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DOMENICA 28 NOVEMBRE 2010 / Numero 303 D omenica La di Repubblica le tendenze Grande freddo, il ritorno del piumino IRENE MARIA SCALISE l’incontro Le donne e il cinema di Luc Besson CLAUDIA MORGOGLIONE cultura Le lettere d’amore di Grazia Deledda GRAZIA DELEDDA e SIMONETTA FIORI l’attualità Gente di Dublino, la nostra vita da Pigs ENRICO FRANCESCHINI e JOSEPH O’CONNOR ANNA BANDETTINI FOTO ARCHIVIO PICCOLO TEATRO DI MILANO S i dovrebbe cominciare dalle cartellette e dai cassetti pieni di fogli a casa sua, in via Frescobaldi a Milano, o dalle casse di materiali nella sede della fondazione, poco distante, in piazza Aspromonte: le lettere, gli appunti, i manoscritti, i fogli volanti, un mucchio di fotografie e i ritagli di giornale dove si conservano i sessantatré anni di bella, faticosa e ricca esistenza di Giorgio Ga- ber. Un tesoro di carte che raccontano il suo valore e alzano il ve- lo su come nascevano le sue canzoni, chi lo ispirava, come pen- sava. Un distillato di questo tesoro è L’illogica utopia a cura di Guido Harari, un libro elegante e spericolato. Trecentoventi pa- gine e oltre quattrocento illustrazioni che raccontano Gaber con le parole di Gaber. (segue nelle pagine successive) FRANCESCO MERLO C’ è «la Milano delle osterie, dei trani, delle peri- ferie disabitate» che Ugo Mulas fotografò ne- gli anni Cinquanta, ma è bello che il «cortile largo fatto a sassi» non sia descritto come la Bloomsbury italiana, perché Maria Monti non era Virginia Woolf, e Celentano era solo «quel giovanotto con la mania di imitare gli americani» ed «era- vamo un bel gruppo di stonati» e «solo Tenco era di sinistra». E si sentivano tutti americani senza parlare l’inglese, poi francesi senza parlare il francese, e «una canzone non è un comizio» e «confesso che non ho mai sentito molta attrazione per il verde, sia inteso come foglie, sia inteso come... tasche vuote. Il cemen- to di Milano è il mio ambiente naturale». (segue nelle pagine successive) spettacoli Sotto il vestito c’è sempre Hollywood NATALIA ASPESI Versi scritti, riscritti e cancellati, canzoni mai cantate, testi cambiati poco prima del concerto, ricerca ossessiva della parola giusta Cinquant’anni di musica, teatro e politica Ecco come lavorava il Signor G. Gaber segreto Repubblica Nazionale

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DOMENICA 28NOVEMBRE 2010 / Numero 303

DomenicaLa

di Repubblica

le tendenze

Grande freddo, il ritorno del piuminoIRENE MARIA SCALISE

l’incontro

Le donne e il cinema di Luc BessonCLAUDIA MORGOGLIONE

cultura

Le lettere d’amore di Grazia DeleddaGRAZIA DELEDDA e SIMONETTA FIORI

l’attualità

Gente di Dublino, la nostra vita da PigsENRICO FRANCESCHINI e JOSEPH O’CONNOR

ANNA BANDETTINI

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Si dovrebbe cominciare dalle cartellette e dai cassettipieni di fogli a casa sua, in via Frescobaldi a Milano,o dalle casse di materiali nella sede della fondazione,poco distante, in piazza Aspromonte: le lettere, gliappunti, i manoscritti, i fogli volanti, un mucchio difotografie e i ritagli di giornale dove si conservano i

sessantatré anni di bella, faticosa e ricca esistenza di Giorgio Ga-ber. Un tesoro di carte che raccontano il suo valore e alzano il ve-lo su come nascevano le sue canzoni, chi lo ispirava, come pen-sava. Un distillato di questo tesoro è L’illogica utopia a cura diGuido Harari, un libro elegante e spericolato. Trecentoventi pa-gine e oltre quattrocento illustrazioni che raccontano Gaber conle parole di Gaber.

(segue nelle pagine successive)

FRANCESCO MERLO

C’è«la Milano delle osterie, dei trani, delle peri-ferie disabitate» che Ugo Mulas fotografò ne-gli anni Cinquanta, ma è bello che il «cortilelargo fatto a sassi» non sia descritto come laBloomsbury italiana, perché Maria Montinon era Virginia Woolf, e Celentano era solo

«quel giovanotto con la mania di imitare gli americani» ed «era-vamo un bel gruppo di stonati» e «solo Tenco era di sinistra». E sisentivano tutti americani senza parlare l’inglese, poi francesisenza parlare il francese, e «una canzone non è un comizio» e«confesso che non ho mai sentito molta attrazione per il verde,sia inteso come foglie, sia inteso come... tasche vuote. Il cemen-to di Milano è il mio ambiente naturale».

(segue nelle pagine successive)

spettacoli

Sotto il vestito c’è sempre HollywoodNATALIA ASPESI

Versi scritti, riscritti e cancellati,canzoni mai cantate,

testi cambiati poco prima del concerto,ricerca ossessiva della parola giusta

Cinquant’anni di musica, teatro e politicaEcco come lavorava il Signor G.

Gabersegreto

Repubblica Nazionale

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

la copertinaIl Signor G. segreto

Appunti, riflessioni politiche, testi scritti e riscritti, canzonirimaste sulla carta. Per la prima volta un libro curatoda Guido Harari raccoglie l’archivio dello chansonniermilanese. Un’autobiografia postuma che racconta speranze,delusioni e disincanto dai tempi del Cerutti Ginoai “cambiamenti preoccupanti” del Duemila

Le paroleche non ho cantato

Giorgio

relazioni di spettacolo («un lavoro che mio pa-dre odierebbe»), Gaberscik di cognome comeera l’originale di Giorgio, dopo la morte nel 2003si è data subito da fare per tenere viva la memo-ria del padre. «Ho pensato che non dovevo tene-re Gaber per me, ma che le sue canzoni e i suoiscritti dovessero essere conosciuti dai giovani.Sono nati per questo il Festival Gaber e la Fon-

dazione».Sul lavoro Gaber produceva montagne di

scritti. Quanto fosse pensato, soppesato, soffer-to ogni suo testo lo testimoniano i manoscritti inbuona parte inediti raccolti nel libro: appunti suuna canzone, correzioni, rifacimenti, il testo ori-ginale de Il gridotagliato, corretto, foglietti di ho-tel zeppi di appunti per Mi fa male il mondo, Imostri che abbiamo dentro in una stesura origi-nale che non è quella cantata, cancellazioni e ag-giustamenti sul testo scritto a mano de Il poteredei più buoni. Ci sono le bozze de La legge («Lalegge in un paese alla deriva fa sì che la giustiziasia un po’ riflessiva...») con i ripensamenti, le pa-role giuste, la tormentata stesura de Il filosofo

(segue dalla copertina)

Quelle immagini, i documenti, le in-terviste, gli appunti mescolati e or-dinati insieme a un gruppo di ami-ci — da Paolo Dal Bon a Dolores Re-daelli, Giorgio Casellato e ai giovaniche oggi lavorano nella Fondazione

Gaber — sono diventate le pagine di unalunga “autobiografia” postuma, che ri-percorre in prima persona i cin-quant’anni di musica e teatro, i ventiseialbum, il tempo della giovinezza, ilSanta Tecla, la Milano accanitamenteamata, gli amici Jannacci, Celentano,Mina, Tenco, la tv, la moglie Ombret-ta Colli, il Piccolo, i rapporti compli-cati con gli ex del ’68 e l’innamora-mento dei nuovi giovani.

«Sono tutte parole sue. Paroleche lui aveva scritto, detto nelle in-terviste, pubblicato. Noi ci siamopresi la responsabilità di sceglier-le, selezionarle. E io ce lo ritrovomio papà». Dalia, quaranta-quattro anni, figlia unica di Ga-ber, manager nelle pubbliche

GaberANNA BANDETTINI

STROFE CANCELLATEIn alto, manoscritto

de La legge: Gaber

cancella strofe

come “non lo sa

l’assessore

né il ministro

trombone” e cerca

il verbo giusto

per definire lo stato

sociale. Alla fine

sceglie “ingorgato”

Subito sotto,

appunti volanti

su carta d’albergo

per Mi fa maleil mondo rimasta

quasi identica

alla versione

definitiva

LA FONDAZIONEManoscritti, locandine,

copertine di dischi e ogni altro

documento di queste pagine

fanno parte dell’archivio

della fondazione Giorgio Gaber

IN TEMPO REALECorrezioni e aggiornamenti apportati

da Gaber direttamente sul programma

di sala dello spettacolo Gaber 96-97

Repubblica Nazionale

37 LA DOMENICA DI REPUBBLICADOMENICA 28NOVEMBRE 2010

(segue dalla copertina)

Epensate invece alla banalità della via Gluck e all’e-terno grido antimoderno, «aiuto, qui si costruisce!»,che ancora oggi ha sconfitto l’architetto Boeri. Mi-

te, timido, disuguale negli studi come molti talenti, il Ga-ber che viene fuori da questi appunti è migliore del poetapolemico e di dottrina inventato dai celebratori postumiche lo esaltano più di Manzoni, Calvino e Sciascia perchéin Italia la canzone ha definitivamente soppiantato il ro-manzo di formazione e se l’America è «un paese che cam-bia» l’Italia resta «un paese che canta». E però qui vienefuori quel buon senso che i suoi epigoni non hanno. SuTenco a Sanremo, per esempio: «Credo che un gesto delgenere sia più da collegare all’uso di certe sostanze e all’i-nevitabile momento di abbattimento che ne segue. Unbiglietto come quello è troppo banale per giustificare lamorte di uno come Luigi».

