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DISTRESS RESPIRATORIO Uno dei motivi principali di ricovero in terapia intensiva nel periodo post natale è proprio il distress respiratorio. Una cosa che voglio sottolineare è che la sindrome da distress respiratorio è causata da una serie di sintomi che sono sempre gli stessi a prescindere dall’eziopatogenesi che l’ha determinata; nel senso che, un neonato prematuro con sindrome da distress respiratorio legata, dal punto di vista eziopatogenetico, alla carenza del surfactante ha gli stessi sintomi del neonato a termine con pneumotorace spontaneo o del neonato a termine con sindrome da aspirazione di meconio. Quindi la sintomatologia da distress respiratorio è sempre la stessa ed è caratterizzata da: tachicardia, tachipnea, dispnea, rientramenti del giugulo, alitamento delle pinne nasali, cianosi . È chiaro che, davanti a un neonato prematuro, con simile sintomatologia ci si orienta verso una diagnosi di malattia delle membrane ialine e che il movens eziopatogenetico della sintomatologia sia la carenza del surfactante . Conoscendo la fisiopatologia respiratoria so che il surfactante viene prodotto a partire dalla 24esima-26esima settimana di gestazione, che compie la sua maturazione intorno alla 32esima settimana ed è una sostanza che si viene a distribuire a livello della parete degli alveoli con la funzione di mantenerli pervi. Il problema principale del neonato prematuro non è tanto che l’alveolo collabisca nell’inspirazione, perché in questa fase l’inspirazione di aria mantiene l’alveolo pervio, il problema è quando noi espiriamo. La nostra capacità funzionale residua è in quantità tale che gli alveoli non si collabiscano perché, se così non fosse, per farli riaprire dovremmo effettuare

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DISTRESS RESPIRATORIO

Uno dei motivi principali di ricovero in terapia intensiva nel periodo post natale è proprio il distress respiratorio. Una cosa che voglio sottolineare è che la sindrome da distress respiratorio è causata da una serie di sintomi che sono sempre gli stessi a prescindere dall’eziopatogenesi che l’ha determinata; nel senso che, un neonato prematuro con sindrome da distress respiratorio legata, dal punto di vista eziopatogenetico, alla carenza del surfactante ha gli stessi sintomi del neonato a termine con pneumotorace spontaneo o del neonato a termine con sindrome da aspirazione di meconio. Quindi la sintomatologia da distress respiratorio è sempre la stessa ed è caratterizzata da: tachicardia, tachipnea, dispnea, rientramenti del giugulo, alitamento delle pinne nasali, cianosi. È chiaro che, davanti a un neonato prematuro, con simile sintomatologia ci si orienta verso una diagnosi di malattia delle membrane ialine e che il movens eziopatogenetico della sintomatologia sia la carenza del surfactante. Conoscendo la fisiopatologia respiratoria so che il surfactante viene prodotto a partire dalla 24esima-26esima settimana di gestazione, che compie la sua maturazione intorno alla 32esima settimana ed è una sostanza che si viene a distribuire a livello della parete degli alveoli con la funzione di mantenerli pervi. Il problema principale del neonato prematuro non è tanto che l’alveolo collabisca nell’inspirazione, perché in questa fase l’inspirazione di aria mantiene l’alveolo pervio, il problema è quando noi espiriamo. La nostra capacità funzionale residua è in quantità tale che gli alveoli non si collabiscano perché, se così non fosse, per farli riaprire dovremmo effettuare uno sforzo inspiratorio importante che ci porterebbe al distress respiratorio conclamato (es: un palloncino in cui c’è un poco d’aria risulta più facile da gonfiare rispetto a uno completamente vuoto). Il neonato prematuro ha proprio questo problema, ha una capacità funzionale residua pari a 0. Gli alveoli nel periodo fetale sono riempiti da acqua, l’aria comincia ad arrivare solo con i primi atti respiratori. Nel neonato nato a termine che ha una quantità di surfactante a livello degli pneumociti di secondo ordine accettabile, questo quantitativo di aria che va accumulandosi insegue il surfactante che riduce la pressione che noi dobbiamo esercitare per aprire gli alveoli con l’atto respiratorio e consente che il neonato respiri tranquillamente. Laddove la carenza c’è, per esempio in un neonato prematuro di 24-26 settimane, in cui la produzione di surfactante è solo all’inizio, gli alveoli tendono a collabire, soprattutto nella fase espiratoria; tanto è vero che uno dei segni di distress respiratorio è proprio quello del gemito, questo suono è indicativo del fatto che il neonato sta esercitando una

auto-PEEP cioè una auto-pressione per cercare di mantenere la pressione, a livello delle vie aeree, elevata durante la fase dell’espiro. È quindi un meccanismo di compenso che deve essere sostituito dall’assistenza medica. Che cosa è la PEEP? È la pressione di fine espirazione, cioè quella pressione non di picco ma quella pressione che, nella respirazione meccanica convenzionale, abbiamo nella fase di fine espiro ma che, nelle ventilazioni come la C-PAP o ad alto flusso, che presuppongono che ci sia un’inspirazione costante durante l’atto respiratorio, mantiene la pressione di espiro elevata, intorno ai 5-6 cmH20, per evitare che gli alveoli collabiscano.

