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DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010 D omenica La di Repubblica spettacoli Jean Gabin, icona di una Francia perduta JEAN GABIN e MARIO SERENELLINI l’incontro Bill Viola, mago dell’arte in movimento CLOE PICCOLI cultura Lewis Carroll, torna il diario censurato LEONETTA BENTIVOGLIO e LEWIS CARROLL le tendenze Occhiali, passione anti-crisi LAURA LAURENZI l’attualità Le Marie Curie del terzo millennio EMANUELA AUDISIO ANNA MARIA LIGUORI FOTO AP ROMA L a lettera di Bruner Baker arriva dal Texas: «Avevo un cancro al colon, ero pieno di metastasi e stavo mo- rendo. Il tumore è sparito quando ho chiesto aiuto a Papa Wojtyla. Sono di fede battista». D. W. Richards scrive dalla Gran Bretagna: «Sono membro “libero” della Chiesa d’Inghilterra. Ho avuto un incidente, si sono rotti legamenti e mu- scoli di una gamba. Il dolore era perenne, insopportabile. La notte in cui Giovanni Paolo II morì lo sognai. La mattina dopo il dolore era sparito». Irina Grigorievna Klinova, cristiana greco-ortodossa, manda il suo messaggio da Mosca: «Mio figlio era immobile a let- to da tre anni. Tra le icone a casa ho l’immagine del papa polacco e l’ho pregato tanto. Dopo poco Ilja si è alzato. Ora cammina». (segue nelle pagine successive) AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI D uranteil suo lungo pontificato, Giovanni Paolo II ha proclamato milletrecentoquarantadue beati e quattrocentottantatré santi, un fatto unico nella storia della santità che il pontefice giustificò dicen- do: «È colpa dello Spirito Santo se ho fatto tante canonizzazioni». Il suo successore, Benedetto XVI, ha ridotto sensibilmente un rit- mo così sorprendente ed ha anche ripristinato una prassi antica, lasciando alle diocesi il compito di proclamare i beati e riservando alla Sede apostolica la canonizzazione dei santi. Sono decisioni che ci ricordano che il riconoscimento della san- tità ha avuto continue evoluzioni nel corso della storia. Nei primi secoli del cristianesimo, “santi” erano generalmente i “martiri”. (segue nelle pagine successive) Wojtyla miracoli infedeli Non sono cattolici, spesso neppure cristiani. Da tutto il mondo inviano lettere al Vaticano. Perché faccia “santo subito” il Papa polacco Repubblica Nazionale

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DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

DomenicaLa

di Repubblica

spettacoli

Jean Gabin, icona di una Francia perdutaJEAN GABIN e MARIO SERENELLINI

l’incontro

Bill Viola, mago dell’arte in movimentoCLOE PICCOLI

cultura

Lewis Carroll, torna il diario censuratoLEONETTA BENTIVOGLIO e LEWIS CARROLL

le tendenze

Occhiali, passione anti-crisiLAURA LAURENZI

l’attualità

Le Marie Curie del terzo millennioEMANUELA AUDISIO

ANNA MARIA LIGUORI

FO

TO

AP

ROMA

La lettera di Bruner Baker arriva dal Texas: «Avevo uncancro al colon, ero pieno di metastasi e stavo mo-rendo. Il tumore è sparito quando ho chiesto aiuto aPapa Wojtyla. Sono di fede battista». D. W. Richards

scrive dalla Gran Bretagna: «Sono membro “libero” della Chiesad’Inghilterra. Ho avuto un incidente, si sono rotti legamenti e mu-scoli di una gamba. Il dolore era perenne, insopportabile. La nottein cui Giovanni Paolo II morì lo sognai. La mattina dopo il doloreera sparito». Irina Grigorievna Klinova, cristiana greco-ortodossa,manda il suo messaggio da Mosca: «Mio figlio era immobile a let-to da tre anni. Tra le icone a casa ho l’immagine del papa polacco el’ho pregato tanto. Dopo poco Ilja si è alzato. Ora cammina».

(segue nelle pagine successive)

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

Duranteil suo lungo pontificato, Giovanni Paolo II haproclamato milletrecentoquarantadue beati equattrocentottantatré santi, un fatto unico nellastoria della santità che il pontefice giustificò dicen-

do: «È colpa dello Spirito Santo se ho fatto tante canonizzazioni».Il suo successore, Benedetto XVI, ha ridotto sensibilmente un rit-mo così sorprendente ed ha anche ripristinato una prassi antica,lasciando alle diocesi il compito di proclamare i beati e riservandoalla Sede apostolica la canonizzazione dei santi.

Sono decisioni che ci ricordano che il riconoscimento della san-tità ha avuto continue evoluzioni nel corso della storia. Nei primisecoli del cristianesimo, “santi” erano generalmente i “martiri”.

(segue nelle pagine successive)

Wojtylamiracoliinfedeli

Non sono cattolici, spesso neppurecristiani. Da tutto il mondo invianolettere al Vaticano. Perché faccia“santo subito” il Papa polacco

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

la copertinaMiracolo in Vaticano

Musulmani, ebrei, induistiLe loro lettere al Postulatore raccontanodi guarigioni soprannaturaliE del grande amore per Karol Wojtyla

denti. «È sempre rilevante la segnalazione fatta, per esempio, anche daun musulmano», spiega il prefetto emerito della Congregazione per lecause dei santi, il cardinale Saraiva Josè Martins. Che a chi mette in dub-bio la consapevolezza dei non cattolici sul concetto stesso di “santità”ribatte: «È evidente che per raccontare a noi il suo contatto spiritualecon Papa Wojtyla, il credente musulmano deve essersi rivolto a lui perricevere un segno. In altre parole: per ricevere un miracolo occorre unaintercessione, chiunque lo chiede si affida a chi questa intercessione lacompie e quindi crede che questa persona sia santa. C’è una causa e c’èun effetto tra la preghiera e l’intercessione. Il risultato è attribuibile so-lo a Dio». E continua: «Del resto, spesso si dimentica che quello che in-teressa la Santa Sede non è la fede del miracolato ma il miracolo. Se unmalato prega papa Wojtyla e guarisce, è questo il fatto decisivo». Non acaso, in Vaticano, i sessanta medici specializzati che in base ai criteridella medicina moderna non riescono a spiegare una guarigione, dan-no un parere che non ha nulla a che vedere con la fede ma solo con lascienza. «Questo vale per chi crede e per chi non crede. Ed è a questopunto che la parola passa ai teologi», conclude il cardinale Martins.

Dopo quattro anni di intenso impegno, papa Ratzinger ha autorizza-to, il 19 dicembre scorso, la pubblicazione del decreto che riconosce le“virtù eroiche” di papa Giovanni Paolo II. Questo passaggio della causaha fatto diventare Wojtyla “venerabile”. Per la proclamazione a “beato”c’è ora da attendere l’approvazione di un supposto “miracolo” attri-buito alla sua intercessione presso Dio. La guarigione, che è stata sotto-posta alla Consulta medica della Congregazione per le cause dei santi,riguarda una suora francese colpita dal morbo di Parkinson. Qualoranon superasse lo scrutinio dei medici e dei teologi sono comunquepronte per essere studiate molte altre segnalazioni di “grazie ricevute”.

Se invece la Chiesa riconoscerà questo evento come inspiegabilescientificamente e lo attribuirà a un intervento soprannaturale, il Papapolacco verrà sicuramente beatificato. Non resterà, poi, che la procla-mazione di santità, per la quale sarà necessario soltanto il riconosci-mento di un ulteriore “miracolo”. E, come avvenne già nel passato, po-trebbe essere scelta una segnalazione proveniente da un non cattolico.È stato il caso di Monica Besra, la miracolata di Madre Teresa di Calcut-ta. Lei era indù.

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“Noi, non cattolicisalvati dal vostro Papa”

ANNA MARIA LIGUORI

(segue dalla copertina)

Baker, Richards e Klinova hanno scritto all’Ufficio della Po-stulazione per la causa di beatificazione di Giovanni Pao-lo II, a Roma. I protocolli attribuiti alle loro lettere sono ri-spettivamente 47, 156, 843. Non sono cattolici, ma hannovoluto offrire la loro testimonianza sulla “fama di santità”attribuita al candidato Papa Giovanni Paolo II. Il Postula-

tore, ovvero l’avvocato difensore del Papa, monsignor Slawomir Oder,negli ultimi anni ha catalogato insieme con innumerevoli altre di prove-nienza cattolica le lettere dei fedeli di Allah, Brahma, dei seguaci del bud-dismo e di alcuni ebrei, come l’americana Melanie Eichinger (protocol-lo 1887) ora cattolica proprio perché «ispirata dalla vita di Wojtyla».

«Abbiamo raccolto — spiega monsignor Oder — i frutti del dialogointerreligioso: milioni di persone hanno visto pregare Giovanni Paolo IIal Muro del Pianto, a Gerusalemme. O entrare in sinagoga, a Roma: èstato il primo pontefice a farlo. Con il Dalai Lama, guida spirituale delbuddismo tibetano, ha avuto otto incontri». Karol Wojtyla ha semprecercato un terreno comune, dottrinale o dogmatico che fosse. Ma soloora, dall’aprile 2005, dopo la sua morte, si scopre davvero quanto i noncattolici abbiano amato e profondamente compreso il predecessore diRatzinger. Le lettere giunte al Postulatore sono tessere di un mosaico te-so a ricostruire l’opera spirituale e l’umanità del Papa polacco. Ciascu-na contiene un piccolo episodio, finora ignoto e a lui legato: sogni, rive-lazioni, voci, “grazie” fisiche e spirituali. Aminata Fall, per esempio: mu-sulmana (protocollo 210), dopo aver sognato due volte papa Wojtyla nelgesto di accoglierla e proteggerla, ora chiede di esserne una “testimonedi santità”.