E ogni tanto senti montare l’onda civile dell’indigna-zione, ma sempre anarcoide: «Io non voto da vent’anniperché non si tratta di scegliere il meno peggio: il menopeggio non esiste». Molto più spesso è preso dalle faccen-de sentimentali perché già da bambino «nelle canzonet-te mettevo troppi fiori e troppe barche». E se si imbrogliacon la filosofia poi si salva con l’ironia: «Non è detto che seuno fa delle cose intelligenti dia il meglio di sé». Ancora:«Quello del cantante era, per mio padre, un mestiere po-

co serio. In linea di massima la vedo anch’io cosi». Nessuno è mai riuscito a trovare le radici del talento

nella biografia di nessuno. Si parva licet non c’è conti-nuità tra la Critica della ragion pura e gli amori di Kant, evale anche per i trimetri giambici di Euripide. Dunque an-che questo libro, ricco di belle immagini, non spiega Ga-ber che era le sue canzoni, era la sua chitarra. Non c’è pen-siero di Gaber senza l’interpretazione, il nasone e lastramba fisicità da palcoscenico, il tic, lo scatto e la smor-fia con cui introduceva la distanza mentre cantava la vici-nanza. Era stato un bimbo malato e la malattia gli avevalasciato segni che lo costringevano a tenere posizionioblique e scomode. Ma non è per questo che divenne ilcantore di quelli che in Italia non trovavano la posizionecomoda, il menestrello della sinistra sfrangiata e sfibrata,quella che amava i colori tenui, lo scatto, il muoversi obli-quamente. Invece ora piace a tutti ed è entrato nell’ag-giornamento del dizionario del cretino di Flaubert, deiluoghi comuni di un’epoca, dove alla parola Gaber seguel’esclamazione «quanto ci manca il suo pensiero!». Inrealtà non aveva presunzioni né titoli da scienza del pen-siero. Aveva il talento dell’artista e l’orgoglio di «essere perbene». In un’Italia modesta ma “per male” dove «chi vo-leva sfondare doveva “urlare”» Gaber non era né genio nésregolatezza: «La lapide? Tutto sommato mi parrebbebello essere ricordato come una brava persona».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PICCOLO TEATROIn alto, una delle tantestesure de Il potere dei più buoni,uno dei testi più rimaneggiatida Gaber. In copertina, manifestodello spettacolo Il Signor G. del 1971,il debutto del Teatro Canzoneal Piccolo Teatro di Milano

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overground dall’album Gaber 96-97, una strofadi Io non mi sento italianorimasta sulla carta. Ri-corda Dalia: «Era sempre concentrato sul lavoroanche a casa. Da bambina mi rubava le pennedall’astuccio, poi siamo passati all’epoca del“Dalia dobbiamo battere a macchina”, che poiera il massimo della tecnologia che potesse con-cepire perché del computer non si fidava. Nonricordo che dopo gli spettacoli facesse moltealtre cose, a parte i lunedì quando ogni tantogiocava a poker con Battiato, Roberto Calas-so Fleur Jaeggy. E invece dei soldi puntava-no i libri».

Il lavoro di trent’anni insieme a Lupo-rini, l’amico pittore della prima ora e suo

coautore, ha sempre seguito una fer-rea ritualità domestica: finita la

tournée, a giugno si vedevano a Via-reggio («dove veniva deportatal’intera famiglia», ironizza Dalia).E per tutta l’estate erano pomerig-

gi intensi, di discussioni. «Parlava-no parlavano parlavano e fumavano

milioni di sigarette», ricorda la figlia.«Giravano intorno a un tema dello spetta-

colo»: l’infatuazione dell’amore per Il dilem-ma, la coppia ne Il dio bambino, la vacuitàcollettiva per E pensare che c’era il pensiero...«Mio padre si era ammalato nell’89 ma fino al

Duemila continuò a fare spettacoli», ricorda Da-lia. Poi le cose cambiarono. Stava più a casa. Leriflessioni erano diventate più cupe. Qualcunodisse che c’entrava anche la discesa in campocon Berlusconi della moglie Ombretta. Ma se l’I-talia si divideva in berlusconiani e no, lui vedevasolo i guasti della politica, a destra come a sini-stra, cosa che lo immischiò in un ginepraio di cri-tiche e dissensi, specie da sinistra. «Ho vissuto lamaggior parte nel Novecento — si legge nelle ul-time pagine libro — Questi frammenti che mi ri-mangono nel Duemila mi pongono di fronte aprospettive di cambiamenti preoccupanti». Epoche pagine dopo, con uno dei suoi tocchi iro-nici: «Ma saremo mica depressi Luporini e io?».Ovvio che no. A riascoltare le ultime cose, lo spet-tacolo Io quella volta lì avevo venticinque anni,che Claudio Bisio sta portando in scena, l’albumLa mia generazione ha persoo la canzone postu-ma Io non mi sento italiano che Fazio e Savianohanno voluto qualche sera fa a Vienivia con me, le sue sonore lavatedi capo si sentono ancora.Quel suo modo di «farci loshampo». Pur di non la-sciarci sprofondati inpoltrona a rimbambircidavanti alla tv.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

VERSIONIAccanto,tre versionidiversede Il filosofoovergroundTra le correzioni,la strofa originaria“Pamela Pamela”diventa “Pamelache donnaPamelache stronza”

IL LIBRO

Sarà in libreria il 2 dicembreGaber: l’illogica utopiaa curadi Guido Harari con la FondazioneGiorgio Gaber (Chiarelettere,320 pagine, oltre 400 illustrazioni,59 euro). Dall’11 dicembre al primogennaio, la quarta edizione di “Milano per Giorgio Gaber”(www.giorgiogaber.it)

Un anarchico per beneFRANCESCO MERLO

Repubblica Nazionale

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

«S

Sindrome irlandese

ropa si riempia di gente così, che tutti comincino a odiare tutti, a farsi la guer-ra tra di loro, una guerra tra poveri, come succede nelle famiglie quando fi-niscono i risparmi. Per questo me ne vado, e non sarò sola, l’anno scorso so-no emigrati sessantamila irlandesi, quest’anno saranno centoventimila,l’anno prossimo forse il doppio. Ti rendi conto? Noi irlandesi siamo in tuttoquattro milioni e mezzo. A questo ritmo in dieci anni l’isola resterà di nuovovuota. Quando ho finito di studiare era così facile trovare lavoro! E Dublinoera diventata così bella. Sembrava Londra, le stesse luci, gli stessi negozi, glistessi ristoranti. Ci dava l’ebbrezza senza bisogno di ubriacarsi di alcol, noiavevamo sempre vissuto in questo posto buio, cupo, triste, e di colpo era unafiera delle vanità, un luna park, il paese delle meraviglie! Mi ricordo che seianni fa l’Economist ci mise in copertina come il paese d’Europa con l’eco-nomia più forte, dove si viveva meglio».

«Oh, non si parlava d’altro che dei nostri eroi: Bono degli U2, la Ryan Air,gli scrittori irlandesi. Vai adesso a vedere Grafton street, la via dello shopping:sono rimasti soltanto i fast-food. Ogni giorno la coda per ritirare il sussidiodi disoccupazione si allunga, non avevo mai pensato che ci sarei finita an-ch’io in quella coda e invece eccomi qui, a ringraziare per l’assegno da cen-tonovantasei euro che mi passa lo Stato. Ma finirà presto anche quello, coni tagli annunciati dal governo. I banchieri ci hanno fregati, i politici sono sta-ti a guardare e chi paga per tutto questo? La gente normale, quelli come noi,come me. Sicché ci sono rimasti solo i vecchi pub, come questo. Quando vie-ne il venerdì, ora, ci diciamo tra amici: facciamo un bel funerale irlandesestasera? Li chiamiamo così i nostri party: delle veglie funebri, e il caro estin-to siamo tutti noi. Ecco, la vita da Pigs te l’ho raccontata. Dai, offrimi l’ultimabirra, che poi vado a casa, da mamma».

PIGSVita da

P O R T O G A L L O S P A G N A

© RIPRODUZIONE RISERVATA

il debito che l’Irlandaha con le banchetedesche e inglesi

268 miliardi

i posti di lavoroche verranno tagliatinel settore pubblico

25mila

gli irlandesi emigratinel 2010 su 4 milionie mezzo di abitanti

120mila

il pacchetto di aiutidi Unione Europeae Fmi per l’Irlanda

85 miliardi

GRECIA

IRLANDA

Claire Jacobs ha trent’anni, ha perso il lavoro,non può più pagare il mutuo della casa,vive con la mamma e ora si preparaa emigrare: “Come stanno facendotanti altri, come fecero i miei nonni...”

l’attualità

“Noi, gente di Dublinotraditi da un miracolo”

ENRICO FRANCESCHINI

DUBLINO

ediamociqui. Mi offri una birra? Dai, che ti racconto la mia storia. Mi chiamoClaire Jacobs, ho trent’anni, sono disoccupata e mi preparo a emigrare. Co-me i miei nonni e i miei bisnonni. I miei genitori appartenevano alla genera-zione che è tornata a casa dall’estero, perché l’Irlanda sembrava cambiata,sembrava più ricca, più moderna, perfino meno soffocata dal cattolicesimo.Io credevo che fosse cambiata per sempre, invece adesso seguirò le orme deimiei antenati. Forse non si può sfuggire al proprio destino. Com’è che ci chia-mate voi giornalisti? Pigs, maiali, le iniziali di Portogallo Irlanda Grecia Spa-gna, i paesi più scassati d’Europa. Te lo spiego io com’è la vita da Pigs. Conl’augurio che quella “i” non raddoppi e anche l’Italia non finisca trai maiali».

«Ho lavorato nel commercio, fino a qualche anno fa sembrava facile, pren-devi denaro a prestito, pagavi gli interessi, pensavi che un giorno quei soldili avresti restituiti. Facevano così tutti, le banche ti scrivevano a casa, ti te-lefonavano perfino: vuole dei soldi? Prego, glieli diamo noi, per comprareuna casa, per restaurarla, per comprare la macchina, per fare un viaggio, pergli acquisti di Natale, per quello che ti pare. Manco li regalassero, gli euro.Avevo più carte di credito che biglietti da visita, nel portafoglio. Tre anni fal’ho comprata anch’io una casetta, non c’era bisogno di pagare neanche l’an-ticipo, tutta in comode rate: io non lo sapevo, ma quando ho firmato il mu-tuo era la vigilia del crac. Il costruttore è fallito, la casa è rimasta costruita ametà, la banca me l’ha sequestrata quando ho smesso di pagare le rate delmutuo, ma poi è andata in fallimento anche la banca. Magari la salverà un al-tro prestito, questo dell’Unione Europea o del Fondo Monetario, chi lo sa?Però, a me che ci capisco poco di queste cose, pare strano: uno è indebitatoe, come soluzione per salvarsi, si indebita ancora di più, con altri creditori. Iodevo soldi alla mia banca che li deve alla Ue che li deve a chi? Debiti su debi-ti, ho paura che finisca male questa storia, male per tutta l’Europa».

