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Prof. Gualniera 20/10/2016 L’ ERRORE, IL RISCHIO CLINICO E LA SUA GESTIONE TIPOLOGIE E CAUSE DI ERRORE. Dalla rilevazione alla segnalazione degli errori. Parleremo oggi del problema degli errori in sanità e conseguentemente della gestione del rischio clinico. Forse ne avete parlato in igiene e sanità pubblica o in chirurgia. Questo argomento non faceva parte precedentemente della medicina legale, o meglio, fino ad oggi la medicina legale si occupava degli errori esclusivamente per gli aspetti della responsabilità professionale (cioè la cosiddetta “malpractice”, quando il medico è responsabile di conseguenze dannose al paziente) e di verificare quali sono i riflessi per il professionista di area sanitaria negli ambiti civilistico e penalistico. Ad esempio in medicina legale noi andiamo a studiare la lesione personale anche perché l’operatore sanitario nell’esercizio della sua professione può rendersi responsabile di una lesione personale ovviamente colposa, cioè derivante da colpa generica e specifica, per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi o regolamenti, ordini o discipline nei confronti del paziente. Per un danno arrecato al paziente per un atteggiamento di negligenza o imperizia o imprudenza o colpa specifica di fronte alla legge penale si risponde di lesione personale; di fronte alla legge civile ci sarà invece necessità di un risarcimento del danno; e solitamente la medicina legale inquadrava il problema dell’errore soltanto per questi aspetti. In realtà la soddisfazione per il paziente a cui è stato arrecato un danno, e per suoi familiari, è il vedere punito chi ha commesso l’errore. Ma l’individuazione a tutti i costi del responsabile dell’errore e conseguentemente fargli sopportare le conseguenze civilistiche o penalistiche dell’errore stesso non ci garantisce una prevenzione vera e propria. Perché semmai la prevenzione che si realizza così facendo è operata nei confronti del singolo professionista che, una volta subite le conseguenze del suo sbaglio, si renderà conto di dove ha sbagliato, resterà scottato e memore della propria esperienza si porrà nelle condizioni di non ripetere

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Prof. Gualniera 20/10/2016

L’ ERRORE, IL RISCHIO CLINICO E LA SUA GESTIONETIPOLOGIE E CAUSE DI ERRORE. Dalla rilevazione alla segnalazione degli errori.

Parleremo oggi del problema degli errori in sanità e conseguentemente della gestione del rischio clinico. Forse ne avete parlato in igiene e sanità pubblica o in chirurgia. Questo argomento non faceva parte precedentemente della medicina legale, o meglio, fino ad oggi la medicina legale si occupava degli errori esclusivamente per gli aspetti della responsabilità professionale (cioè la cosiddetta “malpractice”, quando il medico è responsabile di conseguenze dannose al paziente) e di verificare quali sono i riflessi per il professionista di area sanitaria negli ambiti civilistico e penalistico. Ad esempio in medicina legale noi andiamo a studiare la lesione personale anche perché l’operatore sanitario nell’esercizio della sua professione può rendersi responsabile di una lesione personale ovviamente colposa, cioè derivante da colpa generica e specifica, per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi o regolamenti, ordini o discipline nei confronti del paziente. Per un danno arrecato al paziente per un atteggiamento di negligenza o imperizia o imprudenza o colpa specifica di fronte alla legge penale si risponde di lesione personale; di fronte alla legge civile ci sarà invece necessità di un risarcimento del danno; e solitamente la medicina legale inquadrava il problema dell’errore soltanto per questi aspetti. In realtà la soddisfazione per il paziente a cui è stato arrecato un danno, e per suoi familiari, è il vedere punito chi ha commesso l’errore. Ma l’individuazione a tutti i costi del responsabile dell’errore e conseguentemente fargli sopportare le conseguenze civilistiche o penalistiche dell’errore stesso non ci garantisce una prevenzione vera e propria. Perché semmai la prevenzione che si realizza così facendo è operata nei confronti del singolo professionista che, una volta subite le conseguenze del suo sbaglio, si renderà conto di dove ha sbagliato, resterà scottato e memore della propria esperienza si porrà nelle condizioni di non ripetere più quell’errore. Quindi andare ad individuare il singolo colpevole non mi permette di operare una prevenzione a livello generale. Ecco perché il problema dell’errore è stato affrontato in modo diverso. Perciò errore visto non più come colpa del singolo ma come spunto per capire il perché l’errore si verifica e quindi come un modo per porre in sicurezza il percorso assistenziale e quindi il paziente, e contemporaneamente ridurre poi il contenzioso medico legale per la riduzione del numero degli errori e quindi per garantire una sicurezza anche al professionista sanitario (che andrà incontro a minore rischio di denunce). Tale approccio non esclude che se l’errore si verifica e se esso è colposo e se ha prodotto danno al paziente, il professionista risponde comunque di fronte alla legge penale e civile, non si esclude quindi la punibilità. Ma per fare prevenzione è necessario un approccio sistematico di tipo differente rispetto al solo cercare il singolo colpevole. Perciò parliamo di rischio clinico ed andiamo a vedere una definizione:

Slide 1. “Il Rischio Clinico”: danno o disagio (non necessariamente quindi una condizione patologica) imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte. (Kohn, IOM 1999)

Vi faccio un esempio banale: un pz che per una condizione organizzativa di reparto, assume un farmaco che non era a lui destinato e che gli determina un’alterazione dell’organismo; un banale lassativo che determina una situazione di malessere che porta il paziente a non essere dimesso e prolungare il ricovero di un giorno. Il paziente potrebbe anche non riconoscere quella situazione ed imputarla ad una condizione personale morbosa che si è manifestata. Non ha causato un danno ma è stato trattenuto un giorno in più. Queste situazioni devono essere individuate e segnalate perché questo disagio (1-2 giorni di degenza in più), se si verifica, è espressione di mancata sicurezza nel percorso assistenziale. Quindi è necessaria una corretta politica di gestione del rischio clinico che dia un beneficio al paziente ovviamente (che non rischia così di essere oggetto di malpractice – pensiamo al pz che va in sala operatoria e poi si ritrova con una lesione da elettrobisturi, oppure il pz operato all’addome che poi si ritrova con una garza in cavità addominale, reazioni trasfusionali, ecc. ) ma anche al professionista sanitario, perché riducendo il rischio di errori si riducono le denunce, che negli anni sono aumentate in maniera esponenziale. Nel 2009 vi sono stati 6000 casi di sinistri, nell’anno successivo raddoppiati e questo trend di crescita è rimasto fino ad oggi. Quali sono le discipline considerate classicamente più a rischio? L’area della chirurgia, dell’ortopedia e della ginecologia e ostetricia. Negli anni in realtà si sono aggiunte un po’ tutte le branche. Anche l’odontoiatria per esempio si è inserita. Tutto ciò di pari passo con lo sviluppo della tecnologia e di tecniche sofisticate.Qui vi ho portato dei dati dell’ANIA (Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici) e del Tribunale dei diritti del malato che ogni anno, attraverso uno specifico Rapporto PIT (Progetto Integrato Tutela Salute), fa una fotografia nel nostro Paese di quelle che sono le problematiche segnalate dai pazienti. [Faccio un inciso: questo elevato numero di doglianze non vi deve spaventare: sono numeri che riguardano esclusivamente ciò che il paziente lamenta, ma non è detto che esse abbiano riscontro. Quindi queste 12000 denunce non sono 12000 errori professionali ma sono le doglianze dei pazienti, che solo in minima percentuale trovano riscontro positivo di un errore effettivamente realizzatosi. Purtroppo non esiste un database che ci dica effettivamente ad esempio su 12000 denunce, sono 100 o 1000 gli errori riconosciuti. Ciò perché non ci si è mai riusciti o forse non c’è l’interesse, da parte dell’ANIA stessa o delle imprese assicurative, a mettere in evidenza che, nonostante l’elevato numero di doglianze, l’errore medico sussiste in pochi casi. Ciò perché la taratura del premio assicurativo per le varie discipline specialistiche viene fatta sulla base del numero elevato di sinistri. Da qui il fatto che l’assicurazione aumenti sempre di più. Oggi un neospecialista ortopedico ha bisogno di 8000 euro per avere un contratto, un chirurgo, un ginecologo lo stesso. Se invece fosse noto che gli errori sono di meno non sarebbe necessario pagare premi così elevati.] Tornando al rapporto PIT, fino al 2014 le denunce per malpractice erano al 1° posto. Solo l’anno scorso la malpractice è passata in 2° piano rispetto al problema delle liste d’attesa. Ma tale problema ha una riverberazione anche sul fenomeno malpractice perché se ad esempio il cittadino denuncia di avere atteso 6 mesi per un’indagine ecografica o TC o mammografica, o 8 mesi o 1 anno, ovviamente questo può condizionare anche l’evoluzione di una patologia neoplastica: perché una diagnosi a distanza porta ad una terapia avviata tardivamente quindi il paziente fa la denuncia perché pensa che, se trattata tempestivamente, la patologia avrebbe potuto risolversi. Si tratta di un danno da perdita di chance.Da qui la necessità di una corretta gestione del rischio clinico.

