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DOMENICA 5 DICEMBRE 2004 È BAGDAD uno stormire d’ali di corvo. L’immagine non è mia. È dell’irriverente ragazza musulmana che mi ac- compagna. L’usa indicando il fremito dei veli neri nel grande mercato di Sadr City. È primo mattino, l’ora della spesa, e nel quartiere sciita le donne, nascoste sot- to ampi chador, o con il capo avvolto in più modesti foulard, si agitano attorno a cumuli di riso e a montoni smembrati, a montagne di legumi e di frutti. Alcune calzano anche guanti, neri come chador. Da lontano sembra una cerimonia funebre. Secondo la ragazza che l’osserva rattristata e polemica, quel panorama umano, addobbato a lutto, è il trionfo delle moschee e dei partiti religiosi. Un agricoltore valuta con un’occhiata, dal loro biondeggiare, la maturazione delle messi da mietere: allo stesso modo, con uno sguardo al mer- cato affollato, i musulmani integralisti possono misurare la loro influenza, la loro autorità, dalla foggia e dal colore degli abiti femminili. Più sono neri, castigati e uniformi, più sono soddisfatti. Su certi quartieri di Bagdad è come se fossero sta- ti rovesciati ettolitri di inchiostro. I contrasti, le contraddizioni non mancano nel disordine iracheno. Nei negozi dei quartieri benestanti capita di tro- vare prodotti di bellezza che, se usati ed esibiti in pubblico, in certi luoghi e situazioni, sarebbero scandalosi. Cosi come accade di vedere sui teleschermi e sui giornali immagini di donne vestite e truccate all’occidentale che se comparissero in carne e ossa provocherebbero reazioni imprevedibili. Due modelli di società si scontrano in una mischia senza regole: da un lato affiorano esitanti libertà individuali, di cui fa par- te quella elementare di mostrare i propri capelli; dall’altro pesa un rigore religioso al quale è affidato spesso il monopo- lio delle tradizioni. (continua nella pagina seguente) D omenica La di Un villino con le finestre sbarrate sulla riva del Tigri: è il rifugio segreto di Yannar e delle “sue ragazze”, giovani irachene in fuga dalla guerra, dagli integralisti, dalle loro stesse famiglie Le donne di Bagdad il racconto Moplen, l’Italia e gli anni di plastica EDMONDO BERSELLI i luoghi Berlino, la mia città da film WIM WENDERS l’inchiesta Cina, il capitalismo a carbone FEDERICO RAMPINI le storie Nonno T, ladro di otto mandarini JENNER MELETTI cultura Cattelan, mister tre milioni di dollari PINO CORRIAS FOTO PETER ANDREWS / REUTERS / CONTRASTO BERNARDO VALLI

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DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

ÈBAGDAD

uno stormire d’ali di corvo. L’immagine non è mia.È dell’irriverente ragazza musulmana che mi ac-compagna. L’usa indicando il fremito dei veli nerinel grande mercato di Sadr City. È primo mattino,

l’ora della spesa, e nel quartiere sciita le donne, nascoste sot-to ampi chador, o con il capo avvolto in più modesti foulard, siagitano attorno a cumuli di riso e a montoni smembrati, amontagne di legumi e di frutti. Alcune calzano anche guanti,neri come chador. Da lontano sembra una cerimonia funebre.

Secondo la ragazza che l’osserva rattristata e polemica,quel panorama umano, addobbato a lutto, è il trionfo dellemoschee e dei partiti religiosi. Un agricoltore valuta conun’occhiata, dal loro biondeggiare, la maturazione dellemessi da mietere: allo stesso modo, con uno sguardo al mer-

cato affollato, i musulmani integralisti possono misurare laloro influenza, la loro autorità, dalla foggia e dal colore degliabiti femminili. Più sono neri, castigati e uniformi, più sonosoddisfatti. Su certi quartieri di Bagdad è come se fossero sta-ti rovesciati ettolitri di inchiostro.

I contrasti, le contraddizioni non mancano nel disordineiracheno. Nei negozi dei quartieri benestanti capita di tro-vare prodotti di bellezza che, se usati ed esibiti in pubblico,in certi luoghi e situazioni, sarebbero scandalosi. Cosi comeaccade di vedere sui teleschermi e sui giornali immagini didonne vestite e truccate all’occidentale che se comparisseroin carne e ossa provocherebbero reazioni imprevedibili. Duemodelli di società si scontrano in una mischia senza regole:da un lato affiorano esitanti libertà individuali, di cui fa par-te quella elementare di mostrare i propri capelli; dall’altropesa un rigore religioso al quale è affidato spesso il monopo-lio delle tradizioni.

(continua nella pagina seguente)

DomenicaLa

di

Un villino con le finestresbarrate sulla riva delTigri: è il rifugio segretodi Yannar e delle “sue ragazze”, giovaniirachene in fuga dallaguerra, dagli integralisti,dalle loro stesse famiglie

Le donnedi Bagdad

il racconto

Moplen, l’Italia e gli anni di plasticaEDMONDO BERSELLI

i luoghi

Berlino, la mia città da filmWIM WENDERS

l’inchiesta

Cina, il capitalismo a carboneFEDERICO RAMPINI

le storie

Nonno T, ladro di otto mandariniJENNER MELETTI

cultura

Cattelan, mister tre milioni di dollariPINO CORRIAS

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BERNARDO VALLI

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la copertinaDonne di Bagdad

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Il fremito degli chador nel mercato di Sadr City sembra uno stormir d’ali di corvo. La macchia nera d’inchiostro è il colore dell’oppressione voluta dagli integralisti che semprepiù spesso impongono la violenza nell’Iraq del caos. In una villetta rifugio alla periferia di Bagdad un gruppo di coraggiose prova a resistere. E a cambiar le cose

LE CONTRADDIZIONINei negozi dei quartieri

benestanti capita di trovareprodotti di bellezza che, seusati ed esibiti in pubblico,

sarebbero scandalosi

La femministacontro il raìs

La storia di Zainab

Dalla sparizione di Nawalimparò la lezione oppo-sta a quella che il regime

voleva insegnare. Quella suacompagna di classe di 9 anniera colpevole di aver detto che,dopotutto, l’Iran non dovevaessere uno Stato così cattivo.Ma era il Paese con cui l’Iraq erain guerra e dopo pochi giorni labimba e tutta la sua famigliasparirono. «Sapevamo tutti cheerano state uccise» raccontal’adesso trentatreenne ZainabAl-Suwaij alla Harvard Gazette,«volevano che imparassimo astare zitte e a non sfidare Sad-dam». Che è esattamente ciòche ha fatto per tutta la vita. Do-po essere stata una guerriglieracontro il raìs durante DesertStorm, dalla fine del regime cer-ca di mobilitare le donne ira-chene per recuperare i dirittiperduti. Come fondatrice del-l’America Islamic Congress èstata ricevuta anche da GeorgeBush: «La mia famiglia erascioccata. Sono la prima donnache non resta a casa». E insiemea un’altra ex esiliata, Ala Tala-bani, è riuscita a far sancire nel-la costituzione provvisoria laparità tra i sessi oltre a racco-gliere 50 mila firme affinché il40 per cento dei ruoli politicinel nuovo governo siano affida-ti a donne. (r. sta.)

BERNARDO VALLI

La casa segreta di Yannare le ragazze della guerra

(segue dalla copertina)

Le varie correnti di quest’ul-timo, ossia i partiti islamici,sciiti e sunniti, potrebberoavere quasi il sessantacin-que per cento dei voti, stan-do ai pronostici sulle pros-

sime, incerte elezioni politiche di finegennaio. Chi puntava su una democra-zia irachena ha buoni motivi per dubi-tare della sua imminente nascita.

In un quartiere popolare, Al Hussei-ni, a una ragazza senza velo è stata sfre-giata la faccia. Era una cristiana. A Mos-sul spruzzano catrame sulle gambefemminili non nascoste fino alla cavi-glia. A Falluja, quando imperavano gliestremisti islamici, nessuna donnaosava mostrarsi con i capelli scoperti.Le giovani, anche se avvolte nel velo,uscivano raramente di casa. Un uomo,profugo da quella città, adesso occupa-ta dagli americani e dalle forze gover-native irachene, ha raccontato che deimaschi sono stati rapati a zero, in piaz-za, perché la loro capigliatura era statagiudicata troppo femminile.

A Sadr City, dove l’intolleranza di-venta con facilità violenza, la mia gui-da, prima riluttante, alla fine cede emette un fazzoletto sulla testa. Ma è gri-gio, più chiaro di quelli in cui sono av-volte le donne del mercato. In un quar-tiere popolare, quale è Sadr City, il co-lore forse conta. Serve, penso, a distin-guersi, a non confondersi con la mareanera. Può essere un segno della classesociale cui uno appartiene. Negli am-bienti borghesi le tinte sono varie. Il ne-ro non sommerge tutto come qui. Lamia guida alza tuttavia le spalle a que-ste osservazioni. Importa, dice, che for-me e lineamenti siano nascosti. O nonrisaltino.

Le varietà di quelli che chiamiamosommariamente veli sono tante nell’I-slam. Una arabista, Catherine Farhi, ne

cui sono sottoposte le donne. L’indiriz-zo è segreto. È conosciuto soltanto daun ristretto numero di militanti del-l’Organizzazione per la Libertà delleDonne in Iraq (la sigla inglese è Owfi).Nessun altro iracheno vi ha accesso. Losi capisce. Le finestre sono semprechiuse, come del resto lo sono quelledelle case vicine, per evidenti ragioni disicurezza. Capita infatti che nei dintor-ni si accendano aspri combattimentinotturni, trovandosi la villa su unasponda del Tigri, in prossimità di unaperiferia infiltrata da guerriglieri e ter-roristi sfuggiti alla battaglia di Falluja.Anche in pieno giorno i posti di poliziasono presi d’assalto. Non sto dando in-dicazioni utili per individuare la loca-lità. Bagdad è una metropoli di più di seimilioni, piatta, costruita sul deserto.L’abitato si stende per decine di chilo-metri. Alcuni quartieri spuntano comeoasi, dopo ampi spazi vuoti. Insomma,si può parlare di un ago nel pagliaio.

Al primo piano ci sono tre stanze e inciascuna tre giacigli, più che veri letti. Alpianterreno una cucina e un dormito-rio con tante coperte e materassi acca-tastati contro le pareti, per far spazio al-le attività quotidiane. In particolare al-le riunioni “per la psicologia di grup-po”. L’arredamento è povero La puliziameticolosa. Al momento le pensionan-ti sono una decina. Ognuna è protago-nista di un dramma.

C’è chi, a poco più di vent’anni, con ilvolto più segnato di quel che dovrebbeessere a quella età, è reduce da un amo-re proibito. L’espressione non è mia.Cosi viene chiamata una relazione ex-traconiugale. Se scoperta la donna èespulsa dalla famiglia, dopo essere sta-ta picchiata. E spesso minacciata dimorte da un numero imprecisato dicongiunti ansiosi di cancellare la ver-gogna.

Per inquadrarmi questi casi, e illu-strarmi i rischi che essi comportano,Yannar Mohammed mi ricorda un ce-lebre precedente. Yannar è una donnaminuta, con i capelli neri e crespi, non

elenca alcune: jelbab, burnus, ferigee,haik, khimar, mandil, melaya, sefsa-ri.... Il velo può essere più una protezio-ne, gradita o no, che un segno di devo-zione o di sottomissione. Per chi lo in-dossa non ha sempre un valore religio-so. Gli si può anche dare un significatoantropologico. Può servire alla donna«per non essere offesa», come recita unversetto del Corano. Può diventare unoscudo dietro il quale trincerarsi. E legiovani hanno bisogno di difese. Ma af-fidare questo compito al velo, sarebbecome considerare la prigione un luogoin cui si è al sicuro. Le donne sono espo-ste a mille pericoli nell’Iraq d’oggi.

Sentono sul collo l’ansimare degli in-tegralisti, le cui idee, spesso impostecome regole, attizzano il maschilismo.Il quale diventa licenza di aggredire oinsultare le ragazze sorprese in pubbli-co senza velo. Deboli, indifese, sono in

balia dei delinquenti comuni che le ra-piscono per ottenerne il riscatto. Unavolta liberate, sono poi possibili vittimedei familiari, degli stessi genitori, mari-ti o fratelli, incapaci di sostenere l’onta,se durante il sequestro sono state vio-lentate, come accade il più delle volte.Rischiano, in questo caso, di essere ri-pudiate, cacciate di casa, o segregate.Per le adultere la punizione può esserela morte. La legge è indulgente quandoè in ballo l’onore.

Le finestre sbarrate

A venti minuti d’automobile da piazzaTahrir, il centro di Bagdad, in una vil-letta a due piani, simile a tante altre inquel quartiere abitato da funzionari digrado medio, un tempo da ufficiali su-balterni della polizia e dell’esercito diSaddam, si incontrano le vittime, spes-so adolescenti, dei vari tipi di violenza

IL DISONORELe vittime raccontano che dopo esser state rapite e in molti casi violentatevengono cacciate da casa “per il disonore”

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

ancora quarantenne, sprizzante ener-gia. È turcomanna, del Kurdistan; e havissuto per qualche anno in Canada,Paese in cui ha imparato tante cose sul-l’uguaglianza tra maschi e femmine.Yannar è adesso presidente dell’Orga-nizzazione per la Libertà della Donna emi racconta come Saddam Husseinesaltò il delitto d’onore, al punto da far-ne un gesto eroico.

La bambina bastonataNel 1990, ai tempi dell’invasione delKuwait e dell’imminente reazioneamericana, l’allora raìs aveva bisognodell’appoggio dei capi tribù, per i qualinegli anni precedenti non aveva avutomolti riguardi. Al fine di ingraziarselidecise di premiare un uomo che, ade-guandosi alla tradizione tribale, avevaucciso la nuora accusata di adulterio.Saddam andò di persona nella casa delgiustiziere e gli appuntò al petto unamedaglia. Fu un gesto propiziatorioanche nei confronti dei religiosi favore-voli alla sharia, la legge islamica, con iquali in quanto capo di un partito laico,come si dichiarava il Baath, non era maistato tenero. Per sottolineare l’avveni-mento fu emendata la legge che già pre-vedeva una pena insignificante (da trea sei mesi) per il delitto d’onore. Conl’articolo 409 fu abolita anche quella.Non costerebbe dunque neanche ungiorno di carcere uccidere una donnainfedele.

I drammi delle altre ospiti della villa-rifugio, sulla sponda del Tigri, illustra-no i rischi di essere donna in questoPaese. I racconti si ripetono tragica-mente. L’adolescente fuggita da casaperché picchiata di santa ragione, ognigiorno, fino a spezzarle le braccia, af-finché rinunciasse a incontrare un coe-taneo sgradito ai genitori. Un’altra gio-vane, ancora più infelice, rapita, sem-bra stuprata, e per questo, una volta li-berata, cacciata dalla famiglia disono-rata. In reazione a tante miserie e in-giustizie si è creata una solidarietàfemminile che consente a Yannar

Mohammed di disporre, oltre alla mo-desta villa a due piani, di tanti altri rifu-gi segreti in case private disperse nellacapitale. Una rete clandestina che me-rita il nobile nome di resistenza, nega-to ai terroristi.

L’Organizzazione di YannarMohammed denuncia la disperata si-tuazione delle donne e spara accuse intutte le direzioni. Definisce oppressivoe fascista il regime di Saddam Hussein;regressivi i cambiamenti politici origi-nati dalla guerra americana; e altret-tanto negative le azioni dei movimentinazionalisti e islamici. «Al Qaeda ci haminacciato più volte», dice Yannar. Inun documento rivendica diritti chesuonano bestemmie alle orecchie deifondamentalisti. Ma che sono altret-tanto inaccettabili da Iyhad Allawi, ca-po del governo proamericano. Il quale,pur essendo alla testa di un partito lai-

co, non può ignorare i partiti religiosialleati. La sua sopravvivenza politicadipende da loro. Nelle riunioni pubbli-che, tenute all’ombra dei carri armatiamericani, laici e religiosi sostengonola presenza di una donna ogni quattrocandidati, alle prossime elezioni. Mache tipo di donna? Nessuno osa pensa-re che sulle liste possa apparire il nomedi chi si oppone all’assoluzione degliassassini di mogli o sorelle infedeli. Dichi considera un’ignominia l’impunitàdei delitti d’onore.

I diritti “impossibili”Le rivendicazioni di Yannar riguarda-no diritti elementari e al tempo stessoirraggiungibili nel futuro scrutabile:l’uguaglianza tra uomini e donne; la se-parazione tra Stato e religione; la finedell’imposizione del velo e la libertà neldisporre del proprio abbigliamento; la

punizione della violenze contro le don-ne e in particolare pene appropriateper i delitti d’onore. Yannar Moham-med sa di non avere alleati, né nella op-posizione armata, percorsa da un forteintegralismo islamico, né nel governo,in cui sono presenti i partiti religiosi. Lasua forza sta nella spontanea parteci-pazione di alcune migliaia di donne al-le manifestazioni di piazza, organizza-te tra gli attentati dei terroristi e le re-pressioni americane. Il suo più grandesuccesso è stata la riassunzione di cin-quanta impiegate di banca accusate diimportanti sottrazioni di denaro, li-cenziate e arrestate in massa. Yannarha avviato indagini per provare la loroinnocenza, infine riconosciuta, e ha ot-tenuto che riprendessero i loro posti dilavoro. I cortei di protesta per le stradedi Bagdad, nel frattempo dilaniate dal-le autobombe dei kamikaze, si sonoprotratti per settimane, nella primave-ra scorsa.

Molte, coraggiose femministe delmondo musulmano, nel passato tena-ci nell’affrontare mullah e dittatori, sisono ritirate davanti all’offensiva fon-damentalista. Sul campo di battagliairacheno, schiacciata tra due schiera-menti a confronto, in diverso modo alei entrambi ostili, Yannar, la turco-manna, continua imperterrita la sualotta solitaria. Hai una stretta al cuorequando l’incontri in un ufficio buio,una vera topaia, invasa dalla puzzaproveniente da una traboccante fognavicina. Seduta su un divano sfondato,col computer in bilico sulle ginocchia,racconta con accenti epici la recentemanifestazione a Bassora. Vi hannopartecipato centinaia di donne. All’im-provviso adocchia la mia giovane gui-da, che a Sadr City metteva di malavo-glia il fazzoletto grigio sulla testa per di-stinguersi nella marea nera dei chador.Yannar apprezza che indossi dei pan-taloni, come lei. In Iraq oggi per unadonna è un segno di coraggio. Pensa direclutarla. Le chiede: «Non vuoi lavora-re con me?».

ecatombe. Di recente NicholasKristof calcolava sul New York

Times che il tasso di mortalitàinfantile è raddoppiato rispetto aquello precedente alla guerra.Non solo: «Se l’Iraq dovesseraggiungere livelli di mortalità daSomalia — calcola l’editorialista— si potrebbe arrivare a 203mila

bambini morti e 9.900 donne chemuoiono durante il parto ognianno». Oltre a fare il loro difficilelavoro privato, quello di mamme,le donne vogliono contare anchepubblicamente. E sono dispostea lottare: già 100 sono le reclutedel nuovo esercito addestratedagli americani in Giordania

La prostitutaperseguitata

Shamia, in fuga dalla famiglia

Cinque anni fa Shamia (ilnome è di fantasia, lastoria no) si innamorò

del vicino di casa della sua fa-miglia. Chiese al padre di po-terlo sposare: fu cacciata via esi trovò in mezzo alla strada.Aveva 19 anni. Oggi ne ha 24 enel frattempo è diventata unaprostituta. La liberazionedell’Iraq non l’ha aiutata. An-zi, l’esplodere dei delitti d’o-nore ha peggiorato la sua si-tuazione. Suo fratello minoreha ricevuto dal padre l’ordinedi ucciderla per restituire ri-spettabilità alla famiglia. Loscorso giugno il ragazzo haincontrato Shamia in una viadi Bagdad e le ha puntato uncoltello alla gola. Nelle vici-nanze c’era però un poliziot-to: «Un altro agente, informa-to dei fatti, mi avrebbe messonuovamente nelle mani dimio fratello», ha spiegato lagiovane al Time. «Ma perqualche ragione il poliziottomi ha fatto da scudo. Nonspero di essere così fortunatala prossima volta: mio fratellomi dà ancora la caccia». Sha-mia adesso vive aspettando lamorte del padre. L’ultimapossibilità per tornare a unavita normale: «Mia madre —confida — potrebbe prender-mi nuovamente con lei».

I CAMBIAMENTIL’organizzazione di Yannar

definisce oppressivo l’exregime, ma anche regressivi i

cambiamenti portati dalla guerra americana

LA STANZA BUIAYannar sta in un ufficio buio,una vera topaia, con il divano sfondatoe il piccolo computer in bilico sulle ginocchia

LE VITTIME DEL CONFLITTO

Donne e bambini sono state leprincipali vittime della guerra inIraq. È impossibile quantificarema se fosse vera la stimapeggiore — 100 mila morti civilisecondo Lancet — calcolandoche la quota femminile è del 55per cento della popolazione, sitratterebbe di una vera

FOTO LYNSEY ADDARIO / CORBIS / CONTRASTO

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l’inchiestaLocomotiva d’Oriente

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

SPECHINO

iamo tornati all’età del carbone. Un me-se fa davanti a casa mia è apparso il pri-mo ciclista che consegnava a domicilio ipanettoni neri, mattoni di carbone a for-

ma di favo di alveare (coi buchi bruciano meglio).Era il segnale d’inizio dell’inverno a Pechino. Tuttala Cina si scalda così. Stufe a carbone in ogni casa:qui nella capitale, nel cuore della nuova superpo-tenza mondiale. Anche quando accendo la luce,uso il computer o prendo il treno, senza saperlobrucio “quello”, partecipo al consumo più diffusotra i cinesi. Ogni anno qui ciascuno di noi usa in me-dia — direttamente o indirettamente — una ton-nellata di fossile nero a testa. Da moltiplicare per unmiliardo e trecento milioni di abitanti. Il boom eco-nomico asiatico è una locomotiva che va a carbonee nessuno si salva dalle conseguenze. A metà no-vembre i satelliti hanno fotografato un’immensanuvola di inquinamento che ricopre quasi intera-mente Cina e India. I meteorologi sanno che unaparte di quei veleni imbocca uno dei “corridoiespressi”, come chiamano i grandi venti transocea-nici, e finisce nei vostri polmoni europei. Vi spettadi diritto un po’ di quella nube tossica di anidridecarbonica. È stata necessaria per fabbricarvi i te-lefonini e le scarpe, i jeans e i televisori.

Tornate sani e salviQui i telegiornali la sera non aprono i notiziari conle vittime in Iraq ma con il bollettino dei caduti diun’altra guerra. Invece di Bagdad e Falluja e Mosuli luoghi delle ultime carneficine quotidiane qui sichiamano Daping-Xinmi (30 ottobre, 141 morti),Guizhou (2 novembre, 15 morti), Pingdinshan (20novembre, 33 morti), Chemjiashang (30 novem-bre, 166 morti). Quasi ogni sera in tv vediamo ripe-tersi scene che si assomigliano. Le squadre di soc-corso con le tute arancioni che arrancano verso icorridoi della miniera e ne riemergono con dei cor-pi in barella. Donne e anziani che urlano e piango-no, la polizia che trascina in manette qualche ma-nager o capomastro. All’ingresso della cava di Da-ping le telecamere hanno inquadrato due scritte:Gaogao xingxing shangbang, “Andate al lavoro feli-ci”, e Pingping anan huijia, “Tornate a casa sani esalvi”. Seduti per terra in un angolo ad attendere

notizie sui loro compagni, con le maestose faccenere e le rughe scolpite in una sporcizia che non vapiù via, con gli occhi bianchissimi perduti nel vuo-to, ci sono i sopravvissuti dell’ennesima strage. So-no i poveri mercenari-kamikaze della globalizza-zione, la carne da macello del miracolo industrialecinese: sei milioni di minatori del carbone. È graziea quei disperati che brillano giorno e notte le lucidegli shopping mall lussuosi di Shanghai, e le gru diGuangzhou costruiscono il grattacielo più alto delmondo, e da Hong Kong e Tianjin salpano le naviportacontainer con i regali che vi scambierete a Na-tale.

La crescita scatenata dell’economia cinese hasottratto alla miseria centinaia di milioni di esseriumani in soli vent’anni, ma oggi sta correndo sul fi-lo del blackout energetico. I consumi di elettricitàsalgono a un ritmo insostenibile, +15% solo nei pri-mi otto mesi di quest’anno, nonostante che la cor-rente elettrica sia già razionata in 24 province su 31.Dalla General Motors di Shanghai ai fabbricanti digiocattoli del Guandong, ogni azienda vive nellapaura di non poter soddisfare la domanda dei clien-ti se va via la luce e si ferma la produzione. Per ali-mentare le fabbriche e i cantieri di questa rivolu-zione industriale, bisogna succhiare energia ovun-que. Nonostante il petrolio sopra i 40 dollari il bari-le, la Cina è già diventata il secondo importatoremondiale di greggio dietro gli Stati Uniti. Ma c’èun’altra fonte di energia che ha in casa sua, in quan-tità quasi illimitata, e quindi a buon mercato. Ha28.000 miniere di carbone, producono 1,7 miliardidi tonnellate all’anno, così tanto che un po’ del car-bone cinese lo compra anche il resto del mondo. Esi continuano a scoprire nuovi giacimenti. Si ria-prono vecchie miniere finite in disuso anni fa.