«Se vuoi ti porto a fare un giro in quelli che dovevano diventare i sobbor-ghi di lusso, i villaggi residenziali della nuova classe media, dove avevo com-prato casa pure io: ce ne sono trecentomila, di case così, in Irlanda, li chia-mano villaggi fantasma, non ci andrà mai ad abitare nessuno, almeno per iprossimi dieci anni, o forse più. Ti ci porto, dai, se hai la macchina, perché lamia ho dovuto venderla. Mi offri un’altra birra?».

«Sono tornata ad abitare con mia madre, mio padre è morto, per fortunache la casa loro hanno finito di pagarla. Avevano tante speranze i miei geni-tori, mi dicevano: “Tu sei la prima di una nuova razza di irlandese”. Lo sai nocom’è il passato di questa nostra isola? Fame, carestie, emigrazione. A un cer-to punto, nell’Ottocento e poi di nuovo dopo il 1932, sembrava che l’Irlandasi svuotasse, tutti quelli in forze e in salute partivano. Lo fecero anche i mieinonni, andarono in America, come tanti. Ebbene, me ne andrò anch’io. Nonme la sento di aspettare cinque, dieci anni, o più, perché le cose migliorino.E forse non miglioreranno mai. Sono gli anni più importanti della mia vita,questi, gli anni fra i trenta e i quaranta, voglio sposarmi, farmi una famiglia,ma qui è impossibile. Il mio ex-fidanzato se n’è già andato, dopo avermi la-sciato: poveretto, era rimasto senza un lavoro e senza un soldo anche lui, nonaveva più il coraggio di guardarmi in faccia. Emigrerò ancora più lontano deimiei antenati, forse in Australia. Voglio scappare dall’Europa: ho paura chesucceda qualcosa di brutto da queste parti».

«Di cosa ho paura? Ma lo hai sentito Brian Cowen, il nostro premier, l’altrogiorno in Parlamento? Non ha detto quanti soldi di aiuto riceveremo dall’e-stero, non ha detto quanto dureranno i sacrifici e i tagli all’assistenza socia-le, l’unica cosa che ha detto è che tutto questo non è colpa sua. E allora di chiè la colpa? Mia? I politici dell’opposizione sono tutti incazzati neri, ma dov’e-rano anche loro quando sembrava che ci fosse una gara a chi si indebitava dipiù? Ho paura che venga fuori anche qui da noi una tipo Sarah Palin, che l’Eu-

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

Scene da una baraccopolicon annesso casinò

JOSEPH O’CONNOR

In Irlanda quattro bambini sono stati uccisi dai loro padri. Il motivo non loconosciamo ma la cosa ci ha lasciato atterriti. Sembra in qualche modo farparte dello strano, atroce trauma che stiamo vivendo, una crisi di identità

così divorante da non farci capire più chi siamo. Al di là dei titoli pessimisti edei dati clamorosi è questa la realtà che abbiamo di fronte. Rimbocchiamo lecoperte ai nostri figli senza sapere se hanno un futuro nel nostro Paese. Ognifamiglia vive in ansia, nel panico. Il nostro governo non ha autorità morale perrestare al potere. La gente è spaventata, si sente sola e senza guida. La voce nar-rante dello splendido romanzo di Sebastian Barry, Il segreto, dice dell’adole-scenza che è come ritrovarsi su un promontorio in fiamme senza sapere benecome ci si è arrivati. La definizione potrebbe valere per molti di noi irlandesioggi. Ignoriamo quale sia il prossimo capitolo della nostra storia. Ho smesso dicomprare i giornali, perché non sopporto che i miei figli li vedano. Ho pauradei notiziari radiofonici.

Dopo dieci anni passati a crogiolarci nel successo economico, immersi inuna sorta di nebbia tossica, oggi scopriamo che era solo un’illusione. Politiciinetti, banchieri avidi e speculatori immobiliari hanno distrutto le certezze sucui poggiava la nostra recente identità nazionale... Gli psichiatri ci insegnanoche il dolore si manifesta in quattro stadi distinti: rifiuto, rabbia, negoziato edepressione, prima di arrivare al traguardo dell’accettazione. Nell’ultimo an-no il paese si è fatto strada a fatica attraverso questo tetro quartetto di emozio-ni. Ci siamo autoconvinti che il boom sarebbe durato per sempre, negando l’e-videnza quando i dati di fatto mostravano il contrario. Ci siamo raccontati chele conseguenze non sarebbero state gravi come alcuni pronosticavano, anchese le code per il sussidio di disoccupazione si allungavano, le imprese falliva-no e ciascuno di noi aveva un familiare o un collega rimasto senza lavoro chenon riusciva più pagare il mutuo. Poi è venuto il grottesco periodo di passivitàe pasticci che gli storici riferendosi all’Irlanda del ventunesimo secolo legge-ranno come processo distruttivo dell’immagine nazionale.

Nel momento in cui serviva una leadership seria abbiamo ricevuto solo scu-se e luoghi comuni. Ci hanno detto che tutti eravamo sulla stessa barca, anchese gli speculatori milionari erano sovvenzionati dai contribuenti, e avevano ga-rantite pensioni d’oro e lauti stipendi. Circa trecento persone in Irlanda con-tinuano a vivere da rockstar, mentre quattro milioni di irlandesi pagano il con-to. Abbiamo il socialismo per i banchieri, la ferocia del mercato per tutti gli al-tri. Ci hanno imbrogliato, ci hanno mentito e le famiglie oggi pagano di tascapropria. I poveri pagano più degli altri.

Ero un ragazzo negli anni Ottanta. So cos’è la recessione. Ma non ricordo larabbia che oggi ribolle qui da noi, il senso di tradimento e di ingiustizia. Un in-segnante mi ha detto poco tempo fa che non riusciva a trovare un motivo percontinuare a vivere in Irlanda. I politici, molti, di tutti i partiti, sono disprezza-ti. Gli ascoltatori telefonano ai programmi radiofonici e raccontano storie chespezzano il cuore. La gente va in tribunale per non perdere la casa. Le ditte chiu-dono. In migliaia emigrano. E la rabbia trova spazi più ampi, se pur talvolta in-confessati. Il fatto è che i colpevoli sono molti, non pochi, lo sappiamo. La col-pa non è solo dei promotori immobiliari e dei loro avidi amici delle banche, nonsolo di una sfilza di governi spaventosamente avventati. La nostra stessa so-cietà è colpevole, in tutte le sue componenti ufficiali. Siamo stati disastrosa-mente sedotti dalle bugie delle autorità.

Abbiamo sostenuto i mediocri e i buffoni che ci hanno portato in questo pan-tano, autoconvincendoci nel nostro intimo di illusi che la felicità è indicizzataal preteso valore commerciale di quell’insieme di mattoni che sono le nostrecase. Ci aspettano anni duri, brutali, in cui pagheremo il costo reale. L’unicasperanza e che una volta attraversata la palude l’Irlanda sarà un Paese più giu-sto e più equo, non una baraccopoli con annesso casinò. Le cose importantiche abbiamo oggi le avremo ancora allora: una generazione di imprenditoricapaci, le opera dei nostri artisti e scrittori, uno splendido paesaggio, una co-munità di emigrati solidale, la cognizione, dolorosamente acquisita, di ciò cheaccade quando un’intera società si ipnotizza con un pio desiderio. Abbiamoancora l’incommensurabile dono della libertà conquistata per noi da personecoraggiose e la possibilità di avvalercene per imparare dagli errori e crescere.

La speranza che l’Irlanda diventi davvero adulta esiste, ma talvolta è diffici-le da sostenere. Non è retorica affermare che questo Paese può ancora esseremeraviglioso e speciale, una repubblica eccezionale, tanto nel successo chenella vergogna, nella fuga dalle responsabilità, ma questo è stato un risveglioterribile e sofferto e ci aspettano mille miglia di duro cammino.

Traduzione Emilia Benghi(© Guardian News & Media Ltd 2010. L’ultimo libro di Joseph O’Connor

è Una canzone che ti strappa il cuore, Guanda)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LANDSCAPEScene di vita irlandese: da sinistra, una chiesain collina e un matrimonio a Galway. In bassoa sinistra, due immagini di un’escursione sul MonteCroach Patrick nella contea di Mayoe un ritratto di una famiglia di Cork

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Lorenzo Ardizio

Alfa Romeo. Cuore Sportivo

320 pagine, 350 illustrazioni

Allan Bay

Nella mia cucinaI 100 strumentidi un cuoco curioso

316 pagine, 100 illustrazioni

Yann Arthus-Bertrand

La terra vista dal cielo

240 pagine, 200 illustrazioni

Matevž Lenarcic, Janez Bizjak

Alpi

512 pagine, 400 illustrazioni

Kurt DiembergerRoberto Mantovani

Enigma HimalayaInvenzione, esplorazione

e avventura

240 pagine, 200 illustrazioni

Reinhold Messner

DolomitiPatrimonio dell’Umanità

a cura di Ursula Demeterfotografie di Georg Tappeiner

288 pagine, 250 illustrazioni

A Natale le tue passioni per immagini

Repubblica Nazionale

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Lui nobile, bon vivant, critico teatrale a suo agio nei salotti romaniLei diciannovenne minuta, taciturna e nevrotica. Entrambi sardima di due isole diverse: quella ricca e quella barbaricina. Un rapporto

incominciato con un racconto e continuato con un carteggio. Finito con un incontroe con parole devastanti: “Sei come una nana”. In un libro la storiadel grande dolore che nemmeno il Nobel riuscirà a guarire

CULTURA*

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

Lettere d’amoree di martirio

SIMONETTA FIORI

Èungiallo editoriale, e un martirio amoroso vissuto conimpareggiabile tenacia, quello che si nasconde nel car-teggio tra la futura Nobeldonna non ancora ventennee il poco più adulto gigante biondo dallo sguardo tigre-sco. Minuta e nevrotica lei, Grazietta, una sfrenata ver-ve fantastica racchiusa in un corpo sgraziato. Critico

letterario di belle speranze Stanis, alto e possente, forse un po’ pin-gue ma luminoso nei suoi colori dorati, nobile di modi e di stirpe, unduca addirittura, duca dell’Asinara. All’inizio solo cerimonie gra-ziose, affettuosità sempre e soltanto cartacee, in un crescendo divezzi e galanterie, bruscamente troncato da un bigliettino di Stanis:«Sei come una nana». La frustata irrompe nei sogni di lei, frantu-mandoli. In mezzo «la strana altalena di lagrime, febbri, disperazio-ni, spasimi», e una distanza sentimentale non calcolabile nei centi-metri che li separa.