Sbagliare è umano. Ma non dobbiamo interpretarlo come qualcosa di ineluttabile da accettare. Infatti la predisposizione all’errore è umano ma è chiaro che su questo si può intervenire. È chiaro che più il sistema sanitario è complesso e più c’è rischio di errore. Ad esempio una singola U.O. piuttosto che più U.O. che devono interagire tra loro. Quali sono gli errori medici più frequenti?

Questi, datati ’97-2001 sono ancora quelli che più spesso si verificano. Sicuramente li avrete sentiti anche dai media. Su alcuni di questi errori si cerca di intervenire con la tecnologia: ad es. l’uso del braccialetto elettronico e l’uso del codice a barre nelle provette. Sono situazioni che in qualche modo eliminano l’errore umano: si parla di ICT (Information and Communication Tecnology). Oppure, ad esempio, l’introduzione della procedura della conta delle garze per evitare che queste siano dimenticate dentro il pz è stata modificata ed implementata, ma ancora oggi talvolta si verifica l’errore.

Poniamo allora l’attenzione sugli errori. Perché si verificano? Esiste la cosiddetta teoria del formaggio svizzero (Swiss Cheese) che ci fa capire che non è detto che l’ultima persona che è stata a contatto col paziente sia la responsabile dell’errore, ma che ci sono delle condizioni, insite nel sistema, predisponenti all’errore ed esistenti da tempo e che poi ad un certo punto si rivelano nella loro gravità. Es. ustione da elettrobisturi verificatasi in sala operatoria: tutti noi siamo portati a pensare che il responsabile sia il chirurgo che operava con lo strumento, ma in realtà essa può essere dovuta ad altre cause latenti insite nel sistema e precedenti all’intervento. James Reason, per spiegare come si verificano gli errori, ha immaginato la struttura sanitaria composta da una serie di fette di formaggio che si muovono le une rispetto alle altre in modo casuale, dirette da moti browniani. Il problema è però che, essendo formaggio svizzero, son fette coi buchi. I buchi rappresentano le deficienze/défaillance nel sistema di sicurezza che possono essere a vari livelli. Se l’organizzazione ha una condizione di carenza isolata/limitata non succede niente perché in qualche misura si riesce a tamponare ad altri livelli. Se però ci sono più condizioni di carenza a

più livelli ed esse vengono ad essere allineate, ecco che si crea l’opportunità per il verificarsi di un errore. Quali possono essere queste condizioni di carenza latenti nel caso dell’ustione da elettrobisturi prima citata che ci portano a non ritenere il chirurgo l’unico responsabile? Prendiamo il caso di un elettrobisturi unipolare che solitamente ha un manipolo attivo e la piastra neutra: un elettrodo neutro che raccoglie la corrente che deve defluire attraverso il corpo del paziente quando il chirurgo applica l’elettrodo attivo (il manipolo) per un’attività di coagulazione o di taglio, in base alla fase dell’intervento. L’applicazione dell’elettrodo neutro deve soddisfare una serie di principi: non deve essere messo su cute sudata, umida, ricca di peli, deve essere ben aderente e deve essere posto su una zona corporea che sia abbastanza prossima alla sede di intervento. Tutto ciò per far in modo che la corrente che fluisce attraverso il corpo del pz venga raccolta dalla piastra e ritorni all’apparecchiatura. Quindi l’adeguata applicazione è un momento fondamentale perché se la corrente non ritorna all’apparecchiatura poi determina l’ustione. È fondamentale una preparazione adeguata da parte del personale infermieristico cui è demandata l’applicazione dell’elettrodo neutro. Ecco che il responsabile potrebbe essere l’infermiere e non il chirurgo. Magari quell’ infermiere è stato portato in sala operatoria senza aver ricevuto un adeguato addestramento perché ha passato più tempo in un altro reparto senza sala operatoria. Contemporaneamente è chiamato in causa il chirurgo che sapendo che quell’infermiere ha passato poco tempo in sala operatoria deve supervisionare il suo intervento. Oppure un altro buco può essere l’ingegneria clinica che deve andare a controllare periodicamente l’efficacia della strumentazione chirurgica. Perché potrebbe trattarsi di un difetto di funzionamento dell’apparecchiatura. Oppure mancata applicazione delle linee guida. Quindi situazioni che singolarmente non sono dannose in sé, ma nel momento in cui si sovrappongono concorrono a determinare l’ustione da elettrobisturi; e non è detto che l’ultimo operatore responsabile sia il chirurgo.