Sull’onda degli striscioni con la scritta «Santo subito» mostrati inpiazza San Pietro il giorno dei funerali del Pontefice, sono state anchesegnalazioni come queste a consentire il rapido avvio della causa di bea-tificazione. Senza dimenticare, come ha raccontato lo stesso monsi-gnor Oder nel libro Perché è santo (Rizzoli), scritto insieme al giornali-sta Saverio Gaeta, che fu Benedetto XVI, durante un incontro privato, aindicare al Postulatore la strada da prendere: «Fate presto, ma bene, inmodo ineccepibile». Non è raro che nelle cause di canonizzazione ven-gano ascoltati dei non cattolici, ma anche dei non cristiani e dei non cre-

“SANTA SEDE, CITTÀ DEL VATICANO, ROME - ITALY”Alcune delle lettere inviate all’Ufficio della Postulazione

per la causa di beatificazione di Wojtyla, protocollate

in Vaticano. Nei francobolli l’opera di Giovanni Paolo II

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

La fabbrica dei santiAGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

(segue dalla copertina)

Ossia coloro che avevano subíto il martirio per avere proclamato lapropria fede e venivano perciò chiamati confessori. La santità, ri-conosciuta per vie spontanee e non rigide, serviva a commemora-

re la vittoria della comunità cristiana e a proporre i martiri come un esem-pio. La loro vita fu commemorata in sermoni e “vite”. Nacque così l’agio-grafia, un genere letterario che attraverserà tutta la storia del cristianesi-mo. Oltre ai martiri, santi furono principalmente asceti (sant’Antonio),vescovi (sant’Agostino, sant’Ambrogio), re e qualche regina, ossia perso-ne di alto rango sociale. Per le donne contavano soprattutto virtù legate al-la verginità e alla castità. Soltanto verso la fine dell’Undicesimo secolo ilpapato inizia a riflettere a strumenti di controllo dell’accesso alla santità.Papa Urbano II (1088-1099), sollecitato a proclamare santo un abate bre-tone, risponde che una simile distinzione non può essere concessa senzagaranzie per quanto riguarda i prodigi che gli si attribuivano. Papa CalistoII (1120) completa il quadro scrivendo all’abate di Cluny che non ci si puòpiù accontentare dei miracoli raccontati nelle vite dei santi e esige checompaiano davanti a lui testimoni autentici. Dal Dodicesimo secolo inpoi, i papi richiesero sempre più frequentemente vere e proprie inchiestecon audizione di testimoni. L’inchiesta doveva essere affidata a tre com-missari, tra i quali almeno un vescovo. Insomma, Roma desiderava sem-pre di più disporre di prove di santità. Il ricorso obbligatorio al diritto («ladisciplina critica dell’epoca», André Vauchez, La santità nel Medioevo, Bo-logna, Il Mulino, 1989) indusse sovente le autorità a diffidare del «fervorepopolare». Le procedure si affinarono anche con la nascita di “forme di in-terrogatorio”, ossia di formulari stereotipi che i commissari (per lo più no-tai) potevano usare per le loro inchieste.

Dalla fine del Dodicesimo secolo in poi, domande di canonizzazione af-fluirono sempre più numerose verso Roma. Tra il 1198 e il 1304, il papatodecise di aprire quarantanove processi di canonizzazione, una cifra cherisulta inferiore nel periodo successivo (1305-1431: ventidue). Soltanto lametà dei processi finì con un riconoscimento solenne di santità. Le esi-genze crescenti rivolte alla verifica della “fama di santità”, la morte di unpapa, le difficoltà di trasmissione di documenti, i costi di mantenimentodei postulatori, oltre che situazioni politiche e religiose contingenti, con-tribuirono a rendere sempre difficile il cammino verso gli altari anche percandidati morti “in odore di santità”. La canonizzazione di san Francesco(16 luglio 1230), che avvenne per volere espresso del papa (Gregorio IX)meno di due anni dopo la morte del santo, è un caso praticamente uniconella storia della santità di quei secoli. Tra il 1198 e il 1431, un solo prete riu-scì a salire agli onori degli altari, il bretone sant’Ivo di Tréguier. Tra i reli-giosi, una sola era una donna: Chiara d’Assisi. Le altre figure femminili era-no legate agli ordini mendicanti (santa Caterina da Siena). Luigi IX, re diFrancia, canonizzato da papa Bonifacio VIII ad Orvieto nel 1297, fu l’ulti-mo sovrano medievale ad essere portato agli altari. Alcuni provenivano daclassi medie e popolari, il che costituiva una vera novità.

Tra l’Undicesimo e il Tredicesimo secolo, il processo di canonizza-zione era dunque diventato uno strumento importante della “pienezzadei poteri” dei papi, ma non senza incontrare resistenze. Per molti teo-logi e canonisti, la canonizzazione di un santo non rientrava nell’ambi-to dell’infallibilità perché il processo di canonizzazione, dicevano, è il ri-sultato di un’azione umana, di per sé fallibile. Soltanto alla fine del Cin-quecento, in piena Controriforma, si impone un chiaro consenso per af-fermare che «di necessità si deve credere che il pontefice romano nonpuò errare» (nel canonizzare santo una persona). Con la Controriforma,il carattere eroico nell’esercizio delle virtù cristiane sembrò inoltre offri-re un baluardo a chi — in seno alla Riforma (Martino Lutero, GiovanniCalvino) e fuori (Erasmo) — criticava fortemente la politica di canoniz-zazione del papato. Per la quale invece si aprirono a Roma nuovi scena-ri sempre più solenni. La canonizzazione di Carlo Borromeo (1610) fucelebrata per la prima volta in piazza San Pietro. Per le cerimonie per lacanonizzazione di papa Pio V, decisa dopo un secolo e mezzo di traver-sie (1712), si allestirono macchine pirotecniche davanti Santa Maria so-pra Minerva, e per salutare il Papa che aveva vinto la battaglia di Lepan-to (1571) fu organizzata una battaglia navale a Piazza Navona. Le tre na-vi con le armi del Turco furono vinte da quelle cristiane.

Le aspre critiche che provenivano dalla Riforma indussero Roma a con-trollare più rigidamente le procedure di riconoscimento della santità. Pa-pa Sisto V creò nel 1588 la Sacra Congregazione dei Riti con il compito diintensificare le verifiche della fama di santità e dei miracoli. Insomma, laControriforma provocò un susseguirsi di decreti, il più importante deiquali fu la Caelestis Hierusalem di papa Urbano VIII (1634) che fissava untermine di cinquant’anni per potere aprire un processo di canonizzazio-ne — siamo lontani dal «Santo subito» proclamato dalla vox popoli allamorte di papa Giovanni Paolo II. Fu allora introdotta la figura del “pro-motore della fede” (il cosiddetto Avvocato del Diavolo) con il compito digarantire un esame critico del processo. L’inquisizione romana vietòqualsiasi forma di culto prima che si conoscesse l’esito del processo. Leimmagini dei candidati alla santità non potevano portare aureole o raggi.E sulle loro tombe non si potevano né accendere ceri né apporre ex voto.Gli autori di vite di “santi” non avevano più il diritto di parlare di miracolio prodigi prima che fossero autenticati dalle autorità (Roberto Rusconi,Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Roma,Viella, 2010). Un secolo dopo, nel 1739, il cardinale Lambertini, futuro Be-nedetto XIV, affidò l’autenticazione dei miracoli ai medici. Ora il numerodei medici è salito a cinque, bisogna attendere cinque anni per chiederel’apertura di un processo. E lo svolgimento del processo, sotto l’autoritàdella Congregazione per le Cause dei Santi, non è più sottomesso alle ve-rifiche dal celebre Avvocato del Diavolo, una figura che papa GiovanniPaolo II soppresse nel 1983 per snellire i processi e poter così proclamarein un solo pontificato più beati e santi che in duemila anni di storia.

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l’attualitàOtto marzo

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

PARIGI

Vanno scovate, portate alla luce, maci sono. Hanno in media cin-quant’anni, sono sposate (solo ilcinque per cento non lo è), e l’ot-

tanta per cento ha figli. Le Madame Curie esisto-no, anche nei paesi dove uno non s’immagina, asud e a est del mondo. In Africa, in Sudamerica, inAsia. Donne dedite alla scienza, che raggiungonol’eccellenza, che s’impegnano. E che una voltal’anno vengono premiate. Non per il loro sesso, néper il loro femminismo, ma per la qualità della lo-ro ricerca. È un riconoscimento, For Women inScience, assegnato dall’Unesco e dalla Fondazio-ne L’Oréal e che in dodici anni ha certificato l’ec-cellenza e incoraggiato il talento di novecentodonne: 62 laureate di 28 paesi e 864 borsiste di 93nazionalità. E che spesso scova in anticipo i futuripremi Nobel come è capitato con l’americana Eli-zabeth Blackburn e l’israeliana Ada Yonath, vinci-trici nel 2008, e un anno dopo Nobel per la medici-na e la chimica. E che dicono: «Le donne s’interes-sano alla scienza, ma a parte il sostegno, avrebbe-ro bisogno di più fiducia e di una maggior espe-rienza internazionale».

Anche perché un recente studio Usa del Centerfor American Progress mostra che le scienziatesposate con figli hanno rispetto agli uomini spo-sati con figli il trentacinque per cento in meno del-le possibilità di ottenere una cattedra universita-ria dopo il dottorato. Infatti sono state premiateanche scienziate in età da pensione: MarianneGrunberg-Manago, ottantuno anni, e ThressaCampbell Stadtman, ottanta. L’inglese, AnneMcLaren, figlia di industriali illuminati, autricedella prima fecondazione in vitro, invece è mortain un incidente d’auto nel 2007, sei stagioni dopoaver avere ottenuto il riconoscimento a settanta-quattro anni.

Tutte ammettono l’importanza di avere avutouna famiglia che le ha incoraggiate. La chimicaafricana, Tebella Nyokon, nata in Lesotho: «A gior-ni alterni andavo a scuola e portavo a pascolare lepecore. Mio padre, che faceva il pastore, credevain me, anche se non capiva cosa stessi studiando.Mentre i miei coetanei sostenevano che la scienzanon era roba da donna». La chimica giapponeseAkiko Kobayashi: «Mia madre era insegnante dimusica, mio padre fisico, il primo libro che ho let-to è stata la biografia di Madame Curie». La chimi-ca russa Eugenia Kumacheva: «Mio padre, appas-sionato di scienza, mi ha insegnato a fare doman-de e a essere curiosa». La fisica inglese Athene M.Donald: «Mia madre, che ha lasciato la scuola aquindici anni per via della guerra, voleva assoluta-

mente che io e mia sorella potessimo frequentarel’università». La fisica giapponese Fumiko Yone-zawa: «Mia madre era bravissima in geometria eavrebbe voluto fare l’università, ma allora le don-ne non erano ammesse e se anche lo fosse stata,mio nonno glielo avrebbe impedito per paura chepoi non trovasse un marito. Già da piccola tor-mentavo tutti con le domande: perché la luna nonci casca addosso, qual è la stella più lontana, dovefinisce l’universo?».