Bruciano carbone il 70% delle centrali termoelet-triche, e per scongiurare il collasso energetico se necostruiscono di nuove a tappe forzate. Brucianocarbone gli altiforni per il cemento armato dei grat-tacieli, nelle megalopoli costiere che devono far po-sto a decine di milioni di immigrati dalle campagne.Bruciano carbone le acciaierie per le lamiere delleautomobili, nella nazione più popolosa della terrache è lanciata verso la motorizzazione di massa.Bruciamo carbone io e i miei 15 milioni di concitta-dini pechinesi, ora che nella capitale il termometrova sottozero tutte le notti. Perfino per fare il pieno aldistributore il minerale nero diventa un sostitutodel petrolio: la più grande azienda mineraria delpaese, lo Shenhua Group, vara un impianto per la

liquefazione del carbone con la consulenza dellaShell. La tecnologia a base di alta pressione, altatemperatura e iniezioni di idrogeno, scioglie il car-bone e ne estrae carburanti liquidi di ogni genere:benzina, gasolio diesel, gas liquido.

I fiumi inquinatiInteri paesaggi della Cina oggi sono dominati dallapresenza del carbone come nell’Inghilterra indu-striale dell’Ottocento. Il colore di questo Paese nonè il giallo né il rosso della sua bandiera. È il nero del-la fuliggine che oscura il cielo al tramonto, stendecoltri di fumo sulle città, tinge le acque dei fiumi, ba-gna di piogge acide le risaie nelle campagne. Sul-l’autostrada del carbone che dalla Mongolia inter-na scende verso la città industriale di Harbin, è uncontinuo ininterrotto corteo: lunghe colonne di ca-mion trasportano la polvere nera, stracolmi fino atraboccare. Quando il loro percorso traversa lemontagne e le curve costeggiano i villaggi più po-veri, bande di ragazzini si appostano sui cigli altidella strada con delle palette lunghe per “screma-re” la cresta del carico dei Tir. Gli autisti vedono e la-sciano fare: quel magro raccolto di carbone rubatoè il contributo che il loro passaggio lascia all’econo-mia locale, un po’ di calore per le notti invernali.

Il bilancio ufficiale dei minatori caduti sul lavoroogni anno vale due volte l’11 settembre: 6.434 mor-ti nel 2003, e di questo passo quest’anno rischiamodi battere il record. Perfino queste cifre rischiano diessere sottostimate perché ci sono “piccoli” inci-denti mortali che i proprietari riescono a nascon-dere comprando il silenzio dei parenti e dei com-

pagni sopravvissuti. Nelle miniere degli Stati Unitiper estrarre un miliardo di tonnellate (più dellametà del carbone cinese) i morti l’anno scorso sonostati solo cinquanta. Per produrre la sua media in-dividuale di 320 tonnellate di minerale all’anno,ogni minatore cinese ha cento volte più probabilitàdi morire di un suo collega americano o europeo.L’ingegnere-geologo Wang Deming, docente al Po-litecnico minerario di Pechino, non ha esitazionisulla diagnosi: «Il management è pessimo. Non siaddestrano i lavoratori, molti dei quali sono immi-grati stagionali dalle campagne. In questo Paese lasicurezza non è una priorità. Nel 25% delle nostreminiere non si usano ancora mezzi meccanici, per-fino per scavare le gallerie principali si va giù a for-za di braccia vanghe e picconi».

Un altro esperto, Zhou Xinquan della facoltà diMineralogia, usa parole più dure: «Molti proprieta-ri delle miniere scelgono di non spendere neancheun centesimo dei loro profitti per salvare delle viteumane. C’è una legge che prevede ispezioni di con-trollo ogni volta che una miniera interrompe e poiricomincia l’attività. Per aggirarla la maggior partedei manager sceglie di operare a ciclo continuo,senza pause». Sun Huashan, vicedirettore dell’En-te di Stato per la sicurezza del lavoro, riconosce chele norme di sicurezza «vengono sistematicamenteviolate per produrre a ritmi forzati e tener dietro al-la domanda del mercato».

Il bollettino di guerra non si limita alle vittime diincidenti catastrofici. Di questo lavoro si muore an-che lentamente. 600.000 minatori cinesi soffronogià di malattie acute che vanno dalla silicosi all’en-fisema al cancro. L’esercito dei malati gravi si allar-ga di 70.000 casi all’anno. È il volto selvaggio delnuovo capitalismo cinese, la dura legge di un siste-ma dove il profitto vale più della vita umana? Sì e no.Gli stessi esperti Wang e Zhou osservano che la si-curezza nelle grandi miniere di Stato non è moltosuperiore a quella delle piccole aziende private. I141 morti di Daping il 30 ottobre scorso sono rima-sti intrappolati dall’esplosione sotterranea in unacava del gruppo Zhengzhou, un Moloch pubblicoereditato dall’epoca del comunismo puro e duro.Sotto il presidente Mao Zedong la vita umana nonaveva più valore di oggi. Anzi, ai suoi tempi non c’e-rano neppure le telecamere dei Tg e i titoli in primapagina dei giornali perché la gente sapesse dellesciagure. Tra i peggiori lasciti del socialismo c’è lamancanza di un vero sindacato che difenda gli in-teressi dei lavoratori. La Federazione unica del la-

FEDERICO RAMPINI

Cina, il capitalismo a carbone

Arriva l’inverno, a Pechino uomini in bicicletta consegnano i mattoni neri per le stufe e per la corrente dei computer. A spingere la nuova superpotenza economica sono le miniere.A sacrificarsi sull’altare del progresso sono i sei milioni di mercenari-kamikaze della globalizzazione che lavoranosotto terra. E che sotto terra sempre più spesso muoiono

Nessuno si occupa della sicurezza, nel 2003 le vittime sonostate oltre 6mila. Interi paesaggi ricordano l’Inghilterradell’Ottocento

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

voro è un docile strumento del governo, più spessola sua funzione è garantire disciplina e obbedienzaal management. Dopo ogni strage qualche respon-sabile viene colpito, a volte perfino con la pena ca-pitale, ma non risulta che la giustizia risalga fino aigovernanti che dovrebbero far rispettare le regole.

La nuova civiltà

L’ecatombe annua delle miniere è il costo umanopiù tragico della nuova civiltà del carbone, ma an-che il più visibile. C’è un altro bilancio dei danni.Questo va ben oltre l’esercito dei forzati che lavoranelle viscere della terra. L’Organizzazione mondia-le della sanità (Oms) calcola che l’inquinamento at-mosferico uccide 800.000 persone all’anno, di cui idue terzi in Asia. Fra tutti i combustibili il carbone èdi gran lunga il più tossico. Bruciandolo per scalda-re una casa, per produrre acciaio o per generareelettricità in una centrale, si sprigiona più anidridecarbonica che con il petrolio. Vengono rilasciatinell’atmosfera anche mercurio e particelle di zolfo,che ci ritornano sotto forma di piogge acide. Tra lecause dell’effetto-serra che sconvolge il clima delpianeta, il carbone ha un posto in prima fila. L’odo-re acre del fumo delle stufe del mio quartiere mi av-volge non appena esco di casa. Se non penso a cosasto respirando ha perfino qualcosa di gradevole, al-le narici inesperte può ricordare vagamente aromidi montagna, chalet nella neve, caminetti natalizi.Quando su Pechino non soffia qualche salvificovento dal deserto, il nostro cielo scompare sotto unnebbione immobile. Il laghetto Houhai di fronte ame si copre di uno smog denso, gli occhi brucianopresto. La gente tossisce, si raschia il catarro, ha ri-preso a sputare per terra dopo la breve parentesiigienista dovuta alla campagna anti-Sars. Quest’a-ria irrespirabile e il gelo non impediscono a ungruppo di salutisti pechinesi di mezza età di pre-sentarsi all’appuntamento quotidiano in riva al la-go. Tra mezzogiorno e l’una, ogni giorno due dozzi-ne di cinquantenni si svestono sul marciapiedi al-berato, rimanendo in costume da bagno ascellare,e si tuffano per quattro o cinque traversate. Nuota-no fieri, di buona lena, mentre attorno a loro gal-leggiano pesci morti.

Il primo ministro Wen Jiabao poche sere fa ci haannunciato al telegiornale che «l’aumento delprezzo del petrolio ha conseguenze pesanti sull’e-conomia globale». Una delle soluzioni per il futuro,ha detto, «è usare fino in fondo le grandi riserve ci-nesi di carbone».

SONG CHAO

L’ autore di questo reportage fotografico è unragazzo cinese di 25 anni, che dall’età di 18 anni èminatore. Le persone ritratte sono i suoi colleghi dilavoro in miniera. I ritratti di questo serviziofotografico sono stati esposti al festivalinternazionale della fotografia di Arles.

LA SFIDA DEL CARBONE PULITO

Il forte rincaro del petrolio sta provocandoun rilancio del carbone dappertutto: gli Usasono davanti alla Cina, in Europa il 35%dell'elettricità viene generata dal carbone.La speranza però è che sia possibiletrasformare il carbone in una fonte dienergia pulita, addirittura a zero-inquinamento. La chiave sta in unprocedimento che gli esperti chiamano

“carbon sequestration”, letteralmentesequestro dell’anidride carbonica. Il suoobiettivo è quello di depositare le emissioniinquinanti in modo sicuro, evitando così diaccentuare l’effetto-serra e il cambiamentoclimatico. Purtroppo gli investimenti nellaricerca di nuove soluzioni energetichesono crollati in tutti i paesi avanzati, con lasolitaria eccezione del Giappone.

FOTO SONG CHAO / GRAZIA NERI

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32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

le storie /1Famiglie in crisi

Leggono manuali, interrogano psicanalisti,frequentano incontri serali per cercare di capirecome far crescere bene i propri ragazzi. È il popoloin rapido aumento dei genitori spiazzati da teenagerallagatori di licei, spinellatori di gruppo, depressi,anoressici, o semplicemente muti e misteriosi

Consigli pereducarli? Dargli unlimite, una norma.Conservare

l’autostima, l’ideadi essere moltoimportanti per loro

L’officina dei buoni figli

EMILANO

poi c’è sempre uno che sialza, come quest’uomo inmaglione grigio, con losguardo febbrile e un po’

sperso, e fa la domanda: «Sono un pa-dre. Noi dobbiamo parlare ai nostri fi-gli, trasmettere dei valori. Ma prima sitratta di capire: dove stiamo andan-do?». Stasera Gustavo Charmet se lacava con una battuta («Vista l’ora, direiche stiamo andando a casa»), ma sa giàche ci saranno altre serate, altri incon-tri affollati, altre domande più strin-genti a cui rispondere. Perché succedeche c’è tutto un popolo di genitori (e in-segnanti, e genitori-insegnanti) ches’è imbarcato nell’impresa (disperataa volte, ma a volte solo necessaria) dicapire i propri figli. Gente che s’è sco-perta in casa un Franti («Franti, tu uc-cidi tua madre! E quell’infame sorri-se»), un allagatore di glorioso liceo, unincallito spinellatore, un depresso oun’anoressica, uno trafitto da imba-razzanti piercing, oppure semplice-mente un figlio muto e misterioso, enon sa che pesci pigliare.

Genitori affettuosi. Elena Rosci, psi-cologa e psicoterapeuta, descrive cosìuna coppia-tipo: «Lei è una bionda av-venente, lui un uomo dal tratto virile.Eppure sembrano vinti. Hanno un fi-glio adolescente ed escono la sera perparlare, con altri, proprio di lui. Non locapiscono, temono di ferirlo, che altri loferiscano, che la scuola lo umili. Che luistesso sia fragile, triste, debole o an-noiato. Tornano dalla serata sollevati eabbattuti a un tempo. Non si sentonoall’altezza. Sono genitori potenzial-mente in crisi di una famiglia affettuo-sa. Il loro è un impegno full-time. Cosìritornano a casa incerti, forse colpevo-li, certamente confusi. Il figlio li fa starecol fiato sospeso, loro gli levano il fiato».

Il professor Charmet è un punto diriferimento per questo popolo di gen-te in pena: perché è molto competen-te, ma sa parlare senza tecnicismi, get-tando uno sguardo caldo e non con-venzionale sul pianeta degli adole-scenti. Dice che se i genitori faticano acapire, è perché questo «conflitto mu-to» si gioca ormai fuori dalla famiglia:«Sono i genitori che hanno deciso di te-nere basso il conflitto in famiglia. Unavolta il bambino andava civilizzato. Daquando i bambini sono ritenuti buo-nissimi, è naturale non esercitare piùforti pressioni per piegarli, ma nego-ziare e trattare per avere una buona re-lazione. Farsi obbedire per amore enon per forza. Questo ha fatto scom-parire dalla scena della famiglia normee valori. Una volta si costringeva il fi-glio a rispettarli. Ora, siccome lui è perdefinizione buono, la famiglia è diven-tata negoziale».

In questa famiglia sindacalizzata eaffettiva, i ragazzi ci stanno piuttostobene, e — dice ancora Charmet —«non gli passa nemmeno per la testa dicontestarla». Le ricerche — come l’ul-tima «Pianeta teenagers 2003» di Euri-sko — lo confermano. Una famiglia«lunga», dove il 62 per cento dei figli sitrattiene fino ai 30 anni, e che produceuna condizione adolescenziale lun-ghissima. Le ricerche una volta pren-devano in considerazione giovani dai14 ai 19 anni, poi il confine s’è allarga-to fino ai 24. Ora talvolta analizzano lacondizione di chi sta fra i 14 e i 34 o ad-dirittura i 39 anni. Si capisce che inquesto limbo dilatato i segnali di disa-gio sono quanto mai diversificati, e dif-ficili da cogliere. Ci si ritrova, solita-mente, a discuterne «dopo»: con glipsicologi, a volte coi carabinieri chepure hanno grande esperienza in ma-teria.

Questi disgraziati genitori affettuosie in pena escono da una generazioneche ha affrontato spettacolari conflitticontro i modelli educativi e sessuali dicasa propria. Hanno pensato di doverdemolire la famiglia, e se ne ritrovanouna trionfante, tollerante, ma imper-scrutabile. «La famiglia ha stravinto —dice Charmet — Si è costruito un fami-lismo morale, trovando un modo paci-fico di gestire le relazioni, separando lenorme interne dai valori sociali. Al re-sto deve pensare la scuola, e spesso leregole della famiglia sono diverse daquelle della scuola. I genitori, a volte,diventano dentro la scuola sindacalistidei propri figli».

É l’etica del piccolo gruppo. «Nelle

to, oltre a esperienze terapeutiche, an-che strutture di mediazione. «La me-diazione sociale — dice il professorAdolfo Ceretti — si occupa spesso an-che di conflitti dentro la famiglia, sullabase di segnalazioni spontanee o chearrivano da istituzioni. Le parti vengo-no invitate a colloqui singoli prelimi-nari. Si stabilisce una sorta di “road-map”. É un lavoro che costa una faticamostruosa, anche perché ci sono cosemostruose nelle famiglie, coperte dalsilenzio o dal dominio. L’ostacolo piùgrosso è che le persone hanno familia-rità con istituzioni che impongonoprescrizioni, e non ne hanno nessunacon ambiti dove dire apertamente checosa li fa star male. I comportamentihanno bisogno che gli venga dato unnome, che si stabilisca una responsa-bilità verso qualcuno, che la sofferen-za venga fuori e non si faccia confusio-ne fra perdono e giustizia».

E se nella famiglia di una volta il pa-dre puniva e la madre perdonava, ora ètutta un’altra faccenda. «La crisi del-l’autorità del padre è irreversibile —dice Charmet — I padri hanno trovatoun altro modo, accuditivo, presente, esono coinvolti in relazioni più affettiveche valoriali. Hanno ideali alti: di crea-tività, di benessere, di pace. I ruoli si so-no redistribuiti: il bambino si ritrovadue genitori, uno maschio e uno fem-mina, che svolgono le stesse funzioni».Si allarga, dice, l’area del narcisismonei ragazzi. «In famiglia non c’è colpa,non c’è paura, non c’è conflitto. C’è unproblema di fama e di riconoscimento.I genitori fanno sentire il bambinomolto importante, parlano solo di lui.Il bambino ha buoni motivi per chie-dere alla scuola che lo faccia sentireimportante, che lo ami. I ragazzi han-no altissime aspettative, sono valoriz-zati, fatti sentire unici e importanti».

Il disagio, il senso di inadeguatezza,si trasferisce dalla colpa e dal peccatoalla bellezza, alla forma fisica, alla po-polarità, al ruolo nel gruppo. «Comeaccorgersene? Beh, intanto c’è un ec-cesso di attenzione al rendimento sco-lastico. Si scambia lo scarso rendimen-to con il disagio. Si cancella il figlio, e losi sostituisce con lo studente. Un altroerrore è pensare che il fumo delle can-ne sia un problema psicologico,espressione di conflitto. Per i ragazzi èun consumo legato al piacere dellacompagnia. Questi sono ambiti scon-tati, ma non sono quelli dove si trova-no segni importanti di disagio».

Un’altra tendenza diffusa, nel po-polo dei genitori sbandati, è quella aconsiderare di aver esagerato con lapermissività. «Mi chiedono spesso —dice Charmet — se davvero era meglioprima. A livello normativo, si tende al-l’abbassamento della soglia di punibi-lità. Ci si concentra più sulla punizio-ne che sull’ascolto». Niente a che ve-dere, per il momento con esperienze-limite di altri paesi. Come l’associa-zione americana di genitori Tranqui-lity Bay, che ha messo in piedi (fuoridai confini Usa, però), collegi-lagerper rieducare con metodi draconiani iteenagers ribelli (ne parlava un artico-lo del New York Times del luglio scor-so). Qui in Italia la tentazione repres-siva è minoritaria. «La famiglia — spie-ga Elena Rosci — non cerca severità,ma un maquillage al fallimento scola-stico dei figli, oppure un consulenteche dia iniezioni di coraggio etico a fi-gli e genitori».

I figli, dice Charmet, «forse è vero checercano il limite, la norma, perché for-se intendono che se tutto è ammessovuol dire che a nessuno importa». So-prattutto, «apprezzano la competen-za». Ma per capire quali metodi usareper far rispettare le regole, ha due solu-zioni diverse. La prima è lo studio, nelsenso che fa bene ai genitori studiare lamateria. L’altra riguarda l’autostima:«I genitori devono conservare l’idea diessere molto importanti per i propri fi-gli. E questo anche a dispetto del fasti-dio per determinati riti. Quando ab-biamo chiesto ai ragazzi qual era unbuon motivo per dire no all’offerta dicanne, parecchi hanno risposto: per-ché mi scoccia guastare il rapporto conl’espressione di intesa di mio padre,quando mi ha detto “mi raccoman-do”». «C’è spesso una specie di foto-ri-cordo, la benedizione o la maledizioneche hanno ricevuto prima di uscire,che segna la serata. Non avrà un’im-portanza sovrumana, ma ce l’ha. Dareun’occhiata, vedere con che faccia sa-lutano. E che non sia solo retorica l’e-sortazione a non fare cazzate».

società semplici — spiega Elena Rosci— i genitori sono più duri nel trasmet-tere valori, perché da questi dipende lasopravvivenza della comunità. Oggimadri e padri sono più fragili, perchéfaticano a vedere il futuro. Una volta lafamiglia aveva in mente che i figli, pri-ma o poi, avrebbero assunto un ruolosociale ben definito. Ora si ha una vagaidea di quel che i figli diventeranno.Cambiano i lavori, c’è grande incertez-za, non si è sicuri di niente. La famigliasi chiude e diventa protettiva. Non per-ché sia stolta, ma perché i cambia-menti generano inquietudine. E il col-lasso dell’etica pubblica riguarda an-che i genitori».

L’esercito di questi genitori smarriti,ma ansiosi di studiare e capire, si in-grossa giorno per giorno. La cronacasegnala — e spesso investiga con bru-

talità — i casi più gravi di allarme. Da-gli omicidi tipo quello di Novi Ligure, aquelli fra ragazzi, ai suicidi sempre in-comprensibili, alle imprese di gruppo,i vandalismi, le violenze di banda. EMilano è diventata la capitale deglistudi sugli adolescenti: nell’ambitopsicoanalitico c’è il Minotauro diCharmet e Maggiolini, nell’ambito so-ciologico lo Iard, nell’ambito psicoso-ciologico il gruppo della Cattolica, epoi il “Progetto A” di De Vito, l’“Area G”di Eugenia Pelanda. Gli incontri scola-stici, i corsi, le conferenze sono tuttifrequentatissimi. Si stampano semprepiù testi di psicologia dell’adolescen-za, che i genitori leggono avidamente epoi lasciano in giro per casa, casomaiun figlio volesse casualmente parteci-pare alla faccenda.

Un fenomeno sociale che ha genera-

FABRIZIO RAVELLI

Franti, il cattivo senza futuro

«Eha daccanto una faccia tosta e tri-sta, uno che si chiama Franti, chefu già espulso da un’altra sezio-ne». Così alla pagina di martedì 25

ottobre Enrico introduce ai lettori il personag-gio di Franti. Di tutti gli altri è detto qualcosa dipiù, cosa facesse il padre, in che eccellessero ascuola, come portassero la giacca o si levasseroi peluzzi dai panni: ma di Franti niente altro, eglinon ha estrazione sociale, caratteristiche fisio-nomiche o passioni palesi. Tosto e tristo, tale il suo carat-tere, determinato al principio dell’azione, così che non sidebba supporre che gli eventi e le catastrofi lo mutino o lopongano in relazione dialettica con alcunché. Franti daFranti non esce; e Franti morirà: «Ma Franti dicono chenon verrà più perché lo metteranno all’ergastolo», si scri-ve il lunedì 6 marzo, e da quel punto, che è a metà del vo-lume, non se ne farà più motto...

... Questo il clima: ed Enrico ne era l’esponente medio,paro paro. Da un ragazzo di quella fatta non possiamoaspettarci qualche lume su Franti: anzi doveva esisteretra i due una sorta di incomprensione radicale per cui seFranti un giorno avesse raccolto un passerotto da terra e

gli avesse sminuzzato briciole di pane, Enriconon lo avrebbe mai detto. Logico che Franti, seraccoglieva passerotti, li portasse a casa permetterli in padella, perché l’unica volta che En-rico si tradisce e ci mostra la madre di Franti chesi precipita in classe a implorare perdono per ilfiglio punito, affannata «coi capelli grigi arruf-fati, tutta fradicia di neve», avvolta da uno scial-le, curva e tossicchiante, ci lascia capire cheFranti ha dietro di sé una condizione sociale, e

una stamberga malsana, e un padre sottoccupato, chespiegano molte cose. Ma per Enrico tutto questo non esi-ste, egli non può capire il pudore di questo ragazzo che difronte all’impudicizia feudale della madre che si getta,davanti alla scolaresca, ai piedi del Direttore e di fronte al-l’intervento melodrammatico di quest’ultimo («Franti,tu uccidi tua madre!», eh via, dove siamo?), cerca un con-tegno nel sorriso, per non soccombere nello strame: e lointerpreta da reazionario moralista qual è: «E quell’infa-me sorrise».

Questo testo è un estratto de “L’elogio di Franti”, trattoda “Il diario minimo” di Umberto Eco

Bambini in posa, 1932.August Sander / catalogoMotta editore

UMBERTO ECO

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

le storie / 2Nuove povertà

Ha 72 anni e per la prima volta ha rubato in un supermercato. Gli è andata bene, non come all’altro pensionato che a Firenze è stato sorpreso con un salamino in tasca ed è morto d’infarto. Due casi esemplari di un esercito di vecchi che rischiano umiliazioni e denunce per mettere in tavola il cibo che non riescono più a comprare

IBOLOGNA

talo Mengoli, 66 anni, fornaio inpensione, non ha dubbi. «Io aquelli che rubano, anche agli an-ziani, gli taglierei una mano la pri-

ma volta, l’altra mano la seconda…». Albar del Centro anziani Nello Frassinetti

si parla del pensionato che a Firenze si èpreso un infarto, dopo che era stato sor-preso a rubare un salamino. Si discutedei supermercati che dicono che i nonnisorpresi a rubare fra i loro scaffali sonosempre più numerosi. «Io a quelli che ru-bano…». «Ma ci sono anche quelli chehanno fame». «Rubare non si può mai.Mia nonna partiva a piedi dalla Pescaro-la e arrivava fino a Casalecchio per an-dare a chiedere in elemosina il pane vec-chio. Sette chilometri all’andata e setteal ritorno. Si vergognava a chiedere il pa-ne avanzato a quelli che la conoscevano.Ma rubare mai».