Vedete qui che ci sono cause da deficit del singolo operatore e da condizioni latenti e poi a loro volta:

- cause immediate: avvengono più per deficit del singolo, nell’interfaccia operatore/paziente. (tra gli strumenti di gestione del rischio clinico vedremo esserci la formazione che si oppone proprio al difetto di conoscenza imperizia);

- cause remote: più per deficit insiti nel sistema e datati rispetto al momento di verifica dell’evento. (es. nella nostra azienda si è verificato un

errore consistente nella somministrazione ad un neonato di un dosaggio per adulti di un

farmaco. Questo perché non avendo la possibilità di acquistare il farmaco in fiale predosate per neonati, è stato diluito quello per adulti. Un operatore che non è esperto può commettere l’errore. Se ci fosse la possibilità economica dell’acquisto diretto delle fiale per neonato si sarebbe ridotto il rischio di questo errore).

Da tutto quanto visto ci rendiamo conto che la responsabilità dell’errore non è quindi imputabile sempre e solo prioritariamente al fattore umano. È imputabile ai percorsi di diagnosi- cura- assistenza, alla qualità tecnica della prestazione e soprattutto all’organizzazione del sistema aziendale, la cui complessità è proporzionale al rischio di errore. Chi commette l’errore non è l’unico o il maggiore responsabile. A questo punto, preso atto della ricorrenza di errori e quindi delle problematiche errori-correlate legate da un lato al danno per il paziente (e quindi mancata sicurezza nel percorso assistenziale) e dall’altro anche all’ aumento del numero di denunce per malpractice (e quindi situazioni di disagio per gli operatori sanitari che poi sono spinti a mettere in atto un atteggiamento di medicina difensiva, che si ripercuote negativamente sulla qualità dell’assistenza), il Ministero della Salute nel lontano 2003 ha deciso di affrontare il problema degli errori istituendo una specifica Commissione tecnica per studiare le cause del rischio, formulare delle indicazioni generali e soprattutto individuare delle tecniche di riduzione del rischio, gestire il problema ed aumentare la sicurezza dei percorsi assistenziali. La commissione ha svolto i propri lavori che hanno portato alla pubblicazione di questo manuale che trovate sul sito del Ministero della Salute e che vi invito a leggere perché vi trovate i

contenuti della mia lezione e perché per un operatore sanitario che si approccia alla professione è fondamentale. Dentro questa pubblicazione è importante fare riferimento ad un glossario con la definizione di errore del ministero della salute. In queste slide sopra trovate varie definizioni di errore che ho preso da diversi dizionari della lingua italiana e sotto quella della Commissione del Ministero. Fondamentale è il “non attribuibile al caso”.

In questo glossario vi è una distinzione tra errori attivi ed errori latenti. Un po’ simile al concetto di cause immediate vs cause remote. Gli errori attivi sono legati sempre all’interfaccia operatore sanitario/paziente. (Io parlo di operatore sanitario e non di medici perché tanti operatori sanitari svolgono attività in autonomia). Non ci soffermiamo poi su questo, ma gli errori possono essere distinti a loro volta in errori omissivi o commissivi.

Per quanto riguarda invece gli errori in terapia , siamo portati a pensare “hanno sbagliato il farmaco” ma vediamo in quante fasi può essere nascosto l’errore:nella prescrizione, nell’interpretazione (per cattiva grafia, per errori nel ricopiare), distribuzione (il farmaco è su un comodino comune per 2 letti ed è assunto dal pz del letto accanto), ecc.. E’ necessario che l’operatore sanitario abbia contezza dell’assunzione da parte del soggetto giusto.Ad es. una strategia di gestione del rischio potrebbe essere chiedere al pz prima di dare la terapia “lei come si chiama?” invece di “lei è il Sig. Nunzio Rossi?” perché il pz distratto potrebbe dirmi “si” senza essere realmente lui Nunzio Rossi. Sono piccole cose che possono fare la differenza.

