noi bi-sognerebbe riguardare La grande abbuffata e chiedersi se non erameglio finire in quel modo piuttosto che con lo spread, il rigore fasul-lo e la “merda digitale”.

Quarant’anni di dieta hanno trasferito l’orgia dal salone delle feste al-la tavernetta del bunga bunga. Da tradizione imperiale romana a passa-tempo di confine brianzolo. Si è idolatrato chi cucina e avvilito chi mangia.Le proibizioni del Corano sono criteri di conservazione della specie. Quelle de-gli ultimi quarant’anni, fondamentalismi senza una fede. Demonizzare il pia-cere è stato un chiodo fisso delle religioni, ma ridicolizzarlo è stato il modo perucciderlo. Dopodiché il film è muto, buio e in sala piove dal soffitto.

Il piacere estremodell’autodistruzione

GABRIELE ROMAGNOLI

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dai subito mio padre e lui mi fece un segno conil pollice in su. Ma con Ferreri e gli altri fummocostretti a uscire sulla Croisette accompagna-ti dalla Garde Républicaine. Il pubblico era fu-ribondo. La gente gridava “a causa vostra civergogniamo di essere francesi”. Quella serafu difficile trovare un ristorante che ci accet-tasse. Per anni, ogni volta che entravo in unluogo pubblico c’era gente che si alzava e se neandava. Ci furono polemiche feroci e discus-sioni infinite».

Ma l’atmosfera sul set non era scabrosa co-me le scene che si giravano. «Ricordo MarcoFerreri sempre agitato. Urlava molto, troppo,e troppo spesso con il suo assistente. Ma i mieiquattro uomini erano dei veri signori. Viveva-mo nella villa. Gli amici venivano a trovarci perfinire tutta quella roba da mangiare. Ogni seraa fine riprese vedevamo il girato. Per il film ave-vo dovuto prendere venti chili in due mesi.Avevo un’estetista che mi faceva continuimassaggi al viso per non farlo gonfiare. Ero se-guita da un dietologo, facevo esami clinici incontinuazione e sul contratto era scritto che afine riprese la produzione mi avrebbe pagatouna cura dimagrante, della quale non ebbi bi-sogno perché me la cavai da sola. Ma una sera,durante la proiezione delle scene di giornata,notai il mio grosso culo, vidi tutta quella ciccia.Non ero più io. Ero enorme, mi facevo orrore.Ebbi una crisi di pianto. Per consolarmi i mieiquattro uomini, meravigliosi, mi fecero uscire

Ugo Tognazzi“Nelle scene

in cui simulavamouna masturbazione

si infilava una banananella patta

dei pantaloni”

Michel Piccoli“La fotografa di Playboy

mi ossessionavaLui andò dal registae gli disse: o la caccio smetto di recitare

Fu il solo a difendermi”

mesi in una villa dell’elegante sedicesimo ar-rondissement, oggi demolita. Quattro uomi-ni, quattro borghesi che Ferreri disegna allaperfezione nei primi sette minuti del film, si ri-fugiano nella vecchia casa di famiglia di uno diloro. La sinistra decadenza della villa somigliaa quella della loro classe sociale così come Fer-reri voleva raccontarla. Marcello (Mastroian-ni) è un pilota d’aereo sciupafemmine con pro-blemi di impotenza. Philippe (Noiret) un giu-dice imbranato dipendente anche sessual-mente dalla anziana balia. Ugo (Tognazzi) ungrande cuoco in fredda con la moglie. E Michel(Piccoli) un produttore radiofonico gay repres-so. Stanchi di vivere decidono di suicidarsi, manel piacere più estremo. Mangiando e facendosesso. Ordinano derrate di cibo d’alta qualità, eil venerdì sera si chiudono nella villa con treprostitute e Andrea (Férreol), una maestra tro-vata per caso mentre con la scolaresca si aggi-rava nel giardino. Una sempliciotta formosadal viso d’angelo, occhi verdi e trasparenti. Ri-masta sola ad assecondare le perversioni culi-

narie e sessuali dei quattro, sarà proprio lamaestrina ad accompagnarli verso la fine

come una Grande Madre, «o come l’Ange-lo della Morte» suggerisce lei.