C’è un uomo col giubbotto che sta sul-l’uscio. Ha ascoltato gli altri e vuole dire lasua, ma non davanti a tutti. Meglio uscire,andare dall’altra parte della strada da-vanti al bar Katia. Si presenta, nome e co-gnome, età, ma prega di scrivere solo que-st’ultima. «Settantadue anni, e per la pri-ma volta, venti giorni fa, ho rubato al su-permercato. Otto mandarini, e sono an-cora qui che tremo». Dice che, in quel mo-mento, tutto gli è sembrato facile.«L’avevo visto fare dagli altri. Vai al repar-to frutta e verdura, dove ci si serve da soli.Ho guardato i mandarini ed era la primavolta, quest’anno, che li vedevo belli, luci-di, freschi. Ne ho messo sei o sette nel sac-chetto e poi li ho pesati. Basta toccare conil dito il disegno dei mandarini sulla bi-lancia ed esce lo scontrino. Poi mi sonoguardato intorno, ne ho presi altri quat-tro, e poi altri quattro, e li ho messi assie-me agli altri. Insomma, ne ho pagati sei osette, invece di una quindicina. Non avreiavuto abbastanza soldi. Quelli come mefanno la spesa con il biglietto e fanno iconti dopo ogni cosa messa nel carrello.Perché li ho presi? Ne avevo voglia e inquell’attimo ho pensato che un super-mercato non va in fallimento per unamanciata di mandarini. E poi mi sono det-to: hai lavorato tutta la vita — io facevo ilcommesso — e a 72 anni devi proprio pa-tire voglia di tutto?».

E’ arrivata dopo, la parte difficile. «Se-condo me la cassiera ha avuto un sospet-to, quando ha preso in mano il sacchettoper farlo passare davanti al lettore. Mi hadato un’occhiata che io quasi mi mettevoa tremare. Poi mi ha fatto lo scontrino peri mandarini, il latte, le uova, le fette bi-scottate. Ho pagato. Avevo i piedi dipiombo, mentre uscivo. Già sentivo unamano sulla spalla e uno che ti dice: «Scu-si, possiamo fare un controllo dello scon-trino?». L’ho vista tante volte, questa sce-na, e io mi sentivo male per loro, per quel-li che venivano beccati».

Si è messo a piovere, meglio entrare nelbar. «Soldi ce ne sono sempre meno. Conmia moglie arriviamo a 1.020 euro al me-se, e ci sono le spese che non puoi taglia-re: il riscaldamento, la luce, la pulizia del-le scale, l’acqua, la tassa sul pattume. De-vi vivere con quello che resta. E allora ta-gli qui e là e a tavola ti resta la voglia. Io peròadesso ho vergogna a tornare in quel su-permercato. Me lo sogno di notte: “Ecco ilsignor T., quello che ha fregato i mandari-ni”. Il giorno dopo il furto, al mattino allenove, ho sentito suonare il campanello.

no e ne aggiungono altre due o tre. Ma lenostre cassiere sono molto brave, e spes-so riescono a scoprire, pesando con lemani, la truffa. Un reparto frequentato èanche la rosticceria. Molto gradite le olivefritte all’ascolana. Le prendono ancoracalde, le mangiano di nascosto e lascianola confezione vuota fra i detersivi o i sac-chetti di pasta».

Il supermercato è, da anni, la nuovapiazza dei vecchi. «Abbiamo l’aria condi-zionata in estate e caldo in inverno, e ci so-no gli assaggi. Ogni mattina ci sono la dit-ta che offre il caffè e le hostess che prepa-rano i tavolini con fette di salame e di for-maggi. Insomma, si può fare colazionegratis. E poi ci sono i giornali in vendita.C’è chi ne prende uno, lo legge e lo ripone.Se ora gli anziani si sono messi a rubare,vuol dire che sono messi proprio male.Noi potremmo trovare chi ruba anchesenza le telecamere. Basta mettersi ac-canto alle file per le casse: l’anziano che haqualche cosa nascosta suda e trema, co-me se aspettasse il colpo di grazia».

«Possiamo fare il controllo dello scon-trino?», è la frase di rito. «I nostri addettisono giovani e senza divisa. Ci sono anchedelle ragazze. Le guardie giurate ci sono,hanno la divisa, ma restano a distanza. In-nanzitutto aspettiamo che l’anziano si al-lontani dalla cassa, per non coinvolgerealtre persone in un’eventuale discussio-ne. Può seguirmi in infermeria? Usiamoquesto locale perché è vicino alle casse, epoi chi magari ci osserva pensa che la per-sona che accompagniamo non si sentabene. «Per caso, non ha dimenticato unpezzo di emmenthal nella tasca? Per laprecisione, nella tasca destra?». Ma appe-na ci vedono gli anziani hanno già capitotutto. C’è chi piange, sulla seggiola del-l’infermeria. E quasi tutti ci dicono: «E’ laprima volta, non so cosa mi sia successo,ho perso la testa».

Un anziano appena ha visto l’addettoalla sicurezza è tornato di corsa verso gliscaffali, si è messo a sistemare al loro po-sto le cose che aveva in tasca e poi ha det-to che lui non aveva fatto niente. Parlavadi un vecchio che aveva rubato delle cosecome fosse un’altra persona. Qualcunocerca di spiegare. La signora trovata conun chilo di carne ci ha detto che aveva unapensione di 380 euro e che provassimonoi a vivere con quella cifra. L’altra rac-conta la storia del figlio malato e forse è ve-ra. Noi non denunciamo gli anziani. Sevogliono la merce rubata, debbono pa-garla, ma possono anche decidere di la-sciarla sul tavolo dell’infermeria. Quandovediamo che davvero c’è disperazione,spieghiamo che l’iper Conad ha a dispo-sizione merce vicina alla scadenza cheviene data in beneficenza. Anche loropossono approfittarne».

I ladri che preoccupano sono altri, co-me le «tante signore Maria che non ruba-no per bisogno ma perché ci hanno pro-vato una volta ed è andata bene, e adessonascondono qualcosa ogni volta che ven-gono a fare la spesa». Ci sono poi i profes-sionisti. Nella stanza dei video c’è unoscontrino lungo mezzo metro. «Lo abbia-mo tenuto per ricordo. Abbiamo preso unuomo che era uscito di corsa con carrellopieno attraverso una cassa chiusa. Abbia-mo fatto il conto della merce rubata: 1.567euro. Ci sono i ladri che riescono a infila-re nel body pile per 600 euro e poi le riven-dono ai tabaccai». Su un video appare unanziano che gira la testa a destra e a sini-stra poi infila qualcosa nella tasca destradella giacca. Forse un altro “signor T.”, dastanotte, farà fatica a prendere sonno.

Ho pensato subito: sono arrivati i carabi-nieri. Invece era il postino con una racco-mandata. Per otto mandarini, anche do-po tre settimane, faccio ancora fatica aprendere sonno».

Non è lontano, l’ipermercato LeclercConad, dove il signor T. ha commesso ilprimo furto della sua vita. Dieci minuti apiedi, e c’è anche l’autobus. Una città inperiferia, già piena delle luci di Natale.«Negli ultimi due anni, e soprattutto inquesti ultimi mesi — dicono il direttoreStefano Cavagna e Marco Babbini, ex uf-ficiale dei carabinieri ora manager dei ser-vizi, sicurezza compresa — sono aumen-tati in modo impressionante i furti com-messi dagli anziani. Vengono a rubaresoltanto cose da mangiare, per un valoredi cinque, dieci, massimo quindici euro.Se fino a due anni fa i furti degli anzianierano dieci, ora sono almeno venticin-que. Insomma, sono più che raddoppia-ti. Noi cerchiamo di agire con delicatezzae riservatezza. Immagini il nostro imba-razzo quando dobbiamo fermare unnonno e chiedergli se “per caso” non ab-bia in borsa qualcosa che si è dimenticatodi pagare».

L’uomo che ogni giorno, per ore ed ore,diventa l’“occhio” che controlla tutto l’i-per si chiama Massimiliano Marino, 28anni, responsabile sicurezza. Davanti al-la scrivania un’intera parete di monitor a

colori, collegati a telecamere che possonoruotare di 360 gradi e fare lo zoom su ogniparticolare. «Ecco, guardi, posso vederecosa si mette in tasca quell’uomo nel set-tore formaggi. Quelli che rubano si muo-vono quasi tutti nello stesso modo: siguardano a destra e a sinistra, sollevano latesta per vedere se c’è qualche telecame-ra… Ogni giorno ne succedono di tutti icolori». C’è la signora che osserva a lungola confezione di macinato di bovino adul-to a 4,80 euro al chilo per fare le polpette.«E’ successo l’altro giorno. Una donna an-ziana, quando ha creduto di non essere vi-sta ha tolto il macinato dalla confezione el’ha messo nella borsetta. Pensavamo chedentro avesse un contenitore». Appenasuperata la cassa, la donna viene fermata.«Signora, sono un addetto alla sicurezza.Potrebbe seguirmi? Ha aperto la borsa edentro non c’era nulla. E’ stata lei stessa afarci vedere dove aveva nascosto il maci-nato: dentro al borsellino, così, senza nes-suna protezione. Un’altra signora avevaficcato tre fettine dentro la borsa, fra il pet-tine e il fazzoletto».

Piccoli furti per portare a casa l’indi-spensabile. «Gli anziani rubano lo strac-chino, una vaschetta di prosciutto che in-filano nella giacca, piccoli pezzi di for-maggio. E poi — non solo loro — si dannoda fare con la frutta e la verdura. Prendo-no tre mele, le pesano e fanno lo scontri-

Il 18,5% della popolazione inItalia è povera o a rischiopovertà. In particolare,rispetto al 2002, è aumentatala percentuale di famigliepovere tra le coppie over 65,che si attesta al 9,3%

18,5%

Nonno T, ladrodi otto mandarini

JENNER MELETTI

‘‘il truccoHo visto quei frutti: belli,

lucidi, freschi. Ne homessi un po’ nel

sacchetto, li ho pesatiPoi ne ho aggiunti altri

‘‘la vogliaIn quell’attimo ho

pensato: hai lavoratotutta la vita e adesso

devi propriopatire voglia di tutto?

‘‘la vergognaOra provo vergogna, me

lo sogno di notte chein quel supermercato miadditano: ecco quello che

ha fregato i mandarini

Nel 2004, in Europa, leperdite per furti nei

supermercati sono state di32.999 milioni di euro, pari

all’1,34% del fatturato.L’Italia con l’1,36% è

seconda, dopo la Danimarca

1,36%

FOTO ALESSANDRO COSMELLI/CONTRASTO

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il raccontoBoom italiano

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Il nuovo prodottoserve per fare tutto:stoviglie,componenti perle auto, bacinelleper l’acquaio egiocattoli. E colorala vita degli italiani

Moplen,i nostri anni di plasticaEDMONDO BERSELLI

cristiana ma “pettegola” rispetto aglistandard coevi, del Giorno voluto daEnrico Mattei per l’Eni, il persuasorenon troppo occulto, con Valletta, del-l’apertura a sinistra. La stessa grandeindustria fordista, che aveva mutuatodall’America la tempistica e i metodidella produzione di massa, così comeil rock e i primi supermercati self-ser-vice, aveva compreso che il proprio fu-turo dipendeva dalla possibilità di in-tegrare la classe operaia nei circuitidell’economia avanzata.

D’altronde, che il cambiamento fos-se vertiginoso, lo si era capito: primadello scoccare del 1960 il Financial Ti-mes aveva assegnato alla lira l’Oscardelle monete; e venti mesi di crescitafuribonda, con tassi di crescita intornoal sette per cento, avevano spinto ilDaily Mail a scrivere che l’efficienza ela prosperità del sistema produttivoitaliano costituivano «un miracoloeconomico».

Era scoppiato il boom, sull’eco urla-ta di Volare e l’entusiasmo per la sco-perta del petrolio in Sicilia da partedell’Eni; era esploso il miracolo identi-ficato dal Sorpasso di Dino Risi e dallapoetica dell’alienazione, malattia deiricchi, oltre che dall’immigrazione,malattia dei poveri. Sulla scorta della

dei primi esemplari delle utilitarie, do-po investimenti altissimi nella produ-zione (300 miliardi per le linee dellaSeicento). Perché anche la Fiat non erasoltanto la grande azienda in grado diprodurre il caccia tattico leggero G.91,adottato da diversi membri dalla Nato:era l’industria totale, l’industria em-blema, a partire da Mirafiori, la «fab-brica delle fabbriche» nella definizio-ne dello storico torinese GiuseppeBerta: dalle linee di montaggio dellaFiat sarebbe uscita una fiumana di“piccole”, le auto della ripresa econo-mica, le Seicento e le Cinquecento, an-ch’esse color plastica, con tinte squil-lanti e artificiali sulle strade spessonon ancora asfaltate del finale dei Cin-quanta. Plastica fuori e plastificatedentro, nei cruscotti, nelle poltronci-ne, nei tappetini, nei cagnolini chedondolavano la testa, nei primi gadgetsupplementari del narcisismo auto-mobilistico italiano.

Proprio per questo, per governareuna società che scopriva il consumo,occorreva una politica capace di inter-pretare il cambiamento, la nuova mo-bilità, quel primo benessere che co-minciava a diffondersi nelle città, nel-le periferie, nelle campagne. Ci voleval’informazione, argutamente demo-

grande sociologia americana, dei Par-sons, dei Merton, dei Riesman, gli in-tellettuali raccolti da Adriano Olivettinel cenacolo industrialista di “Comu-nità” tentavano di pensare a una qua-lità diversa della politica: suggestioni eillusioni del neocapitalismo induce-vano a considerare la forza lavoro inmodo non deterministico, non solomanodopera, bensì un soggetto socio-economico che doveva essere in gradodi partecipare alla grande festa deiconsumi evoluti, moderni. Quel sog-getto doveva poter comprare la televi-sione ed essere in grado di apprezzarelo stile della pubblicità. Nei convegnidegli Amici del “Mondo” e degli intel-lettuali di “Comunità” si parlava sem-pre più spesso del neocapitalismo co-me orizzonte simpatetico con un oriz-zonte schumpeteriano, impresa e so-cialdemocrazia, industria e welfare.

Da questo punto di vista, il Moplen èun prodotto perfetto. Serve per faretutto, stoviglie e giocattoli, compo-nentistica per le automobili, bacinelleper l’acquaio, in case che avevano ma-gari appena ricevuto l’acqua corrente.In un televisore dallo chassis di plasti-ca, sarebbe apparso a Carosello lo sket-ch “Quando la moglie non c’è”, sce-neggiato da Leo Chiosso, l’originalescrittore-paroliere di Fred Buscaglio-ne (insieme hanno scritto Che bambo-la, 980 mila copie vendute): Gino Bra-mieri rimane solo in casa, perché lamoglie è un architetto impegnato nel-la sua professione. Eh sì, in attesa delcentrosinistra si modificano ancheruoli tradizionalmente immutabili co-me il lavoro delle donne. Sicché al ca-salingo Bramieri non rimane che ar-rangiarsi, e risolvere i problemi dome-stici all’insegna dello slogan «E mo’ emo’ e mo’… Moplen!» (in versioni suc-cessive, lo slogan diventa «Ma signorabadi ben / che sia fatto di Moplen»).

Un simile universo cognitivo, la ga-lassia in espansione di informazione,pubblicità, spettacolo e intratteni-mento collettivo, aveva bisogno di unapolitica adeguata. La contrapposizio-ne fra il pianeta dc con i suoi satelliti, ele sinistre, i “socialcomunisti”, non erapiù in grado di rappresentare i nuovirapporti di classe. Le famiglie andava-no in vacanza, la riviera si affollava, na-sceva il weekend, sperimentato per laprima volta nel 1957 con la settimanalavorativa di 45 ore alla Olivetti. Stava-no finendo gli anni d’acciaio e di ghisa,modellati dalla contrapposizione rigi-da fra lavoro e capitale. Adesso tuttodiventava più fluido, «trasparente eflessibile» come le pellicole di Natta.

Nel regno della plastica, avremmovisto di lì a poco i primi giochi “globa-li”, come l’hula hoop e lo scubidù. Ri-suonavano ancora le canzoni, questesì davvero di plastica, della Mina feno-menologica, amorale, oggettuale:«Tintarella di luna, tintarella color lat-te… », «Una zebra a pois, fotunato chice l’ha… ». Nella politica italiana, sa-rebbe nato l’esperimento del centrosi-nistra di Moro, Fanfani e Nenni, checon alcune variazioni avrebbe retto lesorti del Paese per quasi quattro de-cenni, anche se con un consenso de-clinante e una carica riformista esauri-tasi prima del Sessantotto. Ma perqualcuno dei ragazzi cresciuti nellestrade degli anni Cinquanta, il miraco-lo, lo sviluppo, il progresso avrannosempre la tinta artificiale delle Cin-quecento e la trasparenza di una baci-nella colorata, un Moplen capace di fardiventare rosa shocking o ultracelesteil colore dell’Italia.

Il numero di granelli in polipropileneprodotti in un secondo da Basell

15 milioni

Il fatturato annuo di Basell lasocietà “erede” della Montecatini

5,7 miliardi di €

Le tonnellate di polipropileneprodotte nel mondo nel 2002

38 milioni

Le tonnellate di polipropileneprodotte nel 1958 a Ferrara

10mila

LA STORIA

IL MOPLEN

La data di “nascita” delpolipropilene, quello chesarebbe stato chiamato inseguito Moplen è l’11 marzodel 1954. Giulio Natta, futuropremio Nobel per la chimica (nel1963) scrive sulla sua agenda:«Fatto il polipropilene». Lascoperta, avvenuta nellaboratorio di chimicaindustriale del Politecnico diMilano fu possibile grazieai finanziamenti della Montecatiniguidata da Piero Giustiniani,lungimirante managerappassionato della ricerca

LA BACHELITE

Nel 1909 il chimico belgaLeo Baekeland fa reagireil fenolo con la formaldeide.Nasce così la bachelite cheprende il nome dell’inventoree sarà un po’ la “nonna”della plastica. Con questomateriale scuro (simile allagommalacca e all’ebanite),resinoso, duro e dall’odorecaratteristico si produrrà di tuttodai telefoni ai bijoux, dai bottonialle radio fino alle cineprese. Nel 1910 negli Stati Uniti la nuovaresina sintetica veniva giàprodotta in serie

IL NYLON

Nel 1935 il chimico americanoWallace H.Carothers sintetizzail nylon nei laboratori della DuPont de Nemours & Co, diWilmington, nel Delaware. Leprime calze tessute con il nuovomateriale compaiono sulmercato americano nel 1940Il successo è travolgente:ingualcibile, resistente, in gradodi tenere l’umidità il nuovomateriale si affermaprepotentemente. Già nel 1938,il nylon aveva rimpiazzato i pelidi cinghiale degli spazzolinida denti

IL POLIETILENE

I primi 8 grammi di polietilenevengono prodotti nel marzo del1935 negli stabilimenti britannicidell’Ici. Nel dopoguerra lanuova plastica si dimostraestremamente versatile. Sonoin polietilene i sacchettidella spesa ma anche irivestimenti esterni di molti tubimetallici. Oggi il polietilene èmolto usato nell’industria degliimballaggi oltre che per icontenitori di shampoo e detersivi.Un’applicazione particolareriguarda i serbatoi dibenzina delle automobili

L’INVENTOREGiulio Natta mostra il modello dellamolecola del “suo” Moplen

Con il Moplen, il nomecommerciale del poli-propilene di Giulio Natta,cominciano in tutti i sen-si i nostri anni di plastica.Bentornati nel passato: ci

troviamo nel pieno degli anni Cin-quanta, decennio vituperato, domi-nato secondo la vulgata dal disprezzodemocristiano di Mario Scelba per il“culturame”. Ma sotto la cappa cleri-cale deplorata dagli intellettuali dipunta vicini al Pci e dai cineasti pro-gressisti, e dopo che Giulio Andreottiaveva criticato il neorealismo di De Si-ca e Zavattini perché i panni sporchi silavano in casa, bisogna anche provarea guardare sotto la superficie, osser-vando la società italiana con una buo-na lente.

Anni di plastica vuol dire una nazio-ne che ha imboccato la via verso la mo-dernizzazione. Un po’ a casaccio, mal’ha imboccata. All’inizio dei Cin-quanta, la pubblicità della Fiat mostrauna donna alla guida della Millecento.E il 1954, pur scontando tutto il grigio-re provinciale dell’Italietta del centri-smo, è un anno seminale, in cui co-minciano le trasmissioni televisive,nasce un programma come La dome-nica sportiva, viene realizzato il primosceneggiato (Il dottor Antonio, conVirna Lisi, destinata più tardi a diven-tare un’icona dell’Italia di Carosello,«con quella bocca può dire ciò chevuole»). E di un regista vicino al Pci co-me Luchino Visconti esce uno dei ca-polavori, il decadentissimo Senso,mentre Federico Fellini si impone conLa strada, Pier Paolo Pasolini pubblicaLa meglio gioventù, Moravia i Raccon-ti romani, e Einaudi traduce i Minimamoralia di Adorno.

Insomma, c’è una certa esuberanzamentale e psicologia, per essere unPaese che non aveva ancora compiutoil primo decennio dalla fine della guer-ra; e si rimane impressionati, soprat-tutto a pensare che il brevetto del poli-propilene nasceva dalla collaborazio-ne fra la ricerca e l’industria, e avrebbedato una spinta formidabile al cam-biamento delle abitudini quotidiane,non soltanto alla produzione indu-striale, creando di fatto i nuovi oggettidella vita comune, le nuove “cose del-la casa”.

Per dire, non c’è soltanto la nascitadella Giulietta 1300, la minibombadell’Alfa che raggiunge i 160 all’ora, c’èanche la Breda che commercializza laprima cucina componibile. Ci sono iprimi elettrodomestici bianchi. È ilmondo dei consumi che entra nellecase, modifica i comportamenti e so-prattutto altera le aspettative. È comese una pulsione sotterranea si facessesentire dentro una società compressa,mettendola in tensione e preparando-la alle straordinarie novità che si sa-rebbero manifestate poco più tardi:con la motorizzazione di massa, l’Au-tostrada del Sole e naturalmente MikeBongiorno. Già alla morte di Alcide DeGasperi, il 19 agosto di quell’anno ’54,l’equilibrio politico che aveva portatoil Paese fuori dal primo dopoguerraappariva esausto, sempre più visibil-mente incapace di rispondere alle esi-genze di una società che voleva risolle-vare la testa e respirare a pieni polmo-ni.

Nei semestri successivi, le stradedella penisola si sarebbero affollate

Poltrona gonfiabile anni ’60dal corredo iconografico

della mostra “Sintesi”; sopraun biliardino in Moplen

Nel corso del tempo il ricorsoal Moplen è stato semprepiù pervasivo. Nelle fotosiringhe e asciuga insalata

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È il 1954: Andreotti critica il neorealismo, Visconti e Fellini firmano i loro capolavori. C’è Mike Bongiornoin tv, la Giulietta 1300 che sfreccia sulle autostradeUn’invenzione dal nome difficile, polipropilene, diventa il simbolo di un Paese in movimento: sospeso tra la povertà del passato e la voglia di futuro

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Giovedì 11 marzo 1954, Politecnico di Milano. Il futu-ro premio Nobel per la chimica Giulio Natta scrivedue parole sulla sua agenda: «Fatto il polipropilene».Eccolo, dunque, l’atto di nascita di quello che in se-

guito si sarebbe chiamato Moplen, la plastica più versatile eresistente mai fabbricata fino ad allora. Un prodotto che inseguito avrebbe cambiato le nostre vite diventando scolapa-sta, valigia, plancia di automobile, cima per i traghetti, châs-sis di computer. Ma anche il risultato di un incontro straordi-nariamente fecondo, quello fra il Politecnico di Natta e laMontecatini guidata da Pietro Giustiniani, un manager lun-gimirante che aveva generosamente finanziato la ricerca la-sciando carta bianca allo scienziato.

Ce n’è abbastanza, quindi, per comprendere la sceltadel Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo DaVinci che dal 16 dicembre, a cinquant’anni dalla nascitadel Moplen, ha in programma la mostra «Sintesi, GiulioNatta e le materie plastiche». Anche perché Natta, oltrea essere l’unico premio Nobel italiano per la chimica èstato uno studioso di grande sapienza e formidabile in-tuito. Fu lui, Natta, a suggerire a Giustiniani di indirizza-re la ricerca sui polimeri, piccole molecole che in parti-colari condizioni di temperatura e pressione si unisco-no fra loro formando delle ma-cromolecole. E fu sempre lui,forte di una rara specializza-zione in cristallografia, studia-ta già negli anni ’20 con i raggiX, a capire per primo l’impor-tanza della cristallinità in chi-mica. E così quando nel ’54vennero sintetizzati al Politec-nico i primi polimeri stereore-golari, cioè con una disposi-zione tridimensionale ordina-ta e altamente cristallina necapì al volo l’importanza. Eranato il polipropilene «capacedi essere convertito», scrisse loscienziato, «in fibre di grandetenacia e in pellicole traspa-renti e flessibili».

All’avventura scientifica eintellettuale seguì un’epopeaindustriale senza eguali nellastoria del nostro Paese. Per laprima e forse unica volta, se si esclude l’Olivetti di Adria-no, l’Italia fu all’avanguardia mondiale in una tecnolo-gia innovativa. Il Moplen avrebbe sostituito in centinaiadi applicazioni il legno, il vetro, l’acciaio, la bachelite.Nel dicembre del ’57, con un tempismo incredibile ven-ne inaugurato a Ferrara il primo impianto per la produ-zione del polipropilene. E l’anno successivo venneroprodotte le prime 10 mila tonnellate di Moplen.

Il resto di questa storia è un po’ malinconico. Da unaparte il Moplen si è affermato in tutto il mondo con unaserie di prodotti che hanno cambiato la nostra vita quo-tidiana. Nel 2002, infatti, sono state prodotte in tutto ilmondo 38 milioni di tonnellate di polipropilene che di-venteranno 61 milioni nel 2010. Dall’altra, invece, laMontecatini poi Montedison, poi Himont ha seguito leperipezie della grande chimica italiana che aveva buoniprodotti, ottima tecnologia e manager inadeguati, buo-ni solo a dilapidare un grande patrimonio industriale.