PEEP (Positive End-Exspiration Pressure) pressione positiva di fine espirazione: condiziona la Capacità Funzionale Residua (CFR) e la MAP, favorendo entro certi limiti l'ossigenazione, con diminuzione però del Volume Corrente e quindi dell'eliminazione di CO 2 . PEEP particolarmente elevate (> 6 cm di H 2 O) inoltre influenzano la Compliance Polmonare , riducono la frequenza respiratoria spontanea del neonato ed ostacolare il ritorno venoso con riduzione dell'output cardiaco. Una minima PEEP è sempre raccomandabile in corso di ventilazione meccanica in quanto l'intubazione endotracheale elimina l'attivo mantenimento della CFR compiuto dall'adduzione delle corde vocali e dalla chiusura della glottide. (freno laringeo) Frequenza ventilatoria che nella ventilazione convenzionale è ≤ 60 atti/min. Una frequenza elevata, incrementa la ventilazione minuto e quindi favorisce l'eliminazione del gas carbonico senza sostanziali influenze sulla PaO2. Oggigiorno sono preferite le strategie che impiegano frequenze elevate e volumi correnti ridotti, al fine di minimizzare il danno polmonare da sovradistensione.

La sindrome da distress respiratorio, legata alla malattia delle membrane ialine in un neonato prematuro ha una sintomatologia che è la stessa che troviamo in qualunque altro distress respiratorio ed è dovuta al deficit di surfactante, come detto prodotto a partire dalla 24-26esima settimana gestazionale e responsabile della riduzione della tensione superficiale. Una volta il surfactante esogeno veniva somministrato a tutti i neonati prematuri. Il surfactante esogeno utilizzato in Italia prende il nome di CUROSURF, di origine suina, ed è proprio una sostanza che si distribuisce a livello alveolare. Il surfactante ha fatto veramente la differenza in terapia intensiva neonatale per la sopravvivenza dei neonati prematuri. La soluzione migliore, nel neonato prematuro, è quella di mantenere una capacità funzionale residua che non faccia collabire gli alveoli. Oggi non viene più

utilizzato in profilassi nel neonato prematuro perché si è visto che non riduce l’insorgenza del distress respiratorio, ma viene somministrato quando i neonati pretermine presentano segni e sintomi del distress respiratorio. L’atteggiamento che oggi viene seguito in sala parto per tutti i bambini pretermine è il supporto ventilatorio, mantenendo la pressione elevata a 5-6cmH2O e riducendo presumibilmente la necessità di surfactante.

Un’altra patologia che si presenta con la stessa sintomatologia caratterizzata da cianosi, tachipnea, dispnea, tachicardia, alitamento delle pinne nasali, che è tipica del neonato late preterm (36-37 settimane), è la tachipnea transitoria del neonato.

La tachipnea transitoria del neonato o, anche detta, polmone umido è considerata quella patologia respiratoria legata al mancato riassorbimento di liquido endoalveolare o al mancato riassorbimento, attraverso il canale vaginale, durante il parto spontaneo. È una patologia benigna che normalmente si autolimita. Il neonato viene tenuto sotto osservazione ma, nella maggior parte dei casi, riesce a sopportare questa sorta di distress con un po’ di ossigeno, con un po’ di alti flussi e difficilmente siamo costretti a intubare perché nelle prime 24-48h di vita scompare.

Domanda:-ma si verifica solo in caso di parto cesareo? -No, certo si verifica soprattutto nei nati da parto cesareo ma si può verificare anche nei nati da parto spontaneo, in particolare nei parti pilotati. Domanda:-ma non arrivano mai ad avere ipossiemia? -Si possono avere ipossiemia però non tale da richiedere intubazione.

Un esame che è fortemente indicato e che è il gold standard di tutte queste patologie per la diagnosi differenziale tra malattia delle membrane ialine e la tachipnea transitoria è l’RX. L’RX del torace nella malattia delle membrane ialine ha un aspetto nodulare che potrà essere di I, II, III e IV grado.

RDS: quadri radiologici

-RDS I stadioGranuli fini disseminati

-RDS II stadioOpacità confluenti e broncogramma aereo

-RDS III stadioOpacità diffuse, broncogramma con

mascheramento completo dell’ombra cardiaca (“white out” of the lung fields)

Nella tachipnea transitoria i polmoni mostrano soltanto dei segni di iperafflusso polmonare, indicativo del fatto che c’è questa situazione essudatizia legata alla presenza di liquido, non c’è quindi un’opacità, non c’è una polmonite, non c’è un addensamento, non c’è un aspetto micronodulare così come nella malattia delle membrane ialine. Preferiamo tenere il neonato sotto controllo a meno che la sintomatologia e l’ipossiemia non diventino tali da richiedere un supporto ventilatorio non invasivo (occhialini, cannuline, mascherine, caschetto).

Quindi se il neonato presenta una sintomatologia con tachipnea, tachicardia, dispnea, cianosi viene effettuata una RX. Un altro esame è l’emogasanalisi che ci indica quanto il neonato sia ipossico o quanto sia ipercapnico e, in fase avanzata, l’acidosi, cioè quando mettendo in atto tutti i meccanismi di compenso si consuma glucosio. In una condizione di ipossiemia importante il distress respiratorio entra in diagnosi differenziale con le cardiopatie congenite (trasposizione dei grossi vasi, coartazione aortica), proprio perché anche in queste situazioni la sintomatologia è respiratoria, dal punto di vista cardiaco si evidenzia solo tachicardia. Si fa l’RX e se si evidenzia un polmone bianco ci si orienta verso un fatto respiratorio, se si evidenzia un cuore a palla ci si orienta verso una patologia cardiaca.La tachipnea transitoria non ci dà mai una ipossiemia importantissima, mentre una cardiopatia congenita mi può dare 6, 10, 18 quindi facciamo l’emogas che ci orienta e poi facciamo il test all’iperossia. Un neonato che non ha una cardiopatia ha una pressione arteriosa di ossigeno che supera i 250mmHg. Se il neonato comunque peggiora e resta il sospetto di una cardiopatia diamo le prostaglandine, perché se il dotto si sta chiudendo con le prostaglandine gli salviamo la vita, altrimenti abbiamo solo fatto una terapia inutile ma non mortale. Il bambino sta più male quando il dotto si sta chiudendo e

RDS I stadio Granuli fini disseminati

più ossigeno gli diamo più si chiude velocemente. Quindi prima di fare una terapia bisogna conoscere la patologia e la fisiopatologia.