Ecco la definizione di rischio clinico che abbiamo visto in partenza. Cosa ci consente lo studio dell’errore? Di non prendere l’errore come situazione da nascondere o come un modo per colpevolizzare chi l’ha commesso ma come strumento per analizzare e ridurre il rischio. Il rischio è equivalente alla probabilità di accadimento di un evento pericoloso. Perciò dobbiamo agire sulla prevenzione ma anche sulla protezione per porre in sicurezza il paziente.

Vediamo qui la definizione di “gestione del rischio clinico” secondo il glossario.

Questo concetto è ben diverso dalla “Clinical Governance”. La prima è più un Risk Management. La seconda tende invece ad elevare la qualità ma non entra nel merito delle situazioni di rischio e della sicurezza. Infatti è responsabile del miglioramento continuo della qualità dei servizi. Per mettere in atto tale attività di risk management ci si avvale di strumenti.

L’errore per essere analizzato dovrebbe essere reso evidente e dovrebbe essere lo stesso professionista ad evidenziarlo. Esistono anche i cosiddetti “near miss” events cioè i “quasi errori”. Ad esempio se in sala operatoria mi rendo conto che stavamo per lasciare la garza dentro il paziente e me ne accorgo in tempo ed evito il danno, in realtà questo quasi evento, anche se si è evitato l’errore, deve essere rappresentato all’unità di risk management per evitare che si riproponga e che nel riproporsi non sia più un quasi evento ma diventi un evento avverso. Questo perché se si stava per verificare probabilmente c’è qualche falla, causa remota nel sistema che deve essere attenzionata e risolta. Ecco perché l’errore è uno strumento di apprendimento. È chiaro che l’operatore sanitario si trova spesso in difficoltà a segnalare l’errore perché teme di essere visto negativamente, di perdere la possibilità di acquisire posizioni di responsabilità. Ma la segnalazione invece è anonima! E deve essere fatta. Per fare risk management quindi si deve partire dalla conoscenza ed analisi dell’errore, poi capire come individuare le cause e correggerle, infine monitorare le misure di prevenzione. Qui vi sono elencati gli strumenti di cui si serve il risk management. (vedi slide)

Anche lo studio delle cartelle cliniche per un periodo di alcuni mesi ad esempio può essere utile per individuare situazioni che si sono distaccate dagli standard. Per il controllo delle attrezzature abbiamo fatto l’esempio dell’elettrobisturi. Non ultimo il monitoraggio degli eventi avversi.

Come si analizzano gli errori? Se sono errori che portano danno al paziente è chiaro che è il paziente che lo rende evidente. Ma noi dovremmo rendere evidenti tutti gli errori, anche quelli che sfuggono al pz (es. prolungato periodo di degenza). Una volta avuta contezza dell’errore e quindi una volta che l’errore è stato percepito esso può essere analizzato mediante due modalità:

- Analisi reattiva (risaliamo in modo retrogrado alla causa che lo ha generato);

- Analisi proattiva (è l’analisi per processi. Si parte al contrario, cioè si parte ab inizio: es. sapendo che esiste il rischio che sia lasciata

una garza in addome durante un intervento chirurgico si vanno a valutare tutti i processi che costituiscono attività a rischio di lasciare una garza in addome. È utile quando si devono creare delle procedure finalizzate ad evitare un evento avverso).

Nel glossario della commissione tecnica si fa riferimento anche ad altre diciture: Evento, Evento avverso ed Evento Sentinella.