Al debutto di Cannes (dove vinse il Pre-mio della critica internazionale) la platealo fischiò. «Per la proiezione in Sala Gran-

de indossavo un abito molto castigato. Ri-cordo che quando le luci si accesero guar-

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Il computer del futuro è un oggetto lungo, pe-sante, pieno di cavi. Difficile da programmaree altrettanto da interpretare. Lo chiamanoquantistico e lavora solo a temperature basse,prossime allo zero assoluto. Viene configura-to volta per volta in maniera diversa per dare

risposta a un solo quesito. Ma la sua capacità di cal-colo è inimmaginabile. Ci stanno lavorando in tanti,dalla University of New South Wales di Sidney allaIbm, dalla Microsoft fino alla canadese D-Wave, cheil 21 marzo ha an-nunciato di esservicina alla realiz-zazione del primomodello comple-to. E questo pro-prio mentre il fon-datore della Black-Berry, Mike Laza-ridis, appena duegiorni prima avevafatto sapere di averstanziato centomilioni di dollarinella nuova Quan-tum Valley cana-dese, a Waterloo,in Ontario. Si èconvertito alla causa dopo aver visto cosa c’era in bal-lo e aver assistito a una dimostrazione delle poten-zialità del computer quantistico. «Nulla ti può pre-parare a ciò che vedremo a breve», è stato il suo com-mento a caldo.

A differenza dei nostri computer, che ragionanoattraverso i transistor usando il sistema binario fattodi zero e di uno (bit), acceso o spento, quello quanti-stico adopera un approccio diverso. L’elemento ba-se, il qubit, è multilivello: può esser formato da un nu-mero elevato di componenti, l’equivalente del tran-sistor, e ognuno può possedere non due ma molte-plici stati. Risolve problemi di una complessità in-credibile perché la sua struttura interna è di incredi-

bile complessità. «Con appena 300 qubit», sostieneScientific American, «un computer simile può elabo-rare più calcoli in un istante del numero di atomi pre-senti nell’universo».

Nella comunità scientifica c’è chi tira il freno emette le mani avanti. «Considerando che il risulta-to più interessante è quello della Unsw di Sidney,una singola cella di calcolo quantistica compatibilecon gli attuali processi di fabbricazione dei micro-chip, non aspettiamoci forti cambiamenti a breve»,

spiega GiovanniCapellini, docen-te di fisica dellamateria all’Uni-versità Roma Tree visiting profes-sor nell’ateneoa u s t r a l i a n o .«Dietro però sinasconde un so-gno molto reale:superare SiliconValley. E le speri-mentazioni sulcomputer quan-tistico sono solouna delle stradepossibili».

La legge di Gordon Moore, uno dei “padri” dellaIntel che nel 1965 scrisse un articolo in cui prevede-va che le prestazioni dei microprocessori sarebbe-ro raddoppiate ogni dodici mesi, potrebbe venirearchiviata. E con lei l’era dei processori fatti solo disilicio. Fino a oggi è su questo materiale che sonostati inseriti i transistor, scolpiti grazie alla nano li-tografia in maniera sempre più minuta. Dai 180 ma-nometri di un Pentium 4 di tredici anni fa, si è pas-sati agli 80 e poi giù per arrivare ai 32 e ai 22 di oggi,fino ai 16 di domani e agli 11 di dopodomani. Unacorsa alla miniaturizzazione grazie alla quale i 2300transistor di una cpu (acronimo di central proces-sing unit, ovvero il processore) del 1971 sono au-

Germanio o grafeneil pc sarà fatto

di un’altra pasta

LA DOMENICA■ 38DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

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I microprocessori in silicio stanno arrivandoal limite delle loro possibilitàe nuovi materialiaprono orizzonti ancora tutti da esplorare. Come il computerquantistico dalle inimmaginabili capacità di calcolo

JAIME D’ALESSANDRO

L’EVOLUZIONE1951

Viene costruito il Whirlwind, un simulatore di volo, il primocomputer a reagire in temporeale alle azionidegli utenti

1960

Esce il Pdp-1della Dec, super computer per laboratori di ricerca. Al Mitlo usano per creareil primo videogame:Space War

1972

È l’anno dello XeroxAlto, padre di tuttii personalcomputer. Esceanche l’8008 di Intel, il primomicroprocessorea 8 bit

1975

L’Altair 8800 è uno dei microcomputerpiù famosiAppartieneall’era dei computerautocostruiti

1977

Il primo personalcomputer di successo,l’Apple II,arriva nei negoziÈ anche l’anno del CommodorePet

SiliconArrivederci

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mentati arrivando agli oltre sette miliardi nel pro-cessore grafico della nVidia Gk110 del 2012.