Eppure l’eredità di Giulio Natta è ancora viva. Oggi ilmarchio Moplen è di proprietà della Basell, societàcontrollata da Shell e Basf. La stessa Basell che ha ere-ditato gli stabilimenti ex Montecatini. Ed è sempre aFerrara, nello stesso impianto dove fu prodotto per laprima volta il Moplen che è stato sintetizzato il Catal-loy, la plastica del futuro, più flessibile e resistente del-lo stesso Moplen.

GIORGIO LONARDI

L’intuizionein laboratorioe fu il Nobel

L’impianto Basell diBrindisi, uno dei tre sitiprodutttivi del gruppoin Italia assieme a quellidi Terni e Ferrara

LA CELLULOIDE

È il 1870 quando i fratelli Hyatt,due stampatori dello Stato diNew York, vincono un concorsoper rimpiazzare l’utilizzodell’avorio nella fabbricazionedelle palle da biliardo. Debuttacosì la prima materia plastica,il nitrato di cellulosa o celluloideGià nel corso dei primi anni simoltiplicano i prodotti incelluloide: tasti per pianoforte,dentiere, stecche per le camicieNel 1989, invece, GeorgeEastman, fondatore dellasocietà Kodak, lancia la primapellicola flessibile in celluloide

Gino BramieriSignora guardi ben

che sia fatto di mo-mo-mo-moplen!

Da CAROSELLO

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i luoghiNostalgia e tradizione

Nella città dove per mezzo secolo il consumismocapitalista e l’ateismo realsocialista si sonocombattuti da vetrine contrapposte torna il piacere antico della festa tedesca. Viaggio nei posti e negli appuntamenti che possono farvirivivere i colori e i sapori della vecchia Prussia

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

LBERLINO

la festa è nell’aria. Riscaldai cuori in un dicembre giàsottozero, contagia conodori e umori di tradizioni

antiche. Odori di buoni dolciumi conmandorle e cannella, o di Gluehwein,il vino caldo aromatizzato. L’ansiosaattesa dei regali e del calore familiare.Quest’anno più che mai, tornano nel-la Berlino riunificata tradizioni, riti ecostumi del vecchio Natale prussiano.La città che è passata attraverso la mi-seria di massa di Weimar e il consumi-smo made in Usa, che ha subìto Hitlere il Muro, la città dove capitalismo al-l’americana e comunismo stalinista sifronteggiavano come in nessun altroluogo imponendo i loro stili come invetrine concorrenti — da un lato la re-torica realsocialista e atea, dall’altro lafebbre del consumo e del kitsch — siriappropria della sua festa. La città de-gli angeli di Wim Wenders quasi offreuno spunto in più a chi vuol scoprirla.Non più solo la sua vita culturale spu-

religioso della Polonia o dell’Unghe-ria. Eppure la gente festeggiava il Na-tale alla cara vecchia maniera». Se idolci finivano nei magazzini di Stato enei negozi in valuta, le famiglie li infor-navano volentieri a casa. Nei rari casiin cui l’oca, il cavolo rosso e gli gnocchidi patate, gli ingredienti tradizionalidel buon pranzo natalizio prussiano,mancavano nei negozi, li fornivanosottobanco i contadini delle fattoriecollettive. Nessuna propaganda ateaha mai cancellato le usanze. Come ipittoreschi giocattoli e soprammobiliin legno turingiani, dalle piramidi conl’elica che scaldata dalle candele simuove e le fa girare ai Raeucher-maennchen, gli omini-braciere per lecandelette d’incenso.

L’albero è nato in Germania

«Un paradosso apparente: in fondol’albero di Natale è nato in Germania»,nota Schneider. «Il consumismo occi-dentale si è adattato alla sfida del Nata-le berlinese, il comunismo si arrese do-po tentativi patetici. Cercò d’importa-re il “Nonno gelo” russo al posto di Bab-bo Natale, lo affiancò a un giovanottoalato simile agli operai forzuti dell’arte

realsocialista, surrogato del bianco an-gelo che qui accompagna Babbo Nata-le a distribuire i regali». Un angelo chequasi ricorda gli angeli del Cielo sopraBerlino di Wim Wenders.

Il Muro è caduto, il Natale si è ripresoi suoi luoghi nello splendido centroprussiano di Berlino est, cuore anticodella città. Mercatini, le note di StilleNacht o di White Christmas e addobbitradizionali abbondano dalla neoclas-sica piazza di Gendarmenmarkt fino aicortili Jugendstil degli Hackesche Hoe-fe o all’avveniristica Potsdamer Platz diRenzo Piano. Anche negli angoli delloshopping più lussuoso, dallo splendi-do Kurfuerstendamm che a ovest evo-ca i boulevard parigini fino a Fredrich-strasse a est, tornata allo splendore del-la Belle époque in chiave postmoderna,l’atmosfera natalizia qui è rimasta di-versa. Si coglie nella cortesia e nella len-tezza ritrovata delle conversazioni dauna boutique all’altra. Del buon tempoantico, sulla maestosa Gendarmen-markt dove gli ufficiali prussiani giura-vano fedeltà al Kaiser e poi festeggiava-no da Lutter und Wegner, su questapiazza che Hitler scempiò piantandoviridicoli orti di guerra, sono tornate an-

meggiante, né unicamente shopping ealberghi a buon mercato in barba airincari da euro, ma, quest’anno piùche mai, l’atmosfera dell’Avvento. Ilcaro Natale prussiano vecchio stile ri-trovato.

Undici mesi d’attesa

«Valeva la pena di aspettare undicilunghi mesi, il Natale sta tornando», èil motto dei Weihnachtsmaerkte, i vi-vaci mercatini di Natale. La tradizioneè antica e radicata quanto la Prussia ri-gorosa e illuminista: risale al Settecen-to. Da allora, ogni quartiere vanta al-meno un mercatino natalizio, vistoche i Bezirke di Berlino sono rimastigelosi della loro identità più degli ar-rondissements di Parigi. Sulla Piazzadel “municipio rosso” a Est, poco lon-tano dalla Alexanderplatz narrata dal-le pagine di Alfred Doeblin o SebastianHaffner, e sotto la Gedaechtniskirchea ovest, a un passo da dove comincia ilKurfuerstendamm, sono i due merca-ti più grandi e affollati. Pfefferkuchen(biscotti aromatici) e vino caldo, zuc-chero filato, mele fritte candite, salsic-ce roventi vengono offerti dai chioschiin legno ornati di rami d’abete. Giostre

e clown, teatrini e musica dal vivo illu-minano di sorrisi i volti dei bambini, leguance rosse per la gioia e il freddo. Imercatini dell’est e dell’Ovest sem-brano quasi farsi concorrenza affet-tuosa. Quindici anni, da quanti è ca-duto il Muro, sono ancora pochi nellamemoria collettiva.

«Il Natale per noi berlinesi è un po’quello che il Thanksgiving rappresentaper gli americani», mi spiega lo scritto-re Peter Schneider. «A casa mia siamorigorosamente atei, ma finché i figlinon sono cresciuti lo abbiamo celebra-to regolarmente. È una festa della fami-glia e dei suoi sentimenti, e il suo spiri-to ha saputo resistere al comunismocome al capitalismo». A Berlino Ovest,spiega ancora Schneider, lo spirito te-desco del momento degli affetti ha te-nuto testa al Kaufrausch, alla fastidiosae contagiosa febbre consumista.

Ma ancor più netta, egli nota, è statala vittoria del Natale sul comunismo,proprio qui nella città del Muro dellaVergogna. Schneider sorride ricor-dando gli anni della guerra fredda.«Era un paradosso apparente: la Ddr èstata forse la società più atea d’Euro-pa, uno Stato infinitamente più anti-

Ho visto Berlino per la prima volta nella primavera del1962. Ci passammo una settimana con la mia classe diliceo. Era appena pochi mesi prima che venisse costrui-to il Muro. Berlino era ancora un avamposto dell’Occi-dente in piena Guerra fredda. Ne fui molto impressio-nato. Più tardi, ho fondato là la mia compagnia di pro-duzione, Road Movies. Era il 1976. Non ho mai vissuto aBerlino, tuttavia, fino al 1984, quando tornai dopo setteanni vissuti negli Stati Uniti. Fu in quel momento chescelsi davvero Berlino, come l’unico posto d’Europa do-ve volevo vivere. Ci sono rimasto 12 anni, e ci ho giratotre film: Il cielo sopra Berlino, Così lontano, così vicino eI fratelli Skladanowski. Dapprima, mi colpì quanto fos-se strana, Berlino, quando tornai, quasi da straniero, do-po i miei anni americani. Mi trovavo a vagabondare per

settimane: e tutto quello che volevo era raccontare la storia di questacittà. Non avevo una storia, né attori. Sapevo soltanto che la città vo-leva essere raccontata. Nel suo presente, e dalla sua “ora zero”, chenella mia mente era nella primavera del 1945. Questo desiderio di sca-vare nel profondo dentro la città divenne Il cielo sopra Berlino.

Quando c’era ancora il Muro. Berlino, quando c’era ancora il Mu-ro. In quel periodo, se ci stavi troppo a lungo, potevi avere una certasensazione di claustrofobia. Ma, in quegli anni, Berlino era anche un

WIM WENDERS

Gli angeli del Natale sopra BerlinoANDREA TARQUINI

La mia città da film

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

che le carrozze coi campanellini. Ad-dobbate a festa offrono giri da un mer-catino all’altro. Il grande Duomo lute-rano e Sant’Edvige sono tornati luoghidi devozione, come la Gedaechtniskir-che della “City-West”.

«Da bambino, prima della guerra,vivevo a Dahlem, il bel quartiere di vil-le dell’Ovest», ricorda lo storico Joa-chim Fest. «Rammento le passeggiateal mercatino di Natale dell’Est, attor-no al Palazzo degli Hohenzollern e alDuomo. Ho ancora nel cuore quei Na-tali come i più belli della mia vita. Erauna festa per la sola famiglia, gli amicis’invitavano soltanto se erano rimastisoli. A ogni domenica d’Avvento s’ac-cendeva una delle quattro candelinedello Adventskranz, la ghirlanda di ra-mi d’abete. Ricordo l’ansia di noi bam-bini il 24. Si andava a messa, tutti comeuna grande famiglia italiana d’un tem-po. I più ricchi esibivano splendidipresepi napoletani importati. Poi tor-navamo a casa, intonavamo un cantodi Natale, ascoltavamo lo Hallelujahdel Messia di Haendel o il Weihnacht-soratorium di Bach. Un’attesa sner-vante per noi piccoli, prima di riceve-re i regali. Ecco, questa da noi è rima-

sta l’essenza del Natale: un clima diemozione quasi religiosa mossa dalcalore degli affetti». Una festa della fa-miglia cui Theodor Fontane, l’autoredi Effi Briest, dedicò prosa e versi, e chei nazisti non amarono mai. «I miei», ri-prende Fest, «sono morti da tempo, hoereditato da papà il dubbio privilegiodel ruolo di anziano di famiglia. E no-to che i bimbi, i miei nipoti, sono i piùconservatori, i più legati alle tradizio-ni come eravamo noi: guai se le cande-le non sono rosse».

Il palazzo imperialeIl Palazzo imperiale degli Hohenzol-lern, che fu il Buckingham Palace berli-nese, non esiste più. Sopravvisse allaguerra ma non alla scelta dei comunistidi demolirlo quale «simbolo delle clas-si sfruttatrici». I ricordi vivi di Fest ce lorievocano insieme a cronache lontane.Le Weihnachtswanderungen, passeg-giate di Natale, che Ludwig Rellstab,patriota liberale e giornalista più popo-lare del suo tempo, fece e raccontò peri suoi lettori sull’illustre, impegnataVossische Zeitung ogni anno tra il 1826e il 1859. «Vedo la gioia dei bambini po-veri infreddoliti al mercatino. Il cielo

sopra Berlino è grigio e invernale, maquesta festa ci porta nell’animo un ven-to di primavera», scriveva Rellstab. De-scriveva anche la voglia di spendere«dei ricchi felici di sapersi dire in ingle-se “we will go shopping today”». Elo-giava le pasticcerie del quartiere ebrai-co, come oggi Barcomi’s a Sophien-strasse, il preferito dai vip. E confessa-va come soccombeva al fascino dellevenditrici più giovani e carine.

Durante la guerra freddaLa memoria natalizia di Berlino sem-pre scettica verso valori, ordine e strut-ture è anche riscoperta dell’etica cri-stiana. Come per Volker Schloendorff,il cui film Il nono giorno, storia di unprete deportato in un Lager che rifiutadi collaborare con la Gestapo, è il suc-cesso del momento. È memoria di unacittà che ha sofferto. La giornalista Ro-semarie Koehler ha appena raccolto in-sieme ad amici dell’Est ritrovati i ricor-di dei Natali della guerra fredda, dal1945 al 1989. Rievoca il 1945, quando leragazze in chiesa si chiedevano «se lavita sarebbe sempre stata così cupa, inuna città distrutta con solo vecchi omutilati di guerra come uomini». O l’in-

verno del Ponte aereo alleato che salvòBerlino Ovest dalla fame dell’assedioordinato da Stalin. Atterrando a Tem-pelhof nelle bufere di neve, i piloti ame-ricani portavano dolci natalizi a quin-tali ai bimbi tedeschi. O il Natale 1961,quando i berlinesi dell’Ovest acceserocentinaia di alberi di Natale a un passodal Muro appena costruito quale salu-to ai fratelli separati, e i G. I. del genera-le Clay risposero alle bandiere sovieti-che issando un Christmastree sulCheckpoint Charlie, il più noto posto dipassaggio.

Il Natale di Berlino è anche tornato,come ai tempi delle cronache prussia-ne di Herr Rellstab, voglia di caloreumano, caccia alla gioia per lenire il do-lore della solitudine metropolitana. Imedia ce la mettono tutta. La radio Ber-liner Rundfunk racconta ogni giornoun caso disperato: un povero disoccu-pato turco, una ragazza madre abban-donata. Chiede aiuto agli ascoltatori. IlTagesspiegel, quotidiano liberal pove-ro ma autorevole, dedica pagine interealle sue collette. Per i malati di Aids, peri bimbi colpiti dal cancro, per i barboni,tutti quei berlinesi per cui questo Nata-le potrebbe essere l’ultimo.

posto di straordinarie opportunità, una delle poche città dove potevifare colazione 24 ore su 24, con musica interessante dappertutto, tut-ta la notte, scrittori, artisti, musicisti che arrivavano da tutto il mondoa vivere lì, attratti da quella pazza e selvaggia isola di creatività che eraBerlino a metà degli anni Ottanta. Io amavo tutto questo. Berlino è sta-ta a lungo la mia città preferita nel pianeta.

Berlino Est. Per me Berlino Est era la Germania. L’idea di Germa-nia. C’era qualcosa che avvertivo a livello epidermico, molto più aBerlino Est che a Berlino Ovest. Berlino Est era come un viaggio a ri-troso nell’infanzia, un viaggio verso la Germania. Là, l’influenza rus-sa non si era radicata come da noi il modello americano. I volti, gli at-teggiamenti, i gesti ed il modo di vestire: era la Germania dell’infan-zia più remota, del cinema tedesco degli anni Venti. All’Ovest nonesisteva già più, ma a Berlino Est l’avevo ritrovata: era quella la Ger-mania. Ne sono stato profondamente toccato, perché mi sono ac-corto dell’esistenza di qualcosa che avevo respinto, sentendomi cit-tadino del mondo.

Quando il Muro è caduto. Quando il Muro è caduto, nel 1989, stavogirando Fino alla fine del mondo, nel posto più lontano che si potesseimmaginare: in una località chiamata Turkey Creek, in Australia occi-dentale. Davvero lontano. Nessuna comunicazione col mondo, né ra-dio, né televisione. Era prima dell’era del telefono cellulare, o satelli-tare. L’unico posto con un fax, per centinaia di chilometri, era una dro-

gheria. Mi mandarono foto di Berlino, via fax, e arrivarono completa-mente annerite. Si poteva solo vagamente intuire che cosa mostras-sero. Sembravano persone che ballavano sul Muro, ma non potevo es-sere sicuro. E ricevemmo queste immagini con un ritardo di un gior-no o due. Le ho osservate a lungo, quelle immagini, con le lacrime agliocchi; avevo nostalgia, cosa che non mi capita spesso.

I luoghi che amo. I luoghi di Berlino che amo di più sono Potsda-mer Platz, prima e dopo la ricostruzione. Il vecchio quartiere ebrai-co, il cosiddetto “Scheunenviertel”. I laghi. Il mio mezzo di traspor-to preferito a Berlino è la S-Bahn, che per lunghi tratti corre allo sco-perto. Ma non ho mai considerato l’idea di girare un film intero sul-la S-Bahn. Il mio primissimo film, quello che feci per il diploma al-la scuola di cinema, si chiamava Summer in the City e aveva una lun-ga sequenza sulla S-Bahn. Ma io sono più legato ai road movies,dopo tutto, e la S-Bahn così come la U-Bahn ti porta sempre indie-tro allo stesso posto...

Perché Berlino è speciale. La cosa più speciale di Berlino sono sem-pre stati i berlinesi, con il loro senso dell’umorismo, i loro giochi di pa-role, il loro punto di vista sulle cose. In questo momento, Berlino è unacittà così interessante perché si reinventa di continuo. Per un certo pe-riodo, ho anche pensato che era diventata una città odiosa. Cattive vi-brazioni, sia in quello che era l’Est che in quello che era l’Ovest. Sia l’u-no che l’altro non accettavano di non essere più quello che erano sta-

ti. Quando Berlino ha iniziato a superare questa epoca di malumori,di delusione, è diventata di nuovo una città vibrante.

La biblioteca degli angeli. L’ultimo capitolo del tuo romanzo èambientato nella Staatsbibliotek, quella che avevo scelto come lo-cation del Cielo sopra Berlino. Quando stavo cercando una casa peri miei angeli custodi, da qualche parte a Berlino, durante la prepara-zione del film, avevo pensato a una chiesa — come la Gedächtni-skirche — o alla porta di Brandeburgo: che all’epoca, però, era an-cora al di là della Cortina di ferro. Alla fine ho pensato che in quel me-raviglioso edificio pieno di libri e di tutto il sapere umano gli angelisi sarebbero trovati proprio bene. E loro che ascoltavano i pensieridelle persone, lì avrebbero ascoltato semplicemente le parole di tut-ti quei libri, che venivano letti in silenzio. L’edificio è davvero fattoper la lettura, con un profondo rispetto per i lettori. L’architetto do-veva avere un vero amore per i libri.

Oggi. E oggi? Di chi, a Berlino, vorrei raccontare la storia in un film?Mi piacerebbe raccontare le storie di vecchi ebrei che tornano qui do-po 70 anni. O di calciatori africani che giocano in una delle squadre lo-cali. O di turchi comunisti. O di giovani neo-nazi. Oppure, farei un filmsul guidatore di una metropolitana, una S-Bahn.

Questo testo è parte dell’introduzione di Wim Wenders al libro “Ber-liner blues” di Giovanni Bogani in uscita per Edimond editore

I VECCHI BIGLIETTI DI AUGURIQueste cartoline natalizie usate per gliscambi di auguri appartengono allatradizione popolare tedesca eaustrungarica a cavallo tra fine ‘800e i primi anni del ‘900

“È il giorno dellafamiglia e dei suoisentimenti e il suospirito ha saputoresistere negli annisia alla febbre degliacquisti, sia alleipocrisie del modellocomunista”,racconta lo scrittorePeter Schneider

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Ha 44 anni, è nato a Padova, ha fatto il cuoco, il giardiniere,l’antennista, l’infermiere in un ospedale, l’assistente in unobitorio. È l’artista italiano più famoso nel mondo, vive tra Milano

e New York, ha dei “sosia” che vanno ai convegni, ai vernissage a suo nome erilasciano interviste. La sua ultima installazione è stata pagata una cifra record

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Maurizio Cattelan è il fi-glio prediletto dellacomunicazione pla-netaria e di nessun cri-tico. Maurizio Catte-lan si è infilato dentro

alla porta girevole della vita e conti-nua a girare. Maurizio Cattelan tran-sita nel cielo delle superstar e ognigiorno atterra dentro al suo ufficioconcetti smarriti & scandalosi. L’uffi-cio coincide con il suo viso mobile eviaggiante tra Milano, New York e l’E-videnza dei Fatti.

Maurizio Cattelan ha capelli fitti,corti e grigi. Occhi accesi. Naso fuorimisura. Il tono della sua voce è unifor-me. Nessun accento. Le risate spezza-no le linee circolari della sua storia.Quando ha impiccato i tre bimbi in ve-troresina a una quercia di Milano è fi-nito sulle prime pagine di tutti i gior-nali del mondo: «Volevo dire qualcosadi chiaro su ciò che stiamo facendo alnostro futuro». Chiama le sue opere:«Cose». Chiama l’arte: «La mia ultimaspiaggia». Dice: «Se sapessi a cosa ser-ve l’arte, farei il collezionista». Noncolleziona nulla. Non possiede nulla,tranne un pezzo della minuscolaWrong Gallery a New York. E’ autodi-datta: «Essere autodidatta significanessun maestro, tutti compagni diclasse». Ai compagni di classe non hainsegnamenti da dare. Ai giovani arti-sti sì: «Diventate vecchi in fretta».

Maurizio Cattelan è nato a Padovanel 1960. A 44 anni è l’artista italianopiù famoso nel mondo. Alcune sueopere — esposte al Guggenheim diNew York, al Contemporary Art di LosAngeles, al Louvre, a Torino, Venezia,Berlino, Hong Kong — hanno supera-to i 2 milioni e mezzo di dollari. Alcu-ne sue opere sono sorprendenti espiazzanti quanto il loro corrispettivovalore in denaro. Per esempio il Papa,vestito di bianco, atterrato da un me-teorite nero. Per esempio il cavallo im-pagliato e sospeso al soffitto. Peresempio lo scoiattolo che si è appenasuicidato nella sua cucina; l’alunnoche è stato inchiodato, con due mati-te, al proprio banco; John FitzgeraldKennedy che se ne sta sdraiato nellabara a piedi nudi; la signora Betsy cheabita dentro a un frigorifero; l’elefan-tino che si nasconde perché (cometutti noi) ha paura dell’amore.

Fama e denaroMaurizio Cattelan non si occupa di fa-ma e di denaro. La fama e il denaro si oc-cupano di lui. I media si occupano di lui.I musei, le fondazioni e i collezionistimiliardari come Gagosian si occupanodi lui. Lui gira in scarpe da tennis, ma-glietta, borsa a tracolla, cappotto nero esorriso intermittente. Vive in un mono-locale nel quartiere Ticinese di Milanoe in un bilocale nell’East Village di NewYork. E’, normalmente, invisibile. Haalcuni suoi doppi che vanno ai conve-gni o ai vernissage al posto suo. Checoncedono interviste a suo nome. Chesi sdraiano nella sua ombra. Spiega:

«Sono timido. Non so parlare in pubbli-co. Conosco a memoria quel che nonavrei da dire e dirlo mi annoia. Invece,sentire raccontare le mie cose da un al-tro è molto più divertente. E quasi sem-pre mi sorprende».

Essere invisibile fa parte della sua os-sessione per le immagini. Le immaginilo circondano e assorbono il suo sguar-do veloce. Dice: «Se non ne vedo alme-no cento al giorno, mi siriempie la faccia di bub-boni». Guarda immaginidigitali e i paesaggi inqua-drati da qualunque circo-stanza, un tombino o unaeroplano. Guarda la geo-metria e il colore dei gior-nali, guarda Internet, la lu-ce della pubblicità, il tagliocinematografico della vitaquotidiana, il grigiouniforme di un’avventurae il bagliore dei giorni cheviaggiano. Non ritaglia enon riordina. Non selezio-na. Non ha archivi. Gli ar-chivi prevedono. Lui vede,all’improvviso.

Cattelan ha avuto molte vite a di-sposizione e molte altre se le è costrui-te a sua dimensione. A Padova, da ra-gazzo, frequentava le serali dell’Istitu-

to di Elettrotecnica. Ha fatto il came-riere, il cuoco, il giardiniere. Ha fattol’antennista a Venezia. L’infermiere inun ospedale e l’assistente in un obito-rio. Ha maneggiato la morte. Lui dice:«Ho maneggiato i morti e ho misuratola loro distanza, la loro sordità impe-netrabile. Molto di ciò che ho fatto do-po, dipende da quella distanza».

L’obitorio ha coinciso con il puntopiù basso (o più alto) della sua storia.«Un giorno ho detto: eccomi arrivato al-la mia penultima spiaggia. Ora devopartire. Così mi sono lasciato tutto allespalle e ho preso un treno per Bologna».

A Bologna, nel 1981, c’è ancora l’on-da del Movimento e la sua risacca. Mol-ta creatività, molta paranoia. Lui entranel circuito obliquo delle case in co-mune, delle notti condivise, della piog-gia che non bagna. Si innamora, finiscea Forlì. Perché Forlì? «Un caso. Unagrande casa vuota da abitare. E’ lì checomincia tutto. Il vuoto mi fa venire lanostalgia dei mobili. Ma non ho i soldiper comprarli. Così comincio a pensar-li. Un paio di amici disegnano quelloche penso, altri costruiscono, usandooggetti che scelgo, tipo rami d’albero,ferro, plastica, scarti. Le cose che na-

scono, lampade, tavoli, piacciono a unsacco di gente. All’improvviso mi in-vento che posso fare il designer».

