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DOMENICA 27 MARZO 2011/NUMERO 319 D omenica La di Repubblica spettacoli Un altro ciak per la Casa Bianca CLAUDIA MORGOGLIONE e VITTORIO ZUCCONI cultura Le avventure di Jean-Jacques Sempé FABIO GAMBARO e TULLIO PERICOLI i sapori Alla riscoperta del vitigno italiano AMPELIO BUCCI e LICIA GRANELLO l’incontro Ascanio Celestini, storie di casa mia RODOLFO DI GIAMMARCO l’attualità Peppino Impastato, il caso non è chiuso ATTILIO BOLZONI e SALVO PALAZZOLO CHRISTOPHER ISHERWOOD 4 LUGLIO 1961 N on sono felice. Sono depresso, profondamente. Odio questa città e il suo clima. I rapporti con Don vanno male per la maggior parte del tempo. Lui sof- fre la mia presenza e in realtà vorrebbe che me ne andassi, ma sa che gli sarò d’aiuto per la mostra. È felice solo quan- do dipinge o disegna — sta sperimentando una tecnica pittorica interessantissima in bianco e nero. Non sono esattamente dispia- ciuto per me; piuttosto stanco di me. Hemingway è morto. È pro- babile che lo abbia fatto intenzionalmente, stanco di tutto all’im- provviso, anche della sua leggenda. Non c’è da stupirsi. Oggi capi- sco la melanconia senile. Ma non mi ci abbandonerò, credo. (segue nelle pagine successive) ALBERTO ARBASINO M entre i più classici e sempreverdi romanzetti di Christopher Isherwood vengono riproposti da Adelphi (Un uomo solo, La violetta del Prater...), Chatto & Windus presenta il secondo e finale grosso volume dei suoi Diari, 750 pagine, The Sixties. Dunque, gli anni Sessanta: quando lo si vedeva ogni mattina sulla “muscle bea- ch” di Santa Monica, giusto al termine di Sunset Boulevard. Pas- seggiando fiero e birichino col suo berrettino girato in una distesa di giovanottoni gay. E talvolta con una palla distrattamente fuori dal vecchio slip. A casa sua, lì accanto, ripeteva: «Non scrivo mai niente su qualcosa che non mi piace». (segue nelle pagine successive) La paura della morte, la stanchezza di vivere Nell’autoritratto dello scrittore la nascita del suo romanzo Diario di un uomo solo CHRISTOPHER ISHERWOOD FOTO DAN TUFFS/GETTY IMAGES Repubblica Nazionale

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DOMENICA 27MARZO 2011/NUMERO 319

DomenicaLa

di Repubblica

spettacoli

Un altro ciak per la Casa BiancaCLAUDIA MORGOGLIONE e VITTORIO ZUCCONI

cultura

Le avventure di Jean-Jacques SempéFABIO GAMBARO e TULLIO PERICOLI

i sapori

Alla riscoperta del vitigno italianoAMPELIO BUCCI e LICIA GRANELLO

l’incontro

Ascanio Celestini, storie di casa miaRODOLFO DI GIAMMARCO

l’attualità

Peppino Impastato, il caso non è chiusoATTILIO BOLZONI e SALVO PALAZZOLO

CHRISTOPHER ISHERWOOD

4 LUGLIO 1961

Non sono felice. Sono depresso, profondamente.Odio questa città e il suo clima. I rapporti con Donvanno male per la maggior parte del tempo. Lui sof-fre la mia presenza e in realtà vorrebbe che me ne

andassi, ma sa che gli sarò d’aiuto per la mostra. È felice solo quan-do dipinge o disegna — sta sperimentando una tecnica pittoricainteressantissima in bianco e nero. Non sono esattamente dispia-ciuto per me; piuttosto stanco di me. Hemingway è morto. È pro-babile che lo abbia fatto intenzionalmente, stanco di tutto all’im-provviso, anche della sua leggenda. Non c’è da stupirsi. Oggi capi-sco la melanconia senile. Ma non mi ci abbandonerò, credo.

(segue nelle pagine successive)

ALBERTO ARBASINO

Mentre i più classici e sempreverdi romanzetti diChristopher Isherwood vengono riproposti daAdelphi (Un uomo solo, La violetta del Prater...),Chatto & Windus presenta il secondo e finale

grosso volume dei suoi Diari, 750 pagine, The Sixties. Dunque, glianni Sessanta: quando lo si vedeva ogni mattina sulla “muscle bea-ch” di Santa Monica, giusto al termine di Sunset Boulevard. Pas-seggiando fiero e birichino col suo berrettino girato in una distesadi giovanottoni gay. E talvolta con una palla distrattamente fuoridal vecchio slip. A casa sua, lì accanto, ripeteva: «Non scrivo mainiente su qualcosa che non mi piace».

(segue nelle pagine successive)

La pauradella morte,la stanchezzadi vivereNell’autoritrattodello scrittorela nascitadel suo romanzo

Diario di un uomo soloCHRISTOPHER ISHERWOOD

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38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

la copertinaUn uomo solo

(segue dalla copertina)

Non abbandonerò Donanche se magari torneròin California e lo aspet-terò. So cosa devo fare:andare avanti con il Ra-makrishna e dedicarmi

alle umili occupazioni quotidiane. Or-mai sono di mezz’età e lento. Odio quan-do mi mettono fretta. Ha chiamato laBbcchiedendomi se potevo dire qualco-sa su Hemingway. No, ho risposto.

26 agosto 1962La mia aspettativa di vita oggi è di di-

ciassette anni. Ma sono ben consapevo-le che potrei morire da un momento al-l’altro. Quella aggressiva ragazza nerache ho conosciuto alla festa a Natale aNew York ha detto che sarei morto dopoaver scritto un altro libro (di grande suc-cesso), un anno o due dopo, credo abbiadetto. Ho paura della morte? Sì e no. Hoil terrore di perdere il controllo, sapendodi essere nella fase terminale della ma-lattia, sapendo che i medici e le infer-miere mi hanno in loro potere, nel loromondo crudele di antidolorifici insuffi-cienti. Ma ho anche fede. Credo che inqualche modo avrò un sostegno. Se maiesiste la vita dopo la morte. E per me è an-cora un po’ un se. Non grande però.

Non mi piace come invecchio. Ho il vi-so imbruttito dalla tensione, dal rancoree dalla libidine. Non è affatto bello. Vec-chio e brutto. E ho la pancetta nono-stante tutta la ginnastica. Devo domina-

re il mio rancore in qualche modo, mi lo-gora.

Odio Don? Solo la parte egoista di melo odia perché rompe l’incanto. Quandoriesco ad andare oltre questo mi fa dav-vero pena, perché sta soffrendo terribil-mente. Ancora non so se vuole lasciarmisul serio o che altro. E non credo lo sap-pia. Ieri sera era ubriaco e si è messo apiangere, nell’atelier, così forte che po-tevo sentirlo da casa. Sono andato da luie mi ha detto di lasciarlo solo, che gli an-dava di piangere. Ho avuto l’impressio-ne che fosse sul punto di crollare. Ma poi,stamattina, si è presentato con dei rega-li di compleanno con sopra una dedicagiocosa — due camicie, calzini bianchi,un cinturino per l’orologio e un bellissi-mo cavallo in miniatura, giapponese,bianco con finimenti arancio, verdi eoro.

10 settembreCon Don va male ma almeno abbia-

mo avuto un chiarimento l’altro giorno.Dovrei andar via, ovviamente, per qual-che mese e lasciarlo qui a ritrovare labussola. Non farlo significa costringerelui ad andar via, ed è sbagliato perché èlui che non si sente davvero a suo agio inquesta casa e ora che ha il suo atelier do-vrebbe essere libero di goderselo.

E poi perché non vado via? Perché micrea trambusto e non voglio lasciare la

mia casa e soprattutto i miei libri. Vogliostare qui e andare avanti col mio lavoro,ai miei ritmi. Posso lasciarlo solo ora, èchiaro, con molta più facilità di un tem-po; abbiamo più spazi privati. Ma nonabbastanza. La nostra vita insieme è tut-ta sbagliata e non so se si possa tornareindietro. [...]

18 maggio 1963Se devo scrivere il diario in questo pe-

riodo bisogna che resti molto aderenteai fatti. Altrimenti sarà un nauseante rac-contare me stesso. Sono tornato a casa inmacchina il quindici perché Don ha det-to che in fin dei conti non vuole venire aSan Francisco; perché non abbiamo lacasa dei Wells-Hamilton. [...]

Ieri ho fatto una corsa in centro da Ka-zanjian e gli ho comprato un anello conuno zaffiro australiano blu scuro. Que-sta mattina a colazione è scoppiato in la-crime dicendo che non poteva accettar-lo. Il nostro per lui è un rapporto impos-sibile. Io sono troppo possessivo. Nonregge l’idea di avermi attorno per altridieci anni o più a consumare tutta la suavita. Gli ho detto che sono assolutamen-te d’accordo. Se non funziona bisognadire basta. [...]

2 agostoGavin ha letto il romanzo e pare ap-

prezzarlo moltissimo. Ma lo preoccupal’identità di George. Ha la sensazioneche il modo di parlare di George e l’at-teggiamento che ha nei confronti delsuo lavoro del college siano talmentemiei personali che non lo si accetta co-me un personaggio a se stante. Può benessere. Ma non sono sicuro che si possa

fare qualcosa al riguardo. Forse sarà me-glio pubblicare il romanzo riconoscen-done i limiti piuttosto che cercare dicreare un George fittizio, del tutto con-vincente nella sua insulsaggine, finendoperò per perdere tutta la follia del perso-naggio.

A letto lunedì sera Don è rimasto a lun-go in silenzio. Pensavo si fosse addor-mentato. Poi all’improvviso mi ha chie-sto: «Che ne diresti di intitolarlo Un uo-mo solo?». Ho capito all’istante e da allo-ra non ho mai avuto dubbi al riguardo,ossia che è il titolo assolutamente idealeper il romanzo e che userò quello a me-no che non me lo rubino. [...]

30 novembreRiluttanza a scrivere sul ventidue, il

Black Friday, ma dovrei. Per ricordare.Don ed io eravamo ancora a letto, alleundici circa, perché la sera prima aveva-mo organizzato una cena d’addio perCecil Beaton (in partenza per New Yorke, da lì, per l’Inghilterra), c’erano anchePaul Wonner e Bill [Brown] e Jack Larsone Jim [Bridges], e avevamo fatto tardi. Te-lefonò Henry (ancora adesso ricordoche era lui — pare impossessarsi di tutto— intrufolandosi con la sua insensibilitàteutonica) per dire che avevano sparatoal presidente. Accendemmo la vecchiaradio di Harry Brown, che altrimenti nonusavamo mai, e ascoltammo dal letto le

notizie che si succedevano e che benpresto confermarono la morte.

