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DOMENICA 22 MARZO 2009 D omenica La di Repubblica i sapori Il ritorno del buon vino di una volta LICIA GRANELLO e CARLO PETRINI l’incontro Donovan il cantastorie LAURA PUTTI la memoria I segreti dell’ultimo eunuco cinese FEDERICO RAMPINI cultura Il profumo delle poesie da bambini PAOLO MAURI spettacoli Quell’eterno Piccolo grande amore EDMONDO BERSELLI e GINO CASTALDO l’attualità La fuga dei giovani italiani a Oxford ENRICO FRANCESCHINI Q uanta paura, Madonna che scrupoli e che riserve ha sol- levato, me lo ricordo ancora bene, un film come La vi- ta è bella. Il dissenso più o meno manifesto partiva dai sostenitori della tesi che coi campi di concentramento non si può scherzare, non si può fare comicità. Errore. Perché quel film è una tragedia. Nel senso che c’è una storia che comincia bene e finisce male. Tutto il contrario della Di- vina Commedia di Dante, che inizia male con l’Inferno e termina benissimo col Paradiso. Voglio dire che quel film era sdrammatico. Finiva il primo tempo che gli spettatori avevano le lacrime agli oc- chi dalle risate e il secondo tempo che avevano le risate per le lacri- me agli occhi. La vita è bella è anche un film estremo. Perché è lo sti- le che conta. Si può essere laidi e volgari parlando di una farfalla, e si può essere poetici parlando di Hiroshima con letizia. E Fellini di- ceva che le cose molto tragiche possono essere raccontate solo da un clown. Poi, come dice un altro, come dice Montale, tra l’orrore e il ridicolo il passo è un nulla. E sapete qual è l’anagramma che ha ela- borato col mio nome Stefano Bartezzaghi? Birbone integro. Beh, mi ci trovo bene, via. RODOLFO DI GIAMMARCO ROBERTO BENIGNI Così ho scoperto che la vita bella Dieci anni fa l’Oscar che lo ha reso famoso nel mondo. Oggi una tournée planetaria per regalare Dante a tutti Roberto Benigni racconta e si racconta FOTO © DENIS ROUVRE/CORBIS OUTLINE « T hank you, thank you. This is a moment of joy, and I want to kiss everybody...» suonarono le prime pa- role del discorso di Roberto Benigni a Los Angeles, la notte del 21 marzo 1999, dieci anni fa, alla con- segna dell’Oscar per il miglior film straniero attri- buito al suo La vita è bella (uno dei tre Oscar riser- vati al film, assieme a quelli conferiti a Benigni stesso come migliore attore, e a Nicola Piovani per la colonna sonora). E «Così discesi del cerchio primaio/ giù nel secondo, che men loco cinghia/ e tanto più dolor, che punge a guaio» suoneranno le parole iniziali dell’attore quando il 5 aprile prossimo, in scena a Londra, in- terpreterà la terzina d’avvio del quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia, che è la partitura-guida del suo TuttoDante con tour mon- diale già avviato e calendario fittamente disposto, in continua espan- sione, fino a giugno. Allora, all’Oscar, si fece prendere da un impeto di baci, ma anche adesso si fa cantore del cerchio dei Lussuriosi culmi- nante col bacio grazie a cui Paolo infiamma i sensi di Francesca. (segue nelle pagine successive) con un articolo di CURZIO MALTESE è Repubblica Nazionale

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DOMENICA 22MARZO 2009

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

Il ritorno del buon vino di una voltaLICIA GRANELLO e CARLO PETRINI

l’incontro

Donovan il cantastorieLAURA PUTTI

la memoria

I segreti dell’ultimo eunuco cineseFEDERICO RAMPINI

cultura

Il profumo delle poesie da bambiniPAOLO MAURI

spettacoli

Quell’eterno Piccolo grande amoreEDMONDO BERSELLI e GINO CASTALDO

l’attualità

La fuga dei giovani italiani a OxfordENRICO FRANCESCHINI

Quantapaura, Madonna che scrupoli e che riserve ha sol-levato, me lo ricordo ancora bene, un film come La vi-ta è bella. Il dissenso più o meno manifesto partiva daisostenitori della tesi che coi campi di concentramentonon si può scherzare, non si può fare comicità. Errore.Perché quel film è una tragedia. Nel senso che c’è una

storia che comincia bene e finisce male. Tutto il contrario della Di-vina Commedia di Dante, che inizia male con l’Inferno e terminabenissimo col Paradiso. Voglio dire che quel film era sdrammatico.Finiva il primo tempo che gli spettatori avevano le lacrime agli oc-chi dalle risate e il secondo tempo che avevano le risate per le lacri-me agli occhi. La vita è bella è anche un film estremo. Perché è lo sti-le che conta. Si può essere laidi e volgari parlando di una farfalla, esi può essere poetici parlando di Hiroshima con letizia. E Fellini di-ceva che le cose molto tragiche possono essere raccontate solo daun clown. Poi, come dice un altro, come dice Montale, tra l’orrore eil ridicolo il passo è un nulla. E sapete qual è l’anagramma che ha ela-borato col mio nome Stefano Bartezzaghi? Birbone integro. Beh, mici trovo bene, via.

RODOLFO DI GIAMMARCO ROBERTO BENIGNI

Cosìho scoperto

che la

vitabella Dieci anni fa l’Oscar che lo ha reso

famoso nel mondo. Oggi una tournéeplanetaria per regalare Dante a tuttiRoberto Benigni racconta e si racconta

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«Thank you, thank you. This is a moment of joy, andI want to kiss everybody...» suonarono le prime pa-role del discorso di Roberto Benigni a Los Angeles,la notte del 21 marzo 1999, dieci anni fa, alla con-segna dell’Oscar per il miglior film straniero attri-buito al suo La vita è bella (uno dei tre Oscar riser-

vati al film, assieme a quelli conferiti a Benigni stesso come miglioreattore, e a Nicola Piovani per la colonna sonora).

E «Così discesi del cerchio primaio/ giù nel secondo, che men lococinghia/ e tanto più dolor, che punge a guaio» suoneranno le paroleiniziali dell’attore quando il 5 aprile prossimo, in scena a Londra, in-terpreterà la terzina d’avvio del quinto canto dell’Inferno della DivinaCommedia, che è la partitura-guida del suo TuttoDante con tour mon-diale già avviato e calendario fittamente disposto, in continua espan-sione, fino a giugno. Allora, all’Oscar, si fece prendere da un impeto dibaci, ma anche adesso si fa cantore del cerchio dei Lussuriosi culmi-nante col bacio grazie a cui Paolo infiamma i sensi di Francesca.

(segue nelle pagine successive)con un articolo di CURZIO MALTESE

è

Repubblica Nazionale

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la copertinaDieci anni dopo

Miglior pellicola straniera, miglior attore, miglior colonna sonora: furono trele statuette vinte da “La vita è bella” il 21 marzo 1999. Ecco per la prima volta

gli appunti preparatori, gli abbozzi della storia con cui il comicocommosse le platee.Ma oggi lui preferisce

guardare avanti, alla tournée mondialecon l’“Inferno” di Dante

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22MARZO 2009

(segue dalla copertina)

Sia che rilegga l’Olocausto di-rigendo e recitando una sto-ria scritta con Vincenzo Ce-rami, sia che rilegga Dantedicendolo a memoria comeun commediante dell’arte,

Benigni è sempre un artista che inquietacol fisico, è sempre un comico munito disghignazzo epidermico, è sempre unuomo di spettacolo che necessita di ef-fusioni, è e resterà sempre uno chescherza carnalmente, guancia a guan-cia, marcando stretto con le labbra.

In questo senso l’Oscar di dieci anni

fa, al di là delle argomentazioni caute oscettiche degli intellettuali e delle per-sonalità che si ergevano a depositariedell’austerità tragica della Shoah, fu unsuperbo riconoscimento all’universa-lità della poesia del corpo di Benigni, al-la sua poetica verbale, all’intuizione diun lirismo paterno, all’ideale di un’esi-stenza sentita come la sentì Primo Leviin Se questo è un uomo: «Pensavo che lavita fuori era bella e che avrebbe conti-nuato a essere bella».

E rovistando tra i suoi appunti gelosi— ottenuti solo dopo tenaci e infinite ri-chieste perché lui non ama le autocele-brazioni e non indulge negli sguardi al-l’indietro — trascrivendo le sue note pre-paratorie del film, note quasi indecifra-bili tanto la calligrafia di Benigni superain vaghezza quella di certe ricette medi-che, balza evidente come anche propriouna certa sua poesia bambina, quella ca-ratterizzante i toni e i temi della fantasio-sa e compagnona traduzione a bracciodegli indottrinamenti nazisti nel lager,costituisca un linguaggio tragicomicoincline a mimetizzare la morte con l’a-more, con l’arguzia, col ridicolo. «Si vin-ce a mille punti, il primo classificato vin-ce un carro armato... perdono puntiquelli che si mettono a piangere, che vo-gliono vedere la mamma, che hanno fa-me e che vogliono la merendina» anzi-ché il tenore minaccioso di un caporaleda anticamera delle camere a gas. Battu-te a base di lecca lecca che aprirono i cuo-ri. E l’onda benigna e benignana si spar-se in tutto il mondo, se è vero che la So-malia giunse a coniare al volo nello stes-so 1999 una moneta con la sua effigie diOscar Winner.

Ma l’internazionalità di Benigni — ca-sualmente o no a distanza d’un decen-

nio da quel trionfo che autorizzò un con-fronto con Lawrence Olivier, riuscito nel1948 a dirigere se stesso in un’interpre-tazione da Oscar — testimoniata oggi dauna tournée teatrale cosmopolita, èqualcosa che fa anche storia a sé, conprecedenti paralleli che risalgono aglianni a cavallo tra i due secoli. La sua co-micità prorompente s’era messa al ser-vizio di Dante già nel 1991 all’Universitàdi Siena (“dicendo” e non leggendo ilquinto e l’ottavo canto dell’Inferno),perché in Toscana c’è vanto di sapere amemoria i versi della Commedia e il pa-dre lo buttava sui palcoscenici a improv-visare coi poeti d’ottave (noi assistem-mo anni e anni fa a una sua strepitosa ga-ra a forza di versi improvvisati a Volter-ra). E le sue lecturae Dantis, cresciute aPisa, Roma, Padova e Bologna, ebberouna puntata propedeutica nel gennaio

1999 all’Università di Los Angeles. E tut-ta la sua struttura anatomica che impre-sta suoni, gorgoglii e onomatopee aDante ecco che sconfina nel 2003 alSimphony Center di Chicago, e nel 2006nell’anfiteatro romano di Patrasso. Fin-ché nasce la mega-impresa TuttoDantein piazza Santa Croce a Firenze, con tre-dici canti, uno per sera, tournée italianain quarantotto città, e messa in onda suRaiUno, operazione da cui scaturisce asua volta lo spettacolo attuale incentra-to sul quinto canto dell’Inferno.

Il TuttoDante che è salpato questomarzo per fare un giro del mondo, dopole tappe già effettuate a Parigi e a Bruxel-les, ha un calendario che farebbe invidiaa molti o a quasi tutti i grandi attori ita-liani dell’Ottocento e del Novecento,mattatori che s’avvicendavano in Euro-pa e nelle Americhe a costo di avventu-

rosi e leggendari viaggi. Lui, Benigni, inun programma in via di completamen-to, è adesso atteso a Londra, Duisburg,Stoccarda, Monaco, Ginevra, Colonia,Francoforte, Baden Baden, Braun-schweig, Atene, Basilea, Lubiana, NewYork, Boston, Chicago, Buenos Aires.

Vale a dire che il “Benignaccio” capa-ce dieci anni fa di fare uno show irrefre-nabile danzando tra le poltrone sulle te-ste dei membri dell’Academy alla notiziadell’Oscar, è come allora e più di alloracapace di ballare sulle teste degli spetta-tori di mezzo mondo recitando il suoamato Dante. Il nostro Chaplin toscanola sa lunga, in tema di risate che restanodi traverso in gola, vuoi per inferni terre-ni, vuoi per inferni letterari, inferni checomunque trasmettono l’emozione diun buio che deve finire, come “’a nutta-ta” di Eduardo.