Ma c’è un limite a tutto e c’è anche in questo caso.Limite fisico, perché ormai siamo vicini al numeromassimo di transistor che si possono inserire nel sili-cio, e limite strutturale. O meglio: economico. Unafabbrica di microchip costa tanto, almeno cinque mi-liardi di dollari, e sono sempre meno le multinazio-nali che hanno le spalle abbastanza larghe per pro-durli. Nel campo di quelli per pc, ad esempio, sono ri-maste solo Intel eAmd, entrambeamericane. Di quil’idea, anzi la ne-cessità, di un salto.Un passaggio tec-nologico che per-metta di mischiarele carte in tavola erendere questomondo accessibi-le ad altri. Come èaccaduto nel set-tore dei televisori,quando l’avventodei pannelli lcd haconsentito alleaziende coreane ilsorpasso su quelle giapponesi. O come è successo conl’iPhone, che ha cambiato gli equilibri portando al de-clino di Nokia e Motorola e al predominio di Apple eGoogle. Ma stavolta in gioco c’è molto di più: da un la-to un mercato, quello dei microprocessori, che se-condo Idc varrà a fine 2013 poco più di quaranta mi-liardi di dollari; dall’altro la base stessa di ogni formadi calcolo artificiale del futuro.

La nuova Silicon Valley, o forse dovremmo dire lenuove Silicon Valley, nasceranno partendo da unalegge appena scritta: more than Moore, oltre Moore.È il motto di una generazione diversa di computer,molto più a portata di quello quantistico, che usa ma-teriali come il germanio, i semiconduttori composi-

ti o il grafene, diecimila volte più veloce del silicio.Sfruttando però, ed è questo l’aspetto più importan-te, le infrastrutture produttive attuali. «A Berlino,presso l’Innovation for High Performance Microe-lectronics per esempio», racconta Capellini, «unen-do al silicio elementi in purezza di carbonio e germa-nio sono arrivati a un processore che lavora alla fre-quenza record di 500Ghz». Una enormità, basti pen-sare che le cpu in commercio arrivano a 3 o a 4Ghz.Quindi quello tedesco è cento volte più veloce. Ma il

bello è che a Berli-no hanno usatouna tecnologia“vecchia” di anni emolto economica,quella a 130 nano-metri. In pratica,invece di puntaredirettamente a unveicolo che montaun nuovo tipo dimotore, rivoluzio-nario ma difficile ecostoso da costrui-re, hanno preferitorealizzare un pro-pulsore ibrido. Of-fre miglioramenti

sostanziali, grazie all’impiego di materiali nuovi,uniti a soluzioni e componenti tutt’altro che all’a-vanguardia e di facile reperibilità.

Poi certo, all’orizzonte c’è anche il computerquantistico e con lui gli altri che adoperano logichecompletamente diverse da quella binaria. Si stannosperimentando gli acidi nucleici del Dna come unasorta di transistor evoluto o ancora elementi dellachimica. Ma qui siamo più in una puntata di Star Trekche nel nostro futuro prossimo. Ci vorranno infattidecine di anni prima di vedere qualche applicazioneconcreta. Ed è probabile invece che la Silicon Valleyverrà superata molto, molto prima.

■ 39DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

1981

L’Ibm immette sul mercato l’Ibm 5150, meglio conosciutocome Pc IbmÈ il primo di una lunga serie

1984

La secondarivoluzione Apple:il MacintoshL’anno dopo escel’Amiga: comincial’era moderna dei computer con Windows

1993

La Intel lancia il primo processore Pentium: come diceil nome siamoarrivati alla quintagenerazione di processori

2000

Microsoft mostrail primo computer tablet,ma è nel 2007 che Steve Jobscambia il mondo della telefonialanciando l’iPhone

2010

Apple lancia l’iPadper navigare sul web, inviareemail, guardarefoto e video,ascoltare musica,giocare ai videogame

© RIPRODUZIONE RISERVATA

GrafeneSingolo strato di grafiteUltrasottile, diecimila volte più conduttivo del silicioIn assoluto è il materialemigliore, ma è pococompatibile con i processiproduttivi attuali

Semiconduttoricompositi

Vengono già usatinei lettori laser (cd e dvd)Non raggiungono i livellidel grafene, ma hanno buona compatibilità coi processi produttivi