L’onda MemphisCosì parte per Milano. Arriva ai bordidell’onda Memphis di Ettore Sottsass,Alessandro Mendini e Nathalie Du Pa-squieur. Dice: «Faccio tutto per istinto.Tutto improvvisato, divertente, nonfunzionale. A metà tra design e arte».Ride: «Dopo un po’ scopro che il designnon mi viene tanto bene e divago an-cora di più». Dice: «Posto che sia arri-vato da qualche parte, sono arrivato al-l’arte per tentativi».

Per arrivare da qualche parte imbro-glia e ruba, come insegnava Marcel Du-champ che faceva passare una latrinaper una fontana e la pipa per un ma-nuale sull’arte. Anche Cattelan sovver-te la banalità degli oggetti, alla manieradi Joseph Beuys e di Piero Manzoni. Tri-plica i tagli di Fontana, formando la ze-ta di Zorro. Espone la denuncia, in car-ta da bollo, per il furto dell’opera Invisi-

bile, che neppure l’autore è in grado didescrivere. Si finge pubblico, alla Fieradell’arte di Bologna, per esporre clan-destinamente le immagini del suo cal-

IL BAMBINO MECCANICOL’opera di Maurizio Cattelanintitolata “Charlie” è statapresentata alla Biennaledi Venezia del 2004

“L’idea che sia l’artista amanipolare la materia non miappartiene. Non so disegnare. Nonso dipingere. Per me l’arte è vuota.Sono gli spettatori a fare il lavorodegli artisti”

PINO CORRIAS

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

ciobalilla lungo 7 metri per 22 giocato-ri. Falsifica e espone 20 copertine dellarivista Flash Art, ognuna delle quali ri-produce una sua opera. Dice: «L’idea èquesta: se non hai luoghi dove esporre,ti infili in quelli altrui. Se non hai rico-noscimenti te li inventi».

Invitato alla Biennale, affitta il propriospazio a una casa di profumi francesi eespone un’acqua di colonia. Invitato inuna galleria, esibisce la propria fuga,esponendo lenzuola arrotolate alla fine-stra. Sopra alla collina più polverosa diPalermo installa la scritta cubitale “Hol-lywood”. Espone un ulivo. Un dinosau-ro. Un asino che vola. Il proprio galleri-sta. Due poliziotti a testa in giù. A chi gli

chiede una spiegazione, dice: «Qualun-que domanda tu ti faccia sulle mie cose,la risposta è in te. Ed è sbagliata».

Nel 1993 parte per New York. «NewYork ha dimensioni che mi destabiliz-zano. E’ una città che ti tiene in movi-mento e ti fa perdere l’equilibrio. Lavo-rando dieci ore al giorno, impiegato dame stesso, divento finalmente un arti-sta». Essere artista, per lui, significa«non fare più il cameriere di notte». Vi-ve con 5 dollari al giorno. Vive in una ca-sa vuota: «Perché è il vuoto che mi con-centra». Regala i libri appena letti e i ve-stiti smessi. Vive da solo, ma circonda-to da amici. Dorme con le lenzuola ne-re. Tiene un televisore sotto al letto.

Ascolta Wagner. Studia Warhol e «il suocoraggio di parlare a tutti».

A New York pensa, guarda, inventa,ma non produce. Anche oggi. Per co-struire le sue “cose” usa il telefono. «Il te-lefono è il mio vero posto di lavoro». Isuoi doppi sono artigiani italiani e fran-cesi. Come l’imbalsamatore MichelVaillier, che lavora sugli animali, o loscultore Daniel Driet che lavora la cera ela vetroresina. Dice:«L’idea che sia l’arti-sta a manipolare la materia, non mi ap-partiene. Non so disegnare. Non so di-pingere. Non so scolpire. le mie cose nonle tocco proprio».

Quello che tocca davvero, e fa vibrare,sono tutti gli interruttori della comuni-cazione. Il suo Papa caduto, esposto aVarsavia, scatena un putiferio globale.Militanti cattolici assaltano l’esposizio-ne, vogliono a tutti i costi raddrizzare lastatua, finiscono per spezzarle le gambe.Il suo Hitler inginocchiato in preghiera,diventa scandalo e «un orrore travestitoda innocenza, una perversione». I bimbiimpiccati a Milano fermano il traffico evengono rifiutati dal Whitney Museumdi New York.

I galleristiLui replica con voce uniforme. «Per melo scandalo è parte dell’opera, non l’in-tera opera». «Per me il buon gusto, co-me il gusto, sono cose da gelatai». «Perme l’arte è vuota, trasparente: è un di-spositivo per mettere in moto interpre-tazioni che appartengono a chi guarda.Alla fine sono gli spettatori a fare il la-voro degli artisti». E comunque: «Nonho mai fatto niente di più provocatorioe spietato di ciò che vedo tutti i giorniintorno a me. Io sono solo una spugna.O un altoparlante».

Cattelan è un altoparlante, sintoniz-zato sull’Occidente globale, al massi-mo volume. I milioni di dollari che ilmercato consegna alle sue opere, mol-tiplicano la sua ridondanza. Dice: «Isoldi sono una pressione che subiscoanche se arricchiscono i collezionisti,le gallerie e Christie’s». Tutti sono inte-ressati a quanto guadagna. Nessuno alfatto che continui a vivere con quasinulla. Il nulla è uno dei suoi significatiperpetui. Come la malinconia, i sognispezzati, la paura di fallire, l’impoten-za e naturalmente, la morte.

Circondato dalla richiesta di senso edi significati, rovescia la tavola della vi-ta, che lo tiene sveglio, aperto, e ambi-guo. Dice: «Non esistendo alcuna ve-rità, evito di credere persino a me stes-so. Dobbiamo tutti abituarci all’idea:non ci sono chiavi, non ci sono serratu-re. Solo porte girevoli». Lui guarda la su-perficie, sorride intermittente, e gira.

Se l’Arteè un Ogm

Il parere del critico

ACHILLE BONITO OLIVA

«L’argent fait la guerre, laguerra fa il dopo guerra, ildopo guerra fa il mercato

nero, il mercato fa l’argent, l’argent faitla guerre». Ecco Corso e Ricorso diGianbattista Vico interpretati da Totò,assertivo Socrate napoletano. Ora pa-rafrasando il principe De Curtis possia-mo dire «l’argent fait la publicité, lapubblicità fa l’arte, l’arte fa il mercato, ilmercato fa l’argent e l’argent fait la pu-blicité». Ecco spiegata la strategia circo-lare di Maurizio Cattelan, artista vene-to alla fine del XX secolo, che confermaun adagio in fondo storico, ormai di-ventato andante-mosso: nel sistemadell’arte la pubblicità è l’anima delcommercio, ma anche l’economia:Raffaello, Bernini, Picasso, Dalì,Warhol, Koons…

Salvator Dalì viene chiamato «avidadollars» da Breton, Warhol afferma l’i-dentità tra l’arte e il mondo degli affari,Jeff Koons (ex agente di borsa) proponeun’arte come status symbol sociale.L’economia è ciò che dà statuto di realtàal gesto metaforico dell’artista, in unasocietà postindustriale e di massa chevive sulla comunicazione e la pubbli-cità, virtualità dell’immagine e speri-mentazione tecnologica. Cattelan hacapito tali mutazioni, la necessità direalizzare progetti altamente perfor-mativi e autoreferenziali, per produrreattenzione e comunicazione.

L’arte diventa il sistema pubblicita-rio di se medesima, un campo di con-centrazione in cui attirare un pubblicoindifferenziato, simultaneo e indiret-to, un acchiappa-sguardo che spostalo spettatore dalla disattenzione col-lettiva e dai rumori della vita. Qui loaspetta tra un rullio preventivo di tam-buri il silenzio di un’opera, frutto diun’elaborazione di linguaggi sapien-temente shakerati, un’installazione diforte impatto emotivo e alta qualitàtecnica.

Come i creativi della pubblicità pra-ticano una serena cleptomania dei lin-guaggi altrui, tra ibridazione e contami-nazione, Cattelan con stoica amoralitàrealizza un onesto esproprio proletariodella storia dell’arte, modificandone einnestandone le radici, nuovi Ogm nelsuo orticello creativo.

A Cattelan non interessa la scopertao l’innovazione piuttosto andare a ber-saglio con tutti i mezzi possibili e rag-giungere l’obiettivo, l’eclatante rap-presentazione semplificata di un’ideamediante un’installazione coinvol-gente ad alta visibilità socio-culturale.Non importa se il Wojtyla colpito dallameteorite sembra provenire da unascultura iperrealista di Duane Hanson,il cavallo imbracato e sospeso nel mu-seo da una scena di Apocalypse Now diCoppola, la grande zolla con l’albero daPascali e Penone, la sospensione al mu-ro del gallerista da De Dominicis, il pic-colo Hitler inginocchiato in preghierada Mueck, l’affitto del suo spazio adAperto ‘93 alla Biennale di Venezia aduna ditta di profumi da un gesto sur-realista di Dalì.

Perché quello che cambia è proprio ilrapporto dell’opera col sistema dell’ar-te e con il contesto sociale in generale,più attento nella sua sensibilità pellico-lare ad altri spettacoli. Ora lo spettaco-lo dell’arte prova ad andare in scenasaggiando una rappresentazione perun prodotto di per sé altamente inco-municabile. In questo consiste l’arteeroica di Cattelan consapevole che lastoria la prima volta si presenta cometragedia, la seconda come farsa. Origi-nale e costante è sempre la macrodi-mensione dell’opera. Perché, come di-ce Nabokov, «l’originalità artistica hasolo sé stessa da copiare».

Qui non c’è dadaismo che tenga enessuna utopia nel conto, piuttosto ilsenso tragicomico di un’attività crea-trice che accetta di diventare creativa,di spostarsi dal piano dell’innovazionestrettamente linguistica a quello diuna comunicazione altamente socia-le. La presenza internazionale di Cat-telan conferma ironicamente una tra-dizione tutta italiana, la favola medie-vale di Bertoldo, Bertoldino e Cacasen-no, dove tra il gioco delle parti si con-ferma, come diceva Dante, «il gran risodell’universo».

CattelanMister tre milioni di $“Io creo al telefono”

SENZA TITOLOUn’opera del 2001 diMaurizio Cattelan.L’artista padovano è unodei re del mercato dell’arte.L’ultima quotazione di unasua opera è stata di tremilioni di dollari

LE PROVOCAZIONI

I TRE BAMBINI IMPICCATI

È durata 24 ore l’esposizione dei trefantocci appesi il 5 maggio scorso apiazza XXIV Maggio a Milano L’opera,allestita dalla Fondazione Trussardi,aveva come destinazione la primaBiennale di Siviglia. Un muratore,Franco De Benedetto, per staccarli,si è ferito

LA BALLATA DI TROTSKY

Il cavallo imbalsamato appeso alsoffitto, venduto lo scorso maggiodall’editore della rivista “Interview”Peter Brandt, è passato nelle mani diun ignoto acquirente che hapartecipato all’asta per telefono e hapagato, comprese le tasse, duemilioni e settecentomila dollari

LA NONA ORA

È Il titolo dell’opera che raffiguraGiovanni Paolo II, vestito di bianco,schiacciato a terra dal peso di unmeteorite. A novembre è stato battutodalla casa d’arte newyorchese PhillipsDe Pury and Co. per tre milioni didollari. L’installazione in tre anni hatriplicato la sua quotazione

I PIÙ CARI

JASPER JOHNSL’americano JasperJohns non scende maisotto i 10 milioni didollari ma daSotheby’s la suaopera “False start” habattuto tutti i record.

L’acquirente se l’è portataa casa pagando 17 milioni didollari. Un suo dipinto aolio, il mese scorso, andatoall’asta da Sotheby’s, è statoaggiudicato per 11 milionidi dollari

ROBERT RAUSCHENBERGAltro vero re del mercatoche vive tra New York ela Florida, Rauschenberg,è stabilmente sopra icinque milioni didollari, anche seChristie’s lo valuta

quasi sette milioni.Nemmeno l’ex marito di IlonaStaller-Cicciolina, Jeff Koons,se la passa male: ormai èvalutato quasi sei milionidi dollari

CY TWOMBLYUn altro maestro dellapop art che raggiungequotazioni da capogiroè Twombly, che nonscende mai sotto icinque milioni didollari, seguito da

Edward Ruscha stabile suitre milioni di dollari, cosìcome Chuck Close e i suoiritratti o l’inglese LucienFreud che arriva a cinquemilioni di dollari

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Il primo gennaio 2005 in Europa scadono i diritti d’autoree le registrazioni di Presley del 1954 diventeranno di pubblicodominio. Poi sarà la volta dei Beatles, di Dylan, degli Stones,

di Celentano e Mina. E tutti potranno realizzare dischi con le loro canzonisenza pagare il copyright. Alcuni artisti pensano che sia un bene, altrinon sono d’accordo e c’è chi propone delle regole nuove

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Il rock è di tuttiDopo cinquant’annigratis la musica di Elvis

Manca poco, solo alcunigiorni, poi il rock’n’-roll, la musica di Elvis,Bill Haley e ChuckBerry diventerà pro-prietà di tutti noi. Le

registrazioni di alcuni brani classicidella storia della musica popolare nonapparterranno più alle star che li han-no resi famosi. Dal primo gennaio 2005chiunque potrebbe prendere un branoleggendario come That’s all right ma-ma cantato da Elvis Presley e provare afarne un disco, senza dover dare un so-lo centesimo agli eredi del “re delrock’n’roll”. E metterci accanto Ain’tthat a shame di Fats Domino, Unchai-ned Melody di Al Hibber e brani famosidi Perry Como, Bing Crosby, Nat KingCole, Perez Prado, tanto per citare i piùfamosi tra quelli che già oggi sono di-sponibili. E sarà possibile perché sonopassati cinquant’anni dalla pubblica-zione e i diritti “fonomeccanici”, quelliche garantiscono la proprietà di una re-gistrazione, sono scaduti.

Le canzoni, così come i libri, i testiteatrali, le invenzioni, una volta scadu-ti i diritti entrano nel gran mare del“pubblico dominio”, nella proprietàcollettiva, sono a disposizione di tutti.Queste opere e invenzioni sono consi-derate parte dell’eredità culturale pub-blica, e chiunque può utilizzarle o mo-dificarle senza restrizioni. Così è, adesempio, per la Divina Commedia, peril teatro di Shakespeare, per la musicadi Duke Ellington e Louis Armstrong,per le opere di Giuseppe Verdi, per i ro-manzi di Emily Brontë: le registrazionidiscografiche hanno in Europa una co-pertura legale di cinquant’anni, men-tre i diritti d’autore hanno una durataassai maggiore, settant’anni dopo lamorte dell’autore, il che garantisce aPaul McCartney, ad esempio, di conti-nuare a percepire denaro ogni volta cheuna canzone dei Beatles viene vendu-ta, cantata, suonata, anche se la regi-strazione entra nel pubblico dominio.

Ora, a cadere nel “bidone” del pub-blico dominio, è il rock’n’roll. Oggi toc-ca a Elvis, poi sarà la volta dei Beatles edi Bob Dylan, e non tutti sono conten-ti. Ad esempio Sir Cliff Richard, l’ElvisPresley d’Inghilterra, ancora perfetta-mente in attività: «Ho 63 anni e sonofortunato, perché dopo cinquant’annidi carriera continuo a guadagnare de-naro», ha dichiarato al Times, «adessosto per diventare la prima star che verràprivata di una fonte di guadagno soloperché sono sopravvissuto al copyrightsulle mie registrazioni». Richard — cheè entrato questa settimana per la cin-quantanovesima volta nella top ten in-glese con il suo ultimo album, So-mething’s goin’on — è il primo tra gli ar-tisti in vita, perché tra quelli scomparsici sono già personaggi leggendari comeFrank Sinatra, con le sue straordinarieregistrazioni degli anni Cinquanta (maper Strangers in the night bisognerà at-tendere il 1961), Ella Fitzgerald o BillieHoliday.

La legge che garantisce i diritti “fono-meccanici” non è uguale ovunque: ne-gli Stati Uniti il copyright sulle registra-zioni dura 95 anni, il che vuol dire chese in Europa dal primo gennaio si potràstampare That’s all right mamadi Elvis,in America quella registrazione resteràdi proprietà degli eredi, la moglie Pri-scilla, la figlia Lisa-Marie e, più in gene-rale, la “Elvis Presley Estate”, la societàche lo scorso anno ha incassato, con lesue molte attività, la bellezza di 40 mi-lioni di dollari. E le cifre che riguardano,in generale, il copyright, rendono benel’idea di quali interessi si muovano at-torno ai “prodotti dell’ingegno”, sianoessi artistici o brevetti per invenzioni

pratiche: in Europa le industrie i cui af-fari ruotano attorno al copyright han-no fatturato nell’ultimo anno 380 mi-liardi di euro, negli Usa 430 miliardi didollari.

In Italia uno dei casi più clamorosi diuso di testi in pubblico dominio fu ilgrande successo ottenuto dalla casaeditrice Stampa Alternativa di Marcel-lo Baraghini, che pubblicò una lungaserie di libri in pubblico dominio maanche opere coperte da copyright. C’èanche chi, da molti anni, sta lavorandoa una grande biblioteca “popolare”, ininternet, fatta di testi importanti dellaletteratura, della saggistica, del teatro esono i responsabili del “Progetto Gu-tenberg” (e dell’italiano “Progetto Ma-nuzio”), che già oggi conta migliaia ditesti disponibili gratuitamente on line.L’ultimo di questi “grandi libri” diven-tati elettronici è “Via col vento” di Mar-garet Mitchell, reso disponibile sul webdai volontari australiani del Guten-berg. Ma non tutto è andato come al so-lito: i diritti di “Via col vento” sono sca-duti in Australia, dove la legge sul copy-right protegge gli autori per cin-quant’anni dopo la morte, ma non ne-gli Stati Uniti, dove la protezione ar-riva a 95 anni. Così è partitaun’interessante batta-glia legale tra gli eredidella Mitchell e l’orga-nizzazione no profit au-straliana, per stabilire seuna legge locale possaessere applicata a un te-sto che poi viene distri-buito in rete. Ma questo èsolo l’inizio. Tutto puòancora cambiare.

ERNESTO ASSANTE

David Byrne

«QUANDO ero bambino ascoltavo i dischi alla libreriapubblica di Baltimora, ho scoperto così, senza paga-re, la maggior parte della musica che oggi conosco.Ovviamente chiunque crei qualcosa ha diritto di averebenefici da questo per un ragionevole lasso di tempo.Ma il copyright non dovrebbe essere uno strumentoper impedire alla gente di avere accesso alla propriacultura. Capisco che, però, quello della musica oggisia il terreno dove c’è maggior confusione e che com-porta maggiori risvolti politici ed economici, ma in altricampi è più facile da capire. Nella letteratura, ad esem-pio, sarebbe come se gli editori dei libri decidessero diessere contro le librerie pubbliche e dicessero “No,non ci piacciono le librerie pubbliche, perché la gentepuò leggere i libri senza pagare e questo uccide le no-stre vendite”. O nel campo della ricerca scientifica: l’A-merica sta perdendo terreno nell’innovazione perchéi brevetti e le informazioni non vengono condivise. Ilche significa che altri paesi, che sono più attenti e in-teressati alla collaborazione, faranno un salto in avan-ti. Perché, come tutti sanno, nulla arriva dal nulla. Tut-to si costruisce su quanto c’è già. Creative Commonsè un tentativo di rimediare a questa situazione».

DAVID BYRNEPer anni leader

dei Talking Heads,è nato in Scozia nel ‘52.

Ha sperimentatonumerosi

generi musicali

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2006

2007

2008LA LUNA DI MINA

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“Tintarella di luna”

Eddie Cochran

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Richie Valens

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Harry Belafonte

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Paul Anka

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Morandi: “Con quei soldiil mio primo frigorifero”

GLI ALTRI CASI

IL SOFTWARE LIBERO

Il sistema operativo Linux è l’esempio di maggiorsuccesso di software “open source”, che puòquindi essere preso emodificato da ogni utente che ne abbia bisogno. È una delle minacce al monopolio Microsoft

L’ETICHETTA ON LINE

Si chiama Anomolo ed è una neonata casa di produzione musicale “no copyright”. Niente dischi,solo file mp3 liberamentescaricabili, senza nulla da pagare e senza scopo di lucro. Si trovano su www.anomolo.com

VIA COL VENTO

Il libro di Margaret Mitchellè diventato di pubblicodominio in Australia. Ed è quindi statotrasformato in un file dadistribuire via internet. Ma gli eredi della Mitchellhanno bloccato la pubblicazione

fermato, ma tra non molto la storia ri-comincerà da capo visto che di anni dicarriera ne ho quarantadue. Certo, se siriuscisse a proteggere meglio il diritto...speriamo che questa cosa non passi».

Quando successe fu un bel fastidio.«Ma sì, perché in tutti gli autogrill tro-

vavo questi dischi improbabili, appic-cicati a caso, mischiando un cantantecon l’altro, io ne ho a casa una decina diesemplari, facevano come volevano,non pagavano niente, era di dominiopubblico, la cosa mi impressionava.Ora sono passati altri diciassette anni.Questa sera nel programma mi capi-terà di accennare canzoni che hannoquarant’anni di vita, quindi mi auguroche questo limite si possa ritoccare».

Grazie ai dischi, anche come can-tante percepisce dei guadagni.Dev’essere stata una bella emozionequando ha cominciato a ricevere deisoldi. In fondo, ripensando alle origi-ni, lei non era certo un ragazzo ricco...

«Anzi, poverissimo».Ricorda cosa ha fatto con i primi sol-

di che ha ricevuto?«Abitavamo in un appartamento in

affitto a Bologna, io, mio padre, miamadre e mia sorella. Ricordo che perprima cosa abbiamo comprato un fri-gorifero, era bellissimo, anche se nonc’era niente dentro, ci siamo messi se-duti a guardarlo, come fosse la televi-sione. Poi volevo comprare la Cinque-cento, ma mio padre non era assoluta-mente d’accordo. Allora la maggioreetà era a 21 anni, io sentivo molto la pa-rola di mio padre, che era uno che si fa-ceva rispettare. Se a diciott’anni torna-vi a casa dopo le nove di sera erano do-lori, io gli dicevo: ma papà io sto già in-cidendo i dischi, sono andato in televi-sione, e lui niente, diceva torni a casa efai il tuo lavoro, tanto quella cosa lì du-rerà sei sette mesi poi devi tornare quaa fare il ciabattino. Poi ci fu un momen-to di stasi, arrivò la Pavone e io rimasi aguardare, ma dopo qualche tempo in-cisi pezzi come “Fatti mandare dallamamma”, “Ho chiuso le finestre” e co-minciarono ad arrivare rendiconti piùconsistenti. Le percentuali erano bas-sissime, tre o quattro per cento, ma al-lora i dischi si vendevano a centinaia dimigliaia di copie e quindi ci compram-mo l’appartamentino dove siamo an-dati a vivere».

Non crede che, guardando al pro-blema più in generale, tutta la questio-ne del copyright oggi sia drammatica-mente in crisi?

«Per forza, si può scaricare tutto do-vunque, a noi cosa rimane? Il capitaledella musica, i concerti live, oppure bi-sognerebbe inventare un supporto chesia unico, non clonabile. Stiamo facen-do una battaglia su tante cose».

Per esempio?«Beh, anche il diritto d’interprete

non è riconosciuto. Magari se passa perradio una certa canzone, la si passa an-che perché la canta Celentano, ma il di-ritto è riconosciuto solo all’autore e al-l’editore, all’interprete non va nulla, einvece molte volte è un fattore impor-tante. Noi comunque c’incontriamospesso, con Mogol, con Migliacci cheadesso è presidente della Siae, per ve-dere come si possono migliorare le co-se, prima di tutto per lavorare in difesadella cultura italiana e della canzoneitaliana, non dico di arrivare al model-lo francese che prevede un limite per leradio sulla percentuale di repertoriostraniero, ma ci stiamo battendo su tut-te queste cose, sulla pirateria, e quindiquesto problema dei cinquant’anni siaggiunge a tutto il resto».

Ma i politici vi danno un po’ retta?«Non molto. Quando c’era Veltroni

come vicepremier ci fu una grande riu-nione a Roma, c’erano davvero tutti.Ma il fatto è che soprattutto noi can-tanti non riusciamo a essere un gruppocompatto, pensi che non esiste un verosindacato dei cantanti, ce l’hanno tut-ti, i calciatori, le casalinghe, noi no. C’èqualche gruppo che si dà da fare, Paoli,Lavezzi e Mogol, ma servirebbe un’as-sociazione compatta, perché potrem-mo dire qualcosa d’importante, nontanto per noi che abbiamo già avutotanto, ma per la musica che verrà, per igiovani che vengono fuori e non hannoneanche un piccolo investimento, esenza non si va da nessuna parte. Oggipoi è un mercato impossibile, è diffici-le farsi notare, quindi è una fatica enor-me. É lì che bisognerebbe lavorare dipiù, sulla difesa del repertorio italianoe sui giovani».