Nella storia del premio colpisce l’assenza dell’I-talia, che non ha nessuna segnalazione, eppurevanta un premio Nobel come Rita Levi Montalci-ni. Giovedì a Parigi cinque professoresse ritireran-no il premio. Le Madame Curie del mondo que-st’anno sono: l’egiziana Rashika El Ridi, l’america-na Elaine Fuchs, la messicana Alejandra Bravo, lafilippina Lourdes C. Cruz, la francese AnneDejean-Assemat. L’egiziana El Ridi lavora da tem-po a un vaccino contro la bilharziosi, una malattiaparassitaria tropicale detta anche la “febbre dellalumaca” che colpisce più di duecento milioni dipersone nel mondo e causa duecentottantamiladecessi l’anno, soprattutto tra i bambini. È unamalattia infettiva, devastante quanto la malaria,che si prende bagnandosi o bevendo acqua inqui-nata dal parassita, presente soprattutto nell’Africasubsahariana. Rashika ottiene il dottorato all’Ac-cademia delle scienze di Praga nel ’75, per cinqueanni insegna all’università del Cairo dove nell’86diventa titolare. Ora è professoressa d’immunolo-gia nel dipartimento di zoologia, alla facoltà discienze. Spiega: «Mi turba sapere che l’uomo èpronto a sbarcare su Marte, ma è incapace di svi-luppare un vaccino contro i virus tropicali. Sperodi farcela tra cinque anni. Una donna non ha mol-te scelte, per lei è più difficile mantenere in equili-brio figli, famiglia e lavoro, ma dobbiamo com-prensione anche a chi sta accanto a noi».

L’americana Elaine Fuchs è stata scelta per lasua ricerca sulle staminali nel trattamento dellemalattie della pelle. Si diploma in Illinois nel ’72,nel ’77 dottorato a Princeton e al Mit, dal 2002 è al-l’università Rockefeller di New York, dove dirige illaboratorio di biologia cellulare dei mammiferi.Sostiene che sono state le donne della sua famigliaa indirizzarla verso la scienza. «Mia zia è biologa efemminista, mia sorella è neuroscienzata, miamadre pensava potessi riuscire nella chimica, ma

“Quand’ero bambinami arrampicavo su un albero,sul ramo più vicino alle stelleNon ne sono più scesa”

EMANUELA AUDISIO

Le Madame Curie

del terzo millennio

In media hanno cinquant’anni,sposate e con figliVengono da ogni angolodel pianeta (ma non dall’Italia)e sanno bene quantoancora oggi sia difficileper una donnaemergere nel mondodella scienzaOra cinque di lororiceveranno a Parigiun premio internazionaleper i risultati raggiuntiQui raccontanocome ce l’hanno fatta

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ANNE DEJAN-ASSEMATFrancese, studiai meccanismiall’originedi alcuni tumori:«Devo tuttoai miei genitoriMi hanno insegnatoindipendenzae spirito autocritico»

RASHIKA EL RIDIEgiziana: «L’uomo

è pronto a sbarcaresu Marte, ma è incapacedi sviluppare un vaccino

contro i virus tropicaliUna verità che mi turba»

ALEJANDRA BRAVOBiologa, messicanaHa scoperto l’alternativaverde ai pesticidiLe sue parole d’ordine:«Ordine, disciplina,perseveranza»

ELAINE FUCHSAmericana, è stata premiataper una ricerca sulle staminalinel trattamentodelle malattie della pelle

LOURDES J. CRUZFilippina: dai suoi studisul veleno dei molluschimarini è stato scopertoun potente antidolorifico

IL PREMIO L’OREAL-UNESCO

Secondo l’Unesco, nel mondo solo poco più del venticinque per centodei ricercatori sono donne e si stima che la parità dei sessi nei campiscientifici sia stata raggiunta solo nel diciotto per cento dei paesiPer questo “For Women in Science”, il premio L’Oréal-Unesco, nato nell’89è un programma che sostiene e incoraggia le donne che contribuisconoal progresso scientifico. Giovedì a Parigi, la giuria presieduta da GunterBlobel, premio Nobel per la medicina 1999, assegnerà il titolo a cinquebrillanti scienziate, più 100mila dollari ognunaLe candidature sono proposte da una rete mondiale di quasi mille scienziati(Nel tondo Marie Curie, 1867-1934)

io mi vedevo istitutrice». La sua prima sfida è statasullo stipendio. Professoressa titolare all’univer-sità di Chicago scopre che guadagna meno di unneo maestro-conferenziere. «Mi sono detta: nonposso accettarlo, fate in modo di rimediare. La dif-ferenza tra i sessi nella scienza ancora esiste. Ledonne sono meno rappresentate a livello di re-

sponsabilità e non possono mettere in luce le loroqualità».

La messicana Alejandra Bravo, biologa, si è se-gnalata per la comprensione del meccanismo d’a-zione di una tossina batterica che agisce come in-setticida eco-compatibile. Un’alternativa verde aipesticidi. In Messico da ricercatrice non aveva nélaboratorio né strumenti, allora è andata all’este-ro. Dottorato in biochimica nell’89, nel ’91 si tra-sferisce con una borsa di studio in Belgio in un’a-zienda leader del settore, e poi all’istituto Pasteurdi Parigi. Tornata in Messico, spalleggiata da un’é-quipe determinata, crea un laboratorio con unacollezione di batteri Bt (Bacillus thuringiensis)estratti da un campione sul territorio. Ora lavora aldipartimento di microbiologia molecolare Unamall’istituto di Cuernavaca. Le sue parole d’ordine:«Ordine, disciplina, perseveranza».

La filippina Lourdes J. Cruz viene premiata perla scoperta dei peptidi neurotossici, per il suo stu-dio sui molluschi marini che vivono degli oceanitropicali, il cui veleno (per immobilizzare le prede)serve da antidolorifico, in alternativa alla morfina,e da agente farmacologico per curare epilessia e al-tre malattie neurologiche. Dottorato in Iowa(Usa), lavora presso una ong del suo paese, è pre-side dall’80 all’86 del dipartimento di biochimicae biologia molecolare delle Filippine e ora è all’u-niversità dell’istituto di scienze marine a Quezon.Nel 2001 ha fondato con donazioni private un’as-sociazione (Rural Linc) per debellare la povertà

nelle zone contadine del suo paese. Spiega che neha sentito il bisogno. «Ad un certo punto mi sonochiesta: io mi sono data alla scienza, ma cosa hofatto per aiutare i miei concittadini? Nelle nostrecampagne ci sono ancora molte tribù che vivonodi pesca e di agricoltura, ma con un equilibrio so-ciale molto instabile».

La francese Anne Dejean-Assemat si segnalaper lo studio dei meccanismi molecolari e cellula-ri all’origine di alcuni tumori. Anne è riuscita a ca-pire i nuovi fattori per cui una cellula malata co-mincia a moltiplicarsi in maniera incontrollata. Èstata la prima a dimostrare che il virus dell’epatiteB può avere una relazione diretta con l’insorgeredel tumore al fegato. E questo ha portato a nuoviprotocolli di cura. Si laurea all’università Pierre eMarie Curie di Parigi dove consegue il dottoratonell’83. Due anni più tardi è all’Inserm (Istituto na-zionale francese della salute e ricerca medica) do-ve nel ’91 è nominata direttrice. Dal 2003 dirige illaboratorio d’organizzazione nucleare di oncolo-gia dell’istituto Pasteur di Parigi e l’Unità 579 del-l’Inserm. «Devo tutto ai miei genitori. A mia ma-dre, professoressa di matematica e militante deidiritti delle donne in un consultorio, a mio padre,ingegnere impegnato in un’associazione locale indifesa dell’ambiente. Mi hanno insegnato l’indi-pendenza, la porta di casa era sempre aperta, le di-scussioni erano animate, questo mi ha dato co-raggio e mi ha aiutato a costruire un forte senso cri-tico, anzi autocritico. Anche se i miei genitori nonci sono più, resta l’educazione che mi hanno dato.Ci vogliono tre cose per fare questo mestiere: sti-ma per il proprio lavoro, sapere che saremo ogget-to della valutazione degli altri, accettazione dellacompetizione internazionale, che ci fa pensareche forse gli altri non ne sanno quanto noi, per cuimeglio continuare a darci dentro. La corsa al con-sumo e al risultato è pericolosa, bisogna ritrovaregli ideali e non disperdere la ricerca».

Ha detto un’altra premiata, l’astrofisica brasilia-na Beatriz Barbuy: «Quando ero bambina mi ar-rampicavo su un albero di prugne gialle, sul ramopiù alto e più vicino alle stelle. In un certo senso nonne sono più scesa, anche perché mio padre ha sem-pre insistito che avrei dovuto lavorare per non di-pendere da altri». Così, piccole scienziate crescono.

“All’università mi sonoaccorta che guadagnavomeno dei colleghi maschiNon potevo accettarlo”

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

FOTO DI MICHELINE PELLETIER

Repubblica Nazionale

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

Matematico eccelso, severo docente vittoriano, prete mancatoMa anche fervido esteta, affabulatore seduttivo, fotografodi bambine perturbanti. Il creatore del “Paese delle meraviglie”

ha in sé una duplicità che i biografi hanno dipinta come affascinante o patologicaOra un libro di Karoline Leach, sulla base di nuovi documenti e poesie inedite, rovesciaquesto ritratto. Mentre anche nei cinema italiani arriva la favola modello Tim Burton

CULTURA*

LEWIS

Alice e il diario strappato

IL CASO

son-Carroll: era acutissimo ma impacciato, balbuziente e un po’sordo, timido con gli adulti e a suo agio coi bambini, segnato daltrauma delle molestie sessuali subite a Rugby, dove aveva stu-diato da ragazzo, una delle più celebri “public schools” inglesi(che non erano “scuole pubbliche”, come segnala erroneamen-te la traduzione italiana del libro della Leach, ma privatissimi col-legi regolati da una disciplina molto dura che includeva castighicorporali). E ancora: era fulminante in algebra e in geometria mapigro nella carriera accademica, avviato a un percorso ecclesia-stico (impegno doveroso nel medioevale sistema universitariobritannico) ma allergico al sacerdozio (si fece diacono subendola norma imposta dal Christ Church College però non prese gliordini maggiori). Godeva solo nel creare fiabe ironiche ed enig-matiche, ideare filastrocche e rompicapi, costruire pose langui-de e travestimenti (da ninfe, cinesine, mendicanti strappacuore)per le sue piccole amiche. Perciò la storia, o la leggenda, ci ha con-segnato l’immagine di un anti-sociale incapace di crescere, unsemi-prete che morì vergine o un pedofilo represso (o clandesti-namente praticante).

Karoline Leach, nel suo volumone, sovverte questa prospetti-va a partire da un documento reperito nell’archivio Dodgson: unfoglio redatto a mano da una nipote dello scrittore che riassumealcune pagine strappate da un diario dello zio. Le parti eliminatecorrispondono alla fase più misteriosa della vita di Carroll, quel-la della rottura dei rapporti con la famiglia di Alice Liddell, ispira-trice del suo capolavoro e figlia del decano di Christ Church,Henry George Liddell. Insieme alle sue due sorelle, Alice venneallontanata dall’eminente matematico, e per spiegare l’episodiosi scatenarono le ipotesi dei biografi, inclusa quella prevedibiledella pedofilia. Risulta tutt’altro dal documento riportato dallaLeach, che parla delle ansie di Mrs Liddell per i pettegolezzi su-scitati dalle galanterie di Dodgson verso la governante e la mag-giore tra le sue figlie, ragazza già sviluppata e attraente.

