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DOMENICA 7 MARZO 2010 D omenica La di Repubblica i sapori Primizie, l’energia di primavera LICIA GRANELLO e LUCA VILLORESI le tendenze Quando la griffe è a fior di pelle LAURA LAURENZI spettacoli I poster che hanno creato Hollywood GABRIELE PANTUCCI e MARTIN SCORSESE cultura Pio XII, i documenti che lo assolvono MARCO ANSALDO la memoria Gli anarchici della Belle Epoque PIERO OTTONE manieristico, non c’è l’errore in cui cadrà chi dopo di lui si cimen- terà nel racconto classico, ossia la retorica da centurione che tutto deve dire con flemma e ieraticità. No, le sue tavole sono naturali, an- che quando sono grumi d’inchiostro soltanto. E muscoli da cane combattente. Io vengo dalla terra che pregiudicò ad Annibale la vittoria su Ro- ma. Vengo dalla terra dove si fermò per i suoi dannati ozi. Dove, pri- ma di intraprendere l’ultima fatale fatica, decise di riposarsi e far ri- posare il suo esercito. Annibale trascorse l’inverno a Capua e i suoi uomini, abituati alla fame da manipolo e alle condizioni più diffici- li, furono facile preda del torpore della Campania felix. Vino, liba- gioni, bagordi, donne e bagni termali li fiaccarono nell’anima e nei corpi. Peccato davvero non aver potuto vedere come Pazienza avrebbe descritto la mia terra, come ne avrebbe disegnate le bel- lezze. Avrei voluto “sognarlo” quell’angolo di paradiso perduto, nell’inchiostro di Paz. (segue nelle pagine successive) ROBERTO SAVIANO Incominciata dal maestro del fumetto poco prima di morire e rimasta incompiuta torna “Storia di Astarte”, la guerra di Annibale vista attraverso gli occhi di un cane © MARINA COMANDINI PAZIENZA S toriadi Astarteè un sogno bellissimo, l’ultimo di Andrea Pazienza. Un’opera incompiuta. È un sogno classico, di quelli che quando ti svegli ti senti al centro dell’univer- so, come se avessi fatto parte della storia e il tuo fosse stato un ruolo attivo. Quando mi sono arrivate le tavo- le, quando per la prima volta le ho avute tra le mani, con- fesso di esserne rimasto folgorato. I disegni sono meravigliosi, pre- cisi anche quando appena tratteggiati. E il testo è epica. Andrea Pa- zienza riesce, attraverso un cane, a costruire una atmosfera di com- battimento e scontro, dove ogni parte del conflitto diviene chiara- mente una scelta tra bene e male. Tutto attraverso un cane. Le sperimentazioni che aveva fatto negli anni precedenti, spin- gendosi da un estremo all’altro delle possibilità espressive del lin- guaggio a fumetti, hanno trovato in Storia di Astarte una ricompo- sizione naturale e perfetta. Non ci sono sbavature, non c’è nulla di L’ultimo sogno di Repubblica Nazionale

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DOMENICA 7MARZO 2010

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

Primizie, l’energia di primaveraLICIA GRANELLO e LUCA VILLORESI

le tendenze

Quando la griffe è a fior di pelleLAURA LAURENZI

spettacoli

I poster che hanno creato HollywoodGABRIELE PANTUCCI e MARTIN SCORSESE

cultura

Pio XII, i documenti che lo assolvonoMARCO ANSALDO

la memoria

Gli anarchici della Belle EpoquePIERO OTTONE

manieristico, non c’è l’errore in cui cadrà chi dopo di lui si cimen-terà nel racconto classico, ossia la retorica da centurione che tuttodeve dire con flemma e ieraticità. No, le sue tavole sono naturali, an-che quando sono grumi d’inchiostro soltanto. E muscoli da canecombattente.

Io vengo dalla terra che pregiudicò ad Annibale la vittoria su Ro-ma. Vengo dalla terra dove si fermò per i suoi dannati ozi. Dove, pri-ma di intraprendere l’ultima fatale fatica, decise di riposarsi e far ri-posare il suo esercito. Annibale trascorse l’inverno a Capua e i suoiuomini, abituati alla fame da manipolo e alle condizioni più diffici-li, furono facile preda del torpore della Campania felix. Vino, liba-gioni, bagordi, donne e bagni termali li fiaccarono nell’anima e neicorpi. Peccato davvero non aver potuto vedere come Pazienzaavrebbe descritto la mia terra, come ne avrebbe disegnate le bel-lezze. Avrei voluto “sognarlo” quell’angolo di paradiso perduto,nell’inchiostro di Paz.

(segue nelle pagine successive)

ROBERTO SAVIANO

Incominciata dal maestro del fumettopoco prima di morire e rimasta incompiutatorna “Storia di Astarte”, la guerra di Annibalevista attraverso gli occhi di un cane

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Storiadi Astarteè un sogno bellissimo, l’ultimo di AndreaPazienza. Un’opera incompiuta. È un sogno classico, diquelli che quando ti svegli ti senti al centro dell’univer-so, come se avessi fatto parte della storia e il tuo fossestato un ruolo attivo. Quando mi sono arrivate le tavo-le, quando per la prima volta le ho avute tra le mani, con-

fesso di esserne rimasto folgorato. I disegni sono meravigliosi, pre-cisi anche quando appena tratteggiati. E il testo è epica. Andrea Pa-zienza riesce, attraverso un cane, a costruire una atmosfera di com-battimento e scontro, dove ogni parte del conflitto diviene chiara-mente una scelta tra bene e male. Tutto attraverso un cane.

Le sperimentazioni che aveva fatto negli anni precedenti, spin-gendosi da un estremo all’altro delle possibilità espressive del lin-guaggio a fumetti, hanno trovato in Storia di Astarte una ricompo-sizione naturale e perfetta. Non ci sono sbavature, non c’è nulla di

L’ultimosogno

di

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 7MARZO 2010

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

Primizie, l’energia di primaveraLICIA GRANELLO e LUCA VILLORESI

le tendenze

Quando la griffe è a fior di pelleLAURA LAURENZI

spettacoli

I poster che hanno creato HollywoodGABRIELE PANTUCCI e MARTIN SCORSESE

cultura

Pio XII, i documenti che lo assolvonoMARCO ANSALDO

la memoria

Gli anarchici della Belle ÉpoquePIERO OTTONE

manieristico, non c’è l’errore in cui cadrà chi dopo di lui si cimen-terà nel racconto classico, ossia la retorica da centurione che tuttodeve dire con flemma e ieraticità. No, le sue tavole sono naturali, an-che quando sono grumi d’inchiostro soltanto. E muscoli da canecombattente.

Io vengo dalla terra che pregiudicò ad Annibale la vittoria su Ro-ma. Vengo dalla terra dove si fermò per i suoi dannati ozi. Dove, pri-ma di intraprendere l’ultima fatale fatica, decise di riposarsi e far ri-posare il suo esercito. Annibale trascorse l’inverno a Capua e i suoiuomini, abituati alla fame da manipolo e alle condizioni più diffici-li, furono facile preda del torpore della Campania felix. Vino, liba-gioni, bagordi, donne e bagni termali li fiaccarono nell’anima e neicorpi. Peccato davvero non aver potuto vedere come Pazienzaavrebbe descritto la mia terra, come ne avrebbe disegnate le bel-lezze. Avrei voluto “sognarlo” quell’angolo di paradiso perduto,nell’inchiostro di Paz.