Grazia Deledda e Stanis Manca, due mondi destinati a rimaneresideralmente lontani, se non ci fosse la letteratura a farli incrociare.Sardi entrambi, ma d’una sardità agli antipodi: lei figlia della civiltàagropastorale, cresciuta sotto i cieli di madreperla e le lune d’ar-gento d’una Barbagia povera, la madre Chischedda taciturna e sem-pre in costume, la stessa Grazietta segregata a casa perché a Nuoroil suo nome stampato fa scandalo; lui erede d’una antica nobiltà iso-lana che gli conferisce un certo tono spumeggiante nella Capitalefin de siècle, sia in redazione alla Tribuna, dove cura la critica tea-trale, ma anche al Caffè Aragno, dove non ancora sbarbato s’affac-cia al mattino per osservare il passeggio romano. È qui o al giornaleche Stanis s’imbatte in una novellina di Grazietta, che gli ricorda lostile di George Sand. Perché non chiederle un racconto su Nuoro? IIgiovane critico prende carta e pennino e nel maggio del 1891 scrivealla novellatrice. È solo una lettera, ma presto diventa una tragediasentimentale.

Comincia così una quasi ventennale corrispondenza (fino al1909) o, meglio, un disperato romanzo d’amore nel quale Grazia ap-pare come unica autrice ed esclusiva protagonista, la figura ma-schile relegata in un ruolo secondario, sicuramente crudele ma nelcontempo evanescente. La voce di Stanis non l’ascoltiamo mai —lei brucerà le sue lettere con una furia ceca — c’è qualche traccia dilui solo nelle parole di Grazietta, ma è un silenzio ininfluente perchéla trama di fantasie eccitate intessuta dalla giovane donna sembraquasi prescindere dall’interlocutore. Più che amor fou, una voca-zione al martirio, che cresce e trae alimento dal rifiuto e poi da unaesibita indifferenza. E più lui la respinge, più lei si prostra e s’umilia,«ebbene sì, Stanis, giacché lo sapete, io vi ho amato, perdutamente,con l’amore più strano e più doloroso che si possa immaginare», mi-naccia di non scrivergli più e lo inonda di lettere bagnate di lacrime,simula estraneità e implora attenzioni, in un monologo solitario chesembra avere il solo significato di supplenza rispetto a una vita mor-tificata dalla «plumbea monotonia» e dal «gocciare del tempo». Al-meno in quei fogli straziati Grazietta vive una storia vibrante, nonimporta se segnata «da un atroce e vertiginosa umiliazione», sem-pre meglio del nulla che l’attornia.

Il filo per sbrogliare questa matassa di passioni va cercato nellatarda estate del 1891. L’aristocratico Stanis decide di incontrareGrazietta a Nuoro, vuole vederla di persona e non gli è bastata la fo-tografia che lei gli ha inviato il 5 agosto dopo tante titubanze, «eccoil mio ritratto, un po’ mal riuscito, rendendomi più brutta di quel chesono…». Li unisce «come dolce catena» la scrittura, il mondo delleparole, l’immaginario letterario frequentato nelle riviste dell’epo-ca. Forse lui ha curiosità per la donna, lei va oltre la curiosità. L’in-contro, nei primi giorni di settembre, è una catastrofe. Grazietta simuove rigida nel suo vestito nero, sproporzionata nel corpo tozzo ela testa grande, due occhi bellissimi che sembrano quasi assurdi inquel volto cupo e senza garbo. «Come una nana». Lui lo pensa, e po-co signorilmente glielo scriverà. Al momento pregusta solo il piace-re della fuga, dalla Grazietta mignonne ma anche dalla mestizia diquel granito misero che l’accoglie, una tovaglietta di pizzo comeunico segno di decoro. Stanis smetterà di scriverle, lei spericolata-mente lo travolgerà con una slavina di lettere, neppure l’insulto ter-ribile la trattiene, fino a quell’urlo esploso nel febbraio del 1894: «Ah,non può esserci l’amore dell’anima? Eppure io non vi ho amato perla vostra gigantesca persona! Dunque perché sono una nana devotanto patire? Ma è mia la colpa, dunque?».

L’epistolario firmato dalla Deledda è stato raccolto per la primavolta integralmente nel libro Amore lontano di Anna Folli, italiani-sta dell’Università di Ferrara, sensibile studiosa di scritture femmi-nili, forte di un’antica consuetudine con le carte ingiallite di AnnieVivanti e soprattutto di Sibilla Aleramo. Dopo la morte di Graziettanel 1936, il corpus delle lettere fu depurato del lato scandaloso e inparte pubblicato sulla Nuova Antologia per la cura di Antonio Man-ca, fratello di Stanis. Un altro pacchetto di missive vedrà la luce ne-gli anni Sessanta, ma solo ora è ricostruito nella sua completezza il«martirio d’un romanzo d’amore impossibile», rimasto lungamen-te sepolto perché poco confacente alla Signora del Nobel. L’epilogodella storia è in parte noto. Il duca dell’Asinara fece la sua carriera al-la Tribuna, temuto e riverito dal mondo teatrale. La Deledda nel1926 sale sull’Olimpo di Stoccolma. Esagera ancora, stavolta nonpiù nell’amore ma nella gloria. Ma Stanis era scomparso da dieci an-ni. Per Grazietta, neppure il sapore dolciastro della rivincita.

a prima lettera di Grazia Deledda a StanisManca, che le aveva chiesto di scrivere un rac-conto su Nuoro.

Nuoro, 18 maggio 1891Egregio Signore,[...] resta così contento? Mi spiacerebbe se

non fossi riuscita a contentarla davvero, maspero sia il contrario. Le ripeto che ho fatto il

possibile, ma non sono come lei si compiacechiamarmi, Giorgio Sand... oh, si figuri! Pos-so essere discepola della Sand, ma lei! Sonoun’umile fanciulla di diciott’anni (in realtà ènata il 1871 ndr), molto ignorantella, molto, siassicuri, e se riesco a fare qualche cosa è peramore della nostra cara e povera Sardegna,unico, primo, ultimo ideale della mia mentedel mio cuore [...]

Sua DevotissimaGrazia Deledda

Nelle lettere Grazietta ha uno stile legnoso,fatica a sciogliersi. E in questa missiva spiegaperché.

Nuoro, 9 giugno 1981Egrego Signore,[...] la plumbea monotonia che grava sui

nostri paesi spegne lo spirito, getta una spe-cie di velo anche sulle intelligenze le più forti:l’abitudine di parlare, per forza, i nostri dia-

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“Io, fanciulla grama”GRAZIA DELEDDA

“SEMBROUN NURAGHE”A sinistra,Grazia Deleddaa Roma nel ’36dopo il Nobel;sotto, nel 1916con i figli Sarduse Francesco;a destra, un bigliettoin cui scrive:“In questa fotosembro un nuraghe”Nella foto grande,la Deledda da giovane in SardegnaI documentiche corredano il testosono le lettereoriginalia Stanis Manca

GRAZIADELEDDA

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letti, sempre, sempre, fa sì che non ci possia-mo mai spiegare bene in italiano. Comin-ciando da me, se son riuscita a scarabocchia-re la presente è però certo che non sarei mairiuscita a dirgliela a viva voce: mi è più facilescrivere un romanzo che raccontare una fia-ba, e così quasi tutti, mentre conosco qualchesignora o signorina continentale che avvezzaa parlare sempre in italiano parla, racconta echiacchiera elegantemente nel medesimotempo che non sa scrivere una lettera [...].

Sua DevotissimaGrazia Deledda

Nell’agosto del 1891 Stanis fa balenare lapossibilità di un incontro. E le chiede di aprir-gli l’anima. Che cosa sogna per l’avvenire: lagloria o l’amore? Invece di una risposta, ricevela fotografia che lui le aveva chiesto qualchesettimana prima, illudendola. E insieme allafoto, un autoritratto in versi.

Nuoro, 5 agosto 1891Egregio Amico,[...] Mi ricordo, un anno fa, una sposa che

doveva lasciare Nuoro pretese che io scrives-si nel suo album qualcosa di simile a ciò che

pagata? Vuole che aggiunga che, senza esserricca non sono neanche povera [...], che sonoscettica e credente, allegra e triste, pallida orossa secondo le ore e... la compagnia, e ben-ché non sia bella ho tre o quattro adoratori?[...]

Mille saluti dalla sua Aff. maGrazia Deledda

Nei primi giorni di settembre il disastrosoincontro. Stanis dirada le sue lettere, fino al si-lenzio. Grazietta non s’arrende, sogna di dan-zare con lui il ballo tondo, e glielo scrive.

Nuoro, 7 dicembre 1891Amico mio,[...] pensavo così intimamente a voi, desi-

derandovi compagno di viaggio per ammira-re insieme a me i paesaggi sublimi e solitari,che una notte sognai di voi: eravate vestito incostume... Ridete? Aspettate, che qui è il piùbello. Si era sulla spianata di una chiesa, la fa-mosa chiesa dei Miracoli dove ho visto tantescene bizzarre, e ballavano il ballo tondo, lesplendide sarde dai costumi di broccato e gliuomini tutti neri e seri nei volti color rame e dibronzo. Mi invitaste a ballare. Impossibile,diss’io per esimermene, perché non mi piaceballare, e tanto meno il monotono ballo ton-do; bisogna, secondo il costume, che i balleri-ni non si diano del lei. Ebbene, mi risponde-ste, diamoci del voi se le aggrada. Allora ci fa-cemmo compari, per poterci dare del voi. Mamentre eseguivamo la curiosa cerimonia deisette nodi fatti e disfatti nel fazzoletto, il sognosfumò sul più bello — come accade nella vita— e io mi svegliai pensando: che direbbe ilmio amico se sapesse il mio sogno? [...]

Grazia

La corrispondenza diventa un monologo,che gira a vuoto. Pressato dall’insistenza diGrazietta, nell’agosto del 1892 Stanis le man-da il crudele biglietto in cui le confessa di aver-la vista «come una nana». Lei continuerà ascrivergli adorante. Fino alle lettere della con-ciliazione. L’11 gennaio del 1900 sposa Palmi-ro Madesani.