Da qui s’è mosso il viaggio della Loach verso la ridefinizionedell’esistenza e dell’indole di Dodgson. Scartabellando i diari sal-vati dalle purghe dei congiunti, esaminando l’epistolario, sco-vando testimonianze dei contemporanei, curiosando ovunquecon tenacia da detective, l’autrice de La vera storia del papà di Ali-ce fa emergere le prove delle sue relazioni con donne adulte nu-bili e sposate (Catherine Lloyd, Constance Burch, Edith Shute,May Miller, Gertrude Thomson e Anne Tackeray, figlia del ro-manziere William). Svela inoltre le mature amanti celate dietro ipoemi di Carroll (in particolare Stolen Waters, di una sensualitàsconvolgente per un vittoriano) e s’addentra nella rete di amici-zie che il papà di Alice coltivò con gli artisti del suo tempo, dal pre-raffaelita Dante Gabriel Rossetti all’attrice Theo Heaphy. Segna-la poi con furia distruttiva le inesattezze delle tante biografie: daquella di Stuart Dodgson Collingwood, nipote dello scrittore, chedi lui propose un’immagine da conservatore bacchettone, al me-moir dell’attrice Isa Bowman, che riferendo il suo legame appas-sionato con Dodgson mentì dicendo di averlo vissuto a dieci an-ni invece che a diciotto. Per non parlare degli excursus piscoana-litici deel Novecento, dal saggio di Langford Reed, promotore di“un’isteria sessual-religiosa”, a quello di Anthony Goldschmidt,che della caduta di Alice nella tana del coniglio fa un simbolo dipenetrazione e delle porte nell’atrio un emblema della vagina.Carroll sceglierebbe l’accesso piccolo invece delle porte norma-li per la brama di copulare con una bambina.

Katherine Leach è così convinta che sia tutto un arbitrio e unpregiudizio, da giustificare persino il compiacimento del foto-grafo per le sue discinte child-friends, sostenendo che in esseproiettava un candido ideale di bellezza e che si ribellava ai rigi-di precetti vittoriani rappresentando nelle bimbe senza veli unpopolo innocente di folletti. Certo è difficile, osservando le nu-dità dense di pieghe ombrose delle tenere modelle di Carroll, il-ludersi che il suo sguardo fosse casto. Non è l’unica forzatura dellibro, attaccato da recensori come Donald Rackin, che sul TimesLiterary Supplement lo ha definito «un trattato revisionista danon prendere sul serio». Ma a dispetto di alcuni estremismi e in-genuità, certe rivelazioni non possono considerarsi trascurabili.

Esiste ancora un lettore che ignori quanto eccentricoe problematico fosse Lewis Carroll, artefice delle av-venture fantastiche di Alice, eroina di un Paese del-le Meraviglie ricco di tante e tali implicazioni da sti-molare per decenni e fino ad oggi le rivisitazioni piùsvariate? Il 3 marzo arriva nelle sale il film che le de-

dica Tim Burton, regista la cui sistematica follia può sintonizzar-si bene con la vicenda onirica o psichedelica della temeraria bim-ba ottocentesca. Sull’onda del rinnovarsi del clamore attorno alpersonaggio, esce in Italia un libro inglese provocante e ardito,Lewis Carroll. La vera storia del papà di Alice, dell’autrice e regi-sta teatrale Karoline Loach, che ha suscitato lodi e anche pole-miche in Gran Bretagna per la sua indagine anticonvenzionale,volta a rivoluzionare la percezione della mitologia sullo scrittore.Perché Lewis Carroll, proprio come Alice, è un mito alimentatoda una sua sacralità.

Il nome dell’autore, com’è noto, è lo pseudonimo di CharlesLutwidge Dodgson (1832-1898), matematico eccelso, specialistadi Euclide, docente a Oxford e ingegno rigoroso; ma anche fervi-do esteta, appassionato di teatro e fotografo di bambine pertur-banti, ritratte a volte nude o seminude. Soprattutto era un narra-tore incomparabile nell’arte del gioco logico e del sovvertimen-to linguistico e un affabulatore seduttivo, pronto a inventarsi tra-me ipnotiche per conquistare le sue devote minorenni. In que-st’identità parallela, equivalente al creatore di Alice, Dodgson èdivenuto fonte d’ispirazione per filosofi e scrittori (tra cui Joyce eBorges), e personaggio di culto in mezzo mondo, dedicatario diinnumerevoli associazioni e club di estimatori.

A interessare i fan, insieme alla straordinarietà di Alice, c’è lagran mole di duplicità e stranezze che affolla la biografia di Dodg-

CARROLL

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LEONETTA BENTIVOGLIO

IL LIBROSarà in libreriail 2 marzoLewis CarrollLa vera storiadel papàdi Alicedi KarolineLeach(Castelvecchi,419 pagine,22 euro)

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PAGINA UNO

Paragrafo UnoVolume 8 pagina 72. Alice,pur costretta a letto, non sta meglioParagrafo DueVol. 8 Pagina 92. L. C. vienea conoscenza dalla signora Liddellche si dice in giro che lui usai bambini come strumento per farela corte alla governante — e ancheche [illeggibile] farebbe la corte a InaParagrafo TreVolume 11 pagina 110 — qua si parladi SHD [la sigla familiare che indicavail fratello minore di Carroll, Skeffington]Paragrafo QuattroQualcuno sa cos’era l’“affarecon Lord Newry” che mise LC “fuoridalle grazie della signora Liddell”

PAGINA DUE

Righe uno e dueLorina (Ina) ha sposato il signor Skenenel febbraio del 1874 — mortanell’ottobre del 1930Riga treAlice nacque nel maggio 1852Riga seiRhoda (non sposata) — ancora vivaRighe tredici e quattordiciL’indirizzo della signora Hargreaves[nome da sposata di Alice] è…Riga sediciIl figlio di Alice C. L. Hargreavesè morto il 26 novembre 1955

I TESTILe paginedal diariopersonaledi C. L.Dodgson,custoditopressola BritishLibrary

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

Il sogno

della gloria

a vide un giorno, e nel vedersi Un battito di palpebre che s'incontrano

Il suo cuore si fermò come in trance Tremò sorpreso, una sorpresa dolce -

Come se avesse visto tra le nubi Il lontano baluginare del Paradiso.

Il suo cuore era lieve in quella vigilia d'estate Calpestava il suolo con passo leggiadro

E la vita era splendida ai suoi occhi E vi era musica in ogni suono

Egli benedì il mondo perché vi era Una creatura bella come lei.

Ma passavano i giorni - e non la trovava; Si susseguirono gli anni - e lei non venne;

Eppur nei pressi di quel punto fatale Un sussurro beffardo col suo nome

Pareva rimbombare cupo Negli oscuri recessi della sua anima.

Cercò il suo volto in ogni dove; Per lui non vi era né giorno né notte;

Lo spettro che era destinato a pedinare Continuava a sfuggire al suo tocco; E la sua vita che era stata così bella

Altro non sembrava che un sogno di ieri.

Così dopo tanti anni ritornò Come un vagabondo da rive lontane:

La strada, la casa, eran sempre le stesse, Ma coloro che cercava non c'erano più;

Le sue parole infuocate, le speranze e le paure, Cadevano inascoltate in orecchie aliene.

Solo i bimbi reduci dal gioco Si fermavano per udire la triste storia,

Prima impauriti e all'erta, Poi avvicinandosi con piccoli passi, Per toccare con timide mani curiose

Quello strano selvaggio venuto da lontano.

Egli sedeva accanto alla strada trafficata Là, dove aveva visto il suo volto per l'ultima volta;

E ricordi accalcati, dolceamari Parevano ancora infestare quell'antico luogo:

I suoi passi fluttuavano ancora nelle vicinanze: La voce di lei era ancora nel suo orecchio.

A volte, quando la luce del giorno scemava E le nebbie serali si facevano largo

Si struggeva tra sé e sé Per quell'ombra oscura nella sua anima E ravvivava cieco con crudele passione

Le ceneri di una vana disperazione.

L'estate finì; e l'uomo solo Oziava nel tedio dei giorni sempre più corti;

Ma anche quando calava la notte Osservava da vicino ogni viso che incontrava,

Per poi distogliere lo sguardo disgustato, E sospirare: "Oggi lei non verrà".

Pian piano il suo spirito si piegò Fino a schernire il suo stesso grido di dolore

E a inventare, a mo' di proprio boia Nuove lussuriose agonie,

E ad applicare sui volti della gente Visioni del volto perfetto, il volto di lei:

Quel volto perfetto, quel sorriso che per averlo Gli uomini osano vivere, e i folli morire,

Un sorriso più caro di ogni ricchezza, potere o trono, Più dolce della più dolce armonia:

Che così spesso rallegra la vita di coloro Che vivono la loro vita e non ci badano.

Passarono le ore difficili della notte, E il silenzio si affrettò a divenire suono,

E la luce colorò i cieli orientali, E la vita riprese il suo tran-tran quotidiano.

Ma luce e vita per lui non c'eran più: Il suo nome risuonava tra quelli dei morti.

Traduzione Simone Buttazzi

LE IMMAGININel disegno, AliceUnder Grounddi Lewis Carroll;a sinistra, loscrittore

Testo tratto da Lewis CarrollLa vita segreta del papà di Alice di Karoline Leach,

edito da Alberto Castelvecchi editore

© 1999, 2009 Karoline Leach

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Repubblica Nazionale

Era il 1930 quandoil più popolare attored’Oltralpe della prima metà

del Novecento esordiva sullo schermo. Ottant’anni dopo,il Bergamo Film Meeting ricorda con una retrospettivail protagonista della “Grande illusione”,l’ex ragazzo contadino che fece innamorarela divina Marlene Dietrich e tremare la Bardot

SPETTACOLI

48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

PARIGI

Mascella brontolona e occhi di cie-lo. Andatura regale e stazza con-tadina. Il monumento del cine-ma francese è roccia: ma molto

malleabile. Tanto che in quasi cento film e quasimezzo secolo, dal 1930 al 1976 (quando muore a set-tantadue anni), con rara versatilità Jean Gabin dà vi-ta ai personaggi più disparati, dal giudice al diserto-re, dal possidente all’operaio, primeggiando, in unaserie di polizieschi d’antologia, nel droit et l’envers

della legge: piedipiatti e boss della mala. A tutti, sen-za eccezione, sia a quelli degli inizi dall’alone tor-mentato e romantico (Il bandito della Casbah, 1937,di Julien Duvivier, Verso la vita, 1936, e L’angelo del

male, 1938, di Jean Renoir, Il porto delle nebbie,1938, e Alba tragica, 1939, di Marcel Carné), che aquelli della maturità, dai contorni più amari dietrol’aria sorniona (Grisbì, 1954, di Jacques Becker,

La grande razzia, 1955, di Henri Decoin, fino ai treproverbiali Maigret), Gabin appiccica la sua in-confondibile, ruvida scorza paesana. La sua uma-nità cinematografica è pregna di campagna, odoradi fieno e di stalla. Il suo orizzonte è la vecchia Fran-cia rurale e proletaria, il suo stile di vita è tagliato conl’accetta: laborioso, silenzioso, solitario.