Quando morì Roosevelt ero triste, mami dissi: bene, ci daranno un giorno li-bero. Stavolta era diverso. Solo orrore edisgusto. Quando ci penso mi torna inmente un soggiorno a Calcutta, quandonell’hotel cosiddetto di lusso da sotto ilgabinetto iniziò a trasudare una fanghi-glia nera. Si aveva la sensazione — perquanto dirlo possa suonare sensaziona-listico — che fosse un’opera del male dicui la nazione intera si era macchiata,tutti noi con il nostro odio.

Per Aldous [Huxley] fu il contrario.Presumo in parte perché non era colpanostra. Morì senza soffrire. Alla finechiese l’acido lisergico e gli fu sommini-strato. Era lucidissimo. Il giorno primaaveva terminato e rivisto un articolo suShakespeare e la religione che a detta diLaura è molto valido.

La domenica successiva Laura e Rose,la sorella di Maria, e la madre di Maria eil figlio di Rose, Siggy e Mattew Huxley ePeggy Kiskadden e altri, me incluso, an-dammo a fare una passeggiata verso lariserva — invece di celebrare il funerale.

La malattia, la crisi con il compagno Don,la California lisergica, il “Black Friday” in cui morirono Jfk e Aldous HuxleyEscono negli Stati Uniiti i diaridi Christopher Isherwood, scritti mentrelavorava al suo libro più difficile

RITRATTO D’ARTISTAChristopher

Isherwood posa

per il compagno

Don Bachardy

nei primi anni Ottanta

In copertina, il ritratto

dello scrittore

CHRISTOPHER ISHERWOOD

“Sto con tema sonoa single man”

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 27MARZO 2011

Fu un’idea di Matthew. Peggy ed io fum-mo educati ma non parlammo quasi [...].

Continuo a pensare: i libri ormai sonofiniti. Forse morirò presto, come ha pro-fetizzato quella ragazza di colore a NewYork. Se così non sarà, aspettiamo co-munque che questo orrore indiano siafinito e poi vediamo cosa porta. La vita vaavanti o si ferma. Se va avanti, le cosecambieranno per me.

Traduzione Emilia Benghi© 2010 Don Bachardy

(Ha collaborato Gabriele Pantucci)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Hollywood Vedantadei favolosi Sixties

ALBERTO ARBASINO

(segue dalla copertina)

«Non m’interessa. Perciò nonme ne occupo. Neanche unaparola. Meglio parlare solo

delle persone e cose che si amano, no?». E intanto descriveva A Single Man, che

stava componendo. «Non taglio mai.Semmai, allungo». In questi diari, scoprea un tratto che il protagonista del ro-manzo dovrebbe essere un anziano lamattina, un adulto a mezzogiorno, ungiovanotto verso sera, un bambino lanotte. Ma intanto componeva anche unimpegnativo libro su Ramakrishna, san-to avatar bengalese.

Pare ormai impressionante notare, inquesti Diarie in un Glossariodi oltre cen-to pagine di brevi biografie, la quantità dipersonaggi e amici allora viventi e fre-quentati ogni giorno. In una Californiaancora stupenda, però fissata intorno almondo del cinema. Dunque senza glispettacoli e le mostre e la musica tantofitti e brillanti a New York. Gli Stravinskij,gli Huxley, i vari Mann, Gerald Heard e icolleghi Auden e Vidal e Capote e Spen-der spesso lì, accanto a Tony Richardson,Cecil Beaton, Charles Laughton ed ElsaLanchester. E il meraviglioso stuntmanMike Steen, amico di Nicholas Ray e Ten-nessee Williams e William Inge e GavinLambert e molti altri, e generosamentedisponibili in vari posti giusti americanied europei. Da ultimo, nei primi anniSessanta, collaboratore del superpro-duttore Samuel Bronston per i kolossalcon Charlton Heston e Sophia Loren aMadrid, dove in un ricco attico ospitavail tremendissimo Gerald Hamilton, l’ori-ginario e autenticato Mr Norris di MrNorris se ne va. Già tanto descritto daIsherwood come lustro, unto, grassissi-mo e cattivissimo fin dai primi anniTrenta berlinesi. Uno di quegli elisabet-tiani ingordi e sfrenati che anche vec-chissimi stramangiano e strabevono.(Ma ormai andava a dormire presto,Mike e il suo amico gli preparavano del-le minestrine, poi uscivano nei locali).

Sospettoso e molto dispettoso. «Berli-no negli anni di Weimar era noiosissima!Locali chiusi, atmosfera da SalvationArmy, tutti a letto entro le nove!... Sem-mai, la vera follia inarrivabile ci fu solonell’inverno 1907/1908! Però nel 1909era già tutto finito!»... Si lasciava andareparlando di suoi progetti certamentefinti: un musical perfidissimo, BraganzaExtravaganza, sulla decadenza e finedelle dinastie portoghesi e brasiliane. E igiovanotti americani lo ascoltavano.(Come diceva Truman Capote: «Io cantoper la mia zuppa»).

Piuttosto imbarazzante, nei volumi-nosi diari di Isherwood, accanto ai moltinomi noti e illustri, appare la presenzacontinua di tanti “swami” indiani e ca-liforniani dai nomi pittoreschi: Prabha-vananda, Madhavananda, Ranganatha-nanda, Vidyatmananda, Vivekananda,Nikhilananda... Talvolta anglosassoniconvertiti alla filosofia e agli inni e ai ritiVedanta. E magari turbati davanti ai di-versi libri devozionali indù di Isherwood,sempre così impertinente su tutto; e poi,questa biografia del sant’uomo ottocen-tesco Ramakrishna, venerato e adoratoquale taumaturgico fondatore di vastis-simi ordini monastici indiani con predi-cazioni e meditazioni e propagande po-sitive e favorevoli con donazioni e istitu-ti e centri soprattutto presso Hollywood.

Con decenni di diari isherwoodianidevoti... Allora, chissà, confronti impos-sibili con i trimillenari sacrifici ed eb-brezze del Veda, nelle rielaborazioni di

Roberto Calasso con L’ardore? Dunque,slacciati da qualunque contempora-neità nelle pratiche e tempistiche quoti-diane? Così come si assisteva compuntiai Mahabarata inscenati da Peter Brookin certi scavi edilizi nel Quartiere Prati,rammentando quale modello di “auten-ticità” la sua Carmen all’Argentina. Viatutti i posti di platea; tutti giù per terra inpose di “lotus” intorno a un focherello. Ele voci della saggezza: «Qua seppoffà tut-to. I sedili, se ponno mette e se ponno to-glie». Con la musica di Bizet eseguita daun’orchestrina tipo Piazza San Marco.Altro show, rispetto alla Carmen di Ka-rajan alla Scala. Anche rispetto aiKathakali, di Bali, al lume delle torce per-ché non c’erano ancora l’elettricità e lemacchine, e non si pagava il bigliettonemmeno agli attigui teatrini delle om-bre.

Su Veda e Vedanta e i loro santoni,Isherwood compose varie pensose ope-re, anche in margine ad A Single Man, esempre frequentando gli Huxley e Stra-vinskij e badando al successo artistico emondano del suo amico Don Bachardy.Ma sempre trenta secoli separano l’ar-dore dei Veda di Calasso da questi traffi-ci californiani intorno al “carismatico”Gerarld Heard grande amico di AldousHuxley nelle iniziative pacifiste, nellepratiche ascetiche presso lo SwamiPrabhavananda, con fondazione dellacomunità monastica di Trabuco, poi ce-duta per insufficiente austerità a un’altraVedanta Society, ma continuando conHuxley gli esperimenti con mescalina edLsd. Eccellenti modelli per la narrativa ti-po macchina fotografica di Isherwood.Ne ha approfittato parecchio. Ma quan-ti poi saranno, infine, i veri e falsi guru?Anche i poeti beat Allen Ginsberg e PeterOrlovsky, di passaggio, cantano nenieindù sciogliendo le chiome a un pranzodi giovanotti dove un diciassettenneprodigio dispiega un rotolo che ha ese-guito sul Libro tibetano dei morti. E fini-sce con accuse reciproche di stregone-ria.

Nell’India vera e propria, gli swami ri-sultano arroganti e maleducatissimi fracomplessissimi gradi e voti di iniziazionie vari Senza Nome, Senza Forma e giubi-lei sanscriti. E diarree per i forestieri. Tor-nando a Santa Monica, però, rieccoGeorge Cukor, King Vidor, Jennifer Jo-nes, Anne Baxter, David Hockney, JanetGaynor, Natalie Wood, David Selznick,Shelley Winters, gli importanti produt-tori figli di Max Reinhardt o di BertholtViertel (sempre La violetta del Prater).Muore intanto Charles Laughton.

Letteratura e quotidianità si intreccia-no, molto naturalmente. Soliti pranzettiin casa con gli Stravinskij e gli Huxley. MaChristopher si ubriaca «terribly» tutte lesere, e così non ricorda niente. Forse siaddormentava, secondo Stravinskij.L’amico Bachardy è spesso di malumoreperché la sua carriera artistica non pro-cede malgrado le raccomandazioni illu-stri. Però si assoggetta alle cerimonie diiniziazione indù, con rituali di fiori, fuo-cherelli, incensi; e tuttavia dimentica isuoi mantra, che bisogna ripetere uncerto numero di volte su un apposito ro-sario.

(Come facevano le nostre vecchie zie.Ma ancora in un recentissimo Times Li-terary Supplement si dedicavano pagi-nate alle posizioni yoga già praticate cin-que millenni fa, e sviluppatesi come «in-dustria multimiliardaria» nell’Americad’oggi).