Baci, scherzi,sghignazzi, contattiguancia a guanciaChe si trovi nel lagero nella “Commedia”

RODOLFO DI GIAMMARCOA HOLLYWOOD

A destra, Roberto

Benigni trionfatore

agli Oscar nel 1999;

la moneta

della Repubblica

somala con la sua

effigie; sul set

con il piccolo Giorgio

Cantarini (Giosuè);

intorno alle foto,

le riproduzioni

degli appunti

originali dell’attore

e regista precedenti

alla lavorazione del film

Al Grand Hotel

L’officina Benigniper un film da Oscar

SU TROVACINEMA

Sul sito uno speciale dedicato ai dieci

anni dall’Oscar alla Vita è bellacon un’intervista allo sceneggiatore

Vincenzo Cerami di Paolo D’Agostini

e Chiara Ugolini

(Il Grand Hotel è nelle scene 11, 18 e 33)

Personaggi: io, Mario e una donna, il ragazzino

dell’inizio che vuole sapere come va a finire

la storia che gli ho raccontato del Principe

e della Principessa o il trucco del cappello

che si alza, lo zio che mi osserva e serve

a sua volta, il direttore dell’Hotel, il capitano

tedesco, Dora, Rodolfo, la mamma di Dora,

l’amica di Dora, il fascista cattivo, circa 120-130

invitati, l’orchestra, altri clienti (metterei uno

che nella scena precedente mi aveva chiesto

una cosa noiosa, e ora me la richiede).

(All’inizio quando incontro Nicoletta io posso

raccontare una fiaba che casualmente tratta

di un principe che aspetta la principessa e quando

lei mi cade tra le braccia io le dico: buongiorno

principessa!)

Repubblica Nazionale

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UN QUADERNO DA OSCARQui sopra, il quaderno di appuntidi Benigni; a sinistra, ancora duefoto dal set della Vita è bellae la locandina del film

(Appunti vari per le scene del lager, da scena 53 in poi, inparticolare con la “traduzione” fantasiosa e infantile a ba-se di gioco di società che Guido inventa stando accantoa un caporale tedesco che enuncia in realtà istruzioni du-re e crudeli)

Giosuè mi diceche ha capitoche si fannoi bottoni e il saponeè in crisi fortee io ci scherzocome già scritto(in pagineprecedenti

degli appunti), poi...gli dico: ma ci sei cascato purein questo?! Ah! Ah! e gridatanto tutta la crisi forteè là tutta insieme

Inizia il gioco! Chi c’è c’èchi non c’è non c’è! (Quandofaccio l’interprete)(Faccio finta di non aver capitoe lui ripete una volta)

È molto facile esseresqualificati: io stesso ierisono stato squalificato perchého mangiato un paninocon la marmellata...di albicocche (quello accantogli dice una cosa e lui dice:anche lui!) (ha mangiatola marmellata, era buonissima!,o un’altra cosa)

Ogni giorno ci darannola classifica generalelà dall’altoparlante, l’ultimo

classificato dovrà portareun cartello con scritto: asino,appeso qui (sulla schiena)

Si vince a mille punti, il primoclassificato vince un carroarmato vero. Beato lui!

Noi facciamo la parte di quellicattivi che urlano ma siamobuoni come il pane, quelliche hanno fame perdono puntiPoi perdono punti: 1 quelliche si mettono a piangere,2 quelli che vogliono vederela mamma, 3 quelli che hannofame e vogliono la merendina:scordatevela!

Mettetevi in testa cheè durissimo, ma ci si diverteanche!

Io ieri per esempio ho giocatoa girotondo casca il mondo,oggi sto giocandoa nascondino con i miei amici...non piangete mai, e non vilamentate ... un carro armatovero! (quella porta ti ricordal’ultima cosa) scusate se vadodi fretta ma non vorreiche mi facessero tana!(scusate la fretta ma ora vadoperché sennò mi fanno tana!)

Quel fiasco annunciatoche divenne il film perfetto

CURZIO MALTESE

Ho sentitoparlare de La vita è bellaper la prima volta da Vin-cenzo Cerami, una notte d’estate del ‘96 in una trattoriadi via dei Coronari a Roma. «Stiamo lavorando a un film

un po’ diverso», esordì Vincenzo. La storia del piccolo ebreo eratalmente straordinaria che rimasi per ore a chiedere particolari,con Cerami che mimava le scene, senza più sentire le mazzate del-l’afa romana. «Bisogna che nella prima parte si rida molto», ripete-va. Sembrava una missione impossibile per qualsiasi attore, perfi-no per Benigni. «È come stendere un filo fra due grattacieli e correredall’altra parte», fu il mio commento, poco incoraggiante.

All’epoca la sceneggiatura era già chiusa, con un unico dubbio chesi trascinerà fino alla vigilia dell’uscita: il finale. Roberto doveva mo-rire o salvarsi all’ultimo? Parenti e amici furono coinvolti per mesi nelreferendum. La schiacciante maggioranza era per la salvezza. Beni-gni-Orefice sarebbe dovuto rispuntare all’ultimo fotogramma dallatorretta del carrarmato americano (non russo, una licenza poetica) chelibera Auschwitz. «Quando s’è mai visto un film di successo dove il pro-tagonista alla fine muore?», urlava Vittorio Cecchi Gori. Nessuno ricor-dava un precedente. Soltanto una volta Rocco, il figlio piccolo di NicolaPiovani, obiettò: «Il Re Leone! Il padre muore!». Ma a parte un bambinodi undici anni, tutti pensavano che la morte di Benigni nel finale avrebbedeluso il pubblico e dimezzato gli incassi. È un particolare al quale ho ri-pensato quando è partita la campagna stampa italiota contro il successoplanetario del film, basata sull’idea che si trattasse di un’operazione stu-diata al tavolo dello Shoah business. Per quanto possa interessare l’opi-nione di uno spettatore ingenuo, a me aveva colpito fin dal principio nontanto la storia di Auschwitz ma il coraggio di raccontare un totale amore pa-terno in una società dove i padri non esistono più.

La genesi del film è soprattutto la storia di un’amicizia maschile, fra Ro-berto Benigni, Vincenzo Cerami e Nicola Piovani. Mi ero spesso doman-dato come mai ogni tanto escano dei film perfetti, magici. Film davveroperfetti, misteriosamente perfetti, che si possono rivedere cento volte, ti-po La dolce vita o Il Padrino o C’era una volta in America. Con l’avventurade La vita è bella ho capito che il segreto del grande cinema è l’amicizia.Un’amicizia al suo culmine creativo. Perché poi non è detto che la stessabottega funzioni sempre.

Quasi ogni sera Roberto andava al teatro Vittoria per aspettare Vincen-zo e Nicola alla fine di Canti di scena, spettacolo che qualunque parente oamico ha visto almeno cinquanta volte, fino a conoscere le parti a memo-ria e all’occasione essere chiamato sul palco a fare la comparsa o il musici-sta di riserva. Si finiva in una trattoria del Testaccio e Benigni e Cerami a uncerto punto s’appartavano a discutere ancora del film. Lo stesso accadevaa tutte le feste di compleanno celebrate nella vecchia casa di Roberto all’A-ventino che, considerata la dimensione della famiglia allargata, fra mogli,figli, amici, avevano scadenza quindicinale.

Ogni riscrittura, scena girata, montaggio sembravano aggiungere untocco prodigioso. Tutti lavoravano in stato di grazia, non solo Roberto e Ni-coletta e il cast degli attori, fra i quali un memorabile Giustino Durano, maTonino Delli Colli, Danilo Donati, Simona Paggi, fino all’ultimo figurante,operaio, truccatrice. Un altro segno del destino fu la musica. Piovani ven-ne chiamato al principio soltanto per le canzoni della festa etiope, un val-zer e un fox trot. Ma ciascun brano suonava più bello del precedente e lamusica invase il film. L’ultimo a essere composto fu il tema centrale, ormaifra i più celebri nel mondo. Sul set di Papigno, la vecchia fabbrica vicino aTerni, regnava un’allegria contagiosa, nonostante l’argomento. Del resto,Bergman raccontava che si rideva molto sul set di Settimo sigillo.

Soltanto Nicoletta Braschi sembrava più tesa del solito, con ragione.Aveva il doppio ruolo di produttrice, con il fratello Gianluigi ed Elda Ferri,e di protagonista in un ruolo difficilissimo, soprattutto nella seconda par-te, quando interpreta una specie di Beatrice che segue in silenzio il suo poe-ta all’inferno. Nicoletta è sempre stata un’attrice di gran talento, fin da ra-gazza all’accademia, e poi a teatro e al cinema, con o senza Roberto al fian-co e alla regia, nel Piccolo diavolo come in Daunbailò di Jim Jarmusch, neIl Mostrocome in Ovosododi Virzì. Non tutti hanno capito quanto sia statabrava e generosa ne La vita è bella.

Finito il montaggio, alle proiezioni private l’opinione generale, a volteesplicitata con crudeltà, era che il film sarebbe stato uno splendido insuc-cesso. Soltanto il padre di Benigni, Luigi, il vero ispiratore della storia, pro-fetizzò un trionfo commerciale. A modo suo. «Sarà un botto! Farai almenoottocento milioni», disse al figlio. Ottocento milioni di lire era un ventesi-mo del costo industriale de La vita è bella, che a conti fatti incasserà nelmondo oltre quattrocento miliardi, record per un film italiano. Ma era lasomma più alta immaginabile da un contadino toscano comunista e Ro-berto rispose con un abbraccio e un «magari!».

L’anteprima nazionale, nel cinema di piazza in Lucina a Roma, fu unmezzo fiasco. Alla fine una lunga fila di gente di cinema, produttori, registi,critici, andarono a stringere la mano a Vittorio Cecchi Gori, come al vedo-vo nei funerali, suggerendo di cambiare almeno il finale per salvare unaparte d’incassi. Cecchi Gori tentò l’ultimo assalto. Due giorni dopo La vitaè bella fu presentato alla comunità ebraica e l’accoglienza fu invece com-mossa e caldissima. Così Benigni e Cerami decisero che il finale non si sa-rebbe toccato. Il distributore ottenne soltanto di ritoccare il manifesto deLa vita è bella in chiave natalizia, con le stelline e il cielo blu sullo sfondo.

Il resto è storia nota. Il trionfo nei cinema italiani e poi lo sbarco a Can-nes, dove Martin Scorsese s’innamorò della storia e impose alla giuria dipremiarlo. Fino all’avventura in America, all’incredibile notte degli Oscar.Due immagini su tutte. Una è l’espressione marziana di Nicola Piovani, chebatterà il record del discorso più breve mai pronunciato da un premioOscar. Qualche sera prima avevamo letto insieme sul Los Angeles Time chei bookmaker lo davano ultimo della cinquina. L’altra è Roberto Benigni ches’inventa quel surreale volo sulle sedie, con le gambe tremolanti come unoCharlot a passeggio su un filo teso fra i grattacieli.

