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Periodico di Ricerca didattica

dell’IPSSAR “Karol Wojtyla”

di Catania

Anno I, n. 1, maggio 2010

Redazione:

Sebastiano D’Achille, Valeria

Grimaudo, Giusy Lo Bianco,

Flavia Pulvirenti, Giuseppe

Spedalieri, Antonella Tomasi.

n. 1 – Maggio 2010

EditorialeLORENZO ZINGALE 2

DossierFIORINO TESSAROIl cooperative learning 6

EsperienzeEMILIA SCALIALavoro di gruppo: che passione 34MARIO ZITOLavorare con i film storici 36SALVO MEDICOLIMpossibile 37GRAZIA MARIA GIUFFRIDARITA COPPAUn’esperienza di integrazionescolastica: cuochi senza fuochi 42FABIO VALOREDa una buona azione…ad uno stile di vita 43ANTONIO ACQUAVIVADa un orientamento informativo adun orientamento formativo 45RITA COPPALa scuola sull’orlo di una crisi…“indocente” 47LOREDANA FISICHELLAL’Europa vista dal basso 49FRANCA BRANCAL’apprendimento in alternanzascuola-lavoro 50GIUSY LO BIANCOQuale insegnamento, qualeapprendimento? 53

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n 1 – Maggio 2010sommario

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La scuola cambia e perde risorse,l’età media del corpo docente è ognianno più alta, l’ingresso a scuola èdiventato una porta stretta, che mi-naccia di restringersi ancor più: “ma-la tempora” per chi ha sperato e spe-ra di essere chiamato ad insegnare.Eppure c’è chi non molla.Nel piccolo del nostro “K. Wojty-

la” si è registrata, negli ultimi anni,una presenza sempre più sostanzio-sa di docenti che portano dosi di fre-schezza e ingenerano qualche sensodi colpa in chi, come me, ne apprez-za il lavoro, cerca di promuoverlo eguidarlo, ma si scontra quotidiana-mente con la scarsità di prospettiveda offrire.La rivista che oggi vede la luce è

interamente opera di questi docentied è un mezzo per affermare la lorovolontà di impegno, per far conosce-re le loro ricerche. È anche uno stru-mento di cui è sperabile voglianoservirsi tutti i docenti, mettendo lapropria competenza ed esperienza alservizio di chi ha il coraggio (anzi la

temerarietà) di perseguire per unastrada dagli esiti così incerti.Certamente copertina e titolo so-

no ambiziosiIn copertina la Scuola di Atene

(1509-1510) con il suo equilibriocompositivo e la sua armonia. Essa èun omaggio all’importanza dellacultura e alla discussione tra grandifilosofi dell’antichità: Platone hal’indice destro alzato perché soste-neva che “il mondo in cui viviamo èsolo una copia del mondo delleidee” (la realtà ideale è superiore).Aristotele invece ha il braccio tesoin avanti perché credeva che “l’uni-ca realtà possibile è quella in cui vi-viamo”. La discussione continua an-cora oggi. Chi ha ragione?Forse bisogna tornare indietro al

buon Socrate il quale con la sua uni-ca certezza “so di non sapere” ciesorta a continuare a riflettere sullacomplessità della vita e sugli inter-rogativi ultimi che essa pone costan-temente.Il titolo è ancora più ambizioso.

“U mastru”

di Lorenzo Zingale

preside dell’I.P.S.S.A.R. “Karol Wojtyla di Catania

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Magister: il maestro: quello dellascuola elementare, il maestro di vita,il maestro che, etimologicamente èfigura più incisiva del professore,perché il primo consegna il “magis”“il-di-più” rispetto alle nozioni, ilsecondo trasmette conoscenze accu-mulate nel tempo.Magister: il mastro o come si dice

da noi “u mastru”, l’artigiano, il sarto,l’ebanista, il mastro muratore, il ma-stro cuoiaio, il mastro scultore, ilmastro d’armi, quello cioè che con-segna, “lasciandoselo rubare” unmestiere ai ragazzi di bottega che, aloro volta vorranno diventare “ma-stri” e vorranno gestire una bottega. Eppure il termine, proprio perché

etimologicamente richiama un ma-gistero, non è riferito soltanto allearti e ai mestieri ed è riscontrabilenelle professioni con un che di iro-nia congiunta a riconoscenza, sim-patia e gratitudine nei riguardi delprofessionista che è riuscito a “farsi-da-se”. Ancora oggi, giovani prati-canti e tirocinanti presso studi affer-mati di avvocati, di economisti, dipsichiatri e di altri professionisti, in-contrandosi e scambiando le opi-nioni sul loro praticantato, parlanocon ammirazione e stima del loro“mastru”, di quel professionista che liaiuta a trasferire sul piano della con-cretezza e della realtà quotidiana ilcomplesso di conoscenze e di conte-

nuti appresi in lunghi anni di studio,che, essendo figura competente, in-segna con il suo comportamento econ il suo esempio a ripensare lateoria in termini di umanizzazionedelle vicissitudini e che, in ultimaanalisi, riesce ad esercitare il suo“diritto al fraintendimento o al ri-pensamento” come strumento diadattamento della conoscenza puraalla vicenda umana reale (penso aSvevo che, da profondo conoscitoredel sistema teorico di Freud, accettala psicanalisi come tecnica di cono-scenza, ma la rifiuta come terapiamedica in nome del suo “diritto al ri-pensamento” e crea forse il piùgrande antieroe dell’età moderna).Mi scuso per l’incursione di natu-

ra letteraria (continuo, e non me nevergogno, a restare docente di ita-liano) e mi chiedo: ”magister signifi-ca figura competente? interlocutoreresponsabile? adulto significativo?”Se a “Magister” diamo questo signi-ficato, io mi sento veramente com-mosso e onorato nel rendere graziealla redazione che ha intuito la ne-cessità “du mastru” all’interno dellascuola.Cioè? A titolo di esempio un do-

cente di storia.Le Idi di marzo del 44 a.C. conse-

gnano alla storia un evento “conclu-so”: Cesare ucciso a pugnalate daBruto e Cassio. Messi i fatti uno die-

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tro l’altro, lo studente obietterà chea distanza di 20 e più secoli, la fac-cenda non gli interessa. Eppure, nonc’è dubbio, il docente che, invece discovare antiche radici, pone ai fattidomande attuali, ottiene risposte insintonia con la sensibilità dei suoistudenti e trova facilmente ascolto.Cesare fu un dittatore, o intendevarinnovare la repubblica? Bruto eCassio dei volgari assassini o i tragi-ci e nobili difensori della legalità re-pubblicana? Ci fu una ragione eticanel gesto dei congiurati o si trattò dicriminali ambiziosi? E se Bruto fusolo un omicida, furono criminalianche von Stuffeneberg, Canaris,Von Moltke, e quanti con loro pro-varono a uccidere Hitler alla “Tanadel lupo”? Le Idi di Marzo non sonoil passato, ma una riflessione sullanatura del potere. Ne nasce un di-battito, si richiamano filosofie dellavita e della storia, si discute di rego-le, cadono certezze; il reazionario siinterroga, il democratico esita, tutticapiscono che il fatto li riguarda; inquanto al docente, si trova a parlaredi etica politica, ha, davanti a sé, ri-svegliato, l’intero corso delle cose e,alla fine del percorso, lascia allo stu-dente chiavi che non conducono alpassato, ma offrono strumenti perleggere con la propria testa ciò chelo circonda e gli pare indecifrabile.Bravo prof., sei un “mastru”!

Stiamo attraversando una crisi disocietà.Come tutte le crisi, essa presenta

pericoli e opportunità. Nell’imme-diato non c’è dubbio che essa colpi-sca in modo diffuso la condizione divita di lavoratrici e lavoratori, pre-cari, giovani e meno giovani, di tutticoloro il cui reddito si è già assotti-gliato negli ultimi anni.Dal canto suo, il potere utilizza la

crisi per accentuare la svolta reazio-naria, per falciare i diritti dei lavo-ratori, dalla cancellazione del con-tratto nazionale alla compressionedel diritto di sciopero, per alimenta-re razzismo, sessismo e clericalismo,per rimettere in discussione le con-quiste costituzionali.La scuola, oggi, è lo specchio di

un Paese scosso dalle fondamenta,afflitto dal degrado del Mezzogior-no, dal fiorire dell’azienda-mafiache dilaga anche al Nord, dalla ri-presa di antichi pregiudizi antimeri-dionalisti e dalla protesta leghista,che pone sul tappeto una pretesadifferenza di cultura e di razza fra gliabitanti delle diverse aree del Paese.Ma non si può fare lotta solo per

la scuola. E se tutto si riduce a que-sto, la partita è persa. La battaglia ècontro un disegno politico che, congelida ferocia, colpisce la scuola sta-tale in quanto fucina di pensiero cri-tico, archivio vivente della memoria

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storica e presidio di democrazia, percolpire diritti e lavoratori. Ragiona-re per “compartimenti” (protestanoi precari, protestano gli immigrati,oggi è in piazza il “Comitato acqua”,domani “Termini Imprese”, poi “Li-bera”, ognuno col suo dramma) nonci aiuta. Anzi! Stiamo assieme, citta-dini, genitori e lavoratori. La nostraè la lotta degli operai licenziati, degliimmigrati massacrati nel Mediterra-neo, la lotta della civiltà contro labarbarie. C’è qualcosa, in questo an-dar da soli, che sa di un nostro anti-co male, che ricorda Guicciardini e il“particulare”. Qualcosa che sa di cal-colo di bottega. O gli insegnanti e igenitori diventano il collante tra lerealtà in lotta per costruire modi etempi d’una vertenza globale e per-manente o la partita tra civiltà ebarbarie è persa. E senza appello.È un fatto: i 132.000 docenti in

meno che lavorano nella nostrascuola passano indifferenti nella co-siddetta “società civile” distratta, senon complice, perché prima è passa-to sul velluto l’indottrinamento sul“fannullonismo” nonché il silenzio oil consenso su un dato davvero “mo-struoso”: ben venga il licenziamentodi massa. Questo sta accadendo ed èbene dirlo. Così, per la gente, non ha molta

importanza che le classi siano piùnumerose, che gli insegnanti siano

disprezzati, demotivati e pagati conquattro soldi. Importa che finalmen-te qualcuno “metta a posto prepo-tenti e sfaticati”.Conta il principio falso, ma accet-

tato da tutti che “privato è buono epubblico cattivo”: per questa brec-cia, sono passati il sostegno allascuola privata e lo smantellamentodi quella pubblica; qui è nata la crea-zione d’un mondo di disoccupati.Qui, profittando della comoda ri-nuncia a un’assunzione di responsa-bilità, è passato e passa il disastrodel Paese.PIOVONO PIETRE, raccontava

Ken Loach in un film girato neglianni più duri del thatcherismo, veroe proprio ‘uovo di serpente’ dellacrisi attuale.E quando piovono pietre, biso-

gna saper reagire, pensando e agen-do collettivamente per uscire dallacrisi in direzione opposta a quellache vorrebbero imporci le classi do-minanti.Noi vogliamo provarci … e voi?

i idi di d i di i d i i i

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Imparare significa scoprire quello che giàsai. Fare significa dimostrare che lo sai.Insegnare è ricordare agli altri che sannobene quanto te. Siete tutti allievi, praticanti,maestri.

(Richard Bach, Illusioni)

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1 IMPARARE PRODUCENDO CONOSCENZA INSIEME

Nel periodo adolescenziale il gruppo è determinante per la costruzionedella personalità dei soggetti, per la loro maturazione, non solo psichica esociale, ma anche per quella cognitiva e intellettiva. Il gruppo sostituiscel’autorità dell’adulto e la relazione tra l’adolescente e l’insegnante si tra-sforma notevolmente. Non più solo l’insegnante, quindi, ma soprattutto ilgruppo, alla stregua di un ambiente organizzato, facilita e promuove l’ap-prendimento (così come può negarlo o contrastarlo)1. Gli allievi sono chia-mati ad affrontare un problema o un compito comune: ciascuno di essi pro-porrà le proprie idee, le proprie esperienze, le proprie modalità intellettive.

Il raccordo tra gli studenti dovrà svolgersi sul piano della cooperazio-ne, e non semplicemente su quello della collaborazione. I termini sono tal-volta impropriamente considerati sinonimi e in opposizione alla competi-zione. È opportuno, pertanto, richiamare la distinzione tra i concetti fondantil’apprendimento in gruppo.

La competizione va distinta in interna (tra i membri di un gruppo) edesterna (tra un gruppo e l’altro): il gruppo difficilmente tollera la competi-zione al proprio interno, ma soltanto nei confronti di gruppi esterni. La com-petizione interna deve essere attentamente analizzata: può risultare utile

Il cooperative learningdi Fiorino Tessaro *

Cooperative learning è molto più che far lavorare studenti in gruppi e chiedere loro di scrivereuna relazione sui loro sforzi. Il vero CL richiede la positiva interdipendenza tra i membri delgruppo, il far sentire ogni membro responsabile dei risultati dell’intero gruppo.

* Docente di Didattica generale e Pedagogia speciale presso la Facoltà di Filosofia dell’Uni-versità degli Studi di Venezia.

1 Non esiste l’apprendimento di gruppo, ma in gruppo. L’apprendimento può essere condivi-so e partecipato ma rimane sempre un processo individuale e personale, anche in presenza di una co-munità in apprendimento.

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per spronare i soggetti a dare il meglio di sé, ma se eccessiva può distrug-gere la motivazione personale. Le regole della competizione devono esse-re approvate e condivise prima di avviare il lavoro; la responsabilità dei ri-sultati è sempre individuale.

La collaborazione promuove lo sviluppo di competenze relazionaliconnesse a spiccate motivazioni di ordine personale e a fattori affettivi. Ilgruppo collaborativo generalmente non si dà regole precise prima di av-viare il lavoro, ma durante il suo farsi (anche se spesso non se le dà affatto);la responsabilità dei risultati è del gruppo intero indifferenziato.

Con la cooperazione il gruppo promuove, integrandole, le competen-ze personali e sociali. Le regole della cooperazione devono essere approvatee condivise prima di avviare il lavoro; ogni partecipante è responsabile di unsettore o di una parte del compito e contemporaneamente è responsabiledel processo di produzione e del risultato complessivo finale2.

1.1. La resistenza alle tecniche attive

Talvolta gli insegnanti rifiutano le tecniche attive, ed in particolare lesimulazioni e il brain storming, adducendo:

a) motivi legati all’impegno professionale (ci vuole troppo tempo perpreparare le attività);

b) motivi di tipo didattico (i ragazzi ridono, fanno confusione ecc).;c) motivi di tipo curricolare (“nella mia materia non si può fare!”).

2 Un semplice esempio potrà chiarire i tre concetti: Assegno agli studenti il compito di rap-presentare e disegnare la carta politica d’Italia.

A) Li pongo in situazione competitiva quando ogni studente è chiamato a disegnarsi la pro-pria Italia dopo avere compreso i criteri di successo (es.: devono essere correttamente rappresenta-te tutte le regioni, i capoluoghi di regione ecc.) su cui poi basare la valutazione e la “classifica” fina-le (attenzione: il risultato conclusivo di una competizione è sempre una classifica/graduatoria).

B) Li pongo in situazione collaborativa quando chiedo loro di formare gruppetti spontaneie ad ogni gruppo assegno il compito di disegnare una parte dell’Italia nel miglior modo possibile (nonsi danno regole, poiché il principale criterio di successo è il lavorare insieme.)

C) Li pongo in situazione cooperativa quando ogni allievo ha il compito di disegnare unaregione e tutti insieme devono assemblare la carta politica d’Italia: prima di iniziare devono accor-darsi sulle regole (uniformità di scala, simboli, colori, caratteristiche tipografiche, ecc.); il successo in-dividuale è condizione necessaria ma non sufficiente per il successo collettivo; l’insuccesso individua-le è causa certa di quello collettivo (perciò tutti sono chiamati a supportare il singolo in difficoltà).