GermanioParente del carbonio e del silicio, ha proprietàconduttive migliori (meno di grafene o semicoduttori). L’unicocompatibile con i processidi produzione attuali

QuantisticoUsa unità di calcolo che vanno oltre il linguaggio binario dei pcattuali fatto di zeroe di uno. Potenzastraordinaria, quanto le difficoltà di costruirlo

ChimicoUsa al posto dei transistorelementi chimici che reagiscono in manieracomplessa generando un’elevata potenza di calcolo. La ricerca è in fase embrionale

A DnaL’elemento base sono gli acidi nucleici e la lorocapacità di codificareinformazioni. La ricerca è in una fase più avanzatarispetto a quella del computer chimico

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Gli esperti sono formalmente unanimi:in linea generale, il computer

che meglio si adatta alle vostre esigenzeè quello commercializzato due giornidopo che ne avete acquistato un altro

‘‘Dave Barry scrittore

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

I saporiEtichette

Verdicchio sugli asparagi,pinot nero con la gallinella,con la pastiera il moscato passitoQuali bottiglie scegliere(e con quali piatti)per un brindisibuono e giusto

CasatielloImpasto di farina, acqua, lievito,strutto e pepe. Una volta steso,si farcisce con pecorino, salamee uova intere. Si cuoce arrotolato a ciambella. Ottimo sia caldo che freddo

Abbinamento: Lu Patri Nero d’Avola 2010Baglio del Cristo di CampobelloPrezzo: 12 euro

Torta PasqualinaDue sfoglie sovrapposteaccolgono il ripieno di bietole,cagliata fresca, uova,formaggio grattugiato,noce moscata e maggioranaVariante con carciofi

Abbinamento: Richiari Alta Valle della GreveBianco, Podere Poggio ScalettePrezzo: 18,50 euro

AgnelloCosciottoal fornoin salsa di melogranoContornodi patatearrosto e asparagi

Abbinamento: Lambrusco Rosé di ModenaSpumante Metodo Classico, Cantina della VoltaPrezzo: 12 euro

Abbinamento: Sodole 2007Tenute Guicciardini StrozziPrezzo: 13 euro

Abbinamento: Terre d’Este Apice Rosso“Malbo Gentile” 2009, Boni LuigiPrezzo: 16 euro

La sorpresafuori dall’uovo

Pasquacon chi vuoi, dice il proverbio. Che perònon consiglia né dove, né come, né, soprattut-to, mangiando cosa. Preservati dai precetti lai-ci e rassicurati dalla resurrezione cristiana, imenù pasquali attingono alle tradizioni popo-lari più radicate come alle nuove realtà socia-

li, con le piccole grandi rivoluzioni alimentari annesse. Inscia — che si scelga l’agnello o il cous cous, la colomba o idolci di marzapane — naturalmente c’è il vino.

Un tempo si chiamava “vino delle feste”, dichiarazionedi impotenza enogastroeconomica a reggere per tuttol’anno il piacere di bicchieri adeguati a cibi altrettantobuoni e golosi. Ma se per trecento giorni abbondanti simangiava per soddisfare la fame e si beveva per calmare lasete, nelle occasioni importanti — le feste, appunto — il so-stentamento si trasformava in godimento (pancia mia fat-ti capanna!) e la bottiglia in celebrazione.

Il senso del rituale è rimasto intatto: a cambiare in ma-niera evidente sono le coordinate della nostra realtà ali-mentare, infarcita di gusti nuovi, poco ortodossi o, al con-trario, di gusti iperconosciuti, ma abbinati in maniera inu-suale. Chi è cresciuto forte della dicotomia bianco vs ros-so, ha dovuto aggiornarsi. Altrimenti, impossibile scorre-re l’elenco dei pinot neri per cercare l’etichetta giusta a sol-leticare il sapore rapinoso e mascalzone di un pesce inguazzetto. O accompagnare un piatto di uova con una flu-te di bollicine rosé, eleganti e nobili come poche altre, purse nate nelle popolarissime vigne emiliane.