Nell’ambito dell’evento avverso dobbiamo distinguere i prevenibili ed i non prevenibili. E qui rientra l’errore perché un evento avverso attribuibile ad errore è un evento prevenibile. Il ministero poi nell’ambito di tutti gli eventi avversi conseguenti all’errore, ha voluto porre

l’attenzione su alcuni di particolare gravità etichettandoli come eventi sentinella. La prima volta che ho sentito parlare di questi eventi sentinella è stato sul “Sole24ore - sanità” che in prima pagina scriveva “10 sentinelle in corsia”. Poi il ministero li ha portati a 16. Li ha elencati esattamente ed ha creato delle considerazioni per ciascuno spiegando cosa sono, il razionale, le fonti di riferimento e per molti di questi ha emanato delle raccomandazioni: indicazioni da seguire routinariamente per evitare che si verifichino. C’è l’obbligo di segnalarli. La differenza tra gli eventi avversi e gli eventi avversi sentinella è che i secondi una volta verificatisi devono essere per legge obbligatoriamente segnalati al Ministero

della Salute attraverso una specifica procedura che adesso vedremo. Gli eventi avversi in generale invece che non rientrano nei 16 codificati come sentinella e quindi di minore gravità non è che non vadano incontro a segnalazione, ma sta alla singola unità di gestione del rischio clinico di ogni singola azienda stabilire se vuole la segnalazione a tappeto di ogni singolo evento o se ne codifica alcuni si e altri no, seguono quindi un sistema di segnalazione (“incident reporting”) volontario, affidato all’iniziativa degli operatori delle aziende. Non necessariamente deve essere segnalato al Ministero, ma solo all’azienda. Dipende da quanto è virtuoso il sistema di gestione aziendale (Magari un’azienda vecchia che presenta una TIN lontana dalla sala parto è una condizione organizzativa che è causa di errore latente e l’azienda deve sapere in cosa investire le sue risorse, anche nel risolvere queste circostanze predisponenti ad errori).

Questo è un esempio di evento avverso near miss: Un’azienda virtuosa che fa attività di risk management dovrebbe rendere obbligatorie anche la segnalazione di queste situazioni, in modo da evitare il malcostume di usare le bottiglie invece di contenitori dedicati ben individuabili.

Questi sono gli eventi sentinella: (vedi definizione sopra riportata)

1.Per una non corretta identificazione del pz, magari coperto dal telino.

2.Opero un menisco a dx invece che a sn.

4.Solo se comporta un successivo intervento o ulteriori procedure (garze, frammenti di drenaggi, fili di sutura, ecc..)

10. Soprattutto malati oncologici ( si potrebbero modificare le finestre o bloccare

le maniglie per evitare che il pz si possa buttare dalla finestra).

11. Violenza sul paziente potrebbe anche essere costringere a tollerare un trattamento che lui non desidera.

16. Racchiude moltissime situazioni.

La notifica degli eventi sentinella serve a valutare se c’era qualcosa che poteva essere fatto per prevenire quell’episodio, oltre alla responsabilità professionale, lo scopo è rendere più sicuri i percorsi assistenziali.

Tutti questi eventi devono essere segnalati dal Reparto alla Direzione Aziendale e da qui al Ministero. Per ognuno di essi sul sito del Ministero trovate tutta la descrizione. Alle note vi dice se ci sono delle linee guida/ Raccomandazioni da seguire per quella circostanza. Sul sito li trovate tutti. Nel processo di corretta identificazione del paziente ad es. ci devono essere 3 fasi, prima di entrare in sala operatoria, quando è in sala ed un momento prima di iniziare l’atto chirurgico. Al paziente viene richiesto di presentarsi 3 volte. Come anche la marcatura del sito chirurgico che deve essere sempre fatta: di solito l’accesso venoso viene fatto controlateralmente al sito dove il pz deve essere operato. Ma il chirurgo non può fare affidamento su questo perchè magari l’infermiere non è riuscito a prendere l’accesso dal lato controlaterale ma da quello omolaterale. Ed in assenza di marcatura del sito chirurgico il chirurgo non può fare affidamento

sulla sede dell’accesso venoso perché potrebbe essere tratto in inganno. Per questo deve sempre chiedere conferma o affidarsi alla marcatura che deve esserci.

Gli errori vengono resi noti attraverso il sistema della Segnalazione: obbligatoria per gli eventi sentinella e volontaria demandata all’attività dei singoli operatori sanitari. Dovrebbe essere un’iniziativa personale ma in realtà il medico, segnalando gli errori, dà seguito ad un imperativo presente nel nostro codice deontologico che all’art.14 dice che il medico “opera al fine di garantire le idonee condizioni di sicurezza del paziente e degli

operatori attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione degli eventi sentinella- ma non solo, anche- degli errori, dei quasi errori e degli eventi avversi, valutando le cause e garantendo la natura riservata e confidenziale delle informazioni raccolte.”