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Non è perciò superfluo richiamare alcuni punti di ordine pedagogico edidattico:

1. L’insegnamento è finalizzato all’apprendimento: il tempo dell’inse-gnamento va organizzato in funzione dell’apprendimento (e non infunzione del programma da completare). Non si può fare scuolausando sempre e comunque tecniche attive, ma non si può farenemmeno sempre lezione in classe o esercitazioni in laboratorio! Èvero che per preparare le attività da far svolgere ai ragazzi spessoci vuole molto tempo: ma in un anno scolastico se ogni insegnanteprepara un’attività e poi le mette in comune con i colleghi, alla fineci si ritrova con una serie di progetti a disposizione, che si incre-menta anno dopo anno.

2. L’insegnamento è governo della situazione formativa: se i ragazzifanno confusione si possono individuare modi e strumenti (lavori digruppo, assunzione di responsabilità3, compiti specifici, ecc) percoinvolgerli. Se i ragazzi ridono di fronte ad una simulazione saràsufficiente “accogliere” (e non respingere) quella risata e ragionar-ci su insieme (perché ci viene da ridere se…, che sensazioni provacolui che viene deriso, dove sta la dissonanza…). Le emozioni in-segnano e consolidano l’apprendimento.

3. I metodi e le tecniche di insegnamento di una disciplina sono molte-plici: ma non c’è insegnamento in cui si possa dire “nella mia ma-teria questa tecnica non si può fare”. Va da sé che alcune disciplineprediligono certe tecniche, talvolta derivate dai propri metodiscientifici, ma per lo più date dalla consuetudine scolastica. In tut-te le discipline si può simulare l’azione e il pensiero dell’esperto,dello scienziato, dello studioso, dell’artista o dell’artigiano. Si può si-mulare, sviluppare idee e discutere anche in educazione fisica, o inmatematica, o in storia, o in tecnologia: non esistono forse anche inqueste discipline concezioni e modelli diversi di interpretare e di co-struire la propria conoscenza. Ebbene, facciamo provare ai ragazziche cosa significa essere e pensare e comunicare come un ginnastao un matematico o uno storico o un tecnico. Dal punto di vista di-

3 Si veda il successivo paragrafo sul Cooperative learning.

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dattico è necessario mettere l’immaginazione in cattedra: quale im-maginazione?

a) quella dell’insegnante (derivata dalla sua esperienza)b) quella della disciplina (che come scienza cresce anche attraversol’immaginazione),

c) quella degli studenti (che in quanto ad immaginazione ne hanno avolontà, se la scuola non gliel’ha inibita).

2. IL COOPERATIVE LEARNING PER IMPARARE IN GRUPPO

Il cooperative learning, è una modalità di apprendimento che si rea-lizza attraverso la cooperazione con altri compagni di classe, che non esclu-de momenti di lavoro sia individuali che competitivi. “È una modalità di ap-prendimento in gruppo caratterizzata da una forte interdipendenza positi-va fra i membri. Questa condizione non si raggiunge né riunendo sempli-cemente i membri, né limitandosi a stimolarli alla cooperazione, né richie-dendo loro di produrre insieme un qualche prodotto finale. Essa, invece, èfrutto della capacità di strutturare in maniera adeguata il compito da asse-gnare al gruppo, di allestire i materiali necessari per l’apprendimento e dipredisporre le attività per educare i membri ai comportamenti sociali ri-chiesti per un’efficace cooperazione” (M. Comoglio, 1996, p.6).

Dal punto di vista dell’insegnante, l’apprendimento cooperativo con-siste in un insieme di tecniche di conduzione della classe, in cui gli studen-ti lavorano in piccoli gruppi per attività di apprendimento comuni e rice-vono valutazioni in base ai risultati conseguiti.

Non esiste un’unica versione di cooperative learning, ma molte posi-zioni interpretate da diversi autori. Ampie rassegne possono essere ritrovatesia in letteratura che in rete.

«In Italia questa metodologia ha avuto una buona diffusione nellascuola dell’infanzia e nella scuola elementare4 … La penetrazione del coo-perative learning a livello di scuola secondaria è invece tuttora limitata. Non

4 Le riflessioni che seguono sono raccolte in rete, in particolare su http://www.bdp.it/adi/Coo-pLearn/cooplear.htm.

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bisogna confondere infatti il cooperative learning con il normale lavoro digruppo. La specificità dell’apprendimento cooperativo sta:

a) nell’enfasi posta sul coinvolgimento attivo degli studenti in lavoridi gruppo e sul successo scolastico di tutti i membri del gruppo;

b) nella presenza nel lavoro di gruppo dei seguenti elementi: positivainterdipendenza; responsabilità individuale; interazione faccia afaccia; uso appropriato delle abilità; valutazione del lavoro.

Proponiamo all’attenzione dei colleghi della secondaria un’ampia sin-tesi di un’esperienza di cooperative learning attuata in Italia in un corso uni-versitario di chimica. Ci pare un’ottima base di partenza anche per la scuo-la superiore».

La sintesi è tratta dal testo “La Chimica nella Scuola” (1999) di Libe-rato Cardellini e Richard M. Felder5.

3. DALL’ISTRUZIONE BASATA SULLA LEZIONE ALL’APPRENDIMENTO CENTRATO SULLOSTUDENTE

3.1. La lezione tradizionale

La maggior preoccupazione didattica di molti docenti è il completa-mento del programma, minore enfasi viene invece posta su quanto sia si-gnificativo e stabile nella memoria ciò che gli studenti apprendono.

Nella lezione ex cathedra tradizionale, il docente fornisce informazio-ni e lo studente concentra il proprio sforzo soprattutto nel seguire la spie-gazione e nel prendere appunti.

Molte ricerche smentiscono che la lezione ex cathedra sia un modo ef-ficiente di trasmettere informazioni in modo accurato. Di circa 5000 paro-le ascoltate in 50 minuti di lezione, gli studenti ne appuntano circa 500 e in

5 Ho scelto la proposta di due ricercatori in ambito scientifico, benché forse meno precisa sulpiano teoretico, ma più attenta alla funzionalità operativa. Cardellini opera presso il Dipartimentodi Scienze dei Materiali e della Terra, Facoltà di Ingegneria dell’Università, Via Brecce Bianche -60131 Ancona. E-mail: [email protected]. Felder opera presso il Department of Chemical En-gineering, North Carolina State University, Raleigh, NC 27695- 7905, USA. E-mail:[email protected]. La versione integrale è reperibile al seguente indirizzo web:www2.ncsu.edu/unity/lockers/users/f/felder/public/Cooperative_Learning.html.

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media trascrivono circa il 90% delle informazioni scritte dal docente sullalavagna.

La lezione tradizionale favorisce di più gli studenti maggiormente do-tati. Anche gli studenti più dotati, però, hanno difficoltà a sostenere l’at-tenzione e l’interesse vivi per una intera ora o più. Dopo circa 10 minuti,l’attenzione comincia a calare. Studi ci dicono che immediatamente dopouna lezione (di 50 minuti), gli studenti ricordano circa il 70% di quanto pre-sentato nei primi 10 minuti, e il 20% del contenuto presentato negli ultimi10 minuti.

È vero quanto Bodner afferma: «insegnare e apprendere non sono si-nonimi: possiamo insegnare – e insegnare bene – senza che gli studenti im-parino».

3.2. Il costruttivismo e l’apprendimento centrato sullo studente6

Secondo il costruttivismo, che fonda le sue radici nell’opera di Piaget,la conoscenza è costruita dall’individuo via via che questi cerca di ordinarele proprie esperienze.

Un ramo del costruttivismo è il costruttivismo sociale, secondo cui l’in-tersoggetività tra attori è il luogo per imparare ad elaborare strumenti dicomprensione della realtà [ndr].

Driver et al. propongono una costruzione sociale dell’apprendimentoscientifico: la conoscenza scientifica viene costruita quando gli studenti sono at-tivamente impegnati in discussioni e attività riguardanti problemi scientifici.Questa nuova concezione, che vede lo studente attivamente coinvolto nella co-

6 Per un approfondimento delle teorie di fondo del Cooperative learning si rimanda all’arti-colo di G. Chiari (di cui si propongono alcuni straci alla conclusione di questa unità).

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struzione della conoscenza, ha sostituito7 la visione del “comportamentismo”che considerava l’apprendimento centrato sulla struttura stimolo-risposta.

Il modello costruttivista può essere sintetizzato in una singola frase:La conoscenza è costruita nella mente di colui che impara.

Secondo Vygotsky, «lo sviluppo cognitivo è un processo sociale e la ca-pacità di ragionare aumenta nell’interazione con i propri pari e con perso-ne maggiormente esperte». McKeachie sostiene che, «interagendo con i pro-pri pari, lo studente opera una maggiore elaborazione cognitiva e può am-mettere e chiarire la propria confusione». Lavorare in gruppo accresce le ca-pacità di ragionamento critico.

4. COOPERATIVE LEARNING: DEFINIZIONE

L’apprendimento cooperativo (Cooperative Learning = CL) è un me-todo che coinvolge gli studenti nel lavoro di gruppo per raggiungere un fi-ne comune8. Perché il lavoro di gruppo si qualifichi come CL devono esse-re presenti i seguenti elementi:

a. Positiva interdipendenzaI membri del gruppo fanno affidamento gli uni sugli altri per rag-

giungere lo scopo. Se qualcuno nel gruppo non fa la propria parte, anche glialtri ne subiscono le conseguenze. Gli studenti si devono sentire responsa-bili del loro personale apprendimento e dell’apprendimento degli altrimembri del gruppo.

b. Responsabilità individualeTutti gli studenti di un gruppo devono rendere conto sia della propria

parte di lavoro sia di quanto hanno appreso. Ogni studente, nelle verifiche,dovrà dimostrare personalmente quanto ha imparato.

7 In realtà molti teorici del cooperative learning presentano una netta matrice comporta-mentista. In questi casi è evidente che il paradigma cognitivista-costruttivista si è affiancato a quel-lo comportamentista, talvolta si è sovrapposto, ma raramente lo ha sostituito in toto (FT).

8 Spesso i sostenitori di una particolare tecnica tendono ad attribuirle un’importanza strate-gica onnicomprensiva definendola “metodo”. Per quanto complesso e articolato, anche il cooperati-ve learning rimane una tecnica che si presta maggiormente a certi metodi (come quello euristico-par-tecipativo, o quello operativo), ma può essere efficace persino nella ricerca sperimentale classica.

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c. Interazione faccia a facciaBenché parte del lavoro di gruppo possa essere spartita e svolta indi-

vidualmente, è necessario che i componenti il gruppo lavorino in modo in-terattivo, verificando gli uni con gli altri la catena del ragionamento, le con-clusioni, le difficoltà e fornendosi il feedback. In questo modo si ottiene an-che un altro vantaggio: gli studenti si insegnano a vicenda.

d. Uso appropriato delle abilità nella collaborazioneGli studenti nel gruppo vengono incoraggiati e aiutati a sviluppare la

fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la comunicazione, il prenderedelle decisioni e il difenderle, la gestione dei conflitti nei rapporti interper-sonali.

e. Valutazione del lavoroI membri, periodicamente valutano l’efficacia del loro lavoro e il fun-

zionamento del gruppo, e individuano i cambiamenti necessari per miglio-rarne l’efficienza.

4.1. Le forme di Cooperative Learning

Gli esperti di CL distinguono tra cooperative learning informale(esercizi brevi assegnati in classe a gruppi non fissi di due o più studenti)ecooperative learning formale (esercizi più lunghi e impegnativi assegnati agruppi di studenti che lavorano insieme per una parte significativa del cor-so.) I risultati didattici in entrambi i casi sono efficaci.

Nel CL informale, viene chiesto agli studenti di mettersi insieme ingruppi di 2-4 persone. Si assegna il compito di scrivere ad uno scelto a ca-so (gli studenti si contano, 1, 2, 3, ... e il docente assegna il compito: “il nu-mero 2 di ogni gruppo scriverà questo esercizio”). Il docente propone poiuna domanda o un problema, dando agli studenti un tempo compreso tra i30 secondi e i 5 minuti per lavorare. Soltanto a quello scelto è permesso discrivere. Allo scadere del tempo l’insegnante chiede ad alcuni studenti, ap-partenenti a gruppi diversi, la risposta elaborata dal proprio gruppo.

La questione posta dal docente può riguardare spiegazioni preceden-ti, l’impostazione della soluzione di un problema, il completamento di pas-

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saggi mancanti in un procedimento di calcolo o in una procedura sperimen-tale, la formulazione di una spiegazione su una osservazione sperimentale,l’ipotesi di una serie di cause, il riassunto di una lezione, la formulazione diuna o due domande sugli argomenti relativi ad una certa lezione, l’elenco dipossibili difetti di un esperimento o di un progetto, o la risposta a domandeche il docente normalmente fa alla classe durante una spiegazione.

Una variante a questo metodo è la coppia che ragiona insieme (think-pair-share). Il docente prima chiede a ciascuno studente di formulare sin-golarmente la risposta, poi di unirsi in coppie e costruirne una sola, a par-tire dalle due risposte individualmente già date. Infine il docente invita al-cuni studenti, appartenenti a coppie diverse, ad esporre la risposta.

La scelta di questi studenti non deve essere fatta né in anticipo, né sul-la base della volontarietà.Infatti se il docente chiedesse di rispondere soloa dei volontari o ad alunni preventivamente individuati, verrebbe meno l’in-centivo per la partecipazione attiva di tutti, che è invece l’essenza di questometodo. Se gli studenti sanno che chiunque può essere chiamato, tutti, oquantomeno la maggioranza, sono motivati a predisporre la miglior rispo-sta possibile.

Nel CL formale, gli studenti lavorano in gruppi su problemi, su pro-getti o su relazioni di laboratorio. Il lavoro può essere fatto tutto o in partein classe, o fuori della classe. Una interdipendenza positiva si ottiene asse-gnando ruoli differenti ai vari membri del gruppo, fornendo un training spe-cifico sui differenti aspetti del progetto ai diversi membri del gruppo e as-segnando a caso a ciascuno studente una relazione su una parte del pro-getto.

Alla fine si valuterà sia ogni singola relazione, sia il progetto com-plessivo del gruppo. L’impegno individuale viene assicurato esaminandoogni studente su ogni aspetto del progetto elaborato dal gruppo.

4.2. Gli studi sul Cooperative Learning

Centinaia di studi hanno dimostrato che, quando correttamente ap-plicato, l’apprendimento cooperativo è superiore all’istruzione tradizio-nale, poiché garantisce un migliore apprendimento,facilita lo sviluppo diabilità cognitive di alto livello e l’attitudine a lavorare con gli altri; aiuta

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gli studenti ad avere fiducia nelle proprie capacità, preparandoli all’am-biente di lavoro. È stato dimostrato che il cooperative learning appro-fondisce le capacità di comprensione e rende significativo e stabile nellamemoria ciò che si è appreso. Certamente non tutti gli studi sul CL ri-portano risultati positivi e molti esperti invitano a fare attenzione alle dif-ficoltà nell’uso del metodo e ai pericoli di usarlo male. Non di meno, unnumero schiacciante di prove evidenzia che se le cinque condizioni del CLsono soddisfatte e se il docente prende le misure necessarie per minimiz-zare la resistenza degli studenti a questo approccio, il miglioramento nel-l’apprendimento è inconfutabile.

5. COME METTERE IN PRATICA IL COOPERATIVE LEARNING: ISTRUZIONIPER L’INSEGNANTE

L’apprendimento cooperativo è una tecnica di insegnamento centra-ta sullo studente che interagisce con altri studenti, ma è sempre il docenteche propone i problemi da risolvere, che fissa i tempi, che fornisce gli spun-ti ai gruppi che lo richiedono, che stabilisce chi deve rispondere, e così via.Perché la tecnica CL risulti vantaggiosa vanno prese delle precauzioni perevitare alcune situazioni svantaggiose o pericolose per l’apprendimento.

5.1. La resistenza degli studenti

La maggior parte degli studenti riconosce il miglioramento nell’ap-prendimento con il metodo CL; tuttavia, poiché non sono abituati a lavo-rare in gruppo, spesso, all’inizio, alcuni mostrano riserve o sfiducia versoquesto approccio.