Quello di Gabin, non solo nel Duemila ma già perle platee contemporanee, è il cinema d’un passatoancora vicino nel tempo ma lontano, se non estin-to, nello spirito. Cine-dinosauro: come la sua pipa,la sua sciarpa annodata alla meglio da sane mani dizappatore, diventata subito icona, come il suosguardo azzurro, che ne ha fatto, nonostante i mo-di bruschi d’inguaribile timido (e forse per loro me-rito), uno dei più invidiati charmeurs del secoloscorso, infiammando di passione, durante la sua ra-pida stagione hollywoodiana, Marlene Dietrich, al-tro mito in pellicola. Non a caso, nel catalogo che ac-compagna l’accurata, preziosa retrospettiva chedal 6 al 14 marzo gli dedica il Bergamo Film Meeting,a ottant’anni dal film d’esordio (Chacun sa chance,1930, di Steinhoff-Pujol), il più incondizionato fanitaliano di Gabin, Claudio G. Fava, evoca, a com-pendio fulminante d’una vita d’attore, una straor-dinaria foto d’infanzia, scattata quando il futuronumero uno del cinema francese aveva nove anni,pubblicata nel Gabin di André Brunellin, Laffont1987, ora riapparsa nel Jean Gabindi Christian Du-reau, Carpentier 2009: «Gabin — scrive Fava — in-dossa vecchi vestiti delle sorelle e un pantalone usa-to dal padre, indice d’una fanciullezza visibilmentepovera nella casa che la famiglia possedeva a Mé-riel, quarantacinque minuti di treno da Parigi».

A nove anni, Gabin è già Gabin, volto severa-mente adulto e sfrontatezza timida della giovinez-za. «L’immagine sembra frutto d’un fotomontag-gio»: insieme un flashback sulle origini contadineche «ne han forgiato corpo e mente» e un morphing

sul futuro universo in celluloide dei suoi cento per-sonaggi in cerca d’attore. È su tale coincidenzabambino-vecchio che nel 1955 scommette JeanDelannoy, affidando a Gabin il ruolo di giudice per

l’infanzia in Cani perduti senza collare: «Ho impa-rato ad amare gli uomini per quel che mantengonodella loro infanzia. Gabin è uno di loro. C’è nell’oc-chio di questo mostro sacro una freschezza che noninganna e, quando occorre, una bontà che è forse ilsolo sentimento che un attore non potrebbe espri-mere senza provarlo». Il regista si spinge oltre, ri-traendo Gabin attore e uomo: «Quando recita, il mi-nimo incidente, il fruscio più impercettibile lo bloc-ca, l’inalbera come un puledro. Reazioni che paio-

no sproporzionate. Si chiama in causa il suo bruttocarattere. Ma vuol dire ignorare l’importanza dellaconcentrazione in questo timidone. Questo “duro”è d’una profonda sensibilità. L’uomo tranquillo èun inquieto. La sicurezza delle sue interpretazioniè un tremolio interiore dominato a fatica. È la ragio-ne stessa del suo grande talento».

La riverenza spaventata è una costante dei primiincontri con Gabin di star affermate o di “sarannofamosi”. «Ero terrorizzata», confida Brigitte Bardot,

ex-deb nel 1958 in La ragaz-

za del peccato, che ClaudeAutant-Lara aveva imposto

contro le proteste dell’attore («èuna ragazzina che va in giro sem-pre nuda»): «Ai primi ciak, non fa-cevo che balbettare, ero intimi-dita, soggiogata. È stato proprioGabin a sciogliermi, altrimentime ne sarei scappata via in sin-ghiozzi». Traumatizzata, all’i-nizio, anche la navigataSophia Loren, nell’unico filmgirato con lui, L’accusa è vio-

lenza carnale e omicidio, diAndré Cayatte (1974): «Ma

non appena l’ho visto, c’è stato comeun colpo di fulmine professionale tra noi. Sul

set, i nostri dialoghi han preso a scorrere in modonaturale, come nella vita».

C’è persino chi, al debutto, avrebbe rinunciatoal cinema se Gabin non l’avesse ricevuto in came-rino il primo giorno delle riprese: è Lino Ventura,poi suo amico inseparabile, puntello della “Bandeà Gabin” con Alain Delon e Jean-Paul Belmondo,suo formidabile contraltare in Grisbì, di cuiFrançois Truffaut scrive che «la bellezza dei perso-naggi viene dal mutismo, dall’economia dei gesti:non parlano né agiscono che per dire e fare l’es-senziale». Gabin più Gabin. Ma il vero miracolo, eun primo passaggio di testimone, avviene nel1963, in Colpo grosso al Casinò, di Henri Verneuil,con l’emergente Delon, che Gabin accetta dopoqualche riluttanza: “le môme” e “le Vieux”, unmoccioso e un maestro del crimine, a tu per tu nelmalinconico epilogo, un fallimento che sfiora la

Il francesedagli occhidi cielo

MARIO SERENELLINI

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

Noi che vendiamo fumocon il mestiere del cinema

JEAN GABIN

L’attore, l’uomo.Fare il contadino è un mestiere assai più serio del cinema.Quella dell’attore non è una professione normale: si ven-

de fumo. Il cinema, lo servo al meglio, ma io non lavoro per la glo-ria. Lavoro per i soldi, soldi che non calcolo in franchi ma in vac-che. Maigret è un tanto di vacche. Il presidente, un campo di fo-raggio. Il re dei falsari, una mungitrice elettrica. E Il Barone, unanuova fossa biologica! Se non vi fossi obbligato, mi guarderei be-ne dal fare ancora cinema. Ma ho i miei ragazzi da far crescere, lebollette da pagare […] Mi piace, sopra ogni cosa, la tranquillità.Ho gusti elementari: la pesca, la caccia, anche la lettura, ma soloquando la mia mente è in poltrona e non ho preoccupazioni chepossano agguantarmi la testa. Anche mangiar bene è un piacereche non disdegno, tutt’altro, specie quando il menu è ricco dipiatti con salse, innaffiati da un tocco lieve di Beaujolais. Ah, so-no testardo come un mulo, ostinato come un capoccione breto-ne. È ereditario. L’abbiamo tutti nel sangue, di padre in figlio.

Il setQuando arrivo sul set, mi occupo subito, con scrupolo, di rivede-re le mie battute del giorno. Comincio a tagliare o aggiungere pa-role, in modo da sistemarmele per bene nello stomaco. Le paroledevono uscire dagli occhi. Se uno non pensa quel che dice, l’oc-chio lo rivela. Bisogna pensarlo. Per pensarlo, bisogna arrivare a

dirlo bene e, per dirlo bene, bisognache sia facile. Per questo faccio sem-pre in modo che il dialogo mi corri-sponda, diventi mio.

I film di CarnéAlba tragica era stato un bel fiasco. Alpubblico d’anteguerra non piaceva-no i flashback, di cui è intessuto il filmdi Marcel Carné. Alba tragica ha co-minciato a funzionare solo nel dopo-guerra. Avevo all’epoca delle ripresetrentacinque anni e mi ricordo cheero un bel ragazzo. E Arletty! Che pez-zo di figliola! Peccato, hanno tagliatotutte le scene del film dov’era nuda.Oggi, non avrebbero mai tagliato. Mache gran peccato! […] Non avrei maifatto la carriera che ho fatto, se nonavessi avuto gli occhi blu. I tipi con oc-chietti nocciola non hanno mai fattoscintille al cine, indipendentementedal talento: solo per mancanza di reli-quiari chiari. Prendiamo insiemeClark Gable, Gary Cooper, Greta Gar-

bo, la Michèle [Morgan], Alain Delon, Bébel [Jean-Paul Belmon-do]: hanno tutti reliquiari chiari. È così! All’epoca in cui interpre-tavo il disertore nel Porto delle nebbie, quando Marcel Carné face-va una carrellata avanti sul mio muso, potevo pensare alla bollet-ta del gas o ai prezzi del radicchio. Tanta fatica evitata...

L’amico VenturaCon Lino, è una cosa seria. Una quadriglia di mandibole? Non fa-temi ridere. Mi ricordo d’un porcello alle lenticchie, una volta, acasa mia, e, un’altra volta, d’un cosciotto di cinghiale. Quandomangia, Lino, ti dici che sei spacciato, non osi più aprir bocca. Sen-ti le mascelle che fan clac-clac-clac e tu ti blocchi: «Accidenti, semi avvicino, mi fa fuori». Ah, non sapete che cos’è... È campionedel mondo, il Lino!

Gli addiiTornerò ai miei primi amori: il mio fucile da caccia, il mio carnie-re e il mio cane. Campi e boschi. Laggiù, in un angolo di Sologne,ritroverò la caccia alla lepre e alla pernice. Nel verde, nella mia ca-supola, nell’arida terra, nessuna affettazione, rimarrò naturalecome lo sono sempre stato, esclamando: «Dopo tutto, non è an-data troppo male!».

Da La Bande à Gabin, di Philippe Durant,Sonatine 2009, e Jean Gabin-Le monument du cinéma

français, di Christian Dureau, Carpentier 2009Traduzioni di Mario Serenellini

mitologia, quando le banconote affiorano dalla pi-scina. Delon al bancone del bar si gira in un impo-tente gesto di stizza. Gabin, un po’ più in là, im-passibile dietro gli occhiali da sole, solleva Nice-Matin sparendo nel giornale. Finale da leggenda.Maestro della sottrazione, Gabin trionfa facendo-si indovinare dietro gli occhiali da sole e un foglio

di giornale. È il marchio del grande attore, quandoha talmente dominato la scena che l’unico mododi riconquistarla è di diminuirsi, cancellarsi, spa-rire. Eduardo di spalle. La voce di Carmelo. Char-lot-silhouette. Quando la scena è l’attore, ancheuscire di scena è un evento.

