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LE LETTERE COPERNICANE. GALILEO E LA TEOLOGIA di Stefano Sodi Karol Wojtyla e Galileo Galilei La grandezza di Galileo è a tutti nota, come quella di Einstein; ma a differenza di questi […] il primo ebbe molto a soffrire […] da parte di uomini e organismi di Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha ricono- sciuto e deplorato certi indebiti interventi: «Ci sia concesso di deplo- rare – è scritto al n. 36 della Costituzione conciliare Gaudium et Spes – certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la le- gittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e contro- versie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro». Il riferimento a Galileo è reso esplicito dalla nota aggiunta, che cita il volume Vita e opere di Galileo Galilei, di mons. Paschini, edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze. A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sin- cera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, ri- muovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. A questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scien- za, e di schiudere la porta a future collaborazioni, io assicuro tutto il mio appoggio. Mi sia lecito, Signori, offrire alla loro attenta considerazione e me- ditata riflessione, alcuni punti che mi appaiono importanti per collo- care nella sua vera luce il caso Galileo, nel quale le concordanze tra religione e scienza sono più numerose, e soprattutto più importanti, delle incomprensioni che hanno causato l’aspro e doloroso conflitto che si è trascinato nei secoli successivi. Colui che è chiamato a buon diritto il fondatore della fisica moder- 37 TESTO impaginato 4-01-2010 9:14 Pagina 37

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LE LETTERE COPERNICANE.GALILEO E LA TEOLOGIA

di Stefano Sodi

Karol Wojtyla e Galileo Galilei

La grandezza di Galileo è a tutti nota, come quella di Einstein; maa differenza di questi […] il primo ebbe molto a soffrire […] da partedi uomini e organismi di Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha ricono-sciuto e deplorato certi indebiti interventi: «Ci sia concesso di deplo-rare – è scritto al n. 36 della Costituzione conciliare Gaudium et Spes– certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmenotra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la le-gittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e contro-versie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza efede si oppongano tra loro». Il riferimento a Galileo è reso esplicitodalla nota aggiunta, che cita il volume Vita e opere di Galileo Galilei,di mons. Paschini, edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze.

A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, ioauspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sin-cera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nelleale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, ri-muovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente dimolti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo.A questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scien-za, e di schiudere la porta a future collaborazioni, io assicuro tutto ilmio appoggio.

Mi sia lecito, Signori, offrire alla loro attenta considerazione e me-ditata riflessione, alcuni punti che mi appaiono importanti per collo-care nella sua vera luce il caso Galileo, nel quale le concordanze trareligione e scienza sono più numerose, e soprattutto più importanti,delle incomprensioni che hanno causato l’aspro e doloroso conflittoche si è trascinato nei secoli successivi.

Colui che è chiamato a buon diritto il fondatore della fisica moder-

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na, ha dichiarato esplicitamente che le due verità, di fede e di scienza,non possono mai contrariarsi «procedendo di pari dal Verbo divino laScrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo,e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio» comescrive nella lettera al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613.Non diversamente, anzi con parole simili, insegna il Concilio VaticanoII: «La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera ve-ramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in realecontrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fedehanno origine dal medesimo Iddio» (Gaudium et Spes, 36). Galileo haenunciato delle importanti norme di carattere epistemologico indi-spensabili per accordare la Sacra Scrittura con la scienza. Nella Lette-ra alla Granduchessa Madre di Toscana, Cristina di Lorena, Galileoriafferma la verità della Scrittura: «Non poter mai la Sacra Scritturamentire, tutta volta che sia penetrato il suo vero sentimento, il qualnon credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto di-verso da quello che suona il puro significato delle parole». Galileo in-troduce il principio di una interpretazione dei libri sacri, al di là an-che del senso letterale, ma conforme all’intento e al tipo di esposizio-ne propri di ognuno di essi. È necessario, come egli afferma, che «isaggi espositori ne produchino i veri sensi».

La pluralità delle regole di interpretazione della Sacra Scrittura,trova consenziente il magistero ecclesiastico, che espressamente inse-gna, con l’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, la presenza didiversi generi letterari nei libri sacri e quindi la necessità di interpreta-zioni conformi al carattere di ognuno di essi.

GIOVANNI PAOLO II, Discorso per la commemorazionedella nascita di Albert Einstein, 10 novembre 1979

Ad appena un anno dal suo insediamento – avvenuto il 16ottobre 1978 –, il Discorso per la commemorazione della nascitadi Albert Einstein, tenuto il 10 novembre 1979 ai membri dellaPontificia Accademia delle Scienze e del quale abbiamo soprariportato un significativo estratto, mostra come il nuovo papache proveniva dalla patria di Copernico, tra i molti errori com-piuti dalla Chiesa di cui intese farsi carico e di cui volle chiede-re pubblicamente perdono e tra le molte polemiche che intese

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Fig. 1. Uno dei costituti (interrogatori) di Galilei di fronte all’Inquisizione: laparte finale della deposizione resa da Galileo il 12 aprile 1633, debitamente sot-toscritta (alla riga 8 si legge: Io Galileo Galilei ho deposto come di sopra) e l’i-nizio del costituto seguente del 30 aprile 1633. Nonostante le lunghe ricerchesvolte per ritrovare gli atti del processo inquisitoriale di Galilei, fino ad oggi pos-sediamo solo un «estratto» delle scritture originali rimasto per secoli nell’archiviodella Congregazione dell’Indice, trasferito a Parigi durante il sequestro degli Ar-chivi vaticani disposto nel 1810 da Napoleone e restituito all’Archivio Segreto Va-ticano nel 1843. II volume, erroneamente designato per lungo tempo come «pro-cesso di Galileo Galilei», è quindi in realtà solo un insieme di scritture radunatedalla Congregazione dell’Indice dopo la condanna dello scienziato pisano per re-golarsi sulla proibizione dei suoi libri e sull’insegnamento della sua dottrina.