Gli studenti hanno una varietà di stili di apprendimento e nessun ap-proccio didattico può essere ottimale per tutti. La resistenza al CL di alcu-ni studenti fa parte del loro processo di maturazione dalla dipendenza al-l’autonomia intellettuale. Questa iniziale resistenza può essere minimizza-ta se l’insegnante spiega i benefici riconosciuti dalle ricerche a questo me-todo (inclusi voti più alti ottenuti all’esame). Una buona pratica è comun-que quella di chiedere agli studenti, circa a metà del corso (non prima) il lo-

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ro parere sul funzionamento dei gruppi. Se il docente viene confortato dalgiudizio degli studenti si sentirà incoraggiato a continuare e troverà rispo-ste efficaci anche per quei pochi studenti che si lamentano.

5.2. Attività in classe di “CL informale”

Una suddivisione del tempo in classe tipica di chi adotta questo me-todo (CL informale) consiste nel dedicare il 10-25% all’apprendimento at-tivo (gli studenti lavorano da soli o in gruppo) e il resto alle usuali spiega-zioni e alla risoluzione di problemi da parte del docente. Molte delle atti-vità CL informali dovrebbero consistere nella formulazione da parte de-gli studenti di brevi risposte a domande o nel risolvere esercizi o parti diproblemi in un tempo compreso tra 30 secondi e 5 minuti. Dare un tempopiù lungo di 5 minuti ai gruppi per completare la risoluzione di problemiè generalmente inefficace: alcuni gruppi finiscono prima e quindi spreca-no tempo, altri si distraggono e altri ancora perdono tempo in soluzionisbagliate.

Poiché una parte del tempo a disposizione per la lezione viene im-piegata nel lavoro di gruppo, è necessaria una riorganizzazione del pro-gramma. Alcune parti possono essere condensate, magari fornendo agli stu-denti una copia dei lucidi che usiamo per la lezione. Il tempo della lezionesarà dedicato alle parti più importanti o a quelle che richiedono un mag-giore sforzo concettuale, lasciando agli studenti il compito di fare anche al-cune parti da soli.

Alcune volte, l’insegnante può sentire l’esigenza di ritornare su unesempio particolarmente significativo o su un passaggio che collega concettifondamentali del programma. In questo caso, per massimizzare le probabi-lità che gli studenti comprendano bene l’esempio o il passaggio, il docentepuò dedicare gran parte dell’ora a sua disposizione al lavoro di gruppo suquell’argomento.

La struttura CL chiamata thinking-aloud pair-problem-solving(TAPPS) si presta bene a questo scopo. Gli studenti si raggruppano in cop-pie all’inizio della lezione e da soli si assegnano i ruoli, (a) ad uno e (b) al-l’altro, senza sapere i compiti che saranno dati a ciascuna lettera.

L’insegnante propone l’esempio o il passaggio del testo e informa che

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lo studente (a) è colui che spiega, mentre (b) e quello che pone le doman-de (o viceversa).

Il compito di colui che spiega è di spiegare l’esempio, passaggio perpassaggio, o il passaggio, frase per frase. Lo studente che ha il ruolo di por-re le domande, chiede spiegazioni quando qualcosa non è chiaro, sugge-rendo a chi spiega di prendere appunti sul ragionamento svolto e offrendospiegazioni se lo studente (a) non sa andare avanti.

Durante tutta questa fase, l’insegnante gira tra i gruppi, osserva quel-lo che stanno facendo, pone domande e offre aiuto se richiesto. Dopo 5-10minuti, il docente interrompe gli studenti e chiama due o tre, tra quanti ave-vano il compito di porre le domande, per spiegare alla classe l’esempio o ilpassaggio, fino al punto in cui sono arrivati, e, se necessario, fornisce eglistesso ulteriori spiegazioni e chiarificazioni.

Gli studenti poi si scambiano i ruoli e continuano a lavorare, ripren-dendo dal punto in cui erano giunti. Dopo altri 10 minuti l’insegnante in-terrompe di nuovo gli studenti e raccoglie le risposte da due o tre gruppi dif-ferenti. Alla fine della lezione gli studenti avranno capito l’esempio o il pas-saggio molto meglio di quanto sarebbe avvenuto se il docente lo avessesemplicemente spiegato.

5.3. Regole per la formazione dei gruppi nel “CL formale”

I gruppi CL formali dovrebbero essere composti da studenti con di-versi livelli di abilità.

Tutti gli studenti traggono beneficio da tale organizzazione: gli stu-denti più deboli hanno il vantaggio di essere aiutati dai loro compagni mag-giormente dotati, e gli studenti più preparati (che sono in genere quelli ini-zialmente ostili al lavoro di gruppo) forse ne traggono il favore maggiore,poiché potranno sperimentare quella fondamentale “prova cognitiva” cheè l’imparare, insegnando.

Come ogni professore sa, anche quando si comprende un argomen-to, l’esercizio di formulare spiegazioni, pensare a degli esempi e risponde-re alle domande, permette un approfondimento della comprensione nonraggiungibile in altro modo.

Se si costituissero dei gruppi interamente formati dagli studenti mi-

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gliori questi, con tutta probabilità, si dividerebbero il lavoro e complete-rebbero la loro parte separatamente piuttosto che funzionare come vero eproprio gruppo. E poiché non hanno la necessità di spiegare ad altri, nonavrebbero il beneficio dell’apprendimento profondo che viene dalla “pro-va cognitiva” (imparare insegnando).

Un altra regola per la formazione dei gruppi è che i membri delle mi-noranze di razza o di sesso non devono essere in minoranza nei gruppi. Glistudenti appartenenti alle minoranze tendono ad assumere un ruolo piùpassivo all’interno dei gruppi, o per loro scelta o perché forzati in questoruolo dai loro compagni; il gruppo perderebbe perciò molti dei benefici del-l’apprendimento CL. Se ad esempio le donne sono una minoranza tra gliiscritti al corso, si potranno costituire gruppi formati da tutti uomini, tuttedonne, un numero pari tra i due sessi o una maggioranza di donne, ma de-vono essere evitati gruppi con più uomini che donne.

Entrambe queste regole, livelli misti di abilità e evitare che le mino-ranze siano minoranza nei gruppi, indicano che l’insegnante deve formarei gruppi piuttosto che lasciare agli studenti il compito di organizzarsi, e cer-tamente le ricerche finora svolte appoggiano questa conclusione.

Quando gli studenti formano i gruppi, gli amici tendono a mettersi in-sieme e i migliori studenti si cercano a vicenda.

Un buon sistema per formare i gruppi è quello di formare a caso deigruppi provvisori, di norma, per le prime tre settimane di un corso; fare svol-gere una prova scritta durante questo periodo e usare i risultati come indi-catori di abilità per formare i gruppi permanenti. Se gli studenti obiettanocirca la loro assegnazione ad un determinato gruppo, una risposta efficaceè quella di sottolineare che quando andranno nel mondo del lavoro nonavranno la possibilità di scegliere con chi lavorare: tanto vale abituarsi finda ora a questa realtà.

Nella letteratura non c’è unanime consenso sul numero dei compo-nenti il gruppo. Di norma i gruppi con tre studenti sono quelli che funzio-nano meglio. Gruppi così formati vengono considerati ottimali anche nellarisoluzione di problemi di fisica e nel fare le relazioni su esperienze di la-boratorio.

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5.4. La necessità di sfide adeguate

Questo metodo, per dare tutti i suoi frutti, richiede che gli studenti af-frontino problemi più difficili. Gli studenti, lavorando in gruppo secondo iruoli illustrati più avanti, hanno la capacità di risolvere problemi più diffi-cili rispetto a quelli che vengono proposti per la soluzione individuale. Leloro capacità logiche e cognitive devono essere messe alla prova.

Quando chiedono il nostro aiuto, il nostro compito non è quello di for-nire la soluzione al problema, ma dare dei suggerimenti sulle strategie delproblem solving; la nostra funzione è quella di facilitare la loro personaleacquisizione delle abilità cognitive. Ad esempio, possiamo chiedere come èstato rappresentato il problema, se il problema è stato suddiviso in sotto-problemi più facilmente risolvibili, ecc.

Spesso gli studenti, per superare l’ostacolo, ricorrono ad assunzionisbagliate. Se quanti ci chiedono aiuto hanno fatto ricorso a qualche assun-zione, dobbiamo chiedere loro di dimostrarne la correttezza o di confutar-la. In questo modo creiamo negli studenti un conflitto cognitivo che può es-sere di aiuto a formulare una nuova e migliore rappresentazione del pro-blema, perché deriva dalla confutazione di quella precedente risultata sba-gliata.

Naturalmente dobbiamo suggerire, quando necessario, strategie ge-nerali di problem solving.

5.5. Facilitare la positiva interdipendenza

Diversi metodi vengono usati per incoraggiare o anche forzare i mem-bri del gruppo a fare affidamento uno sull’altro. Uno è quello di assegnaredifferenti ruoli a ogni membro del gruppo (coordinatore, colui che prendenota, controllore, ecc.), di ciò riferiremo più avanti. Un altro è quello di usa-re la struttura “a puzzle”: ad ogni membro del gruppo viene fornita una pre-parazione specializzata in un certo aspetto del lavoro del gruppo.

In esperienze di laboratorio, ad esempio, differenti membri del grup-po possono ricevere un tirocinio extra nei differenti aspetti dell’esperienza:chi nelle apparecchiature sperimentali, chi nelle procedure sperimentali, chinell’analisi dei dati sperimentali e chi nelle basi teoriche dell’esperimento.

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Per ricevere una valutazione elevata, la relazione finale deve riflette-re le competenze di ogni membro del gruppo.

I benefici nell’apprendimento saranno maggiori se ogni studente ver-rà individualmente esaminato su tutti gli aspetti dell’esperimento, così cheogni membro esperto deve trasmettere la propria specifica competenza aglialtri membri del proprio gruppo9.

Una maniera per incoraggiare gli studenti a dare il meglio, promuo-vendo così una positiva interdipendenza tra i membri del gruppo, è quelladi dare dei bonus10 ai gruppi i cui membri, nel compito scritto individuale,prendono un buon voto medio.

5.6. I ruoli individuali nei gruppi

In un gruppo di tre, ci si aspetta che ciascun membro rivesta uno deiseguenti ruoli: 1) leader, 2) scettico, 3) controllore.

Durante la discussione nel gruppo, ogni componente ha la responsa-bilità di prendere in considerazione questioni che vengono sollevate da unaltro membro e che sono rilevanti o pertinenti rispetto al ruolo che esso ri-veste. Ogni membro del gruppo deve sentire l’obbligo di aiutare il gruppoa lavorare efficacemente, senza perdere tempo. È necessario fornire agli stu-denti una traccia per definire le responsabilità e una guida per la discus-sione.

Leader/Coordinatore. Le responsabilità del coordinatore sono: 1) or-ganizzare le riunioni del gruppo; 2) presiedere e facilitare la discussione nelgruppo; 3) mantenere l’attenzione del gruppo focalizzata sulla soluzione delcompito; 4) incoraggiare il gruppo ad affrontare il problema secondo unasuccessione di stadi; 5) incoraggiare la partecipazione di tutti i membri delgruppo nel processo di problem solving.

9 Il trasferimento di esperienze (o con più precisione, transfert di expertise) tra persone concompetenze diverse avvicina, nei processi di apprendimento, la tecnica del brainstorming a quella delcooperative learning.

10 La logica dei bonus richiama le strategie di rinforzo proposte da Skinner nell’ambito dellateoria del condizionamento operante. Questo elemento e altri (come l’analisi dei livelli per la for-mazione dei gruppi, o il rigore nel seguire alcune regole operative) mettono in evidenza la matricecomportamentistica del cooperative learning. (FT)

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Vengono esemplificate alcune domande che il leader può porre ocommenti appropriati che il coordinatore può fare.

Ciascuno spieghi o sintetizzi il testo del problema. Possiamo usare undiagramma o ricorrere ad uno schema per chiarire il problema o una partedi esso? Qual è l’incognita o cosa richiede il problema? Elenchiamo le ipo-tesi, le assunzioni e le difficoltà. Concentriamoci sul problema.

Elenchiamo tutti i metodi possibili di risoluzione. Qual è l’algoritmopiù generale che permette la soluzione di questo problema? Possiamo con-siderare questo punto quando specifichiamo nel dettaglio la successione deipassaggi. Passiamo al prossimo stadio. In che maniera puoi difendere que-sta tua convinzione?

Scettico. Lo scettico pone frequentemente domande rispetto al pro-cedimento di soluzione del problema, cerca spiegazioni e chiede valutazio-ni. Non si accontenta di “si” o “no”, ma ricorda che l’enfasi deve essere po-sta sul perché o sul come e sulle relazioni con informazioni e algoritmi pre-cedentemente noti.

È compito dello scettico stimolare il gruppo nella ricerca di soluzionialternative. Le responsabilità dello scettico sono:

1) porre domande sulla ragione per cui si esegue un certo passaggioo si segue una particolare direzione nel tentativo di risolvere il pro-blema;

2) cercare di pensare e proporre soluzioni alternative al problema; 3) determinare il numero di cifre significative in ogni calcolo;4) stabilire se il risultato in un certo passaggio ha senso o meno; 5) focalizzare o identificare ogni assunzione fatta nella risoluzione

del problema, dimostrando la correttezza o la falsità dell’assun-zione considerata.

Vengono esemplificate alcune domande che lo scettico può porre ocommenti appropriati che lo scettico può fare.

Perché stiamo facendo questo passaggio? Come può la risposta aquesto passaggio permetterci di giungere ad una soluzione accettabile delproblema? Prima di fare questo passaggio, dobbiamo considerare questopunto. Abbiamo bisogno di tutte queste cifre significative? Dobbiamousare un numero maggiore di cifre significative? La nostra risposta ha sen-so? Come mai non è in accordo con la nostra stima? Quali assunzioni ab-biamo fatto nella risoluzione di questo problema?

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Controllore. Le responsabilità del controllore sono:1) controllare se tutti i dati e le informazioni del testo (anche quelle

derivanti da inferenze) sono state considerate; 2) tenere traccia della discussione del gruppo; 3) scrivere la soluzione del problema con tutti i passaggi e far con-

trollare agli altri membri del gruppo la stessa; 4) incoraggiare gli altri membri del gruppo a fare la verifica5) preparare una versione “in bella” della soluzione del problema per

il professore. Vengono esemplificate alcune domande che il controllore può porre

o commenti appropriati che il controllore può fare.Il libro di testo potrebbe aiutarci? Quali altre fonti di informazioni che

ci possono essere utili? Ciascuno nel gruppo dovrebbe controllare questocalcolo. Prima che scrivo la soluzione, siamo tutti d’accordo sul procedi-mento? Come possiamo fare la verifica? È necessario dimostrare la validi-tà di questa assunzione.

In un gruppo di quattro, un ruolo ulteriore è quello del revisore, con laresponsabilità di verificare che quanto preparato da chi prende nota sia pri-vo di errori.

5.7. Promuovere la piena partecipazione

C’è sempre il problema che qualcuno si limiti a copiare. Che fare? In-tanto è necessario sottolineare sin dalla prima lezione che gli studenti so-no responsabili del loro apprendimento.

Poi va ricordato che le prove di verifica sono individuali, e gli studen-ti che partecipano attivamente al lavoro di gruppo hanno maggiori proba-bilità di superarle. Se ad ogni soluzione proposta dal gruppo richiediamo discrivere i nomi nel foglio e controlliamo che i ruoli ogni volta siano statiruotati, renderemo difficile la vita a chi non vuole impegnarsi.

Naturalmente cercheremo di scoraggiare la pratica del copiare perquanto possibile, ad esempio assegnando i posti nella prova scritta con il cri-terio di tenere lontani tra loro i membri dello stesso gruppo.

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5.8. Conflitti interpersonali all’interno dei gruppi

Adottando questo metodo, all’interno dei gruppi si origina una nuo-va dinamica; nuove e più profonde relazioni si stabiliscono tra i membri delgruppo e alle volte si originano dei conflitti.

Se il lavoro del gruppo non è fortemente finalizzato al lavoro didatti-co, studenti poco motivati possono prendere il controllo del gruppo. Tra inostri compiti dobbiamo considerare la gestione delle eventuali difficoltàche alle volte gli studenti incontrano lavorando nei gruppi.