Questione di cultura vinaria. La crisi obbliga chi non saa spendere semplicemente meno, senza troppo doman-darsi in cambio di cosa. Ma gli enocuriosi — o quanti pos-sono contare sui consigli di un negoziante in gamba —hanno imparato che in Italia si producono vini sempre piùbuoni, e anche rispettosi del territorio, liberi dai pesticidi(da non confondere coi fertilizzanti, che avvelenano la ter-ra ma non sono altrettanto pericolosi per l’uomo), su su fi-no alla certificazione biologica. Il tutto, lontano dai solitinoti e a prezzi onesti, che riconoscono il lavoro e la dignitàdei vignaioli, senza ricarichi indecenti. È il bello del nuovoartigianato alimentare, guidato da una generazione di gio-vani contadini decisi a vincere la sfida per una agricolturadiversa, lontana dai grandi numeri, accessibile a quantivogliano conoscerla — enotecari in primis — e sana.

Se avete deciso di evitare l’esecuzione dell’agnello pa-squale, regalatevi il brivido di uno squisito chardonnaychiantigiano per esaltare la golosità carnale (ma rigorosa-mente vegetariana!) della torta pasqualina. Per saperne dipiù, organizzate il prossimo weekend in quel di Verona,dove tra una settimana esatta comincia la quarantasette-sima edizione del Vinitaly, quasi centomila metri quadra-ti e oltre quattromila espositori pronti a farvi assaggiare ilmeglio della produzione nazionale. Nello stesso fine setti-mana, la fiera ViniVeri di Cerea, alle porte di Verona, e Vil-la Favorita a Sarego, Vicenza, offrono il più importante pa-norama europeo di vini naturali (pesticidi free), per unbrindisi buono, pulito e giusto.

di

LICIA GRANELLO

Abbacchio al fornoAglio e rosmarino per steccare la carnePoi infornare con olio e quindiirrorare di vino bianco dopo 20 minuti di cotturaquando si aggiungono le patate

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PasquaVino

LasagneSfoglia d’uovo, gialla o verde,alternata a strati di ragù di carne,besciamella e parmigianoLa variante vegetarianaprevede pesto, fagiolinie zucchine

Uova ripieneTonno, acciughe, capperi,rosso d’uovo, un cucchiaiodi maionese e poco limoneper farcire i mezzi bianchi sodiSopra, una strisciolina di peperone

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■ 41DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

PastieraPasta frolla farcita con grano cotto, ricotta di pecora, acqua di fiorid’arancio, zucchero, vaniglia,latte, scorza di limone, uova e canditi

Abbinamento: Chambave Moscato PassitoPrieuré, La Crotta di VegneronPrezzo: 18 euro

Abbinamento: Marsala Superiore Riserva 1986Marco de BartoliPrezzo: 28 euro

Abbinamento: La Pineta Pinot Nero 2011Podere MonasteroPrezzo: 20 euro

Asparagialla parmigianaBollitura verticale nel cestello(gambi immersi, punte al vapore)Asciugati e adagiati nel piatto,si rifiniscono con burronocciola e parmigiano

Abbinamento: Verdicchio dei Castelli di JesiSuperiore 2009, Andrea FeliciPrezzo: 11 euro

Vengo da una famiglia di con-tadini emiliani. Pavullo, ap-pennino modenese, agri-

coltura eroica a settecento metri dialtezza, pascoli e orti in pendenza,l’attesa lungo via Giardini nellasperanza di vedere sfrecciare unaFerrari in prova...Una famiglia, lanostra, piena di figli, nipoti, cugini.E perciò, da quando sono bambi-no, “Pasqua con chi vuoi” ha sem-pre voluto dire a casa con la mia fa-miglia, tutti a Messa e poi tutti a ta-vola. Annie ai fornelli, ma anche i fi-gli, Antonella e Sandro, non si sot-traggono al sacro esercizio dellacucina. E io, che non so cuocereneppure un uovo, come al solito mioccupo dei vini.

Il vino di casa era fatto con l’uvaTosca, una specie di Sangiovesepiù rustico. Bicchieri forti, terragni,ingentiliti a volte con le uve zuc-cherine del Sud. Una scuola di vitadi cui vado orgoglioso, e che ho ri-trovato quando abbiamo deciso diorganizzare un orto e un piccolo al-levamento nel modenese, a un’orada qui, per garantire al ristorantecarni e verdure sane e buone comequelle della mia infanzia. Anche suivini, il lavoro dell’Enoteca non èmai scontato: etichette straordina-rie, ma anche vini inaspettati aprezzi contenuti. Condivido la pas-sione della ricerca con un grandeenologo, Carlo Ferrini. A San Gimi-gnano abbiamo scovato un San-giovese magnifico. Quella è terra diVernaccia, eppure il Sodole 1985 dàdei punti a bottiglie che costanodieci volte tanto. Bisognerebbe chele enoteche facessero scelte menocommerciali, per supportare lapassione di tanti piccoli vignaioli— sempre di più al centro-sud, il fu-turo dell’enologia italiana— a cuiva tutta la mia gratitudine di inna-morato del vino.