Il “gioco” del lager

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 22MARZO 2009

(Per “nascita” Benigni intende l’apparizione diGiosuè come personaggio: nel film il figlio di Gui-do e Dora entra nella storia a sei anni, dalla sce-na 38 in poi)

1. Esce Giosuè come gag del carro armatogiocattolo e viene in bicicletta con mee Nicoletta pronti per andare dalla nonna

2. Viaggio in bicicletta in tre, con rottura freni,e vediamo il cambiamento della città fra gridae urla dal ’38 al ’43 fino all’arrivo finale davantialla casa della nonna

3. A casa della nonna c’è la camerierache dice che la nonna non c’è; bene dialogo,Nicoletta deve andare

4. Al negozio io e Giosuè; cartelli

anti-ebrei e altre cose (dialogo ebrei-patate)io vado a prendere Nicoletta in biciclettae lascio solo Giosuè alla libreria

5. Giosuè in libreria disegna, entra una signora,è la nonna, dialogo tra nonna e Giosuè

6. Ritorno io e Nicoletta al negozio, Nicolettacapisce che quella signora era sua madreLa chiusura negozio, appare scritta“negozio ebreo”

7. A casa, è mezzogiorno, preparativiper il pranzo, c’è lo zio, è forse il compleannodi Giosuè. Scherzi, gag col bambino, Nicolettava a prendere la mamma col calesse,breve scena tra me, zio e Giosuè

8. Arrivo in casa col calesse di Nicoletta e suamadre, sorridono, camion militari che passano

9. La casa è tutta sottosopra. Spaventodi Nicoletta, capisce subito il dramma

La “nascita” del bambino

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Repubblica Nazionale

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l’attualitàSenza frontiere

Sono più di un centinaio i nostri connazionali che studianonella più prestigiosa università britannica. Un numeroancora ridotto, ma in costante incremento, che è la spiadi una tendenza: aumentano i ragazzi che scelgonodi laurearsi fuori dall’Italia. Un esercito di quarantamilaunità che investe in un futuro lavorativo più solido e global

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22MARZO 2009

OXFORD

Ci sono luoghi dove le donne sembra-no più belle, gli uomini più alti, la gen-te più povera. La sensazione a cui il vi-sitatore non riesce a sfuggire, nelle

strade di questa gotica cittadella, è che i giovani sia-no tutti più intelligenti della media. Indubbiamen-te hanno l’aria sveglia e un aspetto intellettuale. Maa rafforzare l’impressione che siano dei formidabi-li cervelloni è il posto in cui studiano: la Oxford Uni-versity, migliore università d’Europa, una delle pri-me dieci del mondo, dalle cui aule sono passati, pri-ma dei ragazzi e delle ragazze che in questo mo-mento mi trovo davanti, qualcosa come venticin-que primi ministri britannici, tra i quali Blair e laThatcher, svariati re, Abdullah di Giordania e Ha-

rald di Norvegia tra i più recenti, decine di capi distato o di governo stranieri, inclusi tre premier au-straliani, due dell’India, un presidente degli StatiUniti, Bill Clinton, e il defunto premier pachistanoBenazir Bhutto, oltre a quarantasette premi Nobel,una dozzina di santi, ottantasei arcivescovi di Can-terbury, compreso quello in carica, e poi, citando al-la rinfusa, Lawrence d’Arabia, l’astrofisico StephenHawking, scrittori come Oscar Wilde, Evelyn Wau-gh, Graham Greene.

Da quelle stesse aule, in questi giorni, passanoanche 154 studenti italiani. Sono la quarta naziona-lità più diffusa a Oxford, in ambito europeo, dopotedeschi (655), irlandesi (178, ma per loro è quasi co-me restare a casa) e francesi (177). Un anno fa, gli ita-liani che studiavano a Oxford erano 142: dunqueaumentano. Così come cresce, in generale, il nu-mero degli italiani che studiano in Inghilterra: le do-mande d’iscrizione, dal 2008 al 2009, hanno com-

tua». Le immagini che abbiamo visto in tanti film,le cene con gli studenti in camicione nero, sedutiuno a fianco all’altro ai lunghi banconi della mensa,che aspettano di mangiare fino a quando il rettorenon ha letto una preghiera in latino (“Dominus Il-luminatio Mea”, il Signore è la Mia Luce, è il mottodi Oxford, ripetuto ovunque), sono autentiche:«Servono a creare una convivialità», continua Fer-dinando, oggi membro dell’Italian Studies atOxford, associazione che riunisce gli studenti post-graduate e i docenti di origine italiana. «Ma non sista insieme solo a tavola, l’università ti organizzauna vita comunitaria, sport, cultura, attività sociali,feste in maschera». E qual è il vantaggio di studiarein un ambiente simile? «Primo, il rapporto strettocon gli insegnanti, l’incontro settimanale con il tu-tore, che ti dà un argomento, una tesina da svilup-pare, la discute con te, e magari su quell’argomen-to il tuo tutore è il massimo esperto mondiale. Se-condo, impari a pensare fuori dagli schemi, acqui-sti fiducia nei tuoi mezzi, ti responsabilizzi molto.Terzo, quando finisci non sei tu a cercare il lavoro,

piuto addirittura un balzo in avanti del 21 per cen-to, per l’esattezza da 958 a 1160, secondo i dati del-l’Ucas, l’agenzia che si occupa della gestione dellerichieste di ammissione alle lauree di primo livello,gli “undergraduate degrees”.

Saranno le croniche difficoltà dell’università ita-liana, la sterlina che si è indebolita quasi del 40 percento rispetto all’euro, la globalizzazione e la crisieconomia mondiale che rendono sempre più ne-cessaria una laurea internazionale, preferibilmen-te nella lingua franca della Terra, l’inglese. Comeche sia, i nostri connazionali che, usciti dal liceo,vengono a studiare qui, attraversando la Manica,sono sempre di più. Vanno a Brighton e a Leicester,riempiono i numerosi atenei di Londra, alcuni pun-tano alle due università più prestigiose, Oxford eCambridge, “Oxbridge”, come le chiamano da que-ste parti fondendole in una cosa sola. È un passo cheva preparato per tempo: le iscrizioni devono solita-mente essere presentate a gennaio per i corsi cheiniziano nell’autunno successivo, ed essere prontia gennaio significa avere raccolto informazioni e or-ganizzato il materiale già alcuni mesi prima. Vuoldire che, se uno sta frequentando ora il quarto annodi scuola media superiore, è già ora che cominci achiedersi come si fa ad andare a fare l’università inInghilterra, cosa serve, quanto costa e quali possi-bili vantaggi comporta.

È così difficile entrare a Oxford? «Meno di quelche si pensi», risponde Ferdinando Giugliano, na-poletano, che qui ha studiato e studia economia,prima da undergraduate, quindi per un master, oracon un dottorato. «Tre elementi sono fondamenta-li. Conoscere l’inglese, magari non perfettamente,ma abbastanza bene da capire e farsi capire; avere edimostrare una passione genuina per gli studi cheti interessano; e naturalmente i buoni voti. Ma il vo-

to non è tutto. Quando vieni invitato a un colloquioselettivo, dopo che la domanda cartacea è stata ap-provata, quello che i docenti cercano negli studen-ti è la curiosità intellettuale». Che ambiente ha in-contrato, lui, all’arrivo? «L’impatto iniziale può es-sere duro, se sei un undergraduate, ovvero appenauscito dal liceo. A quel livello, il 90 per cento deglistudenti, qui a Oxford, sono britannici, general-mente usciti da scuole private molto buone, spessoappartenenti a classi sociali elevate. L’italiano èqualcosa di esotico. Ma poi un po’ alla volta ci si abi-

Gli italiani di Oxfordgiovani cervelli in fugaENRICO FRANCESCHINI

Gli elementi per essereammessi? Conoscenzadell’inglese, passione,buoni voti, ma soprattuttocuriosità intellettuale

STUDENTI CON LA VALIGIA L’arrivo degli studenti all’Università di Oxford e durante una pausa

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 22MARZO 2009

ma il lavoro che viene a cercare te. Banche e azien-de di mezzo mondo fanno a gara per sponsorizzareeventi, come una partita di rugby o una sfida di ca-nottaggio, per conoscerti e, per così dire, prenotar-ti per quando sarai laureato».

Quest’anno il lavoro viene a cercarli un po’ me-no, a causa della recessione globale, ammette conuna punta di delusione Luigi De Curtis, presidentedell’Associazione Studenti Italiani di Oxford quan-do era un undergraduate, ora impegnato in un ma-ster alla London School of Economics di Londra:«Anche per chi si laurea col massimo dei voti, ades-so è molto difficile trovare un posto nella City, alcu-ne società non assumono nessuno, altre hanno ri-dotto le assunzioni al minimo».

Ma non tutti gli studenti italiani di Oxford aspira-no a lavorare nella finanza. Giulia Pastorella, mila-nese, studia filosofia e francese, non ha ancora de-ciso esattamente cosa fare nella vita, ma è fiduciosache avere Oxford nel curriculum le aprirà strade diogni tipo. «Ricordo che al colloquio di ammissioneuna docente insisteva a chiedermi perché Flaubert

ha scritto Madame Bovary. Io rispondevo con le ra-gioni offerte dalla storia della letteratura, ma nonera quello che le interessava: voleva esplorare la miamente». Giulia viene dal liceo scientifico Severi diMilano, ha fatto il quarto anno in Inghilterra per im-parare l’inglese, ma dà un ottimo giudizio dellascuola superiore italiana: «Stando qui, ho rivaluta-to immensamente la nostra scuola pubblica, dàuna preparazione mediamente migliore di quelladi molte delle più costose scuole private inglesi. Misono accorta di sapere più cose di cultura generaledi certe mie compagne inglesi uscite dalle scuoled’élite».

A proposito di costi, ecco un altro mito da sfata-re: «Oxford non è particolarmente cara. Io pago mil-le sterline l’anno di iscrizione, come o meno che inItalia; per chi arriva adesso sono aumentate a tre-mila, ma è ancora una spesa ragionevole. Se troviposto nei dormitori nelle varie facoltà e mangi allamensa universitaria, dove un pranzo costa una odue sterline, anche alloggio e vitto sono relativa-mente a buon mercato». Giulia riconosce che c’è un

certo snobismo a Oxford, «ma non incontri solo fi-gli di papà, ci sono pure studenti che provengonodalla scuola statale britannica e da classi disagiate»,anche se inevitabilmente gli stranieri fanno un po’gruppo per conto proprio.

I costi, naturalmente, dipendono molto dallacittà in cui studi. «Londra è molto dispendiosa», di-ce al telefono Chiara Trincia, romana, al quarto an-no di scienze politiche alla University College Lon-don (Ucl), «ma è anche vero che gli studenti, do-vunque siano, sono in genere economicamente li-mitati. L’università inglese, inoltre, ti offre non soloil vitto e in alcuni casi l’alloggio ma anche il pubscontato, i concerti e la palestra gratis, tanti punti diaggregazione che non costano nulla». Come i suoicoetanei di Oxford, anche lei insiste sul vantaggiofondamentale di studiare in Inghilterra: «La ric-chezza delle strutture, il rapporto stretto con i do-centi e l’impegno a sviluppare una cultura del sa-

pere, della conoscenza. Qui a ventidue anni tutti so-no laureati, parlano tre o quattro lingue e hanno unamaturità e una preparazione che sono una solidarampa di lancio per prendere decisioni importan-ti». Lei dove deciderà di andare, dopo la laurea?«New York, Ginevra, chissà».

Luca, anche lui romano, al primo anno di econo-mia dell’ambiente alla London School of Econo-mics, individua un altro punto a favore dello studioin Inghilterra: il fatto che fuori dall’aula, appunto,c’è l’Inghilterra. «Londra è una città fantastica, haimille opportunità per divertirti, non ti annoi mai»,confida con entusiasmo. Eppure, quando avrà ter-minato gli studi, lui preferirebbe tornare in Italia:«Nonostante tutti i problemi del nostro Paese, restodell’idea che l’atmosfera di Roma sia migliore, cheda noi si viva meglio». Uno intenzionato a tornare acasa, fra tanti nostri cervelli in fuga verso l’estero,dovrebbe venire accolto a braccia aperte.

MATRICOLE Gli studenti nel chiostro di Oxford

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Esattamente cento anni fa Angiolo Silvio Novaro, autoredi romanzi dimenticatissimi, selezionatore dei libri di testoper i licei del Ventennio, scriveva una filastrocca in rime baciate

destinata a trovare posto in tutte le antologie delle scuole elementari. Ma destinataanche, molti anni più tardi, ad essere messa alla berlina in quanto simbolodi una poetica per l’infanzia concepita come genere a sé stante

CULTURA*

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22MARZO 2009

La domanda ci insegue da un secolo esatto:Che dice la pioggerellina di marzo? E mentrecerchiamo di formulare una risposta il poe-ta ci informa su quel che, la pioggerellina, fa:«Che dice la pioggerellina / di marzo, chepicchia argentina / sui tegoli vecchi / del tet-

to, sui bruscoli secchi / dell’orto, sul fico e sul moro / or-nati di gemmule d’oro?». La poesia, destinata ad avere unsuccesso assai duraturo, uscì nel 1910 nella raccolta inti-tolata Il cestellopresso l’editore Treves e presumibilmen-te fu composta qualche mese prima: dunque cent’anni fa.

