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Documentazione per le Commissioni AUDIZIONI E INCONTRI IN AMBITO UE Audizione dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini Roma, 8 marzo 2017 n. 44 7 marzo 2017

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Documentazione per le Commissioni AUDIZIONI E INCONTRI IN AMBITO UE

Audizione dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza,

Federica Mogherini

Roma, 8 marzo 2017

n. 44

7 marzo 2017

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Camera dei deputati XVII LEGISLATURA

Documentazione per le Commissioni AUDIZIONI E INCONTRI IN AMBITO UE

Audizione dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza,

Federica Mogherini

Roma, 8 marzo 2017

n. 44

7 marzo 2017

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I N D I C E

SCHEDE DI LETTURA 1

L’ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA DI SICUREZZA 3

• Il Servizio europeo per l’azione esterna 4

• Agenzia europea per la difesa 4

LA NUOVA STRATEGIA GLOBALE PER LA POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA DELL’UE 7

RECENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO DELLA COOPERAZIONE EUROPEA NEL SETTORE DELLA DIFESA 9

• Le priorità della Strategia globale in materia di sicurezza e difesa 10

• Il piano di attuazione della Strategia globale per la sicurezza e difesa dell’Alto Rappresentante 12

• Il piano d’azione per la difesa europea Iniziative della Commissione europea (European Defense Action Plan – EDAP) 15

• La dichiarazione congiunta UE-NATO 19

• Il contributo congiunto di Francia, Italia, Germania e Spagna 20

LA SPESA E L’INDUSTRIA DELLA DIFESA IN EUROPA 23

• Appendice: Statistiche su spesa per la difesa 24

DIMENSIONE ESTERNA DELLA POLITICA DI MIGRAZIONE E ASILO DELL’UE 27

• Il Piano di La Valletta 27

• Gli accordi UE Turchia 27

• Il nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi 28

• La comunicazione “Migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi, salvare le vite umane”. 29

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LA BREXIT 31

LA NUOVA AMMINISTRAZIONE TRUMP E LE RELAZIONI EURO-ATLANTICHE (A CURA DEL SERVIZIO STUDI) 39

RELAZIONI TRA L’UNIONE EUROPEA E LA RUSSIA 43

LA CRISI LIBICA: GLI ULTIMI SVILUPPI (A CURA DEL SERVIZIO STUDI) 47

I RECENTI SVILUPPI DEL QUADRO POLITICO IN TURCHIA (A CURA DEL SERVIZIO STUDI) 51

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Schede di lettura

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L’ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA DI SICUREZZA

Ai sensi dell’art. 27 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza:

• guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;

• assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;

• presiede il Consiglio dell’UE “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione europea;

• rappresenta l’Unione europea per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU.

L’Alto Rappresentante è nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, per un periodo di 5 anni. La sua nomina è sottoposta al voto collettivo di approvazione del Parlamento europeo sull’intera Commissione, ai sensi dell’art. 17 del TUE.

Federica Mogherini è stata nominata Alto Rappresentante dal Consiglio europeo con decorrenza dal 1° dicembre 2014.

L’Alto Rappresentante coordina il lavoro dei commissari con portafogli che hanno un impatto sulle relazioni esterne dell’UE.

Si tratta in particolare dei Commissari europei responsabili per:

• allargamento e politica di vicinato (Johannes Hahn);

• commercio (Cecilia Malmström);

• cooperazione internazionale e politica di sviluppo (Neven Mimica);

• aiuti umanitari e gestione delle crisi (Christos Stylianides).

A tal fine, l’Alto Rappresentante presiede il gruppo di lavoro sull’azione esterna, che si riunisce su base mensile ed è composto dai suddetti commissari cui sono associati anche i seguenti commissari europei con portafogli aventi una dimensione esterna rilevante: azione per il Clima ed energia (Miguel Arias Cañete); Trasporti (Violeta Bulc) migrazione, affari interni e cittadinanza (Dimitris Avramopoulos).

Compiti dell’Alto Rappresentante

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L’Alto Rappresentante è inoltre supportato da Rappresentanti speciali dell’UE per specifiche regioni ed aree.

Attualmente vi sono 9 rappresentanti speciali competenti per: Corno d’Africa (Alexander Rondos); Kosovo (Samuel Žbogar), diritti umani (Stavros Lambrinidis); Afghanistan (Franz-Michael Skjold Mellbin); Bosnia Erzegovina (Lars-Gunnar Wigemark); Caucaso del Sud crisi in Georgia (Herbert Salber); Sahel (Michel Dominique Reveyrand-de Menthon); processo di pace in Medio Oriente (Fernando Gentilini); Asia Centale (Peter Burian).

Il Servizio europeo per l’azione esterna

Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) è il servizio diplomatico dell’UE previsto dall’art. 27 del TUE con il compito di:

• assistere l'Alto Rappresentante dell'UE nella gestione della politica estera e di sicurezza dell'UE;

• gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i paesi extra UE;

• collaborare con i servizi diplomatici nazionali dei paesi dell'UE, l'ONU e altre potenze mondiali.

Il Servizio europeo per l'azione esterna, guidato dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, composto da:

• a Bruxelles – personale esperto trasferito dal Consiglio dell'UE, dalla Commissione europea e dai servizi diplomatici dei paesi dell'UE;

• una rete di "ambasciate" (delegazioni) dell'UE presso 143 paesi terzi e organizzazioni internazionali.

Il contributo finanziario per il funzionamento del SEAE nel bilancio dell’UE per il 2017 è pari a circa 650 milioni di euro.

Agenzia europea per la difesa

L’Agenzia europea per la difesa (European Agency defense – EDA) istituita a Bruxelles nel 2004, ha i seguenti compiti:

• migliorare le capacità di difesa dell’UE nel settore della gestione delle crisi;

• promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti; • rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e

creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo;

I rappresentanti speciali

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• promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore.

Fanno parte dell’Agenzia 27 Stati membri (tutti ad eccezione della Danimarca).

La struttura decisionale dell'EDA è composta da:

• il capo dell'agenzia, responsabile dell'organizzazione e del funzionamento complessivo, è l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini;

• il tavolo di governo: prende le decisioni sul conto dell'agenzia; è composto dai Ministri della difesa degli Stati membri e da un rappresentante della Commissione europea;

• il Direttore generale: è il capo del personale ed è responsabile della supervisione e della coordinazione delle unità; attualmente è Jorge Domecq.

Per il 2017 l’EDA dispone di un bilancio di 31 milioni di euro.

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LA NUOVA STRATEGIA GLOBALE PER LA POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA DELL’UE

L’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, ha presentato al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2016 la nuova Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE.

La nuova strategia aggiorna e sostituisce, alla luce del mutato contesto globale, la strategia europea in materia di sicurezza approvata dal Consiglio europeo nel dicembre 2003.

La nuova Strategia globale si concentra in particolare su:

• l’interconnessione tra sicurezza interna ed esterna dell’UE e il rafforzamento della coerenza tra la dimensione esterna e quella interna delle politiche dell’UE, con particolare riferimento agli ambiti dello sviluppo sostenibile, della migrazione, della lotta al terrorismo, della cibersicurezza e della sicurezza energetica;

• il rafforzamento della resilienza delle democrazie, degli Stati e delle società, ossia della loro capacità di resistenza e riforma in relazione a crisi interne ed esterne, con particolare riferimento agli Stati posti in prossimità dei confini orientali e meridionali dell’UE;

• un approccio integrato alle situazioni di conflitto, sviluppando la capacità dell’UE di intervenire tempestivamente in tutte le fasi del ciclo di un conflitto ed ai diversi livelli di governance locale, nazionale, regionale e globale e di promuovere una pace sostenibile mediante accordi globali sulla base di partenariati regionali e internazionali;

• il rilancio della politica estera e di sicurezza dell’UE che, pur riconoscendo il ruolo della NATO per la difesa collettiva, deve dotarsi di capacità sia per contribuire all’Alleanza atlantica sia per agire autonomamente se e quando necessario in particolare attraverso: una maggiore cooperazione e pianificazione tra gli Stati membri nel settore della difesa, anche facendo ricorso alla cooperazione rafforzata tra gruppi di Stati membri; lo sviluppo di maggiori capacità di risposta rapida alle situazioni di crisi; maggiori investimenti nella sicurezza e difesa, anche nel settore della ricerca; la creazione di una forte industria europea della difesa;

• la promozione di ordini regionali cooperativi, attraverso partenariati regionali ed internazionali e lo sviluppo di una governance globale basata sul diritto internazionale, la tutela e promozione dei diritti umani ed uno sviluppo sostenibile.

Priorità della Strategia globale

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L’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, ha presentato al Consiglio affari esteri dell’UE del 17 ottobre 2016 una roadmap per l’attuazione della Strategia globale che individua cinque aree prioritarie per il periodo 2016-2017:

1. rafforzare la resilienza nei paesi vicini dell'UE e nelle regioni circostanti e definire un approccio integrato ai conflitti e alle crisi internazionali;

2. sicurezza e difesa. In particolare l’Alto Rappresentante ha presentato il 30 novembre 2016 un piano di attuazione della strategia globale in materia di sicurezza e difesa (su tale profilo si rimanda per approfondimenti alla scheda “Recenti iniziative per il rilancio della cooperazione europea nel settore della difesa”);

3. rafforzare la coerenza tra le politiche interne e le politiche esterne dell’UE;

4. aggiornare le strategie regionali o tematiche dell’UE; 5. rafforzare le azioni di diplomazia pubblica dell’UE.

Il Consiglio affari esteri dell’UE del 17 ottobre 2016 ha adottato delle

conclusioni sulla Strategia globale nelle quali si concorda sulle aree prioritarie di intervento proposte dall’Alto Rappresentante e in particolare:

• sottolinea l’importanza del coinvolgimento degli Stati membri durante l'intero processo della attuazione della Strategia globale;

• per quanto riguarda la coerenza tra politiche interne ed esterne dell’UE indica la necessità di concentrarsi su migrazione, lotta al terrorismo e contrasto delle minacce ibride;

• in tema di sicurezza e difesa sottolinea l’importanza dei lavori della Commissione europea per la presentazione di un piano per rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea. Dovrebbero inoltre essere portati avanti rapidamente e in maniera complementare i lavori sull'attuazione della dichiarazione congiunta firmata a Varsavia dai leader delle istituzioni dell'UE e della NATO (v. scheda “Recenti iniziative per il rilancio della cooperazione europea nel settore della difesa”);

• per quanto riguarda la revisione e aggiornamento di talune strategie esistenti dell’UE, verranno valutate azioni relativamente alla diplomazia del clima, diplomazia energetica, diplomazia economica e diplomazia culturale.

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RECENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO DELLA COOPERAZIONE EUROPEA NEL SETTORE DELLA DIFESA

Negli ultimi mesi si è registrata una costante intensificazione del confronto politico sul tema del rafforzamento della cooperazione europea nel settore della difesa e della sicurezza.

Per un verso, si registra l’esplosione di crisi e di conflitti in prossimità dei confini esterni orientali e meridionali dell’Europa; la crisi Russo-Ucraina, il conflitto in Siria, che ha avuto un immediato impatto su paesi limitrofi, anche in termini flussi di rifugiati, la perdurante instabilità in Libia.

In questo scenario si colloca, in coerenza con un trend di lungo termine che ha avuto inizio a partire dagli anni ’90, il progressivo disimpegno da parte degli Stati Uniti nei confronti del continente europeo, a vantaggio di un ricollocamento delle priorità strategiche degli Stati uniti in tale ambito nel Pacifico (vedi scheda su “La nuova amministratazione Trum e le relazioni euroatlantiche”).

Per altro verso, il ripetersi di gravi attentati terroristici in Europa hanno suscitato un diffuso stato di allerta per quanto riguarda la sicurezza e la conseguente richiesta di un maggior coordinamento a livello europeo.

Da ultimo, l’esito del risultato del referendum sull’uscita del Regno unito dall’UE, uno dei paesi che in passato aveva manifestato resistenze allo sviluppo di piene capacità dell’UE in termini di difesa e sicurezza che non fossero sotto l’ombrello della NATO, ha rilanciato alcune iniziative (promosse in particolare Francia, Italia e Germania) per rafforzare la cooperazione in materia di difesa.

La prospettiva di un rilancio della difesa europea allo stato appare l’unico “cantiere” di natura istituzionale che è possibile avviare a Trattati vigenti, sulla base di tutta una serie di disposizioni già vigenti e che non sono state ancora pienamente sfruttate.

In questo contesto si colloca la nuova Strategia globale, presentata dall’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2016, la quale, pur riconoscendo il ruolo della NATO per la difesa collettiva, afferma che l’UE deve dotarsi di capacità ed autonomia strategica sia per contribuire all’Alleanza atlantica sia per agire autonomamente se e quando necessario.

Il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, nell’ambito del discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato davanti al Parlamento europeo il 14 settembre 2016, in merito al rafforzamento della politica di difesa dell’UE ha:

• rilevato l’opportunità di creare una struttura permanente, sorta di quartier generale unico, per organizzare le missioni civili e militari, che agisca in maniera complementare con le strutture NATO;

• indicato la necessità di rilanciare la cooperazione nell’industria europea per la difesa. Juncker ha indicato che la mancanza di una vera e propria politica UE

La nuova Strategia globale

Discorso sullo Stato dell’Unione di Juncker

Il contesto globale

Nuove minacce

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in materia di difesa ha dei costi stimati per l’Europa tra i 25 e i 100 miliardi di euro l'anno;

• evocato la necessità di ricorrere alla disposizioni relative alla cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa;

• preannunciato l’intenzione di proporre, entro la fine dell'anno, l’istituzione di un Fondo europeo di difesa, per finanziare progetti di ricerca ed innovazione in tale ambito (proposta poi presentata dalla Commissione europea il 30 novembre 2016).