(Giorgio Pinchiorri gestisce conAnnie Feolde l'Enoteca Pinchiorridi Firenze, ristorante tre stelle Mi-chelin con annessa una delle canti-ne più prestigiose del mondo)

A tavola

GIORGIO PINCHIORRI

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Abbinamento: Muffato della Sala 2009Castello della Sala AntinoriPrezzo: 19,50 euro

ColombaLievitazioni multiple per l’impasto di farina, latte,burro, uova e zucchero,arricchito coi canditiGlassa di albumee farina di mandorle

La miaenoteca

Uovadi cioccolatoCioccolato al latte o fondente,temperato (portato a 45º, poia 27º, poi a 31º), fatto scivolarenelle due metà dello stampoDecori a piacere

Verona. Gli indirizzi

DOVE MANGIAREOSTERIA PONTE PIETRAVia Ponte Pietra 34 Tel. 045-8041929Senza chiusura, menù 40 euro

PANE E VINOVia Giuseppe Garibaldi 16 Tel. 045-8008261Chiuso martedì, menù 30 euro

OSTERIA LA FONTANINAPortichetti Fontanelle 3 Tel. 045-913305Chiuso dom. e lunedì, menù 45 euro

DOVE COMPRAREENOTECA S. ANASTASIAVia Abramo Massalongo 3 Tel. 045-8041216

ENOTECA DAL ZOVOViale della Repubblica 12 Tel. 045-918050

ANTICA BOTTEGA DEL VINOVicolo Scudo di Francia 3Tel. 045-8004535

DOVE DORMIREB&B CORTE DELLE PIGNE Via Pigna 6/ATel. 333-7584141Doppia da 90 euro, colazione inclusa

RELAIS ’900Via San Leonardo 5 Tel. 345-1875267Doppia da 120 euro, colazione inclusa

AGRITURISMO S. MATTIAVia Santa Giuliana 2

Tel. 045-913797Doppia da 95 euro

Gallinellain guazzettoFumetto con testa, lisca,vino bianco e odori. Peperonespadellato e messo da parte,nello stesso olio, pesce a tocchi,peperone e brodo per 10 minuti

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LA DOMENICA■ 42DOMENICA 31 MARZO 2013

la Repubblica

“L’ho sempre detto ai miei bambini:metà delle personeè perbene, gli altri sonobastardi”.La cantante irlandesedalla vita dannata (disturbi mentali,

provocazioni politico-religiose, scandalisessuali) ci apre la portadi casa: “Ho avuto quattrofigli da quattro maritiSenza di loro sarei

diventata una tossica. E forse sarei mortaa ventisette anni come Jimi Hendrix,Kurt Cobain o Amy Winehouse”

BRAY (Dublino)

Si affanna in cucina comeuna massaia, mentre unagiovane collaboratrice do-mestica ammucchia nel

cesto una montagna di biancheria dastirare. Bray, mezz’ora di macchina daDublino, villetta vista mare. «La rico-noscerà», assicura Sinéad O’Connor altelefono: ha un nome italiano, Monte-bello, e un angolo è dipinto con i coloridella bandiera giamaicana. Da qual-che anno, in rotta di collisione con lachiesa cattolica, si è avvicinata alla federastafari. Anche se all’ingresso, ad ac-cogliere gli ospiti, c’è una statua dellaVergine Maria a grandezza d’uomo.«Ho smesso da tempo di credere allereligioni organizzate», spiega la can-tante mentre prepara il caffè. «Sonouna cortina di fumo che distrae la gen-te dallo Spirito Santo. Hanno tradito ilprincipio fondamentale, che è quellodell’amore incondizionato; dobbiamocominciare a separare l’idea di Dio dal-le religioni». Assaggia il caffè dal mug,come si fa col biberon dei neonati perassicurarsi che la temperatura sia giu-sta. «Rovente», borbotta. Ne versa unpo’ nel lavandino e aggiunge latte fred-do. Assaggia di nuovo. «Perfetto». Me loporge e m’invita a seguirla al piano disopra. La stanza dipinta color cielo è lu-minosissima. Sulle pareti, enormi raf-figurazioni della trinità indù. Sinéadaccende la prima sigaretta della gior-nata. I bambini sono a scuola, la casa èun’oasi di silenzio. La presenza dei pic-coli è testimoniata da peluche di tuttele dimensione sparsi ovunque, dallecartacce dei muffin dimenticate negliangoli, dal cartello che la mamma tie-ne bene in vista sopra il frigo: niente

junk food dal lunedì al sabato pome-riggio. «È per loro che tredici anni fa holasciato Londra», racconta, «qui posso-no fare una vita più sana».