L’autore era Angiolo Silvio Novaro. Era nato a DianoMarina nel 1866: sua madre era una Sasso e lui, con il fra-tello Mario, poeta (Murmuri ed echi) e direttore di una ri-vista letteraria che si chiamava La Riviera Ligure, si oc-cupò dell’azienda di famiglia produttrice dell’olio Sasso.Autore di racconti e romanzi dimenticatissimi (La rovina,L’angelo risvegliato) Angiolo Silvio deve la sua fama anchepostuma alle poesie per bambini cui si dedicò per buonaparte della vita. Ricordate? «Primavera vien danzando, /vien danzando alla tua porta. / Sai tu dirmi che ti porta?»

In queste settimane l’editore De Ferrari ha pubblicatoun volume molto illustrato di Franca Fossi Inzaghi e Da-niela Zago Novaro che racconta la sua vita (125 pagine, 24euro). Era un uomo in vista, ben introdotto nella societàletteraria del tempo e gradito al regime: nel ‘24 ebbe la tes-sera ad honorem del Pnf e nel ‘29 entrò nella Reale Acca-demia d’Italia. Aveva tradotto con successo L’isola del te-sorodi Stevenson e nell’aspetto somigliava un po’ a D’An-nunzio. Negli anni Trenta fu incaricato di scegliere, conAda Negri, i libri di testo per i licei che il regime voleva uni-ci e compilò egli stesso un libro di lettura per la quarta ele-mentare.

Io penso che tutti i poeti sognino di entrare nei libri del-le scuole elementari: l’incontro con i bambini ha qualco-sa di magico e insieme di assoluto. I più piccoli si diverto-no con le filastrocche e con le onomatopee: «Clof, clop,cloch / cloffete, / cloppete, / clocchete / chchch…» pian-ge la Fontana malatadi Aldo Palazzeschi: «Tossisce, / tos-sisce / un poco / si tace, / di nuovo / tossisce…». I più gran-dicelli imparano ad apprezzare le poesie attraverso le co-siddette aree tematiche: La pioggerellina racconta la pri-mavera e infatti la risposta alla domanda è: «Passata è l’ug-giosa invernata, / passata, passata!».

Sebbene molte cose siano cambiate anche per i bam-bini nel corso degli ultimi decenni, le poesie non sonocambiate molto: parlano sempre dei fenomeni naturali,del vento, della pioggia, delle stagioni, del giorno o della

notte. Forse è giusto così. Sono andato in una scuola ele-mentare romana per chiedere ai maestri e alle maestreche poesie facevano leggere oggi ai bambini. In una pri-ma la maestra stava spiegando la lettera “h”. Senza la “h”,diceva, il gallo fa «cicciriccì». La classe si divertiva moltis-simo. L’alfabeto salva i galli (che magari questi bambini dicittà non hanno ancora mai visto) e le poesie salvano lanatura, le pioggerelline di marzo, i frutti estivi.

Non si legge più Angiolo Silvio Novaro, ma mi assicu-rano che fino a non troppo tempo fa le sue poesie eranoancora ben presenti e molti trenta-quarantenni di oggi ri-cordano benissimo la pioggerellina famosa. Che negli an-ni Trenta fu perfino musicata da Ernesto Berio, il padre delben più celebre Luciano, e trasmessa dalla Eiar. Ho trova-to d’antiquariato (35 euro) un’edizione del Cestello del1920: una scuola elementare aveva rilegato il volumetto elo aveva dato in premio all’alunno Annibale Delmare perl’anno scolastico 1923-24. La cosa più interessante però èche nella mia copia c’è scritto «quarto migliaio». Un best-seller, insomma.

Molti anni dopo gli dedicò un saggio deliziosamenteironico Ermanno Cavazzoni sul numero due della rivistaIl Cavallo di Troia (1982). Si intitolava, naturalmente,«Che dice la pioggerellina di marzo» e insisteva su quelpunto interrogativo che aveva dato da pensare all’autore.Un autore convinto delle virtù taumaturgiche della rimae delle rime baciate in particolare. Ma perché tanto tra-sporto verso i bambini? Cavazzoni si fa insinuante e im-

Pioggerellinamarzodi

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Che dice la pioggerellina

di marzo,che picchia argentina

sui tegoli vecchidel tetto, sui bruscoli

secchidell’orto, sul fico

e sul moroornati di gemmule

d’oro?

***Passata è l’uggiosa

invernata,passata, passata!

Di fuor dalla nuvolanera,

di fuor dalla nuvolabigia

che in cielo si pigia,domani uscirà

Primaveraguernita di gemme

e di gale,di lucido sole,

di fresche viole,di primule rosse,

di battiti d’ale,di nidi,di gridi,

di rondini e anchedi stelle di mandorlo,

bianche...

***Che dice

la pioggerellinadi marzo,

che picchia argentinasui tegoli vecchi

del tetto, sui bruscolisecchi

dell’orto, sul ficoe sul moro,

ornati di gemmuled’oro?

***Ciò canta, ciò dice:

e il cuor che l’ascoltaè felice...

La pioggerellina di marzo

ANGIOLO SILVIO NOVARO

Il profumo dimenticatodelle poesie da bambini

PAOLO MAURI

IL POETASopra una foto

di Angiolo Silvio

Novaro, sotto

la copertina

della riedizione

di Il Cestello

del 1928

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 22MARZO 2009

magina lubriche fantasie, mentre i versi cattivi seminanozizzania in tutte le scuole del Regno.

Se non c’è più Novaro, nelle antologie delle elementa-ri di oggi abbondano i suoi coetanei o quasi e di peso benmaggiore: D’Annunzio è molto presente con Settembre,Gozzano, i cui Colloqui uscirono un anno dopo Il cestel-lo, nel 1911, sempre da Treves (« la villa sembra tolta dacerti versi miei / sembra la villa-tipo del Libro di Lettura»),e poi Ungaretti, Saba. Non mancano i poeti più recenticome Caproni o Raboni, Piumini o Orengo, ma neppureclassici stranieri come Rilke o Neruda. Gli argomenti peròhanno alla fine la meglio sul linguaggio ed è facile notareche la vita moderna, chiamiamola così, entra ben poco oper nulla nelle poesie proposte. Tanto per cominciarenessuno parla della tv, o delle automobili che molto piùdegli uccellini fanno parte dell’esperienza quotidiana deibambini, specie di quelli di città. Nessuno parla dellosmog.

Novaro scriveva dichiaratamente poesie per bambini:

i suoi versi erano facili facili: «Nell’ora che ogni vetta / di-venta violetta / e dondola ogni cuna, / uscì la bianca lu-na…», e spesso anche mielosi. Contro i poeti «per bam-bini» si mossero nel 1978 Antonio Porta e Giovanni Ra-boni proponendo un’antologia di poeti d’oggi per i bam-bini che si chiamava Pin Pidìn e che uscì da Feltrinelli.Scrivevano nella introduzione: «È noto che autori comeBertolt Brecht e T.S. Eliot hanno scritto famose poesie perbambini senza rinunciare affatto, in esse, alla specificitàdei loro temi e dei loro procedimenti espressivi. In Italiain anni recenti, diversi poeti hanno cominciato a dedica-re ai bambini, con successo, parte della loro produzione.La premessa di fondo dalla quale siamo partiti è, insom-ma, quella di un totale, radicale rifiuto della poesia per ibambini come genere a sé stante, coltivato in esclusiva da“specialisti”, che non siano anche, e prima di tutto, deipoeti».

Più che una introduzione sembra un comunicato perla lotta contro i poeti per l’infanzia, come Novaro o simi-

li, una diffida in piena regola. D’altra parte quelli erano glianni dei proclami. «Consideriamo antieducativa per nondire castrante, la pretesa di rivolgersi ai bambini metten-dosi “al loro livello” e imitando in modo inerte la per altroipotetica “facilità”, schematicità e ripetitività del loro mo-do di pensare e di esprimersi». Pin pidin vuol dire piedepiedino, ed è ripreso dalla Cantilena londinesedi Zanzot-to che chiude il volumetto: si apre, lo aggiungo per la cro-naca, con una poesia di Balestrini.

«Mia pagina leggera / piuma di primavera», scrivevaGiorgio Caproni che si incantava alle rime in “—are”, pro-prio quelle da scuola elementare. Certo, hanno ragionePorta e Raboni: sarebbe meglio offrire sempre ai bambi-ni poeti veri, che abbiano qualcosa da dire e il modo perdirlo. Ma non mi sentirei affatto autorizzato a buttare viaLa pioggerellina di marzo. Ha il profumo di scuole ele-mentari lontane, un po’ libro Cuore e un po’ Gianburra-sca. È kitsch, d’accordo. Ma anche il kitsch, magari affida-to al birignao di Paolo Poli, può essere delizioso.

Clof, clop, cloch,cloffete,

cloppete,clocchette,chchch....

È giù,nel cortile,la poverafontanamalata;

che spasimo!sentirlatossire.

Tossisce,tossisce,un pocosi tace....di nuovotossisce.

Mia poverafontana,il maleche haiil cuore

mi preme.Si tace,

non gettapiù nulla.

Si tace,non s’ode

romoredi sorta

che forse...che forse

sia morta?OrroreAh! no.

Rieccola,ancora

tossisce,Clof, clop, cloch,

cloffete,cloppete,

clocchette,chchch....

La tisil’uccide.

Dio santo,quel suoeternotossiremi fa

morire,un pocova bene,

ma tanto....Che lagno!Ma Habel!

Vittoria!Andate,correte,

chiudetela fonte,

mi uccidequel suoeternotossire!Andate,mettete

qualcosaper farla

finire,magari...magarimorire.

Madonna!Gesù!

Non più!Non più.

Mia poverafontana,col maleche hai,finiscivedrai,

che uccidime pure.

Clof, clop, cloch,cloffete,

cloppete,clocchette,chchch....

Lieve avanzò una bionda stella

Verso la sua alta sede

Sciolse la Luna il cappello argenteo

Dal suo Volto lustrale

Tutto nella sera sommesso s’accese

Come un’Aula Astrale

Padre dichiarai al Cielo

Sei puntuale

La fontana malata

Cielo di sera

ALDO PALAZZESCHI

EMILY DICKINSON

Sono stanco delle galline:

non sapemmo mai che pensano,

e ci guardano con occhi asciutti

senza fare alcun caso di noi

Le galline

PABLO NERUDA

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A cinquantotto anni l’autore del più famosohit italiano pubblica il suo primo romanzo,ineluttabilmente intitolato “Q.P.G.A.”

Quel brano ritorna anche nel film attualmente nelle sale e in un doppio albumin preparazione. Nel libro, dice il cantante, c’è “l’eco di una nostalgia per ciòche siamo stati. Noi, l’ultima generazione che ha sognato in modo collettivo”

SPETTACOLI

“L’amoreè più importanteoggi, dal momentoche nessunoindica sogni,ma solo obiettivi”

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22MARZO 2009

Dopo qualche brevescambio di battute, vie-ne il dubbio che ClaudioBaglioni sia un caso dipersonalità doppia. Dauna parte il pubblico ve-

de Claudio, l’eterno longilineo ragazzodi «accoccolati ad ascoltare il mare», lamaglietta fina, il legnetto del cremino ecosì via, anzi, «strada facendo»; dall’al-tra c’è il signor Baglioni, un eleganteprofessionista sulla soglia dei 58 anni.

Un cantante? Questione di intender-si. Il termine è ormai riduttivo per un ar-tista che ha appena cominciato a scala-re le classifiche con un romanzo, pub-blicato da Mondadori e intitolato ine-luttabilmente Q.P.G.A., l’acronimo fa-tale di Questo piccolo grande amore, lacanzone del secolo, trasferita adesso indiversi format con un film, un tour checomincerà verso giugno, nonché un al-bum doppio, che viene sottoposto agliultimi ritocchi e che rifà il Baglioni del1972, il suo primo “concept album”,storia di vita e di passioni, di amori e dimestizie (una specie di opera totale, 42titoli che prevedono suite orchestrali emelodia come sempre a piena gola).