Le iniziative delle Istituzioni dell’UE volte a promuovere una più forte integrazione degli Stati membri dell’UE nel settore della difesa si articolano al momento su tre filoni: 1) attuazione delle priorità indicata dalla nuova Strategia globale, in

particolare attraverso il piano di attuazione per la sicurezza e difesa, presentato dall’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, il 14 novembre 2016;

2) il piano di azione per la difesa europea (European Defence Action Plan – EDAP) presentato dalla Commissione europea il 30 novembre 2016;

3) i lavori per l’attuazione della dichiarazione congiunta UE NATO sul rafforzamento delle cooperazione in materia di sicurezza e difesa, adotta a margine del Vertice NATO che si è svolto l’8 e 9 luglio 2016 in Polonia.

Le priorità della Strategia globale in materia di sicurezza e difesa

La Strategia globale indica che l’UE deve dotarsi di capacità ed autonomia strategica in particolare attraverso le seguenti priorità:

• utilizzare pienamente le disposizioni dei Trattati in merito alla cooperazione rafforzata tra gruppi di Stati membri in materia di difesa; Il Trattato sull’ UE (artt. 42, paragrafo 6 e 46), come modificato dal Trattato di Lisbona, prevede che gli Stati membri che rispondono ai criteri più elevati di capacità militari possono stabilire una cooperazione strutturata permanente (PESCO) nell’ambito dell’Unione. Per istituire una cooperazione strutturata permanente non è richiesta alcuna soglia minima di Stati membri e il Consiglio la autorizza a maggioranza qualificata;

• attrezzarsi per affrontare le sfide che presentano una dimensione sia interna che esterna, quali il terrorismo, le minacce ibride, la sicurezza informatica ed energetica, la criminalità organizzata e la gestione delle frontiere esterne;

• migliorare la convergenza strategica tra gli Stati membri in termini di sviluppo e il mantenimento delle capacità di difesa, con l’obiettivo di una più stretta cooperazione nelle politiche di investimento e

Cooperazione rafforzata

Terrorismo e minacce ibride

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dell’ottimizzazione dell'uso delle risorse nazionali, da conseguire attraverso la sincronizzazione graduale e il reciproco adeguamento dei cicli di pianificazione della difesa nazionale. Un processo di riesame coordinato annuale a livello di UE per discutere dei piani di spesa militare degli Stati membri potrebbe instillare maggiore coerenza nella pianificazione della difesa e nello sviluppo di capacità. Tale processo deve avvenire coerentemente con il processo di pianificazione della difesa della NATO;

• gli Stati membri devono destinare una quota sufficiente di spesa alla difesa, usare le risorse nel modo più efficiente e soddisfare l'impegno collettivo di destinare all'approvvigionamento di materiali e alla ricerca tecnologia almeno il 20% degli stanziamenti complessivi per la difesa; Si ricorda che solo 4 stati dell’UE (Grecia, Estonia, Polonia e Regno Unito) rispettano attualmente il target previsto in ambito NATO di destinare alle spese militari almeno il 2% del PIL. La Romania ha promesso di raggiungerlo entro il 2017, Lettonia e Lituania entro il 2018. Secondo uno studio del think tank Bruegel, per la Germania, che in base alle stime pubblicate a luglio scorso dalla Nato attualmente impegna per la Difesa l’1,2% del suo PIL, equivarrebbe ad una spesa aggiuntiva di 30,28 miliardi di dollari, per l’Italia (all’1,1% del PIL nel 2016) l’aumento dovrebbe essere di 18,35 miliardi di dollari;

• le capacità dovrebbero essere sviluppate all'insegna della massima interoperabilità e convergenza e, se possibile, essere messe a disposizione per sostenere l'UE, la NATO, le Nazioni Unite e altre iniziative multinazionali;

• rafforzare la capacità di risposta rapida in ambito PSDC. A tal fine gli Stati membri devono potenziare la schierabilità e l'interoperabilità delle rispettive forze mediante attività di formazione ed esercitazioni. Occorre eliminare gli ostacoli procedurali, finanziari e politici che impediscono lo schieramento dei gruppi tattici (Battlegroups), si frappongono alla costituzione della forza e riducono l'efficacia delle operazioni militari PSDC. Occorre, inoltre, potenziare ulteriormente le missioni civili; Si ricorda che allo stato attuale i Battlegoups non sono mai stati impiegati.

• gli Stati membri devono migliorare la capacita di monitoraggio e controllo con implicazioni in termini di sicurezza. Ne consegue la necessità di investire in intelligence, sorveglianza e ricognizione (compresi i sistemi aerei a pilotaggio remoto), comunicazioni satellitari, accesso autonomo allo spazio e osservazione terrestre permanente;

• occorre poi investire nelle capacità digitali per rendere sicuri i dati, le reti e le infrastrutture critiche nello spazio digitale europeo;

Interoperabilità e convergenza

Intelligence, sorveglianza e ricognizione

Sicurezza digitale

Cooperazione e pianificazione

Spesa per la difesa

Capacità di risposta rapida e Battlegroups

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• il finanziamento dell'UE in ricerca e tecnologia della difesa, dovrebbe condurre alla definizione di un vero e proprio programma nel prossimo ciclo di bilancio pluriennale 2021-2027;

• promuovere l’industria europea della difesa attraverso un mercato interno equo, funzionante e trasparente, approvvigionamenti sicuri e un dialogo strutturato con le industrie del settore della difesa e il coinvolgimento delle piccole e media imprese.

Il piano di attuazione della Strategia globale per la sicurezza e difesa dell’Alto Rappresentante

L’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, ha presentato, il 14 novembre 2016, il piano di attuazione della Strategia globale in materia di sicurezza e difesa che individua un “livello di ambizione” dell’UE articolato in tre compiti:

• rispondere a conflitti e crisi esterne; • sostenere le capacità dei paesi partner; • proteggere l’Unione e i propri cittadini.

Il piano di attuazione prevede a tal fine una serie di azioni, tra cui in

particolare: • rivedere le priorità e gli ambiti delle missioni civili in ambito PSDC che

erano state definite dal Consiglio europeo di Feira del 2000 e rafforzare la capacità di gestione delle crisi civili in ambito di PSDC;

• definire proposte volte a configurare una procedura di revisione coordinata annuale sulla difesa da parte degli Stati membri, volta a promuovere lo sviluppo delle capacità ovviando alle carenze, e garantire la coerenza dei piani di spesa nazionali;

• potenziare le strutture di analisi, pianificazione e controllo delle missioni dell’UE condotte in ambito PSDC, in particolare rafforzando le sinergie tra le missioni civili e quelle militari;

• rafforzare la “Single Intelligence Analysis Capability (SIAC)“ attraverso il coordinamento delle capacità europee di intelligence, attraverso il centro situazionale e valutazione di intelligence (INTCEN) presso il Consiglio dell’UE;

• fare un migliore utilizzo delle esistenti strutture di comando e forze multinazionali già presenti in Europa (come ad esempio le forze Eurocorps di Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Spagna), rafforzando le capacità di comando e controllo europee;

• rafforzare la usabilità e il dispiegamento delle forza europea di reazione rapida, con particolare riferimento ai Battlegroups;

Industria europea della difesa

Finanziamento della ricerca nella difesa

Battlegroups

Revisione coordinata annuale

Strutture di pianificazione e controllo delle missioni

Strutture e forze mutinazionali

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• rivedere le forme di finanziamento comune delle azioni condotte nell’ambito della PESC, in particolare con una revisione del meccanismo Athena nel 2017 che gestisce il finanziamento dei costi comuni delle operazioni militari dell'UE nell'ambito della PSDC dell'UE;

• favorire il ricorso alla cooperazione strutturata tra gli Stati membri desiderosi di rafforzare la cooperazione in materia di PSDC;

• definire un approccio più strategico nella cooperazione in ambito PSDC con paesi partner che condividono gli stessi valori dell’UE e desiderino di contribuire alle missioni PSDC dell’UE.

Il piano di attuazione è stato approvato dal Consiglio dell’UE del 14

novembre che ha, altresì, adottato delle conclusioni in merito ed ha ricevuto l’avallo politico in occasione del Consiglio europeo dell’15 e 16 dicembre 2016, che in particolare ha impegnato l’Alto Rappresentante a presentare nella primavera del 2017 proposte per:

• l’avvio dell’esame delle potenziali di una cooperazione strutturata permanente in ambito PSDC (Politica di sicurezza e difesa comune);

• l’istituzione di una capacità permanente di pianificazione operativa e conduzione a livello strategico per le missioni militari senza compiti esecutivi;

• l’istituzione di una procedura di revisione coordinata annuale sulla difesa da parte degli Stati membri, volta a promuovere lo sviluppo delle capacità ovviando alle carenze, e garantire la coerenza dei piani di spesa nazionali;

• il rafforzamento della utilizzabilità e schierabilità degli strumenti di reazione rapida dell’UE, inclusi i gruppi tattici (EU battlegroups).

Valutazione dei progressi del piano di attuazione

Il Consiglio dell’UE nella riunione del 6 marzo 2017 ha svolto una sessione congiunta dei ministri degli esteri e della difesa sulla sicurezza e la difesa nel corso della quale ha adottato delle conclusioni di valutazione dei progressi compiuti a partire dal Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 sui temi della sicurezza e della difesa.

Nelle conclusioni il Consiglio dell’UE ha concordato in particolare, i seguenti punti:

Migliorare le strutture di gestione delle crisi della PSDC • l’istituzione in seno allo Stato maggiore dell'UE a Bruxelles, di una

capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC) incaricata della pianificazione operativa e condotta delle missioni militari senza compiti esecutivi, sotto il controllo politico e la direzione strategica del Comitato politico e di sicurezza;

Conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2016

Progressi del piano di attuazione

Cooperazione strutturata

Revisione del Mecanismo Athena

capacità militare di pianificazione e condotta

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• le competenze civili e militari delle missioni PSDC dovrebbero essere riunite nell'ambito di una cellula comune di coordinamento a Bruxelles, per la cooperazione civile/militare nella pianificazione operativa e condotta delle missioni PSDC civili e militari senza compiti esecutivi.

Cooperazione strutturata permanente (PESCO) • gli Stati membri, con il sostegno del SEAE e dell'Agenzia europea per

la difesa (AED), sono invitti a sviluppare: − un accordo su un'intesa condivisa relativa a impegni, obiettivi e

criteri comuni sulla base delle disposizioni pertinenti del trattato, nonché al modello di governance della PESCO;

− gli eventuali progetti e iniziative che gli Stati membri intendono intraprendere tramite la PESCO, utilizzando i progetti in corso e assumendo nuovi impegni nel settore degli investimenti nella difesa al fine di a) ovviare alle carenze riscontrate e affrontare le priorità dell'UE e degli Stati membri nel settore delle capacità, b) migliorare la schierabilità e la disponibilità operativa delle loro forze armate e accrescere la loro interoperabilità mettendo in comune e condividendo le capacità esistenti.

Revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD) • sviluppo, su base volontaria, di una procedura per la revisione

coordinata annuale sulla difesa (CARD), al fine di garantire un utilizzo ottimale, nonché coerente dei piani nazionali di spesa per la difesa e realizzare le capacità essenziali necessarie all'Europa. La CARD dovrebbe offrire agli Stati membri un forum per il coordinamento e la discussione della loro pianificazione della difesa nazionale, anche in termini di piani di spesa per la difesa;

• l'Alto rappresentante, in stretta collaborazione con gli Stati membri, dovrà elaborare entro giugno proposte su portata, metodi e contenuti della CARD, al fine di preparare l'istituzione della stessa CARD entro la fine del 2017. La prima CARD completa dovrebbe essere realizzata a decorrere dal 2018;

• dovrà essere garantita la coerenza tra la CARD e il processo di pianificazione della difesa della NATO.

Sviluppo delle capacità civili • garantire uno schieramento più efficace, rapido e flessibile delle

missioni PSDC civili. L'Alto rappresentante e la Commissione dovrebbero presentare proposte concrete ai fini della loro approvazione prima del Consiglio europeo di giugno;

• occorre procedere ad riesame dei settori prioritari delle missioni PSDC civili convenuti a Feira. Il Consiglio sottolinea l'importanza di

cellula comune di coordinamento per le missioni PSDC senza compiti esecutivi

Accordo per la governance della PESCO

Revisione coordinata annuale

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rafforzare, anche in questo settore, le sinergie, la compatibilità e l'interoperabilità tra l'UE e le Nazioni Unite.

Altri settori • il Consiglio attende con interesse gli ulteriori lavori sul rafforzamento

della pertinenza, utilizzabilità operativa e schierabilità degli strumenti di reazione rapida dell'UE, inclusi i gruppi tattici dell'UE (EU Battlegroups) - in particolare per potenziarne la modularità, la preparazione e forme di finanziamento efficaci. Il Consiglio tornerà sulla questione a maggio sulla base delle proposte consolidate che saranno presentate dall'Alto rappresentante. Per quanto attiene agli aspetti finanziari, le proposte dovrebbero contribuire anche alla revisione generale del meccanismo Athena entro la fine del 2017;

• si ribadisce l'importanza di collaborare con i partner, in particolare ONU, NATO, OSCE, Unione africana, Lega degli Stati arabi e ASEAN, nonché con i partner strategici e altri paesi partner del nostro vicinato. A tale riguardo il Consiglio rammenta la necessità di portare avanti i partenariati PSDC e invita l'Alto Rappresentante a presentare, prima del maggio 2017, opzioni per un approccio maggiormente strategico nei confronti dei partner PSDC.