(segue nelle pagine successive)

ROBERTO SAVIANO

Incominciata dal maestro del fumettopoco prima di morire e rimasta incompiutatorna “Storia di Astarte”, la guerra di Annibalevista attraverso gli occhi di un cane

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Storiadi Astarteè un sogno bellissimo, l’ultimo di AndreaPazienza. Un’opera incompiuta. È un sogno classico, diquelli che quando ti svegli ti senti al centro dell’univer-so, come se avessi fatto parte della storia e il tuo fossestato un ruolo attivo. Quando mi sono arrivate le tavo-le, quando per la prima volta le ho avute tra le mani, con-

fesso di esserne rimasto folgorato. I disegni sono meravigliosi, pre-cisi anche quando appena tratteggiati. E il testo è epica. Andrea Pa-zienza riesce, attraverso un cane, a costruire una atmosfera di com-battimento e scontro, dove ogni parte del conflitto diviene chiara-mente una scelta tra bene e male. Tutto attraverso un cane.

Le sperimentazioni che aveva fatto negli anni precedenti, spin-gendosi da un estremo all’altro delle possibilità espressive del lin-guaggio a fumetti, hanno trovato in Storia di Astarte una ricompo-sizione naturale e perfetta. Non ci sono sbavature, non c’è nulla di

L’ultimosogno

di

Repubblica Nazionale

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la copertina

Nel 1988 il grande disegnatore pensa un fumetto sulla Secondaguerra punica, la spedizione di Annibale attraverso gli occhidi un mastino Disegna dieci tavole, nell’ultima scrive “continua” Ma nel giugno di quell’anno il creatore di Pentothale Zanardi muore Ora torna la sua incompiuta

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7MARZO 2010

IL LIBRO

Torna in libreria per Fandango

il 18 marzo Storia di Astarte

di Andrea Pazienza (104 pagine,

20 euro) con la prefazione

di Roberto Saviano riportata

in queste pagine. La storia, rimasta

incompiuta per la morte di Paz,

fu pubblicata nell’88 e nell’89

in due raccolte da Comic Art

Ora viene proposta in volume unico,

con le tavole nel formato originale

ROBERTO SAVIANO

Storia di Astarteil cuore di canedi Andrea Pazienza

Ultimo sogno

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 7MARZO 2010

quarta sponda», che celebra l’invasione italiana della Libia: «La grande prole-taria ha trovato luogo per loro. [...] Là i lavoratori non saranno rifiutati, comemerce avariata, al primo approdo; e non saranno espulsi, come masnadieri,alla prima loro protesta; e non saranno, al primo fallo d’un di loro, braccheg-giati inseguiti accoppati tutti, come bestie feroci. [...] Vivranno liberi e serenisu quella terra che sarà una continuazione della terra nativa. Anche là è Roma».

Storia di Astarte, insieme a tutto il resto, sarà forse anche una critica appenaaccennata alla perenne ricerca di una «quarta sponda», che dalle guerre puni-che attraverso la campagna di Libia, arriva a quella che ci è più familiare, chedà manodopera a basso costo, lager in cui stipare chi tenta di costruirsi una vi-ta in Italia, discariche improvvisate in cui smaltire i rifiuti tossici di cui il Sud èormai stracolmo.

Ma nonostante il tentativo di voler attribuire uno “scopo” al lavoro di Pa-zienza, Storia di Astarterimane un’opera d’arte. Un connubio perfetto ed equi-librato tra parole e immagini a sancire la grandezza di un intellettuale del no-stro tempo. E vale la pena ricordare quello che lui stesso ci ha confidato sul suolavoro, con una frase densa di significati: «Il fumetto è evasione, è sempre eva-sione, deve essere evasione, del resto la parola evasione è una bellissima pa-rola, evadere è sempre bello, la cosa più saggia da fare… Poi se c’è qualcos’al-tro ben venga».

© 2010 by Roberto Saviano / Agenzia Santachiara

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(segue dalla copertina)

toria di Astarte è un sogno dal quale ti svegli di soprassalto. Un sogno solennedal risveglio brusco. Eppure, prima che l’eroina gli fermasse il cuore, Pazien-za ha saputo darci un’opera avvincente e colma dell’epica propria delle storieche sembrano secondarie ma che la letteratura riesce a rendere fondamenta-li. Si percepisce quasi, in Paz, il piacere di lasciarsi andare a un finale diverso,di pensare a come sarebbe andata la storia se il generale nero Annibale avessevinto. L’Africa era stata a un passo dallo schiacciare per sempre Roma e inAstarte, forse proprio nella sua incompiutezza, c’è la possibilità di una storianon realizzata.

Il fumetto viene come cantato a Pazienza dal cane di Annibale, che gli ap-pare in sogno: «Li senti i campanelli, le risate, le urla, il bramito dei cammelli?»,dice Astarte a Pazienza, «Spalanca gli occhi adesso, apri le nari... è Cartagine»e inizia a raccontargli le sue gesta. I primi anni di vita da cucciolo, l’addestra-mento alla guerra, poi gli scontri in battaglia e il legame unico e umanissimotra lui e Annibale. Astarte è lì, al seguito dell’esercito cartaginese, dalla nascitain Spagna fino alla marcia in Italia, attraverso i Pirenei e sul Rodano. Ai piedidelle Alpi ci sarà il primo scontro coi Romani, e qui la storia si interrompe, per-ché a interrompersi è la vita di Pazienza.

Storia di Astarte ha come sfondo, dunque, la Seconda guerra punica, ma siapre con una citazione da Pascoli, «La grande proletaria si è mossa verso la

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Repubblica Nazionale

Page 5: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/06032010.pdf · 2010. 3. 7. · di Andrea Pazienza (104 pagine, 20 euro) con la prefazione di Roberto Saviano riportata

Brutto secolo, l’Ottocento, per capi di

Stato e teste coronate: si apre con lacongiura dei decabristi, che cospira-no contro lo zar di Russia, si chiudecon l’uccisione di Umberto Primo, red’Italia. I decabristi erano aristocrati-

ci di sangue blu, poco portati alle congiure: finironoin Siberia. Ma i protagonisti del terrorismo ottocen-tesco furono gli anarchici, personaggi di umile origi-ne e di grande fierezza, idealisti, temerari. «Io vi di-sprezzo, voi, le vostre leggi, il vostro ordine e il vostrogoverno di despoti — proclamò uno di loro qualcheistante prima di essere giustiziato —. Che mi si im-picchi pure, per questo! Che mi si impicchi pure!»

Giovanni Ansaldo, grande giornalista e saggista,era nell’animo un conservatore: diresse ai tempi delfascismo Il Telegrafo di Livorno, fu amico di Galeaz-

zo Ciano. Ma per gli anarchici aveva una certa am-mirazione, quasi un filo di simpatia. Su alcuni di lo-ro fece qualche ricerca, scrisse articoli e saggi adessoripubblicati dalla casa editrice Le Lettere, col titoloGli anarchici della Belle Epoque. In copertina c’è unadivertente illustrazione di Flavio Costantini. Neemergono ritratti di grande umanità.

I fatti, innanzitutto. Il primo degli attentati quipresi in esame fu compiuto il 24 giugno 1894, quan-do Sadi Carnot, presidente della Repubblica di Fran-cia, fu aggredito a Lione, e stecchito con una sola ma-gistrale pugnalata, da un italiano: l’anarchico SanteCaserio. Ma l’evento per noi più importante è il regi-cidio di Monza. Umberto era già stato bersaglio didue aggressioni, a Napoli nel 1878, a Firenze nel1897. L’aveva fatta franca. E con mirabile sprezzo delpericolo (quanto diverso dall’andazzo dei nostritempi) rifiutava ogni eccesso di protezione. «Crede-va nel proprio mestiere di re — scrive Ansaldo — e ri-

teneva che esso imponesse certi doveri di coraggio edi eleganza anche di fronte alla minaccia ignota». Alsuo aiutante di campo Umberto diceva: «Anche sedavanti a me si perlustrassero a una a una tutte leporte, tutti i canti delle strade, tutti gli androni, nonsi potrebbe impedire di tirarmi un colpo di revolver».Con quattro colpi di revolver, infatti, Gaetano Brescilo freddò a Monza, il 29 luglio 1900. Un terzo atten-tato raccontato da Ansaldo fu diretto contro Giu-seppe Bandi, fondatore e direttore del Telegrafo diLivorno (lo stesso che Ansaldo andò poi a dirigere):assassinato il primo luglio 1894, con una pugnalatacome Carnot. Ce n’era, come si vede, anche per igiornalisti.