E allora bisogna capire il paradossoBaglioni. Il cantore lirico e crepuscola-re dei piccoli sentimenti in un’Italia de-mocristiana, stornelli gozzaniani chefanno palpitare i giovanissimi, «noi so-gni di poeti»; e invece l’adulto messo al-la prova dalla sua complessità psicolo-gica, l’uomo di sinistra che parla conproprietà e ottimo lessico dei «sogni» dialcune generazioni, tanto che qualchevolta si ha l’impressione di sentir parla-re un doppio di Walter Veltroni.

Al punto che viene da chiedersi: madopo Anima miae Fabio Fazio, dopo glischerzi di Heidi, e anche dopo l’epocadei concerti contro la mafia, a consape-volezza quindi raggiunta, perché un ro-manzo d’amore? E non una robettascritta da chissà quale ghost writer, maun romanzo-romanzo, con una tramae i dialoghi, e un senso e uno spessore,e anche una discreta ambizione. Valedavvero la pena di chiederlo a lui, sen-za tante storie: perché alla sua età e do-

po quella carriera ha deciso di scrivereun romanzo?

E lui risponde volentieri: «Per me il li-bro ha rappresentato un’avventura,perché per tutta la vita ho combattutocon le parole. Mi prende il panico da-vanti alla necessità del testo, io che par-to sempre dalla musica. Ma alla fine misono accorto che c’è un gioco di riman-di, fra quel mio primo disco e il raccon-to di oggi, una serie di passaggi che si ri-chiamano». Spiega che il libro è nato acollage, in sei-sette mesi, scaraboc-chiando qua e là; e lascia intendere chel’ambientazione a Parigi, con il ritornoa Roma del protagonista, può ancheevocare il ricordo dell’arrivo dei suoi ge-nitori nella capitale, venuti dalla pro-vincia umbra, che nel viaggio cercava-no un riscatto, «una rivoluzione nonpolitica ma come status sociale».

A chiedergli se ha referenti letterari, osemplicemente scrittori che ammira,non dice di no. L’idolo delle adolescen-ti, e ora prevedibilmente delle cinquan-tenni in versione Pilates, acquista un’a-

ria seria. Gli piacciono «certi ritmi di Pa-vese, gli americani come Kerouac». Masi avverte un po’ di Baricco, dentro, findalle prime righe («Il tempo di ripren-dere fiato e ascoltare, con la punta delledita, un sorriso farsi largo tra le labbrasocchiuse»), e lui lo ammette volentie-ri: «Sì, e anche un po’ di Erri De Luca»,quelle prose così frementi, quegli scor-ci così ispirati.

La storia è quella di un professionistaaffermatosi a Parigi, un architetto comeBaglioni (laureatosi per puntiglio quat-tro anni fa, perché, «come dicevamo al-

lora, la rivoluzione si può fare solo nellabellezza»), che per un progetto interna-zionale torna a Roma e scopre che il suopiccolo grande amore è diventato unromanzo, una storia di successo. E qua-le sarebbe il senso, Claudio? «Quelloche lei gli lascia come messaggio: il saledel passato si scioglie per dare sapore alfuturo». È un messaggio di speranza? «Ame sembra di sì. Ma è anche l’eco di unanostalgia per ciò che siamo stati fra glianni Sessanta e un pezzo dei Settanta,noi, l’ultima generazione che ha sogna-to in modo collettivo».

Ma c’è ancora spazio per la politica,nella vita di un artista sempre in vetta almercato? Baglioni risponde che per luila politica era attrazione e repulsione:«Perché non ho mai cercato un’affilia-zione piena. Con il mio amico del cuorecercavamo di fare da mediatori tra imaoisti e i fascisti, così prendevamo lebotte dagli uni e dagli altri». La politica,aggiunge, «dovrebbe aiutarci ad avereun pensiero più preciso, convincerci apartecipare». Qualcuno oserà dire chenon è veltroniano? Oltretutto, se non siha un animo aperto alla speranza, comesi fa a cantare tutte quelle parole d’a-more? E non prova un po’ di disagio a di-re cose da diciassettenne, signor Ba-glioni? «Anche le parole cambiano, congli anni guadagnano un gusto diverso.Credo che sia commovente provareun’emozione anche se non abbiamopiù il volto di allora, quegli occhi…». Epoi, dice, c’è il mestiere, e dà piacere far-lo accettando il proprio ruolo, «perchéè bello essere umili», e si è artisti davve-ro se «si va incontro a qualcun altro».

Accidenti, viene quasi da pensareche creda ancora nell’amore. «Ma è ve-ro, ho ricominciato a crederci. L’amore

è più importante oggi, dal momento chenessuno indica sogni, bensì solo obiet-tivi da raggiungere». Confessi il suo pa-radosso, Baglioni. Lei, così consapevo-le, maturo, di sinistra intelligente, conMoby Dicksul comodino, nel suo animopascoliano si sente ancora il fanciullo dicinquant’anni fa. «Le dirò di più. Qual-che volta mi sento ancora il bambinoche andava all’oratorio a Centocelle».Pericolosamente vicini all’Azzurro diPaolo Conte e Celentano, «neanche unprete per chiacchierar», se ne rendeconto? Di sinistra, e adesso anche conuna storia di parrocchia alle spalle. «Hofatto anche il catechista, se è per quello.Ma provi a pensare a una periferia ro-mana. Se uno voleva salvarsi dal diluvio,a Centocelle, c’era soltanto l’oratorio».

Nel diluvio di oggi, sembra sottinten-dere Baglioni mentre si congeda congentilezza, tra la fine della politica e laperdita delle illusioni, perché non cre-dere che il sentimento della salvezzapossa essere anche, fuori dal paradosso,in un romanzo, e in una storia lontanache viene da una canzone? Applausi,sullo sfondo, nel buio.

EDMONDO BERSELLI

La canzonettadalle uova d’oro

Questo

grandepiccolo

Baglioni

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Con De Gregoriuna volta si miseroa suonaree cantareper strada,ma nessunoci fece caso

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 22MARZO 2009

Certecanzoni ti rimangono appiccicate addosso, lo sappiamo be-ne, e gli inglesi per definirle hanno un termine più efficace deinostri. Le chiamano earworms, vermi dell’orecchio, si annida-

no in modo indelebile nelle spire delle nostre menti indifese. Ma qual-che volta queste canzoni segnano anche i loro portatori, ne condizio-nano per sempre la carriera.

Certo, debuttare con Questo piccolo grande amorenon è cosa da po-co, assicurò al suo autore fama imperitura ma anche un’identità forte,molto difficile da modificare. Lo sa bene Baglioni che ha vissuto unostrano destino. Nacque alla Rca, negli stessi anni in cui partivano Ven-ditti, De Gregori, i suoi più prestigiosi colleghi della scuola romana, mafu in un certo senso messo ai margini, staccato dal ramo “importante”della canzone d’autore, considerato un cantore dei tremori adole-scenziali e nulla più.

In realtà le cose stavano diversamente. Se pubblicamente i colleghimantenevano le distanze (erano anni caldi e ideologici in cui gli schie-ramenti erano d’obbligo), in privato succedevano fatti strani. Prova nesia uno dei più esilaranti episodi della storia della canzone. Un giornoBaglioni e De Gregori, ambedue già famosi, decisero di concedersi unamonelleria. Pensarono: adesso ce ne andiamo con le nostre chitarre alPantheon, ci mettiamo lì come due ambulanti e cantiamo le nostrecanzoni. I due immaginavano che sarebbe successo l’inferno, che nelgiro di poco la zona si sarebbe bloccata, pensavano a un gesto cheavrebbe fatto epoca. Detto fatto, chitarre a tracolla si misero alPantheon a cantare, solo che nessuno ci fece caso. Guadagnaronoqualche monetina, ma la situazione era talmente assurda che a nes-suno venne in mente che si potesse trattare realmente di De Gregori eBaglioni.

Ciò non toglie che all’esterno tra i due ci fosse un abisso. De Grego-ri e gli altri erano in trincea sul fronte delle battaglie civili, Baglioni stra-ziava il cuore di tutti quegli adolescenti che non si ritrovavano nella ba-garre della politica giovanile. Andare a un suo concerto faceva unostrano effetto, migliaia di ragazzine in lacrime, intere platee arrese al-l’egemonia del sentimento, un trionfo di peluche e cuoricini infiam-mati.

E non era solo Questo piccolo grande amore, di canzoni così Baglio-ni ne aveva un carniere pieno: Poster, Sabato pomeriggio, Amore bello,E tu... C’era l’imbarazzo della scelta. Ma a Baglioni non bastava. Co-minciò un lungo e tortuoso percorso di emancipazione. Si imbarcò inprogetti musicalmente ambiziosi, testi complessi, allo scopo di dimo-strare che non era solo quello di Questo piccolo grande amore. Ma i mar-chi, le identità così forti sono difficili da cambiare e Baglioni le suetrionfali esortazioni adolescenziali le ha pagate, anche duramente.

Il fattaccio successe l’8 settembre del 1988, allo stadio di Torino. Al-lora Baglioni era in piena trasformazione autoriale, non era già piùquello dei capelli cotonati e delle melodie strappalacrime, e fu invita-to a partecipare alla data italiana del tour di Amnesty International, untour clamoroso intitolato Human Rights Now e che girava il mondocon Bruce Springsteen, Peter Gabriel e Sting. In ogni Paese il carrozzo-ne sceglieva un protagonista locale, e con molta leggerezza per l’Italiafu scelto Baglioni. Diciamo leggerezza perché sul piano della musicaimpegnata sarebbero state legittime ben altre scelte.

Sta di fatto che i fan di Springsteen e compagni non gradirono e sipresentarono allo stadio muniti di munizioni ortofrutticole. Quandouscì Baglioni, ci fu un raccapricciante lancio di pomodori e cavoli, unascena bruttissima, di quelle che non si vorrebbero mai vedere. A sal-vare Baglioni dovette uscire il suo amico Peter Gabriel, certamente sor-preso e incredulo di fronte a quello spettacolo. Ecco come si pagava inItalia il successo di una canzone come Questo piccolo grande amore.

Musica per adolescentiai tempi dell’impegno politico

GINO CASTALDO

LE COPERTINEClaudio Baglioni nel 1971;

le copertine dei suoi album

e, in alto a sinistra,

una foto dal film Questo

piccolo grande amore

LA CARRIERA

ESORDI

Nato a Roma nel 1951,

esordisce nel 1970

con l’album che porta

il suo nome. Il successo

arriva due anni dopo

con Questo piccolo

grande

amore

COLONNE SONORE

Nel 1971 collabora

a Ipotesi sulla

scomparsa di un fisico

atomico di Leandro

Castellani L’anno dopo

è la volta di Fratello sole,

sorella luna (foto)

di Franco Zeffirelli

TELEVISIONE

Nel 1997 affianca

Fabio Fazio nel varietà

rievocativo degli anni

Settanta Anima mia

In quell’occasione

incide un disco in cui

reinterpreta le sigle tv

più note del decennio

UNIVERSITÀ

Nel 2004 si laurea

in architettura

alla Sapienza

con una tesi

sul restauro

e la riqualificazione

del gasometro

di Roma

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36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22MARZO 2009

la memoriaVecchia Cina

Sun Yaoting è mortoultranovantenne

nel 1996. Era natonel ventottesimoanno di regno

dell’imperatoreGuangxu

A otto annifu castrato, a quindici

giunse a PechinoSolo adesso

escono in volumele sue confessionie i dolorosi ricordidelle sue sofferenze

PECHINO

«Nacqui nella con-tea di Jinghai vici-no a Tianjin. Eral’undicesimo me-

se del ventottesimo anno di regno del-l’imperatore Guangxu. Fui castrato al-l’età di otto anni. Arrivai a Pechino quin-dicenne sognando ricchezza e onori».Così comincia l’autobiografia di SunYaoting, l’ultimo eunuco alla corte impe-riale del Figlio del Cielo, un eccezionaledocumento sulla Cina del Ventesimo se-colo. Testimone e vittima di una storiatragica e tumultuosa, Sun Yaoting servì acorte nella Città Proibita sotto Pu Yi, l’ul-timo imperatore immortalato dal film diBertolucci. Lo seguì in Manciuria sottol’occupazione giapponese. Fu coinvoltonella rivoluzione maoista. «Come ultimoeunuco della storia ho vissuto oltre no-vant’anni. Ogni sorta di emozioni si ac-cavallano nella mia mente quando rivol-go lo sguardo al passato». Negli anni No-vanta Sun Yaoting cominciò a confidarsicon il giovane storico cinese Jia Yinghua,perché la sua memoria non andasse di-spersa. Nel dicembre 1996 moriva all’etàdi novantaquattro anni. Solo ora esce laraccolta di quelle sue confessioni, TheLast Eunuch of China.