Il piano d’azione per la difesa europea Iniziative della Commissione europea (European Defense Action Plan – EDAP)

La Commissione europea ha presentato il 30 novembre 2016 una comunicazione relativa al (European Defense Action Plan -EDAP) che si articola su tre assi principali:

• l'istituzione di un fondo europeo per la difesa;

• la promozione di investimenti nelle catene di approvvigionamento della difesa;

• il rafforzamento del mercato unico della difesa.

Istituzione di un fondo europeo per la difesa La Commissione propone di istituire un fondo europeo per la difesa a

sostegno degli investimenti in attività di ricerca comune e dello sviluppo congiunto di attrezzature e tecnologie di difesa: il fondo proposto comprenderà due sezioni complementari ma distinte per struttura giuridica e fonte del bilancio. La prima per il finanziamento di progetti di ricerca collaborativa nel settore della difesa e la seconda per lo sviluppo e acquisto di capacità di difesa da parte di Stati membri che desiderino partecipare.

European Defense Action Plan (EDAP)

Fondo europeo per la difesa

Battlegroups

Cooperazione con I paesi partner

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Sezione per la ricerca La sezione per la ricerca dovrebbe finanziare progetti di ricerca

collaborativa nel settore della difesa a livello dell’UE. La Commissione ha stanziato 25 milioni di EUR per l’avvio di una azione preparatoria per la ricerca nel settore della difesa nel quadro del bilancio dell'UE per il 2017 (stanziamento che è stato già definito in sede di approvazione del bilancio dell’Ue per il 2017 lo scorso dicembre) e proporne che tale dotazione possa raggiungere un totale di 90 milioni di EUR per il periodo complessivo 2017-2020.

Sulla base di risultati dell’azione preparatoria, la Commissione intende istituire, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale dell'UE post 2020, un apposito programma di ricerca nel settore della difesa con una dotazione annua stimata di 500 milioni di EUR.

Si ricorda che, su iniziativa del Parlamento europeo ed a valere sui bilanci dell’UE del 2015 e 2016 è già stato avviato un progetto pilota per la ricerca nel settore della difesa, condotto sotto la responsabilità dell’EDA (European Defense Agency). Il progetto pilota, con un bilancio di 1.4 milioni di euro, sulla base di un bando pubblicato il 23 marzo 2016 sulla Gazzetta ufficiale dell’UE, ha condotto alla selezione di tre progetti di ricerca vincitori: Unmanned Heterogeneous Swarm of SensorPlatforms, progetto di un consorzio guidato dall’Universita di Cranfield (Regno unito); Inside Building Awareness and Navigation for Urban Warfare, progetto di un consorzio guidato da Tekever ASDS, società di tecnologia portoghese; Standardisation of Remotely Piloted Aircraft System (RPAS) Detect and Avoid di un consorzio guidato dal Centro aerospaziale olandese.

Il programma per la ricerca e l’innovazione dell’UE, Horizon 2020, che ha un bilancio di 77 miliardi per il periodo 2014-2020, attualmente non prevede finanziamenti per progetti di ricerca nel settore della difesa.

Sezione per la capacità La sezione per le capacità dovrebbe fungere da strumento finanziario per

permettere agli Stati membri partecipanti di sviluppare ed acquistare capacita di difesa (mezzi militari comprese attrezzature materiali e tecnologie). Le capacità strategiche prioritarie verrebbero concordate dagli Stati membri, che sarebbero proprietari della tecnologia e delle attrezzature. Tale sezione verrebbe finanziata mediante aggregazione dei contributi nazionali e godrebbe, ove possibile, del sostegno del bilancio dell’UE. La Commissione europea stima che questa sezione dovrebbe essere in grado di mobilitare, sulla base di contributi degli Stati membri - che sarebbero esclusi dal calcolo del deficit di bilancio ai sensi del Patto di stabilità e crescita - e di finanziamenti dell’UE, circa 5 miliardi di EUR all'anno. La Commissione intende avviare uno studio esplorativo per elaborare una stima più accurata. La Commissione rileva che l’importo annuale di 5 miliardi di euro corrisponderebbe al 2,5% del totale della spesa nazionale per la difesa dell’UE e al 14% della spesa nazionale per le capacità di difesa. Tale importo colmerebbe inoltre il divario rispetto all'obiettivo concordato dagli Stati membri dell'Agenzia per la difesa europea di destinare

Ricerca

Sviluppo e acquisto di capacità

Programma di ricerca post 2020

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il 35% della spesa per i materiali a progetti collaborativi. Nel periodo 2010-2014 gli Stati membri dell'EDA hanno investito in media il 19,6% della spesa totale per i materiali in progetti collaborativi, ossia un importo di 7,56 miliardi di EUR all'anno, inferiore di 5,84 miliardi di EUR all'anno rispetto all'obiettivo concordato.

Promozione di investimenti nelle catene di approvvigionamento della difesa

Nel piano d’azione si propone di rafforzare gli investimenti nelle PMI, start-up, imprese a media capitalizzazione e altri fornitori dell'industria della difesa attraverso una serie di azioni: • la Commissione sosterrà, in seno agli organi decisionali della BEI,

l'adeguamento dei criteri di prestito della BEI al settore della difesa; Alcuni strumenti finanziari dell'UE basati su prestiti della BEI, ad esempio il fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) o il programma per la competitività delle imprese e le piccole e le medie imprese (COSME), potrebbero coadiuvare le attività a duplice uso nel settore della difesa. Il FEIS potrebbe garantire le operazioni di finanziamento e di investimento della BEI o del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) a sostegno degli obiettivi elencati nel regolamento sul FEIS anche per progetti connessi al settore della difesa;

• la Commissione promuoverà il cofinanziamento, tramite i fondi strutturali e d'investimento europei, dei progetti di investimento produttivo e della modernizzazione delle catene di approvvigionamento nel settore della difesa, purché l'investimento rafforzi la coesione economica, sociale e territoriale;

• sarà incentivato lo sviluppo di poli regionali industriali di eccellenza nell’ambito della difesa;

• verrà promosso il sostegno allo sviluppo di competenze nel settore della difesa. La difesa sarà un settore prioritario del programma generale costituito dalla nuova agenda per le competenze per l'Europa.

Il rafforzamento del mercato unico della difesa Il piano di azione prevede una serie di azioni volte a rafforzare il mercato

unico per la difesa: • la Commissione intende promuovere condizioni per un mercato europeo

della difesa aperto e competitivo in Europa al fine di aiutare le imprese a operare a livello transfrontaliero e coadiuvare gli Stati membri nell'ottenere le offerte economicamente più vantaggiose negli appalti della difesa. A tal fine la Commissione promuoverà l'applicazione effettiva della direttiva sugli appalti nei settori della difesa e della sicurezza (direttiva 2009/81/CE) e della direttiva sui trasferimenti intra-UE di prodotti per la difesa (direttiva 2009/43/CE);

Investimenti per PMI e Start-up

Appalti e trasferimenti intra UE

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Per quanto gli appalti pubblici nel settore della difesa la Commissione rileva che una percentuale alquanto significativa di appalti nel settore della difesa è aggiudicata senza che venga applicata la normativa europea. Ai dati del 2014 circa il 78% di tutti gli approvvigionamenti di materiali è avvenuto a livello nazionale. La Commissione intende rivedere gli orientamenti sulle disposizioni in materia di subappalto al fine di conferire una maggiore flessibilità alle autorità responsabili degli appalti. Infine la Commissione fornirà orientamenti che incoraggino gli Stati membri ad avvalersi pienamente della flessibilità consentita dalla direttiva per quanto riguarda gli appalti in cooperazione.

Per quanto riguarda la direttiva sui trasferimenti intra-UE di prodotti per la difesa che ha introdotto un sistema semplificato di licenze mediate licenza generali di trasferimento (LGT), la Commissione rileva che persistono tuttora sistemi diversi di licenze nei diversi paesi d'Europa, molto disomogenei per quanto concerne il contenuto delle LGT, gli obblighi nazionali in materia di certificazione delle imprese e l'utilizzo delle eccezioni. La maggior parte degli Stati membri non ha, inoltre, applicato le esenzioni concernenti l'obbligo di autorizzazione preventiva e i trasferimenti nell'ambito di programmi di collaborazione. La Commissione si concentrerà sull'attuazione effettiva della direttiva, anche mediante azioni esecutive. Parallelamente al presente piano d'azione la Commissione ha adottato due raccomandazioni volte ad incoraggiare il funzionamento armonizzato delle LGT destinate alle forze armate e alle imprese certificate.

• sicurezza dell’approvvigionamento: la Commissione formulerà orientamenti sulle misure che gli Stati membri possono adottare in forza della normativa UE in materia di appalti pubblici, al fine di rafforzare la sicurezza dell'approvvigionamento;

• accesso al mercato transfrontaliero per le PMI nel settore della difesa: contestualmente al piano d’azione, la Commissione europea ha pubblicato un serie di raccomandazioni volte ad incoraggiare le autorità responsabili degli appalti degli Stati membri ad agevolare la partecipazione transfrontaliera e delle PMI agli appalti nel settore della difesa e a facilitarne l'accesso alle catene di approvvigionamento della difesa;

• normazione e valutazione di conformità: la Commissione si impegna a prendere in considerazione il sostegno allo sviluppo delle norme che gli Stati membri hanno individuato come necessarie per i progetti di cooperazione nei settori prioritari;

• sinergie civili/militari: la Commissione intende promuovere sinergie tra la dimensione civile e quella militare di alcune iniziative. Entro il 2017 la Commissione presenterà un'iniziativa volta a garantire servizi di comunicazione satellitare affidabili, sicuri e con un buon rapporto costi-benefici per le autorità nazionali e dell'UE che gestiscono missioni e infrastrutture critiche in materia di sicurezza. Al fine di migliorare la capacità dell'UE di rispondere all'evoluzione dei problemi di sicurezza legati ai

Sinergie civili/militari

Sicurezza approvigionamento

Sinergie civili/militari

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controlli di frontiera e alla sorveglianza marittima, la Commissione intende incrementare le capacità del programma Copernicus di osservazione della Terra. Entro il 2018 la Commissione lavorerà all'istituzione di una piattaforma di formazione e istruzione sulla cibersicurezza per affrontare l'attuale divario di competenze nella cibersicurezza e nella ciberdifesa. Sempre entro il 2018, la Commissione si impegna a elaborare azioni specifiche volte a sostenere un programma coordinato a livello civile e militare per la ricerca in materia di sicurezza marittima nonché capacità interoperabili di sorveglianza marittima;

• promuovere gli investimenti nelle PMI, nelle start-up, nelle imprese a media capitalizzazione e negli altri fornitori dell'industria della difesa: i fondi strutturali e di investimento europei e la Banca europea per gli investimenti (BEI) offrono già un sostegno finanziario allo sviluppo di un certo numero di attività a duplice uso. La Commissione sosterrà gli sforzi della BEI per migliorare l'accesso delle catene di approvvigionamento della difesa ai finanziamenti;

• rafforzare il mercato unico per la difesa: la Commissione intende promuovere condizioni per un mercato europeo della difesa aperto e competitivo in Europa al fine di aiutare le imprese a operare a livello transfrontaliero e gli Stati membri nell'ottenere le offerte economicamente più vantaggiose negli appalti della difesa. A tal fine la Commissione promuoverà l'applicazione effettiva della direttiva sugli appalti nei settori della difesa e della sicurezza (direttiva 2009/81/CE) e della direttiva sui trasferimenti UE (direttiva 2009/43/CE), faciliterà la partecipazione transfrontaliera agli appalti nel settore della difesa, sosterrà lo sviluppo di norme di settore e promuoverà il contributo delle politiche settoriali, come i programmi spaziali dell'UE, alle priorità comuni in materia di sicurezza e difesa.

La dichiarazione congiunta UE-NATO

A margine del Vertice NATO che si è svolto l’8 e 9 luglio 2016 in Polonia, l'UE e la NATO hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta sull'intensificazione della cooperazione pratica in settori selezionati, tra cui:

• il contrasto alle minacce ibride, anche mediante l'elaborazione di procedure coordinate;

• la cooperazione operativa in mare e in materia di migrazione; • il coordinamento relativo a cibersicurezza e difesa; • lo sviluppo di capacità di difesa coerenti, complementari e

interoperabili; • l'agevolazione di un'industria della difesa più forte e di una maggiore

ricerca nel campo della difesa; • il potenziamento del coordinamento relativo alle esercitazioni;

Dichiarazione congiunta EU-NATO

Industria della difesa

Mercato unico per la difesa

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• la creazione di capacità di difesa e sicurezza dei partner a est e a sud.

Il contributo congiunto di Francia, Italia, Germania e Spagna

In vista del Consiglio informale sulla difesa del 26 e 27 settembre alcuni Governi (Francia, Italia e Germania) hanno fatto circolare dei documenti e non paper contenti proposte per rilanciare la discussione sulla difesa europea. Successivamente, sulla base di una sostanziale convergenza di proposte, Francia, Italia, Germania e Spagna hanno presentato un documento congiunto.

Nella documento si indica che l’obiettivo non è quello di creare un esercito europeo, ma di rafforzare l’autonomia dell’UE nell’ambito della partnership strategica tra l’UE e la NATO nell’ottica di un mutuo rafforzamento e di evitare inutili duplicazioni.