Nuoro, 4 ottobre 1899Dopo tanti anni di silenzio le scrivo per

chiederle un favore [...]. Io non mi sono maimossa da Nuoro: vivo tranquilla nella quietacasa dov’Ella mi ha conosciuto [...]. Sono sul-la via di diventar ricca: studio, lavoro, son di-ventata savia [...]. Per Lei serbo il ricordo del-le cose che, per quanto lontane e fantastiche,non si possono dimenticare. Sia dunque gen-tile con

Grazia Deledda

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oggi faccio, in versi però, e io scrissi un sonet-to che forse è un delitto di poesia, ma che miritrae fedelmente. Vuole che glielo riscrivaper completare, ovvero per descriverle com-pletamente l’interno dell’infelice figura uni-ta a questo foglio? [...] Diceva dunque così:

Io sono una fanciulla bianca e grama,con gli occhi grandi ed i capelli oscuri;vivo nell’ombra eppur sogno la fama,e che fra i grandi nomi il mio figuri.Io sono altera come antica dama,che più della sua vita l’onor curi,eppur l’alma mia ardente spesso brama,i baci d’un amor ch’eterno duri. Piango, rido, dispero, prego e sogno;odio in silenzio chi m’offese, e gratoricordo serbo a chi m’aprì il suo cor.E mentre a grandi lotte penso e agogno,stanca nell’alba de la vita innato,sento io il desìo d’un lungo sogno ognor!Resta così contento? La sua curiosità è ap-

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IL LIBRO

È in libreria in questi giorni Amorelontano. Lettere al gigante biondo(1891-1909) di Grazia DeleddaA cura di Anna Folli è editoda Feltrinelli (208 pagine, 14,50 euro)

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TUBINO

NERO

TAILLEURBIKINI

SPETTACOLI

vestitoilSotto

HOLLYWOOD

NATALIA ASPESI

ICONE/2In basso a sinistra,Ursula Andressin Agente 007: licenzadi uccidere (’62);a destra,Lauren Bacallin Come sposareun milionario (’53);Silvana Manganoin Riso amaro (’49);Sophia Lorenin Ieri, oggi e domani (’63);Monica Vittiin Ti ho sposatoper allegria (’67)

ICONE/1Audrey Hepburnin Colazione da Tiffany (’61);da sinistra a destra,Marlene Dietrichin Fulminati (’41);Rita Hayworth in Gilda(’46); Marilyn Monroeper Life (’52);Ava Gardner nel ’52

“Fare Sheherazade è facileFare un tubino nero è difficilissimo”

Coco Chanel

TRENCH

“L’uomo con il trench mostrail distintivo, vuole essere pagato”

Bob Dylan

“Come le statistiche: rivelano il suggestivo, nascondono il vitale”

Aaron Levenstein

“Con due tailleur neri e tre camicettebianche si conquista il mondo”

Coco Chanel

Fu dal momento in cui sulloschermo i jeans proletaristrizzarono il pur gloriososedere di Marilyn Monroe(1954, La magnifica preda),e quello adolescente di Bri-

gitte Bardot (1956, Piace a troppi) cheiniziò il declino delle star come dispen-satrici di sogni e fascino irraggiungibile.Quelle meravigliose creature esaltatedalla luce del bianco e nero, che le ren-deva opalescenti, stavano già sbiaden-do nel colore che, togliendole al miste-ro, le relegava banalmente nella quoti-dianità delle altre donne. Autorizzati dauna valanga di film che in quegli annicominciarono a mostrare le più belledonne del mondo e gli uomini più se-ducenti, fasciati nel rustico denim, ijeans, usati come abito da lavoro di mi-natori e allevatori di bestiame, diven-nero la divisa giovanile più democrati-ca e longeva: tutt’ora di massima moda,anche con giacca da smoking per giova-notti irriflessivi e costosissimi per si-gnore insensate, si espandono troppospesso su sederoni adolescenti, che neoscurano il mito un tempo esaltato dalcinema.

Adesso le edizioni Contrasto pubbli-cano Fashion: Box, un libro-scatola checontiene centinaia di fotografie per ce-lebrare l’incontro epocale, o lo scontro,tra i classici senza tempo della moda,come appunto i jeans, e le dive che in-dossandoli nella vita e sullo schermo litolsero dal grigiore fashion per renderlifavolosi, immortali. I testi, di massimacultura, sono di Antonio Mancinelli,con tutte le citazioni dotte indispensa-bili a spolverare la moda da ogni frivo-lezza e superficialità, (Simmel, Lipove-stky, Laurie ecc.). Si sa che di libri che di-saminano le più ingegnose filosofie tracinema e moda e moda e star, ce ne so-no centinaia, ma questo ha una sua ori-ginalità perché non parte dallo scher-mo ma dalla strada: o meglio dagli ar-madi femminili, intasati dagli imman-cabili (tutti o in parte) sedici classici tut-tora contemporanei del vestire terreno.Dalla camicia bianca, al tubino nero altrench, dal tailleur al dolce vita, alla T-shirt, al twin set: più tutti quei capi chese in età, le signore, si spera, hanno re-galato alla nipotina per non essere in-cluse nel prossimo Cafonal, tipo mini-gonna e guêpière, hot pants, Capripants e bikini; e ancora quelli per signo-re che ad ogni età, se mondane e pienedi sé, ritengono indispensabili, lon-guette, abiti da sera, travestimento an-

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

Un libro fotografico indagasull’incontro-scontrotra cinema e moda. Per scoprireche un semplice abito può esseremagico, ma una volta sola

JEANS

no nella memoria per sempre, di de-cennio in decennio, gli shorts estremiindossati da Silvana Mangano dician-novenne in Riso amaro (De Santis,1949); i fan anche giovanissimi dellabellissima attrice ricorderanno il suofulgore fisico reso, allora poi, più provo-cante da quel lubrico straccetto strettosulle sue cosce piene e statuarie. Man-cinelli ha scelto personalmente queiclassici e nello stesso tempo esotericicapi d’abbigliamento che ritiene basi-lari per il fascino femminile: talvoltaesagerando, per esempio indicando trale meraviglie iconiche della moda lalonguette, che è stata sempre male achiunque, persino a Elizabeth Taylor ea Gina Lollobrigida, segnando soloun’epoca di femminilità signorile,composta ma eccessiva, pura misticadella femminilità pre femminista. Laverità è che ognuno di quei capi usuali,quotidiani, è diventato magico una so-la volta, al massimo due, e solo su una odue star: il tubino nero su Audrey Hep-burn in Colazione da Tiffaniy (BlakeEdwards, 1961), ha lasciato indifferentisu Sharon Stone (per altro maga del mi-stero tra le gambe accavallate sotto lagonna bianca, Basic Instinct, PaulVerhoeven, 1992). La famosa camiciabianca cui troppe signore affidano inu-tilmente la speranza di una seduzioneelegante, ha elegantemente sedotto suKatherine Hepburn e Lauren Bacall,molto meno su Angelina Jolie e ParisHilton. Sophia Loren in Ieri, oggi, do-mani (Vittorio De Sica, 1963) rendevadomesticamente seducente la guêpiè-re, che portata da Madonna nel tourBlond Ambition del 1990 è diventatauna corazza asessuata e contundente. Iltrench ha avuto un senso drammaticoindossato da Michèle Morgan, e MarlenDietrich, pochissimo su Uma Thrman eAnnette Bening, solo Rita Hayworh inGilda, 1946, e nello stesso anno AvaGardner in La signora omicidi, oltre al-la nostra meravigliosa Lucia Bosè inCronaca di un amore, 1950, hanno toltoogni volgarità all’abito da sera. Figure,dive, personaggi, sogni, cristallizzatinel tempo.

E oggi? L’ultimo per ora, inno allamoda, l’ha fatto il capolavoro televisivoSex and the city: alla moda di oggi, checambiando in continuazione, ad ogniora, riempiendo gli armadi con ognifoggia possibile di roba a buon mercatoe fatta per non durare, glorificandoscarpe ed accessori come massimaconquista di eleganza, si cancella da so-la, cancellando chi la indossa.

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CAPRI

PANTS

OOD

drogino.Nei tempi in cui il cinema, deciso a

creare incanto, mai si sarebbe ispiratoalla strada per non deludere gli spetta-tori, trionfavano a Hollywood, ma an-che a Cinecittà, i grandi costumisti, danoi il meraviglioso Piero Tosi e la sarto-ria teatrale di Umberto Tirelli, laggiùAdrian e Travis Banton, Edith Head eHelen Rose, Cecil Beaton e Irene. DianaVreeland, leggendaria direttrice di Vo-gue America, di quell’abbigliamentostudiato per rendere divine le star, ri-cordava che «era più vistoso che nellarealtà. I diamanti erano più sfolgoranti,le pellicce più folte, sete, velluti, rasi,chiffon, piume più stupefacenti. Tuttoera esagerazione…». Tutto era più cine-ma, e se il pubblico medio si acconten-tava di sognare certi abiti da casa insen-sati, pura invenzione hollywoodiana,con lo strascico e immensi colli e polsidi volpe bianca, che su una normale ca-salinga ai fornelli avrebbero immedia-tamente preso fuoco, nell’Italia fascistale signore del regime subito li imitaro-no, in accordo con le loro nuove casetutte bianche dai mobili moderni, e idettami mussoliniani rivolti alle damericche perché incrementassero il lussoautarchico (vedi l’elegantissimo e iro-nico La contessa di Parma di Blasetti,1937).

E per esempio Gloria Swanson, chenella vita si vestiva haute couture pari-gina (il suo guardaroba conteneva piùdi trecento abiti da sera), fu scialbissimaindossando i suoi Coco Chanel in Que-sta notte o mai piùdel 1931; da quel mo-mento si riaffidò all’arte dei costumistidicendo: «Il pubblico vuole che ci ve-stiamo e viviamo come re e regine, e noiubbidiamo». Marlene Dietrich con-fermò questa verità d’epoca. Per una di-va, apparire sullo schermo e nella vitacome persone qualsiasi, poteva essereun errore fatale: «La parola glamour si-gnifica qualcosa di inaccessibile alledonne qualsiasi, un paradiso irreale,desiderabile ma fuori da ogni portata».Più amara e ironica, anni dopo MarilynMonroe definì il mondo del cinema unluogo «dove la virtù di una ragazza con-ta molto meno della sua pettinatura».