Raggomitolata su un cuscino, si sfilail buffo zuccotto rosso: ha la testa rasa-ta come ai tempi di Nothing compare2U, il brano di Prince che nel 1990 la tra-sformò in una sorta di eroina. La can-terà anche nei due concerti italiani — il2 aprile alla Fenice di Venezia e il 7 al-l’Auditorium Parco della Musica di Ro-ma — insieme alle canzoni (bellissime)dell’ultimo How about I be me (And yoube you)?

È quasi incredibile che, dopo gliscontri a volte violenti avuti con lastampa, Sinéad accolga in casa un gior-nalista. «Non sono mai stata offesa daun italiano», precisa, «ma, è vero, midescrivono come una pazza. Non pos-so lamentarmi se qualche volta hannoinvaso la mia privacy, sono una cheama fare le cose alla luce del sole. Hosempre lasciato correre. Penso: pove-racci, sono freelance che non riesconoa sbarcare il lunario. Gli editori dei ta-bloid sono sciacalli, le giornaliste sonotrattate in modo disumano se non por-tano le storie che i loro capi si aspetta-no. Non è solo il music business a esse-re corrotto, è il mondo intero. Inco-mincio a spiegarlo ai miei bambini: ilcinquanta per cento delle persone èper bene, gli altri sono bastardi».

Ha quattro figli da quattro matrimo-ni. Il primo, Jake, ha venticinque anni,fa lo chef a Londra. Sinéad aveva ven-tun anni quando è nato. «La maternitàmi ha salvato la vita», confessa. «E piùdi una volta. Se non fosse stato per lorosarei diventata una tossica, nel tipicomodo dei rocker intendo. E magari sa-rei morta a ventisette anni, come Jimi,Kurt o Amy. Sono finita direttamentedall’inferno dentro il music business».

I suoi genitori erano separati. PerSinéad la vita con la mamma era un in-cubo. Con lei restarono i quattro fratel-li (con il più grande, in particolare, Jo-seph O’Connor, famoso scrittore, i rap-porti ancora oggi sono complicati, an-che se è a lui che Sinéad ha dedicatol’ultimo disco) mentre lei, a tredici an-ni, andò a vivere con il papà. E iniziòuna nuova vita. Non senza difficoltà. Aquindici anni fu sorpresa a rubare in unnegozio — vizio che aveva ereditatodalla mamma — e affidata a un collegiodi suore. «Dire che mio padre fossepreoccupato è poco. Ma ci assomiglia-mo molto, e in fondo mi capiva», rac-

conta. «Cantare era l’unica cosa che sa-pevo fare, a scuola ero una frana, nonpassavo un esame. Quando guardavale mie pagelle, scuoteva la testa e mor-morava: figlia mia, tu finirai male. Ve-nivo espulsa continuamente, perchéfumavo o portavo la chitarra in classe.Avevo diciassette anni la mattina chetrovai insopportabili le due ore di eco-nomia domestica. Chiamai il bassistadella band e gli dissi: vienimi a prende-re, non ce la faccio più. Non tornai a ca-sa per due settimane, alla fine dovettichiamare mio padre perché non avevopiù un centesimo. Lui si arrabbiò mol-tissimo, ma sapeva che non sarei tor-nata indietro e, essendo lui stesso untenore frustrato, sotto sotto assecon-dava le mie aspirazioni. Senza la musi-ca sarebbe finita malissimo. Non ho ta-lento per nient’altro. Mia madre primadi morire (in un incidente stradale, nel1985) mi disse scettica: molti sonochiamati, pochi sono gli eletti». Si com-

muove. Riflette: «L’arena del pop è spi-ritualmente molto, molto corrotta».