Domanda: -l’emogas si fa su sangue venoso o arterioso? -Come si vuole, normalmente noi la facciamo su sangue arterioso per essere più attendibile però qualche volta non ci riusciamo e utilizziamo la vena ombelicale.

Nella tachipnea transitoria del neonato le condizioni si stabilizzano, il distress respiratorio è di media entità e non richiede più del 40% di ossigeno. I fattori di rischio sono: taglio cesareo, ritardata chiusura del cordone, aumento pressione venosa centrale e il mancato riassorbimento del liquido polmonare.

Un’altra causa di distress respiratorio nel neonato e l’aspirazione del meconio. Qualche volta il neonato va in sofferenza e uno dei segni di sofferenza è la presenza di feci, che poi sono il meconio, nel liquido amniotico e vi può essere l’interazione di questo meconio a livello delle vie aree. Quindi molti neonati che hanno sofferenza rischiano di inalare il meconio e sono anche ad alto rischio nello sviluppo di una polmonite chimica, perché il meconio a livello degli alveoli da una parte blocca la produzione di surfactante, dall’altra determina lo sviluppo di una polmonite chimica. Questi neonati sviluppano una sindrome da distress importante. La caratteristica tipica dell’RX del torace è l’alternanza di zone di addensamento grossolane e aree di ipertrasparenza perché il problema principale di questa patologia è proprio questo cioè che alcune zone, in cui è presente il meconio a livello degli alveoli, si addensano e le altre, per compensare questa perdita di parenchima vanno in contro a iperfiltrazione. Il problema della ventilazione nella sindrome da aspirazione di meconio è il rischio di rompere gli alveoli pervi e non riuscire ad aprire le zone atelettasiche. È una patologia che richiede intubazione e ventilazione con delle tecniche che da un lato devono riuscire ad aprire le zone atelettasiche e che stimolino la produzione di surfactante perché vi è un deficit. Il meconio è tossico a livello dei polmoni. Il neonato nasce con aspetto del liquido quasi melmoso. Una volta tutti i neonati che avevano una sindrome da aspirazione di meconio venivano intubati, oggi vengono trattati solamente i neonati non vigorosi, intendendo per neonato non vigoroso i neonati che hanno una frequenza cardiaca al di sotto di cento e un tono muscolare ridotto; soltanto questi neonati vengono intubati. Il neonato viene aspirato, viene collegato un tubo endotracheale e viene aspirato fino a che il materiale non risulta pulito.

Altra patologia respiratoria del neonato è quella polmonare cronica da broncodisplasia. La displasia broncopolmonare è una patologia dei nati prematuri che sopravvivono in terapia intensiva, in terapia con ossigeno che lo può portare a un quadro di ossigeno dipendenza anche in età adulta. È una patologia che una volta si riteneva fosse legata soltanto alle alte concentrazioni di ossigeno, di fatto si è visto che è una patologia multifattoriale: peso inferiore a 1500g, età gestazionale 31 settimane, in parte legata all’utilizzo degli steroidi materni e l’utilizzo del surfactante ma che comunque ancora oggi, nonostante utilizziamo minori concentrazioni di ossigeno, continua a presentarsi a conferma che i polmoni sono meno sviluppati. Questi bambini chiaramente devono essere preservati dalle infezioni.

(riferito alla slide) questo ad esempio è il quadro di un bambino nato prematuro che viene dimesso con un quadro radiologico comunque importante.

Studente: ma quello sembra il colon

Si perché quando si viene a determinare questa situazione polmonare, le anse alzano il diaframma. Col tubo endotracheale mandiamo aria solamente a livello delle vie aeree ed è il motivo per cui, i bambini con ernia diaframmatica, cioè la presenza di visceri in cavità toracica, vanno intubati immediatamente, perché l’aria non si distribuisce solamente a livello delle vie aeree ma anche a livello dell’intestino e peggiora la sintomatologia polmonare.

Questi bambini spesso vanno a casa con l’ossigeno, altri in condizioni migliori necessitano di trattamenti minori come l’aerosol. Questi bambini non possono entrare a contatto con i parenti, specialmente se raffreddati e non possono andare all’asilo, infatti la scolarizzazione nei primi due anni di vita determina un rischio maggiore di contrarre infezioni. Esiste una terapia profilattica per il virus respiratorio sinciziale, che è la prima causa di infezione delle vie respiratorie.

INFEZIONI VIE URINARIE E MALFORMAZIONI UROLOGICHE

Le infezioni delle vie urinarie in età pediatrica sono tra le infezioni più frequenti. Si parla di infezioni delle vie urinarie quando c’è una urinocoltura significativa. La sintomatologia cambia in base all’età; nel neonato nel primo anno di vita la sintomatologia è assolutamente aspecifica anche perché il bambino non sa riferire,