FRIMINI

resco di matrimonio, a ses-sant’anni appena compiuti eportati con inossidabile di-sinvoltura, Gianni Morandi

sta ultimando le prove per lo spettaco-lo di questa sera, un concerto-raccon-to in diretta da Rimini su Canale 5, inti-tolato semplicemente “Stasera GianniMorandi”, nel quale proporrà il suosterminato repertorio, inframmezzatoda racconti e ospiti. Porterà sul palcouna carriera lunga quarantadue anni,una delle più longeve di tutta la scenaitaliana.

Morandi lo sa che per legge i diritti dipubblicazione dei dischi scadono do-po cinquant’anni e che chiunque puòripubblicarli a suo piacimento?

«Dirò di più, fino a dieci anni fa il ter-mine era solo di 25 anni, quindi succes-se che nel 1987, quando erano passati25 anni dal 1962, l’anno in cui ho incisole mie prime canzoni, cominciarono apubblicare una serie di dischi con ma-teriale d’epoca, c’erano un sacco di

canzoni, e ogni anno che passava ag-giungevano materiale, e facevano “Ilmeglio di Rita Pavone e Gianni Mo-

randi”. “Il meglio di Gianni Mo-randi e Nico Fidenco”, e così via,poi questa storia dei diritti è sta-

ta allungata fino ai cin-quant’anni, e il fenomeno si è

IL “RAGAZZO”DEL POP Gianni Morandi è una dellestar della musica popolareitaliana. Ha fatto il suoesordio nel 1962, conla celebre “Andavoa cento all’ora”

E C’È CHI VUOLE CAMBIARE MUSICANon tutti gli artisti sono d’accordo sulle regole delcopyright, secondo alcuni come Byrne, Gil, i Beastie Boys,Chuck D e molti altri, che si sono associati a CreativeCommons, va promosso un nuovo diritto d’autore: unalicenza che consenta di diffondere gratuitamente alcunibrani, senza scopo di lucro, consentendo sia il “filesharing”, lo scambio dei file musicali via internet, sia ilcampionamento. Come ci spiegano loro stessi qui accanto.

Gilberto Gil

«COME artista vivo sulla mia pelle i vantaggi e gli svan-taggi della creazione in un mondo dove le tecnologiedigitali rendono estremamente semplice per chiunquefare delle copie. In Brasile le copie pirata dei miei dischipossono essere comprate per poco meno di due dol-lari ad ogni angolo di strada, o senza pagare nulla at-traverso internet. La sfida è quella di risolvere la que-stione dei diritti degli autori senza uccidere il processodi scambio, contaminazione e evoluzione artistica as-sociato con i media digitali. La motivazione per Crea-tive Commons risiede negli atteggiamenti irrazionaliche hanno cominciato a prendere piede negli Stati Uni-ti come, per esempio, il far causa ad una signora di 60anni perché ha scaricato una copia non autorizzata diuna canzone di Doris Day. La protezione del copyrightè diventata, oggi, una restrizione assoluta. I fonda-mentalisti del controllo totale sulla proprietà nonavranno ragione, perché un mondo aperto dalle co-municazioni non può essere chiuso da una visionefeudale della proprietà. E nel modello di Creative Com-mons, che come ministro della Cultura brasiliano so-stengo completamente, ogni artista ha la possibilità diliberare alcuni diritti del proprio lavoro creativo o tutti».

GILBERTO GILHa 52 anni ed è uno dei massimiesponenti dellamusica brasiliana: è ministro della Culturanel governo Lula

95 ANNI NEGLI USANegli Stati Uniti ladurata dellacopertura legale delcopyright sulleregistrazioni è piùlunga, è statarecentementeportata a 95 anni

50 ANNI IN EUROPAL’attuale legislazioneeuropea prevede chei diritti fonomeccaniciche garantisconoi proprietari delleincisioni, valganoper 50 anni dallaregistrazione

Le copie vendutedai Beatles

500milioni

I dischi vendutida Elvis Presley

400milioni

Le incisioni vendutedai Rolling Stones

200milioni

IL SOUL DI BEN E. KING

Ben E. King“Stand By Me”

Chubby Checker

“The Twist”Sam Cooke

“Wonderful World”

Ray Charles“Giorgia on my mind”

The Shadows

“Apache”

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IL GRANDE SINATRA

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tonight”The Zodiacs

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GINO CASTALDO

IL CALENDARIO DELLE SCADENZE

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TELEVISIONE/1

“Medico” chiude con record

quasi 12 milioni su RaiUno

ROMA. Puntata finale darecord per “Un medico infamiglia” venerdì suRaiUno. La quarta e pro-babilmente ultima seriedella fiction con NonnoLibero (interpretato da Li-no Banfi, nella foto) e pa-renti, ha segnato nell'ultima puntata, inti-tolata “Itaca”, il 41,61% di share con 11 mi-lioni 857 mila spettatori. Con questo risul-tato l’ultima puntata di “Un medico in fa-miglia” si colloca al nono posto nella clas-sifica delle fiction più viste dal ’98 a oggi.

TELEVISIONE/2

Nuova bestemmia in tv

tra polemiche e scuse

ROMA. Ancora polemiche per una be-stemmia in diretta tv. È successo venerdìpomeriggio, in fascia protetta quindi, alreality show di Italia 1 “Campioni” dedi-cato al mondo del calcio. La bestemmia èuscita proprio dalla bocca di un giocato-re del Cervia al momento della sua sosti-tuzione da parte dell’allenatore. Insorgo-no Moige, associazione genitori e socio-logi. Il direttore di Italia 1 Tiraboschichiede scusa.

MUSICA

Migliora il tenore Di Stefano

dopo l’operazione alla testa

NAIROBI. Giuseppe Di Stefano, il cele-bre tenore aggredito con la moglie Monicanella sua villa di Diani, in Kenya, sta mi-gliorando dopo l’intervento alla testa. Inun primo momento le sue condizioni era-no apparse molto gravi: mercoledì era sta-to operato per una forte commozione cere-brale all’ospedale di Mombasa, dove ora ètenuto in coma farmacologico. Il decorsoappare positivo e presto si pensa di avvia-re l’uscita dallo stato di sonno artificiale.Di Stefano e la moglie erano giunti martedìnella loro tenuta di Diani, dove trascorro-no numerosi mesi all’anno. La sera stessaun gruppo di malfattori è penetrato nellavilla chiedendo denaro ai coniugi Di Ste-fano, ma nessuno in Kenya ne tiene in ca-sa se non il minimo indispensabile. A que-sto punto i rapinatori hanno picchiato rab-biosamente le vittime, portando via pochigioielli e gli orologi.

spettacoliTv e polemiche

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Celentano:“Addio Rainon ho libertà di parola”CARLO MORETTI

ROMA

Celentano sbatte la porta e sene va. Il suo programma perla Rai, previsto per il prossi-mo aprile, non si farà. Nonsolo. Quello del Molleggiatonon è un arrivederci, è piut-

tosto l’addio di un artista che si è sentitotradito nella fiducia. Nel comunicato concui conclude ogni rapporto con vialeMazzini, Celentano non pronuncia mai laparola censura ma parla di «democraziache rischia di vacillare» e infila una fraseamara: «Non tornerò in Rai non solo adaprile 2005 ma per molto tempo ancora,fintanto che la Rai non mi riconoscerà lalibertà di parola che ho sempre avuto».

La Rai gli aveva proposto un controllopreventivo sui testi del suo show «come pertutti i programmi, perché non si può creareuna zona franca per Celentano», e su que-sto lui ora risponde ironizzando: «Sarebbecome se Bruno Vespa mi invitasse al suoprogramma per avere una mia opinionepersonale su come vanno le cose nel mon-do, a patto però che il mio pensiero lo sus-surri prima in un orecchio ai dirigenti dellaRai per avere il lasciapassare in video». Unacosa che Celentano ritiene inammissibileper un’azienda che svolga «il delicato com-pito del “servizio pubblico”».

Si dice «sinceramente dispiaciuto» il di-rettore di RaiUno Fabrizio Del Noce per-ché Celentano «fa parte della storia dellaRai e spero faccia parte anche del futurodella nostra Azienda». Ma per Del Noce ilpunto della questione è un altro: il doppiorifiuto da parte di Celentano sia di affida-re alla Rai «un controllo generale sullamessa in onda» per una selezione «tra lecose che si possono fare e quelle che nonsi possono fare in televisione», sia di pren-dersi lui stesso questa responsabilità «nelrispetto delle leggi e dei regolamenti».

Il direttore generale Cattaneo, infor-mato della rottura solo a cose fatte, di-chiara irritato: «Sono certo che si sia trat-tato di un malinteso. Mai pensato di limi-tare la libertà di un artista come Celenta-no, che apprezzo da sempre. Mi auguroche torni in Rai come e quando vuole, nel-l’osservanza della legge».

Dalla Rai qualcuno insinua che la rot-tura sia dovuta ai costi. Il Clan di Celenta-no era intenzionato ad offrire lo show“chiavi in mano” per un milione di euro apuntata. La Rai aveva accettato di buongrado, anche perché in occasione dei pre-cedenti programmi di Celentano avevapartecipato alle spese e i costi erano bensuperiori, cinque miliardi di lire a punta-ta. Dicono alla Rai che, visti gli standard diqualità richiesti e i costi dei service di Mi-lano, il Clan di Celentano avrebbe rischia-to i conti in rosso. Di qui il dietrofront delMolleggiato. Ma secondo l’avvocato diCelentano, Giorgio Assumma, «il corri-spettivo proposto dalla Rai non era di-stante dalle aspettative della Clan Celen-tano. L’accordo su tale punto si sarebbefacilmente raggiunto».

In breve

Più del divorzio improvviso con la Rai, stupiscelo stupore di Celentano. Possibile che non aves-se capito che con la coppia Cattaneo-Del Nocela Rai è tornata indietro fino al suo medioevo

censorio, anzi peggio, sperimentando tecniche nuoveper purgare in anticipo ogni programma da mandarein onda? Forse Adriano aveva sopravvalutato la pro-pria forza contrattuale. O forse aveva sottovalutatol’ossessione dei suoi interlocutori per il controllo asso-

luto su ogni battuta, ogni citazione,ogni allusione in onda il sabato sera.

Eppure gli indizi erano chiarissi-mi. Scottati dalle interviste senza re-te di Biagi, dalle impertinenze poli-tiche di Daniele Luttazzi e dalle filip-piche antiberlusconiane di SabinaGuzzanti, il direttore della Rai equello della prima rete hanno mes-so esplicitamente il veto a qualun-que ospite che possa, sia pure in ipo-tesi, fare una sola battuta sul gover-no o, peggio, sul presidente del Con-

siglio. Del Noce ha cancellato personalmente lo sketch(già registrato) di Rosalia Porcaro a un programma se-rale della D’Eusanio, perché interpretava una fan ber-lusconiana che a un certo punto diceva, spazientita:«Ma insomma, povero Berlusconi, con tutte le cose cheha da fare dove lo trova il tempo per andare in galera?».E lo stesso direttore di RaiUno ha posto il veto all’invi-to rivolto da Panariello a Paolo Hendel (comico troppodi sinistra, per i suoi gusti), temendo di non riuscire afermarlo durante la diretta del sabato sera.

Si è dissolto anche l’antico pudore che quarant’an-

ni fa spingeva la Rai di Ettore Bernabei a evitare la pa-rola «censura», mentre si nominavano le «commissio-ni di ascolto» che avevano il delicatissimo compito diripulire tutte le trasmissioni da ogni discorso, da ognifrase, da ogni parola proibita. Altri tempi, certo. Allorasi censuravano sostantivi e aggettivi, era vietato parla-re di «amante», di «alcova», di «amplesso», di «vergi-nità» e persino di «parto», non era permesso chiamaregli onorevoli «i membri del Parlamento», si mettevanoalla porta Dario Fo e Franca Rame per uno sketch sul-le morti bianche, si filtravano una per una le battute diAlighiero Noschese, si sospendeva «Un due tre» per-ché Tognazzi e Vianello avevano osato fare il verso alpresidente Gronchi caduto dalla sedia, però non si ar-rivò mai a visionare di nascosto le bobine di un’inter-vista alla Mussolini per poterla censurare in tempo, co-me è capitato a «Dodicesimo round» cancellata dallozelante vicedirettore di RaiDue Giovanni Masotti.

Nella Rai di Bernabei persino i dischi dovevanopassare il visto della «commissione di ascolto», chepoteva applicare insindacabilmente tre temutissimibollini, «Non trasmettere», «Non idoneo» e «Scarta-to». De André si vide bocciare «La canzone di Mari-nella» e «Bocca di rosa», mentre una delle più bellecanzoni di Lucio Dalla, «4 marzo 1943», ottenne il vi-sto solo dopo la modifica di un passaggio-chiave. «Eanche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri eputtane sono Gesù Bambino» diventò «E anche ades-so che gioco a carte e bevo vino, per la gente del por-to sono Gesù Bambino». Adesso le cose sono cam-biate, e infatti il cantante più amato da RaiUno è Ma-riano Apicella, uno che ha un paroliere incensurabi-le: il presidente del Consiglio.

LA ROTTURAPER LETTERADopo tre mesidi trattativeper un nuovoshow suRaiUno,Celentano hainviato unalettera in cuirompe coni vertici di VialeMazzini cheritenevanoirrinunciabileun controllopreventivo deitesti dei suoiinterventi

GLI ALTRI CASI

SEBASTIANO MESSINA

Beati i vecchi pudori di Bernabeioggi la censura è un’ossessione

Cattaneoa Del Noce:sperosia soloun malinteso

SABINA GUZZANTI

2003. Su RaiTre “Raiot” di SabinaGuzzanti va in onda con il via liberadel direttore Ruffini arrivato pocheore prima dopo un lungo tira emolla. Resterà l’unica puntata delprogramma

PAOLO ROSSI

2003. A “Domenica in” PaoloBonolis invita Paolo Rossi, ma ilsuo monologo sulla “Costituzione”non piace ai responsabili delloshow: viene subito cancellatala presenza del comico

PAOLO HENDEL

2004. Paolo Hendel, invitato alloshow di Panariello “Ma il cielo èsempre più blu”, viene cancellato.Del Noce spiega che è per la lineaeditoriale della rete: RaiUno non fasatira politica

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Il cervello

Il sistema nervoso si forma molto presto, nell'embrione umano. La sua forma più primitiva, il canale neurale, si chiude alla terza settimana. Alla settima, compaiono il cervello e il midollo spinale. Alla dodicesima, il cervello ha la forma di una piccolanocciola. Al momento della nascita, è quattro volte più piccolo di ciòche sarà da adulto

Midollo spinale

Settesettimane

Quattrosettimane

Tre settimane

Cervello

Vescicole

Il riassorbimento

Parte terminale dell’assone

Sinapsi

Neurotrasmettitori

Recettori

Assone

Nucleo

Il neurone è la cellula nervosa. Per poter comunicare con l'organismo usa uno o più bracci maggiori (gli assoni) che inviano i segnali e un reticolo di bracci più corti e sottili (i dendriti) che ricevono i segnali dalla periferia. Quando un segnale arriva all’estremitàdell'assone (che può essere lungo anche un metro), piccoli corpi a forma di sfera (le vescicole) si fondono con la sua membrana. A questo punto le vescicole esplodono e si aprono, liberando sostanzechimiche (i neurotrasmettitori) che attraversano il piccolissimo spazio(sinapsi) tra la cellula che invia il messaggio e quella che lo riceve. Per porre fine al segnale, l'assone riassorbe alcuni neurotrasmettitori,mentre altri vengono neutralizzati dagli enzimi della sinapsi

Dodicisettimane

LO SVILUPPO

NEURONI E SINAPSI

Il cervello è la parte del corpo più difficile da studiare. Gli ultimi sviluppi nella tecnologia delle immagini, con la «cinepresa a positroni» che permettedi filmare il cervello in azione, hanno fatto fare un balzo alle conoscenze sulla sua architettura e sul suo modo di procedere. Ognuno dei due emisferi, il destro e il sinistro, controlla la parte opposta del corpo. Ognuna delle aree all'interno degli emisferi (finora se ne conoscono una ventina) è specializzata in una funzione: la corteccia motoria controlla il movimentoconscio. Anche le altre strutture cerebrali fanno un lavoro specifico:l’ippocampo, per esempio, è coinvolto nei processi di memorizzazione.I neuroni formano la rete dei messaggeri: mandano e ricevono segnalielettrochimici in un tempo infinitesimo (pochi millesimi di secondo)nei punti di connessione, le sinapsi

la scienzaMente e controllo

C’era una volta il segre-to del cervello: la“scatola nera” impe-netrabile che custo-diva gelosamente leemozioni e i pensieri

degli esseri umani. Poi, meno ditrent’anni fa, grazie a una nuova genera-zione di tecnologie il coperchio dellascatola è improvvisamente saltato. Per-mettendoci letteralmente di “vedere” ilcervello in azione: il brain imaging ha in-fatti favorito scoperte rivoluzionarie, ri-velando come funziona la mente, facen-do luce sulle radici biologiche dei com-portamenti e delle scelte e aprendo lastrada verso nuove terapie. Ma ha anchemesso potenzialmente in mano a chiun-que la chiave per entrare nel più privatodegli spazi privati: la nostra mente.

Quella che conduce al cervello è unaporta che fa paura. Soprattutto adessoche le metodologie di ricerca si sono fat-te più raffinate. Il timore è che si imboc-chi nuovamente la strada percorsa il se-colo scorso da Cesare Lombroso, quelladei criminali nati, della predisposizioneineluttabile ai comportamenti devianti.Una moderna frenologia, insomma. Eper di più, tecnologicamente avanzata.Tanto avanzata che un domani non trop-po lontano, per essere assunti in un po-sto di lavoro o ottenere la patente di gui-da, non ci sarà più bisogno di un test psi-coattitudinale ma di una semplice scan-sione del cervello.

Ora i segreti del cervello sono sotto gliocchi degli scienziati. Sempre meno mi-steriosi, sempre più manipolabili: tecni-che come la tomografia a emissione dipositroni (Pet) e la risonanza magneticafunzionale (fMri) hanno trasformato ineuroscienziati in paparazzi della men-te, tanto coraggiosi quanto indiscreti. Inpochi anni, il numero delle ricerche sulcervello è cresciuto a dismisura, attiran-do sponsorizzazioni e finanziamenti. E ilfascino dell’idea di conoscere, in modo“scientificamente oggettivo”, cosa cipassa per la testa è diventato irresistibile.

Le mete degli scienziati sono semprepiù ambiziose. Adesso sotto l’obiettivo cisono i processi più intimi e individuali.Completate le mappe delle funzioni mo-torie e sensoriali del cervello (di qua ilcentro del linguaggio e il riconoscimen-to dei volti, di là la percezione tattile e

I dubbi, ancora una volta, procedonodi pari passo con i progressi. E diventanoallarmanti via via che i muri si sgretola-no, che le frontiere si spostano in avanti.Un gruppo di ricercatori ha annunciatodi aver trovato l’area che racchiude laconsapevolezza del “sé” e la capacità dicomprendere i processi mentali degli al-tri. Un altro ha riferito addirittura di aver“visto” il libero arbitrio: i circuiti che si at-tivano quando compiamo liberamenteun’azione sono molto diversi da quelliall’opera quando stiamo eseguendo unordine.

«Il cervello è l’anima e l’anima è il cer-vello», hanno sostenuto i neuroscienzia-ti più radicali e visionari. Forse esageran-do, ma non troppo: è indubbio che leesperienze religiose più intense siano go-vernate da circuiti cerebrali. Studiandoalcune forme di epilessia, ricercatori co-me Vilayanur S. Ramachandran e Mi-chael Persinger hanno infatti trovato ilcosiddetto “modulo di Dio”, una serie diconnessioni tra i lobi temporali e il siste-ma limbico, un gruppo di strutture cere-brali evolutivamente più arcaiche. L’al-terazione dei lobi porterebbe a una so-vrastimolazione del sistema limbico, e dalì a sensazioni di tipo spirituale e mistico.

Ma non basta. Tre anni fa, un team di

Princeton ha inaugurato le indagini sul-le basi neurali delle scelte morali. Più direcente, all’università di Pennsylvaniahanno scoperto che mentire aumental’attività nella corteccia prefrontale de-stra. Ad Harvard, invece, si è scopertoche il cervello si comporta diversamentese si dice una bugia inventata al momen-to o architettata con cura.

La domanda, inquietante, è: le foto-grafie della mente scattate dalle neuro-scienze saranno usate come prove legaliper stabilire la responsabilità individua-le? La risposta è senza dubbio sì. E anzi, èinutile parlare al futuro. Già nel 2001 untribunale dell’Iowa ha ammesso comeprova in un processo per omicidio le“impronte” delle onde cerebrali rilevatesecondo un metodo detto brain finger-printing. La tecnica è controversa, e damolti ritenuta inaffidabile, ma si mor-mora che la Nasa stia sviluppando un“neurosensore” da collocare negli aero-porti per rilevare le onde cerebrali deipasseggeri con “pensieri sospetti”.

Dalle fotografie del cervello in genera-le alla lettura e al controllo di un cervelloin particolare il passo è breve. E moltiesperti pensano che il monitoraggio del-la mente non sia ancora stato messo inpratica solo perché le tecnologie attualinon sono per il momento tanto sofistica-te da distinguere tra chi è in tensione per-ché ha una bomba con sé e chi vive unostato d’ansia.

I metodi ora disponibili sono però giàsufficienti per le aziende. Da una costoladelle indagini sulle basi cerebrali dellescelte economiche è nato infatti il neuro-marketing. Che oggi studia le reazionidel cervello a determinati marchi e pro-dotti ma domani potrebbe cercare di in-fluenzarle, e intanto ci fotografa la men-te per rivelare che la Pepsi sollecita learee del piacere e la Coca Cola quelle de-putate a memoria ed emozioni.

Nemmeno le ricerche di tipo più clini-co sono al riparo da obiezioni etiche. Lascoperta delle basi neurali di malattie co-me la schizofrenia e l’autismo o delle al-terazioni cerebrali legate all’alcolismo eal consumo di sostanze stupefacenti stasenz’altro portando a importantissimistrumenti diagnostici e di cura. Maquando il californiano Adrian Raine rife-risce che nel cervello dei killer psicopati-ci l’attività di alcune aree è più ridotta, di-venta davvero difficile non ricordare ilpassato. E pensare che Lombroso è tor-nato in mezzo a noi.

CLAUDIA DI GIORGIO l’attenzione visiva), i ricercatori sonopassati alle foto panoramiche dell’areadeputata a funzioni superiori (la cortec-cia prefrontale), dove risiedono le capa-cità di esprimere giudizi e controllare gliimpulsi.

Dal paesaggio in generale, gli studiosi— continuando a lavorare di zoom — so-no poi scesi ai dettagli. Ed ecco le istan-tanee del cervello che si innamora, cheimpara, memorizza e decide, che può es-sere declinato a seconda del sesso: per-ché quello degli uomini — ormai è unacertezza — è diverso da quello delle don-ne, sia anatomicamente sia dal punto divista funzionale. Una scoperta sufficien-te — se male interpretata — a far tornarealla ribalta antichissimi pregiudizi.

C’è stata poi la straordinaria scopertadella plasticità cerebrale, la capacità delcervello adulto di rimodellarsi con l’ap-prendimento e l’esperienza. Scopertache ha portato con sé il primo grande in-terrogativo etico: quando sarà possibilestimolare questa plasticità con i farmaci(e non c’è da aspettare moltissimo), saràgiusto usarli anche per potenziare le ca-pacità di un cervello sano? Chi decideràcome (e su chi) utilizzarli? E una personacon il cervello potenziato sarà la stessapersona di prima?

Gli scienziati hannogià trovato la chiave biologicadell’amore, del libero arbitrio,della spiritualitàPresto imparerannoa usarla: arrivando a conoscere in anticipo anche le cattive intenzioniCon molti rischi

Dentro la cassaforte dei pensieri

VentricoliSerbatoi di liquido che serve ad assorbire gli shock e minimizzare i danni in caso di trauma

Cellula della GliaNutre i neuroni e produce la guaina di isolamento degli assoni Neurone

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Cortecciamotoria

Faccia

Mano

LA CHIMICA DEI RIMPIANTI

Per non ripetere le scelte sbagliate, anchein campo economico, bisogna avere una corteccia orbito-frontale sana e funzionante. Chi ha subito lesioni in quell’area del cervello, se perde denaro,non si rammarica della decisione scorretta(per esempio della puntata sulla cartaperdente in un gioco d’azzardo).

I POTERI DELLE LINGUE

Più lingue si conoscono, più “cresce” il cervello. È dimostrato che nei soggettibilingue la densità della materia grigia è maggiore rispetto a chi parla unalingua sola. La differenza è molto più marcata in chi è stato bilingue fin da bambino ed è legata all’abilità nel secondo idioma.

WIS

E

Page 18: Domenica - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2004/05122004.pdf · In un quartiere popolare, Al Hussei-ni, a una ragazza senza velo è stata sfre-giata la faccia.