© Alberto Arbasino

© RIPRODUZIONE RISERVATA

‘‘Il nostro per lui è un rapporto impossibileIo sono troppo possessivoNon regge l’idea di avermi attornoper altri dieci anni o più a consumaretutta la sua vita. Gli ho dettoche sono assolutamente d’accordoSe non funziona bisogna dire basta

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40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

Cento passiLa notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, quella in cui il ragazzo di Cinisivenne ucciso, i carabinieri uscirono da casa sua con sacchi pienidi documenti. Ora, dai sotterranei del Palazzo di giustiziadi Palermo, qualcosa riemerge: alcune lettere, la lista della spesaper la festa di Radio Aut, le tessere Arci. Troppo poco rispettoai materiali sequestrati. E così i magistrati riaprono le indagini

SALVO PALAZZOLO

LE FOTOA sinistra Peppino Impastato nellacasa di Cinisi; in basso è con gli amicisulla neve (1968); nella foto grande(e in quella in basso a sinistra) vienefermato da un poliziotto a un corteocontro la guerra in Vietnam (1967);nelle due foto a colori la sede di Radio

Aut. Le foto sono state gentilmenteconcesse dalla “Casa memoria Felicia e Peppino Impastato”, Cinisi

I DOCUMENTIIn alto la lista dei tesserati al Circolo Arcidi Cinisi; l’elenco dei materialisequestrati dai carabinieri la nottedell’omicidio; una lettera scrittada Impastato sulle connivenzetra carabinieri e neofascisti

seppe». «Sequestro informale», una for-mula che ha poco di diritto. Qualche fo-glio dopo, ecco «l’elenco del materialeinformalmente sequestrato in occasio-ne del decesso di Impastato». Due foglisenza intestazione, senza firma, senzadata. Solo un elenco in 32 punti. Iniziacon: «Fotocopia di una lettera spedita aImpastato». Si conclude con: «StatutoCircolo Arci». Passando per lettere, vo-lantini e appunti per iniziative di RadioAut, il vero megafono di Peppino.

Eccole, le carte che erano dentro aisacchi neri. Saranno una cinquantina difogli, davvero pochi per stare nei cinquesacchi che Giovanni Impastato vide por-tare via. E poi questi fogli sono solo foto-copie annerite. Nel febbraio 2000, il pub-blico ministero Franca Imbergamo le ot-tenne dai carabinieri. I documenti eranosempre rimasti dentro la pratica “P-029542” del reparto operativo.

Adesso, Giovanni Impastato sta sfo-gliando le fotocopie nella redazione pa-lermitana di Repubblica. «È un ritrova-mento importante», dice. «Questa è lascrittura di Peppino — ora Giovanni sor-ride — qui annotava: “È vero che il 9 lu-glio il maresciallo si è incontrato col de-putato fascista e col criminale nazi-fa-scista?”». Tra le fotocopie spunta una let-tera di alcuni muratori: «Aveva organiz-zato un collettivo di edili», spiega Impa-

stato. Il fratello di Peppino continua asfogliare e trova delle lettere che eranodirette a lui: «Scrivevamo spesso ad al-cuni compagni conosciuti durante il ser-vizio militare, in Friuli». Ecco la fotoco-pia della copertina di un libro di Toni Ne-gri, edito da Feltrinelli: Il dominio e il sa-botaggio. «Lo comprammo durante unalicenza», ricorda Giovanni, che intantoha trovato un elenco del circolo Musicae cultura: «Ci sono i nomi dei ragazzi diallora — sorride — Questi documentifanno rivivere un movimento importan-

te». In alcune lettere è citato Ciro Noia,un attivista di Lotta Continua arrivato inSicilia con Mauro Rostagno. «Mi emo-ziona sfogliare queste carte. Sono con-vinto che c’è dell’altro, non so dove».

La prova che la lista ritrovata è da con-siderarsi incompleta è ancora fra le foto-copie. C’è un volantino che non è citatofra i 32 punti. Riguarda la strage alla ca-sermetta di Alcamo, che nel ’76 fece duemorti. Il volantino che adesso Giovannistringe fra le mani si intitola: «Provoca-torie perquisizioni dei carabinieri». Pep-

pino denunciava la «strategia della ten-sione». Giovanni Impastato è convintoche fra le carte mai ritrovate ci siano de-gli appunti importanti: «Probabilmente— dice — Peppino aveva scoperto le col-lusioni fra Badalamenti e alcuni carabi-nieri». Aggiunge: «Di certo, oggi sappia-mo che l’archivio di Peppino viene trat-tenuto in un palazzo delle istituzioni sul-la base di un atto illegittimo. È venuto ilmomento di farlo tornare a casa nostra,ormai casa della memoria».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

l’attualità

PALERMO

«Ècome se man-casse ancora unpezzo della vita

di Peppino — sussurra il fratello Giovan-ni — quella vita che era dentro le sue let-tere, i suoi volantini, i libri, i ciclostili: fu-rono portati via dalla nostra casa di Cini-si la notte dell’omicidio. Una decina dicarabinieri misero tutto dentro dei gran-di sacchi neri. Cinque, forse sei. Come sequei fogli fossero il corpo del reato. E daquella notte dell’8 maggio ’78 sonoscomparsi». Giovanni Impastato non hamai smesso di cercare l’archivio di suofratello. E insieme a lui l’hanno cercatogli amici di Peppino e i compagni delcentro Impastato. «Fra quelle carte c’è lachiave del mistero che ancora avvolgel’omicidio — sostiene Giovanni —. Subi-to le indagini furono depistate da espo-nenti delle istituzioni. Cosa si doveva na-scondere? Quali complicità della mafiaPeppino aveva scoper-to?».

So-no le stesse domande

che adesso si pongono il procuratoreaggiunto di Palermo Antonio Ingroia e ilsostituto Francesco Del Bene, che han-no appena aperto un fascicolo di accer-tamenti preliminari sui depistaggi ditrent’anni fa. Ancora una volta, dunque,la storia di Peppino Impastato riparte daquella casa che dista cento passi dallapalazzina che era il regno del capomafiaGaetano Badalamenti: da lì, i carabinie-ri iniziarono a indagare. Nel 2000, lacommissione antimafia presieduta daGiuseppe Lumia ha rilevato che fu dav-vero uno strano inizio di indagini, e hasegnato una traccia per arrivare all’ar-chivio scomparso di Impastato: riman-da al processo contro Badalamenti, con-dannato come mandante dell’omicidio.

Bisogna allora scendere nei sotterra-nei del Palazzo di giustizia di Palermoper provare ad andare oltre. È nel faldo-ne 4 bis del processo a don Tano l’indi-cazione che l’Antimafia aveva segnato, afutura memoria. Fra le righe di una laco-nica relazione di servizio del comandan-te del nucleo informativo è scritto: «1 giu-gno ’78. Controllo persone sospettate diappartenenza a gruppi eversivi. Si tra-smette l’elenco, sequestrato informal-mente nell’abitazione di Impastato Giu-

IL CASO IMPASTATO

L’archiviosegretodi Peppino

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 27MARZO 2011

Non solo mafia, trent’anni di depistaggiATTILIO BOLZONI

Cominciamodalla scena del crimine, cominciamo da lì per ricordare chela morte di Peppino non è ancora un caso chiuso. I binari, il “terrorista”steso in mezzo al suo sangue e ai frammenti della sua bomba. È la pri-

ma volta che la mafia usa l’esplosivo per un bersaglio facile, un ragazzo che sene va in giro di notte e da solo per le campagne di Cinisi. Niente armi corte perun agguato, il modo più semplice per uccidere. Niente lupara bianca, il mo-do più mafioso per lasciare la firma. No, per Peppino hanno scelto come am-biente la linea ferrata, fra le sue mani il tritolo. Il ritrovamento della vittima cheincolpa se stessa. Una scena del crimine molto militare.

Cominciando da lì — da quello che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi— qualcuno oggi ha il sospetto che a volere morto Peppino Impastato nonsia stato solo Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi che in Sicilia era una po-tenza e dal dopoguerra aveva regolato il traffico degli stupefacenti con l’A-merica. Troppo diversa quella tecnica omicidiaria. L’omicidio di mafia — siaesso “preventivo” o “dimostrativo”, quelli del primo tipo ordinati per elimi-nare un pericolo per l’organizzazione, quegli altri per produrre paura — ser-ve sempre a far capire a tutti chi è stato a volerlo. È la forza del segnale, del-l’avvertimento. «Gli omicidi di matrice mafiosa presentano caratteri strut-turali talmente singolari da costituire una categoria assolutamente autono-ma, non assimilabile ad alcun’altra nell’intero panorama criminale», vieneriportato in tutte le motivazioni delle sentenze delle corti di Assise del di-stretto giudiziario palermitano.

La scena del crimine inconsueta — quasi più da “operazione” che da ven-detta mafiosa — e poi un’inchiesta contraffatta per sostenere la tesi dell’at-tentato finito male. Con le indagini concentrate, sin dalle prime ore, esclusi-

vamente sulla ricerca di prove contro la vittima. Come in un verdetto già scrit-to: Peppino è stato “suicidato” subito. Da magistrati. Da carabinieri. Da testi-moni reticenti. Prove scomparse, indizi cancellati, le sue carte (come raccon-tiamo nell’articolo accanto) prelevate da uomini in divisa e mai più ritrovate.Un inquinamento investigativo a tutto campo, percepibile dai primi sopral-luoghi e dalle prime informative trasmesse alla procura della repubblica.

Troppo sproporzionato quel depistaggio per proteggere solo un mafioso— seppure un mafioso importante, di peso — come Badalamenti. C’era pro-babilmente qualcun altro da coprire a Cinisi, quella notte fra l’8 e il 9 maggio1978. Archiviato in più riprese come «omicidio a carico di ignoti» e poi piùvolte riesumato fino ad arrivare faticosamente alla condanna di don Tanocome mandante, il caso Impastato è uno di quei delitti siciliani dove s’intra-vede una “convergenza di interessi” fra Cosa Nostra e altri poteri. Qualcunovorrebbe ancora indagare, cercare, capire. Anche perché chi allora avevamanovrato (alcuni ufficiali dei carabinieri) per accreditare l’ipotesi dell’attoterroristico — escludendo categoricamente qualsiasi altra pista — oggi è sci-volato nelle investigazioni sulle trattative fra Stato e mafia all’ombra dellestragi siciliane del 1992.

L’inchiesta sulla morte di Peppino non è stata sepolta nei sotterranei del pa-lazzo di giustizia di Palermo solo per la tenacia e l’amore dei suoi compagni(come non ricordare le intuizioni di Umberto Santino, che in solitudine e perlungo tempo non ha mai abbandonato la speranza di scoprire la verità) e per ilavori della commissione parlamentare antimafia che nel 2000 ha svelato leprime mosse per lo sviamento delle indagini. A trentatré anni dall’uccisione diquel coraggioso ragazzo siciliano, forse è stata fatta giustizia solo a metà.