Si avanzano, in particolare, in modo non esaustivo, le seguenti proposte: • prevedere riunioni ad hoc della Commissione europea dedicate ai

temi della sicurezze e difesa ed prevedere che i Ministri della difesa degli Stati membri possano riunirsi in riunioni ordinarie a livello di Consiglio dell’UE (attualmente non vi è una riunione ordinaria del Consiglio dell’IE dedicata esclusivamente ai temi della difesa, ma le riunioni dei Ministri della difesa, avvengono a margine delle riunioni del Consiglio affari esteri e in modo informale);

• rafforzare la capacità dell’UE di pianificare e condurre missioni PSDC e prevedere un meccanismo adeguato per il loro finanziamento. Anche se non si cita esplicitamente la nozione di un “Quartier generale europeo”, si indica la necessità di sviluppare questa capacità in modo permanente presso le strutture di gestione delle crisi a Bruxelles;

• rafforzare gli strumenti già esistenti per la cooperazione tra Stati membri nello sviluppo delle capacità e prevedere incentivi finanziari per ulteriormente promuovere l’innovazione e la ricerca nel settore della difesa;

• promuovere una più profonda integrazione tra i processi di sviluppo delle capacità tra UE e la NATO, conseguendo una maggiore convergenza tra le azioni dei singoli Stati membri con l’obiettivo di una maggiore sinergia ed efficienza. In particolare, si propone di istituire un Commando medico europeo che promuova le sinergie tra i diversi servizi medici degli Stati membri;

• mantenere e rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea, rendendola efficiente e competitiva e in grado di fornire le capacità militari richieste dall’UE e dagli Stati membri.

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Nel documento congiunto si indica la preferenza di dare un seguito a queste proposte in una Unione a 28 o 27 (con rispetto della Brexit), ma anche che la cooperazione strutturata permanente è uno strumento fondamentale per avanzare da parte di quelli Stati membri che desiderano fare progressi sostanziali in tale ambito.

Si indica, infine, che il rafforzamento della difesa europea deve essere aperto ai contributi di tutti i paesi membri della NATO che non sono membri dell’UE, incluso, eventualmente, quelli che il Regno unito vorrà offrire.

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LA SPESA E L’INDUSTRIA DELLA DIFESA IN EUROPA

L'Europa, considerata complessivamente, occupa il secondo posto nel mondo per la spesa militare, ma è distaccata dagli Stati Uniti e soffre di inefficienza della spesa a causa della frammentazione, della mancanza di interoperabilità e di divari tecnologici.

La Commissione europea evidenza che senza investimenti duraturi nella difesa, l'industria europea rischia di non disporre delle capacità tecnologiche per costruire la prossima generazione di capacità critiche di difesa e ciò inciderà sull'autonomia strategica dell'Unione e sulla sua capacità di agire come garante della sicurezza.

Tra il 2005 e il 2015 la spesa per la difesa dell'UE degli Stati membri dell’UE) si è ridotta di quasi l'11%, sino a raggiungere l'importo complessivo di circa 200 miliardi di EUR.

Nel 2015 anche la quota del PIL destinata alla spesa per la difesa è scesa all'1,4%, ossia il livello minimo mai registrato. In termini reali i bilanci della difesa nell'UE sono diminuiti di 2 miliardi di euro all'anno nel corso dell'ultimo decennio (dati di fonte EDA). Oggi solo 4 Stati membri (Estonia, Grecia, Polonia e Regno Unito) su 28 raggiungono l'obiettivo di spesa della NATO fissato al 2% del PIL nel vertice del 2014 in Galles.

A titolo di confronto, nel 2015 gli investimenti statunitensi nella difesa rappresentavano oltre il doppio della spesa totale degli Stati membri dell'UE nel settore. La Cina ha aumentato il proprio bilancio della difesa del 150% negli ultimi dieci anni. Nel 2015 la Russia ha investito il 5,4% del suo PIL nella difesa (Banca dati SIPRI sulle spese militari 2014, database militare 2015, Istituto internazionale per gli studi sulla sicurezza).

La tendenza alla contrazione dei bilanci della difesa è stata aggravata da inefficienze nel modo in cui tali bilanci vengono utilizzati. La frammentazione dei mercati europei provoca un'inutile duplicazione delle capacità, delle organizzazioni e delle spese. Esistono ad esempio 154 tipi di sistemi di armamenti nell'UE rispetto ai 27 negli Stati Uniti (Dati UE-US sulla difesa 2011, Agenzia europea per la difesa).

I due fattori in grado di migliorare l'efficienza e la capacità innovativa della base industriale di difesa europea, vale a dire la concorrenza e una maggiore cooperazione a livello di UE, sono ancora troppo limitati.

La riduzione dei bilanci della difesa in tutta l'Europa anziché condurre a una maggiore cooperazione, ha prodotto l'effetto contrario, tanto che oggi si contano meno programmi di cooperazione rispetto a vent'anni fa.

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La quota principale dei fondi destinati alla difesa viene spesa nel quadro di appalti pubblici a livello nazionale. Al 2014 gli approvvigionamenti collaborativi di materiali rappresentavano solo il 22% del totale.

Si stima che il settore industriale della difesa produca un fatturato annuo complessivo di 100 miliardi di euro e impiegando direttamente o indirettamente 1,4 milioni di persone altamente qualificate in Europa (Dati dell'Associazione europea delle industrie per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza ASD).

Gli investimenti nel settore della difesa producono un importante effetto moltiplicatore in termini di creazione di spin-off e di trasferimenti di tecnologia ad altri settori, nonché di creazione di posti di lavoro. Si stima che per 1 euro investito nella difesa si generi un effetto pari a 1,6, in particolare attraverso posti di lavoro qualificati, ricerca e tecnologia nonché esportazioni (cfr. Europe Economics, "The Economic Case for Investing in Europe's Defence Industry", 2013).

Appendice: Statistiche su spesa per la difesa

Tabella relativa ai primi quindici Stati per spesa nel settore della difesa

Posizione Stato Spesa 2015

(miliardi di $) Variazione

spesa 2006-2015

(%)

Quota mondiale

(%)

Spesa in percentuale PIL nel 2015

(%)

Spesa in percentuale PIL nel 2006

(%) 1 USA 596 - 3.9 36 3.3 3.8 2 Cina (215) 132 (13) (1.9) (2.0) 3 Arabia Saudita 87.2 97 5.2 13.7 7.8 4 Russia 66.4 91 4.0 5.4 3.5 5 Regno Unito 55.5 -7.2 3.3 2.0 2.2 6 India 51.3 43 3.1 2.3 2.5 7 Francia 50.9 -5.9 3.0 2.1 2.3 8 Giappone 40.9 -0.5 2.4 1.0 1.0 9 Germania 39.4 2.8 2.4 1.2 1.3

10 Corea del Sud 36.4 37 2.2 2.6 2.5 11 Brasile 24.6 38 1.5 1.4 1.5 12 Italia 23.8 -30 1.4 1.3 1.7 13 Australia 23.6 32 1.4 1.9 1.8 14 Emirati Arabi

Uniti 22.8 136 1.4 5.7 3.2

15 Israele 16.1 2.6 1.0 5.4 7.5 Totale primi 15 1.350 81

Totale Mondiale

1.676 100 2.3 2.3

Fonte: Trends in World Military expenditure, 2015, SIPRI, aprile 2016

I dati relativi alla Cina sono stimati

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Dati per gli Stati membri dell’UE e aggregati per macro aree

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DIMENSIONE ESTERNA DELLA POLITICA DI MIGRAZIONE E ASILO DELL’UE

Il Piano di La Valletta

In esito al Vertice sulla migrazione di La Valletta dell’11-12 novembre 2015, cui hanno partecipato i capi di Stato e di governo europei e africani, è stato adottato un Piano d'azione recante una serie di iniziative nei seguenti settori prioritari: cause profonde della migrazione, canali di migrazione legale; protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili; sfruttamento e traffico di migranti; rimpatrio e riammissione. Il Piano è sostenuto da un Fondo fiduciario con una dotazione che è stata progressivamente portata a 2,5 miliardi di euro provenienti dagli strumenti di finanziamento a carico del bilancio dell'UE e dai contributi degli Stati membri e di altri donatori.

Gli accordi UE Turchia

Dalla fine del 2015 si sono svolti una serie di incontri tra UE e Turchia aventi ad oggetto, tra l’altro, la soluzione della crisi dei rifugiati (in massima parte) siriani, che dalle coste turche si erano riversati in massa nelle isole greche.

Il risultato più significativo di tali negoziati è rappresentato dalla Dichiarazione UE – Turchia del 18 marzo 2016, che prevede:

• il rinvio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari e i richiedenti asilo le cui domande sono state dichiarate inammissibili e che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche, a decorrere dal 20 marzo 2016, nel pieno rispetto del diritto dell'UE e internazionale;

• l’impegno UE a reinsediare un cittadino siriano dalla Turchia per ogni siriano rinviato in Turchia dalle isole greche, accordando priorità ai migranti che non sono entrati o non abbiano tentato di entrare nell’UE in modo irregolare (cosiddetto programma 1:1). Questo principio si applica dal 4 aprile 2016; la priorità è data ai migranti che non sono entrati o non hanno cercato di entrare irregolarmente nell'UE in precedenza;

• l’impegno della Turchia nel contrasto alle rotte illegali della migrazione;

• l’accelerazione da parte dell’'UE dell'erogazione dei 3 miliardi di euro assegnati in base a precedenti accordi (Strumento UE per i rifugiati in Turchia per il biennio 2016-2017) e la mobilitazione di ulteriori 3 miliardi di euro una volta che queste risorse saranno state utilizzate e a condizione che gli impegni siano soddisfatti;

• l’accelerazione della tabella di marcia sulla liberalizzazione dei visti e il rilancio del processo di adesione della Turchia all’UE.

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Dall’entrata in vigore della Dichiarazione circa 1.500 migranti irregolari sono stati rimpatriati, mentre oltre 3.500 siriani sono stati reinsediati dalla Turchia all’Unione europea. La Turchia non ha ancora rispettato una serie di parametri, concordati con l’UE ai fini del processo di liberalizzazione dei visti, che in sintesi riguardano: documenti di viaggio biometrici, misure anticorruzione; cooperazione con Europol, misure in materia di terrorismo; protezione dati personali, cooperazione giudiziaria in materia penale; attuazione dell’accordo di riammissione UE – Turchia. Per quanto riguarda lo Strumento per i rifugiati in Turchia dei 2,2 miliardi di euro già stanziati per il periodo 2016-2017, sono già stati impiegati 1,5 miliardi di euro, vale a dire la metà della dotazione totale (3 miliardi di euro).

Il nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi

Il 7 giugno 2016, in esito ad un ampio dibattito europeo nel quale rilevante è stato il contributo del Governo italiano, attraverso il cosiddetto Migration Compact, la Commissione europea ha presentato un nuovo quadro di partenariato volto a mobilitare e orientare l'azione e le risorse dell'UE nell'ambito dell'attività esterna di gestione della migrazione, in particolare attraverso l’istituzione di 5 migration compact con Niger, Nigeria, Senegal, Mali e Etiopia.

Si tratta in sostanza di una serie di principi da attuare in sede di negoziati UE con i principali paesi terzi di origine e di transito dei migranti, che includono tra l’altro:

• una combinazione di incentivi positivi e negativi da integrare nelle politiche UE nel campo dello sviluppo e del commercio a seconda del grado di collaborazione dei Paesi terzi nella gestione della migrazione;

• l'intensificazione degli impegni nell’ambito del Piano d'azione di La Valletta;

• lo smantellamento del modello operativo dei trafficanti di esseri umani;

• la creazione di rotte legali; • il potenziamento dei mezzi finanziari, a partire da un incremento

delle dotazioni del Fondo fiduciario per l'Africa per un ammontare di un miliardo di euro, di cui 500 milioni attinti alla riserva del Fondo europeo di sviluppo, e 500 richiesti agli Stati membri. La Commissione europea sta effettuando un monitoraggio periodico dei risultati dei primi compact. Nel mese di dicembre sono stati diffusi i primi dati sulla riduzione dei flussi di migranti che attraversano il Sahara via il Niger (dai 70 mila passaggi di maggio ai 1.500 di novembre). Infine, secondo l’ultimo rapporto sull’attuazione del nuovo partenariato, nell’ambito del Fondo

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fiduciario per l’Africa sono stati adottati un centinaio di progetti per un valore di oltre 1,5 miliardi di euro.

La Comunicazione “Migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi, salvare le vite umane”.

Il 25 gennaio 2017, la Commissione europea e l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato la comunicazione congiunta JOIN(2017)7 “Migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi, salvare le vite umane”, recante una serie di misure volte rafforzare l'azione dell'UE in materia di migrazione e gestione delle frontiere, con particolare riguardo ai flussi provenienti dalla Libia e dalle zone limitrofe.

Si tratta di una serie di azioni a breve e medio termine per affrontare i flussi verso e dall'Africa settentrionale, i cui obiettivi principali sono:

• la riduzione del numero delle traversate e il salvataggio delle persone rafforzando il sostegno alla guardia costiera e alla marina libiche, anche attraverso l'operazione Sophia; L’EUNAVFOR MED operazione SOPHIA, avviata dall’Unione europea il 22 giugno 2015, è entrata nell'ottobre 2015 nella fase che prevede di individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni usate o sospettate di essere usate dai passatori e dai trafficanti di migranti, anche nelle acque internazionali. Il 20 di giugno del 2016, la Commissione Europea ha esteso il mandato dell’operazione SOPHIA per un’ulteriore anno, fino quindi al 27 luglio 2017, aggiungendo, altresì, due compiti integrativi al mandato della missione: l’addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica; il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 del 14 giugno 2016. All’operazione partecipano 25 nazioni europee, oltre all'Italia: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria e Slovacchia;

• l’intensificazione della lotta contro gli scafisti e i trafficanti garantendo che la rete «Seahorse Mediterraneo» sia operativa entro la primavera del 2017; Seahorse Mediterraneo è un progetto volto a stabilire una rete di cooperazione tra i Paesi europei e nord africani che si affacciano sul Mediterraneo con l’obiettivo di una azione efficace e coordinata contro l'immigrazione clandestina.