«Quando muoio voglio rinascere caneo gatto». L’amarezza del vecchio SunYaoting, e tanti segreti crudeli, proietta-no un’ombra sulla storia del secolo. Co-mincia dalla miseria paurosa delle cam-pagne cinesi a inizio secolo, dove la ca-strazione dei figli maschi è per molti l’u-nica speranza di una vita migliore: il so-gno di servire alla corte imperiale, la fugadalla fame. È con le sue mani e un rasoio,che il padre di Sun procede all’operazio-ne, sul lettino della loro casupola dai mu-ri di fango. Il peperoncino rosso comeanestetico, un pezzo di carta imbevuto

d’olio come benda, una penna d’oca in-filata nell’uretra per impedire che si ottu-ri durante la cicatrizzazione. Il bambinoresta privo di sensi per tre giorni, immo-bilizzato a letto dai dolori per due mesi.Quando si alza subisce la prima di unalunga serie di beffe del destino: è il 1911,la rivoluzione repubblicana rovescia ladinastia Qing al potere dal Seicento. Lanotizia getta nella disperazione il padredi Sun, la mutilazione del bambino sem-bra inutile. In realtà la corte di Pu Yi pro-segue la sua vita, un rito sempre più arte-fatto e surreale, recitando una sceneg-giatura scritta da altri. Nella Cina deca-dente e caotica i poteri in lotta per la su-premazia hanno interesse a manipolarel’imperatore-fantoccio. E con lui soprav-vive l’entourage, eunuchi compresi.

Confucio faceva risalire a tremila annifa l’uso di uomini castrati al servizio de-gli imperatori. Ma si diffonde soprattut-to con la dinastia Ming, dalla fine del Cin-quecento, via via che l’imperatore si riti-ra dalla vita pubblica e diventa semprepiù distante dai suoi sudditi. Gli eunuchivengono reclutati in massa per costruireuna barriera umana tra il Figlio del Cieloe il mondo reale. Nella cultura cinese lacastrazione rende gli eunuchi delle non-persone, sprovviste di un vero ego, sog-getti ideali per proteggere la privacy delsovrano. Oltre che fisiologicamente in-capaci di insidiare le concubine: al calardel sole ogni altro maschio, compresi i fi-gli dell’imperatore, devono abbandona-re la corte. La reclusione del sovrano,spiega il sinologo Jonathan Spence, «tra-sforma gli eunuchi in intermediari indi-spensabili, il canale di comunicazionefra la ristretta cerchia imperiale e l’am-ministrazione pubblica».

I più abili fra i castrati lucrano ognisorta di vantaggi. «Potenti funzionaripubblici per conquistare l’attenzionedell’imperatore devono convincere uneunuco influente a trasmettere i propri

messaggi. La corruzione regna». I piùastuti non si accontentano del denaro,diventano eminenze grigie del potere, acapo di clan e cordate, sofisticati mae-stri negli intrighi di corte. Fra loro emer-gono anche grandi talenti, geni ambi-ziosi e disinteressati. Scienziati, uominidi Stato, condottieri. Come Cai Lun, l’in-ventore della carta per la stampa nel 105dopo Cristo. O l’ammiraglio Zheng He,protagonista delle spedizioni intercon-tinentali nel primo Quattrocento.Quando Sun Yaoting viene assunto acorte, le glorie dell’Impero Celeste sonoormai un pallido ricordo, la Cina è inpreda al declino, umiliata dalle potenzecoloniali. Ma a corte i castrati conserva-no un ruolo essenziale. Sotto l’impera-trice reggente Cixi, l’eunuco-capo LiLianyang è un Mazarino al centro di tra-me e congiure.

La biografia di Sun entra nei dettaglipiù intimi, descrive la sessualità degli eu-nuchi che per secoli ha eccitato la fanta-sia dei cinesi. La letteratura erotica ha de-scritto infiniti modi in cui le concubineriuscivano a tradire l’imperatore con lacomplicità dei castrati, e talvolta cercan-do proprio da loro piaceri non conven-zionali. «Nella tarda dinastia Qing — ri-corda Sun — gli eunuchi intrecciavanorelazioni amorose con le donne del pa-lazzo, serve e cortigiane. Un eunuco disuccesso poteva sposarsi e mantenerepiù mogli. La castrazione non ha maispento i nostri desideri sessuali. Alcunieunuchi ricchi e potenti furono mariti or-ribilmente sadici. Ricordo giovani moglidenudate, bruciate con sigarette accese,frustate, torturate nelle loro parti intime.A Pechino un proverbio diceva: sposa uneunuco se vorrai soffrire le più atroci pe-ne del mondo». Gli eunuchi non si disco-stavano dalla depravazione dilagantenelle ultime generazioni dei sovraniQing. Da ragazzo lo stesso Sun è testimo-

ne ravvicinato del malsano rapporto tral’ultimo imperatore Pu Yi e la consorteWan Rong: lei oppiomane e incinta daisuoi amanti; lui sempre a caccia di giova-ni eunuchi. Sun segue i suoi sovrani nel-l’esilio dorato in Manciuria, sotto il con-trollo giapponese. Ma l’eunuco ha piùfiuto politico dei suoi padroni. Nellaguerra civile rende i suoi servizi all’arma-ta maoista. È a Pechino nel 1949 quandoviene proclamata la Repubblica Popola-re. Si ritira in un monastero taoista madona il suo patrimonio al partito comu-nista. La sua abilità non lo salva durantela Rivoluzione culturale, quando i rarieunuchi sopravvissuti vengono additaticome dei mostri disgustosi, ignobili ri-cordi del passato imperiale. Molti si sui-cidano annegandosi nei fossati attornoalla Città Proibita e nel lago del Palazzod’Inverno. Sun viene processato in pub-blico, deportato e costretto ai lavori for-zati: deve coltivare la terra, con un cartel-lo di “traditore” appeso al collo.

L’offesa più terribile però in quel pe-riodo gli viene inflitta dai suoi parenti.Timorosi di rappresaglie, gettano via iltesoro più prezioso di Sun Yao: l’urnadove sono custoditi i suoi genitali. «Duevolte sole l’ho visto piangere mentre rac-coglievo le sue confessioni — raccontaJia — quando ha ricordato la castrazio-ne, e poi la perdita del suo tesoro: perchéin base alle loro credenze solo una se-poltura insieme a quegli organi può farrinascere l’eunuco come un uomo ve-ro». La modesta tomba di Sun oggi è qua-si invisibile, in un boschetto sperduto al-la periferia occidentale di Pechino. «Ilgoverno — osserva lo storico CuiWeixing — non ama pubblicizzare que-ste vicende. Forse perché la storia deglieunuchi fa parte di una lunga tradizionecinese, in cui la gente del popolo ha do-vuto sopportare ogni sorta di sofferenzeper servire i capricci di un’autorità cen-trale onnipotente, fino ai nostri giorni».

L’ultimo eunucoracconta

i suoi segretiFEDERICO RAMPINI

Servì alla cortedi Pu Yi

ma seppe ingraziarsianche i maoisti

“Intrecciavamorelazioni amorose

con le donnedel palazzo”

IL RITRATTOLi-Lieu Ying, grande eunuco alla cortedell’imperatrice Tzu-Hsi, in un ritrattodel Diciannovesimo secolo

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 22MARZO 2009

La prossima edizione di Euroluce, nell’ambitodel Salone del mobile, sarà l’occasioneper mostrare tutte le soluzioni che il settore offreper integrare stile e nuove tecnologie

Dal primo gennaio 2011 sarà vietata la venditadelle lampadine a incandescenza: al loro posto

quelle a fluorescenza compatta e poi i ledE i designer di lampade corrono ai ripari...

In morte della lampadina

Il terrore corre sul filo. Ma non è il cavo del telefono, bensì quellodell’elettricità. Il colpevole è la legge finanziaria, che ha fatto pas-sare un brivido nel mondo del design con il comma 163 dell’arti-colo 2, che decreta la morte della lampadina a incandescenza. C’ètempo, perché solo dal primo gennaio 2011 ne sarà vietata la ven-dita. Ma per l’arredamento, dove è normale progettare e produr-

re con cicli pluriennali, i tempi lunghi sono la consuetudine. Le ragioni dello spavento sono presto dette. Avete mai provato a mon-

tare una lampadina a fluorescenza compatta, l’erede predestinata diquella a incandescenza, su una lampada da tavolo di piccole dimensio-ni? Il suo peso spesso fa inclinare lo stelo in modo anomalo, e in qualchecaso l’obeso bulbo non entra nel diffusore o dietro il paralume. Quindi,poiché gli oggetti di design di norma sfidano il tempo (pensiamo allelampade “storiche” di Artemide, Flos, Fontana Arte, Foscarini e altrigrandi marchi) in molti avevano vaticinato la scomparsa di pregiatissi-mi pezzi causa l’incompatibilità con le nuove lampadine. E inoltre c’e-ra la possibilità che in molte case il decesso dell’ultima lampadina a in-candescenza decretasse anche il funerale del normale apparecchio il-luminante, obsoleto perché incapace di ospitare le lampadine di nuovagenerazione.

Per fortuna, sembra che il problema sia stato avvistato dai produtto-ri di lampadine, che si stanno dando da fare per trovare le contromisu-

re. E per maggiore fortuna, è quasi sicuro che la lampadina a fluore-scenza sia solo di transizione. A dominare il futuro saranno gli onnipo-tenti led, magari celati all’interno di lampadine di forma e dimensioniidentiche a quelle che usiamo adesso.

Tirato un sospiro di sollievo anche se con riserva (Piero Gandini, pre-sidente di Assoluce, mette in guardia «sui problemi di smaltimento del-le lampadine a fluorescenza, che contengono mercurio»), il mondo deldesign si è consegnato a preparativi febbrili. Dal 21 aprile, nell’ambitodel Salone del mobile, c’è Euroluce, l’appuntamento dove ogni due an-ni i produttori di lampade mettono in mostra le nuove idee, esibisconoforme e soluzioni divertenti, curiose, efficienti e, soprattutto, che inte-grano l’innovazione (in questa pagina qualche esempio). Il design del-la luce è un settore particolare. Intanto perché deve affrontare implica-zioni tecnologiche che possono costringere a determinate scelte for-mali rispetto ad altre. Basta pensare al cavo e al corpo elettrico, un’ine-vitabile ipoteca con cui fare i conti. E infatti in questo settore, come inquello delle cucine, la collaborazione fra la fantasia del designer e lacompetenza del produttore stabiliscono un sistema bipolare essenzia-le per arrivare a esiti possibili e praticabili.