LA RIAPERTURAOra la Procura

di Palermo ha aperto

un fascicolo

di accertamenti

preliminari

sui presunti depistaggi

istituzionali

IL DELITTOLa notte dell’8 maggio

1978, sicari ancora ignoti

colpiscono Peppino

Impastato, poco fuori

Cinisi, e lo fanno

esplodere sui binari

della Palermo-Trapani

LE INDAGINII carabinieri parlano

di un attentato suicida

ma la denunce

dei compagni

di Peppino convincono

la magistratura

della tesi dell’omicidio

IL PROCESSONel ’96 Badalamenti

viene condannato

all'ergastolo come

mandante dell’omicidio

Il boss Vito Palazzolo

viene invece condannato

a trent’anni di carcere

I DEPISTAGGINel ’98 la relazione

della commissione

antimafia parla

di depistaggi

istituzionali

nelle prime indagini

sul caso Impastato

la storia

ATO

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Repubblica Nazionale

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Settantanove anni, oltre sessanta libri, disegnatore per riviste come“Paris Match” e “New Yorker”, la sua satira è sempre in bilico tra ironia,poesia e malinconia. Dal suo atelier di Parigi il creatore de “Le petit Nicolas”

parla del suo metodo, dell’ansia da foglio bianco, dell’importanza della revêrieE del libro che esce in Italia: “Racconta di quando ero povero e di un regalo che non ebbi mai”

CULTURA*42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

Officina

Ai bordi della vitaTULLIO PERICOLI

Idisegnidi Sempé non si guardano, vi si assiste. Come ad unospettacolo. Uno spettacolo che però sembra visto dal fine-strino di un treno. Come dalla ferrovia vediamo passare il

dietro delle case, un po’ dall’alto, da una certa distanza e pro-tetti dal vetro, così nei suoi disegni assistiamo alla vita degli al-tri, scoprendo quello che di solito tendiamo a non mostrare: og-getti svogliatamente conservati, passatempi oziosi, scarti e bio-grafie di cui ci vergogniamo un po’. Le storie di Sempé rivelanocosì le nostre segrete intimità. E lo spettacolo dei suoi disegni èquindi quello di un piccolo segreto svelato, che ci dice ciò chenon vorremmo essere e quello che preferiremmo non sapere diessere. Queste scene vanno guardate per frammenti: come nel-la pittura antica è bene cominciare dai bordi, perché i dettagliche danno senso al tutto sono nascosti lì, dietro una siepe, al dilà di un recinto, sul retro di un grattacielo. Come se dal centrouna forza centrifuga ce li avesse spinti.

Sempé ritrae persone, ma anche case, paesaggi, interni co-me fossero persone. E sopra a tutto questo aleggia il suo lievesorriso che sfrutta un segno timido e leggero, incerto e delica-to, che più che graffiare accarezza, aiutato da un colore acquo-so e trasparente di un acquarello steso con sapienza. Un segnomesso in mano ad un osser-vatore acutissimo, ca-pace di notare e riferi-re l’imperfezionedelle nostre cose,dei nostri gesti edelle nostre idee.

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SempéRepubblica Nazionale

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to voluto avere una bicicletta, ma i miei genitori, cheerano molto poveri, non hanno mai potuto regalar-mela. Così, quando finalmente ho potuto comprar-mene una, per molti anni mi sono spostato a Parigiesclusivamente pedalando. Non mi stancavo mai».

Nonostante i settantanove anni e gli innumerevolisuccessi di una carriera durante la quale ha pubblica-to una sessantina di libri, Sempé oggi continua a lavo-rare di buona lena, dedicandosi come sempre a piùprogetti contemporaneamente. In questo momento,ad esempio, oltre ai disegni per Paris Match e il NewYorker, due testate con cui collabora da moltissimi an-ni, sta preparando due nuovi libri, uno dedicato all’in-fanzia e uno di vignette umoristiche, che sono la suavera passione: «L’ironia non deve mai trasformarsi incattiveria. Un vignettista non deve infierire né pren-dersi troppo sul serio, pensando d’essere migliore de-gli altri. Al contrario, deve essere dotato di una certa au-toironia. Nei miei disegni evito di fare la morale, prefe-risco far sorridere con leggerezza, una qualità che peròdomanda moltissimo lavoro. In fondo, mi sento comeun trapezista che si allena per ore per poi volteggiarenell’aria per un brevissimo istante». Per questo rico-mincia le sue illustrazioni infinite volte, senza mai es-serne pienamente soddisfatto, sebbene oggi sia più in-dulgente con se stesso di quanto non lo sia stato in pas-sato: «In fondo, cerco sempre la perfezione, anche senon so mai bene cosa sia».

Per ottenere un buon disegno occorre naturalmen-te saper osservare la società, cogliendone i dettagli chene rivelano le debolezze e le contraddizioni, le incon-gruenze e le stranezze. E Sempé, seppure abbia spes-so dichiarato d’essere poco interessato alla realtà, saosservare benissimo il mondo che lo circonda. «Se di-segno una strada, non mi metto certo a disegnare ca-valli e carrozze, ma automobili e camion. È così che larealtà entra nei miei disegni, benché sempre filtratadal mio punto di vista», spiega, ricordando che la so-cietà contemporanea gli sembra «molto più dura, piùviolenta, più rapida, ma anche molto più monotona»,di quella della sua giovinezza. «Oggi tutto tende all’u-niformità, tutto si assomiglia, quindi per un disegna-tore è meno divertente rappresentare il reale. Eccoperché cerco di metterne in luce gli aspetti più buffi ostravaganti», conclude l’autore del Segreto di Mon-sieur Taburin, che, «di fronte ai grandi maestri del pas-sato», considera un suo dovere restare «necessaria-mente umile». E mentre ci saluta, accendendosi l’en-nesima sigaretta, si lascia andare a un’ultima confi-denza: «Sono sempre stupito dalla caparbietà degliuomini che cercano in ogni situazione di crearsi alme-no un pezzetto di felicità. Che per me, poi, ha semprequalcosa a che fare con la poesia». Ecco, adesso forseabbiamo capito. Au revoir, Monsieur Sempé.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 27MARZO 2011

FABIO GAMBARO

Il sognatore di vignette e biciclettePARIGI

«Il disegno è un mezzo di comunica-zione universale. Può parlare a tutti,al di là delle differenze di lingua e cul-tura. Per questo cerco di creare im-

magini con poche connotazioni spazio-temporali, macapaci di evocare la poesia presente in ogni uomo».Gentilissimo e sorridente, Jean-Jacques Sempé ci rice-ve nel suo appartamento-atelier all’ultimo piano di unpalazzo signorile nel quartiere parigino di Montpar-nasse. Uno spazio luminoso e ordinato, dominato dauna grande vetrata da cui lo sguardo si perde sulla di-stesa dei tetti di Parigi. Qui, tra tavoli ingombri di foglie colori, il celebre disegnatore francese crea le sue in-cantevoli vignette, la cui poetica perennemente in bi-lico tra ironia e malinconia è ormai conosciuta in tut-to il mondo: «I miei disegni nascono sempre dalla fan-tasia e dalla rêverie. E questa vista su Parigi è perfettaper perdersi a fantasticare, anche se poi, dato che so-no molto pigro, faccio fatica a mettermi al lavoro».

Sempé — che fino al 24 aprile espone a Parigi, allaGalérie Martine Gossieaux una serie di illustrazioni sultema del mare, dell’estate e delle vacanze — si presen-ta come un artigiano disinteressato alle nuove tecno-logie, che da più di cinquant’anni lavora sempre allostesso modo — «anche perché alla fine sono sempre ioda solo davanti a un foglio bianco» — alternando ma-tite, pastelli, chine e acquerelli, a seconda del tema edell’umore del momento. Non a caso, non ha mai pen-sato di fare un disegno al computer, che peraltro nep-pure possiede. «Non credo ai libri elettronici, perché cisaranno sempre dei lettori che avranno voglia di avereun libro vero tra le mani, di sfogliarne le pagine e con-tinuare a sognare. Se proprio devo interessarmi a qual-cosa, preferisco guardare alle tecniche del passato, co-me ad esempio l’incisione», ammette, mentre guardasoddisfatto Il segreto di Monsieur Taburin, un librettodelizioso appena pubblicato in Italia da Donzelli (giàeditore delle avventure del Piccolo Nicolas), che rac-conta la buffa storia di un bravissimo meccanico di bi-ciclette che però non sa andare in bicicletta, un segre-to che non ha il coraggio di rivelare a nessuno, neppu-re a sua moglie. «È un libro cui tengo molto, perché perfinirlo mi ci sono voluti quasi trent’anni. All’inizio,scrissi e disegnai due terzi dell’avventura di Raoul Ta-burin in pochissimi giorni, procedendo spedito senzamai fermarmi. Poi però non seppi come concludere lastoria, che così è restata per quasi tre decenni nei mieicassetti». Ripreso e abbandonato più volte, il libro hatrovato un finale solo qualche anno fa: «Alla fine, n’èvenuta fuori una bella storia d’amicizia, costruita sul-l’idea che ogni uomo ha probabilmente un segreto na-scosto dentro di sé». Una storia che, oltretutto, rendeomaggio al grande sogno della sua infanzia: «Avrei tan-

“Mi sento come un trapezistache si allena per ore

per poi volteggiare nell’ariaper un brevissimo istante”

LE RIVISTEDal New Yorker a Punch, alcune delle riviste

a cui collabora Sempé. In alto, la copertina di Rallyejeunesse che lo ritrae al lavoro da giovane

IN MOSTRADue copertine del New Yorker disegnate da Sempé

Le tavole in alto sono esposte fino al 24 aprile

alla Galérie Martine Gossieaux di Parigi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL LIBRO

Arriva

in libreria

per Donzelli

Il segretodi MonsieurTaburinda cui è tratta

l’immagine

della pagina

a sinistra

(94 pagine,

14 euro)

Donzelli inizia

così la

pubblicazione

dell’opera

di Sempé

in Italia

avendo

opzionato

in esclusiva

tutti i diritti

Repubblica Nazionale

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In principio, anno 1908, fu “Life of Abraham Lincoln”. Poi, da OliverStone a Stanley Kubrick, da Nixon a Bush, non si è mai esauritala passione americana di raccontare cosa accade dentro le stanze

del potere. L’ultima puntata di una saga infinita si intitola “The Kennedys”Che dal 3 aprile porta in tv le debolezze private di Jfk. Con polemiche al seguito

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

SPETTACOLI

SERIE TV

All’ombra della Casa Bianca1987

The West Wing1999-2006

242001-2010

The Reagans2003

(nella foto sopra)

Una donnaalla Casa Bianca2005-2006

The Kennedys2011

FILM

SU PRESIDENTI

REALI

Life of Abraham Lincolndi Van Dyke Brooke

1908

Abraham Lincolndi D.W. Griffith

1930

Alba di Gloriadi John Ford

1939

Jfkdi Oliver Stone

1991

(nella foto sopra)

Gli intrighi del potere -Nixondi Oliver Stone

1995

Le ragazzedella Casa Biancadi Andrei Fleming

1999

13 daysdi Roger Donaldson

2000

(nella foto sopra)

Fahrenheit 9/11di Michael Moore

2004

Death of a presidentdi Gabriel Range

2006

Per chi ama il cinema è ognivolta un’emozione, visitare— virtualmente — le sue se-grete stanze. Scoprendo at-mosfere, sapori, inquietudi-ni sempre differenti. L’op-

pressione di un luogo popolato da fanta-smi della mente, per il Nixon shakespea-riano ritratto da Oliver Stone. La fortez-za da cui riscattarsi da un incuboedipico, per l’inadeguato George Bushjunior di W. Un bunker da delirio d’on-nipotenza militarista, nel Dottor Strana-moredi Kubrick. Il teatro romantico del-l’attrazione tra un uomo e una donna,nel Presidente — Una storia d’amore.Un’icona di libertà destinata a sbricio-larsi sotto un attacco alieno, in Indipen-dence day. L’ufficio occupato da uno

staff talentuoso e nevrotico, nella serie tvpluripremiata The West Wing. Film o te-lefilm accomunati da un elemento checerto non è solo architettonico: la CasaBianca. Residenza dalla carica simboli-ca fortissima, sede di quel Potere assolu-to che è anche il titolo di un thriller diClint Eastwood, centrato su un inquilinodella White House più cattivo che mai.