le manifestazioni sono spesso gastroenterologiche, il bambino manifesta disturbi dell’alvo, può avere febbre o ipotermia, dipende dallo stato immunologico, sicuramente se è ricorrente vi può essere calo ponderale, può presentare, così come nelle gastroenteriti vomito o diarrea, il bambino è irritabile e rifiuta l’alimentazione. Man mano che si cresce la sintomatologia è sempre più simile a quella dell’adulto: disuria, pollachiuria, stranguria, dolore e febbre.L’American Academy of Pediatrics è quella che crea le linee guida in età pediatrica. Per parlare di infezioni delle vie urinarie una volta bastava raccogliere le urine all’interno del sacchetto, ora con le nuove linee guida questo non è sufficiente, bisognerebbe teoricamente raccogliere le urine da catetere o da un sovra-pube, cioè un catetere che buca la vescica e che raccoglie le urine. Questo perché, secondo l’American Academy of Pediatrics, le urine raccolte col sacchetto non sono così attendibili. Secondo le vecchie linee guida si parlava di infezioni delle vie urinarie con un valore positivo ≥100000 cfu/ml, oggi poiché il campione dovrebbe essere più pulito, parliamo di infezione delle vie urinarie quando all’urinocoltura si ha un valore ≥50000 cfu/ml. Tuttavia non basta una urinocoltura positiva ma si deve avere anche la positività in un esame delle urine e questo è molto importante in età pediatrica, poiché in età pediatrica il sacchetto è molto spesso vicino al pannolino e le urine si possono contaminare. Per esame delle urine positivo si intende la presenza di piociti, o accumulo di leucociti e nitriti oppure esterasi leucocitaria. Per parlare di infezione delle vie urinarie ci deve quindi essere : -sintomatologia-esame delle urine positivo-urinocoltura positivaL’urinocoltura positiva in presenza di esame delle urine negativo è fortemente dubbio. Trattamento (spesso lo chiedono agli esami): una volta se vi era una pielonefrite il trattamento era parenterale, se vi era una cistite il trattamento era per bocca, oggi, secondo le linee guida, il trattamento orale o parenterale hanno la stessa efficacia e dovrebbe essere utilizzato un antibiotico di quelli positivi all’urinocoltura. Il tempo dovrebbe essere da 37 a 14 giorni in base alla gravità dell’infezione. Nel 90% dei casi le infezioni delle vie urinarie in età pediatrica sono dovute a Escherichia Coli, nel 15% sono quasi tutti gram-, raramente compare Enterococco o un gram+. Si parla di infezioni recidivanti quando le infezioni sono almeno 2 nell’arco di 6 mesi.

Malformazioni urologiche più frequenti in età pediatrica:

-reflusso vescico-ureterale-stenosi del giunto pielo-ureterale-megauretere primitivo o stenosi del giunto vescico-ureterale-valvole uretra posterioreQual è il protocollo urologico da seguire nel sospetto di infezioni delle vie urinarie?Se l’infezione perdura per più di 48h, in presenza di trattamento, è utile fare una ecografia se non c’è una diagnosi prenatale, che gli inglesi chiamano renal bladder ultrasound. Se vi è un dubbio conviene fare la cistouretrografia minzionale (CUM), che si fa quando c’è una pielectasia bilaterale, una dilatazione della pelvi >15mm, idroureteronefrosi oppure patologie a carico della vescica, cioè una vescica trabecolata o con aumentato spessore della parete.

Il reflusso vescico-ureterale è l’uropatia più frequente in età pediatrica, maggiore nel maschio rispetto alle femmine nel neonato, nel bambino più adulto viceversa. In circa la metà dei casi è bilaterale. Quando di parla di reflusso vescico-ureterale si intende un anomalo passaggio di urina dalla vescica all’apparato urinario superiore. La giunzione vescico-ureterale è quel passaggio che c’è tra l’uretere e la vescica, un’alterazione di questa giunzione determina o un’incontinenza di questo sfintere determinando reflusso, o viceversa può essere stenotico causando la stenosi del giunto vescico-ureterale o megauretere primitivo. L’integrità della giunzione vescico-ureterale è legata sia alla posizione dell’uretere, una posizione anomala o ectopica può provocare, in base alle circostanze o reflusso o megauretere, sia alla fascia del Waldeyer, cioè quella guaina all’interno del quale l’uretere scorre oppure alterazione del trigono oppure del collo o della base vescicale. Fino a qualche tempo addietro si credeva che il meccanismo di continenza della giunzione vescico-ureterale fosse legato a un rapporto tra la lunghezza dell’uretere intramurale e il diametro dell’uretere; questo rapporto doveva essere, secondo studi degli anni 60, almeno di 4:1 vale a dire la lunghezza doveva essere almeno 4 volte superiore al diametro dell’uretere. Intorno al 2000 si è visto che in realtà che nel neonato a termine questo rapporto non era mantenuto ma c’era un rapporto di 2,23:1, come se l’uretere fosse fisiologicamente più corto rispetto al diametro. Seguendo la vecchia teoria la maggior parte dei neonati dovrebbe quindi essere refluente, mentre invece il reflusso vescico-ureterale colpisce circa l’1% dei nati vivi. Si è parlato quindi di meccanismo attivo, cioè non è sufficiente questo rapporto lunghezza/diametro ma evidentemente subentrano anche altri meccanismi come la peristalsi e l’integrità dei fasci muscolari che permettono il movimento