Ma c’è un aspetto ancora più importante e meno conosciuto: l’effi-cacia con cui il light design può cambiare la qualità della luce artificialenelle nostre case e quindi migliorare quella della vita quotidiana. Se neparlerà proprio a Euroluce, in un convegno di due giorni, dal 23 al 24aprile, al centro congressi della Fiera di Rho (info: 02-725941).

le tendenzeRivoluzioni

AURELIO MAGISTÀ

ECOLOGICOSolar Module è a led con cellafotoelettrica che restituiscela luce accumulata. Di Pulsar

SCULTOREAÈ scultorea come l’omonima

sottogonna Crinolina,anteprima di Pallucco

ESSENZIALEEssenziale la lampada

da tavolo Phoenixdi Calligaris: strutturain metallo e diffusore

in vetro soffiato

IRONICODisarticolandolo,Andromedareinterpreta con ironiail classico lampadariodi Murano. È gigantee si chiama Melt Meee

DECORATIVOIl paralume di Zoomha una cavità dovela luce, riflettendosi,crea un decoroluminoso. Anteprimadi Alt LuciAlternative

SOFFUSATrinitas è la lampadasu sostegno tripartitodi Ligne RosetLa colorazione aranciointerna al diffusoredona una luce calda

ECLETTICACampanone illuminagli esterni ed è anche

a forma di tavolinoo seduta. Una novità

di Paolo Grasselliper ModoLuce

OPEN AIRCostanza di Luceplan

esce dal salottoper illuminare

anche il giardinoLa versione per esterniresiste alle intemperie

idee luminose

ROTANTEAx20 ruota di 360gradi su cuscinettia sfera posti alla baseMonta un’alogenaregolata da dimmerDi Axo Light

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38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22MARZO 2009

i saporiRiscoperte

Troppo ruvidi, viziati da processi di vinificazione malaccorti:i rossi e i bianchi “fatti in casa” hanno subito per molto tempole stroncature dei sommelier. Poi la ricerca militante di Veronelli,l’avvento di biologico e biodinamico, la crescitadi una generazione di piccoli produttori di culto ha cambiato tuttoVinitaly e Critical Wine tra pochi giorni lo dimostreranno

itinerariIl marchigianoAmpelio Bucciè uno dei più serie bravi produttoridi vino italianiIl superpremiatovermentino

“Villa Bucci”è ottenuto da vignedi oltre quaranta anni,coltivate con metodinaturali, in armoniacon le fasi lunari

Adagiata a pochi chilometridalla Loira,è zona di produzionedello Chenin BlancQui opera Nicolas Joly,guru del vino biodinamicoTre anni fa, il suo Couléede Serrant è stato nominato

«Il miglior bianco outsider del mondo»

DOVE DORMIRECAMPANILE ANGERS OUESTAvenue Paul-Prosper Guilhem, BeaucouzéTel. (+33) 2-41360660Camera doppia da 70 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARELE RELAIS9 rue de la Gare, AngersTel. (+33) 2-41884251Chiuso domenica e lunedì, menù da 25 euro

IL PRODUTTORENICOLAS JOLYChâteau de la Roche aux MoinesTel. (+33) 2-41722232

Sulla collina accantoalla bella cittadinavicino a Lucca, insignitalo scorso annodel premio «EccellenzaToscana Ecoefficiente»,Saverio Petrilli firmaun magnifico

Colline Lucchesi Rosso biodinamico

DOVE DORMIREHOTEL HAMBROSVia Pesciatina 197, SS 435Tel. 0583-935355Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREFORINOVia Carlo Piaggia 21 Tel. 0583-935302Chiuso domenica sera e lunedì, menù da 35 euro

IL PRODUTTORETENUTA DI VALGIANOVia di Valgiano 7, ValgianoTel. 0583-402271

Nell’affascinanteborgo associatoalle Strade del Vinodell’Alto Adige,dov’è ancora attivauna vigna di quattrocentoanni, Alois Lagederproduce vini di alto profilo

secondo i comandamenti di bios e dinamikòs

DOVE DORMIREHOTEL WEINGARTENPark Strasse 2Tel. 0471-817262Camera doppia da 50 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREZUR ROSEEndergasse 2, CortacciaTel. 0471-880116Chiuso dom. e lunedì a pranzo, menù da 44 euro

IL PRODUTTORELAGEDERVia dei Conti 9 Tel. 0471-809500

Savennières (Francia) Magrè (Bz) Capannori (Lu)

Chianti Classico RampollaTrent’anni di viticoltura nell’assoluto rispetto di terra e viti si traducono in una splendidaespressione del più classico dei rossi toscani, eccellente anche nella versione-basePrezzo 12 euro

Dominè PievaltaNell’estensione marchigiana di Barone Pizzini (bio-bollicine in Franciacorta) le vigne del Verdicchio vengono coltivateseguendo il metodo biodinamicoI vini sono morbidi e agrumatiPrezzo 8 euro

Fiano Villa Diamante Il “Vigna della Congregazione” è uno dei bianchi più espressivi e maturi della produzionebiodinamica italiana: merito del lavoro di Antoine Gaita, tradotto in sorsi cremosi e seducentiPrezzo 18 euro

Lieti Conversari PratelloNell’azienda con agriturismo in un luogo incantato, affacciatosul lago di Garda, si celebrano vitigniautoctoni misconosciuti come Reboe Turbiana, ma anche l’IncrocioManzoni, maturo e aromaticoPrezzo 14 euro

Nel bicchiere solo vigna e cantinaLICIA GRANELLO

L’appuntamento

L’edizione numero 43 di Vinitaly,in programma dal 2 al 6 aprile

alla Fiera di Verona, sarà dedicataal «mondo che amiamo», ovvero

al vino nel suo habitat: qualità, uomini,territorio, tutela ambientale

Tra gli appuntamenti più interessanti,un’insolita degustazione didatticadi una selezione dei migliori vinibiodinamici italiani, con assaggi

comparati delle produzioni regionali,e abbinamenti di piatti preparati

da Paolo Parisi, pionieredell’allevamento naturale di qualità

Esce il libro di RudolfSteiner sull’agricolturabiodinamica

1924

Nicolas Joly cominciala sperimentazionenei propri vigneti

1980

La quantità massimadi mg di anidride solforosaammessa per litro

60

Vinoil

Contadinodel

«Il peggior vino contadino è meglio del miglior vino industriale». Ama-va le provocazioni, Gino Veronelli. Ma la forza della frase è enorme, uf-ficializza un concetto, certifica un sogno. Perché è vero, per molti an-ni certi vini contadini sono stati viziati da malagrazia, rudezze nellaraccolta delle uve, ignoranza nella vinificazione. Veronelli, però, di-stingueva tra contadini e contadini, uomini la cui sapienza trasfor-

mava uve sofferenti in bottiglie straordinarie: sangiovesi indomiti e rapinosi, barolida perdere la testa. In quello stesso periodo, i cospicui investimenti delle maggioriaziende vinicole in termini di macchinari, tecnologie, ricerche, fecero fare al vino me-dio un incredibile salto di qualità.

I guai sono arrivati dopo, quando i medi diventati grandi o quasi grandi hanno do-vuto confrontarsi col mercato globale, le quantità massicce, la necessità di esseresempre all’altezza, a prescindere da terra, stagioni, vendemmie. La scelta è stata la piùfacile: non la diversità, per far brillare il made in Italy enologico, ma la standardizza-zione. Risultato: vini piacevoli, perfettini, con tutte le curve al loro posto, aromi vani-gliati, sapori morbidi, finali setosi, come corpi rimodellati da bisturi e silicone. Pec-cato che a forza di concentrare, ossigenare, barricare, addizionare, assemblare, i viniabbiano perso anima e identità.

Sono nati così i vini “altri”. Quelli per cui Veronelli spese le sue ultime energie, di-ventando la bandiera di “Critical Wine”, la manifestazione parallela al Vinitaly dovesi assaggia, si discute, si fanno proposte per incidere su produzione e mercato. Sonovini che si richiamano a una viticoltura rispettosa, dove la terra non viene isterilita dal-la chimica, le vigne imparano a difendersi dai parassiti, le pratiche di cantina sono ri-dotte al minimo. Sottoposti ai comandamenti del biologico o alla dottrina steineria-na (ma per la biodinamica, a differenza della Francia, qui non esiste ancora un disci-plinare), vinificati in maniera estrema — fermentazioni lunghissime, uso di anfore,robuste ossidazioni — o con assoluta leggiadria, sono i bicchieri-culto di produttoriche hanno fatto la storia del vino d’autore italiano: Cappellano, Rinaldi, Gravner, Ra-dikon, Soldera, Coltibuono, Foradori…

Negli ultimi anni le manifestazioni che, anche grazie alla contemporaneità del vi-cino Vinitaly, promuovono i vini naturali sono cresciute insieme all’interesse degliappassionati, alla sensibilità ecologica, all’affinamento delle metodologie, ma ancheai timori per la salute, se è vero che un recentissimo studio presentato a Bruxelles haevidenziato la presenza di pesticidi e fertilizzanti in un campione di vini diversi pro-dotti nell’Unione, con l’esclusione di quelli certificati bio. Dalla “Triple A” (agricolto-ri, artigiani, artisti) ai “Vini Veri”, fino al recentissimo “Vignaioli indipendenti”, in-somma, piccoli eco-vignaioli crescono. E fanno vini interessanti, originali, a volte ma-gnifici. Una gita allargata nel Veronese a inizio aprile ve lo confermerà.

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 22MARZO 2009

Dallo “sfuso” al wine maker e ritornoLa bottiglia del futuro ha un cuore antico

CARLO PETRINI

Perchi ha vissuto il rinascimento enologico degli anni Ottanta, il cosiddetto “vino del contadino”ha assunto un’accezione per lo più negativa, sinonimo di pressappochismo e poca cura per i fat-tori qualitativi. A voler ripercorrere un po’ la storia, il mondo del vino per decenni è stato domi-

nato dallo sfuso e da prodotti realizzati sì con “naturalità” (peraltro non sempre…), ma senza le ac-cortezze necessarie a evitare difetti anche evidenti. Poi, ci è capitato di cominciare ad assaggiare i vi-ni di qualche pioniere che, superati i confini, si spingeva fino in Francia e scopriva un ambiente pro-duttivo molto più progredito rispetto al nostro.

È stata la rivoluzione: in pochi lustri le cantine italiane hanno adottato conoscenze, tecniche e mac-chine che hanno contribuito a far crescere in maniera esponenziale la qualità dei nostri vini. Si è mes-so in moto un meccanismo virtuoso, capace di far crescere nuove economie dal nulla, o quasi. Sononate figure sociali di cui nessuno aveva mai sentito parlare, come l’enologo o wine maker, il comuni-catore o addetto alle public relations. La tecnologia è arrivata quasi a prendere il sopravvento e i con-sulenti si sono trasformati in druidi in grado di plasmare la fisionomia stessa di un vino. Insomma, siè arrivati al punto di sacrificare il territorio e il campo a beneficio di una nuova visione che puntaval’attenzione più sui tecnicismi che sulla parte agricola.

Anche la natura è stata talora piegata ai desideri di certi viticoltori: con le escavatrici si sono cam-biati i profili delle colline, l’utilizzo massiccio di fitofarmaci e di concimi chimici ha sterilizzato il suo-lo, per non parlare dell’affermazione della monocultura in alcune zone colpite da eccessivo sviluppoenoico. Per finire, siamo entrati nel tunnel della standardizzazione: spesso è impossibile riconosce-re vini che nascono a centinaia di chilometri di distanza.

Oggi finalmente, come scossi da un lampo che ci fa aprire gli occhi, ci siamo accorti della deriva acui era destinato tutto il settore. Esiste un limite che non va mai oltrepassato, che bisogna governaree metabolizzare. Certo, è meglio non esasperare i concetti, perché alla fine si cade nell’errore oppo-sto: non amavamo il vino del contadino in passato, per tutti i difetti e gli anacronismi che si era cuci-to addosso, ma l’evoluzione tecnicistica che è seguita è stata altrettanto perniciosa.

Ora molti vignaioli avveduti hanno deciso di intraprendere una strada che non è un semplice ri-torno alle origini e che non si tratta neppure di etichettare per forza con termini molto specifici, comebiologico o biodinamico. Semplicemente, è una strada che punta a un maggior rispetto dell’ambien-te, della storia e delle esperienze ereditate. Ritengo che in questi concetti si debba trovare un equili-brio, una sorta di “terza via”. Una via che ponga le sue basi nelle conoscenze acquisite negli anni, nel-le tradizioni virtuose dei padri, nelle pratiche finalmente sostenibili: per arrivare a bere il vino conta-dino del nuovo millennio.