Dunque è capitato che, accettandol’uso di una delle parole più antipatichedegli ultimi anni, c’è questa nuova cele-brazione dell’unione tra icone dellamoda e icone dello schermo, che unasull’altra sono spesso il solo residuo difilm un tempo celebri e di star defunte,di cui restano, immortali, alcuni foto-grammi vestimentari, diventati, ap-punto, la loro immortale iconografia.Gli appassionati di moda conserveran-

IL LIBROFashion: Box

con testi di AntonioMancinelli, (480 pagine, 28 euro) è editoda Contrasto Il libro è dedicatoalla moda e alle stardel cinema

“Sono stata la prima casalinga in tva non indossare abitini floreali”

Mary Tyler Moore

MINIGONNAGUÊPIÈRE

“La minigonna permette alle ragazzedi correre più veloci”

John V. Lindsay

“Come sono belle le gambe di unadonna che spuntano da una guêpière”

Charles Bukowski

“One-two one-two-three uh! Hot pants, hey hot pants uh!”

James Brown

“Ho detto spesso che mi sarebbepiaciuto inventarli”

Yves Saint-Laurent

ABITO

DA SERA

“Gli uomini si innamorano di Gildama si svegliano al mattino con Rita”

Rita Hayworth

Che cosa sarebbe un tubino nerosenza la Audrey Hepburndi “Colazione da Tiffany”E un paio di shorts senzala Mangano di “Riso amaro”?

HOT

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Intanto, il vocabolario: la lingua italiananon prevede il singolare. Caco non esiste:si dovrebbe dire cachi per uno come percento frutti. E poi, non tutti lo chiamanocosì. In molti lo conoscono come loto, altricome kaki, parola che identifica anche ilcolore. Altri ancora, soprattutto in Tosca-na, lo chiamano diòspero, dal greco dió-spyros, ovvero pane di dio. Una bella re-sponsabilità per il frutto più dolce dell’au-tunno, la cui pianta-madre è originariadella Cina, dove fu battezzata albero dellesette virtù: lunga vita, grande ombra, nien-te nidi fra i rami, inattaccabile dai tarli, ec-cellente legna da ardere, ottimo concime,gioco di bimbi con le foglie indurite dalghiaccio. Un’aura magica cui aggiungerequella di simbolo della pace, perché furo-no solo alcuni cachi a sopravvivere all’ato-mica di Nagasaki nel 1945.

«Perché la terra dei cachi è la terra dei ca-chi...», cantavano Elio e le Storie Tese al Fe-stival di Sanremo, ritornello al curaro perraccontare le moleste cedevolezze dell’Ita-lia del 1996. Mollezze a parte, difficile tro-vare un frutto più gastronomico: è come sela natura si fosse divertita a trasformarlo di-rettamente in golosità, senza mediazioneculinaria. Così morbido e succulento, checoltello e forchetta risultano inutili: l’unicaposata consentita è il cucchiaino, da affon-dare nella polpa carnosa e dolcissima, unasorta di mousse ante litteram. A patto chela maturazione sia perfetta.

Questione di sesso. Perché esistono duetipologie di cachi: quelli fecondati e quellino. Se il fiore femmina incontra il polline

maschile, il frutto riduce già sulla piantal’alta percentuale di tannini responsabilidella sensazione allappante. Così, al mo-mento della raccolta, la quota zuccherinaemerge senza discussioni, regalando dol-cezza a go-go. Al contrario, il frutto genera-to senza scorribande botanico-amoroseriesce tanto astringente da non poter esse-re consumato subito dopo il distacco dallapianta-madre. Né serve lasciarlo sul ramo,dove oltre il tempo della raccolta marciscetristemente, mantenendo intatta la suaostinata astringenza.

Che fare? Se il caco è “zitello”, occorrescaldarlo e coccolarlo. Il processo di “am-mezzimento” consiste nel sistemare i frut-ti in cassette in ambiente asciutto, buio e atemperatura ambiente, possibilmente in-tervallandoli alle mele, che rilasciano na-turalmente microquote di gas etilente eacetilene, che favoriscono la maturazione.Solo in questo modo nella polpa si abbas-sa la quantità di tannini e si alza quella de-gli zuccheri, fino alla dolce pastosità chetanto li fa amare.

Tanta cura viene generosamente ricam-biata in termini di vitamine (A e C), anti-battericidi, sali minerali (calcio e potassio),mentre la quota di tannini, comunqueconsistente, aiuta a prevenire le malattiecardiovascolari (vino rosso docet). Ultimama non minore in fatto di virtù, la capacitàdi ridurre il tasso di assorbimento e il me-tabolismo dell’alcol, attenuando i sintomidell’ubriachezza. La sola controindicazio-ne risiede proprio nella sua languida zuc-cherosità, che si traduce in abbondanza dicalorie. Quindi, se avete bevuto un bic-chiere di troppo, un paio di cachi vi rimet-teranno in sesto. Ma il giorno dopo, dieta.

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Di stagione

VanigliaEsiste in sotto varietà con diversegradazioni di colore e consistenza:la più diffusa sfoggia un giallocarico e una polpa tanto sodada essersi guadagnata il nomedi cachi mela

SurugaLa varietà caratterizzata da polpapiù dura, quasi croccante, che permette maggior facilità di trasporto, è la più scelta dagli chef per la preparazione di salse e bavaresi

Di colore giallo aranciato e forma tonda, è la varietà più popolare e conosciutaZona d’elezione, i comuniromagnoli da Imola a CesenaHa polpa soda e gusto dolce

Ha polpa chiara e sodala tipologia a maturazione tardiva, che perde la tendenzaallappante già sulla pianta, e per questo è commestibile fin dalla raccolta

LICIA GRANELLO

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

Il vero frutto

dell’amore

iCachi

Il più dolce dell’autunno nasce nella Cina di duemila anni fama è rimasto sempre fedele a se stesso e alle sue originiOggi come allora arriva a tavola non solo per motivigastronomici, ma dietetici e persino curativi. E poi, così morbidoe succulento nel pieno della maturazione, è il solo a non richiederemediazioni culinarie. Gli basta un cucchiaino

i sapori

FuyoLoto

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ConfetturaL’alta percentuale di fruttosiopresente naturalmente permette di ridurre la quantità di zuccheroda aggiungere in cotturaSi aromatizza con Cointreauo Grand Marnier

SalsaFacile da addensare con poca gelatina e profumata con la bacca di vaniglia, è la compagna ideale di budini e mousse a base di cioccolato,castagne, ricotta, zucca

TortaQuaranta minuti di forno caldo per trasformare in fine pastogoloso la polpa mescolata con zucchero, cacao, farina, frutta secca e amaretti. Si profumacon limone e uva passa

GratinI mezzi cachi spruzzati di cognac,ricoperti con albume e zuccheromontati a neve vanno infornati per qualche minuto. Sopra, a filo, una salsa leggeradi cioccolato e mandorle

Nel chiostrodi un monasteromedievaledi Certaldo,Firenze, SaraConforti gestisce

l’Osteria del VicarioTra i piatti più sfiziosi,l’insalatina di granchio condita con salsa di cachi

itinerari

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

Memorie di colorenel grigio delle nebbie

MASSIMO MONTANARI

Quando i cachi nelle giornate d’inverno perdono le fo-glie, penso che questi alberi hanno un’altra virtù oltrealle molte che la tradizione cinese gli ha riconosciuto.

Quei cachi in mezzo ai rami, nella campagna spoglia, sonocommoventi, memorie di colore nel grigio della nebbia.

In Europa, i cachi sono arrivati nella prima metà dell’Ot-tocento. In Cina sono usati da più di duemila anni. Le primenotizie risalgono al Secondo secolo avanti Cristo quando,sotto la dinastia Han, le regioni del sud furono annesse al-l’Impero e arricchirono il repertorio di piante usate come ci-bo. Nel millennio successivo furono oggetto di coltivazioniredditizie, che finivano sui mercati urbani e sulle tavole im-periali: il menù di un banchetto offerto all’imperatore Gao-zong nel 1151 comprende molti piatti di frutta, tra cui nonmancano i cachi. Al pari di altri frutti, questi arrivavano a ta-vola a fine pasto, per motivi non semplicemente gastrono-mici, ma anche dietetici. In Cina, come nelle altre antiche ci-viltà, le regole alimentari erano anche regole per la salute, eterminare il pasto con qualcosa di dolce era una pratica chela scienza medica raccomandava in nome sia della piacevo-lezza, sia della salubrità. Tra i frutti, alcuni erano più dolci dialtri ed era sicuramente questo il caso dei cachi, che inoltreavevano una qualità ritenuta anch’essa utile per un fine pa-sto: l’astringenza, la capacità di “sigillare” lo stomaco favo-rendo i processi digestivi. Dolce e astringente erano le qua-lità, rare, di frutti come i cachi o le castagne (queste ultime,consigliate anche dai medici europei del Medioevo comeideale conclusione dei pasti).

Oltre che per gli usi culinari e dietetici, ogni cibo era con-sigliato anche in funzione curativa, per particolari affezioniche la medicina cinese, esattamente come quella dell’Occi-dente antico e medievale, curava secondo il principio delcontrasto. Dolci e “freddi”, i cachi si ritenevano utili per eli-minare gli eccessi di calore, per calmare la sete, per umidifi-care i polmoni. Si usava anche cuocerli al vapore e consu-marli con l’aggiunta di miele, per combattere la tosse o l’a-sma. Erano naturalmente ritenuti un buon antidoto per ladiarrea.

Quando, nel Diciannovesimo secolo, i cachi arrivarono inEuropa, la scienza medica occidentale aveva ormai imboc-cato la strada della chimica scardinando l’antica complicitàfra dietetica e gastronomia. In tale contesto culturale, l’at-tenzione ai nuovi cibi fu quasi solamente gustativa. Il sapo-re delicato dei cachi, lontano dai gusti zuccherini più forti einvadenti che si erano nel frattempo affermati in Occidente,faticò a ritagliarsi uno spazio che non fosse marginale. Laparticolare astringenza di questi frutti non fu più percepitacome una qualità da mettere in valore, ma come un ostaco-lo al suo godimento. Ad alcuni i cachi continuano a parereun cibo insulso, anche se altri (come me) ne sono ghiotti.