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LA RASSEGNA“Jean Gabin: una certa idea di Francia” è uno degli eventi del ventottesimo Bergamo Film Meeting:dal 6 al 14 marzo, verranno riproposti, in originalecon sottotitoli, 24 film girati dalla star tra il 1930 e il 1976Il programma prevede un concorso (otto film ineditiin Italia di giovani autori europei), un omaggio al nuovocinema ungherese e una maratona notturna sulle dark lady(www.bergamofilmmeeting.it)

COPPIA DI STARJean Gabin con MarleneDietrich ai tempi della lorounione. In queste pagine,locandine e scenedei più celebri filminterpretati da Gabin

‘‘Jacques PrévertL’attorepiù fragilee più solidonello stesso tempoSobrio comeil vino rosso,semplice comela macchiadi sanguee a volte gaiocome un sorsodi bianco

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Repubblica Nazionale

i saporiProfumi di cucina

Non è un semplice aroma, ma piuttosto un ingredienteche aggiunge gusto anche al dolce più semplicePurché si rimetta in funzione il nostro senso dell’olfatto,ci si affidi al “bastoncino” naturale (color marrone brillante)e si abbandonino i surrogati in polvere che invadonoil mercato e confondono il palato

50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

VanigliaN

on esiste gelato senza vaniglia. E nemmeno bu-dino, torta, cioccolato, più un’incredibile quan-tità di piatti dolci e salati che attraversano i menùdi tutto il pianeta. Un pizzico di follia gustativache trasforma il banale in particolare: esotico ingrado di accendere palato e fantasia.

Potere delle parole. Vaniglia deriva dal latino vagina, ovverofodera, guaina. Mai corrispondenza fu più calzante, tanto che iltermine si ripete praticamente uguale in buona parte delle lin-gue del mondo, dall’inglese vanilla al danese vanille. Perché aprofumare piatti e corpi con il suo aroma fresco e sensuale nonè il fiore, ma il frutto, che nasce da un’impollinazione manuale.

Da soli, elemento maschile e femminile della vanilla planifo-lia, infatti, quasi mai si incontrano: occorre connetterli attra-

verso un foro minuscolo e una breve pressione di dita, a uno auno. E dopo il contatto, bisogna aspettare nove mesi perché ilfrutto si formi per intero, di un bel verde acceso e totalmente ino-dore. Un baccello per ogni fiore impollinato, da raccogliere, im-mergere in acqua calda e far essiccare esponendolo al sole e poifacendolo riposare all’ombra giorno dopo giorno per circa seimesi, fino a quando il “naso” della piantagione — una sorta dimaestro profumiere — decide che è pronto.

Dopo tanto attendere e curare, insomma, difficile definirlasemplicemente una spezia, e impensabile pagarla come fosseun comune additivo, esaurendo la pratica dell’aromatizzazio-ne con la polvere di una bustina colorata o poche gocce prele-vate da un boccettino dall’odore nauseabondo.

Il guaio è che da quando a metà Ottocento si scoprì come sur-rogare la molecola della vanillina con una di sintesi a costi mi-nimi, abbiamo lentamente smarrito la capacità di riconoscerel’aroma seducente della vaniglia naturale. Risultato: 12milatonnellate di aroma artificiale prodotte ogni anno, con una pre-senza sul mercato mondiale pari al 99,8 per cento e produttoriartigianali in ginocchio.

Eppure, basterebbe rimettere in funzione il senso dell’olfat-to, per riscoprire il piacere misterioso di un profumo. Purtrop-po, gran parte dei bastoncini di vaniglia in commercio risultanoneri e rinsecchiti, senza profumo né elasticità. Hai voglia a bol-lirli nel latte per profumare la crema: l’aroma risulta sbiadito.

Al contrario, la vaniglia di prima qualità è marrone brillante edi consistenza carnale, pronta a sprigionare con il calore il me-glio del suo profilo aromatico. Così meravigliosamente promi-scua, da rendere irresistibile il filetto di sanpietro ai carciofi diMatias Perdomo (Pont de Ferr, Milano) come il cotechino man-tovano a cui ruba il nome o la sella di agnello con spuma di pa-tate di Ernesto Iaccarino (Don Alfonso, Sant’Agata).

Se invece siete inguaribili dolciofili, cimentatevi in una can-dida panna cotta, utilizzando un baccello ben scelto e sosti-tuendo la colla di pesce con albume d’uovo. La consistenza se-rica e il profumo di vaniglia vi “teletrasporteranno” in un atollodel Pacifico, con tanto di collana di tiaré modello Marlon Bran-do ne Gli ammutinati del Bounty.

BourbonIl vecchio nomedi Réunion, dipartimentod’oltremare francese,identifica una tipologiapregiata, dai lunghibaccelli profumati,impollinata manualmenteper la prima volta sull’isolada uno schiavo-bambino

Il baccello che fa la differenzaLICIA GRANELLO

TahitiPorta il nome dell’isola-madre della Polinesia,la varietà preziosa– poco più di una dozzinadi tonnellate di produzioneannua – color cioccolatointenso, morbidae carnosa, dall’aromaspeziato e zuccherino

TahitensisHa lasciato la sua terrad’origine per espandersiin Nuova Guinea,la vaniglia dal baccelloscuro e consistente,riconoscibile dall’accentoaromatico fresco,come di anice, perfettaper le ricette di frutta

VanillinaLa molecola aromatica,sintetizzata chimicamentee venduta a basso prezzo –liquida o in polvere – è utilizzata dall’industriaalimentare come surrogatodella vaniglia naturale, ma vietata nelle produzionibiologiche

il libroHistoria de la vanilla bourbon

de Madagascar è il libro fotografico scrittoda Sonia Sosa, giovane ricercatrice alimentare

catalana che gestisce col fratello Quicoun’azienda di aromi e oli essenziali distribuiti

nei più prestigiosi ristoranti del mondoIl reportage segue la vaniglia, dalle fioritureselvatiche nel bosco, fino all’impollinazione

manuale e alla lavorazione del baccelloper ottenere l’olio-resina

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Repubblica Nazionale

Dal Messico alle corti d’Europacosì si diffuse “l’odore gentile”

MASSIMO MONTANARI

Per migliaia di anni le società mediterranee ed europee identificarono le spezie con l’Oriente. Soprattutto dalcontinente indiano provenivano gli aromi caldi e piccanti che arricchivano il gusto delle vivande e la borsa deimercanti. In età romana si importava principalmente pepe. Nel Medioevo nuovi profumi e sapori si aggiunse-

ro: cannella, noce moscata, zenzero, garofano, decine di altri prodotti. Aromi pungenti che conobbero una straor-dinaria promozione d’immagine e diventarono (dato il costo proibitivo) un simbolo del prestigio sociale. I medici liconsigliarono (ovviamente ai ricchi) per la buona digestione. Si aggiunse il fascino dell’esotico, il mistero dell’Orienteche si diceva ospitasse il giardino dell’Eden, con i suoi profumi di immortalità.

Fu anche per conquistare i mitici paesi delle spezie che gli europei si lanciarono in avventurosi viaggi transocea-nici, circumnavigarono l’Africa per arrivare direttamente alle Indie, o le cercarono navigando verso Occidente dal-l’altra parte del globo — e incontrarono l’America. Ma accadde l’imprevisto: le spezie cominciarono sì ad arrivare inmaggior quantità, ma proprio per questo il loro costo diminuì, e con esso il loro fascino, la loro capacità distintiva.Divenute ormai più accessibili, le spezie furono progressivamente abbandonate dalla cucina aristocratica, che ela-borò nuovi segni di distinzione culinaria, soprattutto i sapori morbidi del burro, delle creme, della pasticceria. In-tanto si facevano spazio prodotti e sapori nuovi, provenienti dal nuovo mondo scoperto a Occidente.

La vaniglia messicana fu uno di questi nuovi sapori. Gli indigeni d’America usavano mescolarla al cacao e al pe-peroncino per realizzare una bevanda dal sapore aspro, la cioccolata, che gli europei addolcirono aggiungendovi lozucchero e talvolta il latte. Mantennero però la vaniglia, che conferiva alla cioccolata un gusto morbido, sinuoso, ac-cattivante. Esotica e costosissima come un tempo lo erano state le spezie orientali, la vaniglia in qualche modo pre-se il loro posto, anche sul piano simbolico e dell’immaginario sociale.

L’uso compare dapprima in Spagna, poi in altri paesi. Luigi XIV, il re Sole, tentò di impiantare la vaniglia nella co-lonia di Bourbon, l’odierna Réunion (ma bisognerà attendere l’Ottocento perché si inventi un modo efficace di im-pollinazione della pianta). In Italia il primo a parlarne è Francesco Redi, scienziato (e speziale) alla corte fiorentinadi Cosimo de’ Medici, nella seconda metà del Seicento: egli loda la vaniglia che, assieme all’ambra, al muschio e algelsomino, conferisce alle cioccolate un «odore gentilissimo» e un «sentire stupendo». Odore e sentire assai diversidai gusti forti e piccanti di qualche secolo prima: la nuova moda gastronomica — è ancora Redi a parlare — ricercadelicatezza e la trova, appunto, nelle «vainiglie» così come nei «muschi greci» e in aromi floreali come la giunchiglia,il mughetto, il giacinto. Anche i baccelli di vaniglia nascono da un fiore, un’orchidea che in quei secoli contribuì acambiare il gusto degli europei.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 51DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

itinerariIl tedesco Ernst Knamè uno dei pasticceripiù creativi della scenaeuropea. Alla “Anticaarte del dolce”, Milano,trionfa un mondo

di cioccolato fatto di due metàripiene con moussedi cioccolato e l’altra di vaniglia. Prima di servireinfusione fredda di sherryspagnolo con doppia vaniglia(Bourbon e Tahiti)

La cittadina-madre di Slow Foodvanta una grande tradizione di dolcial cucchiaio, con la vanigliain passerella, dal bunetallo zabaione fino alla panna cotta,che una storica preparazione vuole senza colla di pesce

DOVE DORMIREALBERGO DELL’AGENZIAVia Fossano 21, località PollenzoTel. 0172-458600Camera doppia da 120 eurocolazione inclusa

DOVE MANGIAREBOCCON DI VINOVia Mendicità Istruita 14Tel. 0172-425674Chiuso lunedì, menù da 20 euro

DOVE COMPRAREPASTICCERIA ARPINOVia Cavour 36Tel. 0172-412951

Bra (Cn)In un’area agricola benedetta,prospera la coltura di un’aranciadal caratteristico profumo, battezzata“Vaniglia”. In coincidenzacon la fioritura, a fine marzo,si sviluppa un naturale aroma simil-vaniglia che pervade il frutto

DOVE DORMIREIL MANDORLO B&BVia delle Mandorle 2Tel. 0925-993101Camera doppia da 50 eurocolazione inclusa

DOVE MANGIAREHOSTARIA DEL VICOLO Vicolo Sammaritano 10 Tel. 0925-23071Chiuso lunedì, menù da 30 euro