Nella nostra esperienza, non abbiamo mai incontrato problemi inter-personali insolubili. Comunque è bene dichiararsi disponibili a dialogare ea risolvere con i membri del gruppo questi problemi.

5.9.Valutazione da parte degli studenti del funzionamento del gruppo

Uno degli elementi essenziali della CL formale è la valutazione pe-riodica che gli studenti fanno del buon funzionamento del loro gruppo,identificando i problemi e suggerendo soluzioni.

La loro tendenza naturale è quella di evitare di confrontarsi con i pro-blemi e la maggior parte degli studenti si confronterà, solo se forzata. Pe-riodicamente ai gruppi dovrebbe essere richiesto di rispondere per iscrittoa queste tre domande: 1) Che cosa come gruppo riusciamo a fare bene? 2)Che cosa potremmo fare meglio? 3) C’è qualcosa che in futuro potremmofare in modo differente?

L’atto di formulare risposte a queste domande spesso avvia delle di-scussioni tra i membri del gruppo su problemi interpersonali di vario tipoe queste discussioni possono mettere in allerta l’insegnante su potenziali di-sfunzioni nei gruppi. Questi problemi possono essere risolti o dagli studentistessi o con l’intervento del docente.

5.10. Sciogliere e riformare i gruppi

Alcuni gruppi semplicemente non possono funzionare. Talvolta unostudente rifiuta di cooperare, spesso è assente agli incontri del gruppo, ar-

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riva agli incontri impreparato, non svolge i compiti per i quali era respon-sabile. Alle volte uno studente è costretto a fare tutto il lavoro e non ottie-ne cooperazione dagli altri membri del gruppo. Talvolta i conflitti interper-sonali tra i membri del gruppo raggiungono un punto che rasenta la vio-lenza e nulla di quanto il docente suggerisce migliora la situazione.

Se il membro non cooperativo non cambia il suo comportamento, de-ve essere espulso dal gruppo e deve trovare un altro gruppo di tre dispostoad accettarlo come quarto membro. Nella nostra esperienza, molto rara-mente un gruppo si scioglie; di solito gli studenti risolvono i problemi tra lo-ro o con l’aiuto dell’insegnante11.

Le capacità che essi sviluppano nel processo cooperativo sono alme-no importanti e utili quanto la conoscenza tecnica e le abilità acquisite nelcorso; probabilmente diventano persino più importanti quando entrano nelmondo del lavoro alla conclusione degli studi.

6. L’USO DEL CL PER INSEGNARE ABILITÀ NEL PROBLEM SOLVING

Gli studenti di norma apprendono la risoluzione dei problemi attra-verso esempi svolti dal docente.

Mentre fornisce la risoluzione del problema l’esperto, però, non rie-sce a cogliere le difficoltà sperimentate dallo studente, che deve ordinare ilragionamento secondo una logica nuova e deve rendere a se stesso familiarinuovi processi cognitivi.

L’insegnamento e l’apprendimento di tecniche problem solving at-traverso esempi non sempre è efficace. Condizioni più favorevoli all’ap-prendimento si verificano quando una persona deve confrontarsi con unproblema per risolvere il quale non dispone di procedure note. Facendo la-vorare gli studenti in piccoli gruppi, si fornisce loro l’opportunità di spiegare,di confutare, di difendere le loro convinzioni; questo è un processo che inmodo attivo favorisce l’apprendimento.

11 In realtà il problema della conflittualità all’interno dei gruppi e dell’aggressività tra i mem-bri è ben presente in particolare nella scuola media e nel biennio delle superiori. Vanno individua-te soluzioni integrando il cooperative learning con altre tecniche, sia competitive (per incanalare l’ag-gressività in modo guidato) che collaborative, per valorizzare lo stare insieme. (FT)

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È stato adottato un metodo problem solving, per favorire l’analisi delproblema in modo sistematico, secondo distinti stadi e con la costante sotto-lineatura che la soluzione del problema deriva dalla sua comprensione con-cettuale. Fornito il testo del problema, si impartiscono le seguenti istruzioni:

Ragiona in modo qualitativo sullo svolgimento, prima di svilupparel’algoritmo.

Stima il risultato numerico, prima di fare i calcoli. Prova (vera o falsa) l’assunzione, il passaggio, la formula, ... . Verifica il risultato numerico, per essere certo che sia corretto. Spiega perché il ragionamento è corretto. Formula un problema più difficile sullo stesso argomento.

Sebbene questo approccio alla risoluzione dei problemi possa essereinsegnato anche in una classe tradizionale, esso viene trasmesso in modo piùefficace all’interno della dinamica di un gruppo.

Alcuni studenti più facilmente di altri adottano una strategia siste-matica di problem solving o riescono prima di altri a comprenderla e met-terla in pratica con successo. Quando lo fanno ripetutamente come mem-bri di un gruppo CL, gli altri studenti vengono influenzati da questa strate-gia di risoluzione ed è probabile che qualcun altro, apprezzandone i bene-fici, incomincerà ad usarla. Anche se non è garantito che tutti gli studentiin un corso useranno un approccio sistematico alla risoluzione dei proble-mi, la loro percentuale sarà certamente superiore a quella che si avrebbe inun corso tradizionale.

Questa percentuale verrà ulteriormente incrementata se l’insegnantefornirà adeguati feedback sulla soluzione dei problemi in classe o nel grup-po e illustrerà i benefici di usare un ragionamento sistematico. Soprattuttonelle prime esperienze di risoluzione dei problemi, è necessario raccoglie-re le soluzioni proposte dai vari gruppi, valutarle, fornendo commenti po-sitivi e mettendo in evidenza le cose migliori, dando suggerimenti che aiu-tino gli studenti a crescere.

Lo stimolo a studiare ogni giorno e un controllo indiretto della pre-parazione individuale è stato operato attraverso la valutazione delle map-pe concettuali: quasi tutti gli studenti hanno realizzato una mappa per ogniargomento del corso di chimica generale.

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Considerazioni finaliCooperative learning è molto più che far lavorare studenti in gruppi

e chiedere loro di scrivere una relazione sui loro sforzi. Il vero CL richiedela positiva interdipendenza tra i membri del gruppo, il far sentire ogni mem-bro responsabile dei risultati dell’intero gruppo.

Ciascuno deve avere, almeno in parte, contribuito al risultato nell’inte-razione faccia a faccia, sviluppato abilità di comunicazione e di rapporto in-terpersonale, e, periodicamente, collaborato a valutare il lavoro del gruppo.

Numerosi dati riportati dalla letteratura indicano che l’apprendimen-to cooperativo, quando attuato in modo appropriato, è superiore all’ap-prendimento tradizionale. Benché gli insegnanti che usano il CL possano in-contrare una iniziale resistenza ed anche ostilità da parte di alcuni studen-ti, se seguono correttamente le istruzioni da tempo definite, i benefici pro-dotti nei loro studenti supereranno di gran lunga le difficoltà incontrate.

7. I RIFERIMENTI TEORICI DEL COOPERATIVE LEARNING12

Numerosi sono i paradigmi teorici che stanno alla base delle proce-dure di Cooperative Learning:

• innanzitutto la teoria dei climi di apprendimento indotti sperimen-talmente (Lewin, 1939) secondo cui il metodo “democrative” (de-mocratic+directive) risulta di gran lunga il migliore in termini di ac-quisizioni affettive e cognitive;

• un secondo importante elemento teorico sta nella teoria del contat-to (Allport, 1954), secondo cui si attivano positive relazioni inter-gruppo quando gli studenti a scuola partecipano a interazioni coo-perative e egualitarie;

• un terzo elemento teorico cruciale del Cooperative Learning è rap-presentato dalla teoria del person-centered learning (Rogers, 1968).

• In linea più generale, i principali riferimenti teorici dei metodi diCooperative Learning, essenzialmente interdisciplinari, ruotano at-torno a tre principali prospettive: motivazionali, sociali e cognitive.

12 Tratto da un articolo pubblicato da Giorgio Chiari sulla rivista Scuola Democratica, n° 1,1997, pp. 24 - 34 con il titolo: “Gruppi ed apprendimento cooperativo: un’alternativa per il recupero”.Editore Le Monnier, Firenze.

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7.1. Teorie motivazionali

Le prospettive motivazionali sul Cooperative Learning, secondo latradizione degli studi sulla modificazione del comportamento, convergonoprincipalmente sui modelli di ricompense e di obiettivi secondo cui opera-no gli studenti. Esse identificano tre diverse strutture di valori: cooperati-va, in cui gli sforzi orientati all’obiettivo da parte di ciascun allievo contri-buiscono al conseguimento degli obiettivi anche da parte dei compagni;competitiva, in cui ogni sforzo da parte di ciascun allievo tende a ridurre ilconseguimento degli obiettivi degli altri; individualistica, dove il consegui-mento dei propri obiettivi non influisce sul conseguimento degli obiettividegli altri (Deutsch, 1949).

I vari modelli di apprendimento:Competitivo: “Se tu vinci, io perdo/se io vinco, tu perdi”Individualizzato: “Siamo tutti, qui, soli/ognuno lavora per sé”Cooperativo: “Affondiamo o nuotiamo insieme”(Deutsch, 1949; Kagan,1986; Johnson & Johnson, 1987)

Confronto fra strategie di Apprendimento cooperativo e di Gestione tradi-zionale della classe

Contesto classe competitivo“L’insegnante è di fronte alla classe: pone domande agli allievi. Dopo

ogni domanda un numero di mani si alzano. Alcuni allievi allungano an-siosamente le mani nella speranza di essere chiamati. Altri, naturalmente,non alzano la mano e cercano di non incrociare gli occhi dell’insegnante nel-la speranza di non essere chiamati. L’insegnante chiama Giovanni. Pietro,che siede vicino a Giovanni, conosce la risposta giusta. Appena Giovannicomincia a esitare, Pietro è contento e allunga la mano più in alto.

Pietro sa che, se Giovanni non sa rispondere, l’insegnante può chia-mare lui. In effetti, l’unico modo in cui Pietro può ottenere un riconosci-mento in questa situazione è che Giovanni fallisca.

È naturale che in questa struttura della classe così competitiva gli stu-denti incomincino a provare piacere del fallimento degli altri. I loro rico-noscimenti coincidono con il fallimento degli altri.

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Contesto classe cooperativo“In contrasto con le relazioni fra pari della classe tradizionale è la po-

sitiva interdipendenza fra i membri del gruppo nelle classi cooperative. Ilsuccesso di ogni membro del gruppo porta a migliori ricompense (voti, ri-conoscimenti, premi) per gli altri. In questo tipo di struttura gli studenti, na-turalmente, tendono a sperare che i propri compagni facciano bene, inco-minciando in tal modo ad adottare un atteggiamento protosociale nei con-fronti dei propri compagni che tenderà con ogni probabilità ad essere ge-neralizzato nei confronti degli altri” (S. Kagan, 1986, p. 250).

Secondo una prospettiva strettamente motivazionale, le strutturecooperative creano una situazione per cui l’unico modo in cui i membri delgruppo possono conseguire i propri obiettivi personali è proprio attraver-so il successo del gruppo. Il gruppo assume pertanto un significato stru-mentale, un mezzo per conseguire gli obiettivi di apprendimento indivi-duale. E questo fa sì che i membri del gruppo tendano ad aiutarsi l’un l’al-tro, a incoraggiarsi per esercitare il massimo impegno, per conseguire, at-traverso il successo del gruppo, il proprio personale successo. In altre paro-le, le ricompense dei gruppi basate sui risultati dei gruppi stessi (o sulla som-ma dei risultati individuali) creano una struttura interpersonale di ricom-pense in cui i membri del gruppo danno o ricevono riconoscimenti sociali(come premi e incoraggiamenti) in risposta agli sforzi legati al compito deipropri compagni di gruppo (R. Slavin, 1983).

La critica all’organizzazione tradizionale della classe mossa dai teori-ci della motivazione è che la classificazione competitiva e il sistema infor-male di ricompense della classe creano un sistema di norme fra compagni(peer norms) che si oppone agli sforzi degli insegnanti (academic norms) (J.Coleman, 1961). Dato che nelle classi tradizionali il successo di uno studenteriduce e frustra le chances di successo degli altri, gli studenti tendono a ela-borare una serie di norme secondo cui l’elevato rendimento scolastico è peri “secchioni” o per i “beniamini” dell’insegnante.

Tali norme riduttive della quantità e del valore delle attività da svol-gere sono assai familiari nell’industria, dove il “rate buster” è disprezzato daicompagni di lavoro. Al contrario, quando il clima di classe è cooperativo egli studenti lavorano assieme a un obiettivo comune, gli sforzi per capire eimparare aiutano il successo dei compagni e come tali vengono accettati erinforzati da tutti: i gruppi elaborano norme che favoriscono il successo sco-

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lastico. Come la ricerca ha messo in evidenza da vari decenni (M. Deutsch,1949, E. J. Thomas, 1957), in una classe cooperativa lo studente che ce la met-te tutta, che frequenta regolarmente e che aiuta gli altri a imparare viene pre-miato e incoraggiato dai compagni, del tutto in contrasto con la situazione-tipo della classe tradizionale (Hulten and DeVries, 1976; Slavin, 1978; Mad-den e Slavin, 1983). In una classe cooperativa, l’apprendere è un’attività chefa emergere gli allievi nella gerarchia sociale del gruppo dei pari.

Si verifica così un cambiamento radicale nelle conseguenze sociali delsuccesso scolastico per effetto del clima e del contesto cooperativo. Già Co-leman (1961), nella sua classica ricerca Adolescent Society, rilevava come glistudenti migliori delle High Schools statunitensi in cui prevaleva la culturaaccademica, proprio in quanto maggiormente accettati nella leadership del-la scuola si applicavano maggiormente allo studio di quanto non facesserogli studenti brillanti delle scuole in cui prevalevano la subcultura e i valoridell’atletica o del successo sociale.

Chiaramente, i valori cooperativi tendono a creare norme proaccade-miche fra gli studenti e tali norme hanno un effetto straordinario sul lorosuccesso scolastico.

8. TEORIE COGNITIVE

Se le teorie motivazionali del Cooperative Learning pongono l’ac-cento sul fatto che i valori cooperativi cambiano radicalmente le motiva-zioni degli studenti al lavoro accademico, le teorie cognitive – sia quelle evo-lutive sia quelle elaborative – enfatizzano gli effetti positivi prodotti dal fat-to stesso di lavorare assieme.

8.1. Le teorie cognitive evolutive

L’assunto fondamentale delle teorie cognitive evolutive è che l’inte-razione fra gli allievi su obiettivi cognitivi ne aumenta la padronanza deiconcetti critici (Vygotsky, 1978; Murray, 1982; Damon, 1984). Il gruppo di ap-prendimento cooperativo e l’interazione con i pari più capaci assume un’im-portanza fondamentale alla luce del concetto di “zona di sviluppo prossimo”

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di Vygotsky, definito come «distanza fra livello di sviluppo effettivo e livel-lo di sviluppo potenziale dell’allievo ottenibile attraverso attività di problemsolving eseguita sotto la guida di un adulto o in collaborazione con compa-gni più capaci». Il contatto con coetanei all’interno di un gruppo di colla-borazione consente ai partecipanti di operare reciprocamente all’internodelle proprie zone di sviluppo prossimo, ottenendo nel gruppo comporta-menti e risultati più avanzati di quelli conseguibili nelle normali attività in-dividuali. Così Vygotsky descrive l’influenza dell’attività di tipo collabora-tivo sull’apprendimento: «Le funzioni prima si formano nel collettivo nel-la forma di relazioni fra bambini e così diventano funzioni mentali per l’in-dividuo… La ricerca mostra che la riflessione è generata dall’argomen-to»(ibid., 47).

L’importanza dei compagni che operano nelle rispettive, reciproche‘zone di sviluppo prossimo’ fu dimostrata nel 1972 da Kuhn, che scoprì co-me ai fini della crescita cognitiva sia più produttiva una piccola differenza frail livello cognitivo di un bambino e un suo modello sociale di quanto non losia una differenza grande.