Faenza (Ra)Oltre un terzo della produzione nazionale si concentra nella campagna romagnola, dove vengono coltivati sia il loto di Romagna, sia l’aromatico e delicato cachi mela

DOVE DORMIREHOTEL VITTORIA Corso Garibaldi 23 Tel. 0546-21508Camera doppia da 90 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARENOÈCorso Giuseppe Mazzini 54Tel. 0546-660733Chiuso martedì, menù da 35 euro

DOVE COMPRAREAZIENDA BIOAGRICOLA FRANCESCONI Via Tulliero 154Tel. 0546-43213

SalernoHanno un secolo di vita le coltivazioni di cachissi vaniglia nell’agro sarnese-nocerino,dove i frutti, dolci e molto succosi, arrivano a maturazione sulla pianta

DOVE DORMIREHOTEL FIORENZAVia Trento 145 Tel. 089-338800Camera doppia da 105 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREIL RISTORO DEGLI ANGELIVia Conforti 16Tel. 089-2960329Chiuso merc. sera e dom., menù da 30 euro

DOVE COMPRAREBIO GASTRONOMIA CASA BIANCACorso Garibaldi 144 Tel. 089-225442

Misilmeri (Pa)Sagra dedicata e cure maniacali per i pregiaticachi vaniglia coltivati nella piana palermitana,raccolti verdi in ottobre e fatti maturare in cassoni foderati di carta

DOVE DORMIREHOME FROM HOMEStrada Provinciale 134, Contrada ScozzariTel. 091-8724848Camera doppia da 50 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREARRHAISLargo Marino 6Tel. 091-947127Chiuso mercoledì, menù da 35 euro

DOVE COMPRARETU.KA.MI.Corso Vittorio Emanuele 174/ATel. 091-8731384

‘‘Federico García LorcaInventano pomate con cuinascondere i deliziosi capelliricci e polveri che mutinoil grigio del viso e sciroppicon cui ingrassare e attenuareil florido cachi delle labbra

Repubblica Nazionale

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

le tendenzeDa brivido

Grandeil

freddo

La crociera? Tra i fiordi norvegesi a bordo del PostaleI libri? Naturalmente quelli di Stieg Larsson. E il design?Non può che arrivare da Stoccolma. Il “nordic attitude”sta conquistando tutti, e anche la moda si adegua al trendTornano così, per un inverno che si preannuncia gelido,pullover lavorati ai ferri, maxiabiti, stivali in pelo e colbacco

Quella vogliadi Scandinavia

IRENE MARIA SCALISE

Profondo nord. Siamo tutti norvegesi, svedesi eislandesi. O perlomeno finlandesi e danesi. Daquest’inverno, già preannunciata con inequivo-cabili segnali lo scorso anno, è decisamente scop-piata la scandinavo-mania. Passione trasversale,quanto irrefrenabile, a cavallo tra design, vestiti,

letteratura e viaggi. Dopo anni di british look e street style è orala volta del “nordic attitude”, letteralmente atteggiamentonordico. La vacanza ideale, sostengono in molti, non è in unfantastico atollo caldo ma a bordo del Postale che, silenziosa-mente, conduce a spasso tra i fiordi norvegesi. La famosa cro-ciera fredda riesce a scaldare gli animi con atmosfera e pano-rami da favola. Idem per il design. Tutto quello che è proget-tato a nord di Copenaghen appassiona i trend setter e sono giàin molti ad aver prenotato un posto in prima fila per laStockholm Design Week che si terrà, a Stoccolma, dal 7 al 13febbraio 2011. Gli storici pezzi firmati da nomi come Alvar Al-to, Nanna Jørgen Ditzel e Verner Panton sono tornati prepo-tentemente in voga, mentre il Danish Design Centre è un po-lo ormai riconosciuto per la capacità di unire il gusto del bel-lo alla sostenibilità. La letteratura non è da meno: Iperborea,la casa editrice specializzata nei paesi del nord Europa, hainaugurato una collana noir che sta conquistando inediti ap-passionati. Ed è, ovviamente, boom per Stieg Larsson: ottomilioni di copie vendute e traduzioni in venticinque paesi perla sua trilogia. La Marsilio, che pubblica lo scrittore e giorna-lista svedese in Italia, ha anche acquistato i diritti del libro LaStella di Strindberg di Jan Wallentin. Il romanzo non è ancorauscito ma pare sia già stato venduto in una dozzina di paesi. Epoi ci sono ancora La principessa di ghiaccio di Camilla Läck-berg e L’ipnostista di Lars Kepler (centomila copie in meno didue mesi in Svezia).

E la moda non rimane certo un passo indietro. Tutto quelche s’indosserà, da ora sino alla primavera, sembra passareper una sorta di restyling nordico. Basti pensare che, solo inSvezia, l’industria della moda nel corso degli ultimi sei anni haraddoppiato le proprie esportazioni. E allora via libera ai pul-lover lavorati ai ferri che raccontano di renne e paesaggi mon-tani. Le maglie sexy e scollate cedono il passo a maglioni, car-digan e abiti formato maxi. Il neo stile è anche vagamente an-ni Settanta: polacchini, sciarponi tricot, stivali in pelo rubatidalla slitta di Babbo Natale. E hanno un’aria molto seventy, ol-tre che nordica, i clogs e i gambali in shearling con zeppa e tac-co di legno. Lo stesso shearling che, nella versione 2010, tornautile per borse morbide e pratiche. Anche la testa resterà tie-pida grazie ai cappucci incorniciati di pelo, i berretti con ponpon e i colbacchi da novella zarina. E se le temperature, alme-no per ora, non sembravano giustificare tali mise, le previsio-ni stagionali della Nasa parlano di gelide sorprese. Prima o poiarriverà un inverno freddo, preannunciano i futurologi delmeteo, anzi freddissimo. Con correnti glaciali e tanta neve sututta la penisola.

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OPTICALSembra

un arazzola lunga

mantellacon fantasie

opticalproposta

per l’invernoda Missoni

SEVENTIESÈ anni Settantae anche moltonordica la miseChanel:con polsi, colloe gambaliin peloDa temperaturepolari

CLASSICAMantella formato

maxi di Etro:è ingentilita

da un bordodi codine

in pellicciaHanno la punta

color rossofuoco

IL MOON BOOTÈ stato ideatoper la montagnama è belloanche in città:Moon Bootcolor tabaccoda indossaretutti i giorninei mesi freddi

IL MOCASSINOIl classicomocassinodi Santonicambia look:pelo mielesulla mostrinae nappinesul talloneDi tendenza

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

“Light e tascabileè la seconda vita

del piumino”

Natinegli anni Cinquanta per protegge-re dal grande freddo, negli anni Ottan-ta sono entrati dalla porta principale

nel mondo della moda. E oggi tornano a esse-re delle icone, ma con in più tanta tecnologia,leggerezza e misure mini. Sono i piuminiMoncler: colorati e sempre più global. Re-sponsabile della loro second life è Remo Ruf-fini, dal 2003 presidente e direttore creativodel marchio.

Negli anni Ottanta i piumini erano diven-tati il simbolo di una generazione. Cosa erasuccesso?

«Il vero debutto dei piumini è datato anniCinquanta. Allora la loro funzione d’uso eralegata alla protezione dai climi gelidi. Per rea-lizzarli era necessaria una quantità di piumedieci volte maggiore di quelle che si usano orae non erano mai stati pensati per le grandicittà. Poi, come spesso succede, casualmen-te sono diventati il capo di moda degli anniOttanta. Ma anche se i “paninari” li hannoamati tantissimo, erano capi tecnicamenteimpreparati».

Cioè?«Non erano adeguati alla città. Poco porta-

bili, per nulla idrorepellenti al punto che, ap-pena prendevano la pioggia, aumentavano diqualche chilo. Insomma, erano decisamenteinadatti al motorino che, invece, era la situa-zione dove i ragazzi li indossavano di più».

Oggi è tutta un’altra storia. «Abbiamo puntato a un “piumino globa-

le”. Un capo che si rivolge a tanti tipi diversi diconsumatori: la signora, i giovanissimi, l’uo-mo d’affari. Nascono per la montagna ma vi-vono in città. C’è anche quello che noi chia-miamo il “piumino estivo”».

Ci spieghi meglio.«Si tratta di un capo che pesa meno di un

cellulare, molto comodo e così leggero da po-terlo inserire in una speciale confezione ta-scabile. È perfetto in viaggio. Può essere indi-cato per qualsiasi destinazione perché pro-duce lo stesso calore di un golf di cashmere,ma è sicuramente più pratico. Diciamo che,grazie a questo piumino, Moncler ha allunga-to la stagione sino alla primavera inoltrata».

Esteticamente che caratteristiche hanno icapi del 2010?

«Quella di non essere troppo estetici. O me-glio non troppo alla moda. Preferisco definir-li dei capi contemporanei che possono esse-re usati anche cinque anni di seguito senzamai stancare».

Le donne, notoriamente le più esigenti ecapricciose, che uso ne fanno?

«Non li riservano più solo a determinate si-tuazioni. Il nuovo piumino è un capo che puòanche sostituire la pelliccia per una serata im-portante. L’altra novità che abbiamo intro-dotto è quella di un tessuto elastico, stretchche lo rende particolarmente portabile e gra-devole da indossare».

(i.m.s.)

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Remo Ruffini, Moncler

IL DISEGNOLo schizzodel piuminoMonclercollezioneautunnoinverno2010-2011: in nyloneffetto rasocon cinturain vita

REGINADa vera regina

del nordil completo

di Max Maracon lavorazioniin maglia neroe oro. Perfetto

per le festenatalizie

LOLITAA metà strada

tra Lolitae la reginadelle nevi

il look D&G:gilet, farfallino,calzoni microe boot di pelo

bianco

TRICOTAbito due

pezzi in magliagriffato Prada:

elegantee molto caldo

Si abbinaa calze spesse

e sandalidai cinturini rossi

CASUALTanto tricotper il completoCNC: dai paesifreddi l’ideadella lanaa più stratiIl must:la lungasciarpa

GLI STIVALIGli stivali Ralph Laurenin pelle e pelliccia marrone:l’elemento chic è il cinturinoattorno alla cavigliaPer una calzatura da zarina

LA CUFFIAPer teste calde a qualsiasitemperatura la cuffia BlauerMorbido pelo e pelleproteggono contro il freddoe danno un’aria sbarazzina

LE MANOPOLEUna seconda vitaper le manopole Marni. Pelle,nastri in raso e pelo sonolavorati per dare ai guantiun aspetto originale

LA BORSALa più classica delle tracollerivisitata in versione nordicada Dior: è rivestitadi pelo rossiccio che bensi accosta alla pelle marrone

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48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28NOVEMBRE 2010

l’incontroAdrenalinici

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Credo nella visionecollettiva, nel buioin sala. Ci sono coseche fai tra quattromura, come il sessoE cose che fai fuori,come passeggiareal parcoo guardare un film

In un continuo rimando tra cinema erealtà che emerge anche da questa lun-ga e appassionata conversazione ro-mana, al tavolino di una stanza del-l’Hotel Eden. Un colloquio in cui, trauna tazza di tè e l’altra, il cinquantu-nenne Besson — barba ispida, giaccacasual, T-shirt nera — descrive così lagenesi delle sue pellicole: «Tutto ha ori-gine sempre da un colpo di fulmine. Èuna love story: cammini per strada, ve-di una donna, ti colpisce, non puoi farea meno di seguirla. Perdi la testa. Lostesso mi accade quando mi imbatto inun personaggio, in un libro, in un fu-metto che mi piacciono: scatta qualco-sa, dentro di me. Devo per forza trarneun film, e non vedo l’ora di cominciare».