autonomo dell’uretere che indirizza le urine dell’alto verso il basso. I meccanismi quindi sono due: meccanismo antireflusso passivo cioè il rapporto tra lunghezza e diametro e un meccanismo attivo legata all’attività dell’uretere stesso. Il reflusso vescico-ureterale può essere:-idiopatico primitivo, che è quello legato a cause non note e non secondario ostruzione -secondario dovuto a: valvole dell’uretra posteriore, incoordinazione tra vescica e sfintere o vescica neurogena dove manca la coordinazione tra la contrazione del detrusore e rilascio dello sfintere, si determinano all’interno della vescica delle pressioni molto elevate che forzano l’ostio uretere-vescicale. Il meccanismo di peristalsi è legato alle cellule di Cajal, scoperte all’interno dell’intestino e che portano al GIST, e sono presenti anche all’interno dell’uretere dove una loro diminuzione determina un’alterazione della peristalsi. Il reflusso vescico-ureterale secondario può essere ovviamente dovuto anche a una ostruzione.Come si fa diagnosi? Oggi spesso i genitori vengono con una diagnosi prenatale di dilatazione delle vie escretrici (uretere e pelvi) che sono dei segni indiretti di reflusso. Il reflusso vescico ureterale può guarire anche spontaneamente. Se vi è sospetto prenatale questo deve essere confermato da una ecografia dopo la nascita . Una volta quando c’era lo screening per la displasia dell’anca, tra il 60° e il 90° giorno di vita post natale, facevano anche l’ecografia dell’apparato urinario e quindi si faceva diagnosi. Se la dilazione è superiore a 15mm o è bilaterale o vi è una contemporanea dilatazione dell’uretere e della pelvi, vi è indicazione per la cistouretrografia funzionale. È un esame radiologico che viene effettuato introducendo un catetere in vescica attraverso il quale viene introdotto in vescica un mezzo di contrasto iodato e poi si fanno dei riempimenti (basso, piccolo, medio riempimento) e si valuta soprattutto la fase minzionale durante la quale, dal punto di vista urodinamico, la pressione aumenta di circa 10 volte, quindi verrà visto se il reflusso è intermittente (con il pianto la pressione aumenta di 2-3 volte). Nel maschio è importante la fase minzionale in una posizione laterale-obliqua, perché nel maschio potenzialmente ci possono essere anche le valvole dell’uretra posteriore.

Classificazione radiologica:-I grado solo uretere

-II grado uretere fino alla pelvi-III grado reni, pelvi, modesta dilatazione dell’apparato urinario superiore-IV grado la dilatazione diventa più massiva-V grado con dolicomegauretere

Dopo aver fatto diagnosi di reflusso vescico-ureterale bisogna valutare la funzionalità renale tramite scintigrafia renale . Il rene refluente subisce due tipi di danno: un danno congenito sul quale non si può intervenire e viene chiamato nefropatia da reflusso o displasia renale e ce l’hanno soprattutto quei reni con reflusso di II grado e un danno secondario a infezioni, sul quale possiamo intervenire. La scintigrafia renale ci valuta al tempo zero quanto è la funzione renale differenziale e se c’è ipotrofia renale o se ci sono delle malformazioni. Se ci sono delle infezioni urinarie al danno congenito si può aggiungere il danno da cicatrice renale, che si crea soprattutto se l’infezione non viene trattata. La nefropatia o displasia renale, anche se non vi sono infezioni, può avere un andamento cronico e progressivo sul quale purtroppo non si può intervenire. Il rene alla scintigrafia appare ipocaptante o nei casi più gravi come un rene muto. Il maggiore dibattito è sul come e quando trattare il reflusso vescico-ureterale perché si è visto che può guarire spontaneamente. Generalmente nel primo/secondo anno di vita, tranne che nei casi limite, il trattamento è conservativo. Il trattamento conservativo consiste in una antibiotico-profilassi, amoxicillina acido clavulanico, in mono somministrazione la sera affinché si riduca il rischio di infezioni delle vie urinarie, che è l’unica cosa su cui possiamo intervenire. Si è visto che un rene che non si infetta va incontro difficilmente a un peggioramento della funzione renale. Tuttavia se vi è un’infezione delle vie urinarie nonostante l’antibiotico-terapia o vi è una mancata compliance da parte dei genitori oppure se si ha un danno renale di una certa importanza si passa dal trattamento conservativo al trattamento progressivo cioè quello endoscopico o chirurgico a cielo aperto. Il trattamento endoscopico consiste nella iniezione in cistoscopia, di una sostanza nella parete posteriore dell’uretere al fine di ridurre il calibro dell’uretere e quindi aumentare quel rapporto lunghezza diametro. La porzione intramurale dell’uretere consiste in una porzione transmuscolare e in un tragitto sottomucoso ed è spesso quest’ultimo ad essere insufficiente e nella chirurgia open, dove cerchiamo di

ricostruire la giunzione vescico-ureterale, lo facciamo creando un tragitto sottomucoso scollando la mucosa dal piano muscolare con delle forbici e si fa passare l’uretere in questo tunnel sottomucoso. Talvolta si combina l’allungamento dell’uretere alla riduzione del diametro, perché se l’uretere è di 1cm e noi dobbiamo ricostruire il tunnel che deve essere 4-5 volte il diametro significa che dobbiamo fare un tunnel di 4-5 cm e spesso le dimensioni della vescica non consentono di creare un tunnel talmente grande per questo, da un lato creiamo un tunnel il più lungo possibile, ma dall’altro riduciamo il calibro dell’uretere. Nel trattamento endoscopico si stringe il diametro tramite la sostanza introdotta in uretra posteriore, ma questo ha dei limiti legati al potenziale recidivo dal 20% al 50% quando il reflusso è di alto grado. L’intervento endoscopico si può ripetere fino a 3/4volte. Nel reflusso di basso grado la percentuale di guarigione è del’80% entro i 2 anni di vita, nel reflusso di alto grado 40% entro i due anni di vita . Molte patologie dell’apparato urinario sono legate a una dismaturità quindi se diamo la possibilità all’organismo di maturare, così come anche nel reflusso gastro-esofageo, megauretere ostruttivo, stenosi del giunto, sono patologie che guariscono. Il tempo di guarire si dà naturalmente se la patologia non mette a repentaglio la vita e se il danno non è talmente grave. Se è più probabile che la patologia progredisca piuttosto che regredire ovviamente non si aspettano i 2-3 anni di vita prima di intervenire e si interviene tramite trattamento chirurgico o endoscopico o classico. Il trattamento endoscopico dura circa 15minuti e il paziente viene dimesso il giorno successivo, ha lo svantaggio di dare recidive ed è ripetibile fino a 3-4 volte. Se il reflusso è di alto grado e bilaterale la percentuale di guarigione è bassissima e quindi è preferibile effettuare un intervento a cielo aperto e cioè il reimpianto dell’uretere. Questo si basa sul principio che la lunghezza dell’uretere deve essere almeno 4-5 volte maggiore al diametro, per cui si crea questo tunnel sottomucoso.