La lunga love story tra Hollywood e il1600 di Pennsylvania Avenue comincianel lontano 1908, con l’uscita della pri-ma pellicola del genere: l’agiografica Li-fe of Abraham Lincoln. E adesso, dopotante altre rivisitazioni presidenziali,una nuova tappa, attesissima negli Usa:la fiction in otto puntate The Kennedys,prodotta dal conservatore Joel Surnow,già artefice dell’adrenalinico 24. I prota-gonisti sono Greg Kinnear e Katie Hol-mes, nei panni di Jfk e di Jackie. Sarà tra-

smessa dal 3 aprile da ReelzChannel (inItalia l’ha opzionata La7), dopo il gran ri-fiuto dell’emittente che l’aveva commis-sionata, History Channel. Motivo del“no”: la scarsa attendibilità storica. Madal fronte repubblicano si insinua che cisiano state pressioni del potente clandemocratico di Boston. Allarmato dauna sceneggiatura con alcune palesiinesattezze; ma soprattutto dal raccon-to delle debolezze private del presidenteucciso a Dallas. Uno sguardo indiscretosulla sua sessuomania, e sul rapportocomplicato con la first lady.

Un caso classico in cui la Casa Biancaviene vista dal buco della serratura: l’en-fasi è più sulle stanze da letto che sulloStudio Ovale. Ma in questo 2011 ci sonoanche progetti di tenore ben diverso. Co-me il Lincoln firmato Spielberg, cheverrà girato in estate. Scritto dal premio

Pulitzer Tony Krusher, interpretato daDaniel Day-Lewis, si concentrerà sugliscontri tra il presidente abolizionista e imembri del suo gabinetto. Sempre inquesti mesi, il produttore Mark Josephsta preparando, per il grande schermo,Reagan: la storia partirà dall’attentatofallito del 1981, e per flashback raccon-terà gli anni precedenti. I rumors indica-no, tra i candidati al ruolo, Josh Brolin(già protagonista di W di Oliver Stone) eBen Affleck.

Tutti segnali di vitalità, nel rapportotra cinema e Casa Bianca. Un legame tra-sversale per eccellenza, che oltre aldramma spazia tra commedia (Dave diIvan Reitman), azione (Air Force One,con Harrison Ford), fantascienza (il folleMars Attacks! di Tim Burton). In alcunicasi, i film ritraggono presidenti veri: adesempio il Bill Clinton di A Special Rela-

Tutti i film del PresidenteCLAUDIA MORGOGLIONE

FILM

CON PRESIDENTI

IMMAGINARI

Dottor Stranamoredi Stanley Kubrick

1964

(nella foto a sinistra)

Davedi Ivan Reitman

1993

(nella foto a sinistra)

Il presidente -Una storia d’amoredi Rob Reiner

1995

SetCasa

Bianca

W.di Oliver Stone

2008

(nella foto a sinistra)

I due presidenti - The Special Relationshipdi Richard Loncraine

2010

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 27MARZO 2011

tionship, in cui si mostra la sua amiciziacon Tony Blair; John e Bobby Kennedyalle prese con la crisi dei missili a Cuba,in Thirteen days; i tanti Abraham Lincolngià visti sullo schermo, tra cui va citato al-meno quello di D. W. Griffith, protagoni-sta nel 1930 dell’omonimo film. Ma i se-greti del luogo sono raccontati con al-trettanta forza in opere con presidentiimmaginari: la pietra miliare, in questosenso, è The West Wing(l’ala della WhiteHouse con gli uffici del “capo” e dei suoicollaboratori), scritta dallo sceneggiato-re premio Oscar Aaron Sorkin, che de-scrive con una verosimiglianza mai rag-giunta il dietro le quinte del potere.Un’altra serie tv, Una donna alla CasaBianca, ha messo in scena le difficoltà diun presidente di sesso femminile; men-tre 24 ci ha fatto vedere la carica innova-tiva di un leader afroamericano — anche

se in un telefilm che esalta le strategie al-la Cheney nella lotta al terrorismo — giàprima dell’era Obama.

E poi ci sono i film che i presidenti nonli fanno vedere. O quasi. Concentrando-si di più sul luogo, e sulle persone che nonfiniranno nei libri di storia. Nel centro delmirino, con un grande Clint Eastwood, èun omaggio all’abnegazione delle guar-die che si occupano della sicurezza delboss. Murder at 1600 ci introduce neimeandri di un edificio di cui conoscia-mo solo le immagini ufficiali. MentreSesso e potere ipotizza che dallo StudioOvale parta l’ordine di inscenare una fin-ta guerra in stile kolossal per distoglierel’attenzione dagli scandali a luci rossedel Commander in Chief. Qui la tesi è chela White House imiti Hollywood: una ri-vincita del cinema sulla politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Mi sentii come se il cielo mi fosse cadu-to addosso», confessò Harry Trumanquando alla morte di Roosvelt gli an-

nunciarono che sarebbe entrato lui, il suo vice, allaCasa Bianca. Qualcosa in effetti cadde, durante lapresidenza Truman, ma non fu il cielo. Fu il pavi-mento del secondo piano che crollò sotto il pia-noforte che la moglie si era portata nel trasloco,sprofondando lo strumento e la First Lady al pianodi sotto. Era il 1948 e l’incidente, che lasciò illesa lasignora ma sfasciò lo strumento, produsse la prima,radicale ristrutturazione della villotta bianca al nu-mero 1600 di Pennsylvania Avenue, Washington,dopo 150 anni di ripitture, rattoppi, aggiunte, in-cendi e cannonate inglesi che l’avevano resa peri-colante, tra l’indifferenza generale.

Perché in fondo, nonostante da quella casa fos-sero state condotte tre grandi guerre, una civile edue mondiali, deciso il lancio di una bomba atomi-ca, organizzate riforme epocali come il New Deal,per la gente, per «the people», quella villotta di pie-tra arenaria in stile neo classico verniciata di bian-co, copiata da dozzine di edifici inglesi o irlandesicome il suo architetto, non aveva mai assunto il ca-rattere sacrale e mistico del «palazzo» imperiale ovaticano. Una villa come le altre, dove abitano, masolo per quattro o otto anni se gli va bene, famiglieche devono ricordare, in ogni momento, di essere aun passo dallo sfratto. Sic transit Casa Bianca.

Non esiste, negli Stati Uniti, quella relazioneaspra, diffidente, spesso reciprocamente malevolache invece lega, nell’Europa di monarchie, cricchee curie i cittadini a quello che appunto fu definito «ilpalazzo». A nessun inquilino, che fosse il primo adoccuparla, John Adams il primo novembre del 1800quando ancora carpentieri e muratori segavano emartellavano costringendo la signora Adams a vi-vere in una sola stanza, o che sia Barack Obama conla sua Michelle e le due ragazzine che coltivano ra-panelli e lattuga nel giardino, è mai permesso di di-menticare che quella non è «casa loro», ma casa no-stra, di noi che paghiamo le spese condominiali e lostipendio di chi ci vive.

Dunque, se negli ultimi decenni cinema, televi-sione, letteratura di massa e sempre più occhi cihanno guardato dentro, dalla West Wing, dove si fala politica, allo Studio Ovale, dove a volte si fa qual-cosa più che la Storia, non è violazione di privacy,gossip. È l’ispezione che il padrone di casa, cioè noicontribuenti, ha il diritto di compiere per accertar-si che gli occupanti non violino il contratto. Un sen-timento di estraneità passeggera che gli stessi pre-sidenti spesso avvertono, come Kennedy che bron-tolava: «L’unico vantaggio di questa casa è che puoiandare in ufficio a piedi», abitando la Prima Fami-glia al piano superiore degli uffici, casa e bottega.

Già non la volevano proprio costruire questa ca-sa i vecchi e malfidenti «padri» americani nel ’700,giudicata inutile, tronfia e pericolosamente «impe-riale» per la neonata repubblica che di sovrani e Pa-pi non voleva più sapere. Fu solo l’autorità di Geor-ge Washington, il generale-contadino che avevacacciato la corona britannica, a zittire i brontolii direpubblicani e federalisti duri che si vendicaronolesinando i soldi per il progetto. E prima che il cre-scendo delle paure, culminato nel 2001 dopo l’11settembre e dopo il monomotore Piper che un ka-mikaze americano anticlintoniano portò a sfa-sciarsi sotto le finestre di Bill e Hillary, allontanassei confini della Casa, ormai inavvicinabile dai turistisenza permessi e controlli, di fatto chiunque pote-va entrarvi.

Nei sette ettari del prato, oggi giardino, pascola-vano le pecore di chi non aveva terreni propri. Pre-sidenti, ancora fino alla fine dell’800, scoprivanocuriosi, passanti, rompiscatole che vagavano nellesue stanze, per presentare petizioni, offrire servizio per «dare un’occhiata». Anche se oggi non vi si en-tra più liberamente né si possono portare capre abrucare o cani a far pipì come in passato, e missiliantiaerei di fabbricazione norvegese vegliano sultetto pronti ad abbattere qualunque velivolo entrinella «no fly zone», qualche visita guidata nell’alache Jacqueline Kennedy fece arredare per quelloscopo deve essere permessa, perché la legge conti-nua a imporre che tutti gli edifici del governo sianodavvero aperti al pubblico. Tutti tranne la Cia, die-tro i boschi della Virginia, a Langley.