Un rapporto quasi erotico, con l’og-getto del suo lavoro. Forse anche perquesto Besson — uomo dalla vita senti-mentale inquieta — ha spesso unito ci-nema e legami personali, condividen-do il set con tutte e tre le sue mogli. Laprima, Anne Parillaud, madre della suaprimogenita Juliette, ha dato volto ecorpo a Nikita. La seconda è Milla Jovo-vich, top model che lui ha trasformatoin star degli action-movie. La terza, l’at-tuale, è Virginie Silla, che gli ha dato trebambini e che ha prodotto il suo Adèle el’enigma del faraone: «Per me non è dif-ficile avere un rapporto professionalecon le donne che amo: avere accanto lamia partner, durante le riprese, non hamai influenzato il mio modo di lavora-re. Nel caso di Virginie tutto è andatoparticolarmente liscio: ci univa l’amo-re per il progetto. E poi il boss era lei, èlei che mi ha assunto. L’unica differen-za, in questi casi, è che puoi permetter-ti di baciare davanti a tutti la produttri-ce o la protagonista del film…».

Attenzione, però: Besson tiene mol-to a sottolineare che il confine tra il pri-vato e il professionale è sacro. «Moglieo non moglie, quando esco dal set e tor-no a casa stacco il telefonino, e il lavorome lo lascio completamente alle spalle.Negli ultimi dieci anni, non ho mai in-vitato a cena da me qualcuno che fa par-te del business. Tengo molto a preser-vare da ogni contaminazione la mia vi-ta personale: so essere anche molto ag-gressivo, nel difendere i miei spazi». E inquesti territori intimi protetti con tantafoga ha un ruolo fondamentale la suaattività prediletta: la scrittura. «È la miadroga — rivela — non posso stare nem-meno un giorno senza scrivere. Perquesto la sceneggiatura è la parte delmio lavoro che amo di più, rispetto allaregia o alla produzione. Primo, perchéquando scrivi sei solo. Secondo, perchései libero: come scrittore posso imma-ginare una scena con ventiduemila

cammelli che avanzano, come produt-tore al solo pensiero mi viene un attac-co di cuore! Terzo motivo, il più impor-tante: nello scrivere siamo tutti uguali.Nel mondo ci sono sei miliardi di per-sone che hanno la possibilità di pren-dere carta e penna e scrivere qualcosa.Come regista, invece, non sono ugualeagli altri, sono un privilegiato: ho un ba-gaglio di esperienza, e un budget, chetanti colleghi più giovani non possonopermettersi».

Ci sono valori che Besson sente nelprofondo e che probabilmente sono le-gati alle sue origini, all’elemento in cuiè praticamente nato: l’acqua. Figlio didue istruttori di sub, Luc da bambino eadolescente vive un’esistenza girova-ga, nei vari Club Med dove i suoi geni-tori vengono ingaggiati. Anche lui sce-glie il mare come destino, vuole diven-tare biologo specializzato in delfini, maun incidente gli preclude la possibilità

di immersioni. Così cambia completa-mente, va a Parigi, si trasferisce negliUsa, a ventiquattro anni realizza il pri-mo lungometraggio, Le dernier com-bat. E se qualche tempo dopo il suoamore per l’oceano viene celebrato an-che al cinema, in The Big Blue (1988),ancora adesso ammette di non avermai superato l’attrazione quasi ipnoti-ca per il passato: «Spesso la gente mi di-ce che io nel cuore sono rimasto unbambino. Ed è così: sento ancora mol-to le emozioni e i desideri della mia in-fanzia, ne ho una memoria precisissi-ma. Di allora mi è rimasta la voglia diesplorare, di cercare, di non fermarmi».

Un’inquietudine impossibile da pla-care. Anche se, nel lavoro, un punto fer-mo c’è: lo schermo cinematografico è edeve restare grande. «Credo ancoranella magia della visione collettiva, nelbuio della sala. Sono per la teoria dellaseparazione dell’in e dell’out. Ci sonocose che devi fare dentro casa: il sesso,guardare la tv. E poi ci sono le attivitàesterne: shopping, teatro, passeggiateal parco. Per me guardare un film fa par-te di questa seconda categoria: il ritoper cui duecento persone, insieme,tengono gli occhi incollati a uno scher-mo di ventri metri. Voglio questa emo-zione. È come per il calcio: alla pay-tv oallo stadio, sono due esperienze com-pletamente diverse». E non è un desi-derio destinato a spegnersi: «Non solole persone della mia età, anche un ra-gazzino di dieci anni avrà sempre vogliadi sognare davanti al grande schermo.Altro che morte del cinema: la fiaba, ilc’era una volta l’uomo li coltiva da mi-lioni di anni, da quando i primitivi co-minciarono a fare disegni nelle caverne— la prima forma mai esistita di drive-in. Quelle che proprio non mi interes-sano sono le piccole storie per piccolischermi (blackberry, cellulari): le ri-spetto, ma non fanno per me».

E non è solo una questione estetica.Perché in gioco c’è un altro valore fon-damentale: la possibilità di scelta. «Lacosa bella del cinema è la pluralità. Iocome spettatore voglio essere in gradodi scegliere tra l’ultimo Woody Allen,un vecchio Fellini o il mio Adèle e l’enig-ma del faraone. Dipende dal giorno,dallo stato d’animo. È questa la vera ric-chezza che abbiamo. Ed è per questaforma di libertà che dobbiamo combat-tere: il pericolo è avere dappertutto lostesso film, stile Transformers. Sia chia-ro, non ho niente contro questo generedi pellicole: andare coi figli a vederle èun’esperienza molto piacevole. Dicia-mo che vorrei vivere in un mondo in cuici sono sia i ristoranti a tre stelle che i fa-st food; le Ferrari, ma anche le smart

car».È un fiume in piena, Besson. Torren-

ziale, nel parlare delle sue passioni. An-cora di più quando si passa ai progetti.Che sono tanti: «Come produttore ho inlavorazione una sorta di Nikita in salsamessicana, con protagonista la Zoe Sal-dana di Avatar, e una pellicola di fanta-scienza con Guy Pierce. Poi tra il 2011 eil 2012 voglio fare una storia alla Incep-tion: all’epoca de Il quinto elemento glieffetti speciali erano primitivi e non hopotuto realizzare tutto ciò che volevo».Ma la più faraonica, tra le sue iniziative,è la costruzione della prima Cinecittàfrancese: «Era assurdo che il mio Paese,leader europeo con 251 film prodottiogni anno, non avesse i suoi studios, co-me i vostri di Roma, o gli inglesi Pi-newood, o i tedeschi Bavaria. Così setteanni fa ho avuto l’idea di metterli su io:sono attualmente in costruzione (ver-ranno inaugurati nel maggio 2012) aSaint-Denis, periferia parigina dura,pericolosa. Ma che per me è meglio ditante altre: ci vive gente meravigliosa».

Anche sull’argomento banlieue,dunque, un punto di vista per nullabenpensante. Poco in linea con le posi-zioni del suo governo: «Purtroppo laFrancia sta virando pericolosamenteverso destra. Pensiamo alle misure an-ti-rom di Sarkozy, avanzate per motivibiecamente elettorali. Se c’è chi ruba,sbattiamolo in galera: ma colpire indi-scriminatamente tutti i neri, tutti gliebrei, un intero popolo, è inaccettabi-le». E mentre pronuncia queste ultimeparole, una sfumatura dura, metallica,trapela — per la prima e unica volta —dalla sua voce tranquilla.

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CLAUDIA MORGOGLIONE

ROMA

Grandi sogni, grandi pro-getti, grande entusia-smo: tutto, in Luc Bes-son, è bigger than life. Il

tono di voce calmo, la sobrietà dei gesti,non devono ingannare: dietro la super-ficie tranquilla si nasconde una forzaprepotente, inquieta, sempre protesain avanti. «Il segreto di tanta energia —chiarisce subito — è nella mia condi-zione di eterno innamorato. Del cine-ma, che non perderà mai la capacità difarci sognare. E delle donne, più inte-ressanti e più vicine al segreto dell’esi-stenza di noi uomini». Una duplice pas-sione — il grande schermo, la metàfemminile del mondo — che caratteriz-zano sia la personalità che la carrieradel regista, sceneggiatore e produttore.Un cineasta che rappresenta meglio dichiunque la vocazione multiculturale,cosmopolita e nomade della settimaarte. Un francese zingaro che ha realiz-zato film in almeno tre continenti, conattori e autori di ogni nazionalità. Maanche un prodigioso talent-scout di at-trici: tra loro la Natalie Portman appe-na undicenne di Leon, la Anne Parillauddi Nikita, la Milla Jovovich de Il quintoelemento e di Giovanna d’Arco.

«Adoro le signore spiazzanti — rivela— forti, toste, politicamente scorrette,lontane dal cliché della fragilità. Mipiacciono quelle che urlano, che fuma-no, che menano le mani. Che sanno di-fendersi da sole: anche senza un’armain pugno». E di personaggi così, per ilgrande schermo, lui ne ha creati tanti.

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Girovago e uomo di banlieue,ha due passioni: il grande schermoe le donne. Ha scoperto Anne Parillaude Milla Jovovich e le ha sposate

Con la terza moglieha realizzato “Adèlee l’enigma del faraone”Ma il regista che volevastudiare i delfinie che invece ha cambiatoil cinema francese

ci tiene a dire: “Quando tornoa casa il lavoro per me non esiste piùe la mia vera droga è scrivere”

Luc Besson

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