Ma chi erano, dunque, questi anarchici, questiterroristi dell’Ottocento? L’anarchismo fu un feno-meno di carattere globale, si diffuse in Europa e inAmerica, per tante ragioni. Ma in Italia fu particolar-mente rigoglioso, e alla sua fioritura, se così possia-mo chiamarla, possono avere contribuito le vicendedell’unificazione: un bel tema, specie nella vicinan-za del centocinquantesimo anniversario. L’Italia erastata sognata e promessa (scrive Ansaldo) «come na-zione sacra investita di una missione fra i popoli»: maera in realtà «un Paese ancora molto malfermo nellesue assise fondamentali». Gli italiani si accorsero diessere in Europa e nell’ambito della Triplice allean-za il parente povero. Era diffusa una grande miseria,fra contadini e operai. E circolavano tante idee, bel-licose e confuse.

Gaetano Bresci condivise i sentimenti di delusio-ne e amarezza. Era nato nel 1869 a Cojano, comunedi Prato, figlio di mezzadri che avevano l’ambizionedi salire nella società: un fratello diventò tenente dicarriera, era in servizio a Caserta al momento del-l’attentato (bel risveglio per il povero tenente, chio-sa Ansaldo, la mattina del 30 luglio). L’ambiente incui Gaetano crebbe era pervaso «da una certa acre-dine, più sprezzante in Toscana che altrove, verso loStato italiano e verso la monarchia dei Savoia». E poic’era la predicazione anarchica, i volantini, gli arti-coli più o meno clandestini, le riunioni. Gaetano, ra-gazzo serio, si iscrisse a un’associazione, fece attivapropaganda. Fra il 1891 e il 1893 fu arrestato, e con-dannato a qualche mese. La sua strada, ormai, erasegnata.

Nel 1897 emigrò negli Stati Uniti. C’erano anar-chici anche lì, lui li conobbe e si rafforzò nelle sueconvinzioni. Gli eventi di quegli anni, d’altra parte,erano destinati ad accendere un odio sempre più vi-vo verso chi governava l’Italia, verso il suo re. Crispiaveva suscitato speranze, con le avventure colonia-li, con sogni di grandezza che perfino agli anarchici,forse, del tutto non dispiacevano. Poi venne Adua,l’umiliazione della sconfitta; vennero gli scontri diMilano, le cannonate di Bava Beccaris. E il re, al ge-nerale, aveva mandato un telegramma di approva-zione. Tutto questo formò una miscela esplosiva. Inumerosi anarchici che si riunivano ogni sera a Pa-terson, nel New Jersey, a poca distanza da New York,

PIERO OTTONE

Anarchici, i ribellidella Belle Epoque

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7MARZO 2010

In un libro gli scritti di GiovanniAnsaldo, giornalista e amicodi Galeazzo Ciano ma affascinatodai libertari italiani che morivanoper abbattere re e presidentiPerché quei terroristi erano figlidi “un Paese ancora malfermo”

Storie dell’Ottocentola memoria

IL LIBRO

Si intitola

Gli anarchici

della Belle Epoque

la raccolta di saggi

di Giovanni

Ansaldo pubblicata

dalla casa editrice

Le Lettere

(110 pagine,

9,50 euro)

in libreria

in questi giorni

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ATTENTATIDa sinistra, Le Petit Journal illustra l’assassinio

del presidente francese Carnot e la corte d’Assise

di Milano che giudicherà Gaetano Bresci;

La Domenica del Corriere e l’attentato a Umberto I;

nell’altra pagina, una stampa su Umberto I

e, in basso, Gaetano Bresci e Sante Caserio

i CLASSICI di

Il nuovo volume di Limes Classici (2) la rivista italiana di geopolitica

è in edicola e in libreria

DAI DUE STATI PER DUE POPOLI

ALLO STATUS QUO PERMANENTE

STORIA DI UN GRANDE BLUFF

ISRAELE SENZA

PALESTINA

Repubblica Nazionale

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Brutto secolo, l’Ottocento, per capi diStato e teste coronate: si apre con lacongiura dei decabristi, che cospira-no contro lo zar di Russia, si chiudecon l’uccisione di Umberto Primo, red’Italia. I decabristi erano aristocrati-

ci di sangue blu, poco portati alle congiure: finironoin Siberia. Ma i protagonisti del terrorismo ottocen-tesco furono gli anarchici, personaggi di umile ori-gine e di grande fierezza, idealisti, temerari. «Io vi di-sprezzo, voi, le vostre leggi, il vostro ordine e il vostrogoverno di despoti — proclamò uno di loro qualcheistante prima di essere giustiziato —. Che mi si im-picchi pure, per questo! Che mi si impicchi pure!»

Giovanni Ansaldo, grande giornalista e saggista,era nell’animo un conservatore: diresse ai tempi delfascismo Il Telegrafodi Livorno, fu amico di Galeaz-

zo Ciano. Ma per gli anarchici aveva una certa am-mirazione, quasi un filo di simpatia. Su alcuni di lo-ro fece qualche ricerca, scrisse articoli e saggi ades-so ripubblicati dalla casa editrice Le Lettere, col ti-tolo Gli anarchici della Belle Époque. In copertinac’è una divertente illustrazione di Flavio Costantini.Ne emergono ritratti di grande umanità.

I fatti, innanzitutto. Il primo degli attentati quipresi in esame fu compiuto il 24 giugno 1894, quan-do Sadi Carnot, presidente della Repubblica diFrancia, fu aggredito a Lione, e stecchito con una so-la magistrale pugnalata, da un italiano: l’anarchicoSante Caserio. Ma l’evento per noi più importante èil regicidio di Monza. Umberto era già stato bersa-glio di due aggressioni, a Napoli nel 1878, a Firenzenel 1897. L’aveva fatta franca. E con mirabile sprez-zo del pericolo (quanto diverso dall’andazzo dei no-stri tempi) rifiutava ogni eccesso di protezione.«Credeva nel proprio mestiere di re — scrive Ansal-

do — e riteneva che esso imponesse certi doveri dicoraggio e di eleganza anche di fronte alla minacciaignota». Al suo aiutante di campo Umberto diceva:«Anche se davanti a me si perlustrassero a una a unatutte le porte, tutti i canti delle strade, tutti gli an-droni, non si potrebbe impedire di tirarmi un colpodi revolver». Con quattro colpi di revolver, infatti,Gaetano Bresci lo freddò a Monza, il 29 luglio 1900.Un terzo attentato raccontato da Ansaldo fu direttocontro Giuseppe Bandi, fondatore e direttore delTelegrafodi Livorno (lo stesso che Ansaldo andò poia dirigere): assassinato il primo luglio 1894, con unapugnalata come Carnot. Ce n’era, come si vede, an-che per i giornalisti.

Ma chi erano, dunque, questi anarchici, questiterroristi dell’Ottocento? L’anarchismo fu un feno-meno di carattere globale, si diffuse in Europa e inAmerica, per tante ragioni. Ma in Italia fu partico-larmente rigoglioso, e alla sua fioritura, se così pos-siamo chiamarla, possono avere contribuito le vi-cende dell’unificazione: un bel tema, specie nellavicinanza del centocinquantesimo anniversario.L’Italia era stata sognata e promessa (scrive Ansal-do) «come nazione sacra investita di una missionefra i popoli»: ma era in realtà «un Paese ancora mol-to malfermo nelle sue assise fondamentali». Gli ita-liani si accorsero di essere in Europa e nell’ambitodella Triplice alleanza il parente povero. Era diffusauna grande miseria, fra contadini e operai. E circo-lavano tante idee, bellicose e confuse.