Il progressivo isolamento della Casa Bianca dalresto del territorio, circondata da sbarramenti dicemento, allontanata dal traffico che un tempo lasfiorava fin quasi alla porta, trova il suo palliativonella pletora di film e telefim e docufiction che pro-liferano. Non per curiosare sotto le lenzuola, sottole scrivanie o nei minuscoli cubicoli dove lavora lostaff del Presidente. Ma per ricordare che quella Ca-sa, signor Presidente, è nostra e lei ci vive per genti-le, e non sempre saggia, concessione del padrone dicasa. We, the people.

LO STUDIO OVALEI presidenti

americani

in una

illustrazione

di Victor Juhasz

Una villanon è

un Palazzo

VITTORIO ZUCCONI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Indipendence daydi Roland Emmerich

1996

Mars attacks! Tim Burton

1996

(nella foto a sinistra)

Nel centro del mirinodi Wolfgang Peterson

1996

(nella foto a sinistra)

Air Force Onedi Wolfgang Petersen

1997

Deep ImpactMimi Leder

1998

Delitto alla Casa Bianca- Murder al 1600di Dwight H. Little

1997

Sesso & poteredi Barry Levinson

1997

Potere assolutodi Clint Eastwood

1997

Repubblica Nazionale

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46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

le tendenzeOltre il colore

Calze a rete, foulard con teschietti, leggings traslucidi,scarpe fetish dai tacchi vertiginosi, minigonne rigorosamentein pelle. Tutti accessori già incontrati nei guardarobadi fine anni Settanta. Ma oggi la seduzione “total black”non ha più il sapore della ribellione. Semmai la vogliaestrema di comparire. E di stupire

Che la moda intercetti statid’animo e fenomeni socialiper poi trasformarli in sugge-stioni di taglio, materiali e co-lori è una scontata verità. Ca-pita così, in questi tempi

piuttosto bui, di rivedere in passerella (enelle vetrine) giubbotti borchiati, foulardstampati con teschietti, leggings traslucidi(quelli che una volta si chiamavano fu-seaux), scarpe fetish dai tacchi vertiginosi,nonché minigonne in pelle: tutti accessorigià incontrati nei guardaroba delle sorellemaggiori. La moderna Morticia Addams difilmica memoria è oggi, però, assai più pro-rompente (anche grazie alla mastoplasticaadditiva che tra le diciottenni continua a fa-re furore), decisamente più glamour e infi-nitamente meno disperata delle copie me-tallare di fine anni Settanta.

Più che l’emblema della ribellione, in-somma, il look extreme di questa stagioneaffonda nella voglia di stupire senza troppigiri di parole e di volant. Sarà la crisi che im-perversa, la disaffezione dilagante alla so-brietà del vestire o più semplicemente il ri-torno di un’antica attrazione rock & darkche ha sempre dato molto nel cinema e nel-la letteratura, dove imperversano gli eroiche fanno innamorare il mondo pro-prio perché oscuri. Un trend, in-somma, che non deve né stupirené inquietare. Lo sa bene Vale-rie Steele, storica della modae a capo del Museum Of Fa-shion Institute Of Techno-logy, che all’argomento hadedicato un libro: Fetish, ses-so e potere, in cui racconta e spie-ga l’attrazione fatale che lega molti sti-listi al più misterioso degli universi.

Ed eccoci, dunque, di fronte all’enne-sima ricaduta di questa torbida passioneche scopre la pelle (come nei modelli concatene di Y3), la fascia di stringhe ezip (la sfilata Gucci docet), l’avvol-ge (e la strizza) con sete nere e unacascata di paillettes. Ma la tra-sgressione è tutta qui: quello cheera anticonformista ieri, oggi di-venta glamour. L’informale si tra-sforma in più formale che mai. Esbarca con tutti gli onori nei salot-ti dell’haute couture segnando lafine definitiva delle brave ragazzetutte camicetta, giro di perle, giac-chetta, tacco medio e bon ton. Si-gnorine che, d’altro canto, si rin-tracciano solo nelle fiction am-bientate nel Dopoguerra comeAtelierFontana e che risulta-no estinte se non nella vi-ta reale certamentenei reality.

Tra gli effetti col-laterali della nuova passione, la totalescomparsa del colore. Una pennellatablack seppellisce tonalità fluo e toni pa-stello. Accade ciclicamente, dicono gliesperti, che nei periodi più grigi i creativiscelgano il nero come colore simbolo. Ecosì la nuova moda trionfa soprattuttocon le tenebre. Ricordate: dalle otto di se-ra in poi, al posto delle collane classiche sisfoggiano bracciali “cattivissimi” con bor-chie e punte e scarpe che avvolgono la ca-viglia scatenando fantasie impure. Legiacche diventano armature da guerrie-re metropolitane, i tacchi stiletti-coltel-lo. Tempi duri per i troppo buoni. Maga-ri se ne riparla la prossima stagione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 27MARZO 2011

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con inserti

in piume

Adatta alla notte

più fascinosa

la proposta Chanel

SEXYConturbante la mise

proposta da John

Richmond: gilet

brillante sulla pelle,

tacchi altissimi

e pantaloni

a vita bassaMUSTNon può mancare

nella valigia

della perfetta

rockstar il chiodo

firmato Burberry

in morbida pelle

naturalmente nera

OPTICALBracciali luminosi

in bianco e nero

per Armani. Eleganza

per serate in grande stile

VERTIGOSandalo in pelle

vertiginoso

con tacco antigraffio

di Alberto Guardiani

AFRODITESandalo in pelle a gabbia

alta per una moderna Afrodite

di CafèNoir. Ideale

per un abito scollato da notte

GRINTOSACintura alta in rosso e nero di Miss Sixty

È l’accessorio ideale per un look grintoso

“La moda impari dalla musica”Christopher Bailey/Burberry

SIMONE MARCHETTI

LONDRA

Quattro milioni di fan su Facebook. Una ventina di gruppi indie-rock emergenti. E tanti video conle performance live per le strade di Londra. Sono i numeri e i contenuti di Burberry Acoustic, la fan pa-ge del brand inglese sul Social Network più famoso del mondo. L’ha voluta con insistenza ChristopherBailey, il creativo a capo del marchio. Lo incontriamo nel suo studio al settimo piano di HorseferryHouse, il palazzo di Burberry vicino a Westminster. Il designer è così appassionato di musica da cura-re personalmente la colonna sonora di ogni sua sfilata.

Da dove viene il suo amore per la musica indie-rock?«Non c’è un inizio. La musica rock mi ha sempre accompagnato, ha sempre fatto parte della mia vita.

Anche di quella creativa. Burberry Acousticè forse il riassunto in immagini e in suoni di questa passione». Oltre che un designer, lei è anche un talent scout di gruppi musicali sconosciuti. Dove li trova?«A Londra funziona molto il passaparola. Spesso alle cene, tra le chiacchiere con gli amici, mi capi-

ta di venire a conoscenza di qualche nome nuovo della musica indie-rock. E poi, ovviamente, c’è In-ternet. Basta essere curiosi e consultare i siti giusti. Sono un grande fan di Youtube, penso sia una del-le cose migliori della Rete. Poi non dimentico MySpace, Spotify e ovviamente iTunes. Infine, esiste an-cora il piacere di trovare un album sconosciuto in un negozio di dischi. Oggi, però, tutto è reso più ve-loce e raggiungibile grazie al web».

Borchie, chiodi di pelle…Tanti i simboli rock nella moda di Burberry.«Naturale, quasi organico. Fa tutto parte dello spirito dei tempi. Però non si tratta di copiare quello

che indossano i musicisti. Piuttosto di tradurre in estetica lo spirito, l’anima della loro musica. In uncerto senso, la musica ha fatto da apripista alla moda di oggi. Un gruppo musicale, infatti, non ha piùbisogno di fare i passaggi obbligati del passato per farsi conoscere: la Rete gli permette di fare un saltodi qualità e di notorietà impossibile fino a ieri. Così il Fashion System: oggi deve viaggiare a una velo-cità nuova e deve utilizzare tutte le possibilità di un mondo connesso e più vicino di prima».

La moda, quindi, deve imparare dalla musica?«In un certo senso sì. Per esempio, noi di Burberry abbiamo capito che bisogna abbracciare la tec-

nologia senza nostalgia, senza snobismo e senza fanatismo. Il problema, resta umanizzare la Rete.Burberry Acoustic si muove in questa direzione. E così molte altre iniziative del brand: artofthetren-ch.com(il sito dove tutti possono postare una propria foto col trench Burberry, ndr) o il servizio di ven-dita dopo la sfilata, che permette di ricevere gli abiti visti in passerella due mesi prima che arrivino innegozio. Il cambiamento è generale, profondo, rivoluzionario. Si tratta solo di non averne paura e diinterpretarlo con intelligenza».

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48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

i saporiProsit

In un mercato dominato da concorrentidi qualità come i francesi o di quantitàcome quelli del nuovo mondo,si riscoprono i vitigni italiani: forsepiù scorbutici, forse meno facili da abbinare,ma di certo più preziosi.È la sfida del Vinitalyedizione numero quarantacinque

nuovo mondo, perfette nella loro scaltra pochezza.Così, ci è toccato riscoprire il piccolo mondo antico, fatto di

vitigni nati, o importati da lungo tempo, in un luogo che è quel-lo e quello soltanto, dove l’adattamento a clima e terreno e unabuona attitudine a dare il meglio di sé anche in situazioni nonottimali contribuiscono a creare veri miracoli. Un recupero diuve glorificato dalle pratiche di agricoltura naturale — biologi-co e biodinamico in primis — e da una comunicazione quasida passaparola, eppure a suo modo efficacissima.

Risultato: vini senza scorciatoie, fieri delle proprie imperfe-zioni, rappresentanti autentici del proprio terroire in armoniacon esso. Se merlot e chardonnay vanno bene con tutto o qua-si, gli autoctoni sanno essere empatici ma anche scorbutici,molto amando i cibi di casa propria e pochissimo quelli altrui.Provare per credere: regalatevi una bottiglia di timorasso del-l’alessandrino Walter Massa e sorseggiatelo con una fetta diformaggio montebore o un morso di pesca di Volpedo, figligourmand delle stesse colline. Allo stesso modo, un buon bic-chiere di falanghina campana solleticherà la dolce rusticità dipast’e patatecome mai avreste immaginato. Chiusura in gloriacon tavolette della Chocolate Valley e aleatico dell’isola d’Elba.Sigaro toscano a parte, s’intende.