• l’incremento del reinsediamento e la promozione del ritorno volontario assistito mediante il sostegno della cooperazione tra UNHCR e le autorità libiche e il sostegno all’Organizzazione mondiale della migrazione;

Eunavfor MED operazione Sophia

Rete Seahorse Mediterraneo

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• la gestione dei flussi migratori attraverso le frontiere meridionali della Libia con il dispiegamento dell'intera gamma di missioni e progetti dell'UE a sostegno delle autorità;

• il rafforzamento del dialogo e della cooperazione operativa con i partner nell'Africa settentrionale sulla gestione della migrazione;

• l’aumento del finanziamento del Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa; La comunicazione è stata discussa in particolare dal Consiglio europeo informale svoltosi a Malta nel febbraio 2016, in esito al quale è stata adottata una Dichiarazione in materia di migrazione irregolare con particolare riferimento alla rotta del Mediterraneo centrale, che prevede, in estrema sintesi, l’intensificazione della collaborazione con la Libia quale principale Paese di partenza e con i suoi vicini in Africa settentrionale e subsahariana. In particolare, nella Dichiarazione si considerano prioritari i seguenti elementi a) formazione, equipaggiamento e supporto per la guardia costiera nazionale libica e altre agenzie pertinenti; b) ulteriori sforzi intesi a smantellare il modello di attività dei trafficanti attraverso un'azione operativa rafforzata, nel quadro di un approccio integrato che coinvolga la Libia, altri Paesi situati lungo la rotta e i pertinenti partner internazionali, gli Stati membri impegnati, le missioni e le operazioni PSDC, Europol e la Guardia di frontiera e costiera europea; c) sostegno allo sviluppo delle comunità locali in Libia, in particolare nelle zone costiere e presso le frontiere terrestri libiche lungo le rotte migratorie; d) un impegno volto a garantire, in Libia, capacità e condizioni di accoglienza adeguate per i migranti, unitamente all'UNHCR e all'OIM; e) sostegno all'OIM per intensificare in maniera significativa le attività di rimpatrio volontario assistito; f) rafforzamento delle campagne di informazione e delle attività di sensibilizzazione destinate ai migranti in Libia e nei paesi di origine e di transito; g) aiuti per la riduzione delle pressioni alle frontiere terrestri della Libia; h) monitoraggio di rotte alternative e di possibili deviazioni delle attività dei trafficanti, attraverso sforzi di cooperazione con i vicini della Libia e i paesi del quadro di partenariato; i) sostegno continuativo agli sforzi e alle iniziative dei singoli Stati membri impegnati direttamente con la Libia; a tale proposito, l'UE accoglie con favore il memorandum di intesa firmato il 2 febbraio 2017 dalle autorità italiane e dal presidente del Consiglio di presidenza al-Serraj ed è pronta a sostenere l'Italia nella sua attuazione.

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LA BREXIT

Dichiarazione del Vertice dei 27 Stati membri del 15 dicembre 2016

In occasione della riunione informale dei capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri svoltasi a margine del Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 è stata adottata una dichiarazione relativa alle procedure per condurre i negoziati con il Regno unito, una volta che questo avrà notificato ai sensi dell’art. 50 del TUE l’intenzione di uscire dall’UE.

La dichiarazione prevede in particolare che: • qualsiasi accordo dovrà basarsi su una combinazione equilibrata di

diritti e obblighi, e che l'accesso al mercato unico presuppone l'accettazione di tutte e quattro le libertà;

• il primo passo dopo la notifica del Regno Unito sarà l'adozione, da parte del Consiglio europeo, di orientamenti volti a definire il quadro dei negoziati a norma dell'articolo 50 TUE e a delineare le posizioni e i principi generali che l'UE perseguirà in tutto l'arco dei negoziati;

• a seguito dell'adozione degli orientamenti, il Consiglio europeo inviterà il Consiglio "Affari generali" a procedere in tempi rapidi all'adozione della decisione che autorizza l'apertura dei negoziati, previa raccomandazione della Commissione europea, e a gestire le fasi successive del processo. Il Consiglio adotterà inoltre direttive di negoziato;

• il Consiglio sarà invitato a nominare la Commissione europea come negoziatore dell'Unione. Si accoglie con favore la nomina da parte della Commissione di Michel Barnier a capo negoziatore. Il negoziatore dell'Unione riferirà sistematicamente al Consiglio europeo, al Consiglio e ai suoi organi preparatori;

• nell'arco di tempo fra le riunioni del Consiglio europeo, il Consiglio e il Coreper, assistiti da un gruppo di lavoro ad hoc con presidenza permanente, garantiranno che i negoziati siano condotti conformemente agli orientamenti del Consiglio europeo e alle direttive di negoziato del Consiglio;

• i membri del Consiglio europeo, del Consiglio e dei suoi organi preparatori che rappresentano il Regno Unito non parteciperanno né alle discussioni né alle decisioni relative a tale Stato;

• rappresentanti dei 27 capi di Stato o di governo (sherpa/rappresentanti permanenti) saranno associati alla preparazione del Consiglio europeo, secondo necessità. I

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rappresentanti del Parlamento europeo saranno invitati a dette riunioni preparatorie;

• il negoziatore dell'Unione sarà invitato a informare periodicamente il Parlamento europeo per tutta la durata dei negoziati.

Posizione del Governo inglese

Il 13 luglio 2016, a seguito della dimissioni di David Cameron, Theresa May, segretario di Stato per gli affari interni del Governo Cameron, è stata nominata nuovo Primo Ministro1.

Il Primo Ministro, Theresa May ha annunciato il 2 ottobre 2016, in occasione della conferenza annuale del Partito conservatore, che il Governo inglese intende avviare il processo di recesso dall’UE ex art. 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE) entro fine marzo 2017.

Il processo di uscita del Regno unito dall’UE dovrebbe quindi presumibilmente concludersi entro la fine marzo del 2019 (a meno che il Consiglio europeo non decida all’unanimità di prorogare tale termine).

Secondo alcuni osservatori, sarebbe auspicabile che i negoziati per il recesso siano completati entro il maggio/giugno del 2019 quando si prevede lo svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo per la legislatura 2019-2024.

A tale proposito, Michel Barnier, capo negoziatore per la Commissione europea sulla Brexit, in una dichiarazione resa alla stampa il 6 dicembre 2016 ha indicato che, tenuto conto della necessita che il processo di uscita del Regno unito dall’UE si concluda prima dello svolgimento delle prossime elezioni del Parlamento europeo, i relativi negoziati dovranno concludersi entro ottobre 2018, per dare tempo al Consiglio e dal Parlamento europeo di approvare l’accordo.

Il Primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, leader del Scottish national Party ha annunciato il 13 ottobre l’intenzione di avviare un consultazione sul disegno di legge per un nuovo referendum in Scozia, sull’indipendenza dal Regno Unito e volto a far rimanere la Scozia nell’UE.

Si ricorda che un primo referendum sull'indipendenza della Scozia si è svolto il 18 settembre 2014. L'esito del referendum ha visto la vittoria degli unionisti con il 55,3% dei votanti, contro il 44,7% a favore.

L’ipotesi di una permanenza della Scozia nell’UE, a seguito dell’uscita del Regno unito, per quanto difficilmente configurabile in termini giuridici, richiederebbe comunque l’unanimità degli Stati membri, difficilmente conseguibile per la prevedibile

1 Del nuovo Governo fanno parte Boris Johnson, in qualità di Ministro per gli Affari esteri, David

Davis, in qualità di sottosegretario per la Brexit e Liam Fox, Ministro per il commercio internazionale, che dovrà guidare i negoziati per i nuovi accordi commerciali bilaterali.

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opposizione di Paesi come la Spagna nel quale entità territoriali come la Catalogna avanzano da anni richiesta di indipendenza.

La House of Commons ha costituito una Commissione parlamentare sull’uscita del Regno Unito dall’UE.

Pronuncia della Corte Suprema del Regno Unito In una pronuncia resa pubblica il 24 Gennaio 2017, la Corte suprema del

Regno unito ha respinto il ricorso che il Governo inglese aveva presentato contro la pronuncia del 3 novembre 2016 con la quale l’Alta Corte del Regno Unito, ha stabilito che il Governo potrà notificare l’intenzione di uscire dell’UE e quindi avviare la procedura ex art 50 del TUE solo sulla base di una pronuncia parlamentare.

La Corte suprema ha indicato che il Governo non ha l’obbligo di consultare i parlamenti di Galles, Irlanda del Nord e Scozia.

Nell’ambito del dibattito, all’indomani del referendum del 23 giugno, alcuni studiosi avevano sostenuto che il Governo avesse il potere di procedere senza consultare il Parlamento, sulla base della cosiddetta “prerogativa reale”, ossia la facoltà di governare per conto della Regina, altri avevano, invece, sostenuto che una decisione di tale portata richiedesse l’approvazione formale da parte del Parlamento2.

Il Progetto di legge per l’autorizzazione alla notifica del recesso Il Governo ha confermato l’intenzione di procedere alla notifica ex art. 50 del

TUE entro marzo 2017, come precedentemente annunziato ed ha presentato il 26 gennaio 2017 un progetto di legge che dovrà essere approvato da entrambe le Camere del Parlamento del Regno Unito, volto ad autorizzare il Governo a procedere alla notifica ex art. 50 del TUE.

La House of Commons ha approvato il progetto di legge l’8 febbraio 2017, senza apportare emendamenti.

La House of Lords ha approvato il 1° marzo (358 voti a favore, 256 contrari) un emendamento al progetto di legge volto a garantire i diritti dei cittadini dell’UE residenti nel Regno unito. Il disegno di legge dovrà quindi essere riesaminato dalla House of Commons, che in precedenza aveva respinto un emendamento di tenore simile, alla quale spetta l’adozione definitiva del testo.

Si ricorda che in un articolo comparso sul quotidiano Daily Telegraph il 27 febbraio scorso si riferiva la notizia per la quale già entro la fine di marzo, quando sarà attivato l’articolo 50, i cittadini europei che vogliono trasferirsi nel Regno Unito non avranno più automaticamente il diritto di rimanere in modo permanente nel Paese e

2 La House of commons, in seguito ad un dibattito sul controllo parlamentare sulla BREXIT,

aveva approvato il 12 ottobre una mozione nella quale chiede un dibattito completo e trasparente sui piani del Governo per l’uscita dall’UE, prima dell’avvio della procedura ex art. 50 del TUE. Sulla base di un emendamento presentato dal Governo, la mozione prevede però che lo svolgimento del dibattito rispetti la decisione espressa dai cittadini con il referendum e che non comprometta la posizione negoziale del Governo.

Progetto di legge per l’autorizzazione alla notifica del recesso

Emendamento della House of Lords

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potrebbero anche essere soggetti a un visto di lavoro. Tale indicazione è stata poi smentita da Downing Street, secondo cui non è stata indicata una scadenza perché il Governo non intende prendere decisioni unilaterali prima che sia raggiunto un accordo con Bruxelles sul futuro dei cittadini UE residenti nel Regno e i cittadini britannici che vivono in altri paesi dell’UE.

In conseguenza del prolungato esame parlamentare del disegno di legge volto ad autorizzare il Governo a procedere alla notifica ex art. 50 del TUE, appare improbabile che il Primo Inglese possa procedere alla notifica in occasione del Consiglio europeo del 9 e 10 marzo prossimo, come inizialmente previsto.

Il libro bianco sulla Brexit Il Governo ha presentato il 2 febbraio scorso un libro bianco sulla Brexit

nel quale – anche sulla base di quanto il Primo ministro inglese aveva indicato in un discorso pronunciato a Lancaster House lo scorso 17 gennaio – si indicano 12 priorità del Governo nei negoziati per l’uscita del Regno unito dall’UE:

1) fornire certezza e chiarezza. In particolare attraverso la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge (Great Repeal Bill) di abrogazione dell’European Communities act del 1972, si convertirà l’acquis comunitario in legislazione nazionale, con l’obiettivo di garantire la continuità giuridica delle norme già in essere. Una volta completato il processo di uscita dal Regno unito, il Parlamento potrà decidere quali disposizioni delle norme in vigore, eventualmente abrogare o modificare. Il Governo intende presentare un libro bianco sul Great Repeal Bill. Il Governo si impegna, infine, a sottoporre l’accordo finale negoziato con l’UE al voto di entrambe le Camere del Parlamento;

2) assumere il pieno controllo delle leggi. Il Parlamento riprenderà la piena sovranità della produzione legislativa e la Corte di giustizia dell’UE non eserciterà più giurisdizione nel Regno unito. Il Governo negozierà meccanismi di risoluzioni di dispute nell’ambito dell’accordo sulle future relazioni con l’UE;

3) rafforzare il Regno unito in quanto Unione di Galles, Inghilterra, Irlanda del Nord e Scozia. In particolare il processo di rimpatrio di poteri dall’UE dovrà tenere conto degli interessi di tutte le parti che compongono i Regno unito e dell’assetto “costituzionale” previsto dagli accordi di devoluzione esistenti;

4) proteggere i legami storici con l'Irlanda. In particolare, il Governo intende trovare in accordo con il Governo irlandese una soluzione pratica che consente di preservare l’area comune di viaggio (Common travel area - CTA), e al tempo stesso protegga l'integrità del sistema di controllo dell’immigrazione del Regno unito;

Libro bianco sulla Brexit

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5) controllo dell'immigrazione. In particolare il Governo indica l’obiettivo di riprendere il controllo sul numero dei persone che arrivano nel Regno unito dai paesi dell’UE. La migrazione di cittadini dell’UE sarà in futuro non più regolante dalle disposizioni europee sulla liberta di movimento, ma esclusivamente della legislazione del Regno unito. Al proposito il Governo considera che potrebbero essere necessari dei regimi transitori per dare modo alle imprese ed ai singoli di prepararsi al nuovo regime;

6) garantire i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito, e dei cittadini del Regno Unito nell'UE. Il Governo indica la necessità si dare garanzie allo status dei cittadini dell’UE che già vivono nel Regno unito e dei cittadini del Regno unito nei paesi dell’EU il prima possibile; Secondo le cifre riportate nel libro bianco, i cittadini di paesi dell’UE residenti nel Regno sono circa 2,8 milioni (di cui circa 900.000 polacchi, pari al 30% e circa 200.000 italiani, pari a circa il 7%). I cittadini inglese residenti nei paesi dell’UE sono circa 1 milione (di cui circa 300.000 in Spagna, pari a circa il 33%, 150.00 in Francia, pari al 15%, 100.000 in Germania, pari al 10% e circa 25.000 in Italia, circa il 2,5%).