Analogamente, Piaget (1926) scoprì che la conoscenza di tipo sociale– come il linguaggio, i valori, le regole, la moralità, il sistema di simboli (co-me la lettura e la matematica) – può essere appresa soltanto in interazionecon gli altri. La ricerca di tradizione piagetiana si è concentrata molto sulconcetto di conservazione, definita come la capacità di riconoscere che cer-te caratteristiche degli oggetti non cambiano al cambiare di altre. Per esem-pio, un bambino che non ha ancora imparato il principio della conserva-zione guardando versare un liquido da un recipiente basso e largo in un al-tro alto e stretto dirà che il vaso alto contiene più liquido di quello basso, otenderà a pensare che una palla di creta cambi di peso quando viene ap-piattita o allungata. Anche se la maggior parte dei bambini raggiungono ilprincipio di conservazione fra i 5 e i 7 anni, numerosi studi dimostrano chel’interazione fra pari tende ad accelerarne l’acquisizione proprio attraver-so il contatto fra bambini della stessa età e di diverso livello di acquisizio-ne di tale principio (Mugny et Doise, 1978; Perret-Clermont, 1980; fra gli au-tori in lingua italiana si veda, per tutti, F. Carugati, 1996).

È sulla base di tutti questi studi che numerosi autori piagetiani han-no chiesto l’introduzione di attività cooperative nelle scuole, sulla base delfatto che l’interazione fra gli studenti su obiettivi cognitivi induce di per s

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è un più elevato livello di apprendimento. Nelle loro discussioni sul conte-nuto essi apprendono l’uno dall’altro attraverso il sorgere di conflitti co-gnitivi, l’esposizione di ragionamenti inadeguati, l’emergere di livelli supe-riori di comprensione.

8.2. Le teorie cognitive elaborative

Secondo la prospettiva di elaborazione cognitiva, se l’informazionedeve essere ritenuta nella memoria e riferita ad altre informazioni in essagià presenti, il discente deve impegnarsi in una specie di ristrutturazionecognitiva, o elaborazione, del materiale (Wittrock, 1978). Ad esempio, scri-vere un riassunto o lo schema di una lezione aiuta più che prendere sem-plicemente appunti, dato che il riassunto o lo schema richiedono la rior-ganizzazione del materiale e la selezione delle cose importanti (Hidi andAnderson, 1986). Uno dei modi più efficaci di elaborazione cognitiva è laspiegazione del materiale ad un altro studente. Così la ricerca sul peer tu-toring ha trovato benefici nell’apprendimento sia del tutore che del tuto-rato (Devin-Sheenan, Feldman, and Allen, 1976). Più recentemente le ri-cerche sul reciprocal thinking hanno trovato che anche gli studenti di col-lege impegnati su compiti cooperativi strutturati in gruppo apprendevanoi materiali tecnici e le procedure molto meglio di quanto non facessero glistudenti che lavoravano da soli (Dansereau, 1988). In particolare, in que-sti gruppi gli studenti ricoprivano, alternativamente, i ruoli di recaller e dilistener. Il primo riassumeva le informazioni e il secondo correggeva gli er-rori, completava i materiali omessi, pensava ai modi per ricordare le ideeprincipali. Entrambi risultarono imparare più degli studenti che lavorava-no da soli, ma fu il recaller ad apprendere di più, analogamente ai risulta-ti delle ricerche sul peer tutoring. In generale, dalle ricerche emerge la su-periorità degli studenti dei gruppi cooperativi che fornivano agli altri lespiegazioni elaborate. In tali ricerche, gli studenti che ricevevano spiega-zioni elaborate impararono di più di quelli che lavoravano da soli, ma nontanto quanto quelli che fornivano le spiegazioni (N. Webb, 1985). Analoghirisultati provengono dalle ricerche sul mutual feedback e sulla peer-com-munication (Slavin, 1996).

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9. TEORIE SOCIALI

La cooperazione come requisito essenziale di competenza sociale ecognitiva per l’evoluzione della società complessa.

«The principal reason that schools are built is to provide students withthe knowledge, concepts, skills, and understandings needed for survival inour society» (La ragione principale per la quale sono nate le scuole è for-nire agli studenti le conoscenze, i concetti, le abilità e la comprensione ne-cessaria per sopravvivere nella nostra società) (R. Slavin, 1990,13).

Ci stiamo avviando rapidamente verso società complesse, in cui il la-voro individuale, sia pure geniale, non è più sufficiente laddove risultanosempre più indispensabili l’interdipendenza positiva di ruoli e di personenel team e dei suoi prodotti più immediati: partecipazione, comprensione,autonomia, responsabilità, competenza sociale, interdipendenza positiva,accettazione dell’altro, del diverso.

Le nuove democrazie richiedono più cooperazione e meno competi-zione, attraverso un nuovo sistema di valori e norme di solidarietà attiva,positiva, partecipativa e non passiva, permissiva, assistenzialistica. Metodidi insegnamento/ apprendimento democratico, come quelli denominatiConsistency Management, Consistency Management and Cooperative Di-scipline, Cooperative Learning, cercano di cambiare questa situazione, at-traverso l’apporto positivo del gruppo (S. Jones, 1995; J. Freiberg, 1996)13.

Attraverso l’abbinamento della valorizzazione del gruppo alla respon-sabilità individuale i metodi di Cooperative Learning realizzano l’ugua-glianza di opportunità di successo con una serie di accorgimenti tecnici fon-dati sul calcolo dei miglioramenti dei punteggi di apprendimento, una vera epropria “matematica delle pari opportunità di successo” (Chiari, 1997).

13 La frase si presenta ambigua: qual è la situazione che il cooperative learning intende cam-biare? È evidente (almeno lo spero) la proposta partecipativa del CL. La conclusione di questo arti-colo mostra come sia facile per chiunque lasciarsi prendere la mano per affermare entusiasticamen-te il valore di un’idea: si rischia di banalizzare l’idea stessa e contemporaneamente si diventa menocredibili, più vulnerabili. In questo caso, per esempio, se per un verso è scontato il riconoscimento diun approccio democratico (accanto a quello autoritario o a quello lassista) nello stile di conduzionedell’insegnante, per altro verso è tutto da dimostrarsi un “metodo di apprendimento democratico”(esiste forse un metodo di apprendimento autoritario?). Spesso le metodologie qualitative (tra cuiquelle relazionali) sono state accusate di essere fumose, vaghe, inconsistenti, parolaie: perciò quandovogliamo proporle (nei progetti, nelle relazioni di tirocinio, nelle tesi, ecc.) dobbiamo accompagnarela necessaria passione al rigore della ricerca, con supporti sperimentali e riferimenti teorici.

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È l’arte suprema dell’insegnante, risvegliarela gioia della creatività e della conoscenza.

(Albert Einstein)

Il nostro compito non è soltanto quello dicelebrare il passato, ma di prevedere ilfuturo.

(J. Bruner)

Non insegno mai nulla ai miei allievi. Cercosolo di metterli in condizione di poterimparare.

(Albert Einstein)

Il bravo insegnante è una giusta sintesi didisposizione naturale e di esercizio costante.

(Protagora)

Scienziato non è colui che sa dare le vererisposte, ma colui che sa porre le giustedomande.

(Levi Strauss)

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Lavoro di gruppo: che passione

L’insegnamento può avvalersi dilavori di gruppo che devono esserepuntualmente programmati, e che sipossono alternare alla tradizionaleattività didattica. Il normale svolgi-mento dell’orario deve prevedere at-tività di laboratorio che trovano poinaturale inserimento nella classe vir-tuale creata sul nostro sito d’istituto.L’argomento che si deve trattare

va preventivamente presentato, informa sintetica, vigilando sulla capa-cità attentiva del gruppo classe.Se, ad esempio, è mio intento pre-

sentare l’U.d.A. sulle civiltà del me-diterraneo e la nascita della polisgreca, in una prima classe, aprirò lamia trattazione con precisi riferi-menti storico-geografici più sinteticipossibili, e puntando su un particola-re storico che magari affascini e at-tragga all’ascolto (es. straordinariecapacità di ingegneria degli egizi).Fase successiva sarà costruire una

linea del tempo e poi attraverso unlavoro cartografico confrontare glisviluppi territoriali del tempo tratta-to con l’assetto attuale del territorio.Si passa in un secondo momento acostruire delle linee di contatto tra ilperiodo storico passato e quello at-tuale ad esempio: Il concetto di de-mocrazia. Si tratteranno infine gliscontri tra le principali potenze ad

esempio greci e persiani e si giunge-rà alla conlcusione, chiedendoci qua-le eredità oggi dobbiamo al mondogreco ad esempio il passaggio dallacultura mitologica a quella raziona-le,infine si tratterà quasi leggenda-riamente la figura di un personaggioimportante quale Alessandro Magno.Fin qui mi si potrebbe obiettare chenon ho fatto altro che una semplicelezione frontale, ma da questo mo-mento in poi scatta la novità, parte illavoro di gruppo. Si procede inizial-mente ad un momento di sensibiliz-zazione della convivenza di diversigruppi in un ristretto ambiente qual èla classe. L’invito principale consistenell’ottenere un controllo del tonodella voce raccomandando unoscambio verbale simile ad un sussur-ro, così che da creare un clima da bi-blioteca. Sembra banale ma da que-sto primo momento di autocontrollodipende la riuscita del lavoro. La se-conda fase prevede un sorteggio dalquale verrà eletto un capogruppoche avrà per quella lezione le stessefunzioni del docente, infatti verràmunito di un mini registro che con-templerà alcune voci di base quali adesempio,capacità di ascolto,di sinte-si,di espressione e soprattutto un vo-to di disciplina, il registro verrà pre-ventivamente redatto dal docenteche lo fornirà ai vari gruppi in formadi fotocopia. La terza fase consiste

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nel riscontro diretto sul libro di testoche punto per punto verrà analizzatoa turno dai componenti del grupposotto al diretta sorveglianza del lorocapo. Ciascuno individualmente rie-laborerà in un breve tempo stabilito,onde evitare inutili inflazioni, quantonel gruppo è stato trattato. Finito iltempo assegnato si scioglieranno igruppi. Purtroppo con un sovraccari-co di lavoro si provvederà in un suc-cessivo momento alla correzione dellavoro svolto che verrà consegnatodagli alunni insieme al registro debi-tamente compilato. Nella successivalezione si passerà alla elezione diuna commissione di valutazione verae propria, e si procederà alla valuta-zione dei lavori svolti all’interno delgruppo classe e con il controllo diuna sub-commissione. È sorprenden-te notare quanto sia elevato il rigoree la disciplina di cui si vestono i gio-vani valutatori. Naturalmente su tut-to vigilerà l’insegnate che se lo riter-rà opportuno passerà ancora ad unsuccessivo momento di verifica. Ap-purato il grado di possesso dell’argo-mento trattato se ne potrà affrontareun altro inerente a qualsiasi discipli-na, a mio avviso di notevole successosono state le lezioni di diritto e discienze condotte in due prime delnostro istituto in ore che sarebberostate destinate ad attività di supplen-za,che risultano sterili e prive di con-

tenuto per il docente di turno. Finitala prima fase dei lavori, il gruppoclasse si sposta in aula informatica,ed avvalendosi del sostegno di com-pagni d’istituto delle classi più avan-zate, si procederà ad un lavoro di tu-toraggio,che avrà come esito finaleuna lezione che verrà inserita nellaclasse virtuale e che potrà essere pre-sentata in classi parallele,con grandesorpresa del gruppo classe destinatoall’ascolto,perché la novità ètanta,nel vedere che sono gli stessicompagni a presentare una U.d.A. Per valutare il grado di efficacia di

tale lavoro, non mi sarà necessario ri-correre a nessuna tabella docimolo-gica,o a chissà quali complicati cal-coli valutativi,ma un metro semprevalido è per me l’entusiasmo col qua-le viene accolta tale propo sta,l’ener-gia profusa , per portare a termine illavoro assegnato,il ricordo che nellaclasse successiva gli alunni conserva-no del lavoro svolto, e l’ingenua gio-ia che talvolta li porta ad esclamareche sono finite due ore di lezionesenza neanche accorgersene. Consi-derando che spesso tali opere di na-tura teorica vengono svolte nella fa-se terminale dell’orario scolastico.

Emilia Scaliadocente di Lettere

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

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Lavorare con i film storici

L’utilizzo del cinema e più in ge-nerale della visione di un film a scuo-la non vuole né deve essere un surro-gato della lezione, semmai l’intento èquella di integrarla e completarla, ag-giungendo importanti tasselli chepossano rendere argomenti spessoostici o di difficile comprensione, piùinteressanti e quindi più facilmenteaffrontabili da parte dello studente.Un itinerario storico coadiuvato

dal supporto filmico, deve tenereconto dell’attendibilità storica delfilm, tenere conto delle fonti e so-prattutto deve essere presentato al-l’intero gruppo classe con schededettagliate e, dopo la visione, deve se-guire un’analisi e un dibattito chepossa coinvolgere tutti gli alunni chehanno assistito alla visione.Un’esperienza didattica che ho

svolto in una prima classe, nato dallanecessità evidenziata dagli studenti dicomprendere a fondo il tema dellacondizione della schiavitù nell’anticaRoma, è stato quello di costruireun’attività laboratoriale che partissedalla lettura di alcuni brani di storicidivulgativi (p.es. Alberto Angela, Unagiornata nell’antica Roma, Mondato-ri) che raccontavano la vita quotidia-na di chi viveva a Roma da schiavo,cercando di far cogliere il senso pro-

fondo della libertà negata e della vitache conduceva chi non aveva alcundiritto. Il percorso procedeva con lavisione del film Spartacus di StanleyKubrick, film certamente di finzionee con alcuni riferimenti storici impre-cisi o lacunosi, ma che nella sua spet-tacolarità e nel suo accattivante ordi-to narrativo, è riuscito a far appassio-nare al tema anche gli alunni menointeressati all’argomento.

Il film, che avevo presentato am-piamente con alcune lezioni intro-duttive sul linguaggio cinematografi-co e sulla poetica del cinema di Ku-brick, ha consentito di svolgere, dopola sua visione, un approfondimentoattraverso un lavoro di gruppo, svol-to su quattro temi emersi dal dibatti-to scaturito “a caldo” dopo la visione.I temi affrontati dai gruppi di lavorosono stati i seguenti: • la vita quotidiana dei gladiatori; • la vita politica romana; • la storia d’amore fra Spartaco eVarinia;

• la ribellione degli schiavi e lamorte di Spartaco.

Ogni gruppo ha realizzato un bre-ve elaborato scritto schematico cheavesse come fine una chiara esposi-zione orale al resto della classe. Altermine dell’esposizione dei gruppi,abbiamo aperto un dibattito guidatoche, partendo dal film, ritornasse allastoria per meglio comprendere il li-

L i fil i i fondo della libertà negata e della vita

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vello di apprendimento finale del-l’intero gruppo classe.Le ore di lezione di questo percor-

so didattico sono state in totale otto,inclusa la visione del film. Alla fine diquesto approfondimento sulla civiltàposso ritenere, dopo la verifica effet-tuata a fine attività, che gli obiettiviprefissati sono stati raggiunti dallaquasi totalità della classe, sia per ciòche concerne i contenuti storici sia so-prattutto per quel che riguarda lecompetenze personali trasversali ac-quisite nella comprensione del lin-guaggio cinematografico e nell’espo-sizione delle proprie considerazioniall’interno del gruppo e poi alla classe. Alcuni alunni, in maniera autono-

ma, hanno poi effettuato alcune ri-cerche su internet su altri temi ine-renti la vita quotidiana dell’antica Ro-ma quali l’abbigliamento, la famiglia,il matrimonio e il cibo che sono statispunto di discussione e di approfon-dimento per tutta la classe. Proprioquesto risvolto, questo stimolo versolo studio autonomo e questa curiositàche hanno avuto alunni solitamentepoco interessati alla materia, rappre-senta la migliore risposta sull’efficaciadi attività laboratoriali che integranole lezioni rendendole più vicine agliinteressi degli studenti.