Passiamo all’altro argomento:Stenosi del giunto o idronefrosi congenitaL’idronefrosi congenita è una dilatazione della pelvi e spesso anche dei calici conseguente a una ostruzione del giunto pielo-ureterale, quindi tra la pelvi e l’uretere. Questa patologia in circa il 90% dei casi è disfunzionale, vale a dire non c’è un ostacolo di natura estrinseca o intrinseca, ma sono i fasci muscolari dell’uretere che non hanno raggiunto al maturità, ragion per cui la peristalsi ureterale avviene in maniera non coordinata e non sufficiente e si ha un ristagno di urina nella pelvi e nei calici. Nel rimanente 10% dei casi può essere dovuta quasi sempre a un vaso

anomalo e talvolta all’interno dell’uretere ci possono essere delle pliche oppure delle valvole, talvolta è descritta un’inserzione anomala dell’uretere che non si impianta bene a livello della pelvi ( se non si attacca nella porzione più declive, ma in quella più apicale il rene non scaricherà in maniera adeguata). Diagnosi: spesso diagnosi in utero di dilatazione e poi il protocollo è sempre lo stesso. Talvolta può essere sintomatico quindi dare segno di infezione o di dolore. Diciamo che una volta, quando mancava l’ecografia, prima degli anni 80, era la causa più frequente nei lattanti di massa addominale che entrava in diagnosi differenziale con il tumore di Wilms. Il protocollo di screening è sempre lo stesso: ecografia in utero, ecografia renale alla nascita, una volta si utilizzava anche l’urografia che è stata un po’ eliminata perché espone il paziente a radiazioni e necessita di mezzo di contrasto. La cistouretrografia minzionale non serve per fare diagnosi di stenosi del giunto bensì serve a fare diagnosi differenziale perché, quando abbiamo un paziente con dilatazione delle vie escretrici dobbiamo sempre pensare al reflusso vescico-ureterale e quindi escluderlo. Se durante l’esame non c’è il reflusso la patologia non è refluente ed è quindi ostruttiva e la diagnosi quindi ricade sulla stenosi del giunto pielo-ureterale o stenosi del giunto vescico-ureterale. Un esame importantissimo sia nella stenosi del giunto pielo-ureterale che in quella del giunto vescico-ureterale è la scintigrafia renale sequenziale col test alla furosemide. Viene messa una sostanza in vena che è il DTPA marcato con tecnezio99 e si vede che il tecnezio viene eliminato selettivamente da parte del rene e se viene accumulato o meno all’interno dell’apparato urinario superiore. L’esame dura complessivamente 40 minuti, a 20 minuti dall’inizio viene somministrato il lasix, la furosemide, per forzare la diuresi. Se dopo la somministrazione di furosemide continua ad esserci una ipercaptazione a livello della pelvi e anche dei calici, significa che, nonostante lo stimolo del diuretico questo rene non funziona. La scintigrafia ci consente di distinguere le stenosi del giunto pielo-ureterale o vescico-ureterale, per il quale vale lo stesso discorso, in: -ostruttive-non ostruttiveOstruttive sono quelle in cui la pendenza della radioattività è verso l’alto, quindi anche dopo l’utilizzo del diuretico, pur aumentando l’attività renale, invece di scaricare la radioattività aumenta. Il T1/2 (Tmezzi) deve essere inferiore a 20min per essere normale, cioè alla fine dell’esame ci deve essere almeno il 50% in meno di radioattività.

Interpretazione dei quadri scintigrafici

Il presupposto su cui si basa il test diuretico è che, in un sistema ostruito, il deflusso urinario permane compromesso anche se viene incrementata al massimo la "vis a tergo" con un forte stimolo diuretico. Al contrario, il diuretico provoca un'accelerazione del deflusso, con rapido svuotamento delle vie escretrici, quando la lenta eliminazione dell'urina è dovuta a semplice stasi. 

L'interpretazione dell'indagine si basa sia sulla valutazione della funzione renale sia sull'andamento del deflusso del radiofarmaco prima e dopo lo stimolo diueretico. In particolare, è di fondamentale importanza l'analisi delle curve radionefrografiche: 

In presenza di ostruzione la curva radionefrografica presenta:

Perfusione ritardata e di ridotta entità del rene affetto rispetto al controlaterale (specie nei casi acuti). In caso di importante dilatazione delle vie escretrici, senza ostruzione, la perfusione può essere ridotta (proporzionalmente al danno parenchimale) ma non ritardata;

Concentrazione corticale ritardata e, se l'ostruzione ha già provocato un danno parenchimale, ridotta;

Transito parenchimale prolungato; Progressivo accumulo di radioattività nei calici e nel bacinetto, con curve

renografiche in accumulo, senza discesa significativa dopo la somministrazione del diuretico.