Gaetano Bresci condivise i sentimenti di delusio-ne e amarezza. Era nato nel 1869 a Cojano, comunedi Prato, figlio di mezzadri che avevano l’ambizionedi salire nella società: un fratello diventò tenente dicarriera, era in servizio a Caserta al momento del-l’attentato (bel risveglio per il povero tenente, chio-sa Ansaldo, la mattina del 30 luglio). L’ambiente incui Gaetano crebbe era pervaso «da una certa acre-dine, più sprezzante in Toscana che altrove, verso loStato italiano e verso la monarchia dei Savoia». E poic’era la predicazione anarchica, i volantini, gli arti-coli più o meno clandestini, le riunioni. Gaetano, ra-gazzo serio, si iscrisse a un’associazione, fece attivapropaganda. Fra il 1891 e il 1893 fu arrestato, e con-dannato a qualche mese. La sua strada, ormai, erasegnata.

Nel 1897 emigrò negli Stati Uniti. C’erano anar-chici anche lì, lui li conobbe e si rafforzò nelle sueconvinzioni. Gli eventi di quegli anni, d’altra parte,erano destinati ad accendere un odio sempre più vi-vo verso chi governava l’Italia, verso il suo re. Crispiaveva suscitato speranze, con le avventure colonia-li, con sogni di grandezza che perfino agli anarchici,forse, del tutto non dispiacevano. Poi venne Adua,l’umiliazione della sconfitta; vennero gli scontri diMilano, le cannonate di Bava Beccaris. E il re, al ge-nerale, aveva mandato un telegramma di approva-zione. Tutto questo formò una miscela esplosiva. Inumerosi anarchici che si riunivano ogni sera a Pa-terson, nel New Jersey, a poca distanza da New York,

PIERO OTTONE

Anarchici, i ribellidella Belle Époque

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7MARZO 2010

In un libro gli scritti di GiovanniAnsaldo, giornalista e amicodi Galeazzo Ciano ma affascinatodai libertari italiani che morivanoper abbattere re e presidentiPerché quei terroristi erano figlidi “un Paese ancora malfermo”

Storie dell’Ottocentola memoria

IL LIBRO

Si intitolaGli anarchici della Belle Époquela raccolta di saggidi GiovanniAnsaldo pubblicatadalla casa editriceLe Lettere (110 pagine, 9,50 euro)in libreria in questi giorni

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ATTENTATIDa sinistra, Le Petit Journal illustra l’assassiniodel presidente francese Carnot e la corte d’Assisedi Milano che giudicherà Gaetano Bresci;La Domenica del Corriere e l’attentato a Umberto I; nell’altra pagina, una stampa su Umberto Ie, in basso, Gaetano Bresci e Sante Caserio

i CLASSICI di

Il nuovo volume di Limes Classici (2) la rivista italiana di geopolitica

è in edicola e in libreria

DAI DUE STATI PER DUE POPOLI

ALLO STATUS QUO PERMANENTE

STORIA DI UN GRANDE BLUFF

ISRAELE SENZA

PALESTINA

Repubblica Nazionale

Page 7: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/06032010.pdf · 2010. 3. 7. · di Andrea Pazienza (104 pagine, 20 euro) con la prefazione di Roberto Saviano riportata

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 7MARZO 2010

a Napoli e insediata a Neuilly, una Wittelsbach, chesi dava un gran daffare con gli anarchici. Poi rientròin Italia. A Prato chiese addirittura il porto d’arme:non lo ottenne, ma si esercitò con la pistola in un cor-tile. Fu notata la sua presenza? Destò qualche preoc-cupazione il ritorno dagli Stati Uniti di un tale che giàera stato schedato come anarchico? Il delegato dipubblica sicurezza di Prato avvertì la questura di Fi-renze che era arrivato dall’America un «dritto», e tut-to finì lì. Poi venne la festa ginnica a Monza, si compìil destino. Il re non voleva vedere carabinieri intornoa sé, ed era stato accontentato. Quattro colpi di pi-stola lo liquidarono.

L’altro anarchico di cui leggiamo le gesta, menofamoso, ma pur sempre interessante, è Sante Case-rio, che uccise il presidente della Repubblica france-se. Sante apparteneva a una famiglia di Motta Vi-sconti, fra Milano e Pavia: gente di campagna, allabuona. Lui, il futuro attentatore, era un ragazzinodocile, affezionato alla madre, che il prete sceglievaper fare il San Giovannino nel deserto, con la pelled’agnello, alla processione di San Giovanni. Percampare, Sante imparò il mestiere di fornaio. A quat-tordici anni trasmigrò a Milano. E le letture, i mani-festini, i compagni fecero di lui un anarchico a tuttotondo. Abbastanza attivo per essere preso di miradalla polizia: per il servizio di leva lo avrebbe attesouna compagnia di disciplina. Preferì emigrare, pri-ma in Svizzera, poi in Francia. Finì a Cette, in Lin-guadoca.

Il lavoro era saltuario, la paga misera. Ma entrò afare parte di un gruppo che si chiamava Coeurs de

chêne, Cuori di quercia: e lì a Cette, «amareggiato dal-la miseria, dal vagabondaggio, dalla lontananza dal-la patria, dalla separazione dalla madre, alla qualescriveva come poteva e quando aveva i venticinquecentesimi del francobollo», concepì il progetto di farfuori, alla prima occasione, il presidente della Re-pubblica. Il ricordo di Aigues-Mortes, l’uccisione ditanti italiani, contribuì ai suoi propositi di vendetta.Forse una poesia di Victor Hugo, scrive Ansaldo,completò l’opera, folgorandolo. Da Cette andò aLione: un triste viaggio, un po’ in treno, un po’ a pie-di. E lì pugnalò il presidente: una pugnalata bene as-sestata, che gli spezzò il cuore. Era il 24 giugno: lostesso giorno della processione in cui, ragazzino do-cile, faceva il Giovannino.

“Io vi disprezzo, voi,le vostre leggi, il vostroordine e il vostro governo”

“Che mi si impicchi pure,per questo motivo!Che mi si impicchi pure!”

discutevano, si montavano la testa. Un brutto gior-no, decisero di fare fuori il re.

L’attentato contro re Umberto fu dunque archi-tettato e deciso da un gruppo di anarchici italiani ne-gli Stati Uniti. Fu scelto l’esecutore: un certo Speran-dio Carbone. Ma poi Sperandio non partì: e per sal-vare l’onore, per dimostrare che non era un vile, uc-cise in cambio un certo Pessina che lo aveva licen-ziato, quindi si tolse la vita. Ma chi sarebbe andato alposto suo? Fu scelto Gaetano. Il quale in tre anni, daquando era approdato nel Nuovo mondo, aveva tro-vato un lavoro ben retribuito in una filanda di seta; esi era unito con una donna, ne aveva avuto una bam-bina; sicché avrebbe avuto buone ragioni per starse-ne tranquillo dove era. «Ma nessun dovere gli parvepiù imperioso — scrive Ansaldo — di quello d’ese-guire l’impegno», perché l’uomo era, «a suo modo,di grossa levatura». Alla donna disse ciò che andavaa compiere, le diede suggerimenti pratici, di sloggia-re subito dalla casa dove vivevano, per andare a star-sene sola, tranquillamente. E partì.

Sbarcò in Francia, trascorse qualche tempo a Pa-rigi, forse incontrò Maria Sofia, la regina spodestata

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Page 8: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/06032010.pdf · 2010. 3. 7. · di Andrea Pazienza (104 pagine, 20 euro) con la prefazione di Roberto Saviano riportata

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 7MARZO 2010

ta a Napoli e insediata a Neuilly, una Wittelsbach,che si dava un gran daffare con gli anarchici. Poirientrò in Italia. A Prato chiese addirittura il portod’arme: non lo ottenne, ma si esercitò con la pistolain un cortile. Fu notata la sua presenza? Destò qual-che preoccupazione il ritorno dagli Stati Uniti di untale che già era stato schedato come anarchico? Ildelegato di pubblica sicurezza di Prato avvertì laquestura di Firenze che era arrivato dall’America un«dritto», e tutto finì lì. Poi venne la festa ginnica aMonza, si compì il destino. Il re non voleva vederecarabinieri intorno a sé, ed era stato accontentato.Quattro colpi di pistola lo liquidarono.