Agramante Paolo PetrilliL’azienda è la stessa degli squisitipomodori conservati MotticellaLa dirompente doc Cacc’e Mmitte(base Nero di Troia), battezzata col nome di un condottiero saraceno,è conquistatricePrezzo 13 euro

Brut Satèn ClarabellaUna bollicina setosa e persistente,prodotta nella cooperativabio-agricola bresciana che dà lavoro a pazienti psichiatrici, grazie a Cesare Ferrari (Uberti)e Mattia Vezzola (Bellavista)Prezzo 16 euro

Granato ForadoriAntesignana della viticolturabiodinamica, la trentinaElisabetta Foradori celebra al megliolo storico vitigno montanoautoctono rosso Teroldego, intenso, profumato, speziatoPrezzo 45 euro

Sauvignon Ignaz NiedristVent’anni di produzione indipendente,dopo la lunga esperienza nella cantina-mito di Colterenzio,hanno segnato un percorso di costante affinamento di complessità, originalità e armoniaPrezzo 10 euro

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DOMENICA 22MARZO 2009

l’incontro

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Patriarchi

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA

Mi diconoche vivo ancoranegli anni SessantaRispondoche non è vero:nei Sessantaho un appartamentoma non ci abitopiù da tempo

Menestrello bohémien, ribelle garbatodi successo planetario negli annidella Beat generation, oggiche è tornato sulla cresta dell’onda

si considera un reduce“Ho traversato il deserto -così racconta il tempodell’oblio - ma sonoun poeta, anche se vengodalla working classdella Glasgow anni

Quaranta e tutti mi dicevano: trovatiun lavoro. E la poesia è potente,quando non c’è la gente non è libera”

CANNES

Donovan “Mellow yel-low”. Donovan figlio deifiori, bohemien, ribellecon garbo, spiaggiato

sulle coste della Cornovaglia, con la chi-tarra, davanti a un falò. Donovan con iBeatles, Mia Farrow e una manciata diBeach Boys nel ’68 in India nell’ashramdel Maharishi Mahesh Yogi. Donovanuomo da un solo amore, da un unicocolpo di fulmine, ma per sempre. Do-novan cantastorie, trovatore, mene-strello. Così l’hanno sempre chiamato.Donovan, che avrebbe voluto esserepittore, ma che preferisce un’altra defi-nizione. «Sono un poeta. Ma se appar-tieni alla “working class” e davvero haiscelto la strada della poesia, allora ras-segnati alla stessa frase: perdere tempocon la poesia? Faresti bene a trovarti unlavoro, invece».

Ritornello di anni. Genitori e profes-sori non facevano altro che ripeterlo aquel ragazzino fragile, ispirato, la testatuffata nei sogni. Non era facile sognarenella Glasgow degli anni Quaranta. Laguerra era finita, restavano le macerie.Tra le macerie gioca il piccolo Donovan.Ma gioca meno dei suoi compagni. Ilvaccino contro la polio fa l’effetto con-trario e lui, bambino malato, a cinqueanni è già costretto a capire la differenzatra il bene e il male. «Molti bambini ave-vano contratto la polio nel dopoguerra»,spiega con voce pacata, come parlasse diuna varicella, quasi a sminuire l’eccezio-nalità della sua tragedia.

Quel leggero claudicare, in fondo, nongli ha impedito di diventare una delle vo-ci più limpide degli anni Sessanta, dicomporre una serie di canzoni immor-

tali, di avere fama, successo, denaro,amore. E lui che ha amato un’unica don-na per tutta la vita, e che alla fine è riusci-to a sposarla, sembra oggi un uomo se-reno. A sessant’anni passati gli resta unviso da ragazzo, un viso quasi immobile,privo di espressione. Ogni tanto una cor-tese, impercettibile, benevolenza glilampeggia nello sguardo. È vestito senzacura, come uno che ogni mattina si gettiaddosso quello che trova. Si guarda at-torno ed è chiaro che vorrebbe essereamato anche dai passanti, che ancoraavrebbe voglia di convincerli di esserestato, se non il migliore, uno dei pochi.

La sua decennale (e molto mediatica)rivalità con Dylan da qualche parte deveancora dolergli. Se non altro perché, ol-tre a Don’t look back (1967), l’immortaledocumentario di Pennebaker — in cui sivede un Donovan ventunenne suonarenella stanza d’albergo del ventiseienneDylan —, sembra che, della sua straordi-naria carriera, la gente ricordi soprattut-to quello. Donovan ha la gloria del redu-ce. Ma dice: «Avere così tanto successonegli anni Sessanta, poi nei Settantasempre meno, e negli Ottanta più nien-te, è stato devastante. Ho attraversatouna lunga depressione, ho attraversatoil deserto. Soltanto grazie all’amore diLinda e alla meditazione sono riuscito auscirne». A Cannes, ospite del Midem(Mercato del disco e dell’edizione musi-cale), Donovan ha appena ricevuto dal-le mani della ministra francese della Cul-tura Christine Albanel la medagliadell’“Ordine delle Arti e delle Lettere”. AlMidem farà un piccolo, applauditissi-mo, concerto antologico e annunceràun nuovo disco con venticinque canzo-ni, Ritual groove, e un tour mondiale peril 2010. Ritual groove è titolo di famiglia:era quello della tournée 2007 di AstrellaCeleste (con papà), una delle due figlieavute da Linda Lawrence (l’altra si chia-ma Oriole Nebula), incontrata nel ’65,perduta, poi ritrovata e sposata nel ’70.Linda era stata la compagna di Brian Jo-nes, il Rolling Stone morto nel ’69, e da luiaveva avuto un figlio, Julian, che oggiporta il cognome di Donovan (Leitch) efa anche lui il musicista.

«Come poi accadrà anche a Lennon, aun certo punto ho capito che ero un poe-ta. Sin da piccolo mio padre, socialista eoperaio, mi ha letto poesie. Molto RobertBurns, poeta scozzese del Settecento,poeta romantico ma voce della rivolu-zione industriale. Le musiche della miainfanzia erano quelle popolari, scozzesie irlandesi. Quando avevo quattordicianni, nel 1960, Woodie Guthrie cantavadi sindacati e di cambi sociali e io assor-bivo le sue parole. Poi sono stato folgo-rato da On the road e dalla Beat genera-

tion, sono inciampato su Buddy Holly,sugli Everly Brothers, sui Beatles e sonoarrivato al folk-rock. Ma il termine erasbagliato, la mia musica in realtà era unmatrimonio tra pop e folk».

Dal 1965 al 1969 la stella di Donovan èlucente. Quando lascia la casa di fami-glia — non più in Scozia, ma in Inghilter-ra, a Hatfield — va a vivere su una spiag-gia della Cornovaglia (St. Ives) con l’eter-no amico del cuore Gipsy Dave, un mar-cantonio barbuto anch’egli con velleitàdi musicista. Hanno mandato a memo-ria tutte le canzoni di Joan Baez. Da quel-la vita bohemien tra luna e falò nasceCatch the wind, il primo celeberrimosingolo. Vale la pena citarli tutti, i titolidegli album che Donovan incise neglianni Sessanta: What’s bin did and what’sbin hid (1965), Fairytale (1965), Sunshi-ne superman (1966), Mellow yellow(1967), A gift from a flower to a garden(1967), The hurdy gurdy men (1968), Ba-rabajagal (1969) con Jeff Beck. E canzo-ni: Universal soldier(di Buffy Sainte-Ma-rie), e Jennifer Juniper, e Colours.

Poi negli anni Settanta, nonostante

nove dischi e la colonna sonora di Fra-tello sole sorella luna di Zeffirelli, inizial’oblio. «Gli anni Sessanta erano staticome il Rinascimento, come il Cinque-cento italiano. Una cosa che non potràmai più tornare», dice Donovan. «Giàallora parlavamo di ecologia, di consa-pevolezza globale. Abbiamo usato ledroghe, spesso per cercare di avvicinar-ci ad altre forme di coscienza. Ma, vistocon gli occhi di oggi, l’uso delle droghenon poteva essere la soluzione. Mi con-siderano un nostalgico. Mi dicono: viviancora negli anni Sessanta. Non sonod’accordo. Rispondo che nei Sessantaho ancora un appartamento, ma chenon ci vivo più da tempo». La poesia, incompenso, è sempre molto presente.«Sono un poeta dei tempi moderni. Laprosa è “storytelling”, sono tante paro-le messe in un certo ordine. È un ro-manzo. La poesia invece è così concen-trata che cinque o sei parole possonoscatenare emozione in milioni di per-sone. La poesia è potente. Quando nonc’è poesia la gente non è libera».

Ma gli amici cominciano a morire:Brian Jones, Jimi Hendrix, Jim Morrison,Janis Joplin. Donovan figlio dei fiori, Do-novan dal cuore gentile fugge dall’odoredi morte che attanaglia il suo mondo.Sposa Linda Lawrence e con i tre figli vaa vivere nel deserto della California. Ilpotere cosmico di Joshua Tree lo perva-de. Ma non è felice. «L’ambiente musi-cale taceva, non mi venivano pagati i di-ritti, tutto crollava nella mia vita». È il mo-mento per mettere in pratica quello cheil guru Maharishi gli ha insegnato. L’a-more di Linda e la meditazione trascen-dentale lo salvano.

Negli anni Ottanta Donovan torna inEuropa, riprova a incidere dischi, a faretournée. Senza successo. «La memoriadegli anni Ottanta è nera. Difficile ricor-dare quello che ho fatto», racconta inSunshine superman. The journey of Do-novan, un dvd documentario di tre oreuscito da pochi mesi, in cui racconta lasua versione dei fatti. Negli anni Novan-ta si trasferisce in Irlanda, nella bella espaziosa casa di campagna dove ancoravive come un patriarca, dopo aver ritro-vato l’affetto anche dei due figli più gran-di, Donovan Jr. e Ione Skye, entrambi at-tori, avuti dalla modella americana EnidKarl. «In Irlanda, lontano dalla vita mo-derna, ci sentiamo più sani. In Irlandasiamo guariti: musicalmente, spiritual-mente e fisicamente», dice.

Alla metà degli anni Novanta incon-tra Rick Rubin, il produttore della DefJam. Grazie a Rubin incide Sutras, il di-sco che lo rimetterà in pista. Ma l’in-contro più importante è quello, recen-te, con il regista americano David Lyn-

ch. Donovan aderisce alla “David Lyn-ch Foundation” per «l’educazione ba-sata sulla consapevolezza e per la pacenel mondo». Con Lynch tiene corsi dimeditazione. «Il “bohemian ideal” erain fondo la compassione. Volevo dare aifan qualcosa di valore. La droga non erala risposta. Allora ho parlato di medita-zione, di yoga. David, Linda e io portia-mo la nostra università di meditazionein tutto il mondo».

Mentre negli anni Sessanta moltebambine si chiamarono Saffron («I’mjust mad about Saffron, and Saffron’smad about me» diceva la canzone), i gio-vani di oggi hanno scoperto la sua Mel-low yellow (metafora sessuale della ba-nana, non inno alla droga leggera fattacon i filamenti essiccati della buccia, co-me fu detto in un primo tempo) grazie aun pubblicità. È stato così esaudito il so-gno degli anni Sessanta? «Il sogno deiSessanta oggi si chiama internet. Tutto ilmondo che parla con se stesso. Oggi haila libertà di fare il tuo disco, puoi avere latua stazione radio e quindi il tuo pubbli-co. Il mondo torna a essere fatto di pic-cole, solide comunità, aperte però a tut-ti. Purtroppo la musica in internet non èancora di buona qualità; la considero co-me David Lynch considera la televisio-ne: con l’alta definizione, con il piccoloschermo in digitale, sembrano tutti filmdi fantascienza, dice David, tutto troppo“macro”. Comunque la dimensione “li-ve” resta per me molto importante. Ve neaccorgerete nel tour mondiale del pros-simo anno, lo dimostrerò con la “Dono-van musical story”».

A questo punto smette di parlare,mette a tracolla la chitarra con nome, lasua “Kelly” verde che ha sostituito la“Full moon sky” blu degli anni Ottanta, einizia a cantare. «But I may as well try andcatch the wind…».

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LAURA PUTTI

FO

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Donovan

Repubblica Nazionale