La curva radionefrografica può assumere uno dei seguenti andamenti tipici:

Morfolgia indicativa di ostruzione

La curva appare in progressiva salita. La somministrazione del diuretico non risulta in grado di indurre una discesa significativa o può provocare, addirittura, un'ulteriore incremento della pendenza (effetto paradosso). Quadri falsamente positivi possono essere causati da disidratazione, ridotta funzionalità renale, massiva dilatazione o mancato svuotamento della vescica prima dell'inizio dell'esame.i> Il numero dei falsi positivi cala nettamente con l'acquisizione di immagini tardive dopo ortostatismo e minzione.

Morfolgia che esclude l'ostruzione

La curva appare in progressiva salita fino alla somministrazione del diuretico che provoca una brusca discesa. Tipicamente, la curva assume un andamento "concavo" verso l'alto e verso destra. Tale quadro indica che il semplice aumento del flusso provocato dal diuretico è sufficiente al superamento delle resistenze ed esclude, quindi, l'esistenza di una ostruzione clinicamente significativa.

Morfologia dubbia, non conclusiva

La curva appare in progressiva salita fino alla somministrazione del diuretico che provoca una discesa di modesta entità assumendo, generalmente, un andamento "convesso" verso l'alto e verso destra. Tale quadro potrebbe essere causato da una buona risposta al diuretico da parte di un sistema parzialmente ostruito o, al contrario, da una scarsa risposta al diuretico da parte di un sistema non ostruito. Può, infine, rappresentare la risposta alla furosemide da parte di un sistema molto dilatato e "compiacente" nel quale l'effetto diuretico è insufficiente per normalizzare il deflusso. In questi casi è utile l'acquisizione di immagini tardive dopo ortostatismo e minzione.

Anche questa patologia può guarire spontaneamente, quindi il trattamento in prima istanza è conservativo, qualora non dovesse guarire è necessario il trattamento chirurgico. Nel trattamento conservativo è discusso se fare antibiotico profilassi, perché al contrario del reflusso vescico-ureterale, nella stenosi del giunto più raramente va incontro a infezioni delle vie urinarie. La funzione renale dovrebbe essere 55% 45% per ogni lato, la somma deve fare sempre 100. Si opera se la funzione renale è al di sotto del 40% (es. 61/39) oppure se tramite il follow-up la funzione renale diminuisce del 10% rispetto ai controlli precedenti. Se la funzione renale si mantiene buona si prosegue con il trattamento conservativo. Per il follow-up viene eseguita la scintigrafia e dà l’unico parametro che ci consente valutare la funzione renale. Generalmente prima della scintigrafia si fa una ecografia per valutare la dilatazione. L’obbiettivo chirurgico non è migliorare la funzione renale ma arrestare la progressione, la funzione renale non torna mai ai valori fisiologici.(questo è un intervento che abbiamo fatto un anno e mezzo fa. Questa è la pelvi e questo, sulla fettuccia rossa, e un vaso molo che passava a cavaliere sull’uretere e ne causava l’ostruzione estrinseca)L’intervento consiste nell’asportare il tratto stenotico, cioè si taglia a monte e a valle di questo tratto stenotico e si fa un’anastomosi.

Se c’è un vaso anomalo, l’intervento consiste nello “scrociare” il vaso; il vaso infatti passa al di sopra dell’uretere e lo stenotizza, si taglia l’uretere e lo si fa passare sopra e quindi il vaso lo si fa passare sotto. Generalmente è sconsigliabile clampare il vaso perché si creerebbe un danno renale e si perderebbe parte del polo renale inferiore. Il tutore usato è a doppia J, a coda di topo, una coda viene lasciata nella pelvi e l’altra nella vescica; si percorre tutto l’uretere e poi dopo 4-8 settimane si tira fuori cistoscopicamente. Il motivo per il quale viene lasciato è, innanzitutto per evitare la stenosi, perché comunque quando mettiamo i punti di sutura si può avere una retrazione cicatriziale e quindi una stenosi iatrogena e poi, nell’immediato post operatorio, vuoi perché ci sono i punti di sutura, vuoi perché c’è l’edema si può momentaneamente ostruire il giunto ed essendoci un tutore che è multicorallato questo non avviene perché l’urina, attraverso il tutore, giunge direttamente in vescica. Una volta si lasciava una nefrostomia per 10-15gg per permettere soprattutto all’edema di regredire. Oggi la nefrostomia non viene effettuata perché invasiva e perché allunga i tempi di degenza. Con il tutore abbiamo un drenaggio intracorporeo che ci permette di accorciare i tempi di degenza e a distanza di 1-2 mesi bisogna fare una cistoscopia con anestesia per sfilare questo tutore (si entra in vescica e si tira la coda di topo).

MegauretereSi parla si megauretere primitivo quando vi è una stenosi del giunto vescico-ureterale. Quello che abbiamo detto per gli altri distretti vale anche per questa patologia; può andare incontro a guarigione spontanea, può creare infezioni urinarie. Si effettua un trattamento conservativo poiché guariscono nel 75% dei casi. Può causare infezioni delle vie urinarie perché generalmente i germi ristagnano nella vescica e se risalgano nell’uretere, trovandosi in stasi urinaria prolifera e provoca pielonefriti. Insieme al reflusso vescico-ureterale è la patologia che dà più frequentemente infezioni delle vie urinarie. La stenosi del giunto però più difficilmente dà infezioni perché ci dovrebbe essere un reflusso transitorio che permetterebbe al batterio di percorrere tutta la via retrogada superando la stenosi. Il batterio potrebbe utilizzare però anche la via ematogena, tramite sepsi, anche se