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NostreLe

vigne

Petit rouge, barbera, croatina, rossese di Dolceac-qua, raboso, teroldego, refosco dal peduncolo ros-so, sangiovese, cesanese di Affile, sagrantino, lacri-ma, montepulciano, tintilia, negroamaro, agliani-co, aglianico del Vulture, gaglioppo, nero d’Avola,carignano. Basta leggere un frammento del lun-

ghissimo elenco di vitigni autoctoni che abitano le nostre cam-pagne per attraversare l’Italia intera dalla Val D’Aosta alla Sar-degna, senza saltare nemmeno una regione. Nello specifico, sitratta di un piccolo rosario enologico non casuale, se è vero chequesti sono i venti vini scelti per produrre la versione rossa di“Una”, la bottiglia nata per celebrare i 150 anni dell’Unità d’I-talia (ne è stata creata una speculare, da altrettanti vitigni bian-chi). Due blend, entrambi curati dal super enologo RiccardoCotarella, pronti per le cantine del Quirinale dopo il battesimoufficiale dell’iniziativa, in coincidenza con l’inaugurazionedell’edizione numero quarantacinque del Vinitaly, in pro-gramma a Verona dal 7 all’11 aprile, mai come quest’annoaperto alle istanze del nuovo movimento.

Si dice autoctono e si pensa ai vitigni antichi e un po’ demodé,accantonati in favore dei supergrappoli dei Soliti Noti, quelliche si coltivano e commercializzano in tutto il pianeta. Perchéper molti anni ci è piaciuto cavalcare l’onda dell’enologia glo-balizzata. Abbiamo sposato la causa delle produzioni impor-tanti per quantità, accessibili nel prezzo e nella comunicazio-ne e poco differenziate. Fare la corsa sulle etichette più poten-ti e ruffiane alla fine non ci ha giovato. Anche perché all’estero,in materia di grandi vini continuano a preferirci i francesi, men-tre nel quotidiano la scelta cade sui nuovi mostri, le bottiglie del

CorteseRadicato a Gavi, Alessandria,

da fine Ottocento, ha colore

paglierino e sentori di citrico

Ottimo come aperitivo,

per carni bianche e caprini freschi

Gavi Pisé La Raia (da 12 euro)

PecorinoIl nome di questo bianco

marchigiano dalle note fresche

e acidule omaggia l’attività

dei pastori e dei loro greggi,

ben accompagnandone i formaggi

Pecorino Fiobbo 2008 Aurora (da 9 euro)

le bottiglie

LICIA GRANELLO

La rivincita dei soliti ignoti

i vitigni autoctoni

registrati in Italia

355i vitigni coltivati

nel mondo

5.000

AL CAPITAN

DELLA CITTADELLA

Piazza Cittadella 7

Tel. 045-595157

Chiuso dom. e lun. a pranzo

menù da 45 euro

PIZZERIA I TIGLI

Via Camporosolo 11

Località S. Bonifacio

Tel. 045-6102606

Chiuso mercoledì

menù da 15 euro

DA ADRIANO

Via Moschini 26

Tel. 045-913877

Chiuso domenica

e lunedì a pranzo

menù da 40 euro

HOTEL

GIULIETTA E ROMEO

Vicolo Tre Marchetti 3

Tel. 045-8003554

Doppia da 105 euro,

colazione inclusa

B&B DUOMO

Via Duomo 19

Tel. 045-8034006

Camera doppia

da 75 euro,

colazione inclusa

HOTEL ACCADEMIA

Via Scala 12

Tel. 045-596222

Camera doppia

da 170 euro,

colazione inclusa

HOTEL MASTINO

Corso Porta Nuova 16

Tel. 045-595388

Camera doppia

da 90 euro,

colazione inclusa

HOTEL

MARCO POLO

Via di Sant’Antonio 6

Tel. 045-8010885

Doppia da 110 euro,

colazione inclusa

Itinerari / Verona

dove mangiare

dovedormire

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 27MARZO 2011

FortanaLa “regina delle uve negre per fare

buon vino” (da un testo del 1600)

viene tramutata in uno spumante

di sei gradi che profuma di more,

perfetto col culatello

Fortana del Taro Antica Corte Pallavicina (da 6,50 euro)

NosiolaHa riflessi verdolini e profumo

delicato di fiori bianchi il vino

da pesce (di lago), declinato

anche in versione passita

(Vin Santo Trentino)

Nosiola Gino Pedrotti (da 7 euro)

VermentinoAma il mare, l’uva diffusa

tra le coste di Toscana, Sardegna

e Corsica. Sapido e brillante,

il vino si abbina a meraviglia

con i piatti di pesce

Vermentino Campo del Noce2009 Pieve Vecchia (da 9 euro)

PignoloDa grappoli serrati come pigne,

il millenario rosso friulano

di sapore elegante e generoso,

da sorseggiare con prosciutto

San Daniele stagionato

Pignolo 2005 Adriano Gigante (da 22 euro)

SagrantinoImportato in Umbria dall’Asia

Minore, è un rosso avvolgente,

modulato dalla permanenza

in legno, perfetto per arrosti

e tome stagionate

Montefalco Sagrantino 2005 Di Filippo (da 22 euro)

GrilloÈ dedicato a Nicolò Azoti,

martire della mafia, il dorato bianco

siciliano di buona struttura,

che regge ricette come

i paccheri al ragù di cernia

Grillo 2009 Centopassi (da 13 euro)

BombinoIl Bonvino pugliese, di probabile

provenienza spagnola, profuma

di macchia mediterranea

e ben si accompagna

agli antipasti di pesce

Bombino 2009 Rivera (da 6 euro)

PascaleBattezzato Giacomino in Gallura,

il vitigno rosso della campagna

sassarese regala profumi speziati

e vinosi. Si gusta con carni robuste

o da meditazione

Ottomarzo 2007 Dettori (da 21 euro)

Un paese di santi, eroie viticoltori

AMPELIO BUCCI

Negliultimi decenni i produttori hanno lavorato sugli aspetti poeti-ci, estetici e sensoriali del vino: qualità, gusto, profumi... E i vini ita-liani sono migliorati molto. Oggi però urge affrontare un tema più

prosaico come il mercato, problema che ha sorpreso il settore del vino:negli ultimi anni, infatti, i viticoltori si sono trovati impreparati non a fa-re il vino, ma a venderlo. È vero che il mercato si è allargato a tutto il mon-do. In compenso, la stessa globalizzazione ha portato quasi tutto il mon-do a produrre vino, spesso con regole semplificate rispetto alle nostre.Questi vini utilizzano soprattutto i cosiddetti vitigni internazionali: ca-bernet, merlot, chardonnay e pochi altri, con la strategia di offrire prodottigià noti al consumatore, che si troverà a confrontare lo chardonnay ca-liforniano con quello australiano, cileno o siciliano. Think global and actlocal, pensa globale e agisci locale, è lo slogan di questa strategia, la qua-le richiede un rapporto molto aggressivo con il mercato, attraverso prez-zi, comunicazione e distribuzione.

I vitigni autoctoni evidentemente fanno fatica a entrare in questa com-petizione. Per fortuna, oggi esiste un’altra strategia, che parte dal princi-pio diametralmente opposto: «Pensa locale e agisci globale». Ovvero, sepossiedi una cosa speciale, assolutamente locale, che esiste solo nel tuoterritorio, è possibile trovare uno spazio nel mondo dei consumi per la ra-gione inversa a quella dell’altra strategia: non perché è un prodotto già co-nosciuto ma proprio perché è un prodotto diverso. Infatti, nel mondo sa-turo dei consumi il nuovo consumatore post-moderno è curioso, alla ri-cerca di novità e di differenze.

I vitigni autoctoni rispondono proprio a questo principio. L’Italiaè il paese che ne ha di più nel mondo: nebbiolo, sangiovese, ver-mentino, soave, fiano, nero d’Avola e così via. Certo, non bisognacredere che siano interessanti solo in quanto autoctoni. Bisognache siano buoni e riconoscibili, che ci sia una produzione se-ria, qualitativa e continuativa, che la quantità rimangacontenuta per non inflazionare il mercato, comepurtroppo sta succedendo in alcuni casi. Ma tut-to questo non basta. Entrare sul mercato glo-bale con un vitigno autoctono è difficile: bi-sogna costruire una narrazione e una rela-zione, e più ancora un’identità non equivo-ca. Se questa strategia riesce, ha più vantag-gi competitivi dell’altra.

L’Italia è il paese del bello e del buono e re-sta anche sorprendentemente il paese dellediversità: architettoniche, artistiche, pae-saggistiche e di cultura materiale (oltre ai viti-gni autoctoni, la cucina italiana — unica almondo — ha più di duemila ricette). Questo è iltema sul quale centrare un’attività di comuni-cazione e di relazione con il mondo di oggi,che non può essere copiata da nessuno. Unmodo di fare turismo senza spostarsi dacasa: non attraverso il video, ma una cenae un bel bicchiere di vino italiano.

L’autore è docente di marketingstrategico e produttore

di uno dei migliori esemplaridi verdicchio di Jesi

i principali vitigni

nei vigneti italiani

10Plinio il Vecchio

cita il vino da uva Apia

77 d.C.

TRATTORIA

AL POMPIERE

V.le Regina d'Ungheria 5

Tel. 045-8030537

Chiuso domenica

e lunedì a pranzo

PERBELLINI

Via Muselle 130

Località Isola Rizza

Tel. 045-7135352

Chiuso dom., lun. e mart.

menù da 65 euro

ENOTECA ZAMPIERI

Via Alberto Mario 23

Tel. 045.597053

PASTICCERIA TOMASI

Corso Milano 16

Tel. 045-574017

SALUMERIA ALBERTINI

Corso Sant’Anastasia 41

Tel. 045-8031074

ISTITUTO ENOLOGICO

ITALIANO

Via Sottoriva 7

Tel. 045-590366

PANIFICIO GASPARONI

Via Dora Baltea 31

Tel. 045-956283

ENOTECA SEGRETA

Vicolo Samaritana 10

Tel. 045-8015824

ZENO GELATO

E CIOCCOLATO

Piazza San Zeno 12/A

Tel. 338-6716878

ANTICHI SAPORI

Via Pellicciai 20

Tel. 045-594454

dove comprare

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Abita con moglie e figlio in una casadella periferia romana costruitadal padre e in cui vivono anchela mamma e la sorella. Èqui che

è nato il suo destinodi autore narrante:“Tutto iniziò conle storie di stregheraccontate da mianonna alle donnee ai bambini”

Poi, da grande, inciampònell’antropologia: “E da lì al teatroe al cinema il passo è stato breve”

‘‘

‘‘l’incontroMilitanti

Ho letto moltosulla RepubblicaRomana. Unodei momenti più altidel Risorgimento,con protagonistigiovanissimiCome a un radunoa Woodstock

attore-raccontatore-scrittore, che daanni alimenta una cultura popolare eumana di immediata comunicazione,abita in una specie di borgo attrezzatofatto di un solo caseggiato alla periferiadi Roma, accatastando in un piccolo lo-cale le frugali e quasi inesistenti sceno-grafie dei suoi spettacoli, collezionan-do libricini e moleskine su cui prendeappunti di idee per la scrittura, frasi darielaborare, progetti scenici. Da un al-bum di foto di gioventù si apprende chegià al liceo Celestini aveva i capelli lun-ghi, un retaggio adesso molto ridimen-sionato. «Lotta di classe l’ho scritto qui».Mi mostra anche un archivio povero(ma ricco di sentimenti) a base di reper-ti di conversazione. «Sono le ore e ore diracconti degli anziani di Rubiera, inprovincia di Reggio Emilia, storie che horaccolto dal 2000 al 2004. A forza di sen-tire le vicende, le disavventure, le emo-zioni e i matrimoni di quella gente dipaese, nel 2003 mi ci sposai anch’io, lì.Con mia moglie, Sara, vivevo già insie-me dall’89, pure lei è di Morena. E ab-biamo un figlio, Ettore, che ha quattroanni».