Lobo frontaleAiuta a controllare funzioni come il ragionamento,la progettazione, il linguaggio, il movimentoCorteccia

motoriaLobo parietaleInterpreta i segnali inviati dai cinquesensi e integra l'informazione

Lobo temporaleElabora il suono e controlla alcuni aspetti dell'apprendimento, memoria, linguaggio, emozioni

TalamoValuta i segnali sensorialiin arrivo e li passa alle aree appropriate della corteccia

CervellettoMantiene l’equilibrioe coordina i movimentimuscolari

PonteFa parte del troncocerebrale. Trasmettee riceve le informazionisul movimento

AssimetriaMolte aree parallele,soprattutto nella corteccia,sono più ampie in uno dei due emisferi

GhiandolapituitariaProducesecrezioniregolatorie. È collegata al resto del cervellotramitel’ipotalamo

IpotalamoFa parte del sistema limbico. Aiuta a controllare le emozioni, il battito cardiaco, la pressione delsangue, le secrezioni della ghiandolapituitaria

Corpo callosoCollega i due emisferi

Piano temporaleVentricolo

MesencefaloAiuta in molte funzionisensoriali e motorie

Tronco cerebraleRacchiude il fasciodi nervi checolleganogli emisfericerebralial midollo spinale,permettendola comunicazionetra il corpo e il cervello

MidolloProvvedeall’innervazionedell’intero tronco e degli arti. Lungo 45 centimetri, si estende dal forooccipitale fino al margine inferioredella prima vertebralombare. Controllafunzioni essenzialicome la respirazione,la digestionee il battito cardiaco

Lobo occipitaleElabora i segnali visivi

La malattia

COSÌ REAGIAMO AL MONDO ESTERNO

La nuova frontierae l’uomo antiquato

I limiti del sapere

UMBERTO GALIMBERTI

Tutta la fisiologia e la patologia delnostro corpo sono controllatedal cervello, perché non control-lare anche il controllore? Sembra

che ci stiamo arrivando, in omaggio al-l’assunto che Bacone aveva intuito quat-tro secoli fa, agli albori della scienza mo-derna, quando disse: «Il sapere è potere».

E l’idea di poter controllare tutto, vitae morte, salute e malattia, vulnerabilitàe invulnerabilità, l’idea di poter antici-pare gli eventi, sondare le preferenze,scomporre la vita emotiva nelle suecomponenti elementari, onde poterlemeglio manipolare è un puro piacere dipotere, di cui la tecnoscienza pare si siainnamorata e, nella sua euforia vertigi-nosa, non abbia timore di utilizzare an-che l’uomo come materia prima.

Eppure Aristotele ci ricorda: «Chi nonconosce il suo limite ha da temere il de-stino». Un avvertimento questo che ri-suona in perfetta sintonia col messag-gio giudaico-cristiano, dove Iddio met-te in guardia dall’aver troppa confiden-za con l’albero della conoscenza. L’Oc-cidente, che è nato da queste due matri-ci, ha dimenticato il monito, e siavventura in quell’esercizio di potereche spoetizza l’anima.

Ma cosa teme il pensiero occidenta-le per sviluppare queste strategie dicontrollo? Nietzsche prova a risponde-re in un suo frammento del 1885: «Lapaura dell’incalcolabile come istintosegreto della scienza». Ciò vuol dire chepiù il nostro pensiero è ridotto a calco-lo e più non si appassiona al sorpren-dente, all’imprevisto, all’emozionante.È un pensiero che ama la previsione,che vuole esercitare quel controllo dicui la regolarità della macchina è il mo-dello che guarda all’imprevedibilitàumana, vera anima della storia, comead una archeologia.

«L’uomo è antiquato», recita GüntherAnders, e guarda la distanza che ancoralo separa dalla macchina con una certa«vergogna». Prometeo, che aveva dona-to agli uomini la tecnica e che per que-sta ragione il mito greco l’aveva incate-nato, oggi è scatenato. Ma da questaeuforia del sogno faustiano l’uomo ri-schia di risvegliarsi in un mondo freddoe assediato, dove non è più la natura, mail potere conseguito per dominarla a mi-nacciare l’individuo e la specie.

In questa condizione, in cui la cono-scenza della natura è diventata più peri-colosa di quanto un tempo la naturanon lo fosse per l’uomo, sorge inquie-tante la domanda se all’uomo è riserva-ta ancora una storia che porti ancoradentro di sé dell’imprevedibile, o se ciòche il futuro ci riserva è solo la regolaritàdella previsione, dove il «non ancora» siinabissa in un terribile «non più».

Se così fosse ci verremmo a trovare inuna condizione analoga a quella de-scritta da Günter Anders in quel «rac-conto per bambini» dove si narra que-sta storia: Il re non vedeva di buon oc-chio che suo figlio, abbandonando lestrade controllate, si aggirasse per lecampagne per formarsi un giudizio sulmondo; perciò gli regalò carrozza e ca-valli: «Ora non hai più bisogno di anda-re a piedi», furono le sue parole. «Oranon ti è più consentito di farlo», era il lo-ro significato. «Ora non puoi più farlo»,fu il loro effetto.

Se questo dovesse essere l’esito ulti-mo del nostro sapere dovremmo inco-minciare a chiederci se l’eccesso di co-noscenza alla fine non costituisca un li-mite alla nostra libertà, che forse non èmai scesa dal cielo per conferire dignitàall’uomo, ma è scaturita dall’anarchiadel nostro cervello, finché questo sapràsottrarsi alle sonde (e ai sondaggi) chevogliono omologarlo.

CortecciaÈ la parte più esterna delcervello, formata da uno stratodi sostanza grigia di spessorevariabile da 1.5 a 4 millimetri.Le cellulee nervose sonodisposte su sei strati egovernano funzioni avanzatecome quelle motorie,associative o sensoriali.Ognuno dei due emisferi èsuddiviso in quattro lobi,specializzati in diversefunzioni (immagine sopra). Nella corteccia motoria dellobo frontale (immagine disinistra), parti attive del corpocome la mano e la facciaoccupano le zone più ampie

DuraRivestimentocoriaceodel cervello

Piano temporaleÈ coinvolto nella comprensione del linguaggio. Nella maggior parte dei cervelli sani, è più grandenell'emisfero sinistro

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

IL MICROCHIPSOTTO LA PELLEÈ il metodo piùpreoccupanteper la privacy:il VeriChip PersonalIdentification Systemdella Applied Digitalè un microprocessoregrande comeun chicco di riso chesi impianta sotto pellee trasmette datidi identificazionein radio frequenzaad appositi lettori.Come spieganoi produttori, èvirtualmenteindistruttibilee impossibileda scoprire. Nesarebbero già statiimpiantati oltre mille

I RAGGI XA TRE DIMENSIONILo scanner olograficosviluppato nei PacificNorthwest NationalLaboratorydel dipartimentodell’energia Usaè una versioneinnocua dei raggi Xche utilizza onderadio ad altissimafrequenza (comequelle dei radare dei satelliti)per penetrare sottoi vestiti, producendoin 10 secondi circaun’immaginetridimensionale delcorpo che individuaanche armi nonmetalliche o esplosivial plastico

GLI ESAMISULLA VOCEPoiché la vocee il modo di parlaredi ognuno di noilasciano una “firma”unica e inconfondibile(che non può esserecontraffatta nérubata) si vannorapidamentediffondendo i sistemidi analisie identificazionevocale. Che possonoessere usati ancheper scoprirei malfattori: c’è infattiuna stretta relazionetra lo stressprovocato dal mentiree la modulazionedi frequenzadella voce

IL RICONOSCIMENTODELL’IRIDECon 266 diversecaratteristichemisurabili, l’iridedell’occhio è unodei tratti fisiciindividuali più facilida distinguere.In meno di 3 secondi,le macchineper la verificadell’iride (che vedonoanche attraverso lentia contatto e occhialida sole) effettuanouna scansioneper identificareil “codice” dell’iridee lo confrontanocon quelli conservatinella banca dati,con un marginedi errore dello 0,1%

GLI ARCHIVIDEL DNAAlla fine del 1999negli Stati Uniti eranoconservati 307 milionidi campioni di sanguee tessuti umani,raccolti a scopomedico, di ricerca,per indaginigiudiziarie ma ancheper usi commerciali.Ogni anno se neaggiungono 20milioni. In particolare,sono in aumentole banche datiche conservanole sequenze di Dna,che non contengonosolo informazionicruciali sull’individuoma anche sulla suafamiglia

LE NUOVEIMPRONTE DIGITALIPassati i tempidel tamponeinchiostrato,oggi c’è il fingerscanning elettronico.Come sa bene chi havisitato gli Stati Unitidopo il 1° ottobre,in meno di 15 secondiun lettore otticofotografai polpastrelli,codifica l’impronta,traducendolain numeri chela rappresentano,e la spediscea un databaseinsieme agli altri datibiometricieventualmenteregistrati

Cinque anni fa, i giornali di tuttoil mondo riportarono con mol-ta evidenza la notizia della na-scita dei Doogies, un ceppo di

“supertopi” che l’aggiunta di un geneextra aveva dotato di più memoria, piùrapidità nella soluzione dei test, piùcapacità di imparare. Topi, insomma,la cui intelligenza era stata aumentataartificialmente, e che nelle speranzedei loro creatori erano appena un as-saggio del vero piatto forte: il potenzia-mento del cervello umano.

Messa in moto dagli eccezionali pro-gressi degli ultimi anni nelle cono-scenze sul cervello e il suo funziona-mento, la ricerca di metodi e sostanzeper migliorare le capacità cognitive og-gi è diventata un settore di punta, in cuisi fanno concorrenza grandi case far-maceutiche e piccoli laboratori d’a-vanguardia. Alla base, c’è il tentativo di

stimolare a comando quello che, si èscoperto, il cervello adulto sa già fareda sé, e cioè modificare, anche in baseall’esperienza, il modo in cui sono con-nessi tra loro i neuroni, generandonepersino di nuovi.

Ed ecco gli studi per la realizzazionedi farmaci che stimolino la neurogene-si: per recuperare la memoria danneg-giata dall’età o da malattie comel’Alzheimer, ma anche (forse) permandare a mente in un giorno quel cheun cervello normale impiega un mesead imparare. Ecco l’indagine su so-stanze che influenzano il processo concui i neuroni immagazzinano i ricordi:ancora una volta per la cura di malattiedegenerative delle funzioni cerebralima anche (chissà) per superare tre esa-mi in tre giorni. Ecco insomma la cac-cia a quello che qualcuno ha chiamato“il Viagra del cervello”, la pillola per di-

ventare più perspicaci, lucidi e intel-lettualmente brillanti. Pensata per imalati, ma potenzialmente adatta adessere usata anche dalle persone sane.

Le ricerche non hanno solo l’obietti-vo di progettare, sperimentare e met-tere in circolazione nuovi farmaci. Unsettore considerato promettente met-te insieme terapia genica e trapiantocellulare per stimolare i fattori di cre-scita in regioni specifiche del cervello.

Anche le citatissime cellule staminalipotrebbero scendere in campo: poi-ché da esse derivano tutti i tipi di cellu-le del corpo, perché non provare ausarle per conquistare qualche neuro-ne in più? C’è anche la stimolazionetranscranica, una tecnica che sfrutta icampi magnetici per agire su aree spe-cifiche cerebrali. Ha dato buona provanella cura della depressione, ma qual-cuno sta cercando di capire se sarebbe

possibile usarla per costruire un “elmomentale” che, una volta indossato, in-crementi immediatamente le capacitàcognitive.

Queste ricerche, comunque, sonoancora miglia e miglia lontane dallarealizzazione di prodotti concreti ecommerciabili, così come è ancoralontana dal tradursi in realtà la più fan-tascientifica delle tecniche di dopingmentale, e cioè potenziare il cervelloimpiantandovi microchip, magari in-terfacciabili con un supercomputer. Èil sogno (o l’incubo?) dell’uomo bioni-co, una delle possibili evoluzioni im-maginate da scienziati e scrittori per laspecie umana. Che dopo essere final-mente riuscita a guardare dentro ilproprio cervello, difficilmente resi-sterà alla tendenza innata di cercare dicambiarlo.

(c.d.g.)

Nella foto qui a sinistra,l’ingrandimentoin laboratorio di un neuronedel midollo spinale

La vista

Il pensiero

OCCHI CHIUSI

OCCHIAPERTI

SCENACOMPLESSA

Qui sotto, le aree del cervello che entrano in funzione a secondadelle attività cognitive. Le immagini sono elaborate da uno scanner Pet (tomografia a emissione di positroni)

SOGGETTO CON ALZHEIMER

SOGGETTO ANZIANO NORMALE

IL CORPO SENZA SEGRETI

Il Viagra del cervellocade anche l’ultimo tabù

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i sapori46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Vino delle festeUna mostra di vecchi manifesti pubblicitari, in rassegna a Trento,celebra il vino da brindisi che ha segnato la nostra storia E che oggi, affinato e corretto, sa farsi apprezzare dai sommelierpiù esigenti. Soprattutto in questo periodo dell’anno in cui i Franciacorta, i Trentini e i Moscati vengono scelti dal 70 per cento degli italiani per i cenoni delle feste

Diceva Madame de Pompadour che lochampagne è l’unico vino capace di ren-der belle le donne. Ma anche lo spuman-te non scherza: basta scorrere i volti e legrazie delle signorine abbinate alle no-stre bollicine nelle 50 affiche d’epoca in

mostra al Palazzo Roccabruna di Trento fino a metà gen-naio (apertura dalle 10 alle 19, escluso lunedì, ingressogratuito, informazione sul sito www.roccabruna.it).

Sognatrici, intriganti, soavi, inarrivabili e tentatrici:

insomma, tutto quanto a inizio ‘900 rappresentava ladonna nell’immaginario dei clienti dello “champagneitaliano”. Perché questo era il messaggio delle bollici-ne: eleganza e trasgressione, mondanità e follia.

È ancora così? Sembrerebbe di no, se è vero che lalinea depressa dei consumi di vino nell’ultimo de-cennio ha negli spumanti un guizzo di vitalità. Nebeviamo sempre di più (il consumo è cresciuto del 6per cento solo negli ultimi due anni) e sempre piùvolentieri, anche se quella contro gli stereotipi tipo“il vino dei brindisi” o “lo champagne di serie B” èuna lotta ancora in salita.

Certo, all’inizio la coppa, fino a ieri la flute e oggi il

“tulipano”, già da soli simboleggiano la festa, l’immi-nenza di un brindisi, la trasgressione di una bottigliaquasi mai dal prezzo ordinario. E se il consumo è fuo-ri dall’ordinario come occasione (70 per cento tra di-cembre e gennaio), allora anche la qualità deve esse-re “altra”. Da questo punto di vista, lo champagnenon ha rivali, almeno nella classifica ideale dei lussi.

I manifesti della mostra trentina, al riguardo, so-no chiarissimi: da Cinzano a Gancia, da Asti a Ricca-donna, per quasi un secolo intero ci siamo cullati nelsogno di fare concorrenza agli eredi del monaco be-nedettino Dom Perignon, che più di tre secoli fa nel-la cantina—antro dietro la sua cella aveva scoperto

i segreti della rifermentazione in bottiglia. Per fortuna, abbiamo imparato il piacere della di-

versità. E i nostri spumanti, pur continuando a cam-biare denominazione, per non urtare francesi e vi-cini di territorio assai suscettibili (aboliti i terminichampenois e perfino spumante), oggi sanno farsiapprezzare, bere e godere, a prescindere da brindi-si e donnine.

Per carità, alzi la mano chi non pensa di chiuderela porta del 2004 senza il supertradizionale botto (dabottiglia non correttamente raffreddata o aperturapiù o meno volutamente maldestra…). Però picco-li cultori di spumante crescono. E insieme a loro gli

Undicembre tutto da bereSpumante

Patrizia Ucci, salernitana trapiantata a Bergamo, è una profondaconoscitrice di vini. Sommelier, da molti anni organizza laboratori del gusto in Lombardia. Consulente di ristoranti per le carte dei vini, collabora alla Guida delle Osteried’Italia e alla Guida del Vino Quotidianoentrambe edite da Slow Food

itinerariTrentino

Piemonte

FranciacortaTRA LA VALLAGARINA E IL BRENTAI percorsi-culto per enogastrosapientisono tre. Il primo indaga le ricchezzealimentari della Vallagarina, tra campi(molti a coltivazione biologica) e vigneti.E’ questa l'area di produzione delMarzemino, rosso autoctono per eccellenza. In quota, vale la pena di raggiungere le malghe dell'altipiano di Brentonico e far provvista di formaggi. La riva trentina del Garda, invece, va percorsa per godersi, insieme al paesaggio, gli extravergini e le celebri susine di Dro. L'aperitivo del luogo è la Nosiola(altro autoctono, questa volta bianco). Se invece volete sapere tutto sulle mele, spostatevi

a nord, lungo le valli di Non e di Sole. Per le passeggiate in zona, solo l'imbarazzo della scelta, tra i parchi naturalidell'Adamello-Brenta e dello Stelvio.

IL RISTORANTEALGA PANNA, Via Costalunga 56 Moena (Trento). Telefono: 0462-573489. Chiude il lunedì (dicembre sempre aperto).Menu da 50 euro, vini esclusi.

L’ALBERGOCASTEL PERGINE, Via del Castello 10, Pergine Valsugana (Trento).Camera doppia e colazione da 96 euro.

IL NEGOZIOSALUMERIA FRANCESCHINI, via Mantova 28 (Trento). Telefono: 0463-468388.

LE CANTINEFRATELLI DORIGATI, via Dante 5, Mezzocorona (Trento). Telefono: 0461-605313. Vino di punta: Diedri 2001FORADORI, via Damiano Chiesa 1, Mezzolombardo (Trento). Telefono: 0461-601046. Vino di punta: Granato 2002.

VILLE STORICHE, VIGNETI E COLLINELa Franciacorta non è solo vigneti, maanche cultura e natura. Tra ‘700 e ‘800,infatti, la zona collinare tra Bergamo eBrescia divenne uno dei luoghi di dimoraestiva dei nobili lombardi: una sceltatradotta in numerose, bellissime ville che punteggiano la campagna,alcune delle quali sono diventate sontuose sedi di alcune tra le piùprestigiose aziende vinicole, da Barone Pizzini a Monterossa, giù giùfino alla famiglia Antinori, che ha scelto Villa Maggi come sede di produzione delle “bollicine” Montenisa. Per fare pace con occhi e cuore raggiungete il parco naturale delle Torbiere, oasi faunisticanata sui vecchi insediamenti delle estrazioni di torba.

IL RISTORANTE LE DUE COLOMBE, Via Roma 1, Rovato (Brescia). Telefono: 030- 7721534. Chiuso domenica sera e lunedì. Menu a partire da 55 euro, vini esclusi.

L’ALBERGO RELAIS FRANCIACORTA, Via Manzoni29, Colombaro di CorteFranca (Brescia). Telefono: 030-9884234. Camera doppia con colazione a partire da 150 euro.

IL NEGOZIOMACELLERIA LANCINI, via Castello 40, Rovato. Telefono: 030- 7240228.

LE CANTINEGIUSEPPE PECIS, via San Pietro 30, Cazzago San Martino(Brescia). Telefono: 035-912448. Vino di punta: terre di Franciacorta bianco 2003ANTICA CANTNA FRATTA, via Fontana 11, Monticelli Brusati(Brescia). Telefono: 030-652068. Vino di punta: Rosso Curtefranca 2002.

NELLE TERRE DEL MOSCATOIl vino da dolci per antonomasia, ma anche quello della trasgressione alcolica per ragazzini e astemi, dato il suo bassotenore alcolico (intorno ai sei gradi). La sua spuma caratteristica è dovutaall'imbottigliamento precoce rispetto alla completa trasformazionedegli zuccheri in alcol. Questa è anche la differenza maggiorerispetto al “gemello” Asti Spumante. La produzione comprendele province di Asti, Cuneo e Alessandria, territorio vasto in cui abbondano enoteche e spacci aziendali.

LE ENOTECHEDA AUDISIO, in via Cavour 83, Asti. Telefono 0141 43626) o alla BOTTEGA DEI VINI DI NEIVE (Cuneo), in Piazza Italia.Telefono 0173 67004.

LICIA GRANELLO

CA’ DEL BOSCODosage 0 2000L’ennesimo gioiellodi un grandeproduttore:superaffinamento inbottiglia (oltre 3 anni)e nessuna aggiuntadi sciroppo didosaggio. Sugliscaffali a partireda 27 euro

BELLAVISTA BRUTRosé Gran Cuvée 2000. I proprietari sono gli stessi del sontuoso Relais L’Albereta, con ristorante diGualtiero Marchesiannesso. Il vino è adeguato:elegante,profumato,preziosoDa 50 euroin su

FERRARI RISERVARiserva del fondatoreGiulio Ferrari 1995Dall’azienda-cultodelle bollicinetrentine, una bottigliamagistrale percomplessità,eleganza, armoniaInsomma, unavera chicca. Sugli scaffali dai 54 euro

CESARINI SFORZATrento: Brut TalentoMetodo Classico2000. Chardonnaye Pinot Neroassemblati per unabottiglia dal saporepieno e intenso. A partire da 12 euroBARONE PIZZINI

Franciacorta SatènBlanc de Blancs2000. Quando la finezza del satèncoincide conpersonalità evigore. L’aziendaha terminato da pocola conversioneal biologico.Sugli scaffalida 23 euro

CAVIT ALTE MASIRiserva Graal 1995Oltre 5.000 viticoltorialle spalle di questebollicine, fioreall’occhiello dellasupercantina socialeche ha la sua basea Trento, morbide,fruttate, suadentiDai 23 euro in su

LE ETICHETTE IMPERDIBILI

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Evitiamo due luoghi comuni. Il pri-mo è l’annosa e provinciale querel-le circa la superiorità dello Cham-pagne rispetto agli spumanti italia-

ni. Il secondo è dimenticare che lo spu-mante è un vino dalle caratteristiche parti-colari, ma pur sempre un vino, da berequindi non solo durante le feste o nelle ri-correnze.

Prima questione: qual è migliore?Risposta ovvia. Bisogna assaggiare,capire e giudicare, senza interrogarsi apriori sull’origine geografica dell’eti-chetta. Oltre a tanti tipi di spumanti —da quelli fruttati e fragranti ottenuti col“metodo italiano”, come il Prosecco diValdobbiadene e Conegliano, alle su-perselezioni e riserve millesimate diChampagne che hanno corpo e strut-tura imponenti come vini rossi, pas-sando per tante ottime cuvée “senzaannata”, “metodo classico”, francesi,trentine, di Franciacorta o dell’Ol-trepò Pavese — fra le centinaia di mi-lioni di bottiglie che ogni anno arriva-no sui mercati ormai da tutto il mondo,c’è l’infame, c’è il mediocre, il buono el’ottimo, con etichette francesi e conetichette italiane; poi ci sono i fuori-classe, le bottiglie inarrivabili che, ahi-noi, sono soltanto francesi, perché so-lo nella Champagne la storia, la tradi-zione, la cultura si sono accumulatenei secoli e non si comprano né si crea-no, al contrario delle tecniche e delleesperienze, che si possono procurare esviluppare. Valgono, in ogni caso, ilgiudizio e il gusto del consumatore,che discerne il “buono”dal “cattivo”, senza far-si affascinare da eti-chette e marchi chespesso danno meno diquanto promettano.

È fastidioso ammet-terlo, ma la scala deiprezzi, dai negoziantiseri, resta un indicatoreimportante: mai delu-sioni da un Krug Collec-tion, da un BollingerVieilles vignes françai-ses, da un Cristal rosè,da un Dom PérignonOenothèque, da un Sa-lon, da un TaittingerComtes de Champa-gne, da un Paillard Npu,da una Cuvée Louise diPommery, da un Réser-ve Charlie di CharlesHeidsieck, da un GiulioFerrari Riserva del Fon-datore, da un Franciacorta AnnamariaClementi… Ma anche grande piacereda tanti Prosecchi, Cartizze, e Moscatiper palati e portafogli di minori prete-se e dai Franciacorta che, mediamen-te, si collocano su una fascia qualitati-va alta, certo non inferiore alla mag-gioranza degli Champagne e molto su-periore ai Cava spagnoli.

Insomma, a ciascuno il suo. Ma, at-tenzione è ora di imparare a con-

sumare bollicine tutto l’anno eanche a tavola. Non è affattostravagante l’abitudine di ac-

compagnare un intero pranzoabbinando a ogni portata le “bol-

licine” che meglio si sposano coni piatti. D’altronde la gamma degli

spumanti è amplissima, per fre-schezza, per acidità e per struttura,

ma soprattutto per età e composizio-ne della cuvée (solo chardonnay, solopinot noir, o entrambi con più o menopinot meunier, oppure prosecco, mo-scato, pinot bianco e grigio nei “meto-do italiano”).

Vale infatti per tutti i buoni spumanti enon solo per lo Champagne, che l’ha codi-ficata, la classificazione fra “bollicine dicorpo”, “di cuore”, “di spirito” e “d’ani-ma”, cui corrispondono vini di caratteristi-che e ipotesi di matrimonio differenti: unospumante “d’anima”, complesso, maturoe ricco, una cuvée speciale, color oro e per-lage finissimo, per accogliere l’ospite; unospumante “di spirito”, vivace, delicato, peresempio un blanc de blancs piuttosto gio-vane, per accompagnare un antipasto abase di crostacei o di pesce; uno “di corpo”,vinoso, pieno, dal sapore deciso, per il piat-to principale sia di carne o pesce in salsa; lamorbidezza, la rotondità, la soavità pun-gente d’uno spumante “di cuore” come unrosè, per concludere con un dolce di cremae vaniglia, miele o torrone, frutta cotta o ca-ramellata, frutti rossi e pasta frolla.