DOVE COMPRAREAZIENDA AGRICOLA POGGIO DIANAVia Monti Iblei 1, RiberaTel. 0925-540852

Sciacca (Ag)L’antica Ficocle, fondata dai greciall’interno di una salina – oggi parcoarcheologico – vanta un parco con ecosistema protetto,dove si raccoglie un sale dolce,dal gusto delicato. Il più pregiatoarriva dalla riserva Camillone

DOVE DORMIREIL CASALEVia Ficocle 12Tel. 0544-987310Camera doppia da 50 eurocolazione inclusa

DOVE MANGIARELOCANDA DEI SALINARICirconvallazione Sacchetti 152Tel. 0544-971133Chiuso mercoledì, menù da 30 euro

DOVE COMPRAREPARCO DELLA SALINA DI CERVIAVia Salara 6Tel. 0544-971765

Cervia (Ra)

Sale vanigliatoDall’unione del fleur de sel, fiocchi

di sale marino raccolti a pochissimigiorni dalla formazione, con i semi

estratti dal baccello nasceun condimento soave, che esalta

il sapore dei crostacei

WaferNelle cialde di tradizione

franco-tedesca (waffels), la farcituracon crema vanigliata è storia

di sempre, insieme a quelladi nocciole. A volte, la vaniglia viene

aggiunta già nell’impasto di base

Panna cottaLa crème de la crème dei budinirisplende di luce propria, grazie al virtuoso assemblaggio di panna e vaniglia naturale (la colla di pescenon è obbligatoria). Lo stessoprofumo segna la crème brulée

GelatoL’aromatizzazione da ricettarioclassico prevede che le bacche sianoportate a bollitura insiemea latte e panna, liquido da cuivengono sottratte ancora intereprima della mantecatura

le tonnellatedi produzione mondiale

6500

Willhelm Haarmannsintetizza l’aroma

1874

la vaniglia arrivasull’isola di Bourbon

1819

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Repubblica Nazionale

le tendenzeAccessori

Alla fine della prossima settimanail Mido, salone mondialedell’occhialeria,confermeràche questo comparto industrialeè stato tra i pochi a resistereGrazie anche alle capacitàdi innovazione delle aziende italiane

52 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

PRADAMontatura a colorimolto sgargiantiper la “farfalla” di PradaQuesto paio è verde mela

GUCCILinea geometrica in mood anniOttanta e sulle aste una borchiapiramidale in metalloLenti specchiate o sfumate

ARMANIStile aviatore ispirazioneanni Settanta, montaturacolor cristallo e griffein color palladio

Un vero lusso gli occhiali da sole. L’accessorioper eccellenza, il più ambito e anche il più imi-tato, il più copiato, il più taroccato. Spesso sce-gliamo un modello piuttosto che un altro nonperché comodo o di buona qualità, non per-ché ci protegge dai raggi nocivi, ma perché fa

tendenza, perché placa il nostro narcisismo.L’Italia continua a essere il paese leader nella produzione

dei modelli di fascia media e soprattutto alta, come dimo-strano i dati che saranno resi noti al Mido, il salone mondialedell’occhialeria che si svolgerà alla Fiera di Milano dal 5 al 7marzo. A inaugurarlo, per la prima volta, sarà il ministro del-la Salute, Ferruccio Fazio, a porre l’accento sulle garanzie disicurezza che le lenti, quelle correttive ma anche quelle da so-le, devono offrire.

Quanto ha inciso la crisi? Meno che in altri comparti. Pre-ceduto dalla cosmesi, quello degli occhiali è uno dei settoriche ha retto meglio all’urto della congiuntura economica. Nel2009 le esportazioni hanno subito una contrazione del 16,4per cento rispetto all’anno precedente, ma le previsioni vol-gono al sereno. Le tendenze che vedremo al Mido trasforma-no ancora una volta gli occhiali in strumenti di seduzione, tragiochi di colore e sperimentazioni di nuovi materiali. Hi-tech,avvolgenti, gommosi, retrò, iperleggeri, oversize o superclas-sici. La tinta più in auge si preannuncia il rosso, ma molto ci-tati anche i colori della terra e il blu in tutte le sue sfumature. Ilnero tuttavia si conferma intramontabile, stile diva, occhialigrandi, più tondi che squadrati, in acetato lavorato al laserimitazione merletto. C’è un ritorno agli anni Cinquanta con il“butterfly style” o linea a farfalla, con o senza strass, e c’è unatendenza che il Mido cataloga come “Nerd revival”, da UglyBetty alla nostra Arisa: forme anni Settanta dai tagli netti e benvisibili, valide non solo per le lenti correttive ma anche perquelle anti sole.

Il sessanta per cento degli italiani usa gli occhiali scu-ri, circa 35 milioni di individui. Sono più donne cheuomini, più i giovani che non la popolazione in etàmatura. Secondo una ricerca disposta dallaCommissione difesa vista, a giudicare irri-nunciabili le lenti scure sono soprattutto lepersone nella fascia fra i 18 e i 34 anni. Iltrentacinque per cento ne ha compra-to almeno un paio nell’ultimo anno,percentuale che scende sensibil-mente man mano che si innalzal’età. Ma gli occhiali da sole

non vanno considerati solo come un accessorio moda, unprolungamento del proprio look, un oggetto del desiderio uti-lizzato, più che per guardare, per essere guardati. Soltanto ilcinquantadue per cento degli italiani che portano abitual-mente gli occhiali scuri sanno che queste lenti sono indi-spensabili per proteggere gli occhi dai danni che può causareil sole. Tutti gli altri ne hanno un’idea molto vaga. «Un datopreoccupante se si pensa che l’esposizione prolungata deinostri occhi a una luce troppo forte, soprattutto ai raggi ultra-violetti, può portare all’infiammazione della cornea ed esse-re anche una concausa di malattie come la cataratta e le ma-culopatie», osserva Francesco Loperfido, responsabile di of-talmologia generale al San Raffaele di Milano e consulentedella Commissione difesa vista.

Ma a proteggere gli occhi dalle radiazioni solari potrebbe-ro essere — in un domani non troppo lontano — particolarilenti a contatto anti-Uv. È quanto dimostra uno studio pub-blicato su Investigative Opthalmology & Visual Sciencedaun gruppo di ricercatori dell’Ohio State Universityche per ora hanno testato le lenti su alcuni grup-pi di conigli. Difficile, tuttavia, immaginareche gli occhiali da sole — e il business cheessi rappresentano — possano finirein soffitta.

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LAURA LAURENZI

DOLCE & GABBANAModello dal saporevintage, molto diva,per un occhiale in acetatocon logo in metallo

ROBERTO CAVALLILinee ampiee volumialleggeritidall’utilizzodell’acetatotrasparentedel frontaleche digradadal viola al giallo

Occhiali, la crisi vista da lontano

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 53DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

Carbonio e titanioper i modelli hi-tech

D’Angelantonio / Luxottica

La nuova tendenza è quella della segmentazio-ne: «Occhiali diversi adatti ai diversi momentidella giornata e alle diverse esigenze», spiega

Fabio D’Angelantonio, direttore marketing del grup-po Luxottica. Prevale il genere vintage o hi-tech?

«Entrambi. Sono due generi su cui abbiamo lavo-rato moltissimo quest’anno. La diversificazione del-l’offerta punta a soddisfare l’esigenza di un pubbli-co sempre più consapevole e attento non solo allenuove tendenze, ma anche alle specificità tecniche».

Quali sono le novità tecnologiche, nei materiali enelle performance?

«Esiste una collezione interamente in fibra di car-bonio, un’altra in beta-titanio (una lega dotata di“memoria metallica”). Le performance si traduconoin estrema leggerezza e massima resistenza applica-te a modelli sia vista che sole. Un altro focus per noiè la polarizzazione delle lenti, a bloccare bagliori e ri-verberi per una visione assolutamente nitida».

Come spiega che l’occhialeria è uno dei settoriche hanno risentito meno della crisi?

«Posso parlare per noi e credo che la risposta sianel nostro portafoglio di marchi, sempre più diver-sificato e articolato. Ognuno con una sua fortissimaidentità».

Quanto incide in una campagna promozionaleun testimonial famoso?

«Per quanto riguarda noi non particolarmente.Prima di tutto viene il marchio…. L’endorsment dipersonalità e volti noti contribuisce sicuramente al-la popolarità e alla diffusione del prodotto, ma nonè l’elemento determinante del suo successo. Quel-lo che conta è la qualità e la costante ricerca e inno-vazione».

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Vintage e oversizeil gusto li vuole retrò

Zuccarelli / Safilo

Loghi meno ostentati e una maggiore discre-zione «per una riconoscibilità fatta più di sot-tili particolari distintivi che di marchi vistosi,

non solo negli occhiali da sole ma anche nei mo-delli da vista»: è la tendenza della prossima stagio-ne secondo Massimo Zuccarelli, responsabile svi-luppo collezioni del gruppo Safilo. «Indicherei an-che il ritorno a uno stile di gusto retrò. Un’altra ten-denza forte è quella del colore, con un’ampia gam-ma di tinte vivaci e originalissime».

L’oversize è sempre intramontabile?«Sicuramente, magari con lenti sfumate a effet-

to make-up, che evidenziano un design ampio,piacevolmente vintage».

A volte sembra che vada tutto e il contrario ditutto. È un’impressione sbagliata?

«In effetti le nuove collezioni sono trasversali edecisamente eclettiche, e permettono di poter sce-gliere tra occhiali dallo stile diverso da abbinare aseconda dell’occasione, del look, dell’umore».

Per quali motivi gli occhiali da sole restano l’ac-cessorio per eccellenza?

«L’occhiale da sole è un importante comple-mento dello stile, rappresenta l’accessorio griffatoche aggiunge personalità ad ogni look, immedia-tamente visibile sul viso e di maggior impatto. Inpiù, l’occhiale da sole ha un’importante valenzafunzionale, nel proteggere gli occhi dai raggi Uv».

Nonostante la crisi c’è spazio per occhiali a edi-zione limitata e numerata?

«Sì, infatti alcuni marchi li propongono periodi-camente: sono occhiali caratterizzati da contenu-ti stilistici innovativi, da dettagli preziosi nei mate-riali, che soddisfano la voglia di esclusività».