Mario Zitodocente di Lettere

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

LIMpossibile

Sono io quello che passava con lalavagna interattiva in corridoio! Insegno matematica

all’I.P.S.S.A.R. di Catania dal 2001,ma è solo da due anni che utilizzo laLIM in maniera sistematica. Certoall’inizio le questioni tecniche (cavi,proiettore, prolunghe, ciabatte, tra-sporto di tutto l’ambaradan…) sonostate di un certo rilievo. Ma pian pia-no, con l’ausilio di un carrello e conun po’ di organizzazione, sono pas-sate in secondo piano. Innanzituttonon sono io che vado in classe, ma iragazzi che mi cercano per fare le-zione. E se la materia che insegno non

sarà forse la preferita di tutti, ma al-lora perché mi aspettano? Cercanoqualcuno con cui comunicare e construmenti sempre più di loro perti-nenza. Lo strumento di per sé nonrisolve, ma facilita. Mi è chiaro giàentrando in classe: al centro non cisono più io come docente erogatoredi contenuti, ma in qualche modo di-vento sempre più facilitatore del-l’apprendimento. Sono i ragazzi chemi chiedono di montare la lavagnainterattiva; ma lo spostamento deibanchi per permettere un correttoposizionamento di LIM, proiettore,PC e cavi richiede ai ragazzi il mas-simo tempismo. Il che implica una

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prima forma di partecipazione allalezione e, quindi, già un approccioalla medesima. Nel frattempo emergono anche

questioni legate alla sicurezza inclasse (come attaccare i cavi, dovefarli passare) alla fisica (dove met-tere il proiettore per permettere unavisione centrale e non deformatadel fascio di luce) e tante altre. Pertanto la disposizione della

classe cambia radicalmente: non so-lo la cattedra non si frappone più co-me barriera fisica con il resto dellaclasse, ma il nuovo posizionamentodi cattedra e LIM può facilitare latrasformazione del rapporto docen-te-discente. Portando come analogiauna rappresentazione teatrale, in es-sa la lavagna interattiva assume ilruolo di palcoscenico, gli studentiquello di attori e l’insegnante quellodi scenografo-regista-attore a secon-da delle situazioni e del materialeumano a disposizione. Il docente èscenografo in quanto deve prepara-re l’unità didattica tenendo conto ditutte le potenzialità offerte dallaLIM. Egli pianificherà lo sviluppodella lezione che si svolgerà in clas-se e che vedrà alternare varie com-ponenti umane e tecnologiche: ilcontributo del docente, il dialogocon gli alunni, la scrittura del testo,l’inserimento di oggetti e links, l’uti-lizzo di tutte le componenti già pre-

disposte e conservate appositamen-te in un‘area dedicata del PC. Il do-cente può essere considerato ancheregista perché dovrà coordinare inclasse quanto progettato a casa, madovrà anche tenere conto in itineredella variabile umana che spesso esi-ge una modifica nei tempi e nei mo-di dello sviluppo della lezione. Evidentemente il coinvolgimento

dei ragazzi può prevedere diversemodalità ed intensità a seconda deltipo di integrazione che le LIM as-sumono nella classe. L’ipotesi più di-namica è quella di portare in aula glistrumenti LIM, PC e proiettore adogni cambio d’ora di lezione: se daun lato la riconfigurazione dell’am-biente didattico mette in moto mec-canismi di collaborazione e di parte-cipazione, dall’altro può rallentarel’inizio delle lezioni e la costituzionedi un clima di classe adeguato. Lascelta strategica diametralmente op-posta è quella del pacchetto chiavi inmano: si può optare per il fissaggiodella LIM a muro con il proiettorefissato a tetto o del tipo a raggio cor-to fissato sulla stessa LIM, dotandola classe di un PC posto in un arma-dietto metallico dotato di chiusura achiave e con la cablatura già predi-sposta. Questa soluzione facilita ildocente nell‘uso e nell’abbattimentodei tempi iniziali, ma il coinvolgi-mento dei ragazzi nella fase di im-

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postazione risulta azzerato così co-me la disposizione di banchi e catte-dra risulta meno aperta.Tra i due modelli ci sono parec-

chie varianti adottabili in base alleesigenze specifiche.Ovviamente la scelta LIM fissa vs

variabile va fatta anche tenendo con-to del numero di lavagne interattivedisponibili rispetto al numero di clas-si a disposizione; una scuola con po-che classi può anche pensare di do-tarle tutte di LIM, mentre un istitutocon molti alunni deve ben valutarese favorire la mobilità delle LIM o diselezionare alcuni consigli di classeper la sperimentazione.Anche per quanto riguarda il tipo

di proiettore da utilizzare la scelta èguidata da fattori economici: gli ulti-mi modelli di LIM prevedono, già in-tegrato, un proiettore a raggio corto,ma, poiché adotta una tecnologia su-periore, fa lievitare i costi. Questomodello risulta trasparente rispetto acolui che scrive, mentre i modelli tra-dizionali di proiettore esigono unapresenza scenica del docente: infatti ènecessario che lo scrivente tenga con-to dell’effetto ombra che si genera unogni qualvolta un oggetto o personasi frappone tra proiettore e LIM nel-lo svolgimento di una lezione.

Dimenticavo … nel frattempo iosistemo il registro personale e quellodi classe ed i ragazzi un po’ elettriz-

zati hanno già finito di configurare lalavagna.

Mentre riapriamo la lezione af-frontata la volta precedente si sentedal posto: “prof., quella l’ho fatta io”ed allora, per sentire ancora più lorola lezione, i ragazzi personalizzanole caratteristiche delle pagine in cuiognuno ha scritto; e un’alunna stra-niera che è stata trasferita in classe dapochi giorni si sceglie lo sfondo rosasu cui provare a risolvere degli diesercizi …

Ma in quella classe di cosa parla-vamo? Ah, di numeri razionali ed unragazzino sta trascinando un oggettoa forma di torta, nel piano di lavorodella lavagna, pronto per affettarlo (eviene pure l’acquolina in bocca conconseguenti battute di rito!). Si, ci in-teressava sapere che voleva dire 5/3 elì allora suggerimenti dal posto perclonare l’oggetto torta e qualcunoazzarda anche un m.c.m. A questopunto ci sono le gare per andare allalavagna (e la cosa non mi stupiscepiù!). Dopo tentativi, errori, cambia-menti di colori e trascinamenti di og-getti e calcoli qualche volta un po’approssimativi, .. è tempo di scriveregli esercizi per casa e di salvare la le-zione; l’ora è volata in fretta!È evidente che la possibilità di in-

tegrare testo scritto a mano libera,testo prodotto con la tastiera virtua-le, immagini, musiche, oggetti multi-

i i l ì i h ià fifif i di fifif l

esperienze

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mediali, filmati e l’opportunità dispostarli, ridimensionarli e gestirlicome un qualunque oggetto offrenuovi scenari di utilizzo in classe.Il primo step nell’utilizzo della

LIM riguarda, quindi, la creazione intempo reale delle lezioni attraversoil software proprietario in dotazionealla lavagna. Esse possono essereriaperte e modificate di volta in vol-ta evitando la perdita di tempo di ri-scrivere gli stessi argomenti più diuna volta; inoltre lo spazio disponi-bile per la realizzazione di un’unitàdidattica è praticamente illimitato,poiché il programma fornisce la pos-sibilità di aggiungere pagine a piaci-mento e supera il vincolo delle di-mensioni limitate della lavagna tra-dizionale.

Suona la campana e un paio di ra-gazzi della classe dell’ora successivaci vengono a prelevare (me e laLIM) dalla classe. “Veloci, andiamoin ascensore” e nel tragitto mi accor-go che uno di loro è un po’ giù dimorale; ma tra una battuta e l’altraarriviamo in classe per il setting del-la LIM e già in lui qualcosa è cam-biato. Oggi in classe si corregge la ve-rifica scritta e, per esemplificare cor-reggiamo il compito svolto da un ra-gazzo sulla LIM: scattiamo con ilcellulare una foto al compito e la in-viamo via bluetooth al PC. La fotoviene inserita come immagine all’in-

terno della pagina sulla lavagna evengono evidenziate gli errori e lecorrezioni. Al termine viene aperto ilfoglio elettronico con la griglia di va-lutazione del compito di ogni singo-lo ragazzo, e dove serve si apportanodirettamente dalla LIM le modifichenelle celle del foglio di lavoro. Il secondo livello di utilizzo della

LIM prevede, a mio parere, oltre al-l’uso del software proprietario (diSMART, HITACHI, INTERWRI-TE, MIMIO, PROMETHEAN o al-tri) quello degli applicativi installatisul PC: dal pacchetto di Office Au-tomation ai software didattici speci-fici per materia, ai software per lemappe concettuali e mentali, a quel-li per la produzione di test di verifi-ca, a qualunque altro tipo di pro-gramma. Tutte le funzionalità deisoftware sono attive, compreso ilsalvataggio delle modifiche, con l’ec-cezione della scrittura del testo amano libera che è puramente indi-cativa e che non verrà memorizzatain caso di salvataggio.

Altra ora: sono in una seconda peril calcolo delle aree di figure geome-triche con l’ausilio delle equazioni.Faccio disegnare un quadrato e lofaccio ruotare di 90 gradi. Dal fondosi sente “Bi, divintau nu rombu!”;certo c’è ancora molto da lavorare,ma lo strumento attira l’attenzionefacilitando lo scopo.

di li fifif l i l’ i à di d ll i ll l

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Dopo improbabili calcoli e ripe-tute cancellazioni della pagina (di-menticavo, basta farlo con un click esenza più polvere di gesso addosso),si arriva ad un risultato intermedio.Mi accorgo che c’è sempre qualcunoche rimane indietro e non riesce a se-guire il filo del discorso nel mare dinumeri e lettere.. provo allora stru-menti per focalizzare l’attenzione co-me l‘ occhio di bue che mantiene vi-sibile un’area e oscura tutto il restoed allora ci si raccapezza un po’ dipiù.

Siamo a buon punto nel calcolo,ma vedo che sono un po’ tutti stanchie tendono a distrarsi. Allora sottoli-neo un passaggio con degli smiley (lefaccine J) e qualcuno si risveglia dalletargo accennando un sorriso.

Siamo al termine: giungiamo al ri-sultato finale ed il ragazzo alla lava-gna riempie l’area calcolata con co-lori sgargianti. Chissà poi perché..

Al termine dell’ora uscendo rapi-damente rilancio la sfida: ”Ragazzi,ricordate che troverete la lezione inClasse Virtuale!”. Una strategia didattica che può

far uso più pienamente delle poten-zialità della LIM è quella che guidal’attenzione con strumenti che per-mettono di far emergere i contenutipoco alla volta (tendina), effettuan-do uno zoom su alcuni oggetti o pa-role (lente d’ingrandimento) o ren-

dendo visibile una zona ed oscuran-do tutto il resto (occhio di bue).Ma il salto di qualità probabil-

mente più grande della didatticadella LIM è quello della sua inte-grazione con l’uso di Internet. Il ma-teriale utilizzabile in rete immedia-tamente a disposizione è, infatti, pra-ticamente illimitato e spazia dai do-cumenti alle musiche, dai filmati aisiti per la didattica, da Wikipedia al-l’uso dei motori di ricerca e quan-t’altro. È importante notare che, al-la navigazione ed al salvataggio diun documento, filmato, o immaginedalla rete attraverso i normali co-mandi di salvataggio, è possibile af-fiancare il loro utilizzo integrale oparziale con il consueto copia ed in-colla: essi verranno inseriti sotto for-ma di oggetti in una pagina nuova oesistente sulla LIM e potranno esse-re trattati come qualunque altro og-getto utilizzato sul PC. Si apre anchela possibilità di supportare le lezionicon sistemi di classi virtuali on-line,ove il docente può riporre il mate-riale didattico prodotto con la LIMe gli alunni possono interagire con ildocente e tra di loro con strumentisincroni ed asincroni; ma questa èun’altra storia…

Salvatore Medicodocente di Matematica

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

D i b bili l li i d d i ibil d

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Un’esperienza d’integrazionescolastica: “Cuochi senza fuochi”

Presso il nostro Istituto è in corsoe si avvia felicemente a conclusioneil progetto “Cuochi senza fuochi”, ri-volto agli alunni diversamente abilicon un percorso programmatico dif-ferenziato.L’idea progettuale è nata dal de-

siderio di dare maggiori opportunitàa questi ragazzi che, attraverso l’usodei laboratori di sala-bar e cucina,sperimentano un nuovo modo di“fare scuola” ed acquisiscono espe-rienze di buona pratica, realizzandoattività tendenti alla valorizzazionedel loro “saper fare” e al rafforza-mento della propria stima ed identi-tà, possibilmente anche lavorativa.Questo progetto ha l’obiettivo di

scoprire le capacità latenti di ognialunno in un clima collaborativo do-ve si agisce, ci si esprime, si impara,si riempiono vuoti motivazionali e siliberano processi emozionali e so-cio-comunicativi necessari per l’as-sunzione di responsabilità e per lacrescita personale. Sin dai primi incontri i ragazzi so-

no apparsi entusiasti di poter “vive-re” l’esperienza professionale in mo-

do semplice ma efficace, attraversola realizzazione di ricette che, seppurdi facile esecuzione e senza l’uso deifuochi, abbia potenziato la loro crea-tività e abilità. Il laboratorio diventa,così, un’”officina di apprendimento”che stimola l’alunno verso un accre-scimento del proprio percorso evo-lutivo , spronandolo a fornire un fe-edback continuo sulle sue prestazio-ni prassiche e cognitive. Nell’ambitolaboratoriale cooperativo e competi-tivo, l’alunno è messo in condizionedi esprimere le proprie capacità, mi-gliorarle e valorizzarle. Gli allievi,durante le esercitazioni di cucina e disala, hanno inoltre modo di svilup-pare una propria sensibilità di giudi-zio in merito all’esecuzione dei com-piti a loro affidati ed all’azione svol-ta, di verificare e/o modificare leproprie scelte. Ciò sollecita l’impor-tante processo dell’“autoregolazio-ne” che induce l’alunno a darsi rego-le in relazione a quelle altrui.In considerazione di ciò, l’anima

di tale percorso didattico fa riferi-mento ad una nuova concezione del-l’apprendimento inteso come “ap-prendistato cognitivo”, in quanto ren-de visibile a chi impara l’esecuzionenon solo di compiti effettuati da un“esperto”, ma anche di processi e dimetodi di solito taciti, che, se beneappresi, possono essere produttiva-

d li fffff ifif

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Se insegni, insegna anche a dubitare di ciòche insegni.

(J. Ortega y Gasset)

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Da una buona azione…ad uno stile di vita

Non so quanti abbiano coscienza chela scuola è la vera grande trasformazio-ne dell’età moderna. «Inesorabile maci-natrice di differenze ed efficacissimostrumento di riproduzione dell’esisten-te, la scuola riesce ad incidere stabil-mente e definitivamente in due settorifondamentali della vita sociale: la fami-glia, alla quale tende a togliere inesora-bilmente la “centralità” e l’autorità suigiovani e il mondo del lavoro, poichécontribuisce in maniera decisiva a dise-gnare i profili umani e professionali deldomani. E questo accade in qualunquesocietà in via di trasformazione»1.Non si può prescindere, nell’esse-

re educatore, dal ruolo e dalla re-sponsabilità che in tal senso ci inve-stono, e che dovrebbero spingerci al-l’unisono a diffondere in modo capil-lare la cultura della solidarietà, farciinterpreti dei bisogni e dei diritti dideboli e emarginati, passando da unruolo di supplenza acritica delle de-ficienze e delle inefficienze delle isti-tuzioni, a quello di servizio proposi-tivo, di stimolo e di promozione. Ogni realizzazione del cambia-

mento sociale passa attraverso ladiffusione di valori universali, la fun-zione della scuola dovrà sempre piùessere quella di trasmettere cultura,ma anche quella di essere un servi-

D b i

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mente utilizzati dagli alunni in tempisuccessivi ed in contesti differenti.Ogni incontro svolto è stato l’oc-

casione per mettere in moto i mec-canismi dell’integrazione scolasticae sociale: nessuno si è sentito emar-ginato, tutti sono stati attori, cuochied operatori di sala, tutti hanno pro-vato l’entusiasmo e la soddisfazionedi realizzare un piatto o una “miseen place” in modo autonomo e per-sonale, tutti hanno scoperto l’av-ventura dell’imparare cose nuove. Idocenti esperti I.T.P. non hanno pre-teso la regola d’arte , ma hanno la-vorato con pazienza, entusiasmo evoglia di condividere con i colleghidi sostegno, i genitori e gli alunnistessi, un processo formativo che è ilsuccesso di chi, singola persona,gruppo, ente si prodighi per un’ef-fettiva integrazione sociale.Quello intrapreso può conside-

rarsi un magnifico percorso per l’ef-ficace riscontro sul piano emotivo-educativo e didattico. Tutti i sogget-ti coinvolti hanno potuto impararequalcosa e si sono arricchiti profes-sionalmente ed umanamente.