L’altro anarchico di cui leggiamo le gesta, menofamoso, ma pur sempre interessante, è Sante Case-rio, che uccise il presidente della Repubblica fran-cese. Sante apparteneva a una famiglia di Motta Vi-sconti, fra Milano e Pavia: gente di campagna, allabuona. Lui, il futuro attentatore, era un ragazzinodocile, affezionato alla madre, che il prete sceglievaper fare il San Giovannino nel deserto, con la pelled’agnello, alla processione di San Giovanni. Percampare, Sante imparò il mestiere di fornaio. Aquattordici anni trasmigrò a Milano. E le letture, imanifestini, i compagni fecero di lui un anarchico atutto tondo. Abbastanza attivo per essere preso dimira dalla polizia: per il servizio di leva lo avrebbe at-teso una compagnia di disciplina. Preferì emigrare,prima in Svizzera, poi in Francia. Finì a Cette, in Lin-guadoca.

Il lavoro era saltuario, la paga misera. Ma entrò afare parte di un gruppo che si chiamava Coeurs de

chêne, Cuori di quercia: e lì a Cette, «amareggiatodalla miseria, dal vagabondaggio, dalla lontananzadalla patria, dalla separazione dalla madre, allaquale scriveva come poteva e quando aveva i venti-cinque centesimi del francobollo», concepì il pro-getto di far fuori, alla prima occasione, il presidentedella Repubblica. Il ricordo di Aigues-Mortes, l’uc-cisione di tanti italiani, contribuì ai suoi propositi divendetta. Forse una poesia di Victor Hugo, scriveAnsaldo, completò l’opera, folgorandolo. Da Cetteandò a Lione: un triste viaggio, un po’ in treno, unpo’ a piedi. E lì pugnalò il presidente: una pugnala-ta bene assestata, che gli spezzò il cuore. Era il 24 giu-gno: lo stesso giorno della processione in cui, ragaz-zino docile, faceva il Giovannino.

“Io vi disprezzo, voi,le vostre leggi, il vostroordine e il vostro governo”

“Che mi si impicchi pure,per questo motivo!Che mi si impicchi pure!”

discutevano, si montavano la testa. Un brutto gior-no, decisero di fare fuori il re.

L’attentato contro re Umberto fu dunque archi-tettato e deciso da un gruppo di anarchici italianinegli Stati Uniti. Fu scelto l’esecutore: un certo Spe-randio Carbone. Ma poi Sperandio non partì: e persalvare l’onore, per dimostrare che non era un vile,uccise in cambio un certo Pessina che lo aveva li-cenziato, quindi si tolse la vita. Ma chi sarebbe an-dato al posto suo? Fu scelto Gaetano. Il quale in treanni, da quando era approdato nel Nuovo mondo,aveva trovato un lavoro ben retribuito in una filan-da di seta; e si era unito con una donna, ne aveva avu-to una bambina; sicché avrebbe avuto buone ragio-ni per starsene tranquillo dove era. «Ma nessun do-vere gli parve più imperioso — scrive Ansaldo — diquello d’eseguire l’impegno», perché l’uomo era, «asuo modo, di grossa levatura». Alla donna disse ciòche andava a compiere, le diede suggerimenti pra-tici, di sloggiare subito dalla casa dove vivevano, perandare a starsene sola, tranquillamente. E partì.

Sbarcò in Francia, trascorse qualche tempo a Pa-rigi, forse incontrò Maria Sofia, la regina spodesta-

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«Dal Vaticano, 5aprile 1940. Soc-corsi ai non-

Ariani. Quanto danaro disponibile inmano della Santa Sede? Dalla somma di125mila dollari messa a disposizionedel Santo Padre: 50mila dollari sonostati assegnati ai comitati americani disoccorso; 30mila dollari all’associazio-ne Raphaelsverein di Amburgo. Lit.20mila sono state inviate a disposizionedi Sua Eminenza il cardinale Boetto pergli aiuti agli ebrei di Genova [...] Si pre-vede certamente un grande aumento ditali domande nell’avvenire a misurache la notizia dei soccorsi accordati sipropagherà tra gli ebrei [...] Da notarsiche il fondo americano è destinato agliebrei, senza distinzione di religione».

Questa nota della Segreteria di Stato,a cui è allegato un appunto autografodell’allora sostituto Giovanni BattistaMontini, il futuro Paolo VI, riassume leistruzioni impartite da Pio XII ai suoicollaboratori per sostenere concreta-mente le comunità ebraiche. Il docu-mento è parte di una mole immensa diincartamenti su Papa Pacelli e i suoi at-ti riguardanti la Seconda guerra mon-diale, di imminente pubblicazione suInternet. Tra pochi giorni una fonda-zione americana, la Pave the Way Foun-dation, il cui presidente è di origineebraica, Gary Krupp, metterà onlineben 5.125 atti provenienti dall’Archiviodella Segreteria di Stato vaticana, ri-guardanti un periodo compreso fra ilmarzo 1939 e il maggio 1945.

La Pave the Way Foundation sta per pubblicare onlinegli “Atti della Santa Sede sulla Seconda guerramondiale”. Undici volumi che testimonianola solidarietà agli ebrei e il lavoro dietro le quintedel Papa per aiutarli. Ma anche di una condannadell’Olocausto solo minacciata e mai pronunciata

CULTURA*

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7MARZO 2010

Questi documenti sono editi negliActes et documents du Saint Siege rela-

tifs a la Seconde Guerre Mondiale, un’o-pera stilata fra il 1965 e il 1981, voluta daPapa Montini, e riversata in undici vo-lumi (di cui uno in due tomi). Ma, oggi,è quasi irreperibile se non in rare bi-blioteche, e il suo contenuto è presso-ché ignoto a molti esperti di cose vati-cane. Si tratta dunque di carte scono-sciute, di cui Repubblicapropone in an-teprima una selezione.

La Pave The Way Foundation, che siè data come missione l’impegno di ri-muovere gli ostacoli fra le religioni, vuo-le fare piena luce su Pacelli. «Il papato diPio XII — spiega Krupp — è diventatoun motivo di frizione. La nostra ricercaha rivelato che cinque anni dopo la suamorte i servizi segreti sovietici, il Kgb,organizzarono un complotto per scre-ditare il loro nemico, la Chiesa cattolica,chiamato “Seat 12”. Un trucco sporco,con accuse false a quel Papa di esserestato in silenzio durante l’Olocausto, dicui si fece interprete l’opera teatrale Ilvicario di Rolf Hochhut».

Le carte sostengono quindi la tesidell’aiuto dato da Pacelli agli ebrei. An-dranno così a integrare documenti in-vece di altra provenienza, che hannomosso un’opinione diversa sull’argo-mento. Alcuni storici aspettano in ognicaso di poter consultare gli atti origina-li fra qualche anno, quando le carte suc-cessive al 1938 verranno ufficialmenterilasciate dall’Archivio segreto vatica-no.

D’accordo con la Santa Sede, Kruppha intanto deciso di riesumare l’opera,mettendo i documenti sul web, in testo

Il grande silenzioe gli archivi segreti

MARCO ANSALDO

IN ESCLUSIVADa sinistra in senso antiorario, la lettera di Angelo Roncalli,

futuro Giovanni XXIII; la lettera del rabbino capo di Zagabria,

Freiberger per ringraziare Pio XII; l’appunto manoscritto

di Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI; il diario

di padre Graham su carta intestata della Civiltà Cattolica;

il resoconto della conversazione tra il Segretario

di Stato vaticano Luigi Maglione e l’ambasciatore tedesco

Ernst von Weizsaecker

CITTÀ DEL VATICANO

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 7MARZO 2010

originale e traduzione inglese. A queltempo furono esaminati da quattro sto-rici gesuiti (Pierre Blet, Robert Graham,Angelo Martini, Burkhart Schneider),che pubblicarono non un “libro bian-co”, cioè una selezione mirata, ma l’in-tero corpus delle carte su Pio XII e i suoiatti relativi alla guerra, ai nazisti e agliebrei, da loro trovate.