Non solo brindisiperfetto a tavola

L’esperto

ENZO VIZZARI

chef di nuova generazione, che tra cotture allegge-rite e contaminazioni etniche, fanno sempre più fa-tica ad abbinare vini dalle spalle larghe ai loro piat-ti. Ma più di tutti, negli anni, sono cresciuti i pro-duttori, figli di aree vocate, ma non sempre gestite ecurate al meglio (come invece succede nelle colte vi-gne dello champagne…).

Del resto, fare un buon spumante è discretamentefaticoso. Un virtuale Bignami degli spumanti ci ram-menterebbe che il vino di partenza, ottenuto da unao più uve tra le tre tipologie del disciplinare (char-donnay, Pinot meunier, Pinot nero), è messo in spe-ciali bottiglie resistenti alla pressione interna, con ag-

giunta di lieviti selezionati. Il tappo è a corona. Dopola rifermentazione, che può durare anche anni, lebottiglie sono sistemate in particolari rastrelliere (le“pupitres”). Dalla posizione orizzontale, giorno do-po giorno, le bottiglie vengono inclinate fino a quan-do, raggiunta quella verticale (con i residui vicino altappo), vengono sboccate (degorgement), ricolmatee chiuse con tappo di sughero e gabbietta.

Da lì in poi, l’unico imbarazzo è quello della scel-ta, tra Brut, millesimati (prodotti solo in annate feli-ci da uve di quella vendemmia), Satén (versionefranciacortina dei Cremant francesi, ovvero i piùdelicati dei Blanc de Blancs, realizzati da sole uve

Chardonnay), rosé e i riemersi Dosage Zéro, in cuimanca il liquido di ricolmatura.

Se qualcosa non vi è chiaro, fino al 19 dicembre,potrete degustare gli spumanti — tra un manifestoe l’altro di Palazzo Roccabruna — assistiti da som-melier esperti e pazienti. Oppure potete andare og-gi alla Città del Gusto di Roma, dov’è in programmauna grande degustazione delle migliori bollicineitaliane. E ricordate che la parola brindisi deriva dal-l’espressione tedesca di augurio: “bring dir’s”, tiporgo (il boccale di birra o il bicchiere di vino). Quin-di, trovate un amico di flute, coppa o tulip con cuigodervele. Cin cin.

Le bottigliedi spumanteprodotte ognianno in Italia

80 milioni

Le bottiglie di spumante bevute ogni anno in Italia

55 milioni

E’ la quotadi crescitadei consuminell'ultimo anno

4%

IL MANIFESTOLa rèclame degliSpumanti Cinzanoproposta da PlinioCodognato nel 1933La locandina è presentealla rassegna “Manifestidello spumante italiano”in programma a PalazzoRoccabruna, TrentoFino al 16 gennaio 2005

POJER & SANDRI

Extrabrut Cuvée99/00. Due soci e un’azienda celebreper i suoi vini fini e profumatissimi Il Metodo Classico,fresco, sapido, è un aperitivoirresistibile.Costa sui 27 euro

FRATELLI BERA

Moscato d’Asti Su Reimund 2003Produttori storicidel coté cuneese del moscato, Valter e Attilio Bera nondeludono mai con il loro vino di puntaDa bere… prima col naso. Sugli scaffalia 8 euro

MOSNEL BRUT

Millesimato 1999I giovani fratelliBarzanò hannorestituito prestigioed entusiasmoall’azienda di famiglia. Risultato:un vino fresco,piacevolissimo

LA MORANDINA

Moscato d’Asti 2003Giulio Morando è degno figlio di papàCorrado. Cremosoe fresco, il suomoscato riesceperfetto per i brindisi dolcidelle prossimesettimane. Dai 9 euro in su

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le tendenzeAnniversari

48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Centocinquant’anni fa Aaron Allen registrava il brevettodi una poltroncina leggera e trasportabile da utilizzarenelle sale pubbliche. Da allora centinaia di modelliin materiali diversi hanno invaso il mercatointernazionale e cambiato le nostre abitudini a casa e in ufficio. Ecco una carrellata delle nuove proposte

AURELIO MAGISTA’

Quando centocinquant’annifa Aaron Allen registrava ilbrevetto della poltroncinapieghevole per sale pubbli-che, probabilmente nonpensava che quell’oggetto

avrebbe sintetizzato in un meccani-smo tutto sommato banale un’impor-tante tappa dello sviluppo umano. Laconquista della stazione eretta, infat-ti, è una pietra miliare dell’evoluzione,come il pollice opposito per afferraregli oggetti. Alzarsi, per l’uomo, ha si-gnificato anche innalzarsi oltre quelliche fino a quel momento erano stati isuoi limiti, valicare una nuova frontie-ra nel possesso del mondo. Mentre lasedia o la poltrona sono semplici arre-di per stare a sedere, la poltroncina conla seduta pieghevole sintetizza sa-pientemente e celebra umilmente ildestino umano di migliorarsi. Conl’ulteriore vantaggio funzionale di ri-piegarsi per concedere spazio. Quellospazio che oggi, mentre le case costa-no sempre di più e i metri quadratiprocapite diventano sempre di meno,appare il primo bene domestico. Unrapido approfondimento suscita sor-presa: il semplice tema della sedia pie-ghevole ha prodotto nel tempo unavarietà di esiti impressionante per for-me e caratteristiche specifiche. Da unpunto di vista ergonomico la sediapieghevole non ha particolari caratte-ristiche «perché», dice Riccardo Tar-taglia, presidente della Società italia-na di ergonomia, «la pieghevole è fat-ta per permanenze brevi, e quindi èinadatta agli usi prolungati cui in ge-nere si applicano gli studi di carattereergonomico. È importante aggiunge-re che passare troppe ore seduti è dan-noso anche sulla sedia più ergonomi-ca. Ed è purtroppo quello che sta acca-

dendo con le abitudini di vita odierne.Stiamo sempre seduti, anche quandoviaggiamo. Da homo erectus, ci stiamotrasformando in homo sedens. Per itanti disturbi alla schiena l’unica verasoluzione è stare seduti di meno». Lasedia pieghevole, quindi, destinata ausi rapidi e improvvisati, ispirata alnomadismo anche domestico, si sin-tonizza con i nostri più attuali bisogni.

Un’altra conseguenza del fattoche da seduti si fa ormai quasi ditutto, lavorare al computer, scri-vere, leggere, mangiare, giocare acarte, guardare la tv, viaggiare, leforme delle sedie e delle poltronesviluppate per rispondere alle di-verse attività sono moltissime. Seaggiungiamo che il corpo di cia-scuno è fatto in modo diverso e haesigenze particolari, che i materia-li (per esempio il legno, l’acciaiotubolare, la plastica) influenzanole scelte formali in relazione allenecessità di produzione indu-striale, e infine che il progettista,ovvero il designer, inventa semprenuove forme con l’ambizione dicrearne di belle e originali, ne con-segue una incredibile varietà di se-die. Scoprirla, per esempio sfo-gliando 1000 chairs (edizione tri-lingue Taschen, 24,99 euro), puòessere molto divertente.

Tanto più che l’Italia, punto di ri-ferimento mondiale per il mobile,in questo è regina: nel solo distret-to industriale della sedia, 90 chilo-metri quadrati che insistono su 11comuni in provincia di Udine,vengono realizzati 44 milioni di se-die, circa l’80 per cento della pro-duzione italiana, il 50 di quella eu-ropea e circa un terzo di quellamondiale.

Nomade per natura,la seduta destinata all’usorapido si sintonizza coni bisogni dispazio di chi vive in grandi cittàma in piccoli appartamenti

Gae AulentiLa stazione ottocentesca di Parigidiventata sotto le sue mani il Muséed’Orsay (1980-86) è solo uno deiprestigiosi interventi che hannoreso Gae Aulenti architetto di famamondiale. Specializzata in designindustriale, interior design eurbanistica, ha disegnato nel ‘64 per Zanotta la pieghevole April. «Da un disegno tradizionale, macon materiali del tutto sperimentalie una funzionalità profondamentemoderna, è nata April. Una sedia

banale dopotutto, eppure lungimirante.Sta dentro e fuori, è piena ed è vuota, rompel’idea di uno spazio immobile. Nella fissità e stanzialità delle case borghesi dell’epoca, la pieghevole era una trasgressione e uncarico di futuro. Dalla porta principale ha fattoentrare trasformabilità e nomadismo». (a.re.)

Vico Magistretti Vico Magistretti è il decano dei designer italiani. Nella suaproduzione ci sono diverse sediepieghevoli. «Sì, ma non so qualericordo più volentieri. Preferiscocitare le ultime due, realizzate perCampeggi: Kenya e Africa. Nomiesotici ma design familiare. La prima,per esempio, mi è venuta in mente in Inghilterra, nazione di piogge e ombrelli. Infatti si chiude come unombrello. La sedia pieghevole è unoggetto generalmente economico,

umile, per sale riunioni, raduni, incontri, è un oggetto flessibile, che occupa poco spazio,nomade. Per le tante sedie pieghevoli hocercato di utilizzare materiali economici ereperibili, per esempio manici di scopa con tela.La pieghevole per antonomasia è quella daregista in legno e tela. È eccellente». (a.ma.)

GLI INNAMORATINel parco, Parigi 1938

NICK IKEALeggerissima, appendibile

VIRGOLA CSCCurvilinea, in polipropilene

FAUNO ARMANI CASASmontabile, in legno

XV SECOLOPer dame e cavalieri

MARK TWAINLo scrittore si rilassa, 1901

GENERALE GRANTIn campo, Virginia 1865

XIX SECOLOIn legno curvato, di Thonet

XVIII SECOLOUna rara pieghevole cinese

DELIA SCALADelia Scala Story, 1968

CARLOTTA FLEXFORMCon braccioli. Di Citterio

VIVA, CURVE E RETTEDi G8 Arredamenti

FRED ASTAIREIn una pausa di Funny Face

PABLO CASALSIl maestro con il violoncello

IMBOTTITA RAVELLOProdotta da poltrona Frau

GRILLO CALLIGARISDiventa una scaletta

La creativitàformato pieghevole

Sedie

IMPILABILI SALVASPAZIOLe sedie a incastro rappresentanouna diversa soluzione alla stessaesigenza di spazio e di versatilitàdelle sedie pieghevoli. Sopra,l’impilabile Amanda di Bonaldo.A destra, nella foto grande, AudreyHepburn sul set del film Sabrinadi Billy Wilder

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

UN UOMO, UN’IDEA

Il 5 dicembre 1854, proprio150 anni fa, Aaron Allen(nella foto) ottennea Boston il brevettoper la sua poltroncinapieghevole, che consentivaun passaggio più agevolenelle lunghe e strette file degli spettacoli di allora

THONET DA DONNA

Progettato da MichaelThonet nella Viennaottocentesca, il bastoneda passeggio apribileche diventa seggiolinoera usato anchedalla principessa SissiRiprodotto di recentein edizione limitata

OMBRELLO DA GOLF

Il golf, sport aggraziato checoniuga stile e comodità,contempla accessori comel’ombrello con manico che si apre a doppia ala:si appoggia l’ombrelloa terra e ci si siedead ammirare il giocatoredi turno sul green

Antonio CitterioNato a Milano dove vive e lavora, 54anni, Antonio Citterio è architetto e progettista noto soprattutto nel campo dell’industrial design. Ha collaborato con le maggioriaziende italiane e internazionali.Dolly è la sua pieghevoleinteramente in plastica prodottaper Kartell nel ‘98. «La sediapieghevole per me è l’infanzia. Mi ricorda la vacanza e il tempolibero, il cinema all’aperto d’estatee il pic nic in famiglia. E’ da questa

mia personale e lontana festività molto anniCinquanta che nasce Dolly. Ma come tutte le cose pieghevoli e riducibili, incontra il domestico contemporaneo nella richiestacrescente di flessibilità e movimento. Mi piacee piace quell’idea che trasmette di uno spazioche c’è e non c’è». (a.re.)

Enzo MariEnzo Mari, 72 anni, è uno dei maestri del design italiano. Uno dei più originali, ironici,polemici. Vive lavora e insegna aMilano. Ha progettato la sediapieghevole Cinecittà per la Magis di Motta di Livenza, Treviso.“Cinecittà è una rielaborazionedella sedia da regista, uno deimodelli classici di sedia pieghevole.In questo campo, nessuno inventaniente. Le pieghevoli sono 5000,tante ne ha censite una mia

studentessa, ma i modelli che funzionanosono due o tre. Cinecittà si distingue per resistenza e leggerezza. La struttura è di polipropilene caricato in fibra di vetro.Sedile e schienale sono in tessuto di nylonimpermeabilizzato. Si può utilizzare ancheall’aria aperta”. (a.be.)

MAGOO CSCVerde acido di tendenza

SELLIER LIGNE ROSETAsciutta, sobria, esemplare

MADRID VICEVERSALa classica in alluminio

CLARK GABLEL’attore su una pieghevole, ‘55

AFRICA CAMPEGGIFirmata Vico Magistretti

GLENN GOULDIl pianista e la pieghevole

PIÙ BONALDOA chiusura scorrevole

FELLINI E LA MASINAIn una vecchia foto sul set

CAMP RALPH LAURENIn pelle, da campeggio

GARY COOPERL’attore davanti casa, 1955

PLIA Di Piretti, è la più venduta

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50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 DICEMBRE 2004

Il segreto del successo? Dabambino non guardare latelevisione, spegnere la radio e nonandare mai al cinema. Passare le

giornate in bibliotecae girare il mondo conla fantasia. Il segretoper vendere novantamilioni di libri? Esiste.E il Signor Bestselleraccetta di svelarlo.Servono pazienza esudore. Semplice?No, visto che in tanti

seguono la ricetta del SignorBestseller e solo lui ci riesce

ILONDRA

l Signor Bestseller sostiene dinon avere segreti. «Scrivere unromanzo di successo è piuttostosemplice», dice Ken Follett, «ba-

sta trovare una buona idea e seguire de-terminate regole». Le rivelerebbe an-che a noi? «Certamente, tutti possonoprovarci». Ma non molti, è bene avver-tire l’aspirante romanziere, possonosperare di riuscirci altrettanto benequanto lui. In cifre: sedici romanzi inventicinque anni, sedici titoli in testaalle classifiche internazionali, novantamilioni di copie vendute nel mondo.L’autore di La cruna dell’ago, Il codiceRebecca, I pilastri della terra, per citarequalcuno dei più famosi, e di Nel bian-co, per citare l’ultimo pubblicato, ap-partiene al ristretto club dei campio-nissimi della narrativa popolare: spes-so guardati con disdegno dai critici,sempre amati e premiati dai lettori.Con Le Carré e Forsyth, è il gran mae-stro del thriller inglese. Un professioni-sta del successo commerciale. Uno chenon sbaglia mai un colpo. E a sentire luiè semplice, facile, un gioco da ragazzi,come se esistesse una formula magicaper fabbricare un bestseller dietro l’al-tro. «Una formula magica, direi di no»,replica divertito. «C’è un metodo, però.O almeno, io ho il mio».

Follett vive in Inghilterra, nella con-tea di Hertford, in una vecchia canoni-ca di campagna restaurata, insieme al-la seconda moglie, Barbara, dal 1997deputato del partito laburista alla ca-mera dei Comuni, e ai loro cinque figli.Visti la sua montagna di soldi e il suo ap-passionato impegno per la sinistra, iconservatori l’hanno ribattezzato“champagne socialist”; ma a parte chelo champagne gli piace davvero, le sueorigini sono ben lontane da qualsiasigenere di radicalismo, chic o meno. Na-

to a Cardiff, nel Galles, cinquantacin-que anni fa, da un padre ispettore delletasse e da una madre devotamente reli-giosa, da bambino non aveva nemme-no il permesso di guardare la televisio-ne, andare al cinema, ascoltare la radio:per distrarsi, gli restavano i libri della lo-cale biblioteca pubblica e la sua fanta-sia. Dopo le scuole, si iscrisse a filosofia,perché aveva la testa piena di domande:«Fu il mio primo involontario appren-distato da scrittore», ricorda. «La filoso-fia si occupa di questioni come: siamoseduti a tavola, ma la tavola esiste vera-mente? Un quesito in apparenza futile,ma che dal punto di vista filosofico va af-frontato seriamente. Scrivere un ro-manzo, in fondo, è la stessa cosa».

Il secondo apprendistato è la cartastampata: non sapendo che fare dellalaurea in filosofia, si iscrive a un corsodi giornalismo, viene assunto in ungiornale di provincia, il South WalesEchodi Cardiff, fa carriera, finisce all’E-vening News, aggressivo quotidianodella sera londinese, e viene messo a fa-re il cronista mondano. «Sognavograndi scoop politici, invece ero co-stretto ad occuparmi di soubrettine epettegolezzi»: perciò, dalla frustrazio-ne, di notte e nel fine settimana comin-cia a scrivere furiosamente romanzi.Dopo un po’ ne pubblica qualcuno,senza successo, ma un agente lettera-rio si convince che in lui ci sia qualcosadi buono e lo incoraggia a continuare.Finché un giorno Ken gli porta un dat-tiloscritto intitolato Eye of the needle,l’agente lo legge, e gli telefona subitoper consigliargli di cercarsi un buonconsulente fiscale: «Ne avrai presto bi-sogno, con tutte le tasse che dovrai pa-gare». Infatti: La cruna dell’ago vendedieci milioni di copie, e da quel mo-mento Ken Follett non ha più tolto ipanni dell’infallibile Signor Bestseller.

Dunque, questo suo metodo? «Sonoun grande pianificatore. Impiego unanno a preparare un romanzo e un al-tro anno a scriverlo. Sono mattiniero,perciò appena alzato, dopo colazione,mi metto alla scrivania e ci resto fino al-le quattro del pomeriggio. La sera, mirilasso e mi diverto in famiglia o con gliamici». Andiamo per ordine: UmbertoEco racconta che Il nome della rosa ènato da una singola idea, la visione diun monaco che viene assassinato. Co-me comincia, per lei, il processo creati-vo? «In modo analogo. Un’idea, un’im-magine. Presa da un articolo di giorna-le, da una trasmissione televisiva, dauna conversazione, da un altro libro,da una pubblicità, da qualcosa che hovisto per strada. Uno scrittore è semprea caccia dell’idea che mette in moto ilromanzo. Però quella è soltanto la pun-ta, la piccolissima punta, di un icebergsommerso che bisogna fare emergere.La prima idea vale due o tre scene. Perun romanzo, ce ne vogliono almenocinquanta o sessanta». E come si fa apescarle, a farle apparire tutte dal nul-la, queste idee? Con il “metodo”, ap-

trascorso circa un anno dall’idea origi-nale di partenza».

Cosa rimane da fare, a quel punto?«Scriverlo, il romanzo. Che è la partepiù complicata, ovviamente. È faciledire, nella stesura, che all’inizio del ter-zo capitolo il protagonista e un altropersonaggio si prendono a pugni. Maadesso devo dare vita a quella scena.Non basta più scrivere: i due si picchia-no. Una bella scazzottata deve durareun paio di pagine. Deve catturare l’at-tenzione del lettore. Deve diventarequalcosa di vero, tra due uomini veri, inuna vera stanza. E bisogna ottenere lostesso effetto per tutto il libro. La verasfida è lì. Dopo sei mesi, la prima bozzaè pronta. Ce ne metto altri sei a riscrive-re e correggere, rifacendo tutto da cimaa fondo, una, due, tre, tutte le volte cheè necessario. Sicchè, quando il roman-zo sarà davvero finito, saranno passatiall’incirca due anni».

Hemingway lo diceva con una battu-ta, più bella in inglese (per via della ri-ma) che in italiano: un buon romanzo èla somma di un dieci per cento di “in-spiration” (ispirazione) e di un novan-ta per cento di “perspiration” (sudore).Follett concorda? «Credo che ogniscrittore, ogni artista impegnato a crea-re, debba essere d’accordo. L’ispirazio-ne è la parte più piacevole, eccitante,esaltante. Tutto il resto è sudore dellafronte, fatica, duro lavoro, qualche vol-ta dolore. Un processo artigianale, unlavoro meticoloso, paziente, per lima-re, lucidare, abbellire più che si può. Seil risultato finale è soddisfacente, l’in-tero processo provoca più piacere chesofferenza. Ma uno scrittore non samai, da solo, se può essere soddisfattodel risultato. Può immaginarselo. Puòsperarci. La certezza, tuttavia, glieladaranno gli altri, i lettori. Se piace an-che allora, vuol dire che funziona».Tornando alla metafora di He-mingway, non si suda di meno, non si fameno fatica, col passare degli anni,man mano che cresce l’esperienza?«Oggi ho più fiducia nei miei mezzi,questo è vero. Dopo il successo di Lacruna dell’ago, ero terrorizzato di farecilecca con il secondo romanzo, men-tre adesso sento che c’è un metodo spe-rimentato, che mi sorregge. E, forse,anche se non spetta a me dirlo, ho im-parato a scrivere meglio. Ma sono di-ventato meno coraggioso. La trama diLa cruna dell’ago era poco convenzio-nale, il protagonista compare solo ametà della storia, il suo nemico, il “cat-tivo” per così dire, è una figura con-traddittoria, che affascina quasi quan-to e più del “buono”. Intendo dire chequando sei giovane e sconosciuto, è piùfacile violare le regole, anche perché tustesso non le conosci. Sei meno condi-zionato, e dunque più libero. Oggi sobenissimo cosa serve per confezionareun bestseller, conosco le regole a me-moria, e le seguo disciplinatamente».

Non c’è alcuna amarezza, alcun rim-pianto nella sua voce, mentre lo dice. Il

punto. Gentile, chiaro e conciso, comeun maestro davanti agli scolari, Follettlo spiega così, per filo e per segno:«Dapprima scrivo una singola frase, l’i-dea, l’immagine di partenza, su un fo-glio di carta. Poi ci aggiungo un’altrafrase, due, tre, fino ad avere un breveriassunto della storia che ho in testa,lungo diciamo tre o quattro paginette.Quindi da quella esile trama ricavoprofili dei personaggi principali, svoltenella narrazione, colpi di scena. Quan-do ho davanti a me trenta o quarantapagine, le faccio leggere a mia moglie,al mio agente, al mio editor, a qualchealtro amico del cui giudizio mi fido. Do-podichè riprendo a lavorarci, taglian-do, ritoccando, elaborando. Infine ini-zia la fase della ricerca, per sapere, cheso, come funziona esattamente un cer-to tipo di arma da fuoco, o la tempera-tura media in un certo paese in un cer-to periodo dell’anno, o i precedentistorici di un conflitto, e così via. Alla fi-ne ho una traccia completa del mio ro-manzo, tutto quanto succede in ognicapitolo, la descrizione sommaria diogni scena e di ogni personaggio. E sarà

plauso del pubblico e i diritti d’autore, èevidente, sono una lauta ricompensa.Possibile, però, che non gli dispiacciaquesta rinuncia alla libertà, alla speri-mentazione, alla continua ricerca distrade nuove? Possibile che non proviun pizzico di invidia per gli scrittori pre-si sul serio dalla critica, destinati allagloria dei premi letterari, magari candi-dati al premio Nobel? «Dico la verità:non mi dispiace. La mia ambizione èsempre stata quella di scrivere romanzipopolari, di intrattenere il pubblico:con uno stile chiaro, comprensibile datutti, con storie che avvincono, com-muovono, spaventano, senza confon-dere. È quello che so fare. Poi, per il miopiacere personale di lettore, adoro JaneAusten e Proust, ma riconoscendo chesono un’altra cosa rispetto a ciò che fac-cio io. Sebbene, nonostante tutto, sia-mo anche uguali. In fin dei conti abbia-mo entrambi, io e Proust, lo stesso com-pito: creare un mondo immaginario ecercare di trascinarci dentro il lettore».

E allora, lasciando stare MarcelProust, Ken Follett ha un ultimo consi-glio per chi sogna di imitare Ken Fol-lett? Un segreto del mestiere, grande opiccolo, da confessare ai suoi ammira-tori, agli scrittori che vendono un pu-gno di copie, alle legioni di aspirantiscrittori con un romanzo nel cassetto?«Be’, sì, un segreto ce l’ho, e lo rivelo vo-lentieri», ride. «Tutto quello che hodetto finora, l’idea di partenza, la sca-letta della trama, la fase di ricerca, lapianificazione metodica, l’ispirazionee il sudore, in realtà non basta. Ci vuo-le, in effetti, ci vuole pure un altro cru-ciale elemento: il perfezionismo. L’os-sessione di dare il meglio che hai, inogni riga, in ogni parola, in ogni aspet-to del tuo romanzo. Insomma, non ac-contentarsi mai del risultato. E aspet-tarsi che, anche se ce la metterai tutta,potrebbe lo stesso non essere abba-stanza». Lo sapevamo, accidenti, chenon era poi tanto semplice diventare ilSignor Bestseller.

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Ken Follett

l’incontroLezione di scrittura

Gli studi di filosofia,il lavoro in ungiornaledi provincia: tuttotorna utile alloscrittore. Ma èil perfezionismol’elementopiù prezioso

Lo scrittore inglese Ken Follett,l’uomo da 90 milioni di libri venduti

ENRICO FRANCESCHINI

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