Grazia Maria Giuffrida,Rita Coppa

docenti di SostegnoI.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

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zio educativo, ed un luogo privile-giato di integrazione sociale e co-struzione di legami all’interno diuna società frammentata e isolante.Il volontariato nato all’interno

del contesto scolastico ha uno sta-tuto diverso da quello promossodirettamente dalle associazioni divolontariato, proprio perché si col-loca tra gli interstizi dei sistemi diistruzione, formazione ed educazio-ne. Gli attori coinvolti sono di variotipo: accanto ai destinatari dell’in-tervento e ai volontari inseriti nelleassociazioni, troviamo studenti, fa-miglie, docenti e dirigenti scolastici.Ciascuno di questi attori porta consé motivazioni e aspettative diverse,ma anche linguaggi e codici norma-tivi non sempre facilmente integra-bili tra loro e che incidono sull’esi-to dei percorsi di integrazione scuo-la-volontariato. Occorre ricostruire le motiva-

zioni, gli atteggiamenti degli studen-ti nei confronti del volontariato,educare a gesti di bontà e di paceche ristabiliscano gli equilibri e leBeatitudini infrante.

Non bisogna rinunciare a pro-muovere negli alunni la scelta per-sonale di un impegno gratuito pergli altri, per rafforzare la propriaidentità e scoprire la centralità della“persona umana” nella propria vita.

Raccontare, in definitiva, l’im-portanza del valore del “dono” edella “gratuità” attraverso occasionidi riflessione e dialogo e vere e pro-prie esperienze solidali. La gratuità del dono apre a uno

scambio sociale non mercantile, ba-sato sulla fiducia che è il prerequisi-to per creare un legame sociale, unacomunità, un senso di appartenenza. «Abbiamo imparato a volare co-

me gli uccelli, a nuotare come i pe-sci, ma non abbiamo imparato l’artedi vivere come fratelli»2.

1 A. Colajanni, “L’educazione bilingue inPerù”, in Quaderni di terra nuova n.3.

2 M.L. King.

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Un insegnante fa effetto sull'eternità:nonpotrà mai sapere quando finirà la suainfluenza.

(H. Adams)

Non si insegna quello che si sa o quello chesi crede di sapere: si insegna e si puòinsegnare solo quello che si è.

(Jean Jourés)

L'istruzione non sparge semi dentro di noi,ma fa sì che i nostri semi germoglino.

(Kahlil Gibran, Massime spirituali)

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Da un orientamentoinformativo ad un

orientamento formativo

«Il concetto di orientamento èper sua natura instabile e dinamico,in quanto necessariamente connessoall’evoluzione della società»1. È im-portante chiedersi allora quale sia laconcezione dell’orientamento nelcontesto sociale, economico e cultu-rale odierno.La società attuale si caratterizza

anzitutto per la sua complessità, de-terminata, tra l’altro, dal processo diglobalizzazione e dal rapido pro-gresso scientifico e tecnologico. Pro-prio l’eterogeneità dei modelli so-ciali e la velocità dei cambiamentihanno imposto la trasformazionedell’organizzazione del lavoro, che sipresenta oggi più articolata e flessi-bile rispetto al passato. In un contesto come questo la

formazione non può più preparare allavoro che si farà in futuro, perchéquesto, nel frattempo si è già modifi-cato. Deve piuttosto fornire stru-menti per interpretare la complessi-tà e promuovere lo sviluppo di com-petenze per affrontare in modo atti-vo una realtà che cambia continua-mente.In una società semplice caratte-

rizzata da stabilità, da un modello divita sostanzialmente basato sulla li-

nea scuola/lavoro/pensione, l’orien-tamento si limitava a fornire infor-mazioni ed al massimo offrire “dia-gnosi” psicologiche da incrociarecon profili professionali, tutto som-mato standard. Ma se il futuro lavorativo non è

più lineare, perché i profili profes-sionali stessi cambiano, se l’organiz-zazione è tale da richiedere continuiadattamenti e infine le innovazionisono tali da richiedere continui ap-prendimenti, l’orientamento diven-ta un processo continuo da padro-neggiare lungo tutto l’arco della vi-ta. L’individuo necessita di stru-menti che gli consentano di auto-orientarsi nelle situazioni in cui sa-rà chiamato a fare una scelta e diauto-ri-orientarsi, quando vincoli,impossibilità o semplici cambia-menti lo costringeranno nuovamen-te a scegliere.È necessario allora passare da un

orientamento di tipo prevalente-mente informativo, in cui l’individuoè soggetto passivo di informazioniestemporanee, a una concezione diorientamento di tipo formativo, chesi sostanzia in una serie di azionivolte a suscitare conoscenze, com-petenze e abilità nell’individuo, ren-dendolo soggetto attivo, che è messonelle condizioni di ricercare da sé, diriflettere sulle proprie attitudini, ri-sorse, interessi, limiti e carenze, di

D i l /l / i l’ i

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discernere tra le reali opportunità,ed infine di essere in grado di pren-dere decisioni. Come vediamo, l’orientamento è

qualcosa che si collega allo sviluppodella personalità, viene in rilievo,quindi come, parte integrante dellaformazione permanente di un indivi-duo, in una logica di lifelong learning.In questa azione di formazione

diverse sono le agenzie che eviden-temente intervengono, ma proprioperché l’orientamento si caratterizzaprincipalmente per la dimensioneeducativa, la scuola conserva una po-sizione peculiare. Chiediamoci, allo-ra, quali dovrebbero essere le carat-teristiche dell’azione di orientamen-to della scuola e come intervenire.

Il ruolo della scuola«La scuola influenza la costru-

zione e la strutturazione della per-sonalità e del comportamento del-l’adolescente, sostenendolo e aiu-tandolo nel suo percorso di assun-zione di un proprio ruolo all’internodella società (…) In questo senso,ogni situazione di apprendimentoproduce su coloro che apprendonoeffetti orientativi; si può affermareche il docente orienta sempre e co-munque. I suoi atteggiamenti, i suoistili relazionali e le modalità didatti-che utilizzate entrano in costanteinterazione con il processo di co-struzione di aspettative e valori de-

gli alunni e delle relative scelte»2. Sitratta per il docente allora di essereconsapevole di queste dinamiche,affinché possa gestirle nel modo piùutile per gli alunni. Un’azione for-mativa consapevolmente orientati-va, per esempio, si avvarrà di una di-dattica funzionale allo scopo. Le linee guida ministeriali sul-

l’orientamento indicano nella didat-tica fondata sulle competenze e chevalorizza le attività laboratoriali, an-che in classe, la strada maestra perun adeguato orientamento. Le lineeaffermano che l’istruzione e la for-mazione devono offrire a tutti i gio-vani gli strumenti per sviluppare lecompetenze a un livello tale che liprepari alla vita adulta e che costi-tuisca la base per ulteriori occasionidi apprendimento, anche per la vitalavorativa. La Raccomandazione delParlamento EU e del Consiglio del23 aprile 2008 sulla costituzione del“Quadro europeo delle qualifichenella prospettiva di orientamentolungo tutto l’arco della vita” ha po-sto l’obiettivo di creare un “quadrodi riferimento comune” per le com-petenze tra gli Stati membri attra-verso lo sviluppo di: Competenze dibase per un efficace inserimento so-ciale e per facilitare il processo de-cisionale; Competenze trasversaliper imparare ad imparare, progetta-re, comunicare, collaborare e parte-

di l li i à li l i d ll l i l Si

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cipare, agire in modo autonomo eresponsabile, risolvere problemi, in-dividuare collegamenti e relazioni,acquisire e interpretare l’informa-zione, decidere e scegliere; Strategienella scuola per lo sviluppo e il po-tenziamento delle competenze dibase e trasversali.Tra queste strategie appare di

particolare importanza il laborato-rio, inteso come “Situazione di ap-prendimento il più possibile legata asituazioni reali. Luogo in cui la di-dattica è caratterizzata da processidi costruzione e non di riproduzionedella conoscenza. Percorso in cui va-lorizzare processi di apprendimentocooperativo e riflessioni metacogni-tive, in grado di agire sulla defini-zione dell’identità personale. Luogoin cui gli studenti possano lavorarecooperando e aiutandosi reciproca-mente in attività di apprendimento edi problem solving, attraverso l’usodi una varietà di strumenti e risorseinformative”3.

1 A. VARANI (cur.), Cercare e cercarsi,Erickson.

2 L.c.3 L.c.

Antonio Acquavivadocente di Sostegno

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

La scuola sull’orlo di unacrisi…”indocente”

Come diceva Platone, la valenzaeducativa si esprime essenzialmentenella qualità dialogica dell’insegna-mento, nella capacità del docente distabilire una relazione autentica e si-gnificativa con i discenti. Sono tra le professioniste della

scuola che ancora custodisce qual-che antico vessillo della categoria: ildocente organizza i saperi e com-prende i bisogni profondi in sé enell’altro, è modello di riferimentoper stile ed etica, colui che dedicatempo e passione all’analisi dei pro-blemi pedagogici, che percepisce imodelli più idonei da adottare nelprocesso insegnamento-apprendi-mento, è docente per vocazione(che oggi chiamiamo “missione” perben altri motivi!) Con gli studenti, adotto raramen-

te dialoghi in bella confezione, mi ri-faccio a modelli e a grandezze nonmisurabili, ad una cultura propo-nente, a volte dissacrante, e non mistanco di insistere sulla improroga-bilità di doversi “costruire un habi-

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Quanto più già si sa, tanto più bisognaancora imparare. Con il sapere cresce nellostesso grado il non sapere, o meglio il saperedel non sapere.

(Friedrich Schiller)

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tat” condivisibile e respirabile! Ma la “dolce marmaglia” (così

chiama i suoi studenti C. Argentina),non si dispone all’ascolto se non pri-ma è ascoltata! Ed è questa la fasein cui si sintetizza l’operato del do-cente, qui è chiamata in causa l’in-telligenza pedagogica dell’insegnan-te, che passa dall’essere psicologo, apsicanalista-terapeuta, dall’esserepedagogo e pedagogista a filosofomaieutico… sa quando adottare to-ni permissivi piuttosto che autore-voli con i propri alunni e mai smet-te di cercare il dialogo, di renderepercorribile la strada dove incon-trarsi e riconoscersi, e avviare favo-revoli e personalissimi sviluppi so-cio-emotivi. L’insegnante dialoga e ogni tan-

to...si interroga!Questa malconcia stagione civile,

che sta destabilizzando certi valoriacquisiti, mettendo in discussioneidee e ideologie, rivisitando bisognie identità, ha messo in seria preca-rietà strutturale e funzionale l’interosistema formativo italiano. L’ende-mica crisi finanziaria, è riuscita poi apartorire menti inette, che non han-no mancato di attentare alla Cultu-ra, intendendola come un costo dicui si può fare a meno, ma trascu-rando di considerare quali costicomporti l’ignoranza!.. Noi docenti? Specie ostinata,

convinta ancora che il Sapere siaconsapevolezza e strumento di co-struzione del futuro e che la culturasia un valore!! Tutto da rivedere, quindi, com-

preso il destino di questa classe “in-docente”, portatrice, non più sana, diuna mission etica quantomeno az-zardata, carica di un potenziale pe-ricoloso: “il pensiero”a serio rischiodi trasmissibilità!Così, da modello di riferimento

socio-culturale, l’insegnante è sca-duto a prototipo di “sfaccendato”, di“inadeguato”, parafulmine di talunidisagi giovanili e responsabile, tal-volta, degli insuccessi scolastici deglialunni! Visto come colui che “rendedifficile”la vita degli studenti, che“attenta alla loro sensibilità”, cherimprovera impropriamente edemette immeritati giudizi!! Vittima sacrificale di un sistema

fallace ed esposto a pubblico vili-pendio, soggetto di una pseudo ri-forma scolastica…al tagliere! A se-rio rischio di essere defraudato an-che di quella linfa pedagogica e mo-tivazionale che ne ha sempre soste-nuto legittimamente l’identità.

Rita Maria Coppadocente di Sostegno

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

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L’Europa vista dal basso

Nel percorso, spesso laborioso,che ciascun insegnante compie perarrivare ai propri alunni, per far lo-ro capire l’importanza dell’appren-dimento, della cultura, al di là delleverifiche e dei test, un valido contri-buto può giungere dalle esperienzeprogettuali condivise con partnerstranieri. Il ventaglio di opportunità che si

apre dinnanzi a coloro che desidera-no cimentarsi in quest’avventura èampio e talvolta motivo di disorien-tamento, ma bastano poche dritteper inoltrarsi in un mondo stimolan-te per docenti e alunni. Il lavoro ètanto e per nulla remunerato, ma nu-merose sono le occasioni di crescitapersonale e professionale in un con-testo informale e mai sovrastruttura-to, che rendono tale esperienza desi-derabile al di là di qualunque com-penso.Se l’inizio dell’attività progettuale

è rappresentato dalla ricerca di unatematica comune e interessante allaquale lavorare in partenariato con al-tre scuole, è tuttavia vero che propriotale tematica diviene in corso d’ope-ra un mero pretesto per un’esperien-

za di apprendimento e conoscenzamolto più ampia. Gli scambi, infatti,con alunni e docenti di diversi paesieuropei, talvolta residenti in localitàfuori dai tradizionali circuiti turistici,consentono l’abbattimento di stereo-tipi obsoleti e di preconcetti legati al-la non-conoscenza, permettono l’am-pliamento degli orizzonti culturali,ideologici e sociali dei soggetti coin-volti e garantiscono l’apertura versoautentici contesti civili, lavorativi eculturali che altrimenti difficilmentesarebbero sperimentati da ragazziprovenienti da un backgroundsocio-culturale medio-basso. Lavora-re insieme consente anche di relati-vizzare il proprio punto di vista, dicomprendere che esistono moltepliciprospettive da cui osservare la realtàe che nessuna è spesso universal-mente valida. La realizzazione diprogetti europei dà la possibilità , in-fine, di far maturare negli studenti laconsapevolezza che la lingua stra-niera non è una mera disciplina sco-lastica, ma un mezzo per stabilire re-lazioni umane, uno strumento perviaggiare, comunicare, conoscere etale consapevolezza giova talvoltacome stimolo per un miglioramentodella loro competenza e motivazioneallo studio.Il programma d’azione comunita-

ria che mette a disposizione fondiper la realizzazione di progetti nel

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Il mondo è un libro e chi non viaggia neconosce solo una pagina.

(S. Agostino)

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campo dell’apprendimento perma-nente – o Lifelong Learning Pro-gramme – prevede programmi set-toriali di diverso genere per rispon-dere alla variegata domanda discambi, cooperazione e mobilità. Iquattro maggiori sotto-programmi,che a loro volta prevedono diversesotto-misure, rispondono alle esi-genze didattiche e di apprendimen-to di tutte le persone, gli istituti e leorganizzazioni coinvolte nell’istru-zione scolastica (Comenius), nel-l’istruzione universitaria e di terzolivello (Erasmus), nell’istruzioneprofessionale (Leonardo) e nel-l’istruzione degli adulti (Grundtvig).La ricerca di informazioni e di par-tner è piuttosto agevole, bastanouna connessione ad Internet(www.programmallp.it), la cono-scenza di una lingua straniera, un po’d’intraprendenza e tanto tempo dainvestire in un’avventura che si deli-nea fin dall’inizio emozionante, pro-ficua e gratificante.