Lo rivela uno dei quattro compilato-ri, padre Robert Graham, nel suo diarioannotato nella stanza dove lavorava al-la rivista Civiltà cattolica: «In questomomento ho le bozze del volume VIII(poi diventato il IX, ndr), opera umani-taria per il 1943. Schneider dice che de-vo preparare l’introduzione e che essadovrà essere assai buona, a causa dellanatura della documentazione, natural-mente sulla questione ebraica e dei soc-corsi a Roma. Ho detto che c’è l’interadocumentazione delle lettere inviate alPapa dopo il 16 ottobre (nessuna dellequali indicava la conoscenza di quantosi stava preparando). E poi l’intera listadi appelli per i fratelli arrestati nell’au-tunno del 1943 (il 16 ottobre è il “sabatonero” del ghetto in cui avvenne il ra-strellamento degli ebrei romani da par-te delle SS, ndr)».

Una nota rilevante della raccolta è lalettera autografa di ringraziamento,scritta con inchiostro azzurrino, delrabbino capo di Zagabria, Miroslav Sa-lom Freiberger, a Pacelli: «Santo Padre— si legge — pieno di rispetto oso com-parire dinanzi al trono di Vostra Santitàper esprimervi la mia gratitudine piùprofonda e quella della mia congrega-zione per la bontà senza limiti che han-no mostrato i rappresentanti della San-

ta Sede e i capi della Chiesa verso i no-stri poveri fratelli [...] Prego Vostra San-tità di essere sicura della mia gratitudi-ne più profonda».

Emerge poi una lettera inviata da An-gelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII,delegato apostolico in Turchia e in Gre-cia, al re Boris di Bulgaria. «Istanbul, 30giugno 1943. Maestà, come sapete be-ne, la Santa Sede, fedele alla sua tradi-zione, continua a moltiplicare le formedi assistenza caritativa a coloro che sof-

frono la guerra, di ogni lingua e nazio-ne, senza escludere i figli d’Israele [...]Ed è precisamente questo esercizio dicarità esteso agli stessi Ebrei che mi for-nisce l’occasione di ricorrere al cuore diVostra Maestà».

Un documento interessante è il reso-conto manoscritto della conversazionedi quel 16 ottobre ‘43 tra il segretario diStato cardinale Luigi Maglione, bracciooperativo di Pio XII, e l’ambasciatoretedesco Ernst von Weizsaecker. Il ver-

bale è molto dettagliato. Saputo del ra-strellamento, Maglione chiede a vonWeizsaecker di intervenire: «Le dicosemplicemente: Eccellenza, che ha uncuore tenero e buono, veda di salvaretanti innocenti. È doloroso per il SantoPadre che proprio a Roma, sotto gli oc-chi del Padre comune siano fatte soffri-re tante persone unicamente perchéappartengono a una determinata stir-pe». Domanda von Weizsaecker: «Chefarebbe la Santa Sede se le cose avesse-ro a continuare?».

Replica Maglione: «La Santa Sedenon vorrebbe essere messa nella neces-sità di dire la sua parola di disapprova-zione». L’ambasciatore prospetta legravi conseguenze per un passo del Va-ticano. «Dovevo però pur dirgli — si leg-ge ancora nello scritto del segretario diStato — che la Santa Sede non deve es-sere messa nella necessità di protesta-re: qualora fosse obbligata a farlo, si af-fiderebbe, per le conseguenze, alla Di-vina Provvidenza» (nota del cardinaleMaglione, 16 ottobre 1943, ADSS, vol. 9,doc. 368). La protesta, come si sa, non fumai fatta.

Appendice interessante: von Weiz-saecker non riferì a Berlino del collo-quio. Tanto è vero che le carte d’archi-vio tedesche non ne mostrano traccia,ma contengono due resoconti dell’am-basciatore fatti per abbellire il clima eparlare di una cordialità che non c’era.Le fonti inglesi sul colloquio, invece,confermano la sostanza di quelle vati-cane. In un certo senso, la questionestoriografica nuova è l’indagine sul “si-lenzio” di von Weizsaecker.

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“La nascita di quei documenti è una spy-storysono carte che nessuno ha voluto studiare”

Intervista a Matteo Luigi Napolitano, storico di diplomazia vaticana

CITTÀ DEL VATICANO

«La collana degli Actesdi Pio XII sembra l’opera più negletta della sto-ria diplomatica contemporanea. Ciò che la Pave the Way Foundation in-tende farne è meritorio. Seguiranno certamente una doppia linea: pubbli-care in lingua originale per poi tradurre in inglese». Matteo Luigi Napolita-no, studioso di diplomazia vaticana, docente di Storia delle relazioni inter-nazionali dell’Università Marconi di Roma, autore di tre libri su Pio XII e delsito vaticanfiles. splinder. com, guarda con interesse alla pubblicazione on-line della raccolta su Pacelli.

Professore, come nacquero gli Actes?«La loro nascita è affascinante, quasi una spy-story. Quattro gesuiti (i pa-

dri Blet, Martini, Schneider, cui si unì poi Graham) furono chiamati da Pao-lo VI a curare la collana: diversi per formazione, risolsero i problemi di me-todo “in una decina di minuti”, come mi disse Blet, con il quale ebbi proficuiscambi di opinioni su Pio XII».

Quale criterio fu seguito?«Non si trattava di scegliere: se un singolo documento avesse parlato del-

la guerra, lo si sarebbe pubblicato. Ma carte vaticane ormai vecchie si trova-vano allo stato di pratiche correnti. Su Pio XII non c’era insomma un archiviostorico. Martini chiedeva le chiavi all’archivista vaticano e prendeva le sca-tole che servivano; lo stesso archivista lo giudicava un lavoro da “chierici”».

E la spy-story?«Il cardinale Pio Laghi narrò una volta che il primo volume era an-

cora in bozze quando un addetto alla Cifra obiettò a Martini che era impos-sibile pubblicare documenti senza svelare i codici vaticani: o si rinunciava afarlo, o si doveva parafrasarli. Lo stesso Papa Montini parve impressionatoda questi rilievi. Ma i quattro gesuiti posero un aut aut: preparare una pub-blicazione secondo criteri scientifici oppure rinunciare».

Non ci fu il rischio di un’apologia di Pio XII?«Gli Attisono un’opera di prim’ordine, ma a rischio di oblio. Invece di stu-

diarla, si perse tempo a ipotizzarne le possibili omissioni. Ecco perché solopochissimi esperti la conoscono. Ora tutti potranno giudicarla. I quattro cu-ratori si mossero con integrità metodologica. Blet mi disse (e lo scrisse) chese l’edizione dei documenti vaticani fosse stata ispirata da motivi apologe-tici, sarebbe stato più facile pubblicare del materiale risicato in un “librobianco” confezionato ad usum secondo la prassi consolidata di molti Stati».

E invece?«E invece quando i quattro gesuiti (non sempre d’accordo) videro appa-

rire in giro analoghe collane di documenti edite con rigore scientifico, deci-sero che gli Atti sarebbero stati pubblicati con altrettanta cura. Che non sitratti di opera apologetica lo si desume poi dall’inedito diario di padreGraham, nella pagina decisiva in cui racconta la nascita del volume con lecarte sul 16 ottobre 1943, il giorno del rastrellamento degli ebrei romani daparte delle SS, annotando che i documenti importanti ci sono tutti. Tuttiquanti».