7) la tutela dei diritti dei lavoratori. Nel processo di conversione del diritto europeo, particolare attenzione sarà dedicata non solo al mantenimento, ma anche al rafforzamento degli standard dei diritti dei lavoratori;

8) garantire il libero commercio con i mercati europei. Il Governo non intende conservare la posizione del Regno unito nel Mercato interno dell’UE, ma mira a forgiare una nuova partnership strategica con l'UE attraverso un ampio ed ambizioso accordo di libero scambio per le merci e i servizi e un nuovo accordo doganale. Il Governo indica che non intende adottare i modello di accordi già esistenti tra la UE e i Paesi Terzi, ma l’accordo potrebbe riprendere alcuni elementi del mercato interno dell’UE; Secondo le cifre riportate nel Libro bianco, nel 2015 il Regno unito ha esportati nell’UE beni e servizi per un valore di 230 miliardi di sterline e importato merco e servizi per un valore di 291 miliardi di sterline. Il deficit complessivo di 61 miliardi di sterline è composto da deficit di esportazioni del Regno unito di merci pari a 89 miliardi di sterline e surplus di esportazione di servizi per un valore di 28 miliardi di sterline. Sempre secondo i dati forniti nel libro bianco, il Regno unito ha il deficit commerciali più grande con la Germania (circa 25 miliardi di sterline), mentre l’Italia si colloca al settimo posto con un deficit per il Regno Unito di circa 4 miliardi di sterline (le importazioni dall’Italia sono stimate pari ad un valore di circa 20 miliardi di sterline).

9) promuovere nuovi accordi commerciali con altri paesi; Il Regno unito continuerà ad essere un sostenitore del processo di liberalizzazione del

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commercio a livello mondiale e si impegnerà ad aumentare i flussi commerciali con i partner commerciali al di fuori dell’UE;

10) garantire il ruolo del Regno Unito nella promozione della ricerca scientifica e nell'innovazione, mantenendo la collaborazione con i partner europei;

11) proseguire la cooperazione con l’UE in materia di lotta contro la criminalità e il terrorismo. Il Governo intende, inoltre, proseguire la cooperazione con l’Ue in materia di politica estera di sicurezza e di difesa;

12) conseguire un processo di uscita dall’UE fluido ed ordinato In particolare, il Governo, intende raggiungere un accordo sulle future relazioni del Regno unito con l’UE entro il periodo di completamento del processo di recesso ex art. 50 del TUE e ipotizza la necessità di regimi transitori di natura provvisoria, con diversa durata per i differenti settori e volti a garantire un passaggio ordinato da un regime all’altro, nell’interesse reciproco del Regno Unito e dei paesi membri dell’UE.

La procedura di recesso dall’UE In base all’art. 50 del TUE, il Paese dell’UE che decide di recedere deve

notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione.

Fin tanto che il processo di recesso non è completato, il Regno unito rimane membro dell’UE con tutti i diritti e le obbligazioni che da ciò derivano. Va inoltre rilevato che l’art. 50 del TUE non contiene disposizioni relative a limiti temporali entro i quali uno Stato membro debba notificare l’intenzione del recesso dall’UE. Tale decisione resta dunque una prerogativa dello Stato membro interessato.

E’ comunque stabilito, quale norma di chiusura, che in mancanza di accordo tra il Consiglio e lo Stato membro interessato, i Trattati cessino di essere applicabili a tale Stato due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato interessato, può peraltro decidere all’unanimità di prolungare tale termine.

L’accordo volto a definire le modalità del recesso è concluso a nome dell'UE dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo.

In tal caso, si richiede una maggioranza qualificata più elevata di quella prevista in via ordinaria (pari al 55% dei membri del Consiglio): la maggioranza richiesta, infatti, è pari ad almeno il 72% dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri

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partecipanti (20 su 27 Stati membri), che totalizzino almeno il 65% della popolazione di tali Stati (288 milioni su un totale dei 444 milioni dei 27 Stati membri).

Lo Stato membro che recede non può partecipare alle deliberazioni adottate dal Consiglio europeo o dal Consiglio dell’UE ai sensi dell’articolo 50 del TUE che lo riguardano.

L’articolo 50 del TUE non contiene disposizioni sui membri eletti al PE dello Stato membro recedente ed in quanto rappresentanti di tutti i cittadini dell’UE e non solo dei cittadini dello Stato membro dove sono stati eletti, si deve assumere che continuino a partecipare pienamene ai lavori del PE fino al completamento del processo di recesso.

A differenza del processo di adesione, il recesso di uno Stato membro non necessità di essere ratificato da parte degli Stati membri. Non di meno, dovranno invece essere sottoposti a ratifica da parte di tutti gli Stati membri le modifiche dei Trattati europei e di altri Trattati internazionali che si renderanno necessarie in conseguenza del recesso.

Una interpretazione del combinato disposto dell’art. 50 e dell’articolo 218 del TFUE, relativo alla conclusioni di accordi tra l’Unione e i paesi terzi, induce a ritenere che l’accordo di recesso debba necessariamente essere distinto dall’accordo che definisce le future relazioni tra lo Stato recedente e l’UE.

Mentre il primo accordo è un accordo tra l’UE e uno dei suoi Stati membri, da considerarsi non misto (quindi non sottoposto a ratifica da parte dei Parlamenti nazionali degli Stati membri), il secondo accordo è tra l’UE e uno Stato ormai terzo, soggetto alla ratifica da parte dei Parlamenti nazionali di tutti gli Stati membri dell’UE: si trattarebbe, infatti, di un Trattato misto, in quanto coinvolgerebbe le competenze dell’UE e degli Stati membri.

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LA NUOVA AMMINISTRAZIONE TRUMP E LE RELAZIONI EURO-ATLANTICHE

(a cura del Servizio Studi)

Nell’ambito della politica estera della nuova Amministrazione americana, uno dei punti apparsi sin dalla campagna elettorale più problematici è stato quello delle relazioni transatlantiche, e specialmente dei rapporti tra Europa e Stati Uniti all’interno della NATO. Gli alleati europei appaiono infatti allarmati dalle dichiarazioni in merito al carattere ormai obsoleto dell’Alleanza atlantica.

Tale impostazione, unitamente al forte riaccentramento sugli Stati Uniti anche nel campo delle relazioni economico-commerciali internazionali, nonché ai rinnovati richiami a un aumento delle spese militari degli alleati - che Washington non da oggi ritiene troppo limitate, esortando a raggiungere il livello del 2% del PIL, allocando almeno il 20% delle risorse sull’ammodernamento e sugli investimenti tecnologici -; ha comprensibilmente fatto temere in Europa uno scenario di notevole disimpegno americano dalla difesa del Vecchio Continente.

Va tuttavia sottolineato che in due importanti incontri iniziali della nuova Amministrazione USA con gli alleati europei, ovvero nella Conferenza sulla sicurezza di Monaco all’inizio di febbraio (che ha visto la presenza del vicepresidente americano Mike Pence) e nel vertice dei Ministri della difesa NATO del 15 febbraio (cui è intervenuto il nuovo segretario alla difesa Jim Mattis) gli esponenti statunitensi hanno ribadito con chiarezza l’impegno di Washington per la sicurezza europea.

L’ipotesi tuttavia che queste prese di posizione esprimessero solo limitatamente le vedute della nuova Amministrazione, in quanto piuttosto diverse dalle posizioni fino ad allora espresse da Trump, è stata smentita il 28 febbraio nel primo discorso del neopresidente al Congresso, nel quale parimenti Trump ha mostrato un approccio assai più internazionalistico, esprimendo un forte sostegno per la NATO.

Cionondimeno, il futuro delle relazioni transatlantiche in ordine alla sicurezza va inquadrato più ampiamente nelle prospettive di politica estera degli Stati Uniti nell’era Trump. In tal senso sarà determinante, al di là delle dichiarazioni amichevoli del periodo elettorale, la concreta evoluzione della relazioni tra Stati Uniti e Russia, che a partire dalla crisi ucraina hanno fatto segnare per molti profili una sorta di ritorno alla Guerra Fredda, con la NATO impegnata a rassicurare i paesi del fianco orientale dell’Alleanza, rischierandovi importanti contingenti a scopo dissuasivo.

Contemporaneamente, l’Alleanza atlantica non ha tagliato tutti i ponti di dialogo con Mosca, rispettando sostanzialmente l’Atto fondatore dei rapporti tra NATO e Russia del 1997, astenendosi dunque dal dispiegare le ulteriori forze

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armate nell’Europa orientale in via permanente. In ogni modo anche il programma di scudo missilistico lanciato da Obama nel 2009 con basi in Romania e Polonia non ha contribuito al miglioramento delle relazioni tra la USA/NATO e Russia.

L’acuirsi delle tensioni sul fianco orientale dell’Alleanza atlantica, e nei confronti di un avversario del peso militare della Federazione russa, già da tempo ha contribuito a riportare l’accento sul tema fondante dell’Alleanza atlantica, quello della difesa del territorio europeo, dopo che l’evoluzione della NATO successiva alla caduta del mondo comunista aveva invece accentuato i profili proiettivi delle possibilità di intervento dell’Alleanza, soprattutto nei confronti della gestione delle crisi nelle aree limitrofe e nel contrasto ai santuari afghani del terrorismo internazionale dopo l’11 settembre 2001.

Dal 2015, però, dapprima i gravissimi attentati di Parigi in gennaio e novembre, e successivamente con gli attacchi di Bruxelles nel marzo 2016 e di Istanbul nel dicembre dello stesso anno, hanno posto alla NATO nuovamente il problema del confronto con una minaccia che riguarda sì il territorio europeo, ma il contrasto della quale richiede una proiezione esterna verso il dominio territoriale acquisito dall’ISIS a partire dal 2014 a cavallo tra Siria e Iraq.

Più in generale, il contrasto al terrorismo - che ha costituito argomento primario del Vertice NATO di Varsavia del luglio scorso - ha posto in primo piano il fianco meridionale dell’Alleanza e il teatro mediterraneo, tra l’altro di primario interesse per l’Italia. In tal senso si sono moltiplicate le spinte per un maggiore impegno dell’Alleanza atlantica nel gestire le tensioni mediterranee e i rischi collegati ai flussi migratori. Nell’incontro dei Ministri della Difesa NATO del 15 febbraio 2017 è stata accolta la proposta italiana per la costruzione di un centro di raccordo antiterrorismo a Napoli presso il Comando congiunto interforze, incaricato di coordinare tanto le informazioni sulle situazioni di crisi del Nord Africa e del Medioriente, quanto le eventuali operazioni correlate.

Di grande interesse per la sicurezza europea è stato anche quanto ribadito nel Vertice NATO di Varsavia in merito alla cooperazione tra Unione europea e NATO: qui infatti si è preso atto che dopo l’elaborazione della Strategia globale di sicurezza dell’Unione europea e dell’accresciuta attività dell’Agenzia europea per la difesa, nel quadro di un aumento degli investimenti settoriali allo studio della Commissione europea, i rapporti tra UE e NATO possono registrare un salto di qualità, investendo una pluralità di profili, dal contrasto alle minacce di carattere ibrido alla cooperazione marittima (soprattutto nel Mediterraneo), dalla sicurezza e difesa cibernetica alla cooperazione nel campo dell’industria dei materiali per la difesa, dalla conduzione di esercitazioni coordinate nel 2017 2018 al miglioramento della capacità di sicurezza e difesa dei paesi partner della NATO e dell’Unione europea sul fianco meridionale e su quello orientale.

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Oltre alla cooperazione UE-NATO, assume rilievo nel nuovo scenario la possibilità di un avanzamento perlomeno di un nucleo di paesi dell’Unione nell’integrazione militare, in direzione di una vera e credibile componente europea della difesa. Da questo punto di vista, tuttavia, esiste un’ulteriore incognita, ancora una volta collegata ai rapporti transatlantici: infatti l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, salutata con estremo favore da parte di Donald Trump, che non mostra particolare apprezzamento per istituzioni sovranazionali quali la UE, è suscettibile certamente di compromettere la forza di una componente europea di difesa, essendo il Regno Unito il paese europeo militarmente più attrezzato.