Questa attività volontaria può essere poi resa obbligatoria dall’azienda di riferimento, per consentire lo studio degli errori. Come si fa la segnalazione? Questa è la procedura che riguarda gli eventi sentinella: esistono delle specifiche schede. L’operatore del reparto dove si è verificato l’evento dà una comunicazione immediata al risk management, se esiste (ma ogni azienda dovrebbe avere questa specifica figura), o comunque alla direzione aziendale (vuoi che sia sanitaria o generale). La direzione o il risk management che riceve la segnalazione ha l’obbligo di trasferirla alla Regione, al Ministero della Salute entro 7 giorni. Successivamente entro 45 giorni, l’azienda deve aver espletato la cosiddetta “root-cause analysis” cioè deve aver effettuato la ricerca della “causa radice”, darsi una spiegazione del perché dell’evento e contemporaneamente deve aver svolto un “piano di azione” col quale comunicherà al Ministero cosa verrà fatto per evitare che quella situazione si verifichi in maniera ripetuta per ridurre chiaramente il rischio.

La segnalazione è anonima, rileva cosa ha potuto contribuire all’evento, ecc.. Spesso queste schede vengono distribuite nelle varie U.O. ma non vengono utilizzate, soprattutto se il responsabile dell’U.O. è di vecchia generazione! Questo deve essere un bagaglio culturale del professionista sanitario e per questo lo affrontiamo nel vostro percorso di studio. Il più delle volte gli eventi sono segnalati perché, avendo provocato morte o grave danno al pz, c’è la denuncia del pz; ma la denuncia è nominale, individua il colpevole, mentre l’evento sentinella individua la prestazione, il reparto e non la persona responsabile. Hanno finalità diversa: la prima ottenere una punizione in sede penale ed un risarcimento in sede civile; la seconda avere una panoramica del perché e del dove si sbaglia di più e come non sbagliare.

Volevo sottolineare che il sistema di segnalazione, volontario o obbligatorio che sia, non è punitivo, è svincolato dai riflessi giudiziari, non comporta automatismo. Voi avete studiato la perseguibilità del reato: perseguibile d’ufficio e a querela. I reati che derivano da errore professionale (e quindi colposo), a meno che non provochino la morte del pz, non sono perseguibili d’ufficio e quindi non possono essere segnalati al pubblico ministero. È solo una precisa scelta del paziente di denunciare il medico. Quindi qualsiasi segnalazione si porti avanti non può avere conseguenze per l’operatore sanitario. E’ confidenziale perché non deve essere rivelato a terzi l’identità del pz e dell’operatore sanitario; è tempestivo, analizzato da esperti, rispondente alle esigenze ed è privo di conseguenze giudiziarie. Quando ci sono le conseguenze giudiziarie è perché i pz, prima ancora di verificare se c’è responsabilità o meno, fanno la denuncia.

Oltre alla segnalazione, nei riguardi del pz che può aver riportato un danno dobbiamo:

- nel periodo immediatamente successivo al verificarsi dell’evento avverso : provvedere alle necessità mediche, essere disponibili alle spiegazioni (perché evitare di parlare con il pz o il non considerarlo enfatizza l’atteggiamento rivendicativo del pz che, non sentendosi accudito si difende con la denuncia, mentre se si sente considerato può essere portato ad evitare la

denuncia), non dare giustificazioni inutili, orientarsi velocemente alla risoluzione dell’errore commesso ed esprimere sincero rammarico.

- nel periodo successivo : offrire un supporto emozionale, un incontro per chiarire le modalità di recupero, programmare incontri periodici. (Es. se il pz ha bisogno di un trattamento fisiatrico perché è caduto dal letto, glielo possiamo programmare noi e l’azienda lo potrà offrire gratuitamente. Il pz così avrà più disagio a denunciare).

Per quanto riguarda la documentazione si tende ad omettere e modificare i dati di cartella ma la documentazione non va modificata. L’incidente va registrato in cartella clinica. Eventualmente possiamo farci spiegare dal risk management come registrare l’evento per non commettere degli errori. Bisogna conservare tutta la documentazione e tutto quanto correlato all’incidente perché sono delle prove e, se un domani dovessero esserci dei risvolti medico legali di ordine penalistico e civilistico, esse potrebbero dimostrare anche delle cause latenti e quindi un’estraneità dell’operatore sanitario che potrebbe trarre da tale documentazione beneficio.

Laura De Nardi