(m. ans.)

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Ira M. Resnick per una vita ha raccolto manifestidi film. Ora li presenta in un libro. Introdottida un collezionista d’eccezione: Martin Scorsese

SPETTACOLI

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7MARZO 2010

GABRIELE PANTUCCI

Suitavolini dei salotti più eleganti di New York sta prenden-do il posto d’onore questo volume di largo formato che,sebbene offra un testo non breve, è piacevole ed istruttivoanche se ci si limita a sfogliarlo: Starstruck: Vintage MoviePosters from Classic Hollywood di Ira Resnick, pubblicatoda Abbeville Press (in Italia uscirà a settembre da Jaca Book

con il titolo Hollywood). Probabilmente l’autore è rassegnato a un pic-colo numero di lettori. I più sono attratti dal fascino “cult” di quanto èappartenuto alle generazioni precedenti e di cui ci sembra d’impos-sessarci attraverso l’immagine. Sono i manifesti pubblicitari della sta-gione d’oro di Hollywood: dal 1912 al 1962.

La maggior parte dei lettori d’oggi ha visto i film a cui questi poster siriferiscono in retrospettive. Oppure ne ha sentito parlare, ne ha let-to nelle storie del cinema e forse inconsapevolmente haassunto l’atteggiamento di deferenza che si prova perun passato che ci dicono essere importante. Certo che,anche per chi non sia suggestionato dalla venerazioneche Martin Scorsese esprime per questi poster nella suabella introduzione, questa galleria offre parecchi mo-menti divertenti. Che dire di Harold Lloyd che pende daun cornicione con un’espressione ragionevolmente tur-bata per la prospettiva di un volo d’una decina di pianimentre lei, tre metri sopra, da un parapetto gli allarga lebraccia in un gesto seducente, piuttosto che salvatore? Ve-diamo un Maurice Chevalier, impeccabile in abito grigio ecravatta a farfalla, che con un metro misura la circonferenzamassima di lei all’altezza dei capezzoli; l’espressione delladonna — che è in sottoveste — traduce il disappunto di chi nonappartiene alla classe di Marilyn Monroe o di altre maggioratefisiche. E che dire del poster di Casablanca in cui il viso diHumphrey Bogart accanto a quello di Ingrid Bergman esprime

il disagio di una persona in trepida attesa che si liberi la stanza più pic-cola? Ce lo aspettavamo sigaretta in mano, cappello di traverso, a pro-nunziare una delle battute che fecero di Casablanca una delle più bel-le pellicole nella storia del cinema. Una delle immagini più divertentiè quella di John Barrymore cui pare abbiano rovesciato un piatto di pa-stasciutta in testa. Ma, osservando meglio, vediamo che sopra l’e-spressione accigliata di Barrymore si profilano dei volti femminili e cen’è anche uno maschile. La capigliatura del famoso attore con una me-tamorfosi degna di Ovidio diviene antropomorfica.

Ira Resnick, sessant’anni, l’autore del libro e proprietario dei 258 po-ster illustrativi, possiede duemila di questi manifesti che cominciò acollezionare quando era all’università. Si descrive come uno storicodel cinema e, dopo aver fatto il fotografo di scena, aprì nel 1982 la Mo-tion Pictures Art Gallery, a un indirizzo prestigioso sulla 58ma strada,a New York. Il che ci ricorda che oggi i poster cinematografici hanno unflorido mercato internazionale. In America si svolgono annualmentefiere a loro dedicate: a Chicago in marzo, a New York in ottobre e a SanFrancisco alla fine dello stesso mese. A Londra, da Christie’s, le aste rea-lizzano decine di migliaia di dollari per ogni poster. Oltre 13mila europer quello della Dolce Vita due anni fa. Più di 14mila per Dracula,la ver-sione del 1958. Il record resta quello del film Metropolis di Fritz Lang(1927), che realizzò 690mila dollari nel 2005. Proveniva dalla Reel Po-ster Gallery di Tony Nourmand, in Westbourne Grove a Londra, de-scritta come la più importante galleria di poster cinematografici delmondo.

È vero che rappresentano un’istantanea della società americana diquegli anni? No. Non mostrano conflitti internazionali e sociali, e pre-sentano un’umanità in cui le persone avvenenti d’un sesso s’equili-brano col sesso opposto. Qui la vita è fatta di passioni sentimentali e —se si esclude Charlie Chaplin in La febbre dell’oro — le intenzioni se-duttive dominano i due sessi. Numericamente le bionde bilanciano lebrune. Il che sembra contraddire la tradizione che vorrebbe gli ameri-cani preferire le bionde: come dice il famoso romanzo di Anita Loos.Ma è pure vero che nei poster le più seducenti e pericolose (come reci-ta qualche titolo) sono le bionde (a parte la fulva artificiale RitaHayworth). Il che ci ricorda che Anthony Burgess cambiò il titolo allaversione americana di un suo libro di saggi in But Do Gentlemen PreferBlondes?, ironizzando sul titolo della Loos.

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Quei posterche feceroHollywood

IL LIBRO

Starstruck: Vintage Movie Postersfrom Classic Hollywood di Ira M. Resnick

(con prefazione di Martin Scorsese,

che anticipiamo) è stato appena pubblicato

in America da Abbeville Press

(280 pagine, 65 dollari). In Italia uscirà

a settembre dall’editore Jaca Book

con il titolo Hollywood: i manifesti del cinema nell’età dell’oro. Il volume

riproduce 258 manifesti di film dal 1912

al 1962 ed è al tempo stesso una guida

per collezionisti di locandine storiche

In America si svolgono ogni anno fierededicate alle locandine degli anni d’oroIntanto, le vendite all’asta impazzano:quella di “Metropolis” di Fritz Langè stata battuta per 690mila dollari

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 7MARZO 2010

Spalle nude e sigarettacosì Gilda mi ha stregatodicato tempo e denaro in abbondanza a crearsi una collezio-ne di manifesti cinematografici.

Prendiamo ad esempio il poster di Gilda. È una delle mas-sime icone del cinema americano: Rita Hayworth in abitolungo di raso blu, aderente, spalle nude, lascia penzolare unoscialle dalla mano destra, una sigaretta nell’altra, il capo get-tato all’indietro con noncuranza in una posa in qualche mo-do sfrontata, forse altera. È il suo personaggio, è il film, ma an-che qualcosa d’altro. Gilda si staglia sullo sfondo scuro sopraun pennacchio bianco e indaco su un blu più tenue. In altreparole è una dea su una nuvola. Sopra la sua testa è scritta, adarco, la frase di lancio: «Non c’è MAI stata una donna come Gil-da» e le lettere bianche (solo Gildaè in rosso) ricordano le stel-le. L’immagine è in linea con l’ideale classico della star del ci-nema, ma va al di là. Evoca una sorta di vita incantata, celeste,lontana da noi. Sapeva stregare quando ero bambino e sa stre-gare oggi. Ed è un’altra cosa rispetto alla pellicola. Oggi il po-ster di Gilda sembra meravigliosamente complementare alfilm.

Oppure prendiamo il poster 41 per 81 di Sfida infernale. Ilpiano americano di Henry Fonda inquadrato dal basso pun-ta la pistola contro il primo piano di Victor Mature e Linda Dar-nell guancia a guancia. Fonda, su una cima scura, si stagliacontro la suggestione di un’alba e la macchia marrone che in-crocia il rilievo evoca il deserto. Mature e la Darnell spiccanosu uno sfondo di delicate sfumature di colore, così che il gial-lo dell’alba di Fonda è anche il giallo del fondale soprannatu-rale. Non è proprio il film, il poster è molto più sgargiante, matrasmette un’emozione particolare, perché nella sua atmo-sfera sospesa e insolita sembra l’emanazione di un mondo su-periore.