D’altro canto, però, non va dimenticato che proprio il Regno Unito costantemente è stato un elemento frenante anche nei processi di integrazione militare dell’Unione europea, che dunque potrebbero procedere in assenza di Londra più speditamente.

Resta comunque fermo che le relazioni militari e di sicurezza tra Europa e Stati Uniti permarranno condizionate dai rapporti con la Russia, i quali, al di là delle polemiche sulla vicinanza di Mosca al neopresidente americano e al suo entourage, difficilmente sono prevedibili in miglioramento solo in funzione della disponibilità che Trump più volte ha manifestato in tal senso. Come dimostrano le prime uscite della nuova Amministrazione in ambito europeo, nonché lo stesso primo discorso di Trump al Congresso, le direttrici di fondo della politica internazionale statunitense potrebbero non discostarsi poi molto da quelle del recente passato. In tal senso vanno considerate ad esempio le affermazioni di Trump sulla necessità di un ammodernamento del potenziale nucleare USA e di accrescere gli stanziamenti per la difesa, che Mosca non ha certo accolto con favore.

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RELAZIONI TRA L’UNIONE EUROPEA E LA RUSSIA

Indicazioni sulla Russia nella Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE

Nell’ambito della nuova Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE, si formulano le seguenti indicazioni per quanto riguarda le prospettive delle relazioni tra Ue e Russia:

• la gestione delle relazioni con la Russia rappresenta per l’UE una sfida strategica. Un approccio coerente e unitario deve restare il fondamento della politica dell'UE nei confronti della Russia;

• modifiche sostanziali nelle relazioni fra l'UE e la Russia presuppongono il pieno rispetto del diritto internazionale e dei principi su cui si basa l'ordine di sicurezza europeo. L’UE non riconoscerà l'annessione illegale della Crimea da parte della Russia, né accetterà la destabilizzazione dell'Ucraina orientale;

• l’UE si impegna a rafforzare la resilienza dei paesi del vicinato orientale e sostenere il loro diritto a determinare liberamente il proprio approccio all'UE;

• al tempo stesso, l'UE e la Russia sono interdipendenti. È quindi necessario dialogare con la Russia per esaminare i punti di disaccordo e collaborare se e quando convergano i rispettivi interessi.

Crisi tra Russia e Ucraina

Le relazioni tra l’UE e la Russia negli ultimi due anni sono state condizionate dalla crisi tra l’Ucraina e la Russia. Sin dal marzo 2014, a fronte del deterioramento della situazione in Ucraina, l’Unione europea è, infatti, intervenuta a più riprese attraverso quattro principali canali:

• l’adozione di dichiarazioni con cui il Consiglio europeo e il Consiglio hanno espresso la posizione politica dell’UE in merito alla situazione del Paese;

• l’adozione di misure restrittive nei confronti di persone fisiche e giuridiche specificamente individuate, e di sanzioni economiche anche nei confronti della Russia;

• il rafforzamento dell’assistenza finanziaria all’Ucraina e la soppressione delle barriere tariffarie;

• l’istituzione di una missione civile nell’ambito della Politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE (PESC/PSDC). La missione di esperti civili EUAM Ucraina avviata il 1° dicembre 2014 e con un bilancio di 13,1 milioni di euro, è destinata all’assistenza al Paese in materia di riforme del settore della sicurezza civile, sostegno della polizia e stato di diritto. Il mandato della missione è stato prorogato al 30 novembre 2017.

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Dichiarazioni dell’UE Le istituzioni dell’Unione europea e in particolare il Consiglio europeo e il

Consiglio dell’UE, sin dall’inizio della crisi, hanno adottato una serie di dichiarazioni.

In particolare, il Consiglio europeo del 19 e 20 marzo 2015 ha: • invitato tutte le parti a dare rapida e piena attuazione agli accordi di

Minsk3 e a tener fede ai propri impegni, sottolineando la responsabilità della Russia al riguardo;

• convenuto che la durata delle misure restrittive nei confronti della Russia debba avere un legame chiaro con la piena attuazione degli accordi di Minsk;

• non riconosciuto e condannato l'annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli da parte della Russia.

Misure restrittive e sanzioni economiche A seguito delle “chiare violazioni della sovranità e dell’integrità territoriale

dell’Ucraina causata dagli atti di aggressione delle forza armate russe” (così si era espresso il Consiglio dell’UE del 3 marzo 2014), l’UE ha deciso, a partire dal marzo 2014, l’introduzione di misure restrittive volte al congelamento dei beni ed a restrizioni per la concessione di visti per alcune persone individuate come responsabili di violazioni dei diritti umani e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Il Consiglio dell’UE, il 10 settembre 2016, ha prorogato al 15 marzo 2017 l’applicazione delle misure restrittive dell’UE (blocco dei beni e il divieto di viaggio nei confronti di 146 persone e 37 persone giuridiche).

Sono poi state adottate, il 31 luglio e l’8 settembre 2014, una serie di sanzioni economiche nei confronti della Russia, relative, all'accesso ai mercati dei capitali, alla difesa, ai beni a duplice uso e alle tecnologie sensibili. Il

3 Gli accordi di Minks prevedono: il cessate il fuoco bilaterale immediato; forme di

decentralizzazione del potere in Ucraina; il monitoraggio della frontiera russo-ucraina e la loro verifica da parte dell'OSCE, attraverso la creazione di zone di sicurezza nelle regioni di frontiera tra l'Ucraina e la Russia; il rilascio immediato di tutti gli ostaggi e di tutte le persone detenute illegalmente; l’adozione di una legge sulla prevenzione della persecuzione e la punizione delle persone che sono coinvolti negli eventi che hanno avuto luogo in alcune aree delle regioni di Doneck e Lugansk; la continuazione del dialogo nazionale inclusivo; l’adozione di misure per migliorare la situazione umanitaria nella regione del Donbass, in Ucraina orientale; la garanzie delle svolgimento di elezioni locali anticipate; la rimozione di gruppi illegali armati, attrezzature militari, così come combattenti e mercenari provenienti dalla Russia; l’Adozione dell'ordine del giorno per la ripresa economica e la ricostruzione della regione di Donbass; una serie di misure di pacificazione quali la rimozione di tutte le armi pesanti 15 km dietro la linea di contatto, per creare una zona smilitarizzata di 30 km, il divieto di operazioni offensive, il divieto di voli di aerei da combattimento sopra la zona di sicurezza, il ritiro di tutti i mercenari stranieri dalla zona di conflitto.

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Consiglio ha indicato che tali misure potranno essere modificate, sospese o revocate completamente o parzialmente in base alla valutazione dell'attuazione del piano di pace in Ucraina. Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 ha prorogato tali sanzioni al 31 luglio 2017.

Nel giugno 2014 l’UE ha deciso la sospensione dei negoziati con la Russia per l’adesione all’OCSE e all’Agenzia internazionale per l’energia. Sono inoltre stati sospesi i summit bilaterali periodici UE-Russia.

Il Consiglio europeo del 16 luglio 2014 ha, inoltre, chiesto alla Banca europea per gli investimenti (BEI) di sospendere la conclusione di nuove operazioni finanziarie in Russia.

Impatto delle sanzioni Per quanto riguarda, gli effetti delle sanzioni sull’economia dell’UE, la

Commissione rileva che l’impatto differisce tra gli Stati membri, e dovrebbe determinare nel 2016 una riduzione del PIL nell’ordine di 0,1%.

Secondo dati forniti dalla Commissione europea ad aprile 2016, le esportazioni dell’UE verso la Russia sono calate del 28,4% nel 2015, rispetto al 2014, e le importazioni dalla Russia nell’UE del 25,5% nello stesso periodo di riferimento. Di conseguenza, la Russia è diventata il 5° partner commerciale dell’UE, perdendo la quarta posizione.

Secondo gli stessi dati, l’Italia avrebbe subito nel 2015 un calo delle esportazioni nei confronti della Russia del 17,5% ed una calo delle importazioni dalla Russia del 25,2%, rispetto al 2014. Il totale dello scambio commerciale tra l’Italia e la Russia avrebbe subito un calo del 20,2%, passando dai 26,7 miliardi di euro nel 2014 a 21,3 miliardi di euro nel 2014.

In conseguenza delle restrizioni imposte dalla Russia all’importazioni di prodotti agricoli ed alimentari dall’UE, secondo i dati della Commissione europea all’aprile 2016 le esportazioni agricole ed alimentari dell’UE verso la Russia hanno fatto registrare nel 2015 un calo del 39% rispetto al 2014. Per l’Italia il calo è stato del 38%. Il calo a livello di UE è stato comunque compensato da un generale aumento delle esportazioni di prodotti agricoli ed alimentari nei confronti di altri paesi terzi.

Accordo di associazione UE-Ucraina

Nel corso del Consiglio europeo del 27 giugno 2014 è stato firmato l’accordo di associazione UE-Ucraina.

L'accordo di associazione prospetta un significativo approfondimento delle relazioni UE-Ucraina, prevedendo sia un'associazione politica sia la creazione di un'area di libero scambio. In particolare, si stabiliscono regole di base per la cooperazione in settori quali energia, trasporti e istruzione e si prevede l’impegno dell’Ucraina a rispettare i principi democratici, i diritti umani e lo Stato di diritto.

Al momento alcune disposizioni dell’accordo di associazione, relative in particolare alle aree di competenza esclusiva dell’UE, quali l’unione doganale, la

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politica commerciale, la politica della concorrenza sono già entrate provvisoriamente in vigore.

In particolare l’Area di libero scambio tra UE e Ucraina - una delle motivazioni all’origine del conflitto con le Russia -è entrata in vigore in via provvisoria a partire dal 1° gennaio 2016.

L’accordo, contestualmente approvato dal Parlamento europeo e ratificato dal Parlamento ucraino il 16 settembre 2014, dovrebbe entrare definitivamente in vigore una volta ratificato da tutti gli Stati membri dell’UE.

Allo stato attuale, il processo di ratifica dell’accordo è stato formalmente completato da tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione dei Paesi Bassi.

Si ricorda che il 6 aprile 2016 un referendum consultivo svoltosi nei Paesi Bassi aveva respinto la ratifica dell’accordo di associazione UE- Ucraina.

Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016, al fine di consentire il completamento della procedura di ratifica dell’accordo da parte dei Paesi Bassi a seguito dell’esito del referendum, ha adottato una dichiarazione nella quale di indica che l'accordo di associazione:

• non conferisce all'Ucraina lo status di paese candidato all'adesione all'Unione, né costituisce un impegno a conferirle tale status in futuro;

• non prevede l'obbligo per l'Unione o i suoi Stati membri di fornire garanzie di sicurezza collettiva o altre forme di aiuto o assistenza militare all'Ucraina;

• non richiede un sostegno finanziario complementare degli Stati membri all’Ucraina;

• non garantisce ai cittadini dell'Ucraina il diritto di risiedere e lavorare liberamente nel territorio degli Stati membri e non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ammissione nel loro territorio dei cittadini ucraini in cerca di lavoro, dipendente o autonomo.

La decisione prenderà effetto una volta che l'accordo di associazione sarà stato ratificato dai Paesi Bassi e concluso dall'Unione europea. In caso contrario, la decisione cesserà di esistere.

La Camera dei rappresentanti del Parlamento olandese ha approvato il disegno di legge di ratifica dell’accordo di associazione il 17 febbraio 2017, ora all’esame del Senato olandese, che dovrebbe avviare i lavori dopo il 15 marzo 2017, dopo lo svolgimento delle elezioni politiche.

Per quanto riguarda l’Italia, il Parlamento ha autorizzato la ratifica dell’Accordo con la legge n. 169 del 29 settembre 2015.

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LA CRISI LIBICA: GLI ULTIMI SVILUPPI (a cura del servizio Studi)

Il 17 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco, veniva firmato l’Accordo politico libico, con la sigla di 90 membri della Camera dei rappresentanti di Tobruk e di 69 deputati del Congresso nazionale di Tripoli. L’intesa prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale, a sua volta articolato in un Consiglio di presidenza e in un Gabinetto, nonché di una Camera dei rappresentanti e di un Consiglio di Stato. Al Consiglio di presidenza, guidato da Fayez Serraj, era attribuito il compito di formare la lista dei ministri di un governo di unità nazionale da insediare a Tripoli entro un mese. Hanno apposto la propria firma all’accordo politico numerosi rappresentanti della società civile, dei partiti politici e delle municipalità libiche. Il giorno successivo, 18 dicembre, il Consiglio di sicurezza dell’ONU adottava all’unanimità la risoluzione 2254 sulla Libia, recependo i risultati degli accordi di Skhirat e invitando gli Stati membri delle Nazioni Unite a rispondere alle richieste di assistenza del governo di unità nazionale.

Nei mesi successivi, tuttavia, la formazione e il consolidamento di un esecutivo di unità nazionale si dimostravano estremamente difficili, in un contesto di sicurezza del tutto precaria - con il persistente potere di numerose milizie di vario orientamento in diverse aree del paese -, e con l’evidente volontà del generale Khalifa Haftar e, dietro di lui, della autorità di Tobruk - sostenuti dall’Egitto - di non accettare di fatto l’autorità di Fayez Serraj.

Il 24 febbraio 2016 101 parlamentari di Tobruk firmavano una petizione a sostegno del nuovo esecutivo proposto da Serraj, un fatto che, pur non significando ancora il via libera di Tobruk, costituiva uno snodo potenzialmente importante nella questione. Sulla proposta italiana di far leva sul pronunciamento dei 101 parlamentari di Tobruk per considerare espressa e formalizzata la volontà della maggioranza di quel consesso parlamentare si coagulava progressivamente il consenso delle potenze occidentali.