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CHANELStile Audrey Hepburn

per l’occhialedalla forma

tondeggiante,montatura effetto pizzo

LOZZAMontatura in acetatoa forma di gocciacon doppio pontepercorsa da un’animain metallo

BREILOcchiale in metallo

bordeaux satinato lucidocon strass laterale

sulle due aste

YAMAMAY FOR STINGForma squadrata,aste ampie e logoin stile vintageimpreziositoda piccoli strass

DIORModello oversize e aste decorateda una placca in metallocon inciso il motivo “cannage”

TOD’SIn acetato rosa

o tartarugacon lenti fumé

e dettagli in metalloAste affusolate

FERRÈRichiamagli anni Ottantae le sue formesquadrate,doppio ponte

e montaturain tinta squillante

Repubblica Nazionale

l’incontroVisionari Alla soglia dei sessant’anni

questo newyorchese del Queensdi padre italiano è il più celebreperformer di video-art, un creatore

di spazi abitati da lucee ombra, forme e figure,dove gli spettatori-protagonisti possonocamminare. Eppurei suoi “eroi” sono Giottoe Masaccio, e lui

si definisce un pittore senza pennello“Amo i video – dice – perché sono comela vita: immagini sempre in movimento”

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Il mio maestro zenmi diceva:devi impararea essere vuotoAveva ragionema io avevo studiatoanni per riuscirea essere pienodi idee e progetti

mento sullo schermo mi ha conquista-to. Non ho avuto il minimo dubbio.Quella era la strada. È stato straordina-rio. Era un passaggio epocale, in cui lanuova tecnica stava cambiando anchela visione del mondo. Come quandoMasaccio con la Trinità a Santa MariaNovella a Firenze ha iniziato a usare laprospettiva come una nuova forma divisione della realtà».

Nel 1974 Viola è in Italia, a Firenze,dove incontra Maria Gloria Bicocchiche aveva aperto il mitico centro diproduzione per la Media Art, uno deiprimi in Europa, Art/Tapes/22. Violaentra a lavorare nel team. Intanto visi-ta Assisi, Arezzo, Roma, Bologna, Pa-dova. Ama Giotto e il Rinascimento.Adora la storia dell’arte e la pittura.«Anche se non lavoro con il pennelloma con il video, mi sento un pittore cherealizza immagini». Pittura e movi-mento sono i poli fra cui si muove que-st’artista che realizza in video solennipale d’altare laiche contemporanee, incui scandaglia passioni ed emozioni,aspirazioni e desideri.

Go Forth by Day, una delle sue instal-lazioni video più potenti, realizzata perla prima volta al Guggenheim Museumdi New York, è un’opera sulla rivelazio-ne, su quella labile linea di passaggio dalbuio alla luce. Il lavoro spettacolare escenografico, scandito da immagini esequenze di straordinaria bellezza, rit-mato dall’alternarsi di zone di silenzio amomenti in cui il sonoro satura l’interoambiente, si sviluppa in cinque gigan-tesche proiezioni dal pavimento al sof-fitto. È qui che Viola instaura un ritmo diconfronti serrati fra opposti: acqua efuoco, aria e terra, luce e tenebra, vita emorte, caduta e rinascita, e il lavoro pro-cede fino a un ideale confluire in un or-dine cosmico in cui ogni elemento tro-va la sua collocazione.

«L’idea è nata quando ho visitato laCappella degli Scrovegni a Padova, so-no rimasto folgorato. Giotto è uno deimiei eroi. Penso abbia fatto il primo di-pinto virtuale. Quando ho visto lo spa-zio sono rimasto sopraffatto. Dopo ilprimo impatto, quando mi sono ripre-so, ho riflettuto sul fatto che ogni super-ficie era affrescata, è stato come entrarein una realtà virtuale». Spiega Viola cheama la storia dell’arte, la pittura me-dioevale, e il Rinascimento italiano.«Così ho iniziato a progettare un gran-de ciclo di immagini, connesse ma indi-pendenti. Quello che mi ha affascinatoera entrare in uno spazio e camminaredentro le immagini. È quello che ho fat-to in Go Forth by Day. Entri in un luogoilluminato solo dai bagliori delle proie-zioni per camminare, come in un sen-

tiero, in questa lunga stanza e attraver-sare il ciclo eterno della vita e della mor-te, della creazione e della distruzione. Iltitolo deriva dal Libro dei Morti dell’an-tico Egitto, e si riferisce al momento deltrapasso in cui dal buio si passa nella lu-ce. È incredibile osservare come l’ideadella luce intesa come rivelazione siapresente indistintamente in tutte le tra-dizioni religiose».

La luce, appunto, per Viola è fonda-mentale. I suoi lavori inondano gli am-bienti di luci, penombre, e a volte per-sino zone di buio. Le sue opere sono to-tali, nel senso che trasformano radical-mente gli ambienti. E il pubblico si tro-va all’interno, coinvolto in queste rive-lazioni contemporanee, di cui, lovoglia o meno, si sente protagonista. Èquesta una delle chiavi del successo diViola. Addentrarsi in temi universali econdivisi.

Luce e rivelazione. Viola conosce ilbuddismo zen, il sufismo islamico, la

mistica medioevale cristiana, ma il suoapproccio alla vita e all’arte non è tantoreligioso quanto spirituale, nelle sueopere distilla una spiritualità contem-poranea che ha conquistato il mondo. Ainiziare dalla prima uscita al Whitney fi-no al toccante Padiglione degli StatiUniti alla Biennale di Venezia del 1995,la sua prima importante mostra in Ita-lia, passando per i musei più blasonati:la National Gallery di Londra e il l MO-CA di Los Angeles; l’Operà di Parigi, do-ve nel 2005 ha “messo in scena” la suaversione video/contemporanea delTristano e Isotta di Wagner; il Palazzodelle Esposizioni di Roma.

A Bologna lo scorso 29 gennaio nel-l’antica chiesa sconsacrata di Santa Lu-cia, invitato da Arte Fiera, ha presenta-to con il compositore estone Arvo PärtDiario dell’Anima, un incontro epicofra musica e immagini. «Ho incontratoPärt per la prima volta in Vaticano. Unbel posto per incontrasi no? Era no-vembre, quando il Papa ha invitato gliartisti. Siamo entrati subito in sintoniae abbiamo pensato di fare un lavoro in-sieme». Per l’occasione l’artista ha in-stallato Tristan’Ascension (The Sound ofa Mountain Under a Waterfall), unascenografica video-installazione resaancora più d’impatto dalla sapientecollocazione in uno spazio così solen-ne, in cui il destino di Tristano si compiein un trionfo d’acqua scrosciante, se-gno di purificazione, catarsi, rinascita,virata in tutti i toni traslucidi e lumino-si del blu. La rinascita, quella sottile e in-definibile linea di passaggio, è un altrodei temi che affascinano Viola, nella vi-ta privata e nel lavoro.

La sua rinascita avviene durante unviaggio in Giappone con la moglie KiraPetrov, fotografa conosciuta in Austra-lia nel 1977, sposata un anno dopo, etuttora sua compagna e direttore ese-cutivo dello studio. «Erano gli anni del-la guerra del Vietnam e della contesta-zione», ricorda Bill Viola, «in America lacultura e la religione orientale erano unsimbolo. Volevamo andare a vedere dipersona. Quel viaggio ci ha cambiato lavita. Siamo rimasti in Giappone diciot-to mesi, fra il 1980 e il 1981, e abbiamoavuto la fortuna di incontrare un mae-stro zen straordinario: Tanaka Daisen.Praticavamo con lui quasi tutti i giorni,eccetto quando lui viaggiava. Era unuomo magico. Mi diceva “devi impara-re a essere vuoto”. Se lo immagina? Ave-vo studiato anni per imparare a esserepieno, di idee, progetti, immagini, e oraquest’uomo mi diceva che dovevo esse-re vuoto, e perso, e imparare a lavorareda una posizione di fragilità. Era pazze-sco, ma aveva ragione».

The Crossing è fra i lavori più intensisulla rinascita, intesa come purificazio-ne e rigenerazione. Su uno schermo ap-poggiato al pavimento in una stanzabuia si scorge in lontananza un uomoche avanza lentamente da un fondoscuro. L’uomo cammina fino ad arriva-re in primo piano dove si ferma, in si-lenzio, di fronte allo spettatore. Unapiccola fiamma che sale da terra si tra-sforma subito in un fuoco avvolgenteche dissolve l’essere umano fino a farloscomparire. Sull’altro lato dello scher-mo un secondo uomo è inghiottito finoa dissolversi da uno scroscio d’acqua vi-goroso che inizia a cadere dall’alto pri-ma con poche gocce e poi con l’impetodi una cascata. Silenzio. Buio. E poi, dinuovo, il ciclo ricomincia, e dal fondoscuro su ambedue i lati dello schermo,davanti e dietro, ricompare in lonta-nanza quell’essere umano enigmaticoe universale, minuscolo elemento di unordine cosmico in cui ogni cosa si tra-sforma ma non si perde.

«Budda ha detto: all life is change. Si-gnifica che le cose spariscono e cam-biano in continuazione». Continua BillViola, che ha appena visitato il LagoMaggiore fino a Luino, sulle tracce deiluoghi dove è cresciuto suo nonno Car-lo prima di emigrare in Europa e poi aNew York in cerca di lavoro: «L’alberoche vedo adesso fuori dalla mia finestraa Long Beach, California, al sole, questostesso albero se torno tra cent’anni sene sarà andato. La mia interpretazionedelle parole di Budda è: all life is a mo-ving image. Questo è quello che siamo.Questo è il motivo per cui amo i video,perché sono come la vita. Sono in movi-mento continuo».

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CLOE PICCOLI

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Bill Viola ha un talento spe-ciale che lo porta a co-struire immagini sugge-stive persino con le paro-

le. Mentre si racconta, senza rispar-miarsi, affiorano dalla memoria perso-ne, luoghi, situazioni e lui crea immagi-ni quasi tangibili, persino quando parladi visioni e rivelazioni. È su questo chesi soffermano i suoi video, dittici, tritti-ci, interi ambienti, installazioni e pro-duzioni colossali proiettati in musei,gallerie, cupole, teatri, chiese sconsa-crate, nella spirale del Guggenheim diNew York, e nei cieli sopra Tokyo al Mo-ri Museum. «Cerco di portare in super-ficie qualcosa che esiste già. È già lì. So-lo che non la vediamo. L’arte per me è ri-velazione».

Nato a New York da padre italiano,cresciuto nel Queens, primo invito im-portante alla Biennale del Whitney nel1975, oggi Bill Viola è il più riconosciutoartista video vivente, ma confessa: nonl’avrebbe mai immaginato. È stato unpercorso graduale, una rivelazione,l’attuarsi di un destino. L’unica cosa dicui è sempre stato certo, questo sì, è cheil video sarebbe stato il suo strumentoper indagare il mondo. «Sono nato nel1951, il video e la televisione sono arri-vati nel mondo pochi anni dopo la mianascita», continua a raccontare energe-tico e solare. «All’università di NewYork, nel 1969, questa tecnica era speri-mentale, nuova, eccitante. Le macchi-ne erano complesse, difficili da usare inbianco e nero. Ma l’immagine in movi-

Bill Viola

54 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 FEBBRAIO 2010

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