I poster hanno il dna della loro epoca e in questo sta partedel loro fascino. Le teste bendate art déco disposte a formareun triangolo in alto nel manifesto di Mariti ciechi di Stroheimincarnano gli anni Venti. L’immagine-icona di James Deancol cappello da cowboy e i jeans, pigramente allungato su unfurgone contro un cielo immenso, con una grande casa pa-dronale in distanza, sul poster del film Il Gigante “è” gli anniCinquanta. Guardando i manifesti, o si ricorda come era la vi-ta allora, o si immagina come deve essere stata. Il poster di Ar-gento vivo, che raffigura Katharine Hepburn seduta sulla vet-ta di una montagna, gli occhi al cielo, i raggi del sole che si in-frangono sul titolo, non è concepibile ora, né lo sarebbe statonegli anni Venti o Cinquanta. Non potrebbe essere datato al-tro che primi anni Trenta. Cambia la grafica, cambiano le tec-niche e lo stile, cambia l’idea dell’amore, assieme ad altri piùcomportamenti, prassi ed emozioni comuni e ci si trova da-vanti ad un’immagine che parla direttamente di quell’epoca,da quell’epoca. E spesso lo fa bene e con grazia, perché il lin-guaggio visivo dei poster sa essere bello.

Come ho detto, condivido la passione da collezionista di IraResnick. E potreste iniziare a nutrirla anche voi dopo aver su-bito il fascino di straordinarie riproduzioni, ad esempio unalocandina di Le due orfanelle, un poster tedesco di Diario diuna donna perduta di Pabst, un cartello vetrina di Susanna, oposter stupefacenti di film che forse neppure conoscevate, ti-po Private Detective 62 con William Powell o Daphne and thePirate con Lillian Gish.

Benvenuti in un altro mondo, il mondo incantato dei poster.

Traduzione di Emilia Benghi(L’articolo di Scorsese fa da introduzione a Startstruck:

Vintage Movie Posters from Classic Hollywooddi Ira M. Resnick © 2010 Abbeville Press)

Per me e per chiunque sia cresciuto in epoca precedenteagli anni Ottanta o giù di lì, i manifesti dei film, i poster,erano una componente essenziale dell’esperienza di

andare al cinema. Si entrava e nell’atrio si guardavano i poster,in genere associati a locandine e spesso a foto di scena e frasidi lancio del film in programmazione e di quello successivo.L’immagine si fissava nella mente. Parte dell’emozione poiconsisteva proprio nel paragonare il film proiettato sulloschermo a quello possibile o probabile immaginato in pochisecondi guardando il poster.

In teoria il poster doveva incarnare il film, ma si sapeva cheera anche in qualche modo estraneo ad esso. Doveva dareun’idea della pellicola ma aveva un mistero e un fascino a sé.Ecco perché c’è gente, come Ira Resnick e come me, che ha de-

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MARTIN SCORSESE I CULT MOVIEA sinistra, la locandina di PrivateDetective 62 con William Powell;sotto, quella di Sfida infernalecon Victor Mature e Linda Darnellminacciati da Henry Fonda

LE STARDa sinistra, Daphneand the Piratecon Lillian Gish, Mariti ciechidi Erich von Stroheim,Argento vivocon Katharine Hepburn,La bisbetica innamoratacon Carole Lombard,Susanna con la coppiaCary Grant e KatharineHepburn. Nell’immaginegrande, Gloria Swanson,William Holden e Nancy Olsonnel manifestodi Viale del tramonto

LE DIVEA sinistra, Rita Hayworthnel manifesto di Gilda; sopra,Louise Brooks nella locandinadi Diario di una donna perdutaIn basso, da sinistra, James Deannel poster del Gigante e le sorelleGish in quello delle Due orfanelle

Repubblica Nazionale

Page 13: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/06032010.pdf · 2010. 3. 7. · di Andrea Pazienza (104 pagine, 20 euro) con la prefazione di Roberto Saviano riportata

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7MARZO 2010

i saporiPrimavera

«Sono contento di esse-re arrivato uno», dice-va il ciclista Vito Tac-cone, seminando sor-risi al Giro d’Italia. È lostesso concetto delle

primizie, che la natura ogni anno conse-gna al ruolo di numeri uno, con il lorostraordinario significato simbolico. Ri-nascita, energia, speranza, luce: se in in-verno ci rallegriamo alla vista dei buca-neve, cocciuto esempio di esplosionefloreale a dispetto delle temperature ri-gide, l’arrivo in tavola delle primizie fabene a tutto il corpo, perché segnala chel’inverno è davvero agli sgoccioli.

Certo, c’è primizia e primizia. Nellatradizione orticola, le prime tracce dellaprimavera imminente coinci-dono col germogliare dellenuove piantine, nate tra lezolle ancora impregnate difreddo dell’orto. Faticando,lottando contro gli ultimi spa-smi ribelli della “brutta” sta-gione, nascono e si sviluppanobaciate dal primo sole davverotiepido, che regala loro un mixunico di dolcezza e intensità. Grazie aquesto annuale miracolo botanico, finoa pochi anni fa prosperavano negozi ebotteghe battezzate con il nome dellepiantine neonate: primizie. Vetrine in-vernali banali e tristanzuole si trasfor-mavano nel giro di pochi giorni in trion-fi di verzure irresistibili: zucchine verdetenero, cipollotti odorosi, mazzetti diasparagi magrolini e puntuti — l’aspa-ragina — pronti a essere cucinati in de-licati risotti, zuppe rinfrescanti, frittatefragranti, o semplicemente tuffati inuna ciotolina d’olio, nuovo pure lui,esaltandosi a vicenda.

Ma non tutta la verdura che amiamogustare in primavera ha talento preco-ce: esistono piante che hanno bisognodi più tempo, più luce e più calore perportare a compimento tutti gli elementiaromatici che ne caratterizzano il gusto.Non c’è pomodoro piantato in pienocampo che a marzo possa dare il me-glio di sé, e ben lo sanno quelli che danovembre a maggio si accontenta-no dei succedanei di serra.

Dove la cultura contadinaresiste, si sceglie sempli-cemente di aspettare. InCampania, i pomodori-ni del piennolo, raccoltinel tempo del solleone,vengono assemblatiin grappoli poderosi,intorno a una corda di canapa incatra-mata che assorbe l’umidità, e appesifuori dalle porte. Durano tutto l’inver-no, e il loro lento appassimento, che neconcentra il sapore con un lieve sentoredi affumicato, è una nota magica neiragù invernali.

Il guaio è che la pazienza è merce in di-suso anche a tavola. L’onnipotenza ga-stronomica non chiede conto semplice-mente di quanto qui ci è impossibile col-tivare per questioni di clima, dall’ana-nas al mango. Vogliamo tutto, compre-so quello per cui basterebbe semplice-mente aspettare. E lo vogliamo tuttol’anno, come i prìncipi medievali, anchese non abbiamo ospiti illustri da stupireo sontuosi pranzi nuziali da allestire. Laglobalizzazione supporta l’illusionedelle primizie destagionalizzate: bastaimportare gli asparagi dal Perù, le frago-le dal Marocco, i pomodori dalla Cina.Migliaia di chilometri, conservanti a pa-late, gusto azzerato. E soprattutto, mor-te delle meravigliose molecole terapeu-tiche — vitamine, sali minerali, antios-sidanti — che fanno delle vere primizieil più importante fornitore di probioticinaturali. Chissà se ce ne ricorderemo al-la prossima insalata di pomodori.

Primizie

LICIA GRANELLO

L’annuale miracolo dei numeri uno

le aziende agricolecon vendita diretta

63.600

le tonnellate di asparagiprodotte in Italia ogni anno

41mila

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Zucchine verde tenero e cipollotti odorosi per zupperinfrescanti, fragranti frittate o semplicemente immersinell’olio novello. L’inverno è ormai agli sgocciolie sulle nostre tavole stanno per arrivarei più importanti fornitori di probiotici naturaliA patto però di sapere aspettare i tempi della natura

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