Tuttavia solo ai primi di aprile il governo di Serraj, dopo lo sbarco a Tripoli, sembrava progressivamente consolidarsi, con la dissoluzione della coalizione “Alba Libica” e la partenza da Tripoli delle due principali autorità dell’amministrazione filoislamista della capitale, il primo ministro al-Gwell e il presidente del parlamento Sahmain. Le milizie di Misurata le milizie islamiste di Tripoli si schieravano dalla parte di Serraj, come anche buona parte della Fratellanza musulmana libica. Serraj incassava anche l’importante sostegno di Ibrahim Jadran, capo delle “Guardie Petrolifere”, attive soprattutto in Cirenaica, che prendeva le distanze dal generale Haftar. Parimenti, la Banca centrale libica e la Compagnia nazionale petrolifera (NOC) riconoscevano l’autorità del governo di unità nazionale guidato da Serraj.

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Rilevante l’iniziativa del governo Serraj, unitamente alle milizie di Misurata, di sferrare in maggio un attacco contro la roccaforte dell’ISIS a Sirte: su richiesta di Serraj gli Stati Uniti iniziavano il 1° agosto raid aerei contro obiettivi dello “Stato islamico” a Sirte – Sirte sarebbe tuttavia stata liberata, per opera delle milizie di Misurata, solo in dicembre. Il Governo italiano si era prontamente dichiarato disponibile a concedere basi e spazi aerei nazionali a favore dell’operazione statunitense. Il Parlamento italiano, inoltre, approvava il 13 settembre la proposta del Governo di corrispondere alle richieste libiche per l’allestimento di un ospedale da campo a Misurata, comprensivo di 200 unità tra personale medico-infermieristico e di supporto logistico, protetti da 100 militari. Va comunque ricordato che il nostro Paese è stato il primo tra quelli occidentali a riaprire un’ambasciata a Tripoli (10 gennaio 2017).

Nelle stesse ore in cui il Parlamento italiano discuteva le richieste libiche, tuttavia, le milizie del generale Haftar occupavano i principali terminal della cosiddetta mezzaluna petrolifera libica, strappandone il controllo alle Guardie Petrolifere di Jadran, alleate del governo di unità nazionale di Serraj. Tuttavia, Haftar consegnava prontamente i campi petroliferi di cui aveva acquisito il controllo alla NOC, favorendo in tal modo la Banca centrale di Tripoli, che tuttavia, si ricordi, è la stessa entità che eroga gli stipendi anche alle milizie dello stesso Haftar. Va comunque ricordato che il 3 marzo le Brigate di difesa di Bengasi, composte da miliziani filoislamisti, unitamente a elementi armati provenienti da Misurata e combattenti fedeli a Ibrahim Jadran hanno riconquistato i due terminal petroliferi di Ras Lanuf e Sidra, strappandoli al controllo del generale Haftar.

Più incisivo il ruolo di Haftar nel blocco del dialogo politico libico, rispetto al quale il generale rifiuta di fatto quella parte dell’Accordo di Skhirat che prevede il passaggio al Consiglio di presidenza del comando supremo delle forze armate. L’obiettivo del generale è apparso invece quello di riservare nel futuro assetto libico proprio per sé il vertice militare, per di più in una posizione di forte indipendenza dalle autorità civili. La resilienza di Haftar e il peso della sua figura anche nei confronti del parlamento di Tobruk sembrano provocare progressivamente nella Comunità internazionale un parziale ripensamento per un suo maggior ruolo nel futuro istituzionale della Libia: inoltre sono emersi sempre più, oltre ai legami del generale con l’Egitto, i suoi rapporti con la Russia, importanti anche per le necessità di forniture di armamenti. Non sono poi sfuggite alcune ambiguità della Francia, anche queste a favore di Haftar.

Alla metà di ottobre si verificava un tentato colpo di mano contro Serraj da parte di miliziani rimasti fedeli all’ex premier di Tripoli al-Gwell: alcuni edifici governativi e una stazione televisiva venivano occupati, ma la pronta reazione delle forze fedeli a Serraj provocava l’arresto dei miliziani e la fuga di al-Gwell. Il 13 gennaio 2017, mentre Serraj si trovava in visita al Cairo, al-Gwell e le milizie

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a lui fedeli tornavano ad occupare alcuni uffici ministeriali a Tripoli, dimostrando una volta di più la debolezza e l’estrema difficoltà del governo di Serraj ad estendere il proprio controllo anche solo sull’intera capitale libica.

Dopo la visita a Tripoli, il 9 gennaio, del Ministro dell’interno Minniti, nel corso della quale è stata prevista la conclusione di un accordo bilaterale in merito alla gestione dell’immigrazione, e dopo la presa di posizione del Presidente della Commissione europea Juncker, che ha annunciato la volontà dell’Unione di chiudere la rotta libica delle migrazioni illegali, tentando di bloccare gli afflussi verso l’Italia entro l’estate del 2017 - estendendo tra l’altro l’operatività nelle acque libiche dell’operazione “Sofia” e rafforzando la Guardia costiera libica; il Presidente del Consiglio Gentiloni e Fayez Serraj hanno firmato a Roma il 2 febbraio il Memorandum d’intesa previsto già il 9 gennaio, finalizzato al completamento del sistema di controllo dei confini della Libia, per porre argine ai flussi di immigrati clandestini, fornendo supporto tecnico agli organismi libici specificamente impegnati nel contrasto ai traffici di esseri umani, nonché finanziamenti per i centri di accoglienza in Libia. Il giorno dopo, 3 febbraio, è stata la volta dell’Unione europea, che ha varato il proprio piano per la chiusura della rotta libica dell’immigrazione illegale, sulla scorta di quanto avvenuto l’anno precedente nei confronti della rotta balcanica dalla Turchia.

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I RECENTI SVILUPPI DEL QUADRO POLITICO IN TURCHIA (a cura del Servizio Studi)

L’attuale situazione della Turchia deve essere valutata in relazione al referendum che il 16 aprile 2017 si svolgerà nel paese per approvare o respingere la modifica costituzionale proposta dal Partito di governo del Presidente Erdogan (AKP), al fine di imprimere alla Turchia una decisa svolta in senso presidenziale, con notevole aumento delle prerogative dello stesso Erdogan. Va ricordato che grazie all’appoggio del Partito nazionalista MHP i 18 emendamenti costituzionali approvati in dicembre dalla Commissione costituzionale turca hanno ottenuto in gennaio il via libera in Parlamento, ma non con una maggioranza tale (due terzi) da evitare la consultazione popolare.

Tratti essenziali della riforma costituzionale proposta sono l’abolizione della carica di primo ministro, con conseguente notevole incremento delle prerogative del Presidente, che avrà facoltà anche di nominare ministri e funzionari di governo; la possibilità per il Presidente di dichiarare lo stato d’emergenza e sciogliere le Camere; nonché la possibilità per il Capo dello Stato di mantenere il legame con il proprio partito politico - Erdogan potrebbe in tal modo anche riassumere la guida dell’AKP, abbandonata nel 2014. Questi elementi hanno fatto parlare di una riforma costituzionale ad personam, e, da parte dei numerosi oppositori, dello scivolare della Turchia verso la dittatura.

Tuttavia le prospettive referendarie si presentano incerte: se la reazione veemente al tentato golpe del luglio 2016 sembra aver rafforzato il Presidente e il suo Partito, anche in seno all’AKP non mancano voci non del tutto allineate con la politica di Erdogan - non va dimenticato il licenziamento in tempi recenti del primo ministro Davutoglu e la sua sostituzione con Binali Yildirim, assai più allineato sulle posizioni di Erdogan. Anche nel movimento ultranazionalista MHP una parte dei deputati a metà di febbraio ha esplicitamente preannunciato il proprio sostegno al no nel prossimo referendum. Va tuttavia considerato che più volte il Presidente turco ha preparato i propri successi elettorali riuscendo a toccare corde cui l’elettorato conservatore anatolico è sensibile, con appelli populistici alla tradizione islamica del paese e all’ordine. Proprio questo può far pensare che, anche i dubbi sull’eccessivo accentramento personale del potere che la riforma costituzionale proposta comporterebbe, possano essere ancora una volta superati.

Per quanto invece concerne i partiti e movimenti di opposizione, questi vedono lo schieramento del Partito popolare repubblicano di Kilicdaroglu e il Partito democratico dei popoli filocurdo (HDP), che ha addirittura boicottato in parlamento la votazione della riforma, dopo l’arresto dei suoi due copresidenti Demirtas e Yuksekdag.

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Non saranno certamente secondarie per l’esito del voto 16 aprile le vicende interne della sicurezza: una eventuale recrudescenza di attentati da parte delle frange militari curde (PKK, TAC) o dello “Stato islamico” in gravi difficoltà nel suo dominio territoriale a cavallo tra Iraq e Siria, favorirebbe l’appello alla stabilità che già più volte Erdogan ha utilizzato per cementare il proprio schieramento. Il governo non ha fatto mistero di criminalizzare le forze favorevoli al no, qualificate da Yildirim alla stregua di terroristi e nemici dell’unità della Turchia.

Non va poi dimenticato che la reazione al tentato colpo di Stato del 2016 ha consentito Erdogan di limitare grandemente il potere delle opposizioni, decapitate dai numerosi arresti di giornalisti, intellettuali e pubblici funzionari accusati di collusione.

Anche la questione curda si configura attualmente in Turchia con risvolti potenziali di rinnovata drammaticità: infatti il fallimento del processo negoziale con il PKK, consumato nel 2015, ha fatto sì che una nuova ondata di attentati contro obiettivi turchi sia stata messa in atto, provocando una ulteriore svolta repressiva nella Turchia sud-orientale, parallelamente al venir meno delle speranze di mediazione politica che aveva suscitato la chiara affermazione del partito filocurdo di Demirtas nel giugno 2015. La revanche politica del successivo mese di novembre, quando nuove elezioni restituivano all’AKP la maggioranza dei seggi in Parlamento, e soprattutto l’ondata repressiva generalizzata succeduta al tentato golpe del luglio 2016, hanno di fatto travolto ogni prospettiva di accordo con le popolazioni curde del sud-est della Turchia. Infatti il partito filocurdo HDP, pur non senza alcune ambiguità nei confronti della lotta armata contro il potere di Ankara, era sembrato poter catturare consensi anche in direzione di frange giovanili della sinistra e bdell’ambientalismo, potendo così inquadrare la propria rappresentanza degli interessi curdi in una dimensione più credibilmente “nazionale”, che in passato era mancata ai partiti d’ispirazione curda.

A queste preoccupazioni si collega senza dubbio l’intervento turco nello scenario siriano e iracheno, che vede la progressiva erosione del dominio territoriale dell’ISIS: lo scopo dichiarato delle autorità turche al momento del lancio dell’operazione “Scudo dell’Eufrate” nell’agosto 2016 è stato quello di impedire il consolidarsi di un arco a dominanza curda nel Nord della Siria, che potrebbe costituire la base di lancio per rinnovate azioni armate contro la Turchia, e soprattutto una suggestione fortissima per le istanze tuttora non riconosciute dei curdo-turchi del sud-est. Tale è l’interesse di Ankara per questa direttrice strategica da aver consentito il superamento delle tensioni con Mosca - culminate nel novembre 2015 con l’abbattimento di un velivolo militare russo sul confine siriano da parte dell’aviazione turca -, in un processo di riavvicinamento che ha conosciuto un momento essenziale nell’immediato

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sostegno di Putin a Erdogan proprio nelle ore del tentato colpo di Stato del luglio 2016.

Per converso, l’aspirazione assoluta della Turchia a impedire il costituirsi di una predominanza curda nel Nord della Siria si è oggettivamente scontrata con la politica degli Stati Uniti, che, pur nelle numerose incertezze che hanno caratterizzato l’Amministrazione Obama negli ultimi 2-3 anni sulle questioni mediorientali, si era posta chiaramente come uno dei principali sostegni delle forze curdo-siriane (YPG) contrarie ad Assad – la Turchia accusa YPG di essere una costola siriana del PKK, e dunque da considerare a tutti gli effetti quale organizzazione terroristica.

Va anche considerato che la stabilità turca, ribadita con il fallimento del tentato golpe, è il principale fattore di interesse anche per l’Iran, che in un successo delle tradizionali forze secolariste turche vedeva probabilmente il pericolo di un ritorno della Turchia assai più organicamente nel campo delle forze occidentali invise a Teheran.

Pertanto, pur se con meno enfasi rispetto al riavvicinamento russo-turco, anche con l’Iran la Turchia nel 2016 ha registrato un miglioramento dei rapporti, considerando pure il lento distacco di Erdogan dalle posizioni di assoluta contrarietà al regime di Assad e ad ogni possibile ruolo del Presidente siriano nel futuro politico del suo paese - che invece l’Iran ha appoggiato e appoggia anche per il tramite delle milizie libanesi di Hezbollah, impegnate nei combattimenti in territorio siriano contro gli oppositori del regime.

Significativamente, invece, al momento del tentato golpe nessuna esplicita solidarietà a Erdogan era stata espressa dalle monarchie del Golfo - a loro volta diversamente schierate soprattutto in rapporto al ruolo della “Fratellanza musulmana” nei diversi paesi -: una volta fallito il tentativo di colpo di stato l’Arabia Saudita, pur sospettosa della versione di islamismo propugnata dall’AKP – che secondo Riad alla “Fratellanza musulmana” sarebbe in qualche modo legato -, esprimeva una diplomatica soddisfazione per il fallimento del golpe al Presidente turco, mentre ad esempio gli Emirati Arabi Uniti, assai più filoccidentali, agitavano a lungo la versione del golpe autorganizzato per un consolidamento del potere di Erdogan.