la maggior parte delle infezioni urinarie avviene per risalita del patogeno o contaminazione fecale. Il protocollo diagnostico è sempre lo stesso: 1 ecografia in utero2 ecografia post natale3 cistografia minzionale (per escludere il reflusso vescico-ureterale)4 scintigrafia DTPA con furosemide.I protocolli sono sempre gli stessi, l’esame dura 40min e a 20min viene somministrata la furosemide e si vede il comportamento della curva nella fase scarico. Se c’è decremento della funzione renale superiore al 10% o una funzione renale sin dall’inizio inferiore al 40% vi è indicazione chirurgica.Il megauretere solitamente guarisce spontaneamente. Si chiama così proprio perché è mega e l’intervento è molto simile a quello del reflusso vescico-ureterale, cioè il reimpianto degli ureteri, la differenza è che qui c’è un tratto stenotico che deve essere amputato. Spesso nel megauretere ci sono ureteri superiori a 1-1,5cm spesso anche 2cm e diventa difficile o quasi impossibile creare un reimpianto che sia continente per cui l’intervento consiste nel creare un tunnel sottomucoso e fare anche un modelage dell’uretere, vale a dire l’uretere viene ridotto di calibro in modo garantire il famoso rapporto di 4-5:1.

UreteroceleL’ureterocele è la dilatazione cistica dell’uretere terminale ed è dovuto a un difetto della parte terminale dell’uretere e anche del trigono. La parte terminale dell’uretere si rigonfia a palloncino. Ne esistono due tipi:-ureterocele simplex-ureterocele duplex, talvolta nel rene esistono due ureteri e due pelvi e due sbocchi in vescica (è quello più frequente in età pediatrica)Il secondo uretere si adatta solitamente in una posizione più bassa a livello vescicale e va incontro a sfiancamento e compare l’ureterocele. Colpisce l’uretere del polo renale superiore. Durante l’embriogenesi l’uretere subisce una rotazione di 180° per cui l’uretere del polo superiore sboccherà più in basso. Se noi vediamo una dilatazione cistica all’interno della vescica abbiamo fatto diagnosi. Se il bambino viene studiato a vescica vuota, come spesso accade, l’ureterocele non può essere

visto ma, se vediamo la dilatazione della pelvi urinaria solo nella parte superiore del rene, dobbiamo sempre sospettare un ureterocele duplex. La diagnosi è sempre la stessa ma in questa circostanza l’ecografia a vescica piena consente immediatamente di fare la diagnosi. Il trattamento è molto semplice ed è un trattamento endoscopico: si entra con l’endoscopio, cistoscopio, si identifica questa bolla e con uno strumento si creano uno o più buchi, quindi si decomprime. Mi sono dimenticato di dire che questa dilatazione cistica, alla fine, termina in un meato ureterale stretto, quasi multiforme, ragion per cui si crea la bolla perché non riesce a scaricare correttamente, per cui creiamo un secondo meato chirurgico bucando questa sacca. Può succedere che bucando la bolla creiamo un reflusso vescico-ureterale e in queste circostanza bisogna procedere al reimpianto dell’uretere.

Valvole dell’uretra posterioreÈ una patologia molto facile da trattare. Le valvole dell’uretra posteriore sono delle valvole presenti nell’uretra prostatica e quindi tipiche del sesso maschile che hanno una forma a nido di rondine, per cui sono facilmente cateterizzabili ma nel momento in cui il bambino minge si raggiungono delle altissime pressioni endovescicali e diventano fortemente ostruttive. Possono creare un severo danno renale, morte intrauterina e morte alla nascita legata all’ipoplasia dell’apparato respiratorio, poiché molto spesso i reni sono talmente dilatati che non permettono un completo sviluppo dei polmoni. Esistono delle forme più lievi che si possono manifestare in età neonatale o anche più tardivamente. Nelle forme più severe la diagnosi può essere fatta anche in utero ed è caratterizzata dal binomio di megavescica, che presenta anche una parete ispessita, e idroureteronefrosi bilaterale. Teoricamente esiste anche un intervento in utero delle valvole dell’uretra posteriore e consiste nell’inserimento di un drenaggio tra la vescica e il liquido amniotico, per cui il feto continua a urinare nel liquido amniotico tramite questo catetere che poi viene eliminato alla nascita. La diagnosi si fa con la cistografia minzionale. Il trattamento: è un trattamento endoscopico che consiste nella folgorazione delle valvole dell’uretra. Purtroppo spesso, anche se l’intervento chirurgico è ottimale, il danno renale nel bambino può essere progressivo fino a portare a un quadro di pielonefrite cronica e insufficienza renale. Le forme che si manifestano più precocemente sono solitamente le più severe.

PATOLOGIE CANALE INGUINALE IN ET À PEDIATRICA

Parleremo dell’ernia e dell’idrocele nelle quali non vi sono grosse differenze dal punto di vista della patogenesi e delle dilatazione, del criptorchidismo e del varicocele e di questo parleremo soprattutto delle indicazioni chirurgiche per evitare complicanze di sterilità in età adulta. La torsione del funicolo è una patologia acquisita e non riguarda solo l’età pediatrica. Una torsione del funicolo di 360° o addirittura di 720° qualora faccia 2 giri, determina un’ischemia che qualora superi le 7h determina un danno che è considerato irreversibile, il golden hours, cioè le ore in cui bisogna intervenire, è quindi di 7h, dopo 24-48h non ha senso effettuare un intervento chirurgico di urgenza perché il danno alla gonade è ormai irreversibile. Quando visitiamo un bambino con dolore addominale, vomito, con sospetta condizione di tipo addominale, potrebbe essere determinata da una ernia intasata o da un testicolo torto, quindi soprattutto nel maschietto bisogna valutare alla visita