Loredana Fisichelladocente di Lingua Inglese

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

L’apprendimento in alternanzascuola-lavoro

Problematiche culturaliOggi più che mai la scuola è chia-

mata a confrontarsi con la massacrescente dei saperi e con i ritmidella loro crescita e ciascun allievodeve essere aiutato ad esprimere leproprie potenzialità di crescita in re-lazione alle domande del mondoesterno, dentro l’orizzonte culturaledella contemporaneità. L’ intero si-stema europeo dell’istruzione è in-fatti coinvolto in un interessante di-battito sul rapporto tra la cultura e illavoro. Le indicazioni europee ri-spetto a tale argomento spingonoverso la valorizzazione della culturadel lavoro come componente inter-na ai processi di apprendimento digiovani e adulti, anche in relazionead una politica di lifelong learning.L’Europa chiede saperi minimi ecompetenze di cittadinanza attiva: isaperi corrispondono alle conoscen-ze chiave irrinunciabili, le compe-tenze corrispondono alla compro-vata capacità di usare conoscenze,abilità e capacità personali e/o me-todologiche in situazioni di lavoro edi studio e nello sviluppo professio-nale e personale.Sembra quindi legittima l’idea

che una scuola retta sulla convinzio-ne che formazione intellettuale e

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Tu insegni meglio ciò che più hai bisognodi imparare.

(R. Bach)

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formazione professionale debbanomantenersi separate sia fuori dall’Europa e dalla contemporaneità.Dal punto di vista pedagogico, è

l’idea stessa di competenza a spin-gere verso una revisione del sistemaformativo in direzione di una diver-sa relazione con la cultura del lavo-ro. Ogni persona “cresce” attraversola progressiva acquisizione di saperiche si consolidano con la percezionedell’utilità oggettiva di tale acquisi-zione, l’apprendimento avviene me-glio ed è più duraturo se è “situato”.La competenza è il risultato di unpercorso accidentato in cui espe-rienze diverse di istruzione formalee pratica lavorativa si alternano tradi loro, utilizzando risorse cognitivedi varia natura.Con l’alternanza si realizza attra-

verso l’integrazione di due luoghi diapprendimento, una sorta di unitàdel sapere che richiama il pensieroclassico greco che per parlare di co-noscenza usava in modo intercam-biabile i termini epistéme, (cono-scenza), téchne (abilità), areté (vir-tù), raccogliendo in un unico attoconoscitivo i vari aspetti inseparabi-li – il che cosa, il come e il perchèdella conoscenza (Repetto 1996).L’unità di sapere di cui si parlava

prima è meno teorica di quello chepuò sembrare, poiché nell’organiz-zazione dell’azienda accanto all’au-

tonomia di decisione, alla capacità dilavorare in gruppo è richiesta la ca-pacità di assumersi responsabilità,che è uno degli obiettivi più impor-tanti cui l’esperienza di alternanza èdiretta. Alla base del nuovo rapporto tra

la scuola e il lavoro vi è dunque ilconcetto di competenza, che nascein un contesto aziendale in relazionead un patrimonio di conoscenze per-sonali che assicurano prestazioni disuccesso.

Problematiche giuridico/normati-ve e figure professionali coinvoltenell’iter progettualeL’alternanza scuola – lavoro co-

me modalità di realizzazione di per-corsi formativi del secondo ciclo distudi, per studenti che hanno com-piuto il quindicesimo anno di età,costituisce le finalità dell’art. 4 dellaLegge delega n. 53/2003.Le norme generali relative all’al-

ternanza scuola – lavoro vengono,successivamente, definite dal Decre-to Legislativo 15.4.2005 n. 77, al qua-le si deve fare diretto rimando perl’ideazione l’organizzazione e la rea-lizzazione dei percorsi formativi,nonché per la valutazione e la certi-ficazione delle competenze acquisi-te dagli allievi.Così come richiesto dal D.L.vo

77/2005 fondamentale importanza

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riveste la figura del tutor scolastico,che ha come compito essenzialequello di facilitare i processi di ap-prendimento degli allievi e quello dicollaborare con il tutor esterno(aziendale) e gli esperti nella con-duzione delle attività previste dalprogetto. Il tutor interno svolge dun-que compiti di coordinamento tra idiversi soggetti che partecipano alprogetto stesso e compiti di collega-mento con la didattica delle attivitàcurricolari.Sebbene la tradizionale metodo-

logia di insegnamento a scuola siamolto cambiata, fino ad oggi l’ap-prendimento interattivo è scarsa-mente utilizzato a causa di numero-se ragioni principalmente connessecon la mancanza di attrezzature emateriali e/o per la mancanza di for-mazione degli insegnanti sia sullemetodologie che sui contenuti.Le aziende del territorio, del re-

sto, sono state spesso scarsamentesensibili al problema della forma-zione del personale e solo da pochianni stanno timidamente aprendosial mondo della scuola e della for-mazione. Pur tuttavia è proprio at-traverso una collaborazione attiva efattiva tra mondo della scuola emondo del lavoro che si può intra-prendere una nuova strada che con-duca verso un miglioramento eco-nomico e sociale.

ConclusioniL’alternanza scuola-lavoro come

metodologia didattica ambisce acollegare l’esperienza e le compe-tenze degli insegnanti con quelle de-gli operatori aziendali, attraverso larealizzazione di percorsi didattici al-ternativi e la sperimentazione di unapprendimento di tipo attivo, chefavorisce lo sviluppo di abilità attra-verso il contatto con ambienti chestimolano la partecipazione attivariconducibile al concetto di “ap-prendimento attraverso la scoperta”.L’approccio con l’azienda pone i

discenti in relazione con un più am-pio contesto sociale e culturale per-mettendo loro di conoscere e impa-rare condividendo con il personaledel mondo del lavoro spazi e re-sponsabilità. La conoscenza passa anche attra-

verso il superamento di barriere dipoteri consolidati e dalla accessibili-tà a luoghi e strumenti dell’aziendastessa che, in questo caso, è dispen-satrice di sapere, attraverso l’uso at-tivo e immediato di informazioni dautilizzare. L’apprendimento avviene con la

scoperta auto-guidata e auto-con-trollata anche tramite un approcciometodologico incentrato non piùsull’insegnante ma sul discente ecambia anche il ruolo dell’educato-re, che, in questo contesto, diventa

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facilitatore, cioè offre sostegno aldiscente.Così considerato il percorso di-

viene un efficace strumento di valo-rizzazione dell’autonomia individua-le dell’allievo, della scuola e del terri-torio, e nel contempo, potrebbe con-trastare i fenomeni di abbandonoscolastico e di disagio giovanile. Inol-tre, favorisce l’orientamento dei gio-vani e ne valorizza gli interessi e glistili di apprendimento individuali.

Dà, inoltre, la possibilità di rea-lizzare modalità di apprendimentoflessibili ed equivalenti sotto il pro-filo culturale ed educativo, arric-chendo la formazione acquisita neipercorsi scolastici e formativi conl’acquisizione di competenze spen-dibili nel mercato del lavoro e po-nendo i discenti nell’ottica di unaeducazione permanente.

Franca Maria Brancadocente di Lettere

I.P.S.S.A.R. “K. Wojtyla” di Catania

Quale insegnamento,quale apprendimento?

Se venisse chiesto a chiunque dinoi cosa abbia determinato negli ulti-mi anni il passaggio dal vecchio alnuovo modello organizzativo e di-dattico della scuola, non avremmo

alcun dubbio nel rispondere che ilDPR 275/1999, più comunemente no-to come “Regolamento dell’autono-mia delle istituzioni scolastiche”, ha rap-presentato una svolta davvero decisiva.

In effetti, dopo anni ed anni di “di-pendenza” decisionale dall’ammini-strazione centrale, per la prima volta visi parla di Piano dell’Offerta Formativa,di autonomia didattica, organizzativa, diricerca e sperimentazione, di reti discuole, di definizione dei curricoli, diampliamento dell’offerta formativa, dimodelli di certificazione che indicanoconoscenze, competenze e capacitàacquisite nel percorso formativo:tutti princìpi–cardine su cui si sonointessute, con nostra maggiore o mi-nore consapevolezza, per ben 10 an-ni le azioni formative.

Da allora ad oggi, la scuola è stata in-vestita da un ciclone di innovazionistrutturali e metodologiche che hannorapidamente mutato la sua fisionomiaed il nostro comune modo di concepirela didattica, attualmente tesa al raggiun-gimento di standard formativi unitari.

Gradualmente abbiamo introdottonella nostra quotidianità nuovi termini:saperi essenziali, obiettivi di apprendi-mento, competenze, attività laborato-riali, strategie innovative, abbiamo ini-ziato a parlare di valutazione e autova-lutazione, di qualità, con una certa na-turalezza, ma direi anche talvolta con“superficialità” ed approssimazione,

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quasi a voler esorcizzare il pericolo dilasciarsi coinvolgere/sconvolgere daicambiamenti in atto. Impresa titanica epressoché vana!

Basti pensare, infatti, che ciò che noioggi viviamo come uno tsunami nellascuola, in realtà era già stato enunciatonel “Libro Bianco sull’istruzione e laformazione”, curato da Édith Cressonnel 1995, dove un’attenta lettura econo-mica e sociale dava cognizione del-l’evoluzione culturale in corso: cia-scun individuo avrebbe dovuto rea-lizzare nuove forme di adattamentoper accedere all’informazione e alsapere ed acquisire nuove compe-tenze richieste dai sistemi di lavoroper non incorrere nel rischio diesclusione ed emarginazione sociale.Fu coniata la definizione di socie-

tà conoscitiva che tuttora indica unasocietà che investe nell’intelligenza,nell’apprendimento, in cui ciascunindividuo può costruire le propriecompetenze, in funzione di tre fatto-ri di cambiamento:

– la società dell’informazione,che ha progressivamente trasforma-to le caratteristiche del lavoro e l’or-ganizzazione della produzione avantaggio di un’attività più autono-ma e flessibile;

– l’estensione a livello mondiale de-gli scambi, che ha cancellato le fron-tiere fra i mercati del lavoro, coinvoltioggi nel processo di globalizzazione;

– la civiltà scientifica e tecnica,che ha applicato ai metodi di produ-zione lo sviluppo delle conoscenzescientifiche e tecnologiche.Il Libro bianco si è rivelato uno

specchio della realtà contempora-nea e ha voluto suggerire alle nazio-ni europee di riflettere sull’insegna-mento e sull’apprendimento, sullerisposte che oggi possono fornirel’istruzione e la formazione ai gio-vani ed agli adulti, in un processo dilifelong learning, per limitare gli ef-fetti nocivi causati da questi tre fat-tori. Ai singoli Stati membri è statada allora richiesta l’adozione di po-litiche educative efficaci che potes-sero orientare l’Europa sulla stradadella società cognitiva, in vista delraggiungimento di cinque obiettivigenerali a livello comunitario: 1) Favorire l’acquisizione di nuo-

ve conoscenze, riflettendo su nuovisistemi di riconoscimento delle com-petenze, non necessariamente sanci-te da un diploma, ma valide a livelloeuropeo. Ciò avrebbe agevolato lamobilità degli studenti all’internodella Comunità, secondo il sistemaECTS di trasferimento di crediti rag-giunti nei corsi di studio, eliminandogli ostacoli amministrativi e giuridiciche frenavano gli scambi di studentie di partecipanti a corsi di formazio-ne, di insegnanti e ricercatori. 2) Avvicinare la scuola e l’impre-

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sa, sviluppando l’apprendimento inEuropa sotto tutti gli aspetti e favo-rendo la mobilità degli apprendisti edelle persone in corso di formazione.3) Lottare contro l’emarginazio-

ne, offrendo una seconda opportu-nità tramite la scuola.A tal proposi-to, il Libro Bianco ha suggerito distanziare dei finanziamenti comple-mentari europei, a sostegno dei fi-nanziamenti nazionali e regionali(gli odierni FSE e FESR) e di ricor-rere a nuovi metodi pedagogici, alletecnologie dell’informazione e mul-timediali.4) Possedere tre lingue comunita-

rie, in quanto la conoscenza di piùlingue è diventata oggi una condi-zione indispensabile per ottenere unlavoro, ancor più in un mercato eu-ropeo senza frontiere. Il plurilingui-smo è divenuto ormai un elementod’identità ed una caratteristica dellacittadinanza europea, oltre che unelemento alla base della società co-noscitiva.5) Investire nella formazione, in-

coraggiando con provvedimenticoncreti le imprese e le amministra-zioni pubbliche, mediante un’evolu-zione del trattamento fiscale e con-tabile delle spese destinate alla for-mazione.Ciò che avvenne cinque anni dopo,

nel 2000, a Lisbona è noto a tutti: ilConsiglio Europeo adottò l’obiettivo

strategico di “diventare l’economiabasata sulla conoscenza più competi-tiva e dinamica del mondo, in grado direalizzare una crescita economica so-stenibile con nuovi e migliori posti dilavoro e una maggiore coesione so-ciale”, obiettivo altamente ambizioso,che ci si proponeva di raggiungereentro il 2010, ma prudentemente pro-rogato al prossimo 2020.Non si deve però pensare che tali

propositi siano rimasti isolati neltempo, per poi essere rispolverati al-la vigilia dei termini prefissati, per-ché dal 2000 ai nostri giorni, i Consi-gli Europei annualmente si sono riu-niti a Stoccolma, a Barcellona, a Bru-xelles, ecc., per esaminare e relazio-nare, nei Rapporti di Primavera, il li-vello di raggiungimento dell’obietti-vo strategico di Lisbona, valutandoperiodicamente i progressi compiutie stabilendo le future priorità.È adesso facile comprendere ciò

che sta accadendo attualmente inItalia, come altrove in Europa: lescelte politiche legate all’istruzioneed alla formazione sono dettate dal-l’esigenza di rispondere a standardprecisi cui non possiamo più sottrar-ci, pena l’esclusione dal circuito eu-ropeo, e le prove OCSE-PISA ce lorammentano periodicamente ognitre anni. La comparazione dei risul-tati di apprendimento degli studentiquindicenni ci descrivono una preoc-

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cupante spaccatura geo-culturale nelnostro Paese e la distanza vertigino-sa dai livelli formativi di altri Stati.Certo, non è facile tradurre le li-

nee generali sopra descritte nelle sin-gole realtà scolastiche e locali, doveci si scontra con difficoltà concretelegate all’utilizzo o meno di strategiediversificate ed efficaci, dove si lottacontro il consueto modo di intenderela didattica ancora come mera tra-smissione di saperi e contenuti e noncome strumento di sviluppo di com-petenze che possono essere trasferi-te in contesti esterni alla scuola. La vera rivoluzione copernicana

che ci coglie ancora impreparati eche non vogliamo accettare è lo spo-stamento del focus educativo dal-l’azione del docente (insegnamento)a quella dello studente (apprendi-mento), dai programmi ai nuclei es-senziali ed irrinunciabili delle disci-pline, dal modulo didattico all’Unitàdi Apprendimento, intesa quale uni-tà di processi che, nell’interazione dipiù saperi, determinano l’acquisizio-ne di conoscenze mirate ad uno sco-po e, quindi, di competenze.Indubbiamente, nel processo di

innovazione un ruolo decisivo vienesvolto dal docente, che deve seria-mente riflettere su un atteggiamen-to largamente diffuso, a causa dellaformazione culturale ereditata dalleesperienze scolastiche personali: lo

scarto tra teoria e prassi. Da unaparte stanno i contenuti ed i saperi,dall’altro l’applicabilità pratica diquesti. Le modalità didattiche risul-tano ancora statiche, immobili, con-tinuano ad essere scandite da azionirigide quali le consuete lezioni fron-tali, interrogazioni/interrogatori, ve-rifiche non improntate su problemsolving o simulazioni di casi.I risultati sono scontati: lo stu-

dente non coglie la significativitàdel suo apprendimento, anzi avverteun senso di coercizione contro cuireagisce con vigore giovanile; il do-cente si chiude sempre più nella suadelusione, nel senso di impotenza edi inadeguatezza della propria azio-ne educativa e formativa.Da questo circolo vizioso si può

venir fuori solamente iniziando acomprendere e ad appropriarci deicambiamenti socio-culturali che so-no incorsi in questi ultimi anni. Soloallora potremo confermare che ilnostro sviluppo professionale si in-tegra e si alimenta nel miglioramen-to della scuola, e ritroveremo la for-za di riacquistare socialmente la no-stra identità di professionisti dellaformazione.

Giusy Lo Biancovicaria dell’I.P.S.S.A.R.“K. Wojtyla” di Catania

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