Archivio Segreto Vaticano, Misc., Arm. X, 204, f. 84r

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chiudere tra la comunità che era stato chiamato a presiedere edil mondo moderno, la questione galileiana aveva un ruolo nien-te affatto secondario.

Più volte e in diverse occasioni Karol Wojtyla tornò sul tema,offrendone una personale soluzione sulla quale, al termine diquesto nostro approfondimento, avremo modo di tornare.

Le lettere copernicane

Non è qui né possibile né opportuno affrontare il problema,dibattuto ormai da quasi quattro secoli, del processo subito daGalilei di fronte al tribunale dell’Inquisizione tra il 12 aprile e il22 giugno 1633, al termine del quale lo scienziato pisano fu co-stretto alla pubblica abiura della teoria copernicana (se ne leggail testo nell’Appendice n. 1). Né ci interessa in questo contestodiscutere sul tema di quale fosse il reale motivo della condanna,se le manifeste teorie eliostatiche o le più segrete concezioniatomistiche e antieucaristiche suggerite sul finire del secoloscorso dal Galileo eretico di Pietro Redondi.

Ci interessa invece evidenziare e discutere l’originale posizio-ne che Galilei assunse relativamente al rapporto tra le veritàdella scienza e quelle della fede, assolutamente innovativa in uncontesto storico-culturale in cui – nello scontro venutosi a crea-re tra la Chiesa cattolica e quelle riformate sull’unicità dellaBibbia come fonte per la salvezza – era divenuto di prioritariaimportanza per la Chiesa di Roma rivendicare la propria incon-testabile autorità nell’interpretazione della Sacra Scrittura.

Per far questo ci soffermeremo su quattro testi scritti assaiprima che avessero inizio le note vicissitudini processuali, ma in-seribili piuttosto in una vicenda che di esse costituì l’antefatto.

Un paio d’anni dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius(1610), i frati domenicani Niccolò Lorini (1544 ca.-1617), pre-dicatore generale dell’Ordine e «lettore» di storia ecclesiasticanello Studio di Firenze, e Tommaso Caccini (1574-1648) aveva-

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no accusato Galilei di entrare in contrasto con la Sacra Scrittu-ra, avanzando opinioni astronomiche ispirate alla teoria coper-nicana. Malgrado lo scarso ascolto ricevuto dalla loro polemica,Galilei – tra il dicembre 1613 e la primavera del 1615 – scrissequelle che sono poi passate alla storia col nome di Lettere co-pernicane che, pur essendo inviate a privati, vennero fatte circo-lare dallo scienziato pisano fra numerosi amici e conoscenti.

Vediamole in estrema sintesi. 1. Lettera all’abate benedettino Benedetto Castelli, suo disce-

polo e successore in qualità di «lettore delle matematiche»presso lo Studio pisano (21 dicembre 1613)Galilei affronta il problema della diversità fra il linguaggio

scientifico e quello biblico. La lettera si conclude con il tentati-vo di dimostrare come il sistema copernicano si adatti meglio diquello tolemaico all’affermazione di Giosuè 10, 24 che Dio im-pose al Sole di fermarsi in cielo.

Fig. 2. Autore ignoto, Ritratto di Benedetto Castelli (1577-1644) (1640),Firenze, Galleria degli Uffizi, Iconoteca Gioviana.

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2. Prima lettera a monsignor Piero Dini, referendario aposto-lico a Roma e poi dal 1621 arcivescovo di Ferrara (16 feb-braio 1615)In questa lettera Galilei vuole esplicitare la sua posizione ri-

spetto alle accuse che gli erano state mosse da Lorini e Caccini.In particolare sottolinea da un lato il rischio per la Chiesa di so-stenere un’interpretazione letterale della Bibbia in quelle con-clusioni naturali che non sono de fide, dall’altro la cattolicità ela buona fede di Copernico.

3. Seconda lettera a monsignor Piero Dini (23 marzo 1615)Galilei risponde a un’osservazione che il Dini gli aveva fat-

to in una lettera inviatagli pochi giorni prima (14 marzo) incui il presule affermava che, riguardo all’opera di Copernico,sarebbe stato meglio se si fossero «salvate le apparenze», ag-giungendo qualche postilla al testo, per non incorrere nellacensura ecclesiastica. Il Dini sembra qui suggerire la ‘lettura’non realistica del De Revolutionibus Orbium Coelestium che ilteologo e matematico Andreas Osiander (1498-1552), pretecattolico passato al luteranesimo, aveva proposto nella sua in-troduzione del 1543. Galilei difende invece l’interpretazionerealistica dell’opera di Copernico. Sostiene inoltre che danniminori avrebbe avuto la Chiesa non salvando le apparenzepiuttosto che difendendo ostinatamente una teoria falsa (quel-la geocentrica).

4. Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana(1615)Affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede con ar-

gomentazioni fondate sull’esegesi del testo biblico. Galilei introduce il tema mostrando come molti uomini, non

avendo seguito il consiglio di S. Agostino a non avere pauradella verità per amore del proprio errore, usino il testo biblicoper sostenere tesi non de fide, ma riguardanti le «sensate espe-rienze e certe dimostrazioni». Riconosce di essersi convinto del-

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la verità della teoria eliocentrica e si lamenta per il fatto che cisi accanisca contro di lui, quasi ne fosse l’autore. Comunquesia, intende mostrare l’errore dei suoi critici, confrontandosi inun’analisi esegetica della Scrittura.

Fig. 3. Santi di Tito (1536-1603), Ritratto di Cristina di Lorena (1565-1636),Siena, Palazzo Ducale.

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La Lettera al Castelli

Già nella prima delle lettere emerge il cuore dell’argomenta-zione galileiana.

Lo scienziato pisano non intende infatti negare la dottrina del-l’inerranza biblica («parmi […] non poter mai la Scrittura Sacramentire o errare, ma essere i suoi decreti d’assoluta ed inviolabileverità» essendo la Bibbia «come dettatura dello Spirito Santo»),ma – al tempo stesso – ritiene che uguale dignità spetti alla natu-ra «come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio».

Il problema deve essere quindi spostato sulle loro rispettiveinterpretazioni: l’esegesi biblica da una parte, la ricerca scienti-fica dall’altra. Il nostro autore ritiene che alla prima non possaessere accordata altrettanta autorità della Scrittura. Infatti –egli sostiene – soprattutto quando intende fermarsi a un’inter-pretazione letterale del testo, l’esegesi biblica può commettereerrori in quanto «nella Scrittura si trovano molte proposizionile quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto di-verso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomodarsi al-l’incapacità del vulgo».

Viceversa «quello che […] o la sensata esperienza ci pone in-nanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono»degli «effetti di natura», cioè il dato scientifico, non può in al-cun modo essere contraddetto perché la natura segue leggi uni-versali e necessarie («non ogni detto della Scrittura è legato aobblighi così severi com’ogni effetto di natura»).

In termini più semplici, Galilei sostiene che se testo sacro enatura non possono sbagliare, l’errore può essere invece ascrit-to all’esegesi biblica o alla scienza, ma quando quest’ultimaavrà prodotto risultati incontrovertibili spetterà alla prima fareun passo indietro.

È questa non solo una lucida e orgogliosa rivendicazionedella dignità epistemologica della fisica moderna ma un radica-le rovesciamento del paradigma medievale che vedeva l’ancilla-rità di ogni disciplina rispetto a quella teologica, subalterna sol-

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tanto – nella concezione tomista – alla scientia Dei et beatorumomnium, alla conoscenza che Dio aveva di se stesso e che i santipotevano godere di lui nella vita futura. Galilei non solo mettein dubbio il primato della teologia sulle altre scienze, afferman-do la sua indiscutibile autorità nella questioni de fide ma non inquelle di natura, ma sembra voler competere con i teologi an-che nel loro stesso ambito.

Probabilmente fu proprio quest’atteggiamento a indispettirel’Inquisizione, la quale non poteva non temere quanti rivendi-cassero il diritto di insegnare qualcosa in fatto di esegesi biblicaalle gerarchie ecclesiastiche.

Due erano infatti gli ambiti – e strettamente correlati fra loro –in cui particolarmente scoperti erano i nervi della Chiesa cattoli-ca di fronte alla posizione luterana che rivendicava, se non, co-me si è a lungo sostenuto, il «libero esame» della Sacra Scrittu-ra, almeno la fine del monopolio esegetico da parte della gerar-chia ecclesiastica: il timore appunto di trovare nel laicato auten-tici ed esperti interpreti della Bibbia e quello di assistere ad unrovinoso ‘effetto domino’ allorché si riconoscesse, quand’anchein una disciplina qual appunto è l’astronomia, di cui nel Testosacro «ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur no-minati i pianeti», che l’interpretazione unanimemente sostenutadai Padri della Chiesa dovesse essere corretta.

La cosa in realtà non era così semplice e meriterebbe almenofar cenno alla denuncia che il Caccini presentò a Roma al tribu-nale dell’Inquisizione il 20 marzo 1615 (denuncia che non pro-dusse alcuna conseguenza, ma che comportò la decisione diGalilei di recarsi a Roma per difendersi personalmente), e alledivergenti posizioni sull’atteggiamento da tenere nei confrontidella scienza moderna tra i gesuiti e i domenicani, dibattitoquesto che vide protagonisti personaggi come i cardinali Ro-berto Bellarmino (1542-1621), Niccolò Sfrondati, poi papaGregorio XIV (1535-1591), e Ferdinando Taverna (1558-1619),tutti giudici che pochi anni prima avevano fatto parte della col-legio giudicante che aveva condannato al rogo il filosofo dome-

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nicano Giordano Bruno (1548-1600).Ma la semplificazione è qui necessaria per favorire la chia-

rezza e per comprendere gli elementi nodali della questione.

Tornando a Giovanni Paolo II

Di nuovo di fronte ai membri della Pontificia Accademia del-le Scienze, il 31 ottobre 1992, stavolta in occasione del 350° an-niversario della morte di Galileo, Giovanni Paolo II concluse ilsuo lungo percorso sullo scienziato pisano con un discorso am-pio e circostanziato, di cui riproporremo i punti focali e su cui cipermetteremo di proporre una considerazione conclusiva.

[…] Ero mosso da simili preoccupazioni, il 10 novembre 1979, inoccasione della celebrazione del primo centenario della nascita di Al-bert Einstein […]

Una commissione di studio è stata costituita a tal fine il 3 luglio1981. Ed ora, nell’anno stesso in cui si celebra il 350° anniversariodella morte di Galileo [1992], la Commissione presenta, a conclusio-ne dei suoi lavori, un complesso di pubblicazioni che apprezzo viva-mente. […]

Il lavoro svolto per oltre dieci anni risponde a un orientamentosuggerito dal Concilio Vaticano II e permette di porre meglio in lucevari punti importanti della questione.

In avvenire, non si potrà non tener conto delle conclusioni dellaCommissione.

[…] Una doppia questione sta al cuore del dibattito di cui Galileofu il centro.

La prima è di ordine epistemologico e concerne l’ermeneutica bi-blica. A tal proposito, sono da rilevare due punti. Anzitutto, come lamaggior parte dei suoi avversari, Galileo non fa distinzione tra quelloche è l’approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sullanatura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. È perquesto che egli rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presen-tare come un’ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso nonfosse confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un’esigen-

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Fig. 4. Prima pagina della lettera di Galilei all’abate Castelli (21 dicembre1613).

za del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore. Inoltre, la rappresentazione geocentrica del mondo era comune-

mente accettata nella cultura del tempo come pienamente concordecon l’insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, presealla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo.Il problema che si posero dunque i teologi dell’epoca era quello dellacompatibilità dell’eliocentrismo e della Scrittura.

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Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca cheessi suppongono, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri diinterpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo.

Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questopunto più perspicace dei suoi avversari teologi. […] Si conosce anchela sua lettera a Cristina di Lorena (1615) che è come un piccolo tratta-to di ermeneutica biblica. […]

Possiamo già qui formulare una prima conclusione. L’irruzione diuna nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni naturali im-pone una chiarificazione dell’insieme delle discipline del sapere. Essale obbliga a delimitare meglio il loro campo proprio, il loro angolo diapproccio, i loro metodi, così come l’esatta portata delle loro conclu-sioni. In altri termini, questa novità obbliga ciascuna delle discipline aprendere una coscienza più rigorosa della propria natura.

Il capovolgimento provocato dal sistema di Copernico ha così ri-chiesto uno sforzo di riflessione epistemologica sulle scienze bibliche,sforzo che doveva portare più tardi frutti abbondanti nei lavori esege-tici moderni e che ha trovato nella Costituzione conciliare Dei Ver-bum una consacrazione e un nuovo impulso. […]

La crisi che ho appena evocato non è il solo fattore ad aver avutodelle ripercussioni sull’interpretazione della Bibbia. Noi tocchiamoqui il secondo aspetto del problema, l’aspetto pastorale.

[…] si tratta di sapere come prendere in considerazione un datoscientifico nuovo quando esso sembra contraddire delle verità di fede.Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria copernicana era difficileda esprimere nella misura in cui il geocentrismo sembrava far partedell’insegnamento stesso della Scrittura. Sarebbe stato necessario con-temporaneamente vincere delle abitudini di pensiero e inventare unapedagogia capace di illuminare il popolo di Dio. Diciamo, in manieragenerale, che il pastore deve mostrarsi pronto a un’autentica audacia,evitando il duplice scoglio dell’atteggiamento incerto e del giudizioaffrettato, potendo l’uno e l’altro fare molto male.

[…] È un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulleacquisizioni scientifiche per esaminare, all’occorrenza, se è il caso omeno di tenerne conto nella loro riflessione o di operare delle revisio-ni nel loro insegnamento.

Se la cultura contemporanea è segnata da una tendenza allo scien-tismo, l’orizzonte culturale dell’epoca di Galileo era unitario e recava

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l’impronta di una formazione filosofica particolare. Questo carattereunitario della cultura, che è in sé positivo e auspicabile ancor oggi, fuuna delle cause della condanna di Galileo. La maggioranza dei teologinon percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua in-terpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campodella dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ri-cerca scientifica.

In realtà, come ha ricordato il Cardinal Poupard, Roberto Bellar-mino, che aveva percepito la vera posta in gioco del dibattito, rite-neva da parte sua che, davanti ad eventuali prove scientifiche del-l’orbita della terra intorno al sole, si dovesse «andar con molta con-siderazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie» alla mobi-lità della terra e «più tosto dire che non l’intendiamo, che dire chesia falso quello che si dimostra» (Lettera al Padre A. Foscarini, 12aprile 1615).

Prima di lui, la stessa saggezza e lo stesso rispetto della Parola divi-na avevano già guidato sant’Agostino a scrivere: «Se a una ragioneevidentissima e sicura si cercasse di contrapporre l’autorità delle Sa-cre Scritture, chi fa questo non comprende e oppone alla verità non ilsenso genuino delle Scritture, che non è riuscito a penetrare, ma ilproprio pensiero, vale a dire non ciò che ha trovato nelle Scritture,ma ciò che ha trovato in se stesso, come se fosse in esse»” (Epistula143, n. 7). […]

Un altro insegnamento che si trae è il fatto che le diverse disciplinedel sapere richiedono una diversità di metodi.

Galileo, che ha praticamente inventato il metodo sperimentale,aveva compreso, grazie alla sua intuizione di fisico geniale e appog-giandosi a diversi argomenti, perché mai soltanto il sole potesse averefunzione di centro del mondo, così come allora era conosciuto, cioècome sistema planetario.

L’errore dei teologi del tempo, nel sostenere la centralità della ter-ra, fu quello di pensare che la nostra conoscenza della struttura delmondo fisico fosse, in certo qual modo, imposta dal senso letteraledella S. Scrittura. […]

Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Ri-velazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. Aquest’ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La di-stinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una

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opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro,ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno per-mettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà.

GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla sessione plenariadella pontificia accademia delle scienze, 31 ottobre 1992

Merita innanzitutto osservare come il papa in questo discor-so renda ragione di un’opera di complessiva revisione del caso– promessa oltre dieci anni prima – che rende piena soddisfa-zione allo scienziato pisano («Paradossalmente, Galileo, sincerocredente, si mostrò su questo punto più perspicace dei suoi av-versari teologi») e riconosce gli errori commessi dall’istituzioneecclesiastica nei suoi confronti. Ma il pontefice prende occasio-ne dal caso per offrire una serie di sollecitazioni più generaliche vale la pena evidenziare perché dovrebbero costituire anco-ra oggi un comune terreno di incontro tra teologi e scienziatinel loro reciproco e non sempre pacifico rapporto.

Il papa sottolinea che due sono le questioni al centro del ca-so Galileo.

La prima è di ordine epistemologico ed è relativa all’erme-neutica biblica. Il pontefice sostiene che ogni volta che emerge«una nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni natu-rali [essa] impone una chiarificazione dell’insieme delle disci-pline del sapere […] le obbliga a delimitare meglio il loro cam-po proprio, il loro angolo di approccio, i loro metodi, così co-me l’esatta portata delle loro conclusioni. In altri termini, que-sta novità obbliga ciascuna delle discipline a prendere una co-scienza più rigorosa della propria natura». Nel caso di Galileil’ermeneutica biblica non fu capace di farlo ed è stato necessa-rio attendere secoli prima che ciò avvenisse. Ma questo è neces-sario sempre e per ogni disciplina: ogni volta che un ambito delsapere giunge a nuove conclusioni, esso non può giustapporreil proprio contributo a fianco di quello degli altri, ma tutti de-vono essere consapevoli della necessità di ridefinire i loro reci-

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proci rapporti per una nuova e più avanzata sintesi conoscitiva. La seconda è di ordine pastorale. La teoria copernicana, così

lontana dalle abitudini di pensiero dominanti non solo nellaChiesa, avrebbe preteso di «inventare una pedagogia capace diilluminare il popolo di Dio», avrebbe richiesto ai suoi pastori«un’autentica audacia, evitando il duplice scoglio dell’atteggia-mento incerto e del giudizio affrettato»: «È un dovere per i teo-logi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifi-che per esaminare, all’occorrenza, se è il caso o meno di tener-ne conto nella loro riflessione o di operare delle revisioni nel lo-ro insegnamento», evitando di «trasporre indebitamente nelcampo della dottrina della fede una questione di fatto apparte-nente alla ricerca scientifica». Basterebbe solo il riferimento allabioetica per comprendere l’attualità di queste parole.

Un ulteriore insegnamento Giovanni Paolo II trae dalla que-stione galileiana: «il fatto che le diverse discipline del sapere ri-chiedono una diversità di metodi». Ciò significa, per il pontefi-ce, che nel delicato rapporto tra la teologia e le scienze speri-mentali (ma anche la filosofia), ognuna con fini e metodi pro-pri, è necessario rispettare «la distinzione tra i due campi delsapere» che «non deve essere intesa come una opposizione. Idue settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro, ma hannopunti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permet-tono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà».

Un’unica osservazione ci sia consentita su un impianto teore-tico che ci vede pienamente consenzienti. Quella relativa allacitazione della lettera scritta il 12 aprile 1615 dal cardinale Bel-larmino al carmelitano calabrese Paolo Antonio Foscarini(1580-1616), dopo che questi aveva pubblicato la Lettera sopral’opinione de’ Pittagorici e del Copernico, con la quale aveva in-teso dimostrare come i movimenti di rotazione e rivoluzioneterrestri non contraddicessero il testo biblico.

Ne riportiamo un più ampio stralcio di quello riportato daGiovanni Paolo II per capirne meglio contesto e portata.

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Primo, dico che V.P. et il Sig.r Galileo facciano prudentemente acontentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente, come ioho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire,che supposto che la Terra si muova e il Sole sia fermo si salvano tuttele apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissi-mo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico:ma volere affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo esolo si rivolti in sé stesso senza correre dall’oriente all’occidente, eche la Terra stia nel 3° cielo e giri con somma velocità intorno al So-le, è cosa molto pericolosa non solo d’irritare i filosofi e theologiciscolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false leScritture Sante [...]

Secondo, dico che, come lei sa, il Concilio prohibisce le scritturecontra il commune consenso de' Santi Padri; e se la P.V. vorrà leggerenon dico solo li Santi Padri, ma li commentarii moderni sopra il Ge-nesi, sopra li Salmi, sopra l’Ecclesiaste, sopra Giosuè, troverà che tutticonvengono in esporre ad literam ch’il Sole è nel cielo e gira intornoalla Terra con somma velocità, e che la Terra è lontanissima dal cielo esta nel centro del mondo, immobile. Consideri hora lei, con la suaprudenza, se la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture unsenso contrario alli Santi Padri et a tutti li espositori greci e latini [...]

Terzo, dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stianel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e che il sole non cir-conda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andarcon molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contra-rie, e più tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quelloche si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, finche non mi sia mostrata: né è l’istesso dimostrare che supposto ch’ilsole stia nel centro e la terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimo-strare che in verità il sole stia nel centro e la terra nel cielo; perché laprima dimostratione credo che ci possa essere, ma della seconda hograndissimo dubbio, et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrit-tura Santa esposta da’ Santi Padri.

Come si evince chiaramente dal testo, forse il cardinal Bellar-mino «aveva percepito la vera posta in gioco del dibattito», mai suoi suggerimenti mostrano come anch’egli nella prassi non siera discostato dall’atteggiamento dei suoi colleghi criticato dal

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papa e aveva invitato Foscarini e Galilei a limitarsi a un’inter-pretazione matematica del De revolutionibus.

Del resto, quando il 5 marzo 1516 la Sacra Congregazionedell’Indice decretò la sospensione donec corrigatur del De revo-lutionibus, condannò e proibì anche il testo del Foscarini.

APPENDICE N. 1Testo della pubblica abiura rilasciata da Galileo Galilei

il 22 giugno 1633

Io Galileo, figlio di Vincenzo Galilei di Fiorenza, dell’età mia d’an-ni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti divoi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, in tutta la RespublicaCristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davantigl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani,giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio cre-derò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la SantaCattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo Santo Officio,per aver io, dopo d’essermi stato con precetto dall’istesso giuridica-mente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione cheil Sole sia centro del mondo e che non si muova, e che la Terra non siacentro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difenderené insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la dettafalsa dottrina, e dopo d’essermi notificato che detta dottrina è contra-ria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel qualetratto l’istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta effica-cia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudi-cato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e credutoche il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia cen-tro e che si muova;

pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre ed’ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di meconceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e dete-sto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro er-rore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l’avvenirenon dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali

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si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico oche sia sospetto d’eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero al-l’Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.

Giuro anco e prometto d’adempire e osservare intieramente tuttele penitenze che mi sono state o mi saranno da questo Santo Officioimposte; e contravenendo ad alcuna delle mie dette promesse e giura-menti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighiche sono da’ sacri canoni e altre costituzioni generali e particolaricontro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m’aiuti equesti suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.

Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sonoobligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sotto-scritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola inparola, in Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno1633.

Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria

APPENDICE N. 2Lettera a dom Benedetto Castelli in Pisa (21 dicembre 1613)

Molto reverendo Padre e Signor mio Osservandissimo,

Ieri mi fu a trovare il signor Niccolò Arrighetti, il quale mi detteragguaglio della Paternità Vostra: ond’io presi diletto infinito nel sen-tir quello di che io non dubitavo punto, ciò è della satisfazion grandeche ella dava a tutto cotesto Studio, tanto a i sopraintendenti di essoquanto a gli stessi lettori e a gli scolari di tutte le nazioni: il qual ap-plauso non aveva contro di lei accresciuto il numero de gli emoli, co-me suole avvenir tra quelli che sono simili d’esercizio, ma più prestol’aveva ristretto a pochissimi; e questi pochi dovranno essi ancoraquietarsi, se non vorranno che tale emulazione, che suole anco tal vol-ta meritar titolo di virtù, degeneri e cangi nome in affetto biasimevolee dannoso finalmente più a quelli che se ne vestono che a nissun altro.Ma il sigillo di tutto il mio gusto fu il sentirgli raccontar i ragionamen-ti ch’ella ebbe occasione, mercé della somma benignità di coteste Al-tezze Serenissime, di promuovere alla tavola loro e di continuar poi incamera di Madama Serenissima, presenti pure il Gran Duca e la Sere-

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nissima Arciduchessa, e gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori D.Antonio e D. Paolo Giordano ed alcuni di cotesti molto eccellenti fi-losofi. E che maggior favore può ella desiderare, che il veder Loro Al-tezze medesime prender satisfazione di discorrer seco, di promuover-gli dubbii, di ascoltarne le soluzioni, e finalmente di restar appagatedelle risposte della Paternità Vostra?

I particolari che ella disse, referitimi dal signor Arrighetti, mi han-no dato occasione di tornar a considerare alcune cose in generale cir-ca ’l portar la Scrittura Sacra in dispute di conclusioni naturali ed al-cun’altre in particolare sopra ’l luogo di Giosuè, propostoli, in contra-dizione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, dalla Gran Du-chessa Madre, con qualche replica della Serenissima Arciduchessa.

Quanto alla prima domanda generica di Madama Serenissima, par-mi che prudentissimamente fusse proposto da quella e conceduto estabilito dalla Paternità Vostra, non poter mai la Scrittura Sacra men-tire o errare, ma essere i suoi decreti d’assoluta ed inviolabile verità.Solo avrei aggiunto, che, se bene la Scrittura non può errare, potreb-be nondimeno talvolta errare alcuno de’ suoi interpreti ed espositori,in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo,quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole,perché così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravieresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio epiedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d’i-ra, di pentimento, d’odio, e anco talvolta l’obblivione delle cose pas-sate e l’ignoranza delle future. Onde, sì come nella Scrittura si trova-no molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole,hanno aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per acco-modarsi all’incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritanod’esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori produ-chino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per che siano sot-to cotali parole stati profferiti.

Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamentecapace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’ap-parente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali elladoverebbe esser riserbata nell’ultimo luogo: perché, procedendo dipari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come detta-tura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per ac-

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comodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose diverse, inaspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, al-l’incontro, essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curanteche le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno espo-sti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai itermini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali cheo la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie di-mostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocatoin dubbio per luoghi della Scrittura ch’avesser nelle parole diversosembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighicosì severi com’ogni effetto di natura. Anzi, se per questo solo rispet-to, d’accomodarsi alla capacità de’ popoli rozzi e indisciplinati, nons’è astenuta la Scrittura d’adombrare de’ suoi principalissimi dogmi,attribuendo sino all’istesso Dio condizioni lontanissime e contrarie al-la sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che ella, posto dabanda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra o diSole o d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore den-tro a i limitati e ristretti significati delle parole? E massime pronun-ziando di esse creature cose lontanissime dal primario instituto di esseSacre Lettere, anzi cose tali, che, dette e portate con verità nuda escoperta, avrebbon più presto danneggiata l’intenzion primaria, ren-dendo il vulgo più contumace alle persuasioni de gli articoli concer-nenti alla salute.

Stante questo, ed essendo di più manifesto che due verità non pos-son mai contrariarsi, è ofizio de’ saggi espositori affaticarsi per trovarei veri sensi de’ luoghi sacri, concordanti con quelle conclusioni natu-rali delle quali prima il senso manifesto o le dimostrazioni necessarieci avesser resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come ho detto, che leScritture, ben che dettate dallo Spirito Santo, per l’addotte cagioniammetton in molti luoghi esposizioni lontane dal suono litterale, e, dipiù, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’interpreti parli-no inspirati divinamente, crederei che fusse prudentemente fatto senon si permettesse ad alcuno l’impegnar i luoghi della Scrittura e ob-bligargli in certo modo a dover sostenere per vere alcune conclusioninaturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e ne-cessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine agli umani ingegni? chi vorrà asserire, già essersi saputo tutto quelloche è al mondo di scibile? E per questo, oltre a gli articoli concernenti

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alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ qualinon è pericolo alcuno che possa insurger mai dottrina valida ed effi-cace, sarebbe forse ottimo consiglio il non ne aggiunger altri senza ne-cessità: e se così è, quanto maggior disordine sarebbe l’aggiugnerli arichiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspi-rate da celeste virtù, chiaramente vediamo ch’elleno son del tuttoignude di quella intelligenza che sarebbe necessaria non dirò a redar-guire, ma a capire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienzeprocedono nel confermare alcune lor conclusioni?

Io crederei che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamen-te la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che,sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso,non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, cheper la bocca dell’istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dioche ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, po-sponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che perquelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, emassime in quelle scienze delle quali una minima particella e in con-clusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astrono-mia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur no-minati i pianeti. Però se i primi scrittori sacri avessero auto pensierodi persuader al popolo le disposizioni e movimenti de’ corpi celesti,non ne avrebbon trattato così poco, che è come niente in comparazio-ne dell’infinite conclusioni altissime e ammirande che in tale scienzasi contengono.

Veda dunque la Paternità Vostra quanto, s’io non erro, disordina-tamente procedino quelli che nelle dispute naturali, e che direttamen-te non sono de Fide, nella prima fronte costituiscono luoghi dellaScrittura, e bene spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali ve-ramente credono d’avere il vero senso di quel luogo particolar dellaScrittura, ed in consequenza si tengon sicuri d’avere in mano l’assolu-ta verità della quistione che intendono di disputare, dichinmi appres-so ingenuamente, se loro stimano, gran vantaggio aver colui che inuna disputa naturale s’incontra a sostener il vero, vantaggio, dico,sopra l’altro a chi tocca sostener il falso? So che mi risponderanno disì, e che quello che sostiene la parte vera, potrà aver mille esperienzee mille dimostrazioni necessari; per la parte sua, e che l’altro non puòaver se non sofismi paralogismi e fallacie. Ma se loro, contenendosi

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dentro a’ termini naturali né producendo altr’arme che le filosofiche,sanno d’essere tanto superiori all’avversario, perché, nel venir poi alcongresso, por subito mano a un’arme inevitabile e tremenda, che conla sola vista atterrisce ogni più destro ed esperto campione? Ma, s’iodevo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosiinabili a potere star forti contro gli assalti dell’avversario, tentino ditrovar modo di non se lo lasciar accostare. Ma perché, come ho dettopur ora, quello che ha la parte vera dalla sua, ha gran vantaggio, anzigrandissimo, sopra l’avversario, e perché è impossibile che due veritàsi contrariino, però non doviamo temer d’assalti che ci venghino fattida chi si voglia, pur che a noi ancora sia dato campo di parlare e d’es-sere ascoltati da persone intendenti e non soverchiamente alterate daproprie passioni e interessi.

In confermazione di che, vengo ora a considerare il luogo partico-lare di Giosuè, per il qual ella apportò a loro Altezze Serenissime tredichiarazioni; e piglio la terza, che ella produsse come mia, sì comeveramente è, ma v’aggiungo alcuna considerazione di più, qual noncredo d’avergli detto altra volta.

Posto dunque e conceduto per ora all’avversario, che le parole deltesto sacro s’abbino a prender nel senso appunto ch’elle suonano, ciòè che Iddio a’ preghi di Giosuè facesse fermare il Sole e prolungasse ilgiorno, ond’esso ne conseguì la vittoria; ma richiedendo io ancora,che la medesima determinazione vaglia per me, sì che l’avversario nonpresumesse di legar me e lasciar sé libero quanto al poter alterare omutare i significati delle parole; io dico che questo luogo ci mostramanifestamente la falsità e impossibilità del mondano sistema Aristo-telico e Tolemaico, e all’incontro benissimo s’accomoda co ’l Coperni-cano.

E prima, io dimando all’avversario, s’egli sa di quali movimenti simuova il Sole? Se egli lo sa, è forza che e’ risponda, quello muoversidi due movimenti, cioè del movimento annuo da ponente verso levan-te, e del diurno all’opposito da levante a ponente.

Ond’io, secondariamente, gli domando se questi due movimenti,così diversi e quasi contrarii tra di loro, competono al Sole e sono suoiproprii egualmente. È forza risponder di no, ma che un solo è suoproprio e particolare, ciò è l'annuo, e l'altro non è altramente suo, madel cielo altissimo, dico del primo mobile, il quale rapisce seco il Solee gli altri pianeti e la sfera stellata ancora, constringendoli a dar una

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conversione ’ntorno alla Terra in 24 ore, con moto, come ho detto,quasi contrario al loro naturale e proprio.

Vengo alla terza interrogazione, e gli domando con quale di questidue movimenti il Sole produca il giorno e la notte, cioè se col suoproprio o pure con quel del primo mobile. È forza rispondere, il gior-no e la notte esser effetti del moto del primo mobili e dal moto pro-prio del Sole depender non il giorno e la notte, ma le stagioni diversee l’anno stesso.

Ora, se il giorno depende non dal moto del Sole ma da quel delprimo mobile, chi non vede che per allungare il giorno bisogna ferma-re il primo mobile, e non il Sole? Anzi, pur chi sarà ch’intenda questiprimi elementi d’astronomia e non conosca che, se Dio avesse ferma-to ’l moto del Sole, in cambio d’allungar il giorno l’avrebbe scorciatoe fatto più breve? perché, essendo ’l moto del Sole al contrario dellaconversione diurna, quanto più ’l Sole si movesse verso oriente, tantopiù si verrebbe a ritardar il suo corso all’occidente; e diminuendosi oannullandosi il moto del Sole, in tanto più breve tempo giugnerebbeall’occaso: il qual accidente sensatamente si vede nella Luna, la qualefa le sue conversioni diurne tanto più tarde di quelle del Sole, quantoil suo movimento proprio è più veloce di quel del Sole. Essendo, dun-que, assolutamente impossibile nella costituzion di Tolomeo e d’Ari-stotile fermare il moto del Sole e allungare il giorno, sì come affermala Scrittura esser accaduto, adunque o bisogna che i movimenti nonsieno ordinati come vuol Tolomeo, o bisogna alterar il senso delle pa-role, e dire che quando la Scrittura dice che Iddio fermò il Sole, vole-va dire che fermò ’l primo mobile, ma che, per accomodarsi alla capa-cità di quei che sono a fatica idonei a intender il nascere e ’l tramon-tar del Sole, ella dicesse al contrario di quel che avrebbe detto parlan-do a uomini sensati.

Aggiugnesi a questo, che non è credibile ch’Iddio fermasse il Solesolamente, lasciando scorrer l’altre sfere; perché senza necessità nes-suna avrebbe alterato e permutato tutto l’ordine, gli aspetti e le dispo-sizioni dell’altre stelle rispett’al Sole, e grandemente perturbato tutto’l corso della natura: ma è credibile ch’Egli fermasse tutto ’l sistemadelle celesti sfere, le quali, dopo quel tempo della quiete interposta,ritornassero concordemente alle lor opre senza confusione o altera-zion alcuna.

Ma perché già siamo convenuti, non doversi alterar il senso delle

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parole del testo, è necessario ricorrere ad altra costituzione delle partidel mondo, e veder se conforme a quella il sentimento nudo delle pa-role cammina rettamente e senza intoppo, sì come veramente si scor-ge avvenire.

Avendo io dunque scoperto e necessariamente dimostrato, il globodel Sole rivolgersi in sé stesso, facendo un’intera conversione in unmese lunare in circa, per quel verso appunto che si fanno tutte l’altreconversioni celesti; ed essendo, di più, molto probabile e ragionevoleche il Sole, come strumento e ministro massimo della natura, quasicuor del mondo, dia non solamente, com’egli chiaramente dà, luce,ma il moto ancora a tutti i pianeti che intorno se gli raggirano; se,conforme alla posizion del Copernico, noi attribuirem alla Terra prin-cipalmente la conversion diurna; chi non vede che per fermar tutto ilsistema, onde, senza punto alterar il restante delle scambievoli relazio-ni de’ pianeti, solo si prolungasse lo spazio e ’l tempo della diurna il-luminazione, bastò che fosse fermato il Sole, com’appunto suonan leparole del sacro testo? Ecco, dunque, il modo secondo il quale, senzaintrodur confusione alcuna tra le parti del mondo e senza alteraziondelle parole della Scrittura, si può, col fermar il Sole, allungar il gior-no in Terra.

Ho scritto più assai che non comportano le mie indisposizioni:però finisco, con offerirmegli servitore, e gli bacio le mani, pregando-gli da Nostro Signore le buone feste e ogni felicità.

Firenze, li 21 dicembre 1613

Di Vostra Paternità molto ReverendaServitore Affezionatissimo

Galileo Galilei

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