Dopo l’album The Lion and the Co-bra (1990) aveva tutte le carte in regolaper correre il rischio di diventare lanuova Janis Joplin. Quando nel ’93 JimSheridan la volle per cantare You MadeMe the Thief of Your Heart nella colon-na sonora del film Nel nome del padre,Sinéad aveva ancora la chance di di-ventare, per credibilità e intensità, l’al-ternativa femminile a Bono degli U2 (loriafferma con orgoglio: «Sono una can-tante di protesta, una missionaria»).Ma era ingestibile, lo star system presequasi subito le distanze: testarda, im-prevedibile, incontenibile. Troppeesternazioni pubbliche, non sarebbemai diventata la Giovanna d’Arco delpop che avevano cominciato a dise-gnare: le violenze domestiche subìtedalla madre; la sessualità borderline(«Sono etero per tre quarti e per unquarto lesbica»); la ribellione contro lachiesa — alla fine degli anni Novanta sifece ordinare sacerdotessa col nome diMadre Maria Bernardetta dal vescovodi una chiesa indipendente irlandese,gesto che le valse la scomunica («Checomunque il Vaticano non mi ha mairatificato»); la pubblica dichiarazionedei suoi malesseri fisici e mentali — di-sturbo bipolare, impulsi suicidi, finoalla recente ricerca di un partner inchat («Se vado avanti così dovrò conso-larmi con una banana»). «Dicono cheuna donna sacerdote è il demonio», at-tacca, «e i preti pedofili? Non dovreb-bero essere i piccoli violentati a esseresantificati invece dei papi? Non saràcerto un papa così anziano come Fran-cesco a rivoluzionare la Chiesa e adaprire il sacerdozio alle donne. La miaidea è che sono tutti nel panico, perchésanno di avere le ore contate». Scatenòun putiferio quando nel corso di un’ap-parizione al Saturday Night Live, il piùpopolare varietà americano, stracciòin diretta l’immagine di Giovanni Pao-lo II. «Se lo facessi oggi avrebbe più sen-so», assicura. «In Irlanda, nel 1997, giàsi parlava dei preti pedofili, negli Usainvece lo scandalo esplose nel 2000, co-sì gli americani non capirono il senso diquel gesto. Ma sa cosa penso? Che lapedofilia è solo la punta dell’iceberg,ne verranno fuori di scandali, anchepeggiori. Ho guardato le immagini del-l’elezione del nuovo pontefice. Gli fac-cio gli auguri, è un papa che promettebene, ma se approfondisci le Scritturecapisci che il Redentore è venuto al

mondo per far capire alla gente che lereligioni sono truffaldine, per esortarlaa rivolgersi al Padre senza intermedia-ri, per liberarla col suo sacrificio dal ter-rore della morte. La chiesa invece ponel’enfasi più sulla morte che sulla resur-rezione. Sono diventata rastafarianaperché è un movimento, non una reli-gione; crediamo fermamente in Cristo,che è anche energia (ecco il senso dellastanza in cui ci troviamo), e nell’idea diDio al di fuori dalla religione organiz-zata. Anche il rifiuto di aprire il sacer-dozio alle donne è un abuso perpetra-to dall’ufficio del Papa, come se non fa-cessimo parte del corpo di Cristo! Il Va-ticano non riesce più neanche a rispet-tare i pontefici, figuriamoci il popolodella Chiesa. Il povero Giovanni PaoloII si trascinava debole e malato in giroper il mondo, esibito alla piazza anchedopo la tracheotomia, quando non riu-sciva a parlare. Papa Francesco saràanche l’uomo migliore della Terra, manon ce la farà a salvare il Vaticano».

La sera, Sinéad è invitata allo spetta-colo di punta della televisione irlande-se, il Saturday Night Show. «Sto anco-ra imparando a suonare la chitarra»,dice modesta mentre intona la strug-gente The Reason with Me. Alla finedell’esecuzione Brendan O’Connor(nessun grado di parentela) è com-mosso, senza parole. Non si aspettavache l’artista potesse recuperare dopotante traversie l’intensità di Nothingcompares 2U. «Con questo disco hovoluto riconcentrare l’attenzione su dime come cantante», conclude Sinéad,«lasciando indietro tutto il resto, il gos-sip, le polemiche, le stravaganze, o al-meno quelle che altri considerano talifacendomi sembrare una matta vera.Finché riesco a scrivere e cantare can-zoni, sono salva».

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L’incontroScomunicate

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I giornalistimi descrivonocome se fossiuna pazzain realtà sonosolo una che amafare le cosealla luce del sole

Sinéad O’Connor

GIUSEPPE VIDETTI

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