D Laomenica “Noi precari, una vita ... - La...

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DOMENICA 12 DICEMBRE 2004 D omenica La di Repubblica « S ROMA e guardo indietro, a questi vent’anni…». Mentre parla, Joaquín Navarro-Valls sem- bra un discepolo perfetto di Baltasar Gra- cián, il grande scrittore secentesco, maestro nell’arte di onestamente dissimulare. Espone e nasconde; ri- vela e occulta con la sapienza elegante degli uomini che co- noscono segreti e poteri esclusivi. Nella voluta modestia del suo ufficio nella sala stampa vaticana, sciorina il suo stile irre- sistibile, tipico del “gran encantador”, come lo chiamavano gli amici dell’Opus Dei. In questi vent’anni ha creato una figura, un ruolo, una funzione. Vent’anni come portavoce del Papa, un’eternità al servizio dell’eternità. Prima di Navarro-Valls, ricorda lo storico Alberto Melloni, che ha dedicato parte del suo recente saggio Chiesa madre, chiesa matrigna al riflesso pubblico del pontificato wojtylia- no, la struttura comunicativa del Vaticano era artigianale. L’avvento di Karol Wojtyla nel 1978 prelude a una rivoluzio- ne di metodo e di stile anche nella comunicazione. E una spe- cie di presagio si stende su questo castigliano nato a Carta- gena 68 anni fa, che ha studiato medicina all’università di Barcellona, si è laureato in patologia medica e in seguito si è specializzato in psichiatria. A Barcellona Navarro-Valls entra nell’Opus Dei, diventan- done membro numerario. È un esito non del tutto prevedibile per un figlio della più classica borghesia spagnola, con il padre avvocato dello Stato, di estrazione liberale, non monarchico, anzi, favorevole alla repubblica: «Eravamo una famiglia catto- lica, ma senza enfasi. E non è stata questa l’unica singolarità della mia vocazione: anche la scelta della facoltà di medicina è stata una rottura importante, in quanto infrangeva una linea di tradizione letteraria e giuridica, comunque umanistica. Ma studiare medicina derivava proprio da un intento umanistico, dalla volontà di trovare una mediazione tra fede e scienza». (segue nella pagina successiva) Il racconto di Navarro Valls, l’uomo che dal 1984 è il portavoce della rivoluzione di Karol Wojtyla “I miei vent’anni col Papa” i luoghi A Mosca l’ultima festa mobile SANDRO VIOLA cultura Il museo globale, Guggenheim a Roma ANTONIO MONDA e PAOLO VAGHEGGI le tendenze iPod e i suoi fratelli, la vita in tasca SEBASTIANO MESSINA e RICCARDO STAGLIANÒ l’inchiesta “Noi precari, una vita contromano” MICHELE SERRA e MICHELE SMARGIASSI la memoria Märklin, il trenino che andò sulla luna PAOLO RUMIZ e ANDREA TARQUINI FOTO AFP / GETTY IMAGES EDMONDO BERSELLI

Transcript of D Laomenica “Noi precari, una vita ... - La...

DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

DomenicaLa

di Repubblica

«SROMA

e guardo indietro, a questi vent’anni…».Mentre parla, Joaquín Navarro-Valls sem-bra un discepolo perfetto di Baltasar Gra-cián, il grande scrittore secentesco, maestro

nell’arte di onestamente dissimulare. Espone e nasconde; ri-vela e occulta con la sapienza elegante degli uomini che co-noscono segreti e poteri esclusivi. Nella voluta modestia delsuo ufficio nella sala stampa vaticana, sciorina il suo stile irre-sistibile, tipico del “gran encantador”, come lo chiamavano gliamici dell’Opus Dei. In questi vent’anni ha creato una figura,un ruolo, una funzione. Vent’anni come portavoce del Papa,un’eternità al servizio dell’eternità.

Prima di Navarro-Valls, ricorda lo storico Alberto Melloni,che ha dedicato parte del suo recente saggio Chiesa madre,chiesa matrigna al riflesso pubblico del pontificato wojtylia-

no, la struttura comunicativa del Vaticano era artigianale.L’avvento di Karol Wojtyla nel 1978 prelude a una rivoluzio-ne di metodo e di stile anche nella comunicazione. E una spe-cie di presagio si stende su questo castigliano nato a Carta-gena 68 anni fa, che ha studiato medicina all’università diBarcellona, si è laureato in patologia medica e in seguito si èspecializzato in psichiatria.

A Barcellona Navarro-Valls entra nell’Opus Dei, diventan-done membro numerario. È un esito non del tutto prevedibileper un figlio della più classica borghesia spagnola, con il padreavvocato dello Stato, di estrazione liberale, non monarchico,anzi, favorevole alla repubblica: «Eravamo una famiglia catto-lica, ma senza enfasi. E non è stata questa l’unica singolaritàdella mia vocazione: anche la scelta della facoltà di medicina èstata una rottura importante, in quanto infrangeva una linea ditradizione letteraria e giuridica, comunque umanistica. Mastudiare medicina derivava proprio da un intento umanistico,dalla volontà di trovare una mediazione tra fede e scienza».

(segue nella pagina successiva)

Il racconto di NavarroValls, l’uomo chedal 1984 è il portavocedella rivoluzionedi Karol Wojtyla

“I mieivent’annicol Papa”

i luoghi

A Mosca l’ultima festa mobileSANDRO VIOLA

cultura

Il museo globale, Guggenheim a RomaANTONIO MONDA e PAOLO VAGHEGGI

le tendenze

iPod e i suoi fratelli, la vita in tascaSEBASTIANO MESSINA e RICCARDO STAGLIANÒ

l’inchiesta

“Noi precari, una vita contromano”MICHELE SERRA e MICHELE SMARGIASSI

la memoria

Märklin, il trenino che andò sulla lunaPAOLO RUMIZ e ANDREA TARQUINI

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EDMONDO BERSELLI

la copertinaNavarro Valls

La laurea in medicina, l’Opus Dei, la passione tardivaper il giornalismo, sino alla telefonata di Karol Wojtylache gli ha cambiato la vita . È il 1984, la rivoluzionedi Giovanni Paolo II trova il suo portavoce. Con una ricettaper superare le difficoltà: dire sempre tutto.Anche la verità. Soprattutto quando è scomoda

26 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

LA NOMINAA PORTAVOCEIl 4 dicembre1984 JoaquínNavarro-Vallsviene nominatodirettore dellasala stampadella SantaSede: è il primonon italiano

1984

LA QUARTAENCICLICAÈ del 2 luglio1985 l’enciclica“SlavorumApostoli”,dedicata ai santiCirillo e Metodio,evangelizzatorie patroni deipopoli slavi

1985

LA VISITAALLA SINAGOGAIl 13 aprile ilPapa visita laSinagoga diRoma, doveviene accolto dalrabbino Toaff echiama gli ebrei«fratellimaggiori»

1986

IL VIAGGIOIN CILEIl 31 marzo 1987il Papa visita ilCile di Pinochet.A giugno ricevein Vaticano KurtWaldheim,presidenteaustriaco dalpassato nazista

1987

IL PAPAE LE DONNEIl 15 agosto ilPapa pubblica lalettera pastorale“Mulierisdignitatem”, incui confermal’impossibilitàdel sacerdozioper le donne

1988

GORBACIOVIN VATICANOIl 1 dicembreviene ricevutoper la primavolta in Vaticanol’allorasegretariogenerale delPcus MichailGorbaciov

1989

OMELIA CONTROLA GUERRAIl 25 dicembreil Papa recital’omelia diNatale controla guerra delGolfo, chechiama«un’avventurasenza ritorno»

1990

LA NONAENCICLICAÈ l’annodell’enciclica“CentesimusAnnus”,dedicata allavoro per ilcentenario dellaRerum Novarumdi Leone XIII

1991

RIABILITAZIONEDI GALILEOCon l’interventoalla PontificiaAccademia delleScienze riabilitaGalileo Galileicancellandol’anticacondannadella Chiesa

1992

LA CONDANNADELLA MAFIAIn visita adAgrigento, ilPapa condannai crimini di CosaNostra:«Mafiosiconvertitevi! Ungiorno verrà ilgiudizio di Dio!»

1993

“Il Papa mi disse: venga con me”(segue dalla copertina)

La prima svolta avviene nel1971. Navarro-Valls, chepubblica a Barcellona unsaggio intitolato La manipu-lacion publicitaria: una an-tropologia del consumo, de-

cide di prendersi un anno sabbatico. Vie-ne a Roma e un gene clandestino si met-te al lavoro nel suo Dna. Comincia a scri-vere dall’Italia, per Abc, un quotidiano li-berale, finché la direzione del giornalenon lo interpella: diventerebbe il nostrocorrispondente? È un’avventura interes-sante: l’Italia degli anni di piombo, il Me-dio Oriente, la guerra del Kippur, la resti-tuzione del Sinai all’Egitto, «ma soprat-tutto la possibilità di un’immersioneprofonda nelle culture, l’Islam, l’ebrai-smo, l’ortodossia greca».

Corrispondente dal Mediterraneosud-orientale, presidente dell’Associa-zione della stampa estera. E a questopunto la storia affonda lietamente nelmito. Perché Navarro-Valls è un meravi-glioso catalizzatore di leggende. Hannoscritto di lui che in gioventù ha fatto ad-dirittura il torero, anche se lui smentiscecon la sua bella risata, evocando testimo-nianze risolutive: «No, il matador, mai!».Non le crea, le leggende, lascia che sial’interlocutore a completare il non detto.«Ero a una conferenza stampa dell’Avvo-cato Agnelli, quando squilla un telefono:è un invito che non si può declinare e checonduce a un quesito. Cioè come si po-trebbe riorganizzare la comunicazionedella Santa Sede». Il Vaticano, spiega Na-varro, nei primi anni di pontificato wojty-liano aveva subito gli effetti nefasti delloscandalo Ior: una vicenda che aveva in-dotto i vertici della Chiesa a pensare cheoccorresse qualcosa di nuovo, una strut-tura capace di interagire con duttilità conil mondo dei media.

«Non abbiate paura»Così arriva la seconda chiamata. «Vengacon noi». Uno shock intellettuale. E unascelta di vita radicale. «Il primo incontrocon il Papa era stato nell’anno dell’ele-zione, il 1978; mi aveva molto colpito ilsuo essere portatore di un pensiero nuo-vo. Quel “non abbiate paura” che signifi-cava il desiderio sincero di misurarsi conil mondo, con la modernità». Evidente-mente, il «non abbiate paura» valeva an-che per lui, che stava per inventarsi unmestiere quanto meno difficile. «Quan-do ho cominciato, occorreva soprattuttocreare una mentalità. Non si trattava piùdi utilizzare i media, strumentalizzando-li. E nemmeno di ridurre al minimo lapossibilità di danni provocati dall’atten-zione particolarissima della stampa. Eravenuto il momento di partecipare inte-gralmente alla dialettica mediatica».

Significava accettare «un linguaggio,una semantica, le regole intrinseche almestiere». La sua fortuna, dice Navarro-Valls, è stata trovare un Papa che venivadalla Polonia, da un contesto senza opi-nione pubblica, «perché ciò che venivapubblicato non veniva creduto»; e chequindi ha concepito quasi come un do-vere scrivere libri e sottomettersi al giu-dizio della critica. E, naturalmente, offri-re se stesso ai media, come simbolo e co-me persona.

A quel tempo Wojtyla non aveva anco-ra esplicato il suo ruolo globale. Andandoa ritroso, Navarro-Valls sostiene che ilPapa aveva maturato la consapevolezzache il cristianesimo doveva affrontaredue ingenti sfide culturali: «il marxismo,ossia una pratica senza più teoria, e lostrutturalismo, una insidiosa teoria sen-

EDMONDO BERSELLI za pratica».Sotto questa luce, la sintesi diWojtyla è stata originale: «Quello che ap-parve sulla scena europea e mondialeera un intellettuale molteplice per cultu-ra: polacco nella poesia e nella storia; te-desco in filosofia, conoscitore di Hus-serl, Scheler, Heidegger, ma anche at-tento alla Francia, fino all’Essere e il nul-la di Sartre».

Un racconto emozionanteSi emoziona, Navarro, quando descriveil pontefice intellettuale: «In questivent’anni ho avuto il privilegio di esserevicino a un uomo dotato di straordinariacapacità di pensiero astratto, e allo stes-so tempo di una impensabile capacità ditenerezza umana. Lo si vedeva da comebaciava i bambini, nello sguardo direttonegli occhi, nella stretta delle mani, in

quell’empatia che rivelava e ancora og-gi, pur nella malattia, illumina il cari-sma. Giovanni Paolo II è un filosofo e unpoeta. E la meraviglia maggiore è chequesta stranissima miscela non diventadisarmonica, resta insieme con una suacoerenza…».

Che cosa si trae da tutti questi anni divicinanza al Papa? Che cosa resta comesignificato possibile? Wojtyla, dice Na-varro, sta cercando di cambiare i punti diriferimento della nostra epoca. Indical’amore umano come l’opportunità checonsente a un “io” di scoprire un “tu” di-sponibile a cambiare il proprio progettodi vita. Il che implica una spregiudicatez-za suprema. Una mente libera, perchéper il Papa la verità è libertà. È per questo,ad esempio, che dopo la caduta del Mu-ro, nella sorpresa generale, il pontefice ha

proposto una critica del capitalismo:perché la struttura capitalistica ha biso-gno di una revisione etica.

Nella condivisione di questi principi, siintuisce da parte di Navarro una consue-tudine, qualcosa in più, forse un’amici-zia. «Vedo il Papa quando ce n’è bisogno,di solito a pranzo o a cena. È una bellaconversazione, perché il Santo Padre haun grande senso dell’umorismo, una in-clinazione per la battuta, ed è dotato di unottimismo che potremmo definire reali-sta. Per questo non nasconde la malattia,è questo realismo che gli consente di es-sere ottimista: di vedere il male, ma es-sendo certo che il male non prevarrà».

Si avverte in Navarro l’ammirazione,quasi lo stupore per l’azione del pontefi-ce, per il suo essere un agitatore di co-scienze, di culture, di visioni: «È vero, du-

rante tutti questi anni, ho avuto l’impres-sione di vedere la storia passare da vicino,soprattutto nella sua dimensione religio-sa. È una sensazione fortissima, che valespecialmente per i cambiamenti d’epo-ca, la rivoluzione nei paesi dell’Europacentro-orientale, trecento milioni di per-sone che vedono rovesciarsi il loro oriz-zonte. Ma pensiamo anche a Cuba, al-l’incontro con Fidel Castro, e alla criticaal sistema cubano pronunciata con fer-mezza, con Fidel che ha ascoltato». Op-pure si può ripercorrere con la memoriauna vicenda che supera deliberatamen-te i confini geografici, politici, religiosi:«Nel mio ricordo c’è un Papa che va duevolte all’Onu. Che è stato il primo pon-tefice a entrare in una moschea, a Da-masco. Il primo che si reca in una sina-goga, a Roma. Una personalità che non

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 27DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

IL LIBROINTERVISTALa Mondadoripubblica“Varcare lasoglia dellasperanza”, illibro intervista diKarol Wojtyla:sarà un grandebestseller

1994

L’ENCICLICASULL’ABORTOÈ l’undicesimaenciclica:“Evangeliumvitae”, dovevengonocondannatil’aborto,l’eutanasia e lacontraccezione

1995

AUTOBIOGRAFIADI WOJTYLAIl 15 novembre,in occasione delcinquantesimoanniversario disacerdozio, ilPapa pubblical’autobiografia“Dono emistero”

1996

IL VIAGGIOIN LIBANOIl 10 e l’11maggio sono igiorni dellostorico viaggioin Libano: aBeirut il papacelebra la messadavanti a 200mila persone

1997

L’INCONTROCON FIDELDal 21 al 26gennaio il Papavola a Cuba doveviene accolto daFidel Castro e damilioni di cubani:rimarrà uno deiviaggi storicidi Karol Wojtyla

1998

SI INAUGURAL’ANNO SANTOIl 24 dicembre1999 il ponteficeinaugura l’annosanto delGiubileo conl’apertura dellaPorta Santadella basilicadi San Pietro

1999

IL VIAGGIOIN TERRASANTAIl 20 marzo ilPapa arriva inTerra Santa:Giordania,Israele, TerritoriPalestinesi. E aGerusalemmeprega davanti almuro del pianto

2000

SULLE ORMEDI SAN PAOLOA maggio il Papaparte per ilpellegrinaggioin Grecia, Siria eMalta sulle ormedi S. Paolo. InSiria entra per laprima volta inuna moschea

2001

LA VISITAIN PARLAMENTOÈ il 14 novembrequando il Papavisita ilParlamentoitaliano in sedutacomune estringe la manoal Presidentedella Repubblica

2002

IL VIAGGIOA POMPEIIl pellegrinaggioa Pompei è il143esimoviaggio italianodi Karol Wojtyla:al santuariodella Madonnachiude l’annodel Rosario

2003

ha mai, mai rinunciato al dialogo con l’I-slam, visitando paesi “difficili” comel’Indonesia e il Sudan. Perché Wojtylaha sempre manifestato un’opposizionechiara alla guerra di civiltà, e a tutto ciòche interpreta l’Islam nel segno dell’ini-micizia».

Non è stato soltanto un portavoce,Navarro-Valls. Nelle conferenze inter-nazionali sulla popolazione e lo svilup-po, tenutesi fra il 1994 e il 1995 al Cairo,a Pechino e a Copenaghen, si è assuntoil compito di rendere pubblico il dissen-so esplicito della Chiesa su alcuni punticonsiderati non negoziabili: «No all’a-borto come diritto umano, e no all’a-borto come strumento per il controllodelle nascite. Ebbene, nessuna di que-ste posizioni è entrata negli statementsdi quelle conferenze».

In precedenza, nel 1988, era stato conil cardinale Casaroli nell’Unione Sovieti-ca, per il Millennio del cristianesimo, invisita al patriarca ortodosso. In quell’oc-casione aveva portato a Michail Gorba-ciov una lettera del pontefice: «Fummoricevuti dall’uomo della perestrojka, checi disse: “Dite al Papa che gli risponderò”.Gli rispose sei mesi dopo, con un’altra let-tera. Ho incontrato Gorbaciov l’ultimavolta un anno fa: “Si ricorda, Navarro?”,mi ha chiesto. “Quella lettera è stata l’ini-zio di tutto”. Non so che cosa era quel“tutto”, ma rendeva l’idea».

Con il Papa parla in italiano. Lo chiama«Santo Padre» e Wojtyla gli si rivolge chia-mandolo «dottor Navarro». Talvolta unarisata del Papa è bastata per dissolvere leombre che si addensavano sul portavocecome quando parlò della malattia «di ori-

gine extrapiramidale» del pontefice, ren-dendo ufficiale la diagnosi del morbo diParkinson. Ci sono stati molti momentidifficili? «La difficoltà c’è ogni giorno,quando sai che devi far passare un mes-saggio che non è politico, è di carattereetico, mentre non pochi tendono a tra-durlo in politica». E come si supera que-sta strettoia? «Con la coerenza del lin-guaggio. Con il rigore. Con la verità».

L’omicidio in VaticanoAnche con la freddezza, la padronanzaestrema delle situazioni. «Una sera, so-no le 21.30 del 4 maggio 1998, squilla iltelefono rosso, quello delle crisi gravis-sime. Ci sono tre cadaveri in Vaticano. Èla tragica notte delle guardie svizzere (ilcomandante Alois Estermann ucciso inVaticano con la moglie Gladys dal suosottoposto Cedric Tornay, poi suicida-tosi, ndr). Qualcuno mi dice: “Dobbia-mo pensare a qualcosa da dire domani”.Domani? Subito, ribatto io. Poco dopofacevamo il primo comunicato. Avevofatto gli accertamenti necessari. Unoscoppio di follia. Ma per la stampa con-tavano i particolari. I corpi erano nudi ono? Erano vestiti. Mi hanno chiesto seera stata esaminata la pista del delitto asfondo omosessuale, e ho risposto cheera stata considerata e poi esclusa. La ve-rità spazza via le ombre».

Dire tutto è una delle risorse più raffi-nate di Navarro-Valls. Dire tutto significadare la notizia che «il Papa ha un tumoreal colon, va a ricoverarsi e verrà operatodomattina alle sei». Oppure: «Il ponteficeè caduto nel bagno e si è fratturato il fe-more», per poi mostrare in sala stampa laradiografia della protesi. Dire tutto è unatecnica sofisticata. Soprattutto se talvol-ta dire tutto equivale a non svelare nien-te. Difatti ride quando gli si dice che in unpaese di furbacchioni a dire la verità sipassa per furbi matricolati. Ed è per que-sto che guarda la politica di casa nostracon la curiosità e talvolta l’ammirazionedi chi invidia la flessibilità italiana: «Noispagnoli vediamo tutto in bianco e nero.Voi, una infinita sfumatura di grigi».

La giornata di Navarro-Valls cominciacon la lettura dei giornali italiani, comeconfessa con civetteria, come per farsi as-solvere da un peccato veniale. Finisce disolito con l’impegno delle cene nella Ro-ma serale e salottiera: altra veloce autoas-soluzione. Seppur di rado riesce a rita-gliarsi una giornata libera, e allora scappain Abruzzo, gode della solitudine deimonti, si addormenta leggendo un librodi medicina, la vecchia passione. Altri-menti, se ha solo qualche ora di libertà…Navarro ammicca, si alza e tira fuori il suopeccato mortale, una foto su Prima Co-municazione, in cui si dice della sua pas-sione per la pagaia: «È tutto sbagliato, acominciare dal titolo, “In canoa sul Teve-re”. Non è una canoa e non è il Tevere. Èun kayak; se c’è vento vado sui laghi qui vi-cino, altrimenti vado in mare. Tre ore dipagaia e sono esausto al punto giusto perricominciare a lavorare».

Dopo vent’anni, il giornalista Navarrosi concede un bilancio: «Quando sono ar-rivato, solo il 20 per cento delle notiziepubblicate era di fonte vaticana; l’80 pro-veniva da fonti altre. Adesso il rapporto siè rovesciato». Vuol dire che la «sua» co-municazione è attendibile. E quandoquesto impegno finirà? In passato si parlòdi un ruolo come osservatore permanen-te della Santa Sede all’Onu. Adesso inve-ce si scommette sul suo futuro come ret-tore del Campus biomedico, il polo uni-versitario dell’Opus Dei che farà inevita-bilmente concorrenza all’Università cat-tolica: «Non ci penso nemmeno. Ho im-parato che il modo migliore per preparareil futuro è vivere alla giornata. Beato l’uo-mo perché non conosce il suo destino».

La nuovastrategia

MARCO POLITI

Facile dire che Navarro è lospin doctor di Sua Santità,una specie di Alaistar Camp-

bell col fascino dell’ex torero (mapare che non abbia mai affrontatoun toro) in grado di proiettare apiacimento l’icona di KarolWojtyla come gli esperti fannocon Blair o Bush. Il paragone nonregge. Perché se Tony o Georgesiedono con i loro consiglieri perstudiare ogni mossa, Joaquín Na-varro quando ereditò venti anni fala direzione di una placida salastampa della Santa Sede, dovettemuoversi in punta di piedi per nonurtare suscettibilità, vincoli e po-tenti superiori.

Con il Papa non ci si siede a pro-gettare strategie di comunicazio-ne, non si costruiscono battute,non si concorda il look. Il primoche si sogna di fare da suggeritorefinisce muto nella buca. Dunque illavoro da fare (e fu fatto) era un al-tro. Trasformare il ruolo di porta-voce nell’estensione automatica,flessibile, moltiplicatrice delleimprovvisazioni di Wojtyla, deisuoi gesti fulminei, dei segni pro-fetici del suo pontificato. Significaanche accentrare. Se all’inizio delsuo incarico le notizie su Papa eVaticano, prodotte dalla salastampa pontificia, erano solo il 20per cento già dieci anni dopo era-no arrivate all’83 per cento. CosìNavarro è diventato l’uomo delleluci del grande spettacolo papale,ha assecondato intuitivamente (econ estrema cura professionale)l’ansia di comunicazione del pon-tefice nato attore.

Non era scontato. Si fa presto acredere che con un maestro dellacomunicazione come GiovanniPaolo II fosse facile imporre la suaimmagine al mondo. Di papi e Va-ticano erano abituati a occuparsiregolarmente soltanto i giornali ela tv italiana e qualche esperto del-l’informazione religiosa europea.Per i grandi network, internazio-nali, specialmente americani, ilPapa di Roma era unicamentemateria di grandi eventi, in unoceano di disinteresse quotidia-no. Il colpo da maestro di Joaquinè stato di capire che nell’era dellaglobalizzazione è vincente la tv equindi bisognava impadronirsipsicologicamente dei network.

Suadente come un gesuita delSeicento con il proprio monarca, ilportavoce ha nutrito network emedia di un flusso continuo di no-tizie, aneddoti, interpretazioni, sipotrebbe persino dire di titoli, incerti casi. Alternando sapiente-mente l’esegesi dei testi con il piùprudente “penso che il Papa” ocon la propria visione suggerita offrecord. Così le televisioni sono di-ventate via privilegiata di questastrategia. In tv i concetti sono bre-vi, l’emozione esaltata. La gloriaprevale sulla critica.

Certo, il timing deve essere im-peccabile e comprende il rischiocalcolato di assumersi responsa-bilità personali come quando aBudapest nel 1996 ammise quasien passant il Parkinson del Papa,presentandolo come “sindromeextrapiramidale” o quando in Ka-zakhstan nel 2001 legittimò trami-te l’intervista un po’ clandestinaalla Reuters l’attacco di Bush ai ta-liban in Afghanistan.

A tratti il meccanismo s’incep-pa. Partendo dal Guatemala, rac-contò una volta in aereo l’incontrointenso tra Giovanni Paolo II e Ri-goberta Manchù. Peccato che lagrande donna non fosse stata am-messa all’udienza.

In cambio Navarro è riuscito aincantare anche il comandante Fi-del. Nel 1998, in un’interminabileseduta notturna all’Avana, lo con-vinse a permettere la diretta televi-siva del viaggio papale. Comincia-rono a parlare di preti e finirono adiscettare sugli extraterrestri.

CHI È

Nato a Cartagena, in Spagna,il 16 novembre 1936, si è laureatoprima in medicina e poi in giornalismoe scienze della comunicazione.Corrispondente dall’estero di Abc,quotidiano di Madrid, e inviatoin Africa, Giappone e Filippine,in Italia è stato il primo membrodel Consiglio direttivo della Stampaestera. Dal 1984 è portavocedel Papa

IL RUOLO

Joaquín Navarro-Valls è portavocedel Papa e direttore della sala stampadella Santa Sede, l’ufficio che ha ilcompito di pubblicare e diffonderetutte le notizie che riguardano sia gliatti del pontefice sia l’attività dellaSanta Sede. Il direttore cura poi irapporti con i giornalisti accreditati econ i giornalisti degli altri Paesidurante i numerosi viaggi del SantoPadre

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SEMPRE A FIANCODEL PAPAA sinistra JoaquínNavarro-Valls in Vald’Aosta con il Papadurante la vacanzadel pontefice.A destra ilportavoce conil Santo Padredurante un viaggioin aereo.Nella foto in altoun briefing coni giornalisti

l’inchiestaPaura del domani

Luigi e Franca da più di dieci anni vivono in coppia l’odissea dellavoro “flessibile”. I sociologi li chiamano nomadi multiattiviper sintetizzare una storia di colloqui a raffica, curriculum apacchi, città cambiate in fretta in cambio di una collana di“contrattini”. Eppure loro hanno fatto un figlio, comprato unacasa col mutuo. E ora raccontano il loro azzardo e la loro ansia

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

GROMA

abriele è nato precario manon lo sa, perché è unaparola troppo difficile perun bimbo di quattro anni.

Scivola come un topolino tra i mobilidella sua casa nuova nuova, settantametri pianoterra con giardinetto infondo a via Nomentana. Due cuori, unacapanna col mutuo ventennale, un fi-glio: nel secolo scorso, il secolo dei ga-rantiti, sarebbe stata la normalità dabaci perugina per una coppia alle sogliedei quarant’anni. Oggi, nel secolo deilavoratori senza fissa dimora, è un az-zardo impulsivo e irrazionale. Confer-ma Luigi: «Se ci avessimo ragionatonon esisterebbero né lui», Gabriele, «nélei», la casa, «ma poi quando si comin-ciava a vivere? Mai, glielo dico io. Dopododici anni di lavoro precario non c’il-ludiamo più ci piova dal cielo il “postofisso”. Però io voglio vivere. E si vive og-gi, non domani».

Vivere: che esagerazione, che prete-sa. «Vive» forse la corrente elettrica?No, scorre. Quando serve. E quandonon serve, clic!, un tocco all’interrutto-re e si ferma senza protestare. Il nuovolavoro, il lavoro post-fordista è così,energia disincarnata, forza intellettua-le utilizzabile a singhiozzo e a piacere,come se non appartenesse a esseri che,tra un clic e l’altro, hanno affetti, biso-gni, desideri da inseguire.

«Noi ci proviamo lo stesso». Aiutaaver vissuto in coppia una storia quasiidentica. Luigi Bellesi e Franca Fiaccoattraversano assieme l’odissea del la-voro a discount da oltre un decennio.Veterani: «Partimmo prima delle leggiTreu», il pleistocene della flessibilità,quando co.co.co era ancora il versodell’allevatore di polli. Laureati a Sienanel ‘90, diritto internazionale, tesi sullaCee, master, tre lingue: una bella manodi briscole a inizio partita. Poi qualcu-no ha cambiato le regole. «I primi lavo-retti a ritenuta d’acconto li prendem-mo come tassa d’ingresso al mercatodel lavoro». Ma il casello del pedaggionon finiva mai. «Colloqui su colloqui,curriculum spediti a pacchi da cento: diritorno, solo offerte di altri contrattini».Anche alla reception di un hotel all’El-ba, se proprio non c’era di meglio.

«Nomadi multiattivi» li chiama lamoderna sociologia del lavoro. InfattiFranca e Luigi emigrarono, a Bologna,per un’offerta che sembrava buona, inun’aziendina arrembante di consulen-ze messa su da ex studenti. Contrattinianche lì, ovvio, annuali, ma rinnovaticinque volte, già tanto per quel tipo diimpresine; ma non durò, e allora, comeTarzan, bisognò saltare su un’altra lia-na per non spiaccicarsi. «Nel ‘98 ci di-cono che a una società di Roma sono ar-rivati fondi europei, e ci precipitiamolà». È così che si naviga nei cieli dellaprecarietà, come uccelli che inseguonole scie dei pesci grossi. Dieci giorni pertraslocare e adattarsi a un altro lavoro.Con contratto di collaborazione, an-nuale, è sottinteso.

Capitano anche i colpi di fortuna. Nel2000, grazie al solito tam-tam, Francaacchiappa un contratto con una gran-de società di ricerche (che dà lavoro a496 persone di cui solo 76 a tempo in-determinato) che per colmo d’ironiaproduce allarmanti indagini sul lavoroprecario. Contratto a termine, ma diben sei anni filati. Si brinda. Sembra unpremio per l’audacia: Gabriele infatti èappena nato. «Scelta sofferta. Sapendodi non avere garanzie, avevamo accu-mulato una sommetta in un librettovincolato. Intoccabile. Il datore di lavo-ro fu generoso, mi concesse la mater-nità. No, non pagata: mi permise di re-stare a casa per quattro mesi, e poi miriprese». Generoso, adesso, è chi con-cede alle figlie meno di quanto era undiritto per le madri.

I sei anni presto scadranno, ma allo-ra sembravano infiniti. Ci stava dentroanche il sogno di una casa in proprietà.Col mutuo garantito dai genitori, forni-tori anche di un cospicuo rabbocco incontanti. La generazione precaria vivea spese della generazione garantita (in-somma, garantita… mamma casalin-ga, papà pensionato Enel). Ma la pros-sima generazione precaria, con cosa vi-vrà? «Al futuro di Gabriele non riesco apensare. Non prevedo neanche il mio.Navighiamo nella nebbia, e il faro hauna portata di quattro, cinque anni: do-

MICHELE SMARGIASSI Acquistare settantametri quadripianoterra in unaperiferia romana,alle sogliedei quarant’anni:la normalità nelsecolo scorso, quellodei garantiti, oggiun rischio impulsivoe irrazionale

verà uno più economico». È il mercato, bellezza. «Ma quale

mercato, ma quale concorrenza, ti of-frono tutti la stessa cosa: contrattini»: asentire Valentina, 26 anni, informaticaanche lei, il mercato funziona solo indiscesa: «Ho cominciato con un con-tratto a tempo indeterminato, «ce l’hofatta», invece no, l’azienda va male, mipassano a giornaliera, addio ferie e ma-lattie pagate, o così o pomì. Per fortunal’anno scorso mi sono ammalata a ca-podanno. Ho chiesto almeno i buonipasto e m’hanno risposto «se te li meri-ti». Adesso sono co.pro., scadenza di-cembre, timbro sempre il cartellino maprendo duecento euro in meno, sonotornata a vivere coi miei, se va avanticosì dovrò pagare per lavorare».

Anche Annalisa è scivolata giù: a 24anni, laureata in scienze politiche colmassimo dei voti, vendeva polizze adomicilio assunta a tempo indetermi-nato; a 41 anni è co.co.co nella pubbli-ca amministrazione «al posto di unoche prendeva tre volte di più», dietro lespalle una carriera che sembra un co-lapasta, davanti il vuoto, «ti offrono illavoro come un favore, poi ti mollanosorridendo, “la lascio libera”, bella lalibertà».

Dopo una mezza dozzina di libera-zioni di questo tipo, Alfredo s’è buttatoanche lui sulla partita Iva, e la sua me-sata la sfanga, integrando il lavoro fin-to-autonomo per una ditta di softwarecon lavoretti in proprio, «ma il proble-ma è che non si può essere flessibili inun mondo rigido», vai a chiedere il mu-tuo e te ne accorgi: «Ho falsificato il740», ammette riluttante, «io, capisce?,

che mi fermo alle strisce pedonali. Miopadre mi bonificava mille euro al meseper simulare un reddito fisso, e la ban-ca c’è cascata». Con tanti saluti ai dirit-ti del cittadino, se è costretto a difen-dersi coi torti. «I diritti li rivendichi se lihai», taglia corto Alfredo, «l’unico dirit-to del lavoro rimasto in piedi è il dirittosul lavoro: del padrone sul tuo».

Voci dal sottosuolo? Ma c’è quasi ildieci per cento della forza lavoro italia-na, in queste condizioni. Due milioni emezzo di persone «somministrano» (sidice così, come una medicina cattiva)lavoro atipico, contando anche l’eser-cito degli interinali, che a prima vistasembrano i messi peggio, e invece sco-pri che chi lavora in affitto, a parità diore lavorate, guadagna di più e ha piùcontributi pagati dei confratelli colla-boratori. La flessibilità non è uguale pertutti. «Il problema “duro” è proprioquesto», spiega un decano degli studisindacali, Aris Accornero, «che la mo-bilità è inevitabile, mentre la precarietànon dovrebbe esserlo. Tornare alla cer-tezza del lavoro fisso è un’utopia: ga-rantire che un lavoratore continui adessere un cittadino anche se cambiaspesso mestiere è una necessità».

Non sarà un’utopia anche questa,l’invocata ma ancora inesistente flexi-curity, il nuovo welfare del lavoro flut-tuante? Al Nidil della Cgil, che come iconfederati Alai-Cisl e Cpo-Uil è unsindacato atipico anch’esso, che orga-nizza i lavoratori non per il mestiereche fanno ma per come lo fanno, sannobene quant’è difficile garantire ai fles-sibili i diritti minimi dei garantiti. «Nei126 contratti che abbiamo firmato»,racconta il segretario nazionale DavideImola, «siamo riusciti a conquistare leferie pagate, a patto però di chiamarlein un altro modo, “riposo psicofisico”.Per la cassa malattie siamo addiritturatornati alle società di mutuo soccorso:Una lira al mese per una lira al giorno».

Come nell’Ottocento. Il «cognita-riato» del terzo millennio (come lochiama un ex ribelle ora studioso del‘77 bolognese, Franco «Bifo» Berardi)è «umile paziente bastonato» come ilproletariato dei tempi di Marx? SanPrecario grida di no e chiama alla ri-bellione i suoi frati esproprianti. Le si-rene disobbedienti riusciranno a ca-pitalizzare la rabbia compressa delpopolo del sottolavoro?

«Non mi aspetto aiuto da nessuno,né sindacati né disobbedienti. L’unicagaranzia per il mio futuro sono io, è laqualità del mio lavoro»: siamo tornatinel salotto di Franca e Luigi. Ora di ce-na, ma non c’è problema a mettere intavola. In casa Bellesi, finché lavoro c’è,entrano più di tremila euro al mese. Ilproblema non è un presente di angu-stie materiali, e neanche un lavoro alie-nato: «A noi piace quello che faccia-mo». Il problema è quell’ansia per il fu-turo remoto che avvelena la serenità,che blocca ogni progetto, persino quel-lo di cambiare la vecchia Opel presausata cinque anni fa, che ti fa sentire co-me Rossella O’Hara: «Il nostro motto è:“Ci penseremo domani”». «Le statisti-che europee dicono che ormai si cam-bia posto di lavoro in media quattrovolte nella vita», Franca sorride ironica,«io ho già raggiunto la quota, adessoche succede?».

Succede che arriverà il quinto, il se-sto… Luigi: «Se ci fosse la certezza chela catena non s’interrompe, andrebbeanche bene così, e pazienza se gli altripensano che facciamo “lavoretti”, in-somma marchette, che alla nostra etànon siamo stati capaci di trovare un la-voro “vero”. Cambierà anche la menta-lità della gente…». Intanto Gabrielestruscia sotto il tavolino, flessibile co-me un gatto. «Non avrà un fratello», loguarda la mamma, «rischiare sì, manon esageriamo. Spero che sia l’unicarinuncia nella sua vita», sospira.

Quando sarà grande Gabriele, ilmondo sarà forse diverso. Ma i figli del-la precarietà, in altri paesi d’Europa,sono già adolescenti. E il quadro cheemerge dalle ricerche più serie non èroseo. Ce lo riassume il sociologo Lu-ciano Gallino, che ai costi sociali dellaflessibilità ha dedicato anni di studi:«Crescere in famiglie che vivono oriz-zonti temporali limitati, che vivonoogni giorno l’ansia del futuro, può alle-vare ragazzi che s’arrendono all’esi-stente, che rinunciano in partenza acambiare in meglio la propria vita. Lagenerazione precaria di oggi vive anco-ra di rendita sulle sicurezze dei genito-ri. La prossima è un’incognita».

po, buio. Gabriele, lo faremo studiare,quando sarà laureato avremo finito dipagare il mutuo, avrà almeno la casa.Noi ci arrangeremo. La mia vera ansia èla salute: se uno come noi si ammala,perde tutto. Ma che alternativa c’è? Piùvai avanti con gli anni, più il tuo preca-riato si fa permanente. Bel paradossovero? E noi siamo fortunati».

Fortunati, Luigi? «Siamo precari diprima generazione: lavoriamo come idipendenti fissi, perché quando haiuna scrivania, e sul computer le foto dituo figlio, ti senti un impiegato, solo cheil contratto ti scade ogni anno, il mioscadrà a fine dicembre, però se non liti-go col capufficio, se non faccio errori, sei finanziamenti europei non finiscono,so che probabilmente me lo rinnova-no…». E quelli venuti dopo di voi?«Stanno peggio. Gli fanno aprire unapartita Iva. Li tengono a distanza, li usa-no quando servono, e poi li buttano.Stanno precarizzando la precarietà».

Allora lasciamoli un attimo in salot-to, Franca e Luigi, tanto hanno da farecon l’idraulico e l’operaio Telecom; eandiamo a cercare i precari dei precari.Quelli che il cognome non lo dicono,perché sono i più ricattabili del mondo.Alberto, per esempio, ha provato quasitutte le 48 forme contrattuali ibridatedella riforma Biagi. Tecnico informati-co, «ho investito su me stesso, i corsi diaggiornamento me li sono pagati io»,sacrificando vacanze e progetti di vita«per cosa? Per un contratto che scade il31 dicembre e non so cosa verrà dopo.Questo non è precariato, è riciclaggio.Mi sento come un software vecchio,pronto da disinstallare quando ne arri-

Precari, una vita contromano

IN FAMIGLIAFranca Fiacco e Luigi Bellesicol piccolo Gabrielenella loro casa di RomaA destra un’altra immaginedella coppiadi lavoratori precari

‘‘‘‘Io sono fortunato:se non litigocol capoufficio,se non faccio errori,se i fondi Ue nonfiniscono, il contrattomi sarà rinnovato

Quelli venuti dopostanno peggio:li tengono a distanza,li usano quando serve,poi li buttanoStanno precarizzandola precarietà

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

Nuovo sfruttamento

La fluiditàe il futuro

rubato

La condizione precaria, adifferenza della condi-zione operaia, non è

stata ancora scritta. Non havoce, come se la diaspora del-la fabbrica, e la dispersionedei salariati, fosse una speciedi “soluzione finale” dellagran questione dello sfrutta-mento. Milioni di solitudininon fanno una coscienza diclasse, non formano un lin-guaggio comune, non fannosindacato: colui o coloro cheriusciranno nell’impresa (eforse accadrà, prima o poi) didare identità politica ai pre-cari, avranno cambiato lastoria sociale dell’Occidentepostindustriale.

Anche il giornalismo, inmateria, non sa bene che pe-sci pigliare. Una volta il croni-sta andava davanti ai cancelli,domandava, ascoltava, fiuta-va il vento e gli umori delle tu-te blu. Se le fonti ufficiali era-no il sindacato e l’azienda,quelle ufficiose gravitavanotutte attorno al grande mon-do della fabbrica o del dopola-voro. Inchieste memorabilisulla Fiat degli anni caldi sonostate scritte scarpinando at-torno agli immensi perimetridi Mirafiori e del Lingotto, oraggiungendo i delegati, anotte tarda, nelle birrerie tori-nesi dove la sinistra discutevail da farsi.

Oggi non è più attorno allamacchina, tra quei clamori,quelle durezze industriali,che si fanno e si disfano i de-stini del lavoro, e delle vite dichi lavora. Tutto avviene lun-go itinerari individuali sepa-rati, nascosti, impalpabili, piùavventurosi (quando va bene)ma anche più alienanti(quando va male) della cate-na. Si registrano a volte i casianomali, i record quasi grotte-schi di instabilità e indetermi-natezza, il trentenne che hagià cambiato trenta lavori conmaturazione professionalepari a zero, quello che in diecianni di contratti a termine haaccumulato solo una settima-na di ferie, e contributi quantine bastano per prepararsi auna pensione inesistente. Maè come raccogliere le bricioleper cercare di indovinare co-me è fatta la torta.

E dire che le nuove condi-zioni del lavoro hanno creato,oltre a qualche nuova oppor-tunità e qualche nuova men-talità mille miglia distantedall’ossessione del posto fis-so, indicibili malesseri econo-mici e forse soprattutto esi-stenziali, riassumibili in quel-la veridica formula, “mancan-za di futuro”, che a dirla me-glio e a capirla meglio è un benfosco riassunto dello statodelle cose. “Fluidità” può vo-ler dire tante cose, dinami-smo e libertà di movimentoper quei pochi che sanno farearte della mancanza di basisolide, per la minoranza chece la fa. Ma per gli altri, per lagrande massa dei precari, flui-dità vuol dire letteralmentesentire il terreno sotto i piediche si fa inconsistente, vuoldire impossibilità di pro-grammarsi una vita, vuol direansia, insicurezza, e appunto:precarietà.

Forse non si è ragionato ab-bastanza su questa parola,che pure è spietatamente ne-gativa (per questo si cercano eahimé si trovano pietosi e an-che ridicoli eufemismi, tra iquali il cococò rimarrà in eter-no il più maldestro). Ovvioche nessuno vorrebbe una vi-ta precaria, un lavoro preca-rio, una casa precaria, un fu-turo precario.

Che il mito del posto fissoarrivasse a bloccare, comeuna morchia collosa, la fan-tasia e le prospettive di unpaese invecchiato, è ancheverosimile. Che al posto (e al-l’opposto) di quella fissità ri-schi di nascere una societàdalle identità sociali inconsi-stenti, dal potere d’acquistominimo, dall’incomunicabi-le angoscia individuale chenon diventa mai risposta col-lettiva, è però sotto gli occhidi tutti.

MICHELE SERRA

AVVENIRE NERO

Più passa il tempo, più i precari vedono un futuronero. Tra i 18 e i 34 anni, il 64% pensa che il lorotenore di vita migliorerà e il 40% che il precariatosia una condizione passeggera; dopo i 45 anni lequote crollano al 30,4% e al 17,4%. Inchiesta UnicabItalia spa per Ass.Nuovo Welfare su un campione di1758 precari, aprile-maggio 2004

UN ANNO DOPO

A un anno dalla legge 30, che trasforma i co.co.co.in contratti a progetto, solo il 30,5% dei collabora-tori è stato riassunto in co.pro; il 44,2 non ha rice-vuto alcuna proposta, il 5,1 è stato «lasciato in li-bertà», il 9,1 lavora a partita Iva. Solo il 3 è stato as-sunto a tempo indeterminato. Indagine Ires per Ni-dil-Cgil, ottobre 2004

STIPENDI E PENSIONI

Non esiste un censimento ufficiale dei lavoratori acontratto in Italia. Elaborando però le cifre degliiscritti alla gestione separata Inps, Il Nidil-Cgil stimache nel 2003 i lavoratori a contratto di collaborazio-ne fossero circa 890 mila. La retribuzione annuamedia lorda è di 12.500 euro; ma tra le donne lamedia si abbassa del 30%, e nel Meridione del 50

CONSUMI E PROGETTI

I lavoratori atipici che non possono appoggiarsialla famiglia di origine tagliano soprattutto le spe-se per il tempo libero e lo sport (7,8% del lorobudget, rispetto al 14,5% di chi vive in famiglia) el’abbigliamento (10,4% contro il 18,3%). Indaginecampionaria Nidil-Cgil e Ass.Nuovo Welfare,maggio 2004

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

le storie /1Giallo d’epoca

È il 1831, a Londra un giovane mendicante vieneucciso da una banda che vende corpi agli ospedaliIl delitto viene scoperto e il caso scuote l’opinionepubblica. Ora un libro svela tutti i dettagli. E raccontacome questo episodio minimo di cronaca nera abbiacontribuito a cambiare la società inglese

ILONDRA

n una notte nebbiosa del novembre 1831, tre uo-mini girovagano per le vie di Londra su un carret-to trainato da un cavallo, facendo tappa in un po-stribolo, in un paio di pub, infine in due ospedali,

alla ricerca di un compratore per la loro preziosa merceclandestina. Gli uomini sono predatori di tombe. Lamerce che trasportano è il cadavere di un ragazzo italia-no. Il compratore dovrebbe essere una clinica medicauniversitaria. Vendere defunti agli anatomo-patologi,che li sezionano per fare lezione agli studenti o per con-durre esperimenti, è una pratica assai diffusa, tolleratadalle autorità del Regno Unito. I medici non fanno trop-pe domande sulla provenienza dei corpi. E i predatorifanno fortuna: un cadavere in buone condizioni valedieci guinee, l’equivalente di una decina di sterlineodierne (quattordici euro), trenta volte la paga che il do-dicenne Charles Dickens guadagnava in una settimanain fabbrica, nel 1824, prima di diventareuno scrittore.

Il commercio di cadaveri è dunque unaprofessione redditizia. Ma non stavolta. Isanitari del King’s College, la facoltà di me-dicina sullo Strand, notano che il corpo èquasi caldo e che la causa del decesso è unviolento colpo al cranio. Insospettiti, trat-tengono gli sciacalli con una scusa e chia-mano Scotland Yard. I tre sono arrestati, in-criminati per omicidio, condannati a mor-te: vengono impiccati un mese più tardi,davanti a una folla di quarantamila perso-ne, e i loro corpi, con macabro sarcasmo, fi-niscono al Royal College of Surgeons, affin-ché i suoi chirurghi si esercitino a piaci-mento. La vicenda cattura l’attenzione ditutto il Paese. Il Timesdedica pagine alle in-dagini. L’opinione pubblica si commuovea conoscere i particolari della vittima: “The Italian Boy”, ilragazzo italiano, come lo hanno soprannominato i gior-nali, un piccolo mendicante che faceva spettacolini distrada attorno al mercato di Covent Garden, con appesa alcollo una gabbietta in cui corrono due topolini bianchi.Ma perché sia fatta piena luce sulla sua identità, e sul si-gnificato della sua fine, devono trascorrere due secoli. Bi-sogna arrivare ai giorni nostri, alla ricostruzione di un’o-stinata cronista inglese, Sarah Wise, il cui libro, “The Ita-lian boy, murder and grave robbery in 1830s London” (Il ra-gazzo italiano, omicidio e furti nelle tombe nella Londradel 1830), sostiene che la morte del piccolo italiano segnòil trapasso tra due epoche: preannunciando l’avvento del-l’era vittoriana, a base di ordine, efficienza e moralità.

Il ragazzo si chiama Carlo Ferrari e viene dal Piemonte,precisamente dalla Savoia, dove un padre con troppe boc-che da sfamare lo vende a un avventuriero di passaggio.Questi lo porta con sé oltre la Manica, a Birmingham, ri-vendendolo a un “padrone” di giovanissimi senza tetto esenza famiglia, tenuti sostanzialmente in schiavitù, obbli-gati a chiedere l’elemosina o esibirsi nelle strade. Carlopassa da un padrone all’altro, scappa, viene ripreso, pic-

chiato, venduto di nuovo. Fugge ancora, a Londra, dove siarrangia a sopravvivere da solo, con una gabbia di topoli-ni bianchi e una tortora ammaestrata. Nel 1831, ha quat-tordici anni: bassa statura, occhi grigio-chiari, capelli lun-ghi e lisci, lineamenti dolci. A Oxford street, a Covent Gar-den, nei vicoli maleodoranti dell’East End, è una presenzafamiliare a bottegai, passanti, poliziotti, con il suo gridomezzo in francese, mezzo in italiano, «Donnez un louis, si-gnor», donatemi un luigi. Nelle strade di Londra, in queglianni, gli “Italian Boys” sono numerosi e ben riconoscibili.Ci sono i “figurinai”, che lavorano la cera, fabbricando sta-tuine, accompagnati da fratelli maggiori o genitori, moltiprovenienti da Lucca; i burattinai, con un teatrino ambu-lante di fantoccini e marionette; e all’ultimo gradino i me-nestrelli, giocolieri, ballerini, che si esibiscono insieme apiccoli animali ammaestrati. Carlo Ferrari (chiamato an-che Carlo Feriere e Charles Ferrier, alla francese, nei docu-menti giudiziari), è uno di questi ultimi. Ogni tanto va a ri-fugiarsi nella Cappella Italiana di Oxenden street, all’incro-

cio con Haymarket, dove gli offrono un toz-zo di pane e un pavimento asciutto su cuidormire. Ma la sera del 4 novembre è inun’altra zona dell’East End, a Crabtree Row.Fa freddo, piove, le case scompaiono nellanebbia; lui ha fame e non sa dove dormire. Ildestino lo porta ad accucciarsi sotto la tettoiadi una stamberga: l’abitazione di John Bi-shop, il capo di una banda di commerciantidi cadaveri. Nel buio, un vicino sente un gri-do e un tonfo. Poco dopo, i tre assassini cari-cano la merce sul carro, dirigendosi verso ilcentro. Fanno tappa in un pub per scaldarsicon gin e rum, s’attardano con una prostitu-ta, bussano alla porta di un ospedale, poi alKing’s College. Il giorno seguente, quando lapolizia perquisisce la baracca di Bishop, isuoi bambini stanno giocando con la gabbiadi topolini del mendicante italiano.

Non è la prima volta che gli sciacalli di cimiteri, non tro-vando corpi sottoterra, ne procurano di freschi, ucciden-doli con le loro mani: a Edimburgo, tre anni prima, duepredatori di tombe sono stati incriminati per l’omicidio ditredici vagabondi. E a Londra spariscono di continuo ra-gazzini, per lo più orfanelli, mendicanti o delinquenti,spesso italiani: quando la polizia annuncia il ritrovamen-to del corpo di Carlo Ferrari, otto famiglie di immigrativanno all’obitorio per vedere se è il loro bambino. Da mor-to, Carlo diventa una celebrità. La sua storia viene rappre-sentata a teatro. La buona società, inorridita da tanta mi-seria e depravazione, fa autocritica: così non si può anda-re avanti. Negli anni successivi, il parlamento approva unalegge per regolamentare il modo con cui le cliniche medi-che si procurano cadaveri per i loro studi scientifici. Unastoria alla Oliver Twist, ma autentica e senza il lieto fine delromanzo di Dickens. Perfetta per rivedere l’Inghilterradell’Ottocento. E per immaginarci dentro i nostri primiimmigrati: la prossima volta che passate da Covent Gar-den, chiudete gli occhi e provate a sentire la vocetta di Car-lo Ferrari, che squilla «donatemi un luigi, signor». Così era-vamo, a Londra, poco meno di due secoli fa.

L’Oliver Twist italianoe i trafficanti d’organi

ENRICO FRANCESCHINI

I BAMBINI DI DICKENSQueste immagini fannoparte della collezioneconservata al NationalArchives di Londra.Sono le fotosegnaletichedi bambini arrestati

le storie/2Saranno famosi

Piccoli Varenne crescono

IVIGONE (TORINO)

mpeto Grif ti fissa impavido. Cu-rioso. È un giovane aitante baioscuro, la criniera leggermentelunga, il corpo armonico. Non ha

ancora undici mesi. L’aspetto, però, ègià da principino del trotto. Da sarannofamosi degli ippodromi. L’immaginescattante. Veloce. Come il Varenne can-tato da Enzo Jannacci: «Al posto del cuo-re monta un turbo speciale, quando cor-re lui vola, come corre l’amore». Cavalloarrivato dal vento e dall’ira del mare…

Impeto è figlio di Varenne: anche lafantasia può correre come il vento, peruno dei 129 figli che il seme prezioso delCapitano — così lo chiamano tutti — hagenerato quest’anno. Lui ed altri quin-dici fratelli stanno crescendo nella cam-pagna grassa e quieta di Vigone, a qua-ranta chilometri da Torino. Lo spavaldoImpeto ha occhi grandi, vivaci. «E tene-ri», precisa con voce accorata Aziz An-baouy, lo stalliere marocchino. Il suo èmestiere antico. Per farlo bene, ci vuoleinfinita passione. E tanta perizia. Questopuledro è nato il 24 gennaio: all’ombra diuno strepitoso pedigree. Impeto è infat-ti figlio non solo di Varenne ma anche diMeadowbranch Nan, a sua volta figlia diPeace Corp, una delle più grandi trotta-trici americane, la cavalla che prima diVarenne e Mony Maker vantava il recordassoluto di premi guadagnati con le cor-se: oltre dieci miliardi delle vecchie lire.

Dunque, se le alchimie dell’accoppia-mento e i dorati cromosomi daranno ifrutti attesi, è destinato a correre “unalunghezza oltre il vento”. A battere re-cord. Ad infrangere traguardi prestigio-si. Come suo padre, sino a due anni fa(sembra ieri): prima cioè di andare inpensione e trasformarsi nello stallonepiù caro del pianeta, 15mila euro a mon-ta. Con una lista di prenotazioni lungheda Vigone, Piemonte occidentale, a Fila-delfia, Pennsylvania.

Chissà: il nome dell’erede Varenne èdi grande auspicio, per un cavallo. Piùche un buon viatico: una promessa qua-si certa. Impeto, per ora, dimostra carat-tere docile, e questo è ottimo segno.Tant’è che si lascia condurre a manosenza crear problemi: difficile trovarepuledri appena svezzati che non si in-nervosiscano o che non abbiano paura:«Dimostra buon temperamento, pro-prio l’indole di papà Varenne. Come ilpadre, Impeto ha buona testa e devo di-re che è la caratteristica comune a tutti ifigli del Capitano», spiega soddisfattoRoberto Brischetto, il cinquantenne ti-tolare dell’allevamento Grifone di Vigo-ne che è comproprietario di Varenne eche gestisce la sua nuova carriera di ri-produttore d’élite, grazie ad una struttu-ra veterinaria di alta qualità, specializza-ta nella fecondazione equina assistita,diretta da Giovanna Romano.

Il fisico e la menteNon basta, però, dar la vita ai purosan-gue. Bisogna crescerli: cioè costruirli nelfisico e nella mente, renderli coscientidella loro unicità, del loro mistero biolo-gico. Dar sostanza alle loro potenziali,superbe qualità. Mica facile: la scienza èun aiuto, però poi ci vuole istinto, pa-

zienza, conoscenza. E tradizione. Il tren-tacinquenne Aziz la missione di padreputativo dei cavalli ce l’ha nel sangue:quella di una famiglia berbera della re-gione di Casablanca. Il nonno vendevamuli all’esercito francese, il bisnonnoallevava e commerciava cavalli: pregia-ta razza berbera, animali cresciuti inambienti ostili, quindi forti, veloci, resi-stentissimi. I berberi completa-rono la selezione della razza pre-diligendo le qualità più utili allavita nomade e alla guerriglia: «Lafortuna va a cavallo», dicono gliarabi. Più è veloce il cavallo, piùfortunato sei.

La cultura del cavallo è radica-ta nel dna di Aziz: il quale sa, per-ché così gli è stato tramandato,che tocca sempre e solo all’uomoallevare i puledri destinati allecorse, così come sa che non saràsuo il compito di addestrarli,quando l’età e le norme lo con-sentiranno, a correre, a galoppa-re, a trottare. La filiera agonisticadell’ippica pretende specializzazioni dialtissimo livello: i primi ad elaborarle fu-rono gli arabi, poi gli inglesi ed i francesi.

Perciò, niente illusioni romantiche, osuggestioni cinematografiche. Varennenon ha mai visto Impeto, e neanche glialtri quindici figlioli che si stanno sca-vezzando a due passi dalla sua scuderia.Si è rassegnato: è un padre genealogico.Non altro. I piccoli Varenne crescono sa-ni e forti, senza che papà lo sappia o lo ve-da. Non è come nei film di Hollywood o

nei fumetti Disney, qui la Natura percor-re altri viottoli.

Il cielo è inquieto: grosse nuvole scureavvolgono il Monviso. Promettono ne-ve: l’aria è fresca, non ancora gelida. Im-peto Grif scalpita, vuol raggiungere glialtri. Forse ha fame. I puledri brucanotranquilli il fieno francese, il migliore.Un cavallino, addirittura, trova il modo

di mangiare sdraiato. Pigro e fe-lice. Aziz li accudisce come fos-sero figli suoi. Gli va bene chegliene siano toccati appena se-dici, sui 129 varennini di questaprima generazione del Capita-no: 96 in Italia, 12 negli Stati Uni-ti, il resto sparpagliati tra la Sve-zia, la Germania, la Finlandia e laDanimarca.

Altri 200 sono in arrivo tragennaio e giugno, la gestazionedelle fattrici si aggira tra gli un-dici e i dodici mesi, la stagionedell’inseminazione — per legge— comincia ogni 15 febbraio e siconclude ogni 15 di luglio. E ogni

anno, sempre per legge, ai puledrini vie-ne imposto un nome che abbia la stessainiziale. Il 2004 è l’anno della “I”: Idefix,Impeto, Incanto, Ingo, Innuendo, Intri-gante, Inuit, Ioshi, Italo, Icona, Iina, Ike-bana, Ingrid, Insomnia, Isolde, Ivaris,Ivonne, sono i nomi scelti per i varenni-ni del Grifone.

La madre campionessaLa più popolare è Iina Grif: sua madre èNiebla Blanca, campionessa e detentri-

ce del record della sua generazione. Iinaè stata donata all’associazione dei “figlidel Capitano”, ossia gli amici di Varen-ne: cento sfegatati fan che tempestanodi telefonate il Grifone per sapere se tut-to procede nel migliore dei modi, chia-mate che grondano apprensione, palpi-ti e sentimenti: «Sono lo zio di Iina…»,«sono il nonno di Iina, come sta mia ni-potina?», «la piccola è ok?», «sono lamamma, la mia Iina mangia?», eccomese è ok la piccoletta, la riconosci subitoperché la zampa posteriore sinistra hauna macchia bianca (quindi è una baiabalzana “da uno”, secondo il lessico fa-migliare di questo mondo), quanto almangiare, stiano tranquilli tutti, oltre alsucculento fieno francese il Grifone hastudiato un mangime complementareda leccarsi i baffi.

Più nitriti che nitrati: la ricetta elabo-rata dall’equogastronomo è una com-plessa miscela di prodotti basati sumangimi tradizionali e un pizzico dislow food (per forza, il cavallo ruminalentamente). Sveliamola: orzo fioccato emacinato; idem il granturco; avenaschiacciata; fave in fiocchi; crusca al fru-mento; farina di estrazione di soia (pro-dotta da soia geneticamente modifica-ta); soia estrusa (anch’essa prodotta dasoia geneticamente modificata); fienodi erba medica; melasso di canna dazucchero; cloruro di sodio; carbonato dicalcio da rocce minerali; fosfato bicalci-co di origine minerale; metionina; lisina;lignosolfito; integrazione vitaminica.Una dieta…da cavallo: dieci chili di fie-no più 4-6 chili di questo mix al dì.

Il tutto, all’aperto. Come in un pascolo.I puledri hanno a disposizione ampi spa-zi, delimitati da steccati, e da aperture cheli pilotano verso una sorta di pistone lun-go oltre seicento metri. Si muovono, all’i-nizio, a piccoli branchi. Aziz li abitua atrotterellare insieme, il maniscalco LucaSpinapollici (altro nome per nulla casua-le) ogni quindici giorni li vede e provvede.Uno più “elettrico” degli altri varennini èInnuendo Grif, figlio di Ciliegia Caf:«Mamma molto importante perché è sta-ta la femmina più veloce della sua gene-razione», dice Roberto Brischetto, «in ve-rità, quasi tutte le fattrici montate (artifi-cialmente) da Varenne sono state dellecampionesse. È la logica della selezionesempre più esasperata, per la ricerca dinuovi campioni». Innuendo sfoggia unastella bianca sulla testa, esatta replica diquella che esibisce papà Varenne. Men-tre la vivacità e l’irrequietezza sono dovu-te più che altro ai suoi sette mesi, com-piuti il primo dicembre.

Saluto i figli, e vado finalmente dal pa-dre, che sta alla Rondello, la cascinaprincipale dell’allevamento Grifone, aqualche chilometro dalla Ajrale. Anchequi, l’inesplicabile coincidenza dei no-mi: Rondello fu un celebre cavallo del-l’Ottocento. Prima di filar via, un pule-drino vorrebbe, come l’hanno avuta isuoi fratelli, un po’ di attenzione. Unacarezza sul collo: Inuit Grif ce l’ha quasia candela, come quello di papà Varen-ne. Sbuffa, fin quando non ottiene ciòche vuole. Appagato, scocca un’occhia-ta attenta, indagatrice. “È un pragmati-co», sentenzia Aziz, «come Varenne».Ogni epoca è un sogno che muore e unaltro che viene alla luce. Buon Natale,Varenne’s boys.

Impeto è un aitante baio scuro dal corpo scattante, non ha ancoraun anno eppure possiede già l’andatura di un principino del trotto.Impeto è uno dei 129 figli del Capitano, il migliore. Lui e i suoifratelli sono la speranza degli appassionati di tutto il mondo. Il sognonasce in una fattoria nel Torinese, ad allevarlo Aziz che da quattrogenerazioni insegna ai cavalli ad “andare come il vento”

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

LEONARDO COEN

MARIO FOSSATI

L’antica magia degli ippodromi

Ci sono luoghi d’anima dove hai vissuto intensa-mente e la tua vita è stata meno quotidiana: le sta-zioni, le caserme. Per me, una scuderia. L’alleva-

mento dei cavalli purosangue al Mirabello, nel parco diMonza. E ancora: l’ippodromo di San Siro-galoppo.Negli anni ‘30 eravamo tanto poveri da non averne qua-si coscienza. Chi non ha provato non può giudicare. Perme, i purosangue e il loro mondo fatto di gente ricca eben vestita rappresentavano l’Europa e lo chic. Ero fi-glio di un sindacalista della corrente di Achille Grandi;le discussioni sull’unità sindacale e i discorsi sulla di-soccupazione abbassavano il soffitto di casa: attraver-savano le nostre stanze. Il cortile della scuderia del re-parto stalloni nella grande villa, le sue prospettive ver-di: i viali simmetrici dal fondo romantico, chiuso da unachiesetta, la cui minima navata era percorsa più dai ni-triti d’amore dei cavalli che dagli angeli del Settecento,mi allietavano.

Il padre del mio amico Marcello, che ci aveva intro-dotti nell’allevamento, rimpinzava Pilade, campione in-ternazionale di avena e di carote: unitamente a noi, chene eravamo fierissimi, lo passeggiava quotidianamenteper distrarlo dall’accidia della poca attività. Pilade vinseil Gran Premio di Milano. Nel 1938 apparve Nearco: ci in-cantò. Io e Marcello approdammo finalmente a San Si-ro. L’insellaggio. Nel tondino Federico Tesio osservavaNearco, discosto dal cerchio degli Incisa.

«È più bello dei nostri», sussurrava Marcello. I «no-stri» erano gli stalloni del Mirabello di cui non possede-vamo neppure un crine della coda. Nearco vinse il G. P.

di Milano. Era il 19 giugno 1938. Dodici corse, dodici vit-torie. E qualcuno affacciava sottovoce il muro fatidicodella tredicesima corsa, affrontata dal campionissimo.

Nella mattinata un acquazzone aveva ammollato lapista. Nel pomeriggio, un’esplosione di sole e di pub-blico. Il “campo” era rarefatto, si diceva, ossia bene se-lezionato. I proprietari di quei dì preferivano le vittorie.Non badavano ai premi di consolazione se non pote-vano vincere disertavano. Quel “Milano” l’ho incisonella retina. A volte la verità storica pone una patina an-che sulle più lucide apparenze. Nearco, dalle propor-zioni divine, all’opposto, accentuava la qualità, la gran-dezza. Vinse sette giorni dopo il Gran Premio di Parigi,che nel ‘38 contava assai più dell’Arc de Triomphe.

Il marchese Mario Incisa, che ha avuto ai suoi ordinitutti i crack da Donatello II a Nearco a Ribot, sostenevache Tesio non si divertiva nemmeno più ad allenareNearco. Eguale l’opinione delle nostre maggiori fruste,di Caprioli e di Pietro Gubellini. «In qualunque istantedella corsa avessero posto il traguardo davanti alla te-sta di Nearco, Nearco lo avrebbe raggiunto primissi-mo». Forse Niccolò dell’Arca lo avrebbe potuto inquie-tare. Compì una carriera stalloniera inimitabile. Tutti icrack nella loro corrente hanno Nearco.

Un giorno Federico Tesio venne presentato a BenitoMussolini. Il Duce, romagnolo, amava i trottatori e in-vitò il “senatore” ad occuparsene. Tesio, antifascista,ebbe l’ardire di risponderli... «I purosangue innestanola quinta marcia; i trottatori, al più la terza». Non mi oc-cuperò mai di loro.

IL MAESTRO DEI CAVALLINella foto in alto Impeto Grif,con la capezza, e Intrigante Grif.Qui sopra Italo Grifcon Aziz, che si occupadell’addestramento dei cavalli

FOTO GUGHI FASSINO

altrove. Ma nell’era globale non sarà faci-le rincorrere gusti e interesse della bor-ghesia colta urbana, da sempre clientelad’eccellenza.

Il trenino elettrico che è a una svoltanella sua storia di prodotto viene da lon-tano. Nasce appunto in Germania. Tuttocominciò nel 1859 con una ricca e bellavedova del sudovest, Caroline Märklin,che aveva fretta d’idee e successo permantenere i figli. Il secondo marito,Theodor Friedrich Wilhelm Märklin,fondò con lei una fabbrica di bambole ecasette per le bambole. Ma morì prestoanche lui. Fu di Caroline l’idea di costrui-re un trenino-giocattolo domestico.

Innamorata delle tradizioni ma anchedelle “magnifiche sorti e progressive”dell’epoca moderna, la Goeppingen di al-lora ricordava molto le pagine in cui Ro-bert Musil o Stefan Zweig descrissero la

mento difficile. Il fatturato è calato del 3,5per cento, il giro d’affari dei produttori ditrenini in generale è sceso del 7,5 per cen-to. A mali estremi estremi rimedi. Partedei posti di lavoro, 360 su oltre duemila,saranno o soppressi o delocalizzati. Viadalla ricca Goeppingen nel prospero su-dovest tedesco: si fa rotta verso Sonne-berg in Germania orientale, o Gyoer inUngheria. Dove i locali stabilimentiMärklin avranno più lavoro.

«È un momento difficile ma ce la fare-mo, resteremo il numero uno mondiale,un marchio-simbolo del made in Ger-many», promette Paul Adams, capo del-l’azienda. C’è da credergli. Un tedesco sudieci possiede un trenino. E l’hobby piùcostoso del mondo fa proseliti nei paesi dinuova ricchezza, dalla Cina alla Corea delSud, o nei paesi europei come la Spagnadove il ceto medio cresce più veloce che

ANDREA TARQUINI

Natecome

giocattolile miniature

si sono trasformatein costosi e ricercati

oggetti da collezionismo

I PLASTICI Un tedesco su diecipossiede un trenino

L’hobby più costosodel mondo ha fan

anche in Italia doveleader di mercato

è stata per anni la Limaerede della celebre

Rivarossi. La societàsta per essere

acquistata dagli inglesi

Marco Paolini, attore ed esperto di modellismo

“Sarà la sconfittadi una passione”

«La storia della Märklin ricalcala sconfitta del modellismoitaliano. Parlo del fallimento

recente della Lima, erede della glorio-sa Rivarossi. L’hanno rilevata gli ingle-si, offrendo il doppio rispetto a unacordata italiana. Ma poi che han fatto?Hanno tenuto solo marchio e stampi,cioè quello che vale. Il resto niente:macchine, personale, fabbrica, ma-gazzino. Tutto finito, chiuso. E la pro-duzione è volata in Cina».

Marco Paolini, attore fanatico di tre-ni e modellista in casa («Mio padre eramacchinista, ho imparato da lui adamare i nostri treni e il nostro paesag-gio ferroviario»), fiuta una brutta aria.È come se l’Europa vendesse un pezzodella sua anima al “pianeta” dove mac-chine e operai si clonano in un lampo.

«In Cina, se un articolo costa 200, lemacchine, i materiali e l’ammortamentodegli stampi costano undici. Ma l’invero-simile è che la manodopera costa uno!

Uno su duecento! Profitti incredibili…».Ma i cinesi non hanno tradizione.

«Loro se ne fregano delle nostre tradi-zioni! Hanno complessi grandi comecittà, capaci di fare trenini e asciugaca-pelli con la stessa disumana precisio-ne. E di passare come niente da un pro-dotto all’altro».Come funziona?

«Si rivolgono a un’agenzia di interme-diazione che gli trova un progettista,un esperto in stampi e un mini-teamche gli elabori il sistema. In un mese ilprogetto è fatto, in quattro mesi la pro-duzione è avviata…».Tempi da paura.

«È un’implacabile organizzazione pernuclei, che lavora sempre e riproduceperfettamente i progetti altrui fornen-do il “made in China”».E la qualità com’è?

«Eccellente. Arrivano cose impensabi-li fino a poco tempo fa, specialmente anoi italiani, che ci accontentavamo diprodotti meno sofisticati rispetto aFrancia, Svizzera o Germania».Dunque roba buona.

la memoriaModellini mitici

Èuna svolta epocale. L’azienda simbolo del made in Germany,che ha coperto con i suoi binari una volta e mezzo la distanza tra laTerra e il suo satellite, è in crisi. Il giro d’affari è in calo del 3,5 percento. E per abbattere i costi delle storiche locomotrici la produzionesi sposta nell’area orientale del Paese e in Ungheria

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

PAOLO RUMIZ

che andò sulla lunaMärklin,il trenino

SBERLINO

i fa presto a dire Märklin. Ilmondo dei giochi e del model-lismo sembra fatto appostaper dare spazio a nomi che di-

ventano un mito. Per chi ha bambini, eper chi ancora ricorda una bella infanzia,Märklin è molte emozioni insieme. Il fa-scino del giocattolo che cammina da so-lo e la seduzione della miniatura, il pre-stigio della precisione made in Germanye l’aria di leggenda della ferrovia, il primomezzo di trasporto dell’era moderna.

Si fa presto a dire Märklin, ma nel mon-do nuovo dove elettronica e videogiochiscacciano i balocchi, il numero unomondiale dei trenini affronta un mo-

società borghese-illuminata del Mitte-leuropa. In quel clima Eugen e Carl, duedei figli di Caroline, presentarono nel1891, alla Fiera di Lipsia, il primo model-lo di trenino con motore a molla. Fu unasvolta nel costume. E con la rapida diffu-sione dell’elettricità nelle case borghesil’azienda, ora ribattezzata “Fratelli Märk-lin & C.”, offrì trenini mossi non più damolle bensì da piccoli motori elettrici.Alimentati da un trasformatore, per pro-teggere i bimbi dalle scosse.

Il trenino nacque così come giocattoloper ricchi. S’impose come moda capacedi sopravvivere alla grande catastrofedella prima guerra mondiale. E da giocat-tolo si trasformò in modello. È del 1935 laprima versione del Coccodrillo, la più mi-tica locomotiva Märklin. Si chiamava co-sì la potentissima locomotiva elettricasvizzera, verde e snodata come il rettile,

costruita dal 1919 per trainare sulle Alpipesanti convogli merci o lussuosi espres-si internazionali. I Coccodrilli-modellopiù rari valgono tra i 5 e i 50mila euro.

«Ricordo ancora il fascino dei binarinascosti in cantina durante la guerra»,racconta Wolfgang Schaeuble, ex bracciodestro di Helmut Kohl. «Quando venne-ro i soldati americani, furono conquista-ti». Negli anni ruggenti del dopoguerra,col Piano Marshall e il boom economico,il trenino Märklin divenne un giocattolodi massa. Cambiò anche volto. Divennepian piano riproduzione in scala ultra-precisa, oggetto del desiderio dei colle-zionisti. Tra cui anche vip come RonaldReagan. Le locomotive Märklin in scalaH0 oggi costano ognuna dai 220 agli 800euro. Sempre in metallo, verniciate conquattro strati nei toni più fedeli. Mosse dauno o più motori, arricchite delle più pic-

cole scritte spesso ammirabili solo con lalente d’ingrandimento. Camminano go-vernate da un sistema digitale, con diver-se funzioni: viaggiano fino a 80 insiemesul circuito con fari spenti o accesi, ru-more del motore diesel o a vapore, fumo,“fischio”, illuminazione interna, frenatalenta o brusca, pantografi che si alzano oscendono a comando elettronico.

Ma 800 euro sono troppi per un giocat-tolo di massa. Anche i collezionisti prefe-riscono spendere meno, ma non rinun-ciano assolutamente alla qualità: la delo-calizzazione s’impone. L’esame di ogninuovo prodotto da parte delle riviste spe-cializzate è più spietato di una prova sustrada. E i concorrenti, cioè i giapponesidi Kato, gli americani di Bachmann, gliaustriaci di Roco, gli spagnoli di Electro-tren, forniscono a meno prezzo modelliprodotti in Estremo Oriente.

I Märklin di oggi sono riproduzioniiperdettagliate di macchine leggendarie.Troppo belli per giocarci se non sei unadulto benestante. Come il Trans EuropExpress Vt-11, il rapido di lusso tedescoche dopo la storica riconciliazione traKonrad Adenauer e il generale de Gaullecollegò Bonn a Parigi. Riproduce il rombodei motori diesel Mercedes, fischia, l’illu-minazione interna si estende persino alleabat-jour sui tavolini del vagone ristoran-te. Ma Märklin, che vende il 70 per centodei prodotti sul mercato tedesco dove lacongiuntura è debole, finora ha un cata-logo dove i modelli di treni tedeschi sonoprevalenti. I concorrenti hanno diversifi-cato l’offerta. Ai ricchi cinesi Bachmannoffre anche locomotive del Gigante rosso.Forse, Märklin coglierà presto la nuovasfida: dopo il mercato americano, dovràpuntare sulla superpotenza di domani.

LE QUOTAZIONI La ricchezza e la specificitàdelle riproduzioni ferroviarieè costituita dalla curadegli stampi e dei dettaglimeccanici di ciascun vagoneLe miniature in serie limitatapossono raggiungerequotazioni di mercatosuperiori ai 10mila euro

IL MERCATO Il giro d’affari del ferro-modellismo, ovvero delleaziende produttrici di trenini,è in calo del 7,5 per centoLa locomotiva da anticogiocattolo si è trasformatatra gli europei in oggetto da collezionismo di qualitàE i prezzi lievitanofino a oltre 10000 euro

IL COLLEZIONISTAUn padre macchinistae un parco di modellini ferroviariinvidiabile, l’attore MarcoPaolini è un appassionatodi trenini vecchi e nuovi

«Decisamente. Oggi nessuno arricciapiù il naso di fronte al made in China. An-che nel top di gamma del modellismo».Figurarsi cosa avverrà nel manifattu-

riero… emigrerà tutto.

«Il destino del modellismo mi provocacortocircuiti bestiali con quello chesuccede sulla Riviera del Brenta. Pezziinteri del distretto della calzatura fug-gono a Oriente, con accelerazioni dabrivido…».Dicono di non avere paura della Cina.

«Il problema è la febbre speculativa checi fa usare il Pianeta come il quartiere diuna città, con le sue favelas e i suoi di-scount… Chiediamoci: se i nostri operainon lavorano, come terranno in piedi ladomanda? Non diventeremo più pove-ri? Credo proprio di sì. E la domanda delsuperfluo salterà per prima…I trenini, per esempio.

«Ovvio. Con un bene voluttuario il ra-gionamento vale il doppio. I trenininon costeranno di più, vero. Ma noiavremo meno soldi per comprarli. Di-venteranno un giocattolo per ricchi». Evento ineluttabile?

«Una settimana fa parlavo con un bra-vissimo artigiano fer-modellista diCatania. Mi diceva della sua lotta perresistere, per farsi i pezzi in casa. An-che lui non si rassegna...»Come difendersi?

«Anni fa, quando la Lima comprò, ol-tre alla Rivarossi la francese Jouef e latedesca Arnold, si fece dare dal gover-no di Berlino un finanziamento per ilrilancio. Quando ebbe i soldi, chiuse econcentrò la produzione in Italia. Magli operai non restarono a guardare».Che fecero?

«Presero a martellate gli stampi deimodellini, quelli cui avevano dedica-to la loro vita. Distrussero il nucleo delvalore aziendale e la furbizia dei nuo-vi padroni. Un suicidio d’amore, inpiena regola. O no?».Nell’Ottocento si chiamava luddismo.

«Il destino del modellismo è esempla-re. Dimostra che questa concentra-zione della produzione mondiale inun unico Paese può far imballare il si-stema. Temo un boomerang che faràmolto male».

BIG BOY A VAPORE Così i macchinisti americani chiamaronola più grande e potente locomotiva avapore mai costruita. Con 8000 cavalli dipotenza e 400 tonnellate di peso,trainava a 100 orari da costa a costa convogli merci di oltre centovagoni. Nella versione Märklin lalocomotiva della vittoria alleata, tutta inmetallo, pesa 1,2 chili, fuma, riproduce irumori di caldaia, stantuffi e fischio Costa799 euro con elegante cofanetto

IL COCCODRILLO PLATINUM Coccodrillo serie Platinum, così sichiama la versione più lussuosa delmodello Märklin della celebre locomotivaelettrica di montagna svizzera. Ècostruita in platino. La serie limitata èstata prodotta a metà degli anniNovanta, e messa in vendita, suprenotazione, a oltre 6000 marchitedeschi a pezzo. Se volete comprarlaoggi aggiungete almeno uno zero a quella cifra e pagatela in euro

BINARI: DALLA TERRA ALLA LUNA Dai primi trenini di fine Ottocento a oggi,la Märklin ha prodotto e venduto circa450 mila chilometri di binari per i suoitrenini elettrici: una distanza pari a circauna volta e mezza quella tra la Terra e laLuna. Il binario Märklin, nella sua ultimaversione, trasmette ogni comandodigitale alle locomotive. Si distingueda quelli delle altre marche perchétrasmette corrente alternata da punti di contatto centrali

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

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36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

i luoghiNotte in città

A Mosca l’ultima festa mobile

ECCO LA MOVIDAFeste da cinquantamiladollari, l’eccitazionedegli uomini d’affariche, come nella Spagnapost-franchista, scopronoil fascino della notte:di politica e denaro si discutenel fumo dei locali alla moda,circondati da modelle

LE LUCI DELLA FESTAFinito il lavoro, quando il solescompare, e si accendono le

luci della città, il popolo deldivertimento inizia a

programmare la lunga festa notturna. I fasci laser delle

discoteche e dei night clubsono le stelle polari cheportano al divertimento

Uomini d’affari, russi, ma anche europei, americani e asiatici.E donne. Tante, e tutte bellissime. Sono i nuovi potenti. Viaggianosu Rolls Royce bianche, mangiano nei ristoranti alla moda,bevono Krugg d’annata divorando piramidi di caviale pregiato.Passano da un night club all’altro. Hanno un solo obbiettivo:divertirsi fino all’alba. E per riuscirci spendono una fortuna

LMOSCA

a Madrid della “movida”, o laShanghai degli anni Venti eTrenta sino all’occupazionegiapponese? Me lo chiedo

osservando le schiere di nottambuli chesi muovono nel centro di Mosca, mentrepasso tra le dieci e mezzanotte, a rimor-chio d’un giovane uomo d’affari italianoche vive qui, da un ristorante alla moda aun paio di night club. Certo, quel che stovedendo non esiste più a Londra, a Pari-gi o a Roma. C’era vent’anni fa, e già lan-guiva, ma adesso è finito. Mentre la not-te di Mosca è l’ultima festa mobile cui cisi possa affacciare.

Migliaia di persone che escono quasitutte le sere, e prima vanno a pranzo, poia incontrare altri amici in un bar, quindisciamano nei night club per uscirne alletre del mattino. Non gli adolescenti o igiovanissimi che anche da noi si scapi-collano il sabato sera, i soldi contati, sul-le strade verso le discoteche: bensì tren-tenni, quarantenni e cinquantenni inabito scuro — abbienti o molto abbienti— che l’indomani mattina saranno in uf-ficio alle nove. Russi, altri europei, ame-ricani ed asiatici gli uomini. Quasi tutterusse le donne: le donne più belle, e spes-so le più eleganti, che si possano vedereoggi sulla faccia della terra.

Non gangster, dunque, non specula-tori o prosseneti con le loro ragazze.Questa è acqua passata. La Mosca not-turna è ormai quasi del tutto ripulita del-la teppa che la solcava negli anni caoticidi Boris Eltsin. A circolare di notte è ades-so, detta in grosso, la “business commu-nity”: i russi e gli stranieri che s’occupa-no di finanza, intermediazioni e consu-lenze, di petrolio, gas e altre materie pri-me, d’industria e progetti industriali,d’export-import. Gente che tra mattinoe pomeriggio — prima delle uscite sera-

li — è stata dietro ad affari consistenti, ogrossi, o addirittura grossissimi. Dun-que, redditi alti. Né potrebbe essere di-versamente, perché Mosca è una dellecittà più care del mondo e per certe cosela più cara: il che vuol dire che la seratad’una coppia costerà a dir poco il doppiodei 140 euro che in Russia costituisconoil salario medio mensile.

In questo — l’età dei nottambuli, i lo-ro redditi e impegni professionali—, lasomiglianza che sembra di cogliere ècon la Madrid tra fine Settanta e inizi Ot-tanta. Lo scoppio di vitalità che gli spa-gnoli conobbero dopo il lungo e tetrocrepuscolo franchista. Il vecchio centromadrileno sfolgorante di luci, insonne.Quei famosi banchieri e industriali dicui ci si chiedeva, vedendoli ballare ognisera sin verso l’alba al “Pasha” o al“Portòn”, come facessero a dormiretanto poco. E che sempre, a un certo mo-mento della notte, lasciate le loro com-pagne a chiacchierare per un po’ da so-le, facevano crocchio al bar per scam-biarsi le ultime notizie: la Borsa, il gover-no, la congiuntura internazionale.

L’eccitazione della notteAdesso è Mosca che sta vivendo una spe-cie di “movida”. L’eccitazione, i localinotturni che spuntano come funghi, i di-scorsi politici o d’affari alle ore piccole.La scelta dei posti dove andare, basatasul classico principio spagnolo del “ve-dere e farsi vedere”. Molto alcol, pocosonno, il pallore dei volti al momento delrientro. E i più eccitati, i più instancabili,ma soprattutto i più prodighi, sono i rus-si. Perché i russi, spiega la mia guida cheè qui da dieci anni e ormai li conosce be-ne, sono tornati ad essere gli splendididissipatori del romanzo russo. TantiDmitrij Karamazov capaci di scialac-quare in una sera cifre spropositate, pur-ché tutt’attorno ci siano musica, alcol,amici e donne. Come il maggiore dei Ka-ramazov, appunto, nell’equivoco alber-ghetto di Mokroye: i suoi duemila rubli

che se ne vanno in fumo tra vodka, vino,musica di violini e danze zingare.

«Vede quello lì a fianco della ragazza coicapelli rossi?», fa la mia guida: «un paio disettimane fa ha dato una festa per un cen-tinaio di persone, gli uomini quasi tuttiitaliani, ed era una festa così sfarzosa —Krugg d’annata, piramidi di caviale,schiere di camerieri, due orchestre e ungruppo di “balalaike” — che uscendo al-l’alba ci domandavamo quanto potesseessergli costata: quaranta, cinquantami-la dollari? E lo stupore è cresciuto quandoun amico ci ha detto che quell’ospite tan-to generoso non è ricchissimo. È un im-portatore di moda italiana e francese, unoagli inizi, che al risveglio dopo la festa avràprobabilmente dovuto pensare da chi re-carsi per chiedere un prestito…».

Questo è certo, lo dicono le statistiche.I russi che stanno facendo soldi spendo-no molto di più dei loro omologhi euro-americani. Come gli spagnoli di vent’an-ni fa, risparmiano poco o niente. Per orail pensiero del futuro non pesa, e premeinvece la voglia di divertirsi, di profonde-re il danaro sino alla stravaganza, di ro-vesciare la situazione quo ante del russocol portafoglio vuoto in un contesto dioccidentali ricchi. E infatti, benché si cal-coli che a Mosca i redditi siano circa lametà della media nell’Unione Europea(a Mosca: non in Russia, dove la diffe-renza è abissale), i cosiddetti “consumidi lusso” non fanno che aumentare. Dai2 ai 3,5 miliardi di euro all’anno, quasi lestesse cifre di New York. E chi vende, aMosca, sa come farlo. La Rolls Royce haspostato il suo salone vendite propriosulla piazza Rossa, di fronte alla mum-mia di Lenin, e un gruppo italiano ha ap-pena aperto uno shopping center nel cuiatrio, su un piano a coda bianco latte,suona una ragazza stupenda.

Ma quanti sono, in una Mosca di quin-dici milioni d’abitanti, i russi che posso-no uscire la sera e spendere parecchiodanaro? Lo chiedo alla mia guida: e lui siguarda intorno, fa un largo cenno con la

mano verso un angolo del ristorante do-ve stiamo pranzando, e un minuto dopoun quarantenne in blu scuro, i capelli ra-si, l’aria serissima, viene a sedersi al no-stro tavolo. È Arkady Novikov, il re dellenotti moscovite. Ex cuoco in un ristoran-te di Stato nell’ultima fase sovietica, poigestore d’un ristorante in cooperativaquando Gorbaciov tentò le prime, stri-minzite privatizzazioni, e oggi proprie-tario di sessanta tra ristoranti e locali not-turni in cui lavorano settemila persone.

Le stazioni del divertimentoNovikov mi descrive le due fasi che la se-ra e la notte di Mosca hanno conosciutonei tredici anni del post-comunismo, edè un racconto che dà un’idea piuttostoprecisa sulla nascita della nuova borghe-sia russa. Alla metà dei Novanta, l’im-provviso spuntare delle favolose fortunedegli “oligarchi”, d’altri speculatori e deiboss del crimine, aveva suggerito l’aper-tura di ristoranti carissimi che dessero aquei “parvenus” (inconsapevoli diquanto fossero orrendi gli arredi, e pessi-ma la cucina) l’impressione d’essere ap-prodati ad un lusso parigino o newyorke-se. Ma con il crack dell’estate 1998, la ser-rata delle banche e la disastrosa svaluta-zione del rublo, i ristoranti da 150 dollaria pasto dovettero chiudere.

Novikov lanciò allora due catene di ri-storanti a prezzi abbordabili, la YolkiPolki e la Kish Mash: «Questo perché»,spiega, «una borghesia delle professioni,del commercio e della piccola imprendi-toria (con soldi, sì, ma non moltissimi)era ormai una realtà: e dunque bisogna-va proporre locali all’altezza dei suoimezzi. Ma un paio d’anni fa, mentreemergeva una nuova clientela per le ca-tene a prezzi moderati, una parte del nu-cleo iniziale di borghesia era intanto di-venuta più ricca ed esigente. Così, abbia-mo puntato di nuovo sui ristoranti di lus-so e i locali notturni. Il che vuol dire che cisono due fasce d’avventori, una che puòspendere di più e l’altra meno. Messe in-

sieme, sono migliaia e migliaia di perso-ne che la sera, almeno due volte alla set-timana, escono a mangiar fuori. E stoparlando dei russi: poi c’è la comunitàstraniera, che è sempre più vasta e com-prende altre centinaia di nottambuli…».

Ripeto, vari aspetti ricordano la Madridpost-franchista. Ma se poi si volge losguardo dalla Mosca by night allo sfondoe alla fisionomia della Russia d’oggi, allo-ra vengono in mente i libri e il repertoriofotografico sulla Shanghai degli anni tra ledue guerre. Quante somiglianze, infatti. Ilmagnetismo che Mosca esercita sulla co-munità internazionale degli affari, le in-segne sfavillanti delle multinazionali pre-cipitatesi a fornire un paese che ha biso-gno di tutto, la dipendenza di gran partedella borghesia dalle attività economichestraniere, la folla di belle donne che circo-lano di notte. Oltre all’incertezza dell’i-dentità: che caratterizzava la Cina d’allo-ra, e caratterizza la Russia di Putin.

Sì, è Shanghai che affiora dalla memo-ria. La Shanghai “joy, gin and jazz” di Wal-ly Simpson e Galeazzo Ciano, dove circo-lavano due monete (il dollaro d’argento eil tael cinese) così come a Mosca s’usanoindifferentemente il dollaro e il rublo.L’onnipresenza della polizia segreta delKuomintang, l’insaziabile avidità dellaburocrazia, la fungaia di night club, caba-ret e bordelli. L’enorme presenza deglioccidentali, con la borghesia locale chene scimmiottava gli usi, gli abiti e la lingua.I marmi dei grand hotel, le luci del Towerrestaurant, del Venus Cafè o del ViennaBallroom con le sue “100 charming ho-stesses”, mentre “il gioielliere e l’antiqua-rio” — come scrissero Auden e Isherwoodnel loro libro sulla Cina — “sono ai vostriordini, e le loro merci vi daranno l’im-pressione d’essere ritornati a Fifth Ave-nue o a Bond street”. Ma poi, a pochi chi-lometri dai grattacieli sempre illuminatidel Bund, una grande miseria: proprio co-me fuori Mosca si stende la Russia pove-ra, flagellata dalla tubercolosi e dall’Aids,dove l’aspettativa di vita non supera, per i

SANDRO VIOLA

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

LA ROLLS ROYCE E LENINA Mosca i redditi sono la metà dellamedia europea, ma i russi che amanofar tardi la notte non badano a spese.Per divertirsi spendono dai 2 ai 3 miliardil’anno. Solo New York e Londra stannoal passo. La Rolls Royce ha spostatoil suo salone vendite sulla Piazza Rossa

Mezzanotte a Mosca.Estate d’uno sfarzo buddista

Le strade, dagli strettistivali metallici,

si ramificanocon minuti sferragli.

Se la godono gli anellidei viali butterati di nero.

A Mosca non c’è quietenemmeno a mezzanotte.

MANDEL’STAM

1931

Immagino che ormaisia chiaro che la miacarriera di cortigianaè giunta al termine.

E non è soltanto un fattodi età: nell’atmosfera

vischiosa e priva di dignitàdella Mosca di oggi,

una finezza comeuna vera cortigiana

è del tutto fuori postoLENA VOLGINA

1994

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LA SHANGHAI DI MARLENE DIETRICHÈ la città “joy, gin and jazz” degli anni Ventie Trenta. Nei night della città cinesesi muovono agenti segreti, nazisti,avventurieri, uomini d’affari dal dubbiopassato, dal rapporto conflittuale conla legge e donne bellissime disposte a tutto.Le orchestre jazz d’America suonanola colonna sonora. È la città di Shanghai Lili,la donna fatale interpretata da MarleneDietrich nel film Shanghai Express

LA PARIGI DI ERNEST HEMINGWAY...Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi dagiovane, ovunque tu passi il resto della tuavita essa ti accompagna perché Parigi è una“festa mobile”... Così dice lo scrittoreamericano che racconta gli Anni Venti dellacittà francese: tra bistrot, oppio, lescommesse alle corse dei cavalli e icampioni del ciclismo. Le notti che nonfiniscono mai. E soprattutto: “la vita intesacome una fiesta”

maschi, i cinquantott’anni. Beninteso, per quante ombre possano

gravare sul suo sistema politico, la Russiadi Putin non è la Cina di Chang Kai-shek.Gli stranieri non vi fanno il bello e il catti-vo tempo come nella Shanghai d’allora,e anzi molto spesso (specie per ciò che ri-guarda le contrattazioni petrolifere) ap-prodano a Mosca da postulanti. Ma det-to questo, restano i tratti in comune. Lacorruzione innanzitutto, quel dover de-porre pingui involti di danaro nelle manidell’alta burocrazia per ogni firma, per-messo, avanzamento di trattativa. Stan-do alle classifiche stilate dagli organismiinternazionali, la Russia è infatti appenasopra il Mozambico (ma dietro l’Ugan-da) in fatto di “pagamenti irregolari”estorti dall’apparato burocratico.

Poi, la personalizzazione e arbitra-rietà del potere. Come Chang Kai-shek,anche Putin deve usare i guanti bianchicon gli stranieri: ma con i russi può fare,allo stesso modo del capo del Kuomin-tang, quello che vuole. E se a Mosca nonci sono esecuzioni capitali, la legge vienetuttavia usata, lo s’è visto nel caso Yukos-Khodorkovskij, come una mannaia pereliminare chi non s’allinea. Né vengonomantenuti gli impegni internazionali:ecco infatti Khodorkovskij trascinato inun carcere dell’Fsb, la polizia politica,mentre gli accordi sottoscritti dalla Rus-sia con il Consiglio d’Europa non con-sentono carceri “speciali”.

Infine, ecco la glaciale indifferenza delpotere dinanzi alle piaghe che affliggonola popolazione. Quattro anni di continuiaumenti del prezzo del petrolio stannofacendo galleggiare la Banca centralerussa su un mare di danaro (le riserve so-no ormai a 84 miliardi di dollari), ma nes-sun tentativo serio viene fatto per argi-nare il catastrofico aumento dell’Aids,cui una ricerca recente attribuisce di-mensioni africane: cinque milioni dimalati previsti per il 2020.

No, certo: Mosca non è la Shanghai delKuomintang, ma le somiglia.

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38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

Guggenheim

Thomas Krens, direttore della Guggenheim Foundation, racconta il suoprogetto: una macchina museale diffusa in tutto il mondo con un’attenzioneparticolare all’Italia. Dopo Venezia è la volta della capitale: dal primo marzo

alle Scuderie del Quirinale saranno in mostra i capolavori della collezione permanentenewyorkese e al PalaExpo potrebbe essere allestita la celebre “The Art of Motocycle”.Ma il sogno di Krens è di poter portare la Paolina Borghese del Canova a New York

ANTONIO MONDA

DNEW YORK

a quando è diventatoquindici anni fa direttoredella Guggenheim Foun-dation, Thomas Krens ha

cambiato radicalmente le scelte e leambizioni del museo newyorkese, tra-sformando il Guggenheim in una isti-tuzione globale, con sedi a Bilbao, Ber-lino, Venezia, Las Vegas e, in un futuroprossimo, a Rio de Janeiro e Taiwan. Il“Global Guggenheim” ha trovato re-centemente anche forme di collabora-zione con l’Ermitage di San Pietrobur-go e, dal primo marzo prossimo, conl’Azienda Palaexpo di Roma, sia perquanto riguarda le Scuderie del Quiri-nale (dove verrà allestita “Masterpie-ces from the Guggenheim collectionfrom Renoir to Warhol”) che il Palazzodelle Esposizioni, nel quale Krens con-ta di portare con scadenza annuale leprincipali esibizioni del suo museo.

L’idea di Global Guggenheim ha vistoil momento di massimo trionfo con l’a-pertura della sede di Bilbao, un’opera-zione da 250 milioni di dollari (di cui 150destinati alla costruzione) coperta inte-ramente dal governo locale, che ha se-gnato la rinascita della città basca, e laconsacrazione universale del talento ar-chitettonico di Frank Gehry, a cui Krensha assegnato immediatamente dopo ilprogetto della nuova sede sulla punta diManhattan. Ora Krens volge lo sguardoaltrove: dopo aver siglato un accordocon il governo di Mosca per un’altra esi-bizione monumentale nella quale sa-ranno celebrati mille anni di arte russa,questo gigante di due metri che vestesempre di scuro e si vanta di andare ognimattino in ufficio in motocicletta, contadi intensificare il rapporto con l’istitu-zione romana, con mostre che portran-no essere “The Art of Motocycle” o le re-centi esposizioni dedicate a Robert Rau-schenberg e Matthew Barney.

«La mostra sull’arte russa che debut-terà a New York nell’autunno 2005 saràun evento unico e straordinario», rac-conta nel suo ufficio dieci piani sopra laRotunda di Frank Lloyd Wright «ma rien-tra nella tradizione di quello che abbia-mo fatto negli ultimi anni, ad esempiocon l’arte cinese. Quanto stiamo avvian-do a Roma è invece qualcosa di diverso,e interpreta perfettamente lo spirito delmuseo globale: il Guggenheim espone isuoi capolavori presso un luogo di gran-dissimo prestigio e tradizione, ed inizia

una collaborazione con la città che rap-presenta uno dei massimi templi dell’ar-te e della cultura».Come nasce questa collaborazione?

«Per quanto riguarda il Guggenheim,dalla volontà di stringere un legame di-retto con una città imprescindibile nellaquale il museo può contribuire a far co-noscere alcuni capolavori dell’arte mo-derna. Riguardo invece a Roma, dallasensibilità culturale dimostrata dal sin-daco Veltroni ed i dirigenti della AziendaPalexpo Rossana Rummo e Raffaele Ra-nucci. Lo scorso maggio, in occasionedella presentazione della mostra su

Giorgio Armani alle Terme di Dioclezia-no, ho avuto modo di visitare il cantieredel Palazzo delle Esposizioni e sono ri-masto molto colpito non solo dall’impo-nenza dell’edificio, ma anche dalla po-tenziale molteplicità di offerta di unastruttura di questo tipo».La mostra che debutta a Roma all’inizio

di marzo propone una selezione della

collezione.

«L’immagine del Guggenheim nel mon-do è legata da sempre indissolubilmen-te alla straordinaria invenzione architet-tonica di Frank Lloyd Wright, e, più re-centemente, all’altrettanto suggestiva

creazione di Frank Gehry a Bilbao. Le vi-site nei due musei, e in quelli nelle altresedi intorno al mondo, non prescindonoda un dato squisitamente architettoni-co, ma ovviamente cercano anche unasolida realtà espositiva: i visitatori ri-mangono sempre sbalorditi nel trovare,insieme alle mostre, una delle più belle eimportanti collezioni di arte modernadel mondo. Ci è sembrato giusto partireproprio da questa collezione, con unaselezione significativa degli artisti piùimportanti, che nella gran parte dei casi,verranno celebrati con più di un’opera,in modo da tracciare un itinerario anali-

tico della loro carriera. Mi riferisco adesempio a Mirò, Kandinsky, Picasso,Mondrian, Pollock».Tra i progetti di cui si parla c’è la possi-

bilità di portare a Roma anche “The Art

of Motocycle”, che ha rappresentato

uno dei successi più clamorosi degli ul-

timi anni.

«Mi farebbe particolare piacere, ma vo-glio dirle che mi auguro di poter portareogni anno almeno una delle nostre esi-bizioni, iniziando magari con la grandemostra sull’arte russa».Di cosa si tratta?

«L’esibizione nasce dalla volontà di

Le multinazionali dell’artealla conquista dell’Italia

CROMA

accia al finanziamento: è ormai questol’ordine dettato ai direttori e ai presi-denti dei grandi musei internazionali.I fondi pubblici, i proventi dei biglietti

d’ingresso, le donazioni, il merchandising non co-prono i costi di conservazione e restauro. Quasitutte le grandi istituzioni, comprese le più celebricome il Metropolitan di New York o la Tate di Lon-dra, hanno i bilanci in rosso. È così che sono arri-vate le “invenzioni”: dalle lotterie ai cocktail, dalleaste ai prestiti a pagamento. Oggi è difficile espor-re un capolavoro gratuitamente. Sono alti i prezzidi trasporto, assicurazione, le spese per un marke-ting che lancia o rilancia l’artista, costruisce l’avve-

nimento in grado di attrarre migliaia di visitatori.Ci sono nomi che offrono certezze di “vendita”

come un profumo di marca: Caravaggio o Botti-celli, tanto per citare due celebrità. Ma quandos’esce dall’antico e si entra nel moderno e nel con-temporaneo, soprattutto in Italia, ci sono proble-mi. E così lo stivale ha cominciato a subire la len-ta invasione dei musei stranieri che cercano com-plessi accordi — come sta facendo l’Ermitage aMantova — , organizzano esposizioni o spedisco-no le loro opere dietro compenso. I casi che si pos-sono citare sono infiniti. Nello splendore di VillaManin, a pochi chilometri da Udine, prima hannoluccicato i Kandinsky delle collezioni Peggy e Sa-lomon Guggenheim, e poi, sotto il titolo“Love/Hate”, le opere donate al museo d’arte mo-derna di Chicago nel 1967. Costo del prestito diquest’ultime: 250.000 euro.

Ma è il Guggenheim, con le sue diramazioni diNew York, che sogna una nuova mega sede, Vene-zia — dove ormai sembra sfumata l’ipotesi di am-pliamento — e Bilbao, in calo di visitatori, la veramultinazionale dell’arte. In Sicilia la fondazionesta trattando con la città di Palermo per aprire unpalazzo e organizzare mostre, a Modena si è rag-giunto un accordo con la Cassa di risparmio dellacittà, ed è stata appena inaugurata l’esposizione“Action Paintig 1940-1970”. E tra pochi mesi ilGuggenheim sbarcherà alle Scuderie Papali alQuirinale.

In questo tourbillon di quadri, sculture e instal-lazioni, che arrivano e ripartono, s’è inserito, di di-ritto, anche l’Ermitage di San Pietroburgo, che do-po la caduta del comunismo ha problemi finanzia-ri fortissimi. Non ha esitato a inviare in Italia pre-ziose sculture di Canova e delicate tele di Malevic.

IL MUSEO NELLE FOTO SEDI E CAPOLAVORI DEL GUGGENHEIM A NEW YORK, BILBAO, VENEZIA, BERLINO, LAS VEGAS

Il museo globale

PAOLO VAGHEGGI

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

“Cominciamo una collaborazionecon la città che rappresentauno dei massimi templi dell’artee della cultura. Esporremoi nostri capolavori in un luogodi grandissimo prestigio”

creare un itinerario rigoroso e spetta-colare su mille anni di storia e cultura.La parte iniziale sarà dedicata alle ico-ne, che agli inizi della loro storia aveva-no anche dimensioni enormi, per pro-seguire con il periodo di Pietro il Gran-de e Caterina».Non le sembra impossibile raccontare

mille anni di storia attraverso una so-

la mostra?

«Non abbiamo la pretesa di dare un qua-dro onnicomprensivo, ma certamentel’ambizione di realizzare un importantepunto di riferimento ed aprire nuovestrade. Per rimanere nel caso specifico le

cito ad esempio lo spazio che dedichere-mo alle grandi acquisizioni avvenute inRussia nei diversi periodi, attraverso lequali si può delineare lo sguardo di unpopolo nei confronti della grande arteinternazionale. Un ruolo non meno im-portante lo avranno i mercanti di arte, igrandi artisti misconosciuti influenzatida quello che accadeva nel mondo del-l’arte che li circondava, le avanguardie,ed i grandi sconvolgimenti politici».Una delle rivoluzioni che ha apportato

nella sua gestione del museo è quella re-

lativa all’arte che ha commissionato.

«In questi ultimi anni ho intensificato il

rapporto con Richard Serra, che ha rea-lizzato 11 sculture gigantesche per la se-de di Bilbao, Jeff Koons, Jim Rosenquist,Bill Viola e Gerard Richter. Credo che an-che grazie alle loro opere realizzate sunostra commissione sia cambiato dra-sticamente il rapporto tra l’artista, l’isti-tuzione ed il pubblico, e mi auguro che infuturo sia possibile realizzare qualcosadi simile in Italia».Da quando è nata l’idea del Global Gug-

genheim il numero di visitatori ha visto

un incremento dai 450mila annui di 15

anni fa ai quasi tre milioni dell’anno in

corso. Ma c’è chi contesta alcune scelte

come ad esempio le motociclette nella

Rotunda di Wright.

«A chi mi dice di aver elevato a livellodell’arte ciò che è in realtà un mezzo perspostarsi da un luogo all’altro rispondosi tratta di un mezzo che assume spes-so delle forme bellissime, innovative edarmoniche».La sua linea editoriale è stata sin dall’i-

nizio antitetica a quella di altre grandi

istituzioni, come ad esempio il MoMA.

«Io credo che sin dalla sua fondazione ilGuggenheim abbia tracciato una stradadiversa, che si riflette perfino nelle sceltearchitettoniche. Le realizzazioni di Wri-

ght e Gehry sono antitetiche a quello cheè stato proposto anche oggi nella ristrut-turazione di Taniguchi».Si può dire che il MoMA è austero e con-

servatore quanto il Guggenheim è rivo-

luzionario?

«Non posso certamente rispondere per ilMoMA, ma le divergenze si colgono adocchio nudo. Ho citato le differenze ar-chitettoniche perchè la scelta di Tanigu-chi è dichiaratamente “invisibile” rispet-to ad un approccio nel quale l’edificioespositivo ha un ruolo preponderante».La sua linea editoriale sta rivoluzionan-

do l’idea moderna di museo.

«Credo debba rappresentare qualcosadi attivo: può e deve commissionare ar-te, e ha il diritto e il dovere di assumere unruolo propulsivo nella vita di una città edi una società. Non solamente un postoda visitare, ma un luogo vitale che pro-pone e cambia il volto artistico e socialedel paese in cui è situato».Ritiene che ciò sia valido anche per

quanto riguarda questo inizio di colla-

borazione con Roma?

«Siamo ancora in una fase preliminare,ma si tratta di un’ambizione inevitabilee imprescindibile. Questo scambio cul-turale con le istituzioni romane ed il dia-logo che è iniziato su un piano artisticopossono esser utili a cambiare la perce-zione del concetto di “globale”».Lei sta portando a Roma della grande

arte esposta a New York, ma tra i pro-

getti ancora non realizzati c’è una mo-

stra americana dedicata a Canova.

«Continua ad essere un progetto a cuitengo enormemente, per la bellezza concui le sue opere si sposerebbero con laspirale di Frank Lloyd Wright e per unsuo implicito legame con l’America: unadelle sue ultime opere è una statua diGeorge Washington. Ma il dato princi-pale dell’arte di Canova è la sua straordi-naria modernità ed il grandissimo rilie-vo che ha per l’arte contemporanea: perl’attenzione piena di fascino con cui cu-rava i dettagli mi piace definirlo un JeffKoon dei suoi tempi, ma ci sono alcunielementi che anticipano Mapplethor-pe. Ma, al di là del mio entusiasmo, devofare i conti con il fatto che è insensatopensare ad un allestimento newyorkeseche non contempli anche la PaolinaBorghese. Mi rendo conto quanto siadifficile ipotizzare uno spostamento delgenere e in tutta onestà confesso di averdetto a mia volta “no” ad alcuni prestitirichiesti alla nostra collezione. Ma vo-glio sperare: ricordo ancora l’emozioneche provai quando vidi la Pietà di Mi-chelangelo esposta a Queens nel 1962per la Fiera Universale».

Al contempo però sta tentando un’operazione —già realizzata a Londra, Las Vegas e Amsterdam —culturalmente assai più complessa: l’apertura diuna vera e propria filiale.

Un “Protocollo di intesa” è già stato firmato il 27ottobre tra il direttore dell’Ermitage Michail Pio-trovski e il sindaco di Mantova Gianfranco Bur-chiellaro. Il museo statale di San Pietroburgo navi-gherà sul Mincio sulla barca di un’apposita Fonda-zione che gestirà l’accordo e che avrà una sede dirappresentanza con all’interno un centro di studi ericerche sull’arte rinascimentale italiana. Ogni dueanni insieme a Palazzo Te e a un comitato scienti-fico organizzerà una mostra con opere provenien-ti dall’Ermitage. Soltanto il palazzo per ospitare laFondazione comporterà un investimento da tremilioni di euro. Tempi previsti per rendere opera-tivo l’accordo: dodici mesi.

LA FONDAZIONE THOMAS KRENS, DIRETTORE DELLA FONDAZIONE GUGGENHEIM

PEGGY, UNA VITA LEGGENDARIA

Gli occhiali che sfoggia nella copertina del bellissimovolume (Anton Gill, Peggy Guggenheim, BaldiniCastoldi Dalai, pagg.495, euro 25) sono firmati daEdward Melcarth. Figlia di Ben, il meno agiato deiGuggenheim, Peggy nacque nel 1898 e morì nel 1979.Aprì la prima galleria a Londra nel ’38 e la secondadopo quattro anni a New York. A chi le chiese quantimariti avesse avuto, rispose: «Intende i miei o quelli

delle altre?». In realtà ne ebbe due, uno dei quali fu MaxErnst, due figli, numerosi aborti, un numero infinito diamanti tra i quali Duchamp, Tanguy, Brancusi, SamuelBeckett e John Cage. Ebbe anche quattordici cagnolinidi razza Lhasa Apso, seppelliti accanto a lei nelgiardino di palazzo Leoni a Venezia. Soprattuttoè stata la collezionista d’arte moderna più famosadel Novecento. (alessandra rota)

a Roma

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

Musical

Nuova vita per la commedia musicale, che nei paesi anglosassonisbanca da sempre i botteghini dei teatri. Storie spesso semplicima presentate in confezione di lusso e capaci di incantare il mondo

intero. Un genere che adesso diverte e commuove anche il pubblico italiano: gli incassisono più che raddoppiati e i titoli in scena nelle ultime stagioni si sono moltiplicati.Fenomenologia di un successo inarrestabile

Il business della leggerezza

Cosa sarebbe il mondo dello spettaco-lo senza la frizzante futilità del musi-cal: storie a volte sempliciotte, spes-so autentiche pizze ma in confezionitalmente irreprensibili, lussuose esognanti da giustificare i successi

planetari, magnifici cult come Chorus line, Cats,Grease. Perché il musical piace ancora tanto? Cer-to è meno impegnativo del melodramma, di cuiforse è più nipote che figlio. È più glamour dell’o-peretta, di cui è sicuramente una filiazione. Ecci-ta la fantasia come il cinema, di cui è fratello mag-giore. È forse un frullato di tutti questi generi e ha

ANNA BANDETTINI la capacità di assimilare e piegare alle sue esigen-ze ogni tipo di musica: il pop, il jazz, il rock, la me-lodia tradizionale e i ritmi più moderni.

Nei paesi anglosassoni, dove vanta una tradi-zione lunga e radicata, anche oggi, il musical tie-ne allegramente il passo, magari alleandosi col ci-nema con cui scambia sempre più titoli, trionfi,idee. Allora ecco “long runs” come Phantom of theOpera che resiste nelle due capitali Londra e NewYork e presto sarà sugli schermi, o Chicago; sem-preverdi come Fame e Saturday night fever; bestseller come The Lion King dal film Disney, firma-to dall’accoppiata Elton John-Tim Rice; new en-try come Mary Poppins (a Londra, dove ha susci-tato polemiche la decisione di vietare lo spettaco-

lo ai bimbi con meno di tre anni e di sconsigliarloai minori di sette ), o il divertente The Producers diMel Brooks tratto dal film memorabile con ZeroMostel. Se non è il cinema è la letteratura a forni-re idee — Les Miserables è ancora in circolazionea Londra, e The Woman in white dal romanzo diWilkie Collins — o la musica, Mamma miache rifài mitici Abba, Wonderful Town di Leonard Bern-stein (a New York con Brooke Shields), Jailhouserocks su Elvis Presley.

In Italia, due o tre successi alla fine degli anniNovanta (il più eclatante, Greasedella Compagniadella Rancia che tornerà in scena a marzo: oltre unmilione di spettatori dal ‘97), hanno lasciato unsegno: dal 2001 al 2002 gli incassi del musical so-

no saliti del 107 per cento e le rappresentazioni del35 per cento. Un successo in crescita. Per esempioMy Fair Lady diretto da Piparo nel 2001 torna agennaio; la Tosca riscritta da Lucio Dalla o Foo-tloose degli “Amici” di Maria De Filippi resistonosaldamente sulle scene. Tra gli hit si confermanoin questa stagione Notre Dame di Cocciante (oraatteso con Piccolo principe), Rugantino della dit-ta Garinei&Giovannini (470mila spettatori), Va-canze romane con Autieri e Ghini, Pinocchio eCantando sotto la pioggia della Rancia che lanciaanche Tutti insieme appassionatamente dal 12gennaio a Milano. Strategica protagonista: Mi-chelle Hunziker. Forse per assicurare al musical losterminato pubblico delle telefamiglie.

MARY POPPINSI bambini Bankscontinuano ad averebisogno della loro nanny.E anche gli spettatori.Non fosse bastato il filmecco il musical sulla babysitter più celebre delglobo. E sulla più ricca.Ha già guadagnato20milioni di sterlinedalle prenotazioni.Londra, Prince EdwardTheatre, dal 15 dicembre

JAILHOUSE ROCKSUn ragazzo scopre diavere talento musicale einfatti diventerà la piùgrande rock star delmondo. In pratica è lastoria di Elvis Presley inun musical che piùspettacolare di così simuore. Alla fine, ègarantito, tutto ilteatro balla.Londra, Piccadilly Th.Denman Street

Londra

AVENUE QÈ l’ultimo successo diBroadway. Attori epupazzi per raccontarecon ironia la dura vita deitrentenni a N.Y: nientelavoro, soldi zero, sfighevarie. Princeton, fresco dicollege, sbarca pieno disogni nel quartiere diAvenue Q tra squattrinaticome lui.New York, John GoldenTheatre, 252 W45th St.

WICKEDIl musical di StephenSchwartz («The Prince ofEgypt») si candida comemiglior rivelazione dellastagione newyorchese. Èla storia di due streghedella Terra di Oz(vedi «Mago di Oz»).Non mancano ironia egocce di veleno su Bush.Ma è anche per bambini.N.York, Gershwin Theatre222 W 51th St.

New York

NOTRE DAME DE PARISHa già raccolto 10milionidi spettatori nel mondo ilmusical di RiccardoCocciante (musica) e LucPlamondon (libretto).Come nel romanzo diHugo, il gobbo brutto ebuono si innamora dellazingara Esmeralda. Beiballetti, scene grandiosemusiche strappacuore.Roma, Granteatro, finoal 31 dicembre

VACANZE ROMANEPoteva essere un rischio:fare in teatro un film-commedia stampato nell’immaginario collettivo:Gregory Peck chescorrazza AudreyHepburn in vespa per levie di Roma. MassimoGhini e Serena Autieri sisono difesi benissimo.Musiche Porter-Trovajoli.Roma, Teatro Sistinafino al 23 gennaio

Roma

DANSE SINGParigi è la città deimusic-hall. E c’è chiritiene che non esisteCapodanno senza FoliesBergère. “Danse sing” èlo show che celebra 70anni di musica pop conuna troupe di cantanti eballerini del Quebec emolta spettacolarità (450costumi).Parigi, Folies Bergère32 rue Richer

ON ACHEVE BIENLES CHEVAUXProprio quello: «Non siuccidono così anche icavalli?», il romanzo diHorace McCoy che il filmdi Sidney Pollack ha resoceleberrimo a chiunque.Antieroi che si confrontanocon la vita e il doloredi vivere. Con RobertHossein.Parigi, Palais des Congrèsfino al 1 gennaio

ParigiDal cinema alla letteratura, tuttopuò essere tradotto in noteEcco gli show più attesiper queste festività natalizie

ÈLAS VEGAS

come Bob Dylan, sempre in tournée. Il carnet di Elton John èfitto di concerti fino al dicembre 2005. Il suo primo contratto

con il Caesars’Palace di Las Vegas è agli sgoccioli. Ma The red pia-no, lo spettacolo concepito per la capitale del gioco d’azzardo in-sieme al fotografo delle star David LaChapelle, che firma la sceno-grafia miliardaria, ha registrato dal 13 febbraio 2004 una serie im-pressionante di sold out. Tanto che Elton John, 57 anni, dopo unbreve tour in Inghilterra, tornerà al Caesars l’8 febbraio 2005 e ciresterà fino ad aprile inoltrato. E così via, per altri tre anni. Nel frat-tempo ha pubblicato l’album Peachtree Road, e ha scritto due mu-sical che andranno in scena nel 2005, Billy Elliott, a Londra dall’11maggio, e The Vampire Lestat, a Broadway da novembre.

La novità è che per la prima volta Elton ha coinvolto Bernie Tau-pin, il suo paroliere storico, quello di “Your song” e “Candle in thewind”, in un’avventura teatrale. Dopo lo show, nella suite post-moderna che la direzione del Caesars ha arredato per lui (e per ilsuo cocker spaniel Arthur), Elton John è disponibile e rilassato.Una felpa oversize ha preso il posto dell’in-gombrante smoking rosso pieno di paillettes.Neanche gli occhiali hanno lustrini. Le vistosemontature di un tempo sono state vendute auna delle tante aste che l’artista spendaccioneallestisce da Christie’s e dove sono finiti quadri,collezioni di fotografie, abiti e oggetti di arre-damento. Dopo le musiche per “Il re leone”della Disney con le quali si è aggiudicato unOscar per la miglior canzone, e “Aida”, la com-media musicale scritta con Tim Rice ancora inscena a Broadway, sembra che il musical stiadiventando il pane della sua vecchiaia.Come mai ha deciso di portare in scena

“Billy Elliott”?

«La mia storia d’amore con Billy Elliottè inizia-ta nel momento stesso in cui ho visto il film aCannes. Ricordo che durante la proiezionenon riuscii a trattenere le lacrime. La cosa chemi ha colpito di più è la relazione del piccoloBilly con suo padre e la tenacia con la quale coltiva il suo sogno.Quella stessa sera confidai a Stephen Daldry (il regista, che poiavrebbe diretto The hours, ndr) che avrei voluto farne un musicale a Sally Greene, direttore artistico del Victoria Palace, che avreivoluto farlo nel suo teatro. “Chi scriverà le parole?”, mi chiesero.“Potrebbe farlo Lee Hall, che già si è occupato della sceneggiatu-ra”, risposi. Lee ha seguito le mie indicazioni, e ha scritto lirichememorabili, tra cui una canzone incredibile per la nonna di Billy,che nel musical ha un ruolo più importante rispetto al film. Tuttoè ambientato negli anni Settanta. La cosa più difficile è stata tro-vare un ragazzo tra gli undici e i tredici anni che interpretasse laparte del protagonista. In una scuola di canto e ballo di Leeds neabbiamo selezionati tre, perché dobbiamo essere pronti all’eve-nienza che uno si ammali o si assenti per motivi di studio, o ma-gari che la sua voce cambi troppo radicalmente e diventi poco

adatta. Lo spettacolo sarà pronto a febbraio, ma lo presenteremoufficialmente alla stampa a maggio. Sono riconoscente a StephenDaldry di aver accettato di dirigerlo, perché Billy Elliottè prima ditutto una sua creatura. Lo so, è il suo primo musical e adesso è nelpallone. Ma vedrete, sarà un trionfo, il musical del 2005».A meno che l’altro musical al quale sta lavorando non gli

faccia concorrenza...

«Immagino che alluda a Lestat. Andrà a scena a Broadway, dal-l’altra parte del mondo... È un musical tratto da due romanzi diAnne Rice, Scelti dalle tenebre e Intervista col vampiro. E gli au-tori, questa volta, sono una coppia collaudata, Elton John e Ber-nie Taupin. Ci stiamo lavorando già da un anno».Uno spettacolo qui a Las Vegas, un nuovo disco e due musi-

cal. Dove trova il tempo di fare tante cose?

«Ha dimenticato nove canzoni scritte per varie colonne so-nore. In tutto, circa 60 canzoni. È stato l’anno più prolificodella mia carriera. Sono in forma. Da quando ho smesso conla droga e ho incontrato David Furnish (il suo compagno,ndr) ho ritrovato una straordinaria energia».Qual è la difficoltà maggiore che un autore di pop song in-

contra di fronte alla scrittura di una com-

media musicale?

«Prima di tutto, devi lasciare il tuo ego fuoridalla porta. Alcuni numeri vengono elimina-ti, altri esigono aggiustamenti, a volte bisognariscrivere completamente alcune parti. Tutteregole che nel mondo del pop non esistono.Ma questa disciplina ha giovato a Bernie. Hascritto alcune delle sue canzoni più belle».Non male neanche quelle del suo ultimo al-

bum “Peachtree Road”.

«È un cd carico di ottimismo. Una sorta di rea-zione a quel che sta accadendo nel mondo. Al-ludo a canzoni come “All That I’m Allowed” e“Answer In The Sky”, piene di speranza nel fu-turo. All’inizio Bernie Taupin aveva scritto deitesti più pop del solito, ma poi ci abbiamo ri-pensato. Non potevamo, di questi tempi, inci-dere un album così scanzonato. Così abbiamooptato per canzoni più in sintonia col clima po-

litico che stiamo vivendo. La canzone “Weight Of The World”, adesempio, esprime tutta la mia rabbia per la stupida guerra intra-presa da Bush, mentre “My Elusive Drug” parla del mio rappor-to con David, di come l’ho incontrato e di come ho scoperto diamarlo. È un disco pieno di soul, di gospel. E di country». Che tipo di musica ascolta in casa?

«Di tutto. Quando io e David siamo insieme ascoltiamo cosetipo Dinah Washington e Nina Simone. Secondo me Nina èuna delle più grandi artiste del secolo scorso. Fra i giovani?Preferisco John Mayer e Rufus Wainwright, il miglior can-tautore in circolazione. E i Killers. Ho comprato 50 copie delloro Hot fuss e le ho regalate a tutti gli amici».Quale sarà il prossimo passo? Un musical a Las Vegas stile

Cirque du Soleil?

«Mica male come idea».

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

GIUSEPPE VIDETTI

‘‘Le regoleQui valgono regole

che nel pop nonesistono. Ci vuole

più disciplina

I MITICATS

Punta in alto ispirandosi a“Old Possum’s Book of practicalCats” del poeta T.S. Eliot maraggiunge i vertici in tutto ilmondo scalando premi,classifiche e record con lastessa agilità dei gatti di cuiparla. Il musical di A.L.Webberdell’82 racconta l’ascesa di ungruppo di gatti verso il misticoHeavside Layer

A CHORUS LINE

È il musical più visto, piùosannato, più ripreso. È ilmusical dei record. Anno 1975: al Public Theatre di New York,off-Broadway va in scena la storiadi una compagnia di ballerini.In realtà è epica del teatro: faticaindividuale, solidarietà, sognidi chi fa teatro. Successoimmediato. A Broadway stain scena 15 anni

GREASE

Nasce il 14 febbraio del 1971nell’Off- Broadway. Piace più alpubblico che alla critica la storia diun gruppo di ragazzotti dellaprovincia Usa anni ’50, bulli mabuoni, con in testa (solo) grease,brillantina. Danny, protagonista,è stato recitato anche daRichard Gere. Il film con Travoltane ha fatto leggenda. In Italia ciha pensato la Cuccarini

JESUS CHRIST SUPERSTAR

Gesù hippy, libertario e pacifistaresta un mito anche per gli ateipiù incalliti. Era il 1971 quandoil musical di Tim Rice (testi) eAndrew L. Webber (musiche)fece il suo debutto al MarkHellinger Theatre di New Yorkcon Carl Anderson. Successoplanetario. Tradotto in 11lingue, visto in 22 paesi. 100milioni di sterline di incasso

Elton John:per Billy Elliotho sacrificato il mio ego

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

spettacoliMusica e palcoscenico

Muti: e ora vi presentola mia orchestra-cantiere

«Questa non è semplicementeun’orchestra in più. È una manotesa verso il futuro. È un modoper comunicare ai giovani la miaesperienza. È una forma di grati-tudine verso il mio paese e i gran-

di insegnanti italiani con cui sono cresciuto, Anto-nino Votto e Vincenzo Vitale. È un progetto che in-tende affinare le qualità tecniche, interpretative estilistiche dei giovani musicisti, puntando a farnedei professionisti. È una compagine non competi-tiva, che si forma e si scioglie, e che prevede, per isuoi componenti, un periodo massimo di perma-nenza di tre anni. È anche un anello di congiunzio-ne col passato: in gioventù ho avuto la fortuna di la-vorare con giganti della musica quali il pianista Ri-chter e il violinista Francescatti, nomi che per i gio-vani di oggi rappresentano solo un mondo leggen-dario e lontano. Trasmettere questo patrimonio èun dovere etico e sociale e una necessità musicale».

Riccardo Muti parla con trasporto della «sua»nuova creatura, la “Luigi Cherubini”, l’orchestragiovanile di cui ha ispirato e voluto fortemente la na-scita. Domani sera, al Teatro Municipale di Piacen-za, ne guiderà il debutto in una lezione-concerto de-dicata alla Quinta di Ciaikovskij: «Niente a che ve-dere con eventi celebrativi», avverte il direttore, cheha appena trionfato sul podio dell’ultimo Sant’Am-brogio milanese con Europa riconosciuta di Salieri,evento, quello sì, gloriosamente celebrativo, vistoche giungeva a riaprire la Scala dopo una lungachiusura per restauri. «La serata di Piacenza saràpiuttosto una sorta di prova aperta che presenteràal pubblico i giovani strumentisti e cercherà di farcomprendere, in modo istruttivo e coinvolgente,cosa significa il lavoro dell’orchestra».

L’idea fondamentale della Cherubini, formata

da 78 elementi, età media 24 anni, tutti italiani(«perché è importante tenere viva la consapevo-lezza della nostra identità culturale», dice Muti),diplomati nei Conservatori di varie regioni e sele-zionati tramite un lungo lavoro di audizioni, è didefinire una tappa intermedia, di formazione po-st-accademica, tra lo studio e il mondo del lavoro.La sede stabile del nuovo complesso è Piacenza,mentre Ravenna, col suo prestigioso festival, fun-gerà da residenza estiva. L’aspetto gestionale toc-ca alle amministrazioni delle due città assieme al-le Fondazioni Toscanini di Parma e Ravenna Ma-nifestazioni: «È un asse organizzativo importante,che ancora una volta giunge a segnalare la dispo-nibilità culturale e la ricchezza di risorse musicalidell’Emilia Romagna», commenta Muti.

All’attività sinfonica sul grande repertorio laCherubini, che conta sulla consulenza artistica diDominique Meyer, e che sul podio ospiterà, oltreal suo sommo direttore musicale, maestri di cali-bro internazionale come Kurt Masur e Marek Ja-nowski, affiancherà un intenso lavoro sulla musi-ca da camera, perché «la pulizia e gli equilibri chesi cercano nel piccolo gruppo devono riflettersinella compagine orchestrale», spiega Muti. «E siaben chiaro», aggiunge, «non sarà mai un’orche-stra usata in sostituzione di un’altra, come un jol-ly. Avrà un suo cammino, un suo volto e un suoprogramma». Costituendosi innanzitutto come ilconcreto manifesto di una speranza: «Quella chefinalmente, in Italia, cresca il numero delle orche-stre, determinando nuovi sbocchi di lavoro per igiovani. Ogni piccolo centro dovrebbe avere unasua orchestra, un suo coro e un suo teatro attivo,proprio come accade in Germania, in Francia enegli Stati Uniti. Invece noi, pur essendo il paeseche ha più teatri storici al mondo sul suo territo-rio, restiamo indietrissimo. È una vita che lo dicoe non mi stancherò mai di ripeterlo: la cultura nonè un optional, ma un preciso dovere dello Stato».

Debutta a Piacenzacon una lezione-concertola “Luigi Cherubini”,compagine di giovanifortemente voluta daltrionfatore della Scala

TROMA

rentatré anni, 53 chili (dopo esse-re calata fino a 45 per il film Primo

amore di Matteo Garrone), trevigiana,faccia d’angelo, voce dura come il cri-stallo, svezzata a teatro da Luca Ronco-ni e in ditta col regista Valter Malosti dal‘96, Michela Cescon “rischia” di figuraredue volte nei Premi Ubu che verrannoassegnati domani sera al Piccolo Teatrodi Milano. Per la sua prova in Giulietta diFellini con messinscena di Malosti com-pare tra le nomination per la MiglioreAttrice (assieme a Elisabetta Pozzi e Fio-renza Menni), e ha condiviso sempre

con Malosti le sorti dello spettacolo In-verno di Jon Fosse che è tra i candidatiTesti Stranieri. Un fenomeno dell’areadella ricerca e, ora, anche del cinemad’autore, divisa tra la luminosità dellaGiulietta di Fellini e il personaggio scan-dinavo di Inverno. «Sono due personag-gi in cui mi ritrovo», dice la Cescon,«Pensavo mi riguardasse maggiormentela nevrosi, l’animo scattante della don-na ritratta da Jon Fosse, ma ho scopertoche la mia è una maschera con cui af-fronto il mondo».

L’attrice trevigiana si è negli anni co-struita un’identità teatrale forte e decisa,sostenuta da una certa spregiudicatezzanell’uso della voce, «Anche se io preferi-sco parlare di un misto di santità e pecca-

to», aggiunge lei, «con la consapevolezzache non si deve aver paura d’essere felici.Di sicuro, comunque, con l’aiuto di Ma-losti ho messo a frutto l’eccessivo, la par-te vitale di me».

Di sicuro la sua avventura nel mondodello spettacolo si svolge in bilico tra ci-nema e teatro: «Ma non c’è controindi-cazione», sostiene, «Più fai cinema e piùhai voglia di tornare in palcoscenico. Stobene sul set di Quando sei nato non puoipiù nasconderti di Marco Tullio Giorda-na, dove faccio una madre positiva, pen-sando che poi a maggio lavorerò con To-ni Servillo nel progetto teatrale su Il la-voro rende liberi di Vitaliano Trevisan,avendo nel frattempo con Malosti un’al-tra idea per il 2006».

MUSICA

Nozze indiane

per Alanis Morissette

NUOVA DELHI. Non si sa ancoracon chi né quando, ma Alanis Mo-rissette è sicura che si sposerà in In-dia, «il posto più bello del mondo».La musicista, che si trova a Bombayper partecipare agli Mtv Immies2004, ha aggiunto: «Quando sonoqui, mi sento davvero a casa. Nonsto ancora per sposarmi, ma quandodeciderò di convolare a nozze, saràl'India il luogo dove farlo».

CINEMA

La Bellucci psichiatra

in un film di Schumacher

ROMA. Il prossimo film di JoelSchumacher avrà Monica Belluc-ci (nella foto) come protagonista.«Si intitolerà “Centricity” e saràun’opera dark-noir in cui l’attriceinterpreterà una psichiatra», hadetto il regista americano impe-gnato in questi giorni nella promo-zione del film musicale “Il fanta-sma dell’opera”, che uscirà ve-nerdì prossimo.

MUSICA

“Jacko e bimbo molestatoleggevano porno insieme”LOS ANGELES. Colpo di scenanel processo per molestie sessualisu un minore che vede come im-putato Michael Jackson. Le im-pronte digitali della popstar e delbambino che lo accusa di molestiesessuali sono state individuatedalla polizia su un giornale por-nografico sequestrato lo scorsoanno all’interno del ranch Never-land. Se questa prova dovesse es-sere accettata dal giudice, potreb-be diventare un elemento decisivonel procedimento penale a caricodi Jacko. Il processo riprenderà il31 gennaio.

In breve

PAGNY CANTA LE TASSE

PARIGI. La popstar franceseFlorent Pagny, condannato inprimo grado per aver evaso letasse per più di 250 mila euro, hatrasformato il processod’appello in un caso nazionale. Ilcantante ha infatti scritto unacanzone, Ma liberté de penser, incui si descrive come un martire.

SALVATORES ANCORA NOIR

COURMAYEUR. Ancora noir perGabriele Salvatores (nella foto).Dopo “Io non ho paura” tocca a“Quo vadis, baby?”, dal romanzodi Grazia Verasani: una detectiveindaga sul suicidio della sorella.Tra gli interpreti Angela Baraldi.«Sarà un piccolo film, girato inalta definizione». (r.n.)

LEONETTA BENTIVOGLIO

RODOLFO DI GIAMMARCO

Oscar del teatro, doppia nominationalla Cescon “santa e peccatrice”

Michela Cescon

LE PROVERiccardo Muti durante le prove con l’orchestra “LuigiCherubini” al Teatro Municipale di Piacenza

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

i saporiMenu classici

Sana, gustosa, controllata, la costata tornasulle nostre tavole dopo gli anni infaustidi “mucca pazza”. Crescono i consumi in casa e alristorante. Vince la qualità: esibita giovedì alla fieradel Bue Grasso di Carrù, in Piemonte, e in vetrinanelle macelleriedella Val di Chiana

Il riscatto del grasso

LICIA GRANELLO

FILETTOUn taglio che non prediligo. Il sistema ci ha abituato a usarloper comodità, ma non è certo la parte più saporita...Comunque, io lo faccio saltare al sale: scaldo molto beneun’antiaderente, copro il fondo con sale grosso, quando“salta” appoggio il filetto (fette di due etti) e lo girorapidamente dopo qualche minuto. Perfetto

ARROSTOSe parliamo di vitello da latte, si può utilizzare tutto l’animale.A vitello cresciuto, privilegio il cappello del prete (sotto lascapola, interno spalla), oppure il tenerone (continuazionedel roastbeef). Il girello consigliamo di cuocerlo conle verdure per mantenerlo morbido, anche perché lacarne piemontese ha un tasso di grassi più basso

BOLLITOPrima e dopo bisogna bere una tazza di brodo. Io lo facciocon l’acqua oligominerale a basso residuo fisso. Èimportante! Cuocio testina e lingua a parte. Metto a freddo leverdure, la punta di petto e il bianco costato, a bolloreaggiungo il muscolo legato perché non gonfi e mantengai succhi. Sconsiglio lo scamone perché è troppo asciutto

itinerariDario Cecchini è unodei più famosiartigiani macellaial mondo, tanto daessere invitato acucinare in ristorantiprestigiosi. Gestiscel’Antica MacelleriaCecchini di Panzanoin Chianti.

LA VACCA CHIANINATaglia gigante, ha il mantello color latte.Da maggio a novembre vive al pascolo

IL BUE GRASSOStazza grande, soprattutto le cosce.Castrato, è allevato con cereali e fieno

Toscana

LE COLLINE DELLA VAL DI CHIANA Altro distretto gourmand con pochi rivali, se è vero chea sud di Arezzo la campagna disegna una suapersonalissima geografia golosa, tra viti, olivi eallevamenti bovini. Tanta e tale, la qualità espressa, chequando si parla di chianina, prima della val di Chiana sipensa alla mucca… Il percorso si snoda tra colline eprimi contrafforti, a partire dall’impianto medievale diArezzo (dove vale la pena visitare la casa del Vasari,aretino illustre), crocevia di Casentino, Valdarno eChiana. Procedendo in direzione sud, si arriva aCortona, vera capitale della “fiorentina” (che quiovviamente si chiama chianina). Gli allevamenti sonofigli della bonifica della valle, quasi due secoli fa.L’offerta turistica è generosa e molto articolata, tralocande, osterie su fino ai relais con piscina emaneggio. Non dimenticate di acquistare olio, miele e imitici fagioli zolfini del Pratomagno.

I RISTORANTIIL CIPRESSO, viale De Gasperi 28, Loro Ciuffenna(Arezzo). Telefono 0559-172067. OSTERIA DEL TEATRO, via Maffei 5, Cortona (Arezzo).Telefono 0575-630556. Menu da 30 euro, vini esclusi.

L’ALBERGOCASA VOLPI, Via Martini 29, Arezzo. Telefono 0575-354364. Camera doppia con prima colazione a 100euro.

I NEGOZI Macelleria ALDO IACOMONI, P.zza Gamurrini 31,Monte San Savino (Arezzo). Telefono 0575-844098.ENOTECA GUIDI (con mescita), Via Pacioli 44, SanSepolcro (Arezzo). Telefono 0575-736587.

Giorgio Bocca“....Ma sì, mi dica come si fa a Milano o a Torino a fare un buon bollito.”

“Impossibile. Ci vuole un pezzo... grandissimo, da almeno quarantapersone, poca acqua, una lunga cottura a fuoco lento e che la bestia sia diCarrù. Ci venga.” Già, Carrù! Prima, in quel lontano prima, la fiera del

bue grasso, le osterie che aprono alle quattro del mattino e servonominestra fumante di trippa. E bollito.

Da ITALIA ANNO UNO Edizioni Garzanti

CARRU’, PORTA DELLA LANGHECarrù è uno dei più golosi “forzieri del gusto” in Italia,tanto da poterci permettere di scegliere il percorso inbase ai desideri del palato… Concentriamoci sullacarne. Siamo al confine tra la pianura di Cuneo e lecolline: a dividere le due zone, il letto del Tanaro. Larazza piemontese viene allevata tra Carrù a Fossano, inun susseguirsi di ampie stalle. Ma non solo qui. Se nellamedia Langa, infatti, la coltura della vite ha di fattosoppiantato gli allevamenti, la parte alta, intorno aMurazzano (terra di una delle migliori tomepiemontesi), ospita oggi, insieme agli storiciallevamenti di pecore e capre, anche alcune produzionibovine interessanti. Tra un’incursione gastronomica el’altra, fermatevi a Mondovì, piccolo concentrato dicultura piemontese, ricca di testimonianze barocche dipregio ( su tutte, le opere del pittore Andrea Pozzo).

I RISTORANTIMARSUPINO, Via Roma 20, Briaglia (Cuneo). Telefono0174-563888. Chiuso mercoledì e giovedì a pranzo.Menu dai 30 euro, vini esclusi. MODERNO, ViaMisericordia 12, Carrù (Cuneo). Telefono 0173-75493.Chiuso martedì. Menu dai 35 euro, vini esclusi.

L’ALBERGOFORESTERIA PODERI EINAUDI, Borgata Gombe 31,Dogliani (Cuneo). Telefono 0173-70414. Camera doppiacon colazione da 114 euro.

I NEGOZIMacelleria MARTINI, Via Roma 7, Boves (Cuneo). Telefono 0171- 380207. Panetteria NASI, Via S. Libera 16, Val CasottoPamparato (Cuneo). Telefono 0174-351183.

Piemonte

Lo chiamano grasso, ma lui non si offen-de. Anzi. Se a metà ‘800 un casuale in-crocio genetico non avesse prodottouna razza davvero monumentale, so-prattutto nei quarti posteriori, il buepiemontese si sarebbe estinto insieme

all’agricoltura preindustriale. E invece, proprio come per la sorella chianina, il

passaggio dal lavoro alla bistecca è stato — si puòdire? — un colpo di fortuna.

Certo, il destino è sempre quello, infausto. Ma al-meno il bue grasso di Carrù (come quello di Moncal-vo, vicino ad Asti) ci arriva dopo quattro, cinque an-ni di buon fieno e stalla pulita, senza gli stenti del gio-go. Anzi, in tempi di lotta per il benessere animale (inquesto caso a vantaggio della bontà delle carni), nonc’è allevatore che non si coccoli — compatibilmentealle dimensioni — il suo campione. Da esibire gio-vedì, come ogni secondo giovedì di dicembre da qua-si cent’anni, alla fiera del Bue Grasso, quando gli al-levatori scendono in paese con cappello, mantello e“tocau” (il bastone per guidare le bestie), per con-

trattare con i macellai in arrivo da tutta Italia.Appuntamento alle 8, per bere una scodella di

brodo “corretta” col Dolcetto, rito propiziatorio al-la giornata di bollito non stop: un’inesauribile se-quenza di bocconi da gustare col sale e i “bagnet”(verde, a base di prezzemolo, acciughe e aglio, op-pure rosso, base pomodoro, senza dimenticare lamitica Cognà —composta di mele cotogne con pe-re cotte nel mosto — e la salsa di cren).

È la rivincita dell’agricoltura di qualità: meglio

grassi che pazzi. Anche perché qui il grasso è sinoni-mo di carne sana e gustosa, non certo a tasso di cole-sterolo extra. Ed è un’agricoltura che paga: per chi hasaputo investire in qualità, e non in quantità (nienteinsilati, niente allevamenti intensivi, niente ormo-ni…). Ne sanno qualcosa i dirigenti del gruppo Ras,che accanto alle attività vinicole e alberghiere, han-no scelto di investire nell’allevamento di vacchechianine, con ben tre tenute e 1.300 capi di bestiame.Anche qui, disciplinare di allevamento severo e to-

tale rintracciabilità di filiera.Per fortuna, lo scandalo di Mucca Pazza, qualco-

sa ci ha insegnato: lo slogan “poco ma buono” hafatto proseliti, se è vero che i consumi sono inferio-ri a quelli del pre-Bse (anno 2000), ma costanti. Epiù direzionati verso la qualità (il consumo di car-ne biologica nell’ultimo anno è cresciuto del137%), che non significa necessariamente com-prare solo i tagli più pregiati.

Gli artigiani e gli chef più avvertiti, infatti, lottanoda tempo per dimostrare che il vitello non è solo co-scia & lombata, che i cosiddetti tagli poveri possonovantare sapore e proprietà nutritive di pari dignità.Basta che la materia prima sia buona, che i tempi difrollatura siano rispettati (altrimenti la carne è dura),che molti macellai smettano di vendere solo fettinee macinato, in favore di ossibuchi e punte di petto.

Se poi siete degli incontentabili della bistecca,prenotate un posto alla “scuola di ciccia”, che il su-permacellaio Dario Cecchini aprirà in primavera aPanzano in Chianti. Ma attenzione: niente chiani-na. Cecchini da mesi vende solo carni catalane,comprese quelle per la baby-fiorentina (l’unicaconsentita, in attesa che finisca l’embargo), per di-mostrare che l’alta qualità non ha confini.

Carne

Franco Cazzamali,macellaio-cultodi Romanengo,in provincia diCremona, ci guidanella scelta dei taglidi carne giusti peri nostri piattiCazzamati fa partedel presidio SlowFood della carnepiemontese

consigli

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

CRUDITÈLa crudité è la massima espressione della carne. Dobbiamo tenerpresente la materia prima, a cominciare da ciò che si semina pernutrire gli animali… Faccio dei percorsi a partire dalla mousse, con laraschiatura del muscolo, poi preparo la battuta al coltello conil quarto anteriore quindi il carpaccio di coscia,fino al “sushi” con la punta del codone

STRACOTTOTre i tagli preferiti: il tenerone, il cappello del prete, la gallinella (pezzo delmuscolo posteriore sotto lo stinco). Un quarto me lo sono inventato: lostinco posteriore e dimezzato (osso compreso) per mettere inevidenza il midollo, che in cottura si scioglie epenetra nella polpa. Scegliete carni di animali adulti: piùsi va su con l’età e meglio è. Da intenditori

Quando il magrosignificò rinuncia

La memoria del benessere

MASSIMO MONTANARI

L’inno al bue grasso, che ogni annorisuona a Carrù, è carico di sugge-stioni storiche. La memoria corre

a una cultura plurimillenaria, apparente-mente finita (ma forse sta solo dormen-do), che assegnava al grasso valori assailontani da quelli oggi di moda. Una cultu-ra figlia della fame e della paura della fa-me, per la quale il grasso era segno di be-nessere, sicurezza, ricchezza. Una cultu-ra che, nel Medioevo, poteva celebrare ifasti di una città definendola “la più opu-lenta e abbondante d’Italia, e quella ovepiù s’attende a fare che la tavola sia gras-sa e ben fornita”, come Matteo Bandelloscrive di Milano; intanto Bologna era raf-figurata come città felice proprio attra-verso l’uso dell’appellativo “grassa”, co-niato forse nel XIII secolo, che tuttora laidentifica; mentre a Firenze la parte piùricca della borghesia cittadina si autorap-presentava come “popolo grasso”. Que-sta cultura ha attraversato tutta la nostrastoria, proiettando sul grasso (il grassodel cibo e il grasso del corpo) ogni sorta diimmagini positive. Dal vitello grasso dicui racconta la Bibbia (il migliore, quelloda scegliere per la grande occasione) al-l’editto di Diocleziano che, nel III secolo,fissando i prezzi massimi di vendita deiprodotti alimentari, li stabilisce più altiper i tagli di carne grassa, è un susseguir-si di valutazioni merceologiche con evi-denti implicazioni economiche, esteti-che e simboliche. La battuta di Shake-speare, secondo cui “dei magri bisognadiffidare”, sembra tradurla in terminimorali. Gli uomini, come gli alimenti,piacciono grassi — o almeno, “in carne”.

Bella espressione, “in carne”. Ricordale nonne che, quando eravamo piccoli, siinorgoglivano del nipotino “bello gras-so”. Ricorda, soprattutto,che la cultura di cui stia-mo parlando identificavanella carne il cibo “gras-so” per eccellenza.

Certo, altri cibi posso-no essere “grassi”. “Bian-co e grasso” è il formaggiosquisito che un vescovofrancese offre a Carlo Ma-gno per conquistarne legrazie. Grasso può essereperfino il pesce. Ma il grasso è anzitutto eprincipalmente nella carne, e proprio daquesta equivalenza nasce la tradizionaleopposizione fra due modelli alimentari,la dieta “di grasso” e quella “di magro”, ri-gorosamente alternati dal calendario li-turgico e caratterizzati, rispettivamente,dalla presenza o dall’assenza di carne.“Mangiare di magro” è il mangiare diQuaresima, delle vigilie, dei giorni infra-settimanali dedicati alla rinuncia. Dove“magro” è l’equivalente di “senza carne”.All’opposto, “mangiare di grasso” è ladieta carnea. Nei testi di cucina medieva-li, e ancora per tutta l’età moderna, la di-stribuzione della materia e la distinzionedelle ricette segue principalmente questaopposizione di fondo.

Il senso della rinuncia sta nel contene-re il primo desiderio alimentare: la carne,il grasso. “Desiderio” nel doppio sensolatino della parola: “voglia” e “mancan-za”. Spesso la carne mancava, sulle tavo-le popolari. Non la voglia di carne. E digrasso: “Se fossi re, non berrei che delgrasso”, sogna un contadino in un testodel Seicento francese. I signori invece neebbero sempre in abbondanza. La gotta,malattia circolatoria dovuta all’eccessodi cibo e in particolare di carne, in certeepoche storiche fu quasi un segno delprivilegio di classe.

“Mi dia una fettina di carne magra”.Una richiesta come questa, che tante vol-te ci capita di ascoltare nel negozio delmacellaio, qualche tempo fa sarebbe ap-parsa bizzarra. Un incomprensibile ossi-moro. Oggi che la carne si può desideraremagra, il bue grasso di Carrù par quasi ilfossile di una civiltà scomparsa.

L’autore è docente di Storia Medievaleall’Università di Bologna

e di Storia dell’alimentazionealla Sorbona di Parigi

BISTECCAPer legge, si prepara da animali sotto l’anno di età. Ma perché siadecente, i bovini devono avere almeno 16 mesi di vita, meglio se 24.Con il dottor Capaldo, veterinario dell’associazione La Granda, curiamol’allevamento di mucche fino ai 7 anni di età, nutrite col frumento cottosulla stufa a legna. Frollo le carni per quasi duemesi. Costate memorabili

I tagli della carne

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

Beauty farm, vince il fai-da-teLAURA LAURENZI

il corpoVita da spa

Come dedicarsi al culto delproprio benessere fra lemura di casa. Meglio: fra lemura del bagno, trasfor-mandolo in quello che negliStati Uniti chiamano home

spa, una beauty farm domestica. Certo: inostri bagni sono molto diversi da quellidelle riviste di arredamento. E i prezzi perinstallare vasche e macchinari non sonoesattamente popolari, l’angolo sauna re-siste come un vero e proprio status sym-bol, ma alla lunga — se si è vanitosi in mo-do costante o anche se i narcisisti in fami-

glia sono numerosi — i costi possono es-sere ammortizzati. E poi l’idea di homespa è molto elastica. Non c’è bisogno diuna vasca per idromassaggio a due piaz-ze a comandi vocali. Già farsi la ceretta dasole, con la musica giusta, o il pedicurecurativo, o l’impacco drenante alle alghe,magari con il bendaggio, o lo scrub ai salimarini rientra nel concetto di «istituto dibellezza a casa tua». «Siamo stati i primiad anticipare la tendenza e a lanciarequeste linee di trattamenti di tipo profes-sionale, registrando un’impennata divendite. Le donne hanno sempre menotempo, e meno soldi, per andare dall’e-stetista», spiega Carla Volontè, managerdella comunicazione dell’italianissima

Collistar, leader di mercato nei prodottianticellulite. Ma home spa è anche mol-to di più. Per quei pochi che possono per-metterselo. È installare nel bagno di casauna doccia multifunzione con decine digetti, soffioni e bodyspray. A quantopare la doccia che fa solo la doc-cia ormai appartiene alla prei-storia. Quella che costa comequattro stipendi ha l’opzio-ne cascata tropicale ma an-che pioggerellina di pri-mavera, si trasforma inbagno turco, emette va-pore, sventaglia sciabo-late di acqua gelata/bol-lente, è dotata di impian-

to stereofonico, di radio, di telefono viva-voce, di volta con 60 lucine a fibre otticheche con giochi cromatici simulano cielistellati. Facendo la doccia puoi persino

abbronzarti, e se ci credi abban-donarti agli effluvi dell’a-

romaterapia e al morbi-do fluire della cromote-rapia, e intanto sotto-porti a un massaggioplantare. Sembra fa-cile. Ti dicono che ba-sta un metro quadra-to. Puoi sempre sacri-ficare lo sgabuzzinodelle scope. Ti dicono:trasforma il tuo bagno

in una piccola isola di relax. Il relax però èrelativo, attenti all’effetto boomerang:l’impatto con le tecnologie supersofisti-cate e con i display elettronici può rive-larsi stressante. E poi chi comincia non siaccontenta. Prima l’idromassaggio ri-tuale, poi la meditazione sul lettino a in-frarossi, il rullo magnetico per la cervica-le, quello multiplo in legno per le piantedei piedi, la sauna-sarcofago, il percorsoKneipp allestito in corridoio, la poltronache sincronizza la musica con il massag-gio lombare, i sassi caldi, il carbone giap-ponese. E i cd, e i libri, e le videocassettecon le istruzioni, i telecomandi, gli eserci-zi, le regole, la disciplina. Un secondo la-voro prendersi cura di sé.

TERAPIA KNEIPPDoccia con bagno turcomassaggio plantare ecascata cervicale, perla circolazione linfatica

DOCCIA ABBRONZANTEÈ dotata di lampadaa raggi Uva, diidromassaggio edi sauna a vapore

CURARE I PIEDIC’è il set per un pedicureprofessionale esfolianteInclude anche un cdche aiuta a rilassarsi

RULLO MAGNETICOIndicato per dolorimuscolari al collocontiene 20 magnetie funziona a batteria

CARBONE GIAPPONESEPurifica l’ambiente edelimina le tossine, arrivada Tokio: è un donoper arredare il bagno

L’IDROMASSAGGIOPer una home spa interrazzo o in giardino lavasca gonfiabile prontain pochi minuti

MANI PERFETTEIl kit include guanticurativi, crema idratantee istruzioni per lariflessoterapia

PIETRE BENEFICHEDi tre misure, in basalto,si usano calde peril massaggio

Quanto gli italiani hanno spesonel settore cosmetico nel 2003

8.316.000La crescita del mercato italianodella cosmetica nell’ultimo anno

+3.8%L’aumento degli acquisti diprodotti di bellezza in erboristeria

+7.7%La crescita della spesa percosmetici nei supermercati

+8.8%

LETTINO MASSAGGIANTE

A infrarossi, viene dalla lontana Corea,irradia calore, ha funzioni chiropratiche,cura il dolore grazie alle onde di bassafrequenza, stimola la circolazione,genera un benefico campo magnetico,favorisce perfino il metabolismoe l’assimilazione del calcio e del ferro.Più che un lusso

SAUNA PORTATILE

Quasi una sauna da campo, di minimoingombro. È un vero e proprio bagnoturco, la temperatura a 45 gradi e il100% di umidità alleviano i dolorireumatici, stimolano il drenaggiolinfatico, eliminano le tossinee curano l’insonniaAromaterapia con essenze balsamiche

48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

le tendenzeMemoria portatile

La nuova generazione di walkman, telefonini,macchine fotografiche e videocamere ha già invasoil mercato. Sono oggetti che realizzano un sognotecnologico: archiviarecanzoni, immagini, letturee conversazioni, cioè l’esistenza intera,in una scatolada tenere sempre con sé. Sarà il loro Natale

La musica è il meno, l’idea è portarsi lavita in tasca. E riprodurla a comando,magari con un “avanti rapido” sui mo-menti meno entusiasmanti. L’iPod èsolo la faccia più esteticamente at-traente della rivoluzione in atto, che ha

nella moltiplicazione della capacità delle memo-rie digitali la sua premessa. L’uso istituzionale ènoto: tutta una discoteca in una scatoletta 10x6, si-no a 10 mila canzoni in soli 159 grammi. Ma è solol’inizio di ciò che il lettore mp3 di Apple e l’eserci-to di concorrenti che per il momento non riesconoa scalzarne il primato promettono.

Due rapidi conti per capire cosa c’è in ballo. Unlibro di 300 pagine pesa circa 600 kilobyte, poco piùdi un’immagine da 1 megapixel: su un lettore da 40Giga ne entrano oltre 66 mila. La voce, infine, regi-strata a bassa qualità occupa mezzo Mega al mi-nuto: assumendo di dormire 8 ore al giorno e regi-strando tutto il resto in una vita di 80 anni si riem-pirebbero 40 Giga, appunto.

Che sia una cosa serissima a Microsoft se ne so-

no accorti da tempo. E quando non si mangiano lemani per non averli prodotti loro, quei 5,7 milionidi candidi parallelepipedi venduti in tutto il mon-do, lavorano alla SenseCam, che hanno battezzato“la scatola nera dell’essere umano”. Una macchinafotografica che scatterebbe in automatico circa2000 immagini al giorno, da scaricare poi a sera sulpc di casa. Come dire: «Nessuna giornata è da di-menticare». Non a caso dopo aver sbancato con lecanzoni la casa di Cupertino ci prova anche con l’i-Pod Photo, un album infinito e a colori, e da sempreil suo disco fisso può essere usato come archivio discorta dei documenti che si hanno sul proprio com-puter. Alla Duke University, da quest’anno, ne han-no distribuito uno a tutte le matricole, caricato condispense audio di spagnolo e altri compiti: «Adessoogni studente può ascoltare le lezioni alla velocitàpiù giusta per lui, fare pausa o ripetere i passaggi piùdifficili», ha spiegato a Newsweek un’entusiastaprof di lingua. La Sony, che aveva già preso appun-ti, propone il suo Nw-Hd1, la Creative ci prova conlo Zen e altri piccoli lettori crescono. Ma, se la so-cietà di ricerca Npd Group ha fatto bene i suoi cal-coli, la strada è lunga, con la casa di Steve Jobs cheda sola detiene il 92 per cento del mercato.

Se questa delle “memoria portatili” è di gran lun-ga la tendenza più importante della stagione, alme-no un altro paio segneranno il 2005. Sempre più ap-parecchi “ibridi” invadono il mercato: telefoniniche fanno le foto, agende elettroniche dalle quali sitelefona e “personal entertainment center” come ilNexio della Samsung, che ha uno schermo piùgrande di tutti gli altri handheld dove si possonoguardare video e navigare su internet senza fili adalta velocità. Per capire quello che sta accadendo inEuropa adesso, bastava leggere in controluce ciòche avveniva l’anno scorso in Giappone: «Questi te-lefoni hanno 2 megapixel di risoluzione» spiegava-no alla Nec, con un evidente spostamento di piani.Non la durata della batteria o la qualità della rice-zione, ma la ricchezza dell’immagine. E infine siprocederà verso una sempre più spinta unificazio-ne dei media, intesi come i supporti su cui registra-re i dati digitali. Una vecchia fissazione di Sony, cheaveva iniziato con la Mavica, la macchina fotogra-fica che “salvava” sui floppy disk. Adesso si bissacon le videocamere che abbandonano le esoterichecassettine mini dv per il ben più popolare dvd. Ap-pena finito di girare si toglie il disco, ci si accomodasul divano e lo si può rivedere sul televisore di casa.

RICCARDO STAGLIANÒ

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SCATTI SU MISURALa Canon Powershot A95 ha 21 programmi di scattopredefiniti in memoria: basta scegliere quello più adattoal soggetto da ritrarre. Il sensore è da 5 Mpixel. Da 410 euro

ELEGANZA DA TASCHINODesign sottile e affusolato, la Nikon Coolpix 5200 scattaimmagini da 5 milioni di pixel e come quasi tutte le fotocameredella categoria gira anche brevi filmati. Da 325 euro

IMPERMEABILE E ANTIURTOLa Olympus Mju mini da 4 Megapixel è disponibile in seidiversi colori. Il guscio che la protegge in caso di caduta èanche impermeabile. Costa circa 360 euro

Hi-techLa vita in tasca

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IDEO

DALLA TV ALLA STRADACon il Thomson Lyra 2860 si puòregistrare fino a 180 minuti di filmatodirettamente dal televisore. Ma puòessere gestito anche con il computere la videocamera. Costa circa 549 euro

CINEMA TRA LE MANISamsung Yepp YH-999 è una delleultime novità tra i walkman video. Sottile(meno di 21 mm), ha uno schermo da 3,5pollici (9 centimetri) e tiene fino a 40 film.Il prezzo: 599 euro circa

ANCHE PER GIOCAREArchos Gmini 400: nei suoi 20 gigadi disco fisso si può archiviare di tutto:video, musica in mp3, appunti vocalie foto. All’occorrenza è ancheun videogame. Costa circa 360 euro

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NON SOLO MUSICAÈ il nuovo Ipod Photo: fino a 60 gigadi memoria (15.000 brani musicaliarchiviabili) e la possibilità di conservare25mila foto. Il modello più capientedel gioiello di Apple costa 679 euro

BATTERIA RECORDIl lettore di Mp3 Zen Touch della Creativepuò funzionare fino a 24 ore di seguito.Contiene fino a 10.000 brani musicaliin 20 giga di memoria. Prezzo: a partireda 240 euro

DISCOTECA DA PASSEGGIOÈ la risposta di Sony all’Ipod: il lettoreNw-Hd1 raccoglie l’equivalente di 900cd in 20 giga. A gennaio arriverà in Italiail modello Hd3, compatibile con il formatoMp3: costerà 369 euro

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

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QUALITÀ ANCHE PER LE FOTOLa Hitachi Dz Mv580E può registrare direttamente su mini dvdda otto centimetri. Grazie al sensore da 0,8 Megapixelgarantisce foto di buona qualità. Costa circa 900 euro

DIRETTAMENTE SU DVDLa Sony Dcr Dvd-201E salva le immagini su mini dvd. Puòregistrare anche dal televisore, trasformandosi in unvideoregistratore. Il prezzo: circa 1.200 euro

CON DISCO FISSOJvc Gz-Mc200 è la prima videocamera con disco fisso: suisuoi 4GB si può registrare un’ora di video. In più è anchefotocamera. A partire da 1.299 euro

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TELEFONINO TUTTOFAREIl Nokia 6230 registra e riproducevideoclip, scatta fotografie, giraimmagini, legge musica in formatoMp3. I prezzi di mercato partonodai 250 euro

MUSICA CON ALTOPARLANTIIl Motorola E398 scatta fotografiee visualizza video. Ma soprattuttopermette, grazie a due altoparlantistereo, di ascoltare musicain formato Mp3 senza auricolari.Costa circa 300 euro

Mi arrendo. Ce l’ho messa tutta, davvero, ma da solo non ce la faccio ad af-frontarli tutti. Dunque getto la spugna, alzo bandiera bianca, insommagliela do vinta. La mia partita con i gadget hi-tech finisce qui. Non vor-

rei essere frainteso: non sono uno di quelli che hanno sempre guardato a questimiracoli della tecnologia con uno scetticismo snob, quelli che rifiutavano il te-lefonino perché era volgare, sdegnavano le agende elettroniche perché «prefe-risco la carta» e non volevano proprio saperne di usare le email.

Quelli, insomma, che arrivavano ad accettare come estrema concessione ilfax con rullo a carta termica, e si sono convertiti dopo essere rimasti fermi conl’auto guasta in una strada di campagna e hanno dovuto chiedere il cellulare alcontadino, o dopo aver perso la terza agendina di pelle con i numeri privati deiclienti esteri.

No, io sono stato un entusiasta della prima ora. Uno che andava all’Ifa diBerlino o al Ces di Francoforte per scoprire in anticipo quale sarebbe statoil prossimo gradino. Per provare subito il navigatore satellitare portatile, iltelevisore incorporato negli occhiali o il telefonino da polso. Per il piaceredi assaggiare il futuro.

Poi, a un certo punto, le cose si sono complicate. Dopo aver sfornato il vi-defonino, il Dvd, la banda larga, il computer palmare, il masterizzatore, la Play-station e il lettore di Mp3, i produttori di elettronica si sono resi conto di aver giàinventato tutto quello che si poteva inventare. E hanno cominciato a intreccia-re queste meraviglie, a sposarle tra loro, a dar vita a inedite combinazioni.

Alcune sono una benedizione, lo riconosco. Il palmare con telefonino (o te-lefonino con palmare: dipende dai punti di vista) ci ha liberato una tasca dellagiacca e dimezzato il rischio di dimenticare uno dei due aggeggi sul sedile deltaxi. Ma il telefonino che ti fa ascoltare la radio, o l’orologio che legge gli Mp3, oil walkman che scatta le foto digitali, avranno davvero una loro utilità?

I videofonini, poi, hanno complicato definitamente le cose. Una volta c’era-no il Tacs e il Gsm: chi aveva il primo poteva parlare col secondo, e viceversa. An-che oggi, certo, tutti possono parlare con tutti. Ma per usare il videofonino devobeccare uno che abbia un altro videofonino. Se voglio mandare un mms devoaccertarmi in anticipo che il destinatario abbia un telefonino di nuova genera-zione. Se mi salta lo schiribizzo di spedire una foto, devo prima verificare che ilmio interlocutore abbia uno schermino a colori (e non, per esempio, un vecchioglorioso Microtac).

Ci sono palmari che hanno il telefono, la fotocamera, l’accesso al web, l’email,gli sms, gli mms, il word processor, Bluetooth e l’infrarosso. Funzionano dap-pertutto e si connettono persino con la stampante di un hotel di Bangkok, manon riuscirete mai a collegarli con la rete wi-fi di casa vostra (così come il telefo-nino con l’infrarosso non stamperà mai un solo file con la stampante che usa ilsistema Bluetooth).

Gli oggetti si fondono, ma i linguaggi si moltiplicano. L’Ipod di Apple è il piùbello di tutti, però non può leggere i file musicali del sito Microsoft (ultimo capi-tolo della vecchia guerra tra i due geniali giovanotti degli anni Settanta: Bill Ga-tes, l’inventore del Dos, e Steve Jobs, il creatore del Mac). Il videofonino Umtsnon funziona sulla rete Gprs. Il videotelefono Isdn non si connette alla rete Ad-sl. La stampante con lettore Compact Flash si rifiuta di riprodurre le immaginiche la vostra fotocamera digitale registra sulle schedine Memory Stick.

È una babele, almeno per me. Lo direi pure a Bill Gates. Ma come faccio? Glimando un mms su Gprs dal palmare Mp3 col Bluetooth, o gli spedisco un’emailvia Umts dal videofonino a infrarossi col navigatore?

Ma che fatica tenere il passoConfessioni di un ex tecnoentusiasta

SEBASTIANO MESSINA

FORMATO VIDEOCAMERAIl Panasonic X300 ha uno schermoa scatto che rende più facili le ripresedi video. Video e foto possono esserespediti anche a un indirizzodi email. La rubrica contiene oltre 500nomi. Prezzi intorno ai 300 euro

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50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 DICEMBRE 2004

l’incontroFenomeno ritrovato

«IMADRID

o il dolore non sapevoneanche cosa fosse».Non ha più la faccia dapupazzo, Luiz Ronaldo.

A parte i dentoni da coniglio dei car-toon, si direbbe che la sua espressioneabbia preso la piega dei trent’anni (nemancano solo due), lasciando però in-tatto lo sguardo da bambino. La facciadi uno che se gli dici una cosa, ci crede.E se la dice lui, devi crederci. I suoiamici, e tra questi molti compagni disquadra di oggi e di ieri, ne parlano co-me di una persona buona. La bontà diRonaldo è stata una paziente risorsaper reggere quel dolore che lui non sa-peva cosa fosse.

Adesso si muove alla “Ciudad Depor-tiva”, dove si allena il Real Madrid, co-me un faraone. L’assalto dei tifosi vieneequamente diviso tra lui, Beckham, Fi-go, Zidane, Roberto Carlos, Owen. C’èpiù tempo per sé. Anche per raccontar-si. «Sono cresciuto in periferia a BentoRibeiro, sobborgo di Rio, ma non erauna favela. Ho cominciato presto a gio-care, tutto è andato bene, gli infortuninon arrivavano mai». Il suo corpo, evo-cato dai giornali spagnoli come “ma-nada de bufalos”, “mandria di bufali”,possiede la potenza di un carrarmato ela leggerezza di un aquilone. Non si eramai visto un brasiliano così tedesco, eneppure un tedesco così creativo. Glicronometrarono gli scatti durante unapartita, e conclusero che nessun cen-travanti al mondo poteva sollecitare lapropria macchina atletica nello stessomodo, ricevendo simili risposte inquanto a forza, velocità e agilità. Un fe-nomeno di sintesi, prima che di classe.Quasi invulnerabile, come se una scoc-ca d’acciaio proteggesse un cuore diporcellana. Ma un brutto giorno aEindhoven, Olanda, il miracolo s’in-crinò. E il delicato elastico dentro il gi-

nocchio destro di Ronaldo, chiamato“tendine rotuleo”, cominciò a sgan-gherarsi. «All’inizio sembrava una cosanormale, un fastidio che un atleta devemettere in conto, poi non passava. Co-sì mi operarono».

Il dolore aveva cominciato a bussarealla porta del campione, picchiandopiccoli colpi timidi. Ma era arrivato.Nulla, al confronto di quello che sareb-be successo dopo. Molto, consideran-do quello che Ronaldo aveva conosciu-to fin lì. Moltissimo, se si pensa che il ra-gazzone a quel tempo faceva ancora lapipì a letto, gentile rivelazione della suaex moglie Suzana Werner, al secolo“Ronaldinha”, e non riusciva a prende-re sonno senza una lucetta accesa sulcomodino. Il dolore è anche la paura diquello che non si conosce, e che maga-ri neanche esiste. I fantasmi possonofare più male di un ginocchio spaccato.

«Ma le cose andarono a posto, guariiin fretta, ricominciai a segnare». Ronal-do passò a Barcellona, dove Maradonal’avevano fracassato per bene. Ronaldoancora intatto, intangibile. Una cele-bre videocassetta documenta le favo-lose prodezze di quell’epoca, probabil-mente è il miglior Ronaldo di sempre,potentissimo e lieve, magico e mai ec-cessivo: due tocchi e via rombando,senza compiacimenti sudamericani,senza niente di barocco nel suo scatta-re verso la porta e infilzarla in diagona-le, sono tiri che arrivano oltre il portie-re quasi allargando la parabola e la por-ta, colpi millimetrici e per niente ecla-tanti. «Nessuno riesce a terrorizzare ledifese come Ronie quando scatta» dicesir Alex Ferguson, allenatore-istituzio-ne del Manchester United, tra le vitti-me più illustri dell’aquilone travestitoda carrarmato. «Ronaldo parte, e tuttisanno che qualcosa di importante suc-cederà. Un brivido percorre le squadree il pubblico. La gente sente che questoè un giocatore dell’altro mondo».

Quando ancora aveva la faccia da pu-pazzo, Ronaldo non conosceva il verodolore eppure piangeva. Accadde perla gioia a Pasadena, nel ‘94, quando ilBrasile vinse il mondiale contro gli svir-golati rigoristi di Sacchi. Ronaldo eratroppo giovane, appena diciott’anni eneanche un minuto giocato. Ma di luigià si dice, sarà il brasiliano più grandedopo Pelè.

Pianse molto anche all’Inter, nelgiorno dello scudetto perduto, il secon-do per colpa della Juve (il primo si erasbriciolato contro un rigore non visto).Cinque maggio 2002, l’Inter crolla al-l’Olimpico contro la Lazio, i biancone-ri passano a Udine. Ronaldo, in pan-china dal minuto numero 78, frigna co-me una donzella. «Piansi perché misembrava un’ingiustizia, e perché nonero riuscito a evitare la sconfitta».

Però non era ancora quella, la formadefinita del dolore. Il dolore gli abitavadentro, nel solito ginocchio e di nuovoper colpa dell’elastico. «Venni operato,e pensai di avere risolto i problemi».

l’altra, da cemento a cemento sulle gra-dinate. Anche il pubblico aveva sentito,ed era rabbrividito. Ora che ci è tornatoall’Olimpico, esorcizzandolo con ungol dei suoi può finalmente ammette-re: «Questo stadio mi faceva paura. Ciho pensato a lungo prima della partitadi mercoledì scorso con la Roma. Poi,una volta in campo, ho dimenticatotutto». Prima di queste parole però lastrada è stata lunga.

Non sarà mai più un giocatore di pal-lone, si disse dopo quella sera di mag-gio. È già tanto se non resterà un pove-ro zoppo. Ringrazi se potrà camminaresenza il bastone. «Ma io pensai che Gar-rincha era diventato la più grande aladestra di tutti i tempi con una gambapiù corta dell’altra, e dopo una polio-mielite infantile». Adesso sì che il dolo-re è diventato come una casa da occu-pare, senza neanche un istante di tre-gua. Un’altra operazione, il presidenteMoratti che lo coccola come un figlio(poi i figli crescono e mollano i genito-ri, è una storia già vista), la fisioterapiache è un distillato di tortura. «Per mesi,tutti i giorni, mi piegavano la gamba nelpunto esatto in cui si era guastata, noncredo che si possa stare peggio di così».Il male assoluto toglie il fiato e ha un pa-radossale vantaggio: è talmente forteda oscurare ogni pensiero, cioè l’altromale. Ci si concentra in un punto, ci sirannicchia e si lascia fuori il resto. «Nonebbi tempo di chiedermi se sarei torna-to forte come prima, ero troppo presodal fisioterapista».

Dura quasi due anni. Ronaldo smet-te di bagnare il materasso. Il suo voltoperde la sfumatura pacioccona, i linea-menti si tirano come tendini. Nientepiù gossip, niente più rivelazioni dimercato, solo il silenzio della palestra,il cigolare degli arnesi per la rieduca-zione, un millimetro di flessione in piùcome conquista, come quando si trat-tava di rubare lo spazio di prato al terzi-no dell’altra squadra. Quelli erano me-tri, decine di metri. Questi, appunto,millimetri. «Però mi sentivo funziona-re, come un meccanismo che torna amuoversi. E giurai che sarei diventatocome prima, meglio di prima».

C’è un’altra Coppa del Mondo adaspettarlo, stavolta senza arrivarcitroppo presto. Semmai, troppo tardi.Nel ‘94, Ronaldo aveva pianto perchéescluso dalla sua stessa gioventù. Nel‘98, a Parigi, aveva rischiato di morire ilgiorno della finale contro la Francia: ilgrande mistero mai chiarito, la crisiconvulsiva per eccesso di farmaci, oreazione allergica o chissà che. Il suocompagno di stanza, oggi compagnoanche al Real Madrid, il difensore Ro-berto Carlos, lo vede stramazzare con labava alla bocca e comincia a urlare «Ro-nie sta male, Ronie muore!». Accorronoil medico, l’allenatore, i compagni. Losalvano tirandogli fuori la lingua dallagola. Gioca, non gioca, sul primo fogliodelle formazioni di Francia-Brasile ilsuo nome non c’è. «Ha preso una me-

Qualche mese di assenza, qualche po-lemica sui viaggi in Brasile con ritornoritardato, l’Inter senza di lui traballa,c’è la necessità di fare in fretta. «Ma ri-spettammo i tempi. Quando tornai incampo a Roma, mi sentivo guarito». Ec-co la sera del dolore, anche se Ronaldonon lo sa. Qualcosa di simile al male diEindhoven, quello del secondo inci-dente e del secondo bisturi, però molti-plicato dieci. Lui che cade da solo, chesi rompe come un bicchiere lasciatosull’orlo di un tavolo e precipitato sulpavimento. L’urlo, terribile. Il primopiano scavato dalla telecamera, unostrazio capace di cancellare i soldi gua-dagnati, i privilegi, i gol catturati, le co-se vinte. In quel momento, esistono so-lo un ragazzo e il suo colossale strazio.«Mai provata una cosa del genere, misembrò che dentro la gamba fosseesplosa una bomba». Era l’elastico, an-cora lui. Strappato, sballato. Da rico-struire. Ci sono parecchie immagini diquell’incidente, e colpiscono le faccedegli altri giocatori. Le facce di chi haappena guardato quel ginocchio mol-le, di chi ha soprattutto sentito l’urloandato a rimbalzare da una curva al-

dicina, è stato male» racconterà Ronal-dinha in tribuna, poi arriva un secondofoglio e stavolta in attacco si legge Ro-naldo e non Edmundo. Ma Ronie vagacome un ebete, non tocca palla e il Bra-sile perde. Ancora lacrime. E quandorientra in patria, scende la scaletta del-l’aereo con passo di zombie. Ora Ro-naldo tornerà a Parigi per sposarsi in uncastello, il 14 febbraio 2005. Lei si chia-ma Daniella Ciccarelli, ha 25 anni, èbrasiliana, fa la modella. Morire, spo-sarsi. Laggiù. Alla faccia della scara-manzia. «Nel ‘98 mi presi una pauraenorme, ancora adesso non so cosa siaaccaduto. Ma non sono superstizioso,e poi Parigi è bellissima».

Il terzo mondiale, dunque. Corea eGiappone. Luiz Ronaldo corre, machissà se dentro l’involucro c’è davverolui. I gol arrivano, il centrattacco sem-bra proprio guarito. Non ha paura discattare, né di colpire o essere colpito.«Gli avversari non mi trattavano concautela, segno che anche per loro c’erodi nuovo, e non meritavo compassione.Fui felice quando me ne accorsi». Ro-naldo gioca benissimo, sembra di nuo-vo intoccabile dal male. In finale segnadue gol ai tedeschi, piange ma stavoltasono lacrime belle. «Vincere la Coppa èmeglio che fare sesso, perché quellopuò succedere sempre, questo no», di-ce in conferenza stampa. Cambia don-na, e squadra. L’Inter lo cede al Real Ma-drid, i medici spagnoli lo trovano un po’“gordo”, grasso, e gli preparano unadieta speciale. Si fa dell’ironia sul cic-cione più forte al mondo, ma chi ha co-nosciuto le tenaglie del fisioterapistanon può temere le tabelle del dietologo.I chili vanno, i gol restano. «In Spagnasto bene, il Real è una squadra di cam-pioni, io sono come gli altri, mi chiedo-no quello che so fare, non i miracoli male reti». Non deve più essere il bambinoperduto, e neppure l’adulto sofferente.Non può più dire di non conoscere il do-lore, ma è così proprio perché l’ha co-nosciuto. Ne ha sostenuto lo sguardo.

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MAURIZIO CROSETTI

Il campione con i dentoni da coniglioe la faccia da cartoon è cresciuto.Èdiventato un uomo scoprendo ildolore. Il ginocchio in mille pezzi,

la lunga agonia traospedali e palestre.La paura di morire inFrancia. Poi la rinascitanel mondiale giapponesee in Spagna con il Realdove finalmente lotrattano come uno deitanti. Il campione ora sacos’è la sofferenza e per

batterla definitivamente ha decisodi tornare a Parigi. Per sposarsi

Ronaldo

Gli ripetono che nontornerà mai quellodi prima e lui siconsola pensandoa Garrincha,il fuoriclasse con unagamba più cortadell’altra

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