Parliamo di famiglia, di radici, e ditradizioni domestiche, con Ascanio,perché il suo destino di artista e di auto-re narrante prende corpo in modo in-delebile, come ricorda lui stesso, nelcorso di pratiche verbali casalinghe me-tabolizzate poco a poco in gioventù.«Tutto cominciò con un ampio reperto-rio di storie di streghe sul quale mianonna faceva affidamento d’istinto.Non erano fiabe di magia. Lei racconta-va cose risalenti a un passato remoto, ediceva che erano cose vere, ma io ebbipresto la certezza che di reale c’era so-prattutto il suo bisogno di esporsi, di di-re, di rendere partecipi. Notai che non-na si intratteneva soltanto con un pub-blico formato da altre signore e ragazze,o da bambini. Riferiva di accadimentiascritti a donne che avevano prerogati-ve o poteri superiori ad altre donne, al-l’insaputa degli uomini cui erano lega-te. E suscitava stupore descrivendo mi-lioni di aghi in un uovo, dando magarianche la ricetta di pozioni magiche...Rammento una faccenda curiosa: chic’era partecipava molto, perché si trat-tava di un rito, con soggetti che ricorre-vano spesso, al punto che le storie era-no straconosciute, eppure ogni volta, asentirle, scattava una specie d’attrazio-ne automatica. È lì che ho assorbito i pri-mi germi del raccontare, della voglia diraccontare. E devo anche molto a miopadre, che però era portavoce di unarealtà drammatica di tempi più vicini anoi, della guerra, incline com’era a ri-spolverare le vicissitudini che gli eranocapitate». Fedele all’idea di una staffet-

ta di testimonianze, Ascanio Celestini èriuscito a farci sentire la voce registratadel padre in un suo spettacolo (ispiratoalle epopee del genitore), Scemo diguerra, producendo sensazioni chehanno parlato al cuore.

Come attore di teatro (da Radio clan-destina a Fabbrica, fino ad Appunti peruna lotta di classe), di televisione (a Rai-Tre con Serena Dandini) e di cinema(nel suo La pecora nera), come autore dilibri (Storia di uno scemo di guerra, Lapecora nera, Lotta di classe, e l’appenapubblicato Io cammino in fila indiana),come cantantautore-strumentista conall’attivo tournée di concerti, e come ar-tista impegnato in campagne sociali epolitiche, Ascanio è una macchina inar-restabile di parole. Sempre così?... «Infamiglia non tanto. Di questi tempi a ce-na parlo magari della Repubblica Ro-mana, come in altri casi facevo cenno aiminatori, agli operai, ai pazienti dei ma-nicomi. A mio figlio che ha un caratterecontemplativo la sera riservo, per farlo

addormentare, una storia al buio, e direcente utilizzo favole di Gianni Rodari,ma può capitare che gli dica (a volte altelefono, da lontano) fiabe mie comeSanta Minanta Buffanta o Il galletto, opuò anche capitare che ripassi con lui illibro illustrato su Giufà. I bambini si tro-vano benissimo coi volumi da sfoglia-re». Ammette che la dimensione intimadella paternità gli toglie un po’ delle si-curezze di lui artista pubblico. «Confes-so d’avere un sentimento di paura, untimore che a mio figlio succeda qualco-sa, ma questo è nell’ordine delle incer-tezze che sento gravare oggi su tutti noiadulti. In compenso condivido con Et-tore una specie di teatro realistico dellacucina. Ad esempio facciamo insiemela pasta con acqua e farina (le uova no,perché ci sporchiamo troppo le mani),e la pizza. Se s’escludono le spade di le-gno che mi costruivo nell’infanziaavendo un padre restauratore (spadeche Ettore ha trovato e con cui, essendoaffascinato dall’invisibile, fa battaglieimmaginarie), io da piccolo giocavo po-co, e allora mi diverto molto di più, ades-so, da grande, con questi riti del man-giare».

Poi c’è, ci sarebbe, il capitolo dei sen-timenti, degli affetti dell’Ascanio uomoche è l’altra (schiva) faccia dell’Ascanioartista. «Io, che compio trentanove an-ni a giugno, da ventidue sto assieme aSara che fa trentanove anni a maggio.Non siamo mai stati persone da colpi ditesta. È successo tutto lentamente, daquando eravamo entrambi diciasset-tenni. Siamo cambiati, è cambiato ilrapporto, abbiamo affrontato l’odisseadella casa, lei ha lasciato il posto all’Ibme ora lavora con me occupandosi dellefaccende concrete del mio lavoro. Ionon so quanti soldi ho in tasca. Non micapita di spendere, salvo che per i libri.Ho un furgone anziché una macchina,e un motorino nuovo che è una sòla».

Pochi forse sanno che Ascanio avreb-be anche potuto fare il pennivendolo,come l’avrebbe definito Carmelo Bene,sulla carta stampata. «Dopo il liceo clas-sico a Frascati, mi iscrissi a Lettere, e so-no arrivato a dare quindici esami suventi. Volevo fare al più presto il giorna-lista, e ho cominciato a firmare articolisulla cronaca romana del Momento Se-ra, poi mi sono fatto prendere da studi eda letture di antropologia, e dall’antro-pologia al teatro il passo è stato breve.Un amico, Nico, mi convinse a fare unlaboratorio teatrale, e intanto all’uni-versità frequentavamo il teatro Ateneodove mettevano piede il Teatro Settimodi Gabriele Vacis, Giorgio Barberio Cor-setti, i Teatri Uniti, Enzo Moscato. All’e-poca io vendevo la rivista Siparioe otte-

nevo i biglietti gratis per il teatro. Riusciia frequentare la scuola di Perla Peragal-lo, un’esperienza grande, scioccante,appassionante. E dopo vennero i primisoldi, guadagnati in Toscana col TeatroAgricolo, imparando a fare la comme-dia dell’arte, il teatro di strada, le giulla-rate in maschera». Nacque di lì a poco ilprimo vero spettacolo, Cicoria, ispiratoa Pasolini, e Baccalà, e Vita, morte e mi-racoli, e Fine del mondo che nel 2000,grazie a Mario Martone, conobbe nien-te meno che un insediamento con rego-le a norma Cee al teatro Argentina.Adesso ha in mano il nuovo libro Io cam-mino in fila indianaedito da Einaudi. «Èuna raccolta di quaranta racconti, unterzo circa di materiali di teatro, e dueterzi di testi battezzati in tv». Apologhi,denunce, grotteschi manifesti, monito-raggi di infamie, ritratti da paura, comi-cità alla deriva. A metà aprile la Feltri-nelli annuncia un dvd del film La peco-ra neracon l’allegato cartaceo di un dia-rio di lavorazione e di testi antipsichia-trici. E Mario Martone torna a essere unsuo committente. Dopo Pasqua, il 28-29 aprile, è atteso alla Cavallerizza di To-rino, ospite dello Stabile, con uno stu-dio dal titolo Senza prigioni, senza pro-cessi che condurrà al futuro lavoro ProPatria. «L’impegno nasce da un sugge-rimento dello stesso Mario: approfon-dire la Repubblica Romana. Ho lettomolte cose, è uno dei momenti più altidel Risorgimento, con protagonisti gio-vanissimi, con una corrente collettiva diadolescenti come per un raduno epo-cale a Woodstock, con scontri tra ragaz-zi e vecchi, e io impersonerò uno che stapreparando un discorso, per dire fatti emotivi, come se avesse un dialogo diret-to con Mazzini e con la lotta armata diallora». Gli brillano gli occhi, ad Asca-nio. Sempre lì con quella sua voce cal-ma, con quella sua posa compunta, conquella sua coscienza sorridente.

RODOLFO DI GIAMMARCO

ROMA

Con Ascanio Celestini ci sivede in un laboratorio-magazzino con tanto divecchio bancone da lavo-

ro di robusto legnaccio, con pareti su cuispiccano raspe, scalpelli, pialle («Untempo si chiamavano sponnarole»), li-me («Dette anche code di sorcio»), se-ghe («Ribattezzate saracchi») e taglieri-ni di precisione («Soprannominatisgorbie»). Sugli scaffali abbondano ba-rattoli per la colla, e spuntano anchebizzarre, nasute maschere in cuoio.Qua e là campeggiano un tamburello,una chitarra, un tamburo bianco chesembra un water, una montagna di di-schi in vinile, mobili della nonna, unbanco di scuola biposto dell’Ottocento,un calco con un’incisione rupestre(«Me l’ha fatto scoprire un amico dellaVal Camonica, è di due-tremila anni fa,a riprova che l’arte era in simbiosi con lanatura»).

«Un tempo questo luogo era il regnodi mio padre, che restaurava mobili.Aveva messo su quest’officina-garage apochi metri dalla casa di due piani chenegli anni Sessanta aveva contribuitolui stesso a costruire, partecipando alcantiere. Tutto era cominciato acqui-stando un lotto di terreno di 1200 me-tri». Siamo a Morena, in una traversa divia Anagnina, a pochi metri dal GrandeRaccordo Anulare, all’altezza dell’usci-ta 21, quella dell’Ikea, e Celestini, in at-tesa di trasferirsi in un’abitazione da ri-strutturare non molto lontana da qui, èancora un inquilino di questa palazzinadove su altri piani abitano la madre e lasorella, mentre gli affittuari sono tre:una famiglia e due negozianti («Uno èun barbiere napoletano che sta nellasua bottega da quarant’anni, si chiamaAntonio Posillipo»). Insomma questo

50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27MARZO 2011

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Ascanio Celestini

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