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schermo con la mappa della Penisola collegato a migliaia di termi- nali, simile al radar di una nave. A ogni piccola scossa una luce rossa s’accendeva nel punto giusto del display e un organo modulava le prime note della Quinta di Beethoven. Abruzzo, magnitudo 2,4. Monti della Sila 2,0. Irpinia 1,5. Jonio al largo di Siracusa 1,8. Gli scric- chiolii della Terra, diventando musica, disegnavano un itinerario perfetto dalla Sicilia al cuore dell’Appennino e oltre. La mia strada. A fulgure et tempestate, a peste fame et bello libera nos Domine, a flagello terrae motus libera nos… Pioggia pesante, raffiche, lampi nella spruzzaglia. Dalla burrasca riemergono litanie dimenticate, pezzi di antiche rogazioni contro tempeste e terremoti, e intanto la nave entra rollando nel cuore del Tirreno, tra il quarantesimo e il trentanovesimo parallelo. Nessun’isola in vista; Ustica e Eolie sono lontane, mentre il ferry buca un grigio sipario ed entra nel monsone. Cosa c’è sotto questo mare nero? Me lo sono sempre chiesto sul- la rotta della Sicilia. Ora so darmi una risposta. Ho con me una carta geologica, la mia carta. Me l’ha data un grande geologo, Renato Fu- niciello, un elfo gentile del Profondo. Una mappa dai colori magni- fici: violetto per i graniti, rosso per i vulcani, grigio per i tavolieri cal- carei. Mostra spinte, scavalcamenti, fratture, derive e impressio- nanti collisioni. Sotto la superficie del mare disegna un altro mondo fatto di scarpate, valli, canyon, tavolati, catene montane. (segue nelle pagine successive) PAOLO RUMIZ TRAGHETTO NAPOLI-PALERMO « C i fu un vento grande e gagliardo, tale da scuo- tere le montagne e spaccare le pietre, ma il Si- gnore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel ter- remoto. Dopo il terremoto ci fu il fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu una brezza leggera e, non appena sentì questo, Elia si coprì la faccia col mantello e uscì». La Bibbia, libro primo dei Re, XIX, 11. Notte di mare grosso, scirocco, luci di Sorrento a poppa. Il tra- ghetto Napoli-Palermo arranca tra nubi compatte come montagne. Fulmini ciclamino, verdi, azzurrini; ma sul parapetto, a godersi la lu- minaria, non c’è quasi nessuno. Un viaggio nuovo comincia, nell’I- talia degli abissi, dei vulcani e degli antri dove nascono i terremoti. Una storia di terra, acqua e fuoco che stavolta parte dal profondo Sud, il cuore del Mediterraneo. Uno spazio dove forze tremende si confrontano a profondità inimmaginabili. Cinque-seicento chilo- metri. Più che in California e Giappone, che pure sono le terre più in- stabili del pianeta. L’ho sentita, prima di partire, la voce del Profon- do, all’istituto di geofisica e vulcanologia, l’Ingv di Roma. Un mega- DOMENICA 2 AGOSTO 2009 D omenica La di Repubblica i sapori La moda dei cocktail a tutto pasto LICIA GRANELLO e MICHELE SERRA l’incontro Yoko Ono: “Sì, sono una strega” CLOE PICCOLI spettacoli La nuova commedia all’italiana CLAUDIA MORGOGLIONE e GABRIELE SALVATORES le storie Giacu Cayenna, Papillon del Monviso MASSIMO NOVELLI cultura Gallimard, un secolo di capolavori DARIA GALATERIA e ROGER GRENIER l’attualità Le voci della Chiesa del silenzio LEONARDO COEN ILLUSTRAZIONE DI ALTAN Il nuovo viaggio di Paolo Rumiz tra abissi,vulcani, antri dove nascono i terremoti Italia sottosopra Repubblica Nazionale

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schermo con la mappa della Penisola collegato a migliaia di termi-nali, simile al radar di una nave. A ogni piccola scossa una luce rossas’accendeva nel punto giusto del display e un organo modulava leprime note della Quinta di Beethoven. Abruzzo, magnitudo 2,4.Monti della Sila 2,0. Irpinia 1,5. Jonio al largo di Siracusa 1,8. Gli scric-chiolii della Terra, diventando musica, disegnavano un itinerarioperfetto dalla Sicilia al cuore dell’Appennino e oltre. La mia strada.

A fulgure et tempestate, a peste fame et bello libera nos Domine, aflagello terrae motus libera nos… Pioggia pesante, raffiche, lampinella spruzzaglia. Dalla burrasca riemergono litanie dimenticate,pezzi di antiche rogazioni contro tempeste e terremoti, e intanto lanave entra rollando nel cuore del Tirreno, tra il quarantesimo e iltrentanovesimo parallelo. Nessun’isola in vista; Ustica e Eolie sonolontane, mentre il ferry buca un grigio sipario ed entra nel monsone.

Cosa c’è sotto questo mare nero? Me lo sono sempre chiesto sul-la rotta della Sicilia. Ora so darmi una risposta. Ho con me una cartageologica, la mia carta. Me l’ha data un grande geologo, Renato Fu-niciello, un elfo gentile del Profondo. Una mappa dai colori magni-fici: violetto per i graniti, rosso per i vulcani, grigio per i tavolieri cal-carei. Mostra spinte, scavalcamenti, fratture, derive e impressio-nanti collisioni. Sotto la superficie del mare disegna un altro mondofatto di scarpate, valli, canyon, tavolati, catene montane.

(segue nelle pagine successive)

PAOLO RUMIZ

TRAGHETTO NAPOLI-PALERMO

«Ci fu un vento grande e gagliardo, tale da scuo-tere le montagne e spaccare le pietre, ma il Si-gnore non era nel vento. Dopo il vento ci fuun terremoto, ma il Signore non era nel ter-

remoto. Dopo il terremoto ci fu il fuoco, ma il Signore non era nelfuoco. Dopo il fuoco ci fu una brezza leggera e, non appena sentìquesto, Elia si coprì la faccia col mantello e uscì». La Bibbia, libroprimo dei Re, XIX, 11.

Notte di mare grosso, scirocco, luci di Sorrento a poppa. Il tra-ghetto Napoli-Palermo arranca tra nubi compatte come montagne.Fulmini ciclamino, verdi, azzurrini; ma sul parapetto, a godersi la lu-minaria, non c’è quasi nessuno. Un viaggio nuovo comincia, nell’I-talia degli abissi, dei vulcani e degli antri dove nascono i terremoti.Una storia di terra, acqua e fuoco che stavolta parte dal profondoSud, il cuore del Mediterraneo. Uno spazio dove forze tremende siconfrontano a profondità inimmaginabili. Cinque-seicento chilo-metri. Più che in California e Giappone, che pure sono le terre più in-stabili del pianeta. L’ho sentita, prima di partire, la voce del Profon-do, all’istituto di geofisica e vulcanologia, l’Ingv di Roma. Un mega-

DOMENICA 2 AGOSTO 2009

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

La moda dei cocktail a tutto pastoLICIA GRANELLO e MICHELE SERRA

l’incontro

Yoko Ono: “Sì, sono una strega”CLOE PICCOLI

spettacoli

La nuova commedia all’italianaCLAUDIA MORGOGLIONE e GABRIELE SALVATORES

le storie

Giacu Cayenna, Papillon del MonvisoMASSIMO NOVELLI

cultura

Gallimard, un secolo di capolavoriDARIA GALATERIA e ROGER GRENIER

l’attualità

Le voci della Chiesa del silenzioLEONARDO COEN

ILL

US

TR

AZ

ION

E D

I A

LT

AN

Il nuovo viaggiodi Paolo Rumiztra abissi,vulcani,antri dove nasconoi terremoti

Italia sottosopra

Repubblica Nazionale

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 AGOSTO 2009

la copertinaItalia sottosopra

del Belpaese

Storie di terra, acqua e fuoco. Taccuini dal sottosuolo,dove forze tremende si scontrano e si tramutano in vulcani,terremoti, tsunami. Ma anche racconti di pirati e naufragi,neve d’estate e estati roventi, santi e paure da fine di mondoComincia qui il nuovo viaggio di Paolo Rumiz

(segue dalla copertina)

Sul parapetto c’è una donna che fuma, spettinata, occhi scuri.È incantata dalla mappa delle meraviglie. Le dico: «Ecco, noisiamo qui», e metto l’indice su uno spazio butterato da segnirossastri, i vulcani sommersi. Triangolini appoggiati a linee si-nuose disegnano un gorgo di forze bestiali. L’Adriatico spin-ge forte a nordovest portandosi dietro Puglia e Gargano, e la

Calabria emigra verso la Grecia di qualche millimetro l’anno, quanto ba-sta per imprimere alla Penisola un moto rotatorio attorno alla Liguria. Sia-mo su un pezzo di mondo dove Dio ha voluto che Bello e Terribile s’in-trecciassero più a fondo che altrove.

Onda lunga, oleosa. Traghetto inclinato sulla destra. Sulle murate, pas-seggeri pallidi per la nausea. Non sanno di passare su un fondale di 4500metri, vecchio fino a sette milioni di anni e popolato di gigantesche catte-drali. Racconto dei vulcani sottomarini. A nord il Palinuro, così a filo d’ac-qua che anche un sub potrebbe vedere le sue fauci aprirsi in mare aperto.A ovest il Vavilov, un bestione più grande dell’Etna, trovato dai russi in pie-na Guerra fredda. Dicono che a scoprirlo sia stato un sommergibile in mis-sione segreta, che seppe infilare il Bosforo come la cruna di un ago, in im-mersione, sotto una fila di navi da carico. Una storia da Ventimila leghesotto i mari.

Ma il più grande di tutti è un gigante come l’Ararat che sta settanta mi-glia a est, all’altezza della Calabria. Sui fianchi ha colate di basalto fresco ecristalli di zolfo, così nessuno sa dire se sia davvero in letargo dopo sette-centomila anni di attività. Mezzo secolo fa la sua scoperta dischiuse im-mensi orizzonti alla nuova oceanografia esplorativa. Leggendario il no-me: Luigi Ferdinando Marsili, un bolognese vissuto fra il Sei e il Settecen-to, fondatore dell’oceanografia moderna. Una vita da romanzo, dimenti-cata dai libri di scuola. Me l’ha raccontata Stefano Magnani, uno storicoche ha ricostruito anche la storia del greco Pitea di Marsiglia, scopritoredella mitica Thule.

Sentite che epopea. Marsili studia medicina, astronomia, lettere. Va in

missione a Costantinopoli per conto della Repubblica di Venezia. Impa-ra il turco e scopre che il Bosforo ha due correnti, una calda e una fredda.Fa carriera nell’esercito asburgico, difende Vienna dall’assedio ottoma-no e viene fatto prigioniero. Disegna i confini tra i due imperi dopo la pa-ce di Karlowitz, esplora il Danubio e gli dedica nove affascinanti volumi inlatino. Pubblica ad Amsterdam la Storia fisica del mare. Lascia le catenedella sua prigionia turca all’università di Bologna, dove stanno ancora,nella facoltà di geologia.

Italia. Non esiste paese che viva un intrico così affascinante di scienza,mito e storia, eventi del sottosuolo e di superficie. Non c’è California chetenga. Si narra che il greco Empedocle, per capire un’eruzione, si buttò acapofitto nel cratere dell’Etna, il quale ne risputò solo i calzari. L’arrivo diAnnibale in Italia fu annunciato da grandi scosse e Polifemo il ciclope vis-se in un antro sotto il gigante etneo. Sibille a non finire abitarono nei re-

cessi delle nostre sismiche montagne e ancora oggi, a Sessa Aurunca, sot-to un vulcano spento, il Venerdì Santo le confraternite alzano un cantochiamato Tremuoto.

Il ferry brancola nel buio, viaggia su vulcani sommersi già descritti daPlinio il Vecchio. «Ante nos et iuxta Italiam inter Aeolias Insulas... Primadella nostra epoca emerse un’isola in mezzo alle Eolie e così pure nei pres-si di Creta. Una era lunga 2500 passi e provvista di fonti calde; un’altra ilterzo anno della 163ma olimpiade (126 avanti Cristo) davanti all’Etruria,bruciante questa di un soffio violento, e si tramanda che chi si cibò dei pe-sci che in gran quantità fluttuavano intorno a quella, immediatamentemorì».

So di entrare nella grotta del Minotauro, e per questo prima di partireho cercato dei maghi che mi dessero un filo d’Arianna. Geologi, vulcano-logi, storici dei terremoti, sismologi, geofisici. In Italia sono un esercito:entusiasti e spesso frustrati dalla sordità della politica. Li ho cercati, ed es-si mi sono venuti in soccorso pieni di storie e raccomandazioni, felici chequalcuno facesse quella strada. Li rivedo uno per uno nella pioggia del Tir-reno, con in sottofondo le note della Quinta di Ludovico van Beethoven.

Personaggi impagabili, da cui ho imparato mille cose. Per esempio chela “Padania” è — udite — geologicamente Africa, mentre l’Italia meridio-nale è quasi tutta Europa. Ho appreso che, nello scontro fra le due, il Tir-reno si espande e lo Jonio s’accartoccia, facendo partire una linea inquie-ta che scuote Grecia e Turchia. Ho saputo che la Sardegna è immobile co-me la Siberia e le Isole Eolie non sono affatto sette ma molte di più, perchéhanno sorelle sommerse, vulcani dai nomi greci come Eolo, Alcione, Si-sifo e i gemelli Lametini.

Ho con me un piccolo vangelo etiope su pergamena, annerito dal fu-mo di candele e intriso dell’odore di mille mani. Contiene l’immagine diSan Giorgio — il più grande dei santi d’Oriente col barbuto Nicola — chepianta una lancia nel drago per ricacciarlo sotto terra. Guardandola misento sollevato, la paura dell’abisso mi passa per magia. Ma poiché la pru-denza non è mai troppa, amici napoletani, appena saputo del viaggio, mihanno regalato un cornetto di corallo rosso, contro ogni tipo di scalogne.

«Lo sai cosa vuol dire disastro?» chiede la passeggera con cui ho chiac-chierato sul parapetto. «È la mancanza di stelle che spaventa i naviganti.Vuol dire andare senza gli astri che indicano la strada. Come stanotte sulTirreno». Resto sorpreso, è strano che non ci abbia mai pensato. «E poi c’èla parola rischio. Quella non la indovini mai più. Si racconta che, per bat-tere la concorrenza, i commercianti d’Oriente anziché navigare sulle co-ste puntavano al largo quando spirava il vento potente, che in persiano sidice “Ruzgar-i kuvve”. Ma poiché quel vento era pericoloso e talvolta cau-sava naufragi, la frase «prendere il Ruzgar», udita dagli italiani, divenne«prendere il rischio».

Soffia, colpi forti alle murate, il mare è in preda a un mix di scirocco e li-beccio, un pulviscolo umido mi è entrato fin nella camicia. Torno nel sa-lone dormitorio, abbasso lo schienale della poltrona, ma il sonno non vie-

PAOLO RUMIZ

Viaggio negli abissi

Notte di mare grosso, scirocco...Il traghetto Napoli-Palermo arrancatra fulmini ciclamino. Mi sono semprechiesto cosa c’è sotto quest’acqua nera

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 2 AGOSTO 2009

ne. Sono stanco già prima di cominciare; forse sento sulle spalle la faticadi aver tentato di colmare in poco tempo il buco nero di una gigantesca ri-mozione sul tema. Per dieci giorni ho ascoltato a bocca aperta dai Maghiinquietanti meraviglie sull’Italia nascosta, ho riempito taccuini su tac-cuini dicendo a me stesso: non è possibile che non sappia. E invece nonsapevo.

«Gli italiani non sanno — mi dicevano con un lampo ironico i dottoridel Profondo — e quel che è peggio preferiscono non sapere. Parlare dieruzioni o di terra che trema porta scalogna, imbarazza i politici, rovina ilgioco ai palazzinari, inorridisce gli operatori turistici, ti mette contro glioperatori dell’effimero». Così pochi sanno che la Padania non è affatto im-mobile perché, sotto le alluvioni del Po, Africa ed Europa si scontrano. Enessuno vi dirà che a Rimini nel primo Novecento son venuti giù degli al-berghi e quarant’anni prima la torre dell’orologio era stata segata via do-po un botto che l’aveva resa instabile.

Guai a dire che l’Italia balla. Ti danno del catastrofista. Così si cancella-no anche le prove. In Friuli gli archivi della segreteria per il terremoto del1976, che firmò l’unica ricostruzione “virtuosa” d’Italia, sono stati salvatidal macero solo grazie a una pattuglia di cittadini di buona volontà. A Mes-sina per il centenario del 1908 è arrivato il top della scienza mondiale a par-lare del futuro degli Stretti, ma i politici locali se la sono squagliata appe-na dopo l’inaugurazione. E che dire della Protezione civile, nei cui scanti-nati dormono montagne di volumi divulgativi che nessuno pare inten-zionato a dare alle scuole.

Disturba ricordare che Ischia si è sollevata di ottocento metri in trenta-mila anni, che Messina s’abbassa a ogni scossone e Reggio Calabria si al-za a vista d’occhio. E che dire di Bologna, che sprofonda nell’indifferenzagenerale, causa il saccheggio delle acque padane. In Veneto il Montellolievita misteriosamente a velocità doppia rispetto alle Alpi, e Pozzuoli si ègonfiata di un metro e mezzo in pochi mesi, al punto da rendere indi-spensabile un nuovo molo traghetti per Ischia. E poi vulcani, caldere, fan-ghi, gas, soffioni, fumarole, giacimenti di idrocarburi. Buchi dappertutto,come un formaggio Emmental. «Ma tu fai l’Italia sottosopra!» ha escla-mato l’amico Valerio Fiandra, compagno triestino di tante conversazio-ni, fornendomi da par suo il titolo della storia.

Rumore di argani, odore di vernice, il ron ron dei motori si fa irregola-re, dall’oblò entra la luce di un’alba piovosa. Palermo è vicina, i passegge-ri si riversano sul ponte a guardare la linea esangue della terraferma — fer-ma si fa per dire — col Monte Pellegrino che emerge come una verruca sul-l’onda lunga delle alture di Partinico e della Piana degli Albanesi. Preparoil sacco, pieno di libri e appunti. Per la prima volta ho un piccolo compu-ter, per leggere la topografia dei luoghi attraverso le immagini satellitari.

Il pontone si abbassa sull’isola degli dei. Luce gialla violenta, odore distoppie bruciate e bouganvillee, pane fresco e immondizia. Cani abban-donati pattugliano la banchina, sorvegliano le porte dell’Ade. Appoggiole suole su una pietra porosa che ha assorbito millenni di sangue, escre-menti, polvere, incenso. Poco lontano, la corriera per Trapani, da dove inserata salpa il ferry per Lampedusa, inizio di questo lungo viaggio versoNord. «Scirocco forte», annuncia il conducente, «forse stasera la nave non

parte».Un tipo di Alcamo seduto accanto vede le mie mappe e attacca discor-

so. È minuto e olivastro. «Siete geometra?». No, dico, vado a caccia di vul-cani e terremoti. Il siculo ne approfitta e chiede qual è il santo che proteg-ge meglio dai crolli. Al Sud i santi non possono batter fiacca: se non aiuta-no, vengono sostituiti. A San Cono, sui Peloritani, il protettore — o megliola sua statua — viene letteralmente sbattuto con la testa sui muri delle ca-se che non ha saputo tenere da conto. Altri che non hanno portato la piog-gia vengono schiaffati in acqua o puniti con un pesce salato in bocca. Di-co: il meglio contro le scosse pare Sant’Emidio da Ascoli. Sul Continentelo vogliono tutti. «E Padre Pio?». Rispondo che no, quello c’entra poco.

Si parte. Vorrei dormire, ma il siculo fa domande come una trivella.Quando ha un’idea abbastanza completa della mia avventura, trae le sueconclusioni e paternamente avverte: «Ma che ci andate a fare... La gentese ne fotte anche se la informate… Preferirà sempre un telefonino nuovoo un bell’idromassaggio a una casa fatta ‘bbene».

Ha ragione lui, lo so bene. Siamo uno strano paese dove si muore perscosse da niente e dove si fanno ronde anti-immigrati anziché prender-sela con i costruttori disonesti. Ma che importa, la sfida è magnifica. At-torno alla terra che ribolle, trema, erutta, frana e genera maremoti, si in-trecciano infinite altre cose: incursioni piratesche, estati roventi e nevica-te fuori stagione, naufragi, guerre, invasioni, fortunali, processioni e pau-re da fine del mondo. L’inferno, il fuoco che cova, l’antro di Efesto, la ter-ra che si spalanca e ti inghiotte. Un pentolone pieno di ex voto e sensi dicolpa, presagi e scongiuri, litanie e filastrocche, persefoni e nere madon-ne. Un cratere che ribolle di implicazioni economiche, sociali, religiose edi malaffare.

È chiaro: non ho davanti a me un viaggio nello spazio, ma nel tempo.Un nodo gigantesco. Il Grande Sommerso della coscienza nazionale, il si-smografo delle nostre paure e delle nostre rimozioni, ab insidiis diaboli,ab omni malo libera nos Domine.Ma sono figlio di una terra che trema, leappartengo, e voglio vederci dentro. Entrarci, con la mia lampada di Ala-dino. La corriera va silenziosa in un mare di vigne, tra pale eoliche inspie-gabilmente ferme nel vento e altri branchi di cani perduti.

1. continua

IL VIAGGIO

Comincia oggi sulla Domenica di Repubblicae proseguirà ogni giorno per tutto agosto nelle paginedi R2 il viaggio di Paolo Rumiz in un’Italia che trema,

erutta, ribolle. Un’avventura che parte da Sud, nelle terrepiù instabili della Penisola, e prosegue verso l’Abruzzosulla linea di scontro tra forze oscure, fino alla barriera

delle Alpi. Nella fase preparatoria del viaggio ci sono stateutili numerose persone: Renato Funiciello, Livio Sirovich,

Gianluca Valensise, Giordano Ferrari, MassimilianoStucchi, Maria Silvia Codecasa, Franco Maranzana,

Romano Camassi, Giovanni Orsi, Paola Albini e RenzoBoschi, capitano di lunghissimo corso della sismicaitaliana. Un grazie speciale a Emanuela Guidoboni,

che ha rovistato in polverosi manoscrittiriversandoci valanghe di notizie

L’ILLUSTRAZIONEVeduta dell’eruzionedel Vesuvio del 1779di Sir William Hamiltontratta dal libroLes fureurs du Vésuve,GallimardIl disegno di copertinaè di Altan

Repubblica Nazionale

l’attualitàLibertà di culto

MOSCA

«Dio torna nelle scuolerusse, l’ora di reli-gione è stata ripristi-nata. Ma la felicità e

la soddisfazione di questo ritorno alla norma-lità non ci debbono far dimenticare ciò che èstato. La sofferenza e il martirio di chi professa-va e praticava la fede negli anni del comuni-smo, la chiesa del silenzio, la liturgia senza pre-ti, o quella clandestina dei pastori pellegriniche riunivano i credenti nelle case private dinotte per confessare, per insegnare il catechi-smo, per benedire i bambini, per unire in ma-trimonio, per celebrare la messa. Spesso, i sin-ghiozzi accompagnavano questi riti segreti,tanta era la paura di venire scoperti, di esseredeportati, fucilati, gli spari nella nuca dei ceki-sti». L’igumeno Damaskin, viceparroco delTempio della deposizione del velo della Ma-donna, nel centrale quartiere Taganka di Mo-sca, sa molto bene quel che dice. Lo sa perchénegli ultimi quarant’anni glielo hanno raccon-tato migliaia di persone.

Lui è un grande cacciatore di memorie. For-se il più grande cacciatore russo di memorie.Memorie molto particolari. Quelle dei martiriortodossi, vittime delle persecuzioni antireli-giose scatenate dal regime comunista: «Ne horaccolte più di diecimila: diecimila vite spentedalla violenza della repressione. Ho accertatoogni fatto. Di costoro, millesettecento sonostati canonizzati». «Ho rintracciato — conti-nua — i testimoni diretti, i parenti, i vicini di ca-sa delle vittime. Ho indagato, in tempi di regi-me poliziesco in cui si era costretti a tacere perevitare di finir male. Solo alcuni vecchi osava-no parlare, coloro che volevano liberarsi la co-scienza, perché certi ricordi pesano come ma-cigni. Avevano visto e sentito troppo. Quandol’Unione Sovietica è crollata, si sono aperti gliarchivi e nei documenti ho rintracciato le con-ferme di quello che mi era stato detto a voce.Tutto era vero. Anzi, era peggio».

Sotto ciglia folte e basse, gli occhi di padreDamaskin sembrano fissare un punto lonta-nissimo, oltre lo spazio della chiesetta, oltrel’altare, oltre le vecchie preziose icone che tap-pezzano le pareti del tempio. Sapere e accetta-re di sapere è una prova ardua, di infinita penae dolore per le ingiustizie patite. Ha cinquanta-nove anni, padre Damaskin, non è un’età ve-neranda ma l’aspetto ieratico e la lunga barbabianca gli danno un’aura da sant’uomo: nonfosse altro per la fama di “martirologo” che loaccompagna. Di continuo c’è qualcuno che glichiede la benedizione, gli bacia le mani, e aognuno lui offre parole di conforto accompa-gnate dal segno della croce alla maniera orto-dossa, pollice indice e medio uniti.

«Ho vissuto gli anni del cosiddetto ateismomilitante», spiega: l’ateismo combattente co-me preferiva dire Lenin che l’aveva forgiato adottrina di stato. Padre Damaskin ha scrittosette volumi dei dodici progettati per racco-gliere le vite dei «suoi» martiri. Un’opera pri-smatica, terribile. Ogni biografia si concludecon la data della morte, in un gulag o in un fos-so anonimo. E prima, la sequenza che comin-cia con le spiate, le delazioni, gli arresti, i bruta-li interrogatori, le esecuzioni extragiudizialidella CeKa, dell’OGhePeU e dell’Nkvd, i pro-cessi farsa, le pressioni dei giudici per costrin-gere gli imputati a confessare colpe inesistenti,attività antisovietiche o antikolkhoziane. Per-sino in Arcipelago Gulagdi Aleksandr Solgenit-syn leggiamo dei «processi degli ecclesiastici».«Chi non ricorda quelle scene? Primo ricordodella mia vita — scrive in una nota Solgenitsyn(capitolo La legge neonata) — avrò avuto tre oquattro anni: nella chiesa di Kislovodsk entra-

Lubjanka e giustiziato. Partecipò al funerale edè lei che mi ha raccontato tutto per filo e per se-gno. Era la prima volta che riusciva a farlo. Co-me mai scelse me? Forse perché stavo ad ascol-tarla, e ha letto nei miei occhi che ero uno di cuisi poteva fidare. Lei mi disse che c’erano altrepersone che potevano testimoniare. Bisogna-va girare senza insospettire polizia e autorità. Iolavoravo come ingegnere elettrico presso il Mi-nistero della costruzione di apparecchi di pre-cisione, così si chiamava allora. E dovevo esse-re prudente. Avevo già avuto i miei guai, perchéero entrato in una chiesa e mi ero messo a can-tare inni religiosi. Rischiai il licenziamento. Iomi appellai al tribunale: perché non è proibitointonare canzoni popolari mentre mi si vieta difarlo con quelle religiose? Il giudice, una don-na, fu stranamente comprensiva e mi dette ra-gione: l’amministrazione fu costretta a riassu-mermi. Certo, ai tempi di Stalin sarei stato con-dannato e messo all’indice. Avrei subìto la stes-sa sorte anche sotto Krusciov, che mantenneuna linea durissima nei confronti del clero e deifedeli. Con Breznev c’era minore aggressività».

La proibizione totale dell’educazione reli-giosa rimase in vigore sino ai tempi della Pere-strojka. Anche nella Costituzione della Russiademocratica è prevista la separazione di Chie-

Le voci

della Chiesa

del silenzio

LEONARDO COEN

no quelli della testa a punta (cekisti con i ber-retti alla Budennyi), fendono la folla ammuto-lita e immobile dei fedeli e vanno direttamen-te sull’altare con i berretti in testa, interrom-pendo la funzione religiosa».

«La prima storia fu per caso», comincia pa-dre Damaskin. Successe quando conobbe le fi-glie di padre Aleksandr Smirnov, a metà anniSettanta, nel «secolo del Grande Buio», comelui chiama il Novecento. Quando pregare inRussia significava ancora rischiare la carriera,se eri un funzionario o occupavi una carica an-che minima. Quando celebrare messa eramacchiarsi del delitto di «attività sovversivaantisovietica». Padre Smirnov venne fucilatodai bolscevichi il 14 novembre 1918, senza pro-cesso. Solo perché era un prete. Come FjodorRemizov, che cadde al suo fianco sotto il piom-bo dello stesso plotone di esecuzione. Novemesi prima era entrato in vigore il decreto delSovNarKom, il Consiglio dei commissari delpopolo, sulla «separazione della Chiesa dalloStato e la scuola dalla Chiesa», firmato da Leninil 2 febbraio 1918.

«Una delle figlie di padre Smirnov studiavaal ginnasio, presso un monastero fuori città.Venne a Mosca per visitare i genitori negli stes-si giorni in cui il padre fu preso, portato alla

ICONEDa sinistra, iconadei nuovi martiridel Ventesimo secolonella cattedraledel Santissimo Salvatorea Mosca ; uova dipintenella chiesa della Resurrezionea San Pietroburgo

1917Prima dellarivoluzione,

la Chiesa ortodossaconta 210mila

membri del clero1953

Dopo una treguadurante l’invasionenazista, alla mortedi Stalin riprende

la repressione

In Russia torna l’ora di religione nelle scuole. Si chiude così, definitivamentee simbolicamente, l’era dell’Unione Sovietica dei delatori, dei tribunalispeciali, dei processi sommari ai preti. Padre Damaskin ha raccoltomemorie, testimonianze e documenti sui martiri del dio-Stato

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 AGOSTO 2009

1941Sono liberi soloquattro vescovi

Dal 1917,si contano 150milasacerdoti fucilati

TEHERAN CAMBIA IL MEDIO ORIENTE

SOGNI E SEGRETI AMERICANI

NETANYAHU SPARIGLIA IL GIOCO USA

LA RIVOLTA D’IRAN

NELLA SFIDA OBAMA-ISRAELE

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Repubblica Nazionale

sa e Stato. Con la differenza sostanziale che èsancita insieme alla libertà di praticare qual-siasi religione, o nessuna. I russi si sono rimes-si a Dio, scrissero i giornali del 1993. Mancavaancora un tassello: come trasmettere alle gio-vani generazioni ciò che era stato vietato perdecenni? E adesso l’ora di religione torna nellescuole russe.

«Era pericoloso fare domande. Prendere ap-punti, registrare. Quando il potere non ti capi-va, si insospettiva. Ma io avevo deciso: biso-gnava trovare i testimoni ancora viventi dellepersecuzioni contro i preti, i monaci, le suore, ifedeli. E avere la tenacia di non arrendersi mai,costasse quel che costasse. Perché quello chestavo raccogliendo, moltiplicandosi, comin-ciava a diventare un vero e proprio atto d’accu-sa contro il regime». Poco per volta, il giovaneVladimir Orlovskij — il nome da laico dell’igu-meno Damaskin — dipana i misteri dellascomparsa di migliaia e migliaia di religiosi. Vi-cende spaventose. E infami. Come quella di pa-dre Nikolaj Benevolenskij, nato il 30 marzo1877 in una famiglia di preti di Mosca e mortoil 16 maggio 1941 nel gulag di Karaganda, in Ka-zakhstan. Sepolto in una fossa comune: «Futradito da un altro prete. Il protogerarca FjodorKazanskij».

Costui era stato costretto dall’Nkvd a diven-tare informatore dei servizi segreti con il com-pito di denunciare gli altri preti. Nel 1939, ap-proda a Serghiev Possad, uno dei luoghi spiri-tuali più importanti della Russia. Gli affidanouna parrocchia. Ed è lì che Kazanskij incrociapadre Nikolaj, pure lui protogerarca. Nikolaj hagrossi problemi. Lui e la sua famiglia sono staticacciati dalla loro vecchia casa di Mosca, occu-pata da operai e contadini immigrati. Uno di lo-ro, invidioso perché il prete e la sua famiglia di-sponevano di due stanze, li aveva denunciati.Un prete ha sempre torto: così Nikolaj e i suoidebbono fare le valigie entro dieci giorni. Inu-tili i tentativi di trovare alloggio: per i preti nonc’è pietà. Alla fine, si arrende. Moglie e figli re-stano e vagano da una kommunalka all’altradei vecchi parrocchiani, lui lascia Mosca. Nonsa che si consegna ai nemici. Arriva a SerghievPossad e viene sistemato presso la cattedraledell’Ascensione, dove conosce Kazanskij.

Nikolaj si accorge subito che è un tipo ap-piccicaticcio, che vuole sapere sempre cosa fae come giudica la situazione generale. Un gior-no, una donna finge di confessarsi. In realtàvuole avvertirlo: «Padre Nikolaj, stia attento aquesta persona. Ha una bruttissima fama».

Nikolaj non sa che fare. L’altro lo marca stretto,bussa spesso alla porta della sua stanza, si au-toinvita. Intanto, da Mosca, è arrivata la fami-glia di Nikolaj. Passa qualche settimana. Ungiorno viene convocato dall’Nkvd. Gli chiedo-no se conosce persone «con stati d’animo con-trorivoluzionari» e gli propongono di sottoscri-vere un documento in cui si impegna a «infor-mare gli organi». Padre Nikolaj rifiuta. «Pecca-to. Se firmi, pagherai meno tasse. Se non firmi,finirai in prigione».

Nikolaj cambia parrocchia, e finisce nellachiesa di Sant’Elia. Ma Kazanskij lo rintraccia edi nuovo si fa invitare a casa. Prima sorseggia iltè, dopo compila denunce su denunce. All’al-ba dell’11 gennaio 1940, la polizia irrompe. Pa-dre Nikolaj non c’è: «È a celebrare messa», dicela moglie. «Come? Così presto, alle sei del mat-tino?». «Sì, ogni giorno c’è messa a quest’ora».«Intanto, cominciamo a perquisire». Un paiodi agenti si reca alla chiesa di Sant’Elia. PadreNikolaj chiede solo di poter concludere la mes-sa: «È liturgia funebre. È morta la maestra discuola che insegnava ai miei figli». I due agentiglielo consentono. Poi, insieme, lo scortano si-no all’abitazione. Alle tre del pomeriggio, Niko-laj benedice i suoi. Non li vedrà mai più. Lo rin-chiudono in una cella di sicurezza dell’Nkvd.Di lì, lo traducono alla prigione moscovita del-la Taganka.

Tutto questo è stato ricostruito da padre Da-maskin, anche grazie alla documentazionescovata negli archivi del Kgb. Ma soprattutto,grazie alla memoria (e al coraggio) dei testimo-ni. E di coloro che hanno alimentato e sostenu-to la Chiesa del silenzio. Con commovente resi-stenza, i fedeli e in particolare i più anziani di lo-ro (le nonne, se venivano scoperte, raramenterischiavano di finire davanti al tribunale del po-polo) hanno salvato vecchi libri di preghiera,spesso trascrivendoli a mano; hanno nascostole icone e i vangeli, i rosari, le vecchie copie del-la Bibbia, i crocefissi; hanno tramandato le pra-tiche religiose, conservato la tradizione delle fe-ste, il sentimento stesso della fede assediata. Ènelle famiglie che si è combattuta questa guer-ra silenziosa per difendere l’indipendenza spi-rituale. Ai tempi dell’Urss, in ogni casa c’erasempre un’icona. Gli atei e i membri della no-menklatura dicevano di conservarle per colle-zione. Ma per la maggioranza della gente, quel-le icone rappresentavano un legame simboli-co: con il passato, con la storia comune, e con lapaziente, tradizionale sopportazione del popo-lo russo. Medicare il bene con il male.

DOLOREDa sinistra, icona

della Vergine Kazanskayadi Dmitrii Smironov (1915);

suore ortodossein processione a Kiev;

Padre Damaskin,il martirologo della Chiesa

del silenzio

1964Alla fine dell’era

Krusciov gli storicicontano 12milasacerdoti vittimedella repressione

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 2 AGOSTO 2009

1988Gorbaciov

riconosce gli orroridella repressione

e chiede appoggiopolitico alla Chiesa

PROPAGANDAIl manifesto sovietico del 1930dice: “Andate via dai pope, preticattolici polacchi, pastori, rabbini,mullah, e schieratevicon il proletariato che lottacon coscienza”

2009La religione tornanelle scuole russe1700 martiri dellarepressione sonostati canonizzati

Repubblica Nazionale

GallimardLa fabbrica di capolavori

che disse no a Proust

Cent’anni fa nasceva la “Nouvelle Revue Française” che dieci anni doposarebbe diventata la casa editrice con il nome del suo finanziatoreTra i fondatori, Gide, “così intelligente da non riprendere mai fiato”

e Paulhan, che i nazisti consideravano “il terzo uomo più potente di Francia”Tra gli scrittori scelti dal comitato di saggi del martedì, la culturadi una nazione. Con alcuni clamorosi errori di valutazione

CULTURA*

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 AGOSTO 2009

Isoldi, a Gaston Gallimard, venivano dalbout du sein, un capezzolo in caucciù ad usodelle nutrici, inventato e commercializzatodal nonno, che poi aveva reso Parigi ville lu-mière illuminandola con lampioni a olio;quando erano apparsi i fanali a gas, la fortu-

na della famiglia era già fatta. Cent’anni fa, sei per-sonaggi in cerca di rivista, trentenni al traino delcondottiero André Gide, avevano fondato la N. R.F. — Nouvelle Revue Française —, che sarà la “rosadei venti” della letteratura francese del Novecento(e il suo laboratorio: non a caso, una delle sue pri-missime sedi fu la cucina di un appartamento bor-ghese). La rivista aveva due anni, quando decise dicreare una casa editrice. Ci voleva un finanziatore:gli occhi di quei fini letterati si posarono appuntosu Gaston Gallimard.

Gaston, per quegli austeri intellettuali, aveva ungrosso difetto: abitava sulla rive droite— la riva de-stra della Senna, coi suoi caffè e i teatri di Boule-vard, troppo allegra e reazionaria per i Sorbonagresdella riva sinistra. Gaston con la famiglia abitava ineffetti al 79 di rue Saint-Lazare, un palazzo tappez-zato di nove Corot, sette Delacroix, otto Daumier,e poi Cézanne, Fragonard, Goya, un Greco, e i Re-noir (un amico) a decine; il padre di Gaston, Paul,nella vita ha essenzialmente collezionato quadri elibri antichi. Però, a venticinque anni, Gaston haper la buona letteratura fiuto e una specie di golo-sità: sarà lui l’editore della N. R. F., rivista e casa edi-trice, che prenderà poi, dal 27 luglio 1919, no-vant’anni fa, il suo nome, Gallimard.

«Da trent’anni che lo conosco, non mi ha mai in-vitato a colazione», deplorava Gide, anima e co-scienza della rivista e delle edizioni, che Gaston sti-mava senza alcuna simpatia. «A volte mi sedevo nelsuo studio a ora di pranzo, e insistevo pesante-mente che ero solo e non sapevo dove andare:niente». Anche Proust si lamenterà, in una dedicadi Guermantes: «Caro Gaston, sarebbe così bellopassare delle serate insieme. Ma voi non prendetemai l’iniziativa. E io mi blocco davanti al telefono,che allontana come ai tempi in cui mi rifiutavateSwann» (Archivi Gallimard, e in mostra a settem-bre a Caen, En toutes lettres. Centenaire de la N. R.F.). A controbilanciare la preponderanza di Gide —«è troppo intelligente, in continuazione, e senzamai riprender fiato» — Gallimard costituisce il co-mitato di lettura, destinato a diventare un mito.

Il mistero circonda i protagonisti e le riunioni delmartedì pomeriggio. I lettori, in poltrona e affon-dati nei manoscritti, sono a semicerchio davantialle scrivanie di Gaston e del fratello associato, Ray-mond, che tacciono. Ogni manoscritto è affidato adue, tre, fino a cinque lettori. «Buona misura, peruna casa editrice che ha rifiutato Proust e Céline»,ride Roger Grenier, che del comitato fa parte damezzo secolo. «Ma sono pareri puramente consul-tivi, è Gallimard — Antoine, ora — che decide: è unamonarchia». I voti vanno da uno a quattro: con unosi è pubblicati — l’asterisco indica che il lettore noncambierà opinione. Ci sono le sfumature, i tre-quattro, che invitano a sfrondare. «Mondani e stra-ricchi, oziosi assoluti!... pederasti... alcolizzati...qualche assassino» li descrive in Nord, con la con-sueta verve, Céline. «Comitato di lettura! Tuttistrettamente incapaci! E questi giudicano!... Tuttala vita! E parlano inglese... e kirghiso!». Il riferimen-to è probabilmente a Jean Paulhan, specialista dipoesia malgascia.

Paulhan, l’eminenza grigia delle lettere francesidal 1925 fino agli anni Sessanta, nero e bello comeun gitano, imprendibile, discreto, indulgente perironia e dandismo, dal minuscolo studiolo da cuidirige la N. R. F. impone a tutti di bisbigliare comein chiesa. Durante la guerra cederà la rivista al fa-

scista Drieu, ma un giorno la sua segretaria, Domi-nique Aury, gli portò quattro numeri di una pub-blicazione clandestina della Resistenza, le Lettresfrançaises; Paulhan la ringraziò molto. La Aury nonsapeva che aveva portato di nascosto la rivista alsuo fondatore. Amante per una vita di Paulhan, eper venticinque anni unica donna del comitato dilettura, la Aury, intorno ai novant’anni — una vitada austera signora delle lettere sempre in tailleurscuro, tratti scialbi, straordinariamente pallida ecapelli tirati — avrebbe confessato al New Yorkerdiessere l’autrice di quella fantasia di dipendenzamasochista, fanatica ascesi dell’amore, algida escabrosa, che è L’histoire d’O.

I nazisti consideravano Paulhan «il terzo uomopiù potente di Francia»; il nazista Gerhard Hellerdella Propaganda Staffel lo stimava; e quando fudenunciato alla Gestapo lo avvisò: «Tra due oreverranno a prendervi». Paulhan scappò per i tetti.Drieu si suicidò. Alla Liberazione, la rivista subìuna quarantena di dieci anni, poi ripartì, semprecon Paulhan e i suoi modi felpati («Languida Ane-mone», lo chiamava Céline), continuando nel suoruolo di apripista: Butor, Char, Robbe-Grillet.

Ora, con Bertrand Visage e poi Michel Braudeau,la N. R. F. ha perso la sezione critica. Già L’Esprit N.R. F.a cura di Pierre Hebey, e ora L’oeil de la N. R. F.,curato da Louis Chevaillier la antologizzano; ma èAlban Cerisier che firma una definitiva Histoire dela N. R. F. (612 pagine, 25 euro, tutto da Gallimard)in favore della sperimentazione di nuovi narratori.

La casa editrice di Gaston intanto cresceva e simoltiplicava. Proust e Céline recuperati, Eluard,Artaud, Breton, Saint-Exupéry, Simenon, Mal-raux, Giono, Sartre, Vian, Camus, Prévert il poeta,Cioran il moralista, il ladro Jean Genet: il panora-ma delle lettere francesi si delinea, grazie alla vo-lontà e la passione di Gaston. Spesso l’impresa èpericolosa: duelli, minacce di morte assediano luie i gallimardeux. Un duro, Le Breton (Rififi), posa

DARIA GALATERIA

Nella storia di famiglia,l’incidente di Michel,il nipote preferito, che muoreschiantandosi controun albero insieme a Camus

una pistola sul tavolo prima di discutere i contrat-ti. Essere pubblicati da Gallimard, in effetti, è unaquestione di vita o di morte. E poi ci sono i lutti deicollaboratori più cari a Gaston: il brillante RogerNimier, che si uccide sulla Aston-Martin che l’edi-tore gli aveva regalato, e l’incidente in cui il nipotepreferito, Michel, muore contro un albero con Ca-mus (Sartre impedisce che pubblichino il mano-scritto che Camus aveva con sé).

Intanto gli studi della rue Sébastian Bottin si di-vidono e risuddividono, i piani si sfalsano con ipalazzi attigui: «Ma bene!», bor-botta un giorno Gaston, «ab-biamo messo l’ascensore, enon si ferma al mio piano»; ineffetti, riceveva al secondo pia-no e mezzo. Più cerimonioso, ilfiglio Claude avrà uno studio apiano terra, vasto ed elegante.Nessuno più lo usa e i cerimonia-li cambiano: scompare il “bic-chiere” dopo le riunioni del comi-tato di lettura, che si rarefanno,come i coquetèles (Queneau) nelfavoloso giardino di rose stretto, infondo alla casa editrice, tra i palaz-zi di Saint-Germain, che non ve-dranno più Simone de Beauvoir eQueneau stesi nell’erba, persi nel-l’ebbrezza.

Le Clézio, Kundera, Tournier, Mo-diano, Philippe Forest, Jonathan Lit-tell. Ora c’è Antoine, il figlio di Claude,a mantenere nella famiglia una casaeditrice che ha fatto la storia culturaledel Novecento. Dodicimila libri del ca-talogo sono già in rete; per il centenariodella casa, nel 2019, ci saranno tutti. «Fa-re l’editore è un mestiere da giardiniere», dice An-toine, «ci vuole tempo».

COPERTINEIn queste pagine,copertinedella collanaUn oeuvre,

un portrait

degli anni Venti;in basso,Gaston Gallimard

Repubblica Nazionale

Il senso di Gastonper la battuta

ROGER GRENIER

Gaston Gallimard andava pazzo per la letteratura (peressere esatti, aveva tre passioni: la letteratura, le don-ne e le macchine. Non dirò in che ordine). Personag-

gio riservato a forza di essere discreto, finisce così per essereleggendario. Ne risentiva anche il suo modo di vestire. Il suosarto rifaceva continuamente i due stessi abiti, uno blu e unogrigio. Sola fantasia, per così dire, tutti i giorni e in ogni circo-stanza, portava il papillon […].

Caso vuole che il mio ufficio fosse di fronte al suo, il che fa-cilitava i nostri incontri. Mi chiede: «Ha mai avuto un’espe-rienza omosessuale?». Rimango un po’ interdetto. Rispon-do: «No». Poi, per non restare indietro, aggiungo: «E lei?». «Io,sì». E comincia a raccontare: «Ero molto giovane. Avevo l’a-bitudine di fermarmi in un passaggio del quartiere dell’Opé-ra, perché c’era un negozio di intimo e, in vetrina, un ritrattodi donna che mi emozionava. Un giorno, mentre lo guarda-vo, un uomo baffuto mi si è avvicinato e mi ha fatto delle pro-poste. Sono scappato a gambe levate. Ho corso fino a casa, arue Saint-Lazare. Qualche tempo dopo, a teatro, mi presen-tano un signore in cui riconosco l’uomo del passaggio. EraGeorges Feydeau […].

La libertà di spirito di Gaston Gallimard poteva spingersifino alla provocazione. Albert Londres e Joseph Kessel, nelcorso di un reportage sulla Cayenna, si erano impietositi diun forzato. Riportarono in Francia quel galeotto, Gruault,che aveva espiato la sua pena. Kessel chiese a Gaston Galli-mard se poteva trovargli un lavoro. Gaston ne fece... il conta-bile della casa editrice. Non si sapeva del resto che cosa aves-se fatto Gruault per meritare i lavori forzati. Un crimine pas-sionale, dicevano alcuni. Altri che, durante la Prima guerramondiale, aveva pensato di vendere i piani della Tour Eiffelai tedeschi.

Kessel fece un terribile scherzo all’ex galeotto. Gruault ave-va appena lasciato l’ufficio. Kessel, che era un colosso ed eraaccompagnato da un altro forzuto, portò via la cassaforte delcontabile e scese a nasconderla in cantina. Gruault rischiò diuscire pazzo. Sempre la paura, per chi ha avuto guai con lagiustizia, di essere accusato. Un settimanale raccontò ungiorno, per fare lo spiritoso, la storia del forzato contabile.Gruault pensava che nessuno conoscesse il suo segreto. Vo-leva uccidersi. Trovandosi faccia a faccia con Michel Leiris,che aveva appena pubblicato L’Afrique fantôme, gli confidò:«Anch’io sono stato nelle colonie» […].

Negli ultimi tempi, Gaston Gallimard si divertiva a prati-care un gioco al massacro che riduceva a nulla tutto il catalo-go dell’illustre casa editrice che aveva consacrato la vita a edi-ficare. Si dedicava a questa demolizione con particolare pia-cere quando veniva a trovarlo il suo vecchio amico Emma-nuel Berl. Li ho sentiti una volta concludere così: «Proust, sipuò dire di lui quello che si vuole, ma c’è una cosa che non glisi può negare. Aveva una salute di ferro!».

Roger Grenier è nato nel 1919, quando la N. R. F. diventaGallimard. È entrato nella casa editrice mezzo secolo fa

Alla Liberazione, ha partecipato alla presa dell’Hotelde Ville, e ha lavorato a Combat con Albert CamusLa sua vasta opera di romanziere e saggista è stata

coronata dal Grand Prix de l’Académie. Il suo ultimolibro, Instantanés (Gallimard, 200 pagine, 14,50 euro),

presenta vari ritratti di amici, tra cui quello di GastonGallimard, di cui qui pubblichiamo una sintesi

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 2 AGOSTO 2009

PAGINEIn queste pagine, altre copertine, primepagine e documenti dei cento anni di storiadella N.R.F.-Gallimard, compresi un depliantdella casa editrice e una lettera di GallimardNella foto grande le mani sono di Jean Schlumberger

ANDRÉ GIDEIl fondatore della N.R.F.

Premio Nobel 1947

JEAN PAULHANIl direttore storico

della N. R. F.

ALBERT CAMUSLo scrittore filosofoPremio Nobel 1957

GEORGES SIMENONIl papà del commissario

Maigret

JEAN-MARIE LE CLÉZIOPremio Nobel

per la letteratura 2008

Repubblica Nazionale

Raccontare il Paese facendo ridere. È questa la nuova tendenzadel nostro cinema. Guardando alla stagione gloriosa dei variMonicelli, Risi, Comencini e Germi, una schiera di registi

è alle prese con copioni brillanti. Da Paolo Virzì, che di risate già se ne intende,a due premi Oscar come Giuseppe Tornatore e Gabriele Salvatores

SPETTACOLI

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 AGOSTO 2009

CLAUDIA MORGOGLIONE

Un genere che rinasceper dimenticare la crisi

LOCANDINEGenerazione 1000 Euro

di Massimo Veniere Diverso da chi?

di Umberto Carteni. Piùa destra, un bozzettoper Gli zitelloni (1958)

to non sia stato Nuovo Cinema Para-diso. Baarìaper me è una commediache diverte con ironia, ti porta a sor-ridere ma anche a riflettere su teminon comici, un po’ quello che succe-deva nella vecchia commedia all’ita-liana».

Richiamo alla tradizione. Ma for-se anche un bisogno più o meno co-sciente, suo come di altri gran-di registi, di reagire alla crisi ita-liana con l’arma del sorriso.La commedia, anche quellad’epoca di Tornatore,diventa così uno stru-mento più duttile — ri-spetto al noir che ha im-perversato negli ultimianni — per muoversi in tempi com-plicati.

Ma perché si possa parlaredel rinascere di una tendenzacinematografica i grandi au-tori non bastano. Ci vogliono pro-dotti medi rifiniti e ben confeziona-ti, scritti con cura, con bravi attori,mai volgari. Come i recenti Si può fa-redi Giulio Manfredonia; Diverso dachi? di Umberto Carteni; Ex di Fau-sto Brizzi; Generazione mille euro diMassimo Venier. Tutti scritti e diret-ti da quarantenni: una generazionedi cineasti brillanti e attenti al mer-cato. Poi c’è il cult Pranzo di ferrago-sto, del debuttante sessantenneGianni Di Gregorio. E per il futuro, dasegnalare almeno Oggi sposi di LucaLucini, in autunno nei cinema: sto-rie nuziali di quattro coppie, semprein chiave di divertimento intelligen-te. Mentre Brizzi ripercorrerà laguerra dei sessi in una doppia pelli-cola: Maschi contro femmine e Fem-mine contro maschi, che usciranno aruota a partire da ottobre 2010.

Non solo un elenco di film. Perchéa suggellare la rinascita del genere cisono anche le parole pronunciate daGiorgio Napolitano lo scorso mag-gio: «In tempi di crisi — disse — la ri-nascente commedia può aiutarci asorridere di noi stessi e guardare sor-ridendo al domani: il che non è po-co». Un vero e proprio sdoganamen-to, da parte della prima carica delloStato. A commentarlo, oggi, è Massi-mo Venier, che con Generazione

Non è solo una coinci-denza. Gabriele Sal-vatores sta trascor-rendo l’estate sul setdi Happy Family, filmche narra l’incontro

dolceamaro tra due famiglie mila-nesi: «In tempi di uso politico dellapaura — spiega — mi sembrava cru-ciale ricominciare a sorridere».Mentre ai primi di settembre Baaria,l’ultima ambiziosa fatica di Giusep-pe Tornatore, aprirà la Mostra del ci-nema di Venezia: un Amarcord allasiciliana per «una storia divertente emalinconica», come la definisce ilsuo autore. Due pellicole diversissi-me, con un elemento in comune:rappresentano il ritorno di registiitaliani vincitori di Oscar alla com-media. Dopo anni di opere ad altotasso di drammaticità.

Ma ci sono altri grossi calibri al la-voro. Ad esempio c’è Paolo Virzì, unpaladino del genere brillante, chesta realizzando La prima cosa bella.C’è Daniele Luchetti impegnato nel-la preparazione di La Vita. E c’è Nan-ni Moretti che sta scrivendo conFrancesco Piccolo Habemus pa-pam, la vicenda di un pontefice ri-luttante e del suo psichiatra: il primociak, forse, in autunno.

Un elenco di nomi eccellenti chesegnala un’identica tendenza. Po-tremmo definirla la rinascita dellacommedia. Non quella eterna,scontata, del cinepanettone e din-torni; non quella adolescenziale diNotte prima degli esami e dei suoicloni. No, in questo caso parliamo dicommedia adulta, intelligente. Ca-pace di raccontare il mondo: rap-porti interpersonali, politica, feno-meni sociali, cose grandi e piccoledell’esistenza. Un approccio che inqualche modo si riallaccia alla gran-de stagione che il genere ha avutoqui in Italia, con Mario Monicelli, Di-no Risi, Luigi Comencini, Pietro Ger-mi e altri ancora.

E a riconoscere un debito verso ilpassato è lo stesso Tornatore che de-scrive così la sua Baaria: «È il miofilm più personale, forse più di quan-

Prodotti rifiniti e ben confezionati,con bravi attori, mai volgariTutti scritti e diretti da quarantenni:una generazione di cineastimoderni e attenti al mercato

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 2 AGOSTO 2009

“La leggerezza come antidotoalla politica della paura”

GABRIELE SALVATORES

In tempi di uso politico della pauradobbiamo ricominciare a sorride-re. Il sorriso da sempre ha un’im-

portanza cruciale, un valore universa-le: pensiamo al Budda, che è sempre ri-tratto sorridente. Uno scrittore israe-liano che amo molto, Meir Shalev, hascritto: «Gli uomini fanno progetti, glidei sorridono». Credo che in questomomento storico serva la commedia.Perché col suo aspetto spiazzante,eversivo, può aiutarci a trovare solu-zioni alla crisi intesa secondo l’etimo-logia della parola: cambiamento. Cisono studi che mostrano il legame ata-vico tra il sorriso, la risata, e le espres-sioni di paura, come il digrignare deidenti dei cani. Da qui derivano due tipidi comicità: quella che rimuove, can-cella la realtà, che asseconda le nostrefobie (pensiamo alle barzellette sulledonne, i gay, i neri), ampiamente usa-ta dalla tv. E quella “rivoluzionaria”,destabilizzante, con cui si ride di qual-cosa che ci riguarda direttamente. Checi mette in discussione. È questo se-condo registro che mi interessa.

Io faccio commedia da prima anco-ra di fare cinema, e cioè dai tempi delteatro dell’Elfo, a Milano. Ma a un cer-to punto è arrivato l’Oscar per Mediter-raneo, nel 1992, e tutti hanno comin-ciato a chiedermi di fare film molto si-mili. Era solo la mia terza pellicola o laquarta, se consideriamo anche la pri-ma in assoluto che hanno visto a sten-to i miei parenti. E allora, per paura diripetermi, di rifare qualcosa che avevodimostrato di saper fare, ho scelto altrestrade. Ho sfruttato la mia popolaritàper realizzare film difficili come Nirva-na o molto duri come Io non ho paura.Ma ora col noir rischiavo il cliché. Ed èarrivato Happy Family, il film che stogirando, prodotto dalla Colorado e RaiCinema, e che dovrebbe essere pronto

all’inizio del prossimo anno. È un filmtratto dalla pièce teatrale di AlessandroGenovesi, mescola toni brillanti a temiseri. Il protagonista è uno scrittore (Fa-bio De Luigi, accanto a Diego Abatan-tuono e Fabrizio Bentivoglio, le mie“vecchie sicurezze”) che assiste all’in-contro tra due famiglie di ambienti so-ciali lontani, improvvisamente unitedall’amore che scoppia tra i loro figliadolescenti. Decisi, malgrado l’etàgiovanissima, a sposarsi. In questofilm sorrido soprattutto di quelle coseche da sempre mi preoccupano, mi in-quietano, un po’ mi ossessionano: lafamiglia, l’amore, la solitudine, la pau-ra degli altri. Del resto io sono napole-tano, e i napoletani il mescolare com-media e tragedia ce l’hanno nel san-gue.

E poi c’è un altro aspetto: le donne.Nei miei ultimi film non a caso eranoquasi assenti. Stavolta ne ho scelte duedi prima classe: Margherita Buy e Car-la Signoris. Poi c’è Corinna Agustoni,che interpreta una nonna con l’Alzhei-mer, la giovanissima Alice Croci, Gian-maria Biancuzzi. E poi c’è Valeria Bilel-lo, faceva la vj su All Music. Ci sonomolte donne perché, per me, l’ele-mento maschile rappresenta il dram-ma. E quello femminile — con la sua vi-talità, la sua imprevedibilità — la com-media. Sì: la commedia è donna.

Mi chiedo se anche il pubblico abbiaquesta esigenza di commedia. È diffi-cile parlare del rapporto di un autorecon il pubblico. Perché in realtà ci sonotanti pubblici. Ma è vero che in questomomento una sintonia con la genteche va al cinema la sento. Il pubbliconon va trattato come un salvadanaio,va ascoltato. Come diceva Brecht, bi-sogna stare un passo avanti alla gente;ma non dieci passi avanti, altrimenti ladistanza diventa incolmabile.

EXPLOITLe locandinedi Si può faredi GiulioManfredoniae di Ex di FaustoBrizzi, due exploitdell’ultima stagionecinematograficaIn basso da sinistra,due foto dal setdi Baariadi GiuseppeTornatoree una da quellodi Happy Familydi GabrieleSalvatores

1000 euro ha raccontato i trentenniprecari: «Il presidente ha colto be-nissimo il rapporto tra crisi e com-media — sottolinea — in questo sen-so, ha dimostrato di essere un raffi-nato critico cinematografico». Cer-to, al di là del contesto storico ci so-no anche variabili di tipo diverso, co-me l’estro personale: «A me adesempio — prosegue Venier — vie-ne spontaneo cercare un punto d’e-quilibrio tra divertimento e riflessio-ne, un racconto che sia brillante eanche un po’ amaro, né volgare nétroppo alto. Altri invece hanno unacorda più drammatica».

L’Italia di questi tempi travagliatisembra però affamata di leggerezza.Ne è convinta Piera Detassis, che ol-tre a dirigere il mensile Ciak è di-rettore artistico del Festival diRoma: «La commedia — spie-ga — può permettersi il dop-pio senso, le allusioni, la cat-tiveria. Racconta le cose sor-ridendo, e per questo finisceper essere più vicina alla realtà,alle persone». Come dimostra il no-stro glorioso passato: «La grande sta-gione della commedia all’italiana èqualcosa che ancora ci riguarda, ciparla. Capace com’è di anticipareperfino l’oggi: aveva già detto tuttosui maschi, sul potere, sulla guerradei sessi».

Una tesi analoga arriva dallo sce-neggiatore Gennaro Nunziante, ora

impegnato sul set di Cado dalle nubi(suo debutto alla regia, protagonista

il comico tv Checco Zalone), mache negli anni scorsi ha scritto

film come Casomai, La Feb-bre e Commediasexi: «Que-sto genere cinematografico

— sostiene — richiede più co-raggio e meno luoghi comuni.

La commedia è tutta nel graffio, inciò che non dice, che resta tra le righe— nei discorsi così come nella vita. Èqualcosa che punge, che apre spira-gli».

E poi c’è l’aspetto economico.Perché dove non c’è business diffi-cilmente si forma una “scuola”. Ri-chard Borg — direttore generale del-la Universal Pictures International

Italia, che ha prodotto e distribui-to film come Lezioni di ciocco-

lato e Diverso da chi? — unasorta di officina sembra vo-lerla creare. Il segreto?«Un’attenta analisi iniziale

del progetto, e la scelta di con-tinuare a seguirlo in tutte le fasi

della lavorazione». Quanto al suc-cesso commerciale di un’opera, «di-pende principalmente dall’interes-se che suscita nel pubblico: ancheuna commedia, per intelligente chesia, deve essere dedicata a un targetspecifico di fruitori. Altrimenti si ri-schia di non accontentare nessuno».Come a dire: brillanti sì, ma anchedecisi a non mancare il bersaglio.

Padrie figli

Grande stagione della commediaall'italiana fine 50-anni 60

MonicelliDino Risi (Il sorpasso)

Luigi ComenciniPietro Germi

Alberto LattuadaAntonio Pietrangeli

Commedia di costumeanni 90-2000

Gabriele SalvatoresPaolo Virzì

Daniele LuchettiFrancesca ArchibugiCristina ComenciniGiovanni Veronesi

Fausto Brizzi

Commedia civileanni 70

Elio PetriNanni Loy

Ettore ScolaMarco Ferreri

Lina Wertmüller

Commedia sexy e trashanni 70

Bruno CorbucciSergio Martino

Mariano Laurenti

Cinema brillanteanni 30

Mario CameriniMario Mattoli

Vittorio De Sica

Precursori del teatroLeopoldo FregoliEttore Petrolini

Eduardo ScarpettaFratelli De Filippo

Commedia farsa di TotòSteno

Camillo MastrocinqueSergio Corbucci

Cinema balnearee musicarelli anni 50-60

Marino GirolamiGiorgio BianchiMario Amendola

Commedia leggeraanni 80-2000

Castellano & PipoloFratelli Vanzina

Neri Parenti

Comici individualistianni 80-2000

Carlo VerdoneRoberto BenigniMassimo TroisiFrancesco Nuti

Aldo, Giovanni & Giacomo

Neorealismo "rosa"anni 40-50

Renato CastellaniLuciano Emmer

Dino Risi (Poveri ma belli)

Nanni Moretti

Repubblica Nazionale

OSTANA (Cuneo)

Tutti lo conoscevano come “GiacuCayenna”. Il soprannome se l’era gua-dagnato quando, nel novembre del1933, i suoi compaesani di Ostana, un

piccolo borgo arroccato sotto il Monviso, a pochi chi-lometri dalle sorgenti del Po, l’avevano visto ricom-parire dopo un lungo soggiorno all’inferno, da cui erariuscito a fuggire. La discesa agli inferi di GiacomoBernardi, questo il suo vero nome, era cominciata il22 febbraio del 1930. Quel giorno, insieme ad altri 640condannati dai tribunali ai lavori forzati, venne im-barcato a La Rochelle sul piroscafo La Martinière, unex mercantile diretto al terribile bagno penale dellaGuyana francese, meglio nota come Cayenna, nel-l’America del Sud. Emigrato adolescente in Franciacon la famiglia, “Giacu” non aveva ancora compiutoventidue anni e doveva scontarne dieci per avere uc-ciso un italiano nel corso di una rissa.

Nel marzo del 1930, appena sbarcato in Guyana, aSaint-Laurent du Maroni, osservando l’alto muro dicinta con la scritta “Camp de la Transportation” e sen-tendo immediatamente «l’odore di carcere», il giovanepiemontese non poteva immaginare che avrebbescritto la storia delle sofferenze e delle vicissitudini in-dicibili patite in quello che veniva definito «enfer vert».E nemmeno poteva pensare che un altro forzato, quel-l’Henri Charrière chiamato Papillon, sarebbe diventa-to famoso in tutto il mondo con un libro peraltro piut-tosto discusso. Alla stregua dei suoi tanti compagni diprigionia e di sventura, Giacomo Bernardi fin dall’ini-zio del calvario ebbe in testa soltanto dueidee: bisognava salvare lapelle e tentare il possibilee l’impossibile per ricon-quistare la libertà. Perdet-te il suo nome, divenne ilnumero di matricola50.576, ma non smarrì lasperanza di andarsene.Mantenne la parola.

Il 16 aprile 1933 evase conaltri otto. Decisero di farlo viamare, perché nella foresta sa-rebbero quasi certamentemorti, come era successo a de-cine di fuggiaschi, oppure liavrebbero riacciuffati. Su un’im-barcazione di fortuna, con i pan-taloni usati come vele, affrontaro-no l’Atlantico e le sue tempeste. Lafuga senza fine dei forzati, il viaggiodisperato tra peripezie e pericoli diogni genere, soprattutto quello diessere restituiti ai francesi e magaridi finire all’Isola del Diavolo, doveera stato detenuto il capitano AlfredDreyfus, si concluse il 24 settembredel 1933 a Barranquilla, in Colombia.Il console italiano lo fece imbarcaresulla motonave Orazio, che l’11 ottobregiunse a Genova. L’11 novembre, scor-tato dai carabinieri, rivide casa sua.

Nessuno lo riconobbe, lo avevano persino dato permorto. Passò qualche settimana. Poi il Papillon italia-no si mise a scrivere, lui che aveva frequentato appenala terza elementare, le sue memorie in un singolare mi-

scuglio di lingue diverse, utilizzando dei quaderni discuola. Le terminò così: «Io non vi ho mentito nel mioracconto, anche se appaio sotto diverse luci, e lascio aognuno il suo giudizio, pensando che santi o dannati sidiventa solo da morti».

Giacomo Bernardi morì nel 1974, senza riuscire avedere realizzato il sogno di pubblicare i ricordi dellasua vita. Più volte rivisto e riscritto, il diario dell’infer-no rimase abbandonato nel cassetto di uno dei mobiliche fabbricava e intarsiava con le sue mani. Non avevamai creduto in Dio, eppure qualcosa di imperscrutabi-le, forse semplicemente il destino, aveva tessuto un fi-lo per lui. Era accaduto con l’evasione dalla Cayenna.È capitato di nuovo per i consunti quaderni. Sua nipo-te Livia Bernardi, che aveva tre anni quando “Giacu” sene andò per sempre, è cresciuta sentendo parlare diquel nonno praticamente mai conosciuto: «Una per-sona speciale, ovvero particolare, misteriosa, curiosa,imprevedibile». Racconti spesso interrotti dai silenzi,confusi dalle omissioni, dalle mezze frasi.

Tutto ciò è durato fino al giorno in cui Livia ha sco-perto il manoscritto. Lo ha letto, si è appassionata. Econ il tempo, rammenta, «ho trascritto i quaderni ed hoavuto a poco a poco davanti agli occhi la storia di un uo-mo», che aveva voluto raccontare la sua esistenza «conlo scopo principale di far luce su se stesso». Composti«in una curiosa lingua ricca di piemontesismi e di vo-caboli francesi e spagnoli, a tratti in un italiano stenta-to e a tratti con frasi e riflessioni degne di un grandescrittore», i ricordi di Giacomo Bernardi alla fine sonodiventati un libro, quel libro che l’ex forzato desidera-va. Andrea Garavello, un piccolo editore di Perosa Ar-

gentina, ha apprezzato questa testimonian-za vera ed emozionante, ric-

ca di umanità e di forzanarrativa, e ha deciso dipubblicarli. Ne è natoDall’inferno al Monviso,la vera storia di “GiacuCayenna”.

Quando nel 1969 uscì ilPapillon di Charrière,Giacomo Bernardi lo lessee annotò nel frontespizio:«Chiunque legga questo li-bro non si faccia falsi con-cetti. La medaglia ha duefacce. Il detto Papillon, al ba-gno penale non ha mai vistonessuna delle due facce dellamedaglia. Il suo racconto nonha né intrecciato fatti né fattosentire al lettore quel pizzico dicredulità. Tranne qualche fattodi poca importanza ingarbu-gliato e contorto». Lui, invece, aifatti si era attenuto. E aveva datoil via al suo diario come un ro-manziere consumato: «Possoben vantarmi di essere nato duevolte: la prima volta come tutti imontanari in una stalla, fra capre egalline su di un letto di fortuna, det-to chea, intreccio di vimini di noc-

ciola o castagno. La seconda volta per il fatto cheriuscii ad evadere dalla Guyana francese, e preci-samente il 16 aprile 1933 da San Lorenzo del Maro-ni. Fui uno dei più giovani deportati fra i 50.576».

IL LIBRO

Il diario di GiacomoBernardi Dall'inferno

al Monviso. La vera storiadi "Giacu Cayenna"

(206 pagine, 16 euro), curatodalla nipote Livia Bernardi,è pubblicato dalle edizioni

LaReditore. Si può ordinarescrivendo al sito della casa

editrice: www.laredit.it

Giacomo Bernardi fu condannatoal bagno penale della Guyana Francese

Fuggì e tornò a casa, in PiemonteOra un editore pubblica il suo diario

DEPORTATIIn questa pagina,

immagini di deportatinella Guyana Francese

a inizio secolo. Nel tondo,Giacomo Bernardi

Sopra e a destra, paginedel suo diario

Giacu Cayennail Papillon

del MonvisoMASSIMO NOVELLI

le storie36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 AGOSTO 2009

Repubblica Nazionale

Mode estive

IRENE MARIA SCALISE

Pablo Picasso le indossavacome una divisa e gli hadedicato un’opera d’arte:Il busto di uomo in maglia arighe, dipinto nel 1939 e oranella Collezione Gug-

genheim. E sono proprio le righe, fantasia-icona di quel certo stile sportivo chic, che que-st’estate dettano le regole. Non c’è da stupirsi.Con imprevedibile, ma regolare cadenza, le righeritornano. Sempre. In particolare la moda 2009 le stacelebrando con tutti gli onori. Dalla primavera in poihanno sfilato sotto il sole, in passerella e nelle vetrine. Uo-mini, donne o bambini, non c’è differenza. Tutti, in sereno ac-cordo, hanno aderito alla riga-mania. E le hanno trovate allegre,semplici ma fascinose. Insomma, praticamente perfette.

Dalle semplici strisce alla scelta di un look navy, o alla mari-nara, il passo è stato breve. Le righe orizzontali (o verticali) piùfrequenti, infatti, sono quelle bianche alternate con il blu(Brooksfield, TPenny). O, in una più inusuale ma sempre mari-na variante, con il rosso (Lacoste, Paul & Shark, Fornarina). Conquesto semplice stratagemma, assicurano i trendsetter, si riescea far sembrare anche chi si trova banalmente in città come ap-pena sceso da una barca a vela (Canali, Harmonat & Blaine). Ina-spettatamente tante capitane chic si aggirano, dalla mattina al-

la sera, tra gli uffici e il supermercato. E, con quell’indecifrabiletalento che solo l’altra metà del cielo possiede, ragazze di ognietà gestiscono giornate fitte d’impegni con la stessa classe (e so-prattutto la stessa divisa) che sarebbe richiesta tra Saint Tropeze Portofino.

Per tutte quelle che non amano lo stile marinaretta la sceltapuò convertirsi in un look da signora wasp. In questo caso la ri-ga deve essere abbinata a pantaloni larghi, scarpe basse e fou-lard sui capelli. Se era stata Coco Chanel, come al solito primadi ogni altra, a trasporre l’universo righe nel regno dell’hautecouture, ora molte altre griffe si sono allineate. Le prime ad ade-rire al gran ritorno indicato dagli stilisti, sono state le star del ci-nema. In un immaginario red carpet,bellissime come Liv Tyler,Drew Barrymore e Emma Watson le hanno sfoggiate già con iprimi caldi. E le altre, le donne che al cinema ci vanno solo persognare, le hanno imitate. Anche chi si è ritrovata il por-tafoglio alleggerito dalla crisi ha trovato una soluzione:quella nobilitata con il termine vintagema che, tradot-ta, si legge “eterno riciclo”. Chi nell’armadio non ha al-meno una vecchia maglia a righe? L’astuzia, per rin-frescarla, è tutta negli abbinamenti. Inediti come conle esotiche gonne in stile baticko con delle contrastan-ti fantasie a pois.

E la riga-mania torna coi costumi di bagno. È da sem-pre un classico dei bikini, dei costumi a un pezzo e deinuovissimi trikini. Per gli uomini, invece, la novità so-no le giacche di taglio classico ma a righe, verticali oorizzontali, più o meno distanziate. I più strava-ganti le indossano con maglie a righe orizzonta-li o con camicie dalle fantasie irregolari. Na-turalmente, è opportuno ricordarlo, ci vuo-le il fisico e una certa disinvoltura. Sem-pre al mare le righe, per chi non osa ilcostume, ricorrono in versioneborsa da spiaggia (Carpisa), oc-chiali da sole (Dolce & Gab-bana), o orologio (Tudor)con cronografo subac-queo. Da vera ma-rinaretta.

DIVAOcchialida soleda gran divaper Dolce& Gabbana

SHOPPINGAdattaalla spiaggiae alla città:è la borsashoppingin pvcdi Carpisa

AMMIRAGLIACaban doppio petto,

griffata TPenny, in tessutofelpato, stampa optical

SVOLAZZOGonna taglioa campanadi FornarinaRighesull’orlo,maxi bottonie impunture

SPORTOrologio Tudor

per uomo adattoanche alle donne sportive

Ricominciamo a vestirci

tutti alla marinara

Orizzontali o verticali, larghe o sottili, su costumi da bagno,giacche maschili o accessori,vivono il revival e la fannoda padrone sulle passerelle e nelle vetrine, in spiaggia e in cittàMa attenzione, ci vogliono l’abbinamento e il fisico giusti

le tendenzeLA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 2 AGOSTO 2009

WEEKENDBorsaweekenddi Canaliin tela,dettagliin pellestampata

INTEGRALEAbbronzaturaquasi integralegrazie al bikinia triangolodi Paul & Shark

CONTROVENTOLa felpadi Brooksfieldcon cappuccioe tela biancaall’interno

Costume di LacosteIl cordino rosso al colloè il giusto tocco

Bermuda da veladi Harmont & Blaine,

in bianco classicissimo

Repubblica Nazionale

DAIQUIRI

6/10 DI RUM BIANCO

3/10 DI SUCCO FRESCO DI LIME

1/10 DI SCIROPPO DI ZUCCHERO

GIN TONIC

4 CL DI GIN

1/2 FETTA DI LIMONE

GHIACCIO

ACQUA TONICA A PIACERE

CAMPARI

6 CL DI CAMPARI

GHIACCIO

MOJITO

2/10 LIME SPREMUTO

4/10 RUM CHIARO

4/10 SODA WATER

2 CUCCHIAINI DI ZUCCHERO DI CANNA

ALEXANDER

1/3 DI PANNA LIQUIDA

1/3 DI CREMA DI CACAO SCURO

1/3 DI BRANDY

«Mimojito en la Bodeguita, mi daiquirì en el Floridita», amava sentenziare Ernest He-mingway, rivelando la sua personale geografia cocteleradell’Avana. Il cibo, che pu-re amava molto, era destinato ad altre connessioni alcoliche, vino in primis (dal val-policella allo champagne) e birra. Cinquant’anni dopo, la passione per i due cam-pioni del rum miscelato è intatta, anzi, dilatata dai suoi epigoni tecnologici: frozen,solidi, aromatizzati, sospensioni liquide di spume e microsfere. mojito e daiquiri,

ma anche cosmopolitan e Campari orange, gin tonic e caipirinha. Un universo di colori, aromi e molecole adalta gradazione, senza confini di piacevolezza. Merito dei nuovi bartender (termine anglosassone che sottoli-nea la specializzazione alcolica), capaci di strappare tumblere coppette all’esclusività dei banconi da bar. Il tut-to con un occhio all’integrità epatica: meno alcolici, più beverini, stuzzicanti, vecchi cocktail rivisitati — gli sto-rici B-52 e cubalibre — e nuovi mix razzenti sono oggi tanto appetitosi che ce li portiamo anche a tavola.

All’inizio, fu il Tex-Mex, piccante miscellanea di cucina degli stati americani del sud e messicana. Nella “Mi-lano da bere”, capitale indiscussa dell’happy hour, gli anni Ottanta sancirono il primato di nachos&guama-camole da sgranocchiare con la caraffa di frozen strawberry margarita. Una moda scalzata dall’avvento ob-

bligato (per motivi di sopravvivenza fisica ed economica, dato il prezzo delle caraffe) di sushi e sashimi. Pescecrudo, riso in bianco, alghe, soia, wasabi, ovvero il trionfo del tè verde. Tè verde anche per i seguaci della cuci-na cinese, tra involtini primavera e anatra laccata, in linea — come per il Giappone — con una pallida tradi-zione di bere miscelato. Ma l’Italia dei vermouth e dei vini rivestiti da cocktail, l’America dei superalcolici a tut-te le ore, l’Inghilterra dei drink, la Spagna della scuola molecolare hanno resistito poco all’ondata salutista: uti-lizzando il meglio delle nuove conoscenze, i protagonisti del food&beverage d’autore hanno dato nuova vitaai cocktail e ai loro corrispettivi culinari.

Se a New York Audrey Sanders serve ai clienti del raffinato “Pegu Club” spume e sorbetti di ginger mojito permeglio assaporare i tempura, il milanese Dario Comini sforna meravigliosi cocktail gastronomici, come il dai-quiri al risotto con zafferano o alla pizza. Pesce — crudo o scottato — anche per sorseggiare l’Authentic carib-bean rum con ginger ale, freschissimo long drink vintage, rilanciato a inizio estate per promuovere il nuovomarchio che raggruppa il meglio della produzione antillana. Se non vi basta, regalatevi una Inventina al barAgape di Vercelli: Fulvio Piccinino prepara un mix di moscato d’Asti, succo d’ananas e d’arancia, servito condatteri farciti di acciughe. Abbinamento goloso e salvifico, per evitare i rischi del bere a stomaco vuoto, comeracconta la scrittrice Dorothy Parker: «Amo bere un Martini, due per essere al meglio, dopo tre finisco sotto altavolo, dopo quattro sotto al barman».

LICIA GRANELLO

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 AGOSTO 2009

Esperimenti

Daiquiri BaioquitoStefano Baiocco (“VillaFeltrinelli”, Gargnano,Brescia), chef talentuosoappassionato di erbe,battezza con fogliedi basilico il daiquiri frozen,abbinato a un tempuradi steli di basilicoe zampette di gamberoni

DaiquiriNato a fine Ottocento

per confortarei lavoratori delle minieredi Daiquirì (Santiagodi Cuba), è una miscela

shakerata di rum bianco,succo di lime e sciroppodi zucchero. Varianti frozen

(con ghiaccio) o frutta

Gin tonicCentocinquant’anni fa, gli ingegneri della BritishIndia East Company di stanza in India bevevanoacqua tonica(che contiene chinino,anti-malaria) corretta con gin. Decorazione con fetta di limone

Cocktailmangiareda

i sapori

le dosi

Profumo al gin tonicIlario Vinciguerra(“Antica Trattoriadi Montecostone”, GalliateLombardo, Varese) serveuna tartara di gamberi rossidi Sicilia con olio, fiorie gelatine (limoni e nerodi seppia). Da bere,gin tonic al lime

Mai più a stomaco vuoto. Oggi, i drink si portano a tavolavestiti di nuovo. Lo sanno bene i maghi del food & beverage,che giocano a rivisitare i classici abbinandoli ai cibiEcco così daiquiri al risotto o alla pizza, mojito sposatoal sushi e gin tonic con tartare di gamberi rossi

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 2 AGOSTO 2009

itinerariPaco Roncero, lo chef de “La Terraza”del Casinòdi Madrid,con la consulenza

di Ferran Adrià,ha scritto un libro,“Tapas”, dedicatoalle ricette drink&food,come il Campari orangemutato in raviolo liquido

Drinking più cheswinging, la capitale britannica annoverauna miriade di baraffascinanti, dove – grazie alla diffusione dell’altagastronomia etnica –i cocktail si sposano con deliziosi piatti di tuttele nazionalità

DOVE DORMIREANDAZ LONDON HOTEL40 Liverpool StreetTel. (+44) 20-79611234Camera doppia da 100 euro, colazione esclusa

DOVE GUSTARETHE BAR AT THE DORCHESTER53 Park LaneTel. (+44) 20-76298888

Dopo anni di stiracchiatehappy hour, l’approdonei grandi alberghidi una nuova generazionedi raffinati bartender sta cambiando i ritualipre-cena, con la propostadi cocktail abbinatia micro-menùdegustazione

DOVE DORMIREHOTEL ANTICA LOCANDAVia del Boschetto 84 Tel. 06-484894Camera doppia da 115 euro, colazione inclusa

DOVE GUSTAREI SOFÀ DI VIA GIULIAVia Giulia 62Tel. 06-686611

Roma

Nella “città da bere”,il lungo aperitivo che sostituisce la cenavanta clienti sempre più giovani,mentre crescono i localidall’offerta alcolicasuper moderna, senzapiù confini tra dolce,salato, solido e liquido

DOVE DORMIREVIETNAM MON AMOUR B&B (con cucina)Via Alessandro Pestalozza 7Tel. 02-70634614Camera doppia da 120 euro, colazione inclusa

DOVE GUSTARENOTTINGHAM FORESTViale Piave 1Tel. 02-798311

MilanoLondra

Sorbetto di Campari Vittorio Fusari (“La Dispensa”,Torbiato, Brescia)muta il Campari shakeratoin sorbetto con spumadi arancia. Accanto,pesciolini fritti e mandorle lucidatecon sciroppo al peperoncino e sale di Cervia

Colluttorio di mojito Moreno Cedroni(“Madonnina del Pescatore”,Senigallia, Ancona) apreil menù con un kit goloso:spazzolino con dentifriciodi cocco e menta, mojitocon spumante e sakè,seguono porzionidi sushi a colori

Coco alexanderDavide Scabin(“Combal.Zero”, Rivoli,Torino) utilizzaun alexander rivisitato –con due qualità di rum –come partner della moussedi cioccolato fondenteAccanto, biscottini con cocco grattugiato

MojitoÈ davvero un piccoloincantesimo (dall’africanomojo) il freschissimococktail a base di rumbianco, soda e hyerbabuena (menta caraibica)che Hemingway amavasorseggiare alla Bodeguitadel Medio a l’Havana

Quasitutti i cocktail e i long-drink (il maccheronico “beverone”rende bene l’idea) sono stati inventati dai coloni europei, spe-cie inglesi, pur di avere anche ai Tropici il pretesto per conti-

nuare a sbronzarsi come nelle fredde terre d’origine. L’origine me-ticcia di quelle bevande, disinvolte misture tra le micidiali acquavi-ti imperialiste e i succhi zuccherosi dei paesi caldi, ce le rende sim-patiche, purché nel loro contesto: l’ozioso palmizio, il resort om-broso, la terrazza in favore di tramonto, perfinoil baretto di qualche pretesa che nel cuore diuna metropoli fuligginosa inscena un tropica-lismo da vitelloni di quartiere. (Negli anni, ilgiovane “bauscia” milanese che sorseggiava ilgin-fizz o il cubalibre è passato al mojito, masempre nel quadro della stessa simulazione:sentirsi a Ibiza essendo a Porta Romana).

Proverbiale poi in ogni bar, e sostanzialmen-te immutato negli anni, è il viveur che di ognicocktail conosce i “veri” ingredienti, special-mente quelli segreti, e corregge il barman, e sivanta con gli avventori, perché è chiaro che lasua conoscenza raffinata di quelle bevande lus-suriose allude a una conoscenza impareggiabi-le della vita e delle donne.

Il cocktail ha dunque il suo contesto, che è so-stanzialmente baristico, colorato e vanilo-quente, aperitivo e leggero. Si giustifica tra ghiaccio tritato e om-brellini di carta, olive e noccioline. L’idea che possa evadere da quel-la sede futile e colonizzare anche i pasti, magari spodestando il vi-no, poteva giusto venire in mente a gente futile e soprattutto confu-sa: che non ha ben chiara la scansione del tempo, il metabolismo

della giornata. Ci sono momenti in cui i sapori devono essere pochie solidi. Momenti in cui la vita si addensa, anche dal punto di vistaconviviale, ci si siede e si interrompono la movida, il chiacchieric-cio, la leggerezza programmatica. L’idea di un beverone multicolo-re in mezzo a una tavola italiana — di fianco al pane e all’olio, vogliodire, dunque di fianco al sacro — è piuttosto insopportabile. Perchéi circensi non sono il pane, e il cocktail fa parte dello svago, non del-

la cultura, del superfluo e non del sostanziale.La trinità pane-olio-vino, per un latino, non

è uno scherzo. La tavola, qui da noi, è impor-tante anche perché allude alla religione (o ma-gari è la religione, con l’eucaristia, che allude alcibo). Al pari dei panini-show con dodici ingre-dienti, che non sanno di niente perché sanno ditutto, i cocktail sono giochi, non cibo. Mischio-ni colorati resi quasi indistinguibili dalla tem-peratura polare, gradevoli come un bagno-schiuma d’albergo quando uno si vuole rilas-sare. L’idea che la generazione dell’happy-hour e della movida possa e voglia davvero in-vadere anche i pasti con i long-drink significa,semplicemente, che vuole abolire i pasti comemomenti differenti, come luoghi sociali a séstanti. Che vuole giocare a oltranza, giocare enient’altro. E vuole inglobare tutto, notte e gior-

no, nella eterna dimensione ludica e leggera in cui vive: ghiaccio tri-tato ovunque, niente di sostanzioso che pesi e rimanga, niente cherichieda la pazienza di una sosta. Un vino può sostare anche permezzo secolo dentro la sua bottiglia. Un cocktail in venti secondi ègià nato e morto. E dimenticato.

Pietà, non cenate col bagnoschiumaMICHELE SERRA

l’annodi nascitadel cubalibre

1899

la correzione di ginche trasformal’americano in negroni

2/10

all’Harry’s Bardi Venezia, GiuseppeCipriani inventa il bellini

1948

i secondi necessaria shakerareun cocktail

2

l’appuntamentoLunedì 10 agosto “Calici di stelle” celebra la notte

di San Lorenzo. Dalla Val d’Aostaalla Sicilia, duecento le località

aderenti al Movimento del turismo del vino che promuovono eventi

Arruolati sommelier-barmanpronti a trasformare vini

e bollicine in cocktail squisitida accompagnare a sfizi gastronomici

Campari shakeratoCocktail figlio dell’invenzione(“Bitter all’uso d’Hollanda”)di Gaspare Campari,barman torinesecon la passione dei liquoriaromatici. Ghiaccioe braccio allenatoper creare la schiumarosa in superficie

AlexanderGin, crema di cacaochiara e panna liquidaper l’after dinner inventato a New York cento anni faVersione “brandy” con crema di cacao scuraPer rifinire, noce moscatagrattugiata o cacao in polvere

Repubblica Nazionale

bianco e l’astrazione, la sua casa-studioa New York, nel Dakota Building a Cen-tral Park West, la stessa dove abitava conJohn Lennon, è completamente bianca:«Non volevo essere influenzata dai co-lori, dall’energia e dalla vibrazione cheportano con sé, volevo un ambiente ac-cogliente e neutro dove respirare libera-mente, senza interferenze, è lì che mivengono le idee, respirando, in qualsia-si momento, magari in cucina».

Il respiro è un tema che torna nel di-scorso sull’arte, Yoko Ono ne parla aproposito di alcuni lavori, ma anche co-me pratica di meditazione. «Il modo incui respiriamo è molto importante, do-vremmo essere coscienti che a volte cor-riamo intorno senza nemmeno render-ci conto di respirare, mentre invece ab-biamo bisogno di respiro profondo, ocalmo e bilanciato. È fondamentale permeditare, in Giappone fa parte dell’e-ducazione dei bambini quindi è partedella mia cultura».

Un altro dei temi che ricorre spessonel discorso — oltre all’arte e alla musi-ca a cui si dedica costantemente: «Orasto lavorando al disco Between my Headand the Sky», in uscita a settembre perl’etichetta indipendente Chimera Mu-sic di suo figlio Sean Lennon — è quellodella pace nel mondo. «Oggi la situazio-ne è ancora difficile perché ci sono mol-te guerre in giro per il pianeta, ma il no-vantanove per cento della gente ambi-sce a una pace mondiale. La differenzacon gli anni Settanta, con il periodo del-la guerra del Vietnam, l’epoca in cuiJohn e io combattevamo per la pace, èche allora forse soltanto il venti per cen-to della gente era con noi». E Obama?«We should give him a chance», diamo-gli una possibilità...

lento speciale che l’hanno guidata dalleradici tradizionali della sua famiglia,una delle più potenti del Giappone, astudiare filosofia, prima donna del suopaese, alla facoltà di Gakushuin e da lì aNew York.

«Sono arrivata a New York nel 1952, adiciannove anni, era eccitante perchéc’erano molti artisti provenienti dai luo-ghi più lontani, c’era un’energia vibran-te, e soprattutto la voglia di lavorare in-sieme. Era il posto giusto per sviluppareil mio lavoro. Ho affittato un grande lofta Chambers street, downtown». In bre-ve il loft diventa teatro di performance,fucina della ricerca per artisti, musicisti,intellettuali. Con il compositore LaMonte Young, Yoko organizza una delleprime sessioni di concerti di musicasperimentale. C’è il loro amico John Ca-ge e molti altri dell’avanguardia. Intan-to il loft è frequentato da Robert Rau-schenberg, Jasper Johns, George Ma-ciunas, il fondatore di Fluxus. Fra i“grandi vecchi” una sera arriva anche

Marcel Duchamp: «Un mito», dice YokoOno senza esitazione, «la quintessenzadel concettuale, ma io ero troppo giova-ne e timida per parlargli dei miei proget-ti».

Il 1964 è l’anno di Grapefruit. Non è ilsuo primo lavoro ma è fra quelli a cui tie-ne di più: un libello stampato in pochecopie in cui l’artista offre al lettore unaguida per realizzare la propria esperien-za artistica. Yoko Ono ama parlare diquest’opera. «Grapefruit? What aboutit?», ride sorniona, con un guizzo negliocchi: «È una specie di istruzioni per l’u-so, un piccolo manuale in cui davo indi-cazioni sotto forma di frasi che chiun-que avrebbe potuto mettere in praticaper creare la propria opera d’arte. Adesempio in una pagina scrivevo: guardail sole fino a che non diventa quadrato. Èun metodo per acquisire consapevolez-za, per riuscire a visualizzare un’imma-gine». Continua Yoko: «Il punto è che al-lora gli artisti creavano qualcosa e poi lomostravano. Creavano immagini e og-getti. Mentre con questo lavoro io nonmettevo in mostra nulla, ma coinvolge-vo la gente nel processo artistico».

Anche Anton’s Memory a PalazzettoTito, un’ex dimora patrizia a Dorsodu-ro, dietro al Ponte dell’Accademia, oggisede della Fondazione Bevilacqua LaMasa, può essere letta come una serie diindizi di un percorso da cui ognuno puòpartire per costruire la propria espe-rienza artistica.

Le campane suonano le sei, qualcunole chiede se può farle una fotografia. Ilsuo staff, che non la perde mai di vista,non si scompone. «Just quickly», ri-sponde lei con gentilezza. La luce è niti-da e splendente. Yoko Ono è una bella si-gnora di settantasei anni che ne dimo-stra cinquanta. Ha una maglia nera scol-lata, un cappello nero di paglia che le in-cornicia il volto luminoso. «Il lavoro diPalazzetto Tito è fra i migliori che ho fat-to, sono stata ispirata da questo luogomagico, appena l’ho visto ho immagi-nato come poteva essere la vita all’inter-no di quelle mura avvolgenti e protetti-ve. Qui ho realizzato un lavoro concet-tuale in modo veramente nuovo: in mo-stra, in questo palazzo dall’atmosferaintima, ho costruito sei stanze della me-moria con film, installazioni, composi-zioni musicali, disegni. Ma, in realtà lagente ne può visitare centouno, le altrenovantacinque infatti sono in The OtherRooms, un libro in cui do istruzioni sucome attraversare le altre stanze, su co-me diventare liberi».

Ogni istruzione è una riga scritta suuna pagina bianca. Yoko Ono ama il

DOMENICA 2 AGOSTO 2009

l’incontro

‘‘

Carismatici

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA

Sono stati in moltia odiare il fattoche John e io,pur venendo da paesi,classi, culturediversissimi, fossimocosì intimamente unitie capaci di lottareinsieme per la pace

Artista concettuale, musicista, ribelleÈ ed è stata tante cose questafascinosa ragazza di settantasei anniOra, seduta su una terrazza veneziana,

ripercorre la sua vita:l’asilo giapponeseche le ha insegnatoa dare forma alle idee,il loft newyorkeseche riuniva i creativi anniCinquanta, il celebre

Bed-In con John Lennon. Sorride:“Le donne che non stanno al loro postosono additate come streghe. E alloralo dico prima io: sì, sono una strega”

VENEZIA

Emana un’energia magne-tica mentre dipana la suastoria in un caldo pomerig-gio d’estate sulla terrazza

dell’Hotel Danieli a Venezia. Occhialinineri scivolati sul naso, occhi scuri e in-tensi, Yoko Ono racconta e osserva: nonle sfugge nulla, parla a voce bassa, maesprime concetti radicali sulla vita, l’ar-te e l’avanguardia, e intanto registra ru-mori, immagini, luci e colori.

L’inclinazione all’ascolto l’ha svilup-pata da bambina a un asilo speciale inGiappone dove insegnavano musica. «Ascuola, come compito, dovevo ascolta-re il suono del giorno e poi, a casa, tra-durlo in note musicali. Tradurre i suoniin spartiti, dare forma a idee astratte, tra-sformare i concetti in qualcosa di tangi-bile, note, segni, parole, è un esercizioche pratico dall’infanzia, è nato comeun gioco da bambini e poi si è sviluppa-to, fino agli studi di filosofia. Sono sem-pre stata affascinata dalla filosofia. An-cor prima di studiarla avevo letto moltilibri. Fin da ragazzina ho sempre ragio-nato su temi come la vita e il pianeta».

Artista, musicista, attivista, YokoOnoè a Venezia per Anton’s Memory, la mo-stra alla Fondazione Bevilacqua La Ma-sa, e lavora alla performance che terràl’11 settembre a La Fenice, e per il Leoned’Oro alla Carriera della Biennale, fra iriconoscimenti più ambiti nel campodell’arte. Spirito libero, una personalitàcarismatica, un’identità complessa, èannoverata fra gli artisti concettuali piùriconosciuti, eppure l’immagine me-diatica che la identifica è ancora il Bed-

Indel 1969. L’azione pacifista durante laquale lei e il marito John Lennon, sposa-to a marzo di quell’anno, ricevettero igiornalisti infilati nel letto nuziale dellasuite 1742 del Queen Elizabeth Hotel diMontreal, lo stesso dove Yoko e John in-cisero Give Peace a Chance. «Era un mo-do per focalizzare l’attenzione sul temadella pace nel mondo e per fermare laguerra in Vietnam», dice con uno sguar-do luminoso.

Da allora la coppia, che si era incon-trata a Londra a una mostra personale diYoko Ono alla galleria Indaca, diventainseparabile: i due condividono la vita,l’arte, la musica e l’attivismo politico. «Èquesto che molti non mi hanno mai per-donato», racconta Yoko che parla lenta-mente, in un inglese dallo spiccato ac-cento orientale: «Non hanno graditoche io facessi quello che facevo accantoa mio marito John Lennon. Sono stati inmolti a odiare il fatto che con John ab-biamo superato pregiudizi, differenzegeografiche e culturali. Rappresentava-mo poli opposti, venivamo da paesi,classi sociali, culture differenti, erava-mo uomo e donna, occidentale e orien-tale, eppure eravamo intimamente uni-ti. Lottavamo insieme per la pace. Ma sisa. È sempre stato così. Le donne chenon piacciono vengono segnate comestreghe, e bruciate sul rogo. Persino og-gi l’attacco è alle donne, alla donna chesei. Ma io non ho mai avuto intenzionedi finire così». Anzi, ora per Yoko è venu-to il momento di rispondere. E lo ha fat-to con Yes I’m a Witch (2007). «Sì, sonouna strega. E allora? Se è questo che vo-lete, allora sarò io la prima a dirlo. È unpezzo che ho scritto e inciso nel 1973 mala mia casa discografica mi chiese di nonpubblicarlo: “Se no ti uccidono”. Ora itempi sono maturi, non è più come pri-ma».

Si interrompe per notare e commen-tare il suono delle campane di una dellechiese vicine, forse quelle di San Marco.«Vede? Venezia per me è fra i luoghi piùrilassanti al mondo. Qui trovo il mio rit-mo, respiro secondo un tempo che mi èconsono». Quando parla di respiraretocca uno dei temi che, insieme al corpoe alla memoria, sono fra i più importan-ti per lei nella vita come nell’arte: duesfere comunicanti, secondo Yoko e la fi-losofia di Fluxus, il movimento d’avan-guardia che l’ha vista protagonista.

La vita e l’arte, appunto. Yoko Onoconcilia l’anima razionale del managerche tiene tutto sotto controllo con quel-la dell’artista poetica e astratta. È soste-nuta da una rara determinazione, dauna straordinaria ambizione, da un ta-

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CLOE PICCOLI

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Yoko Ono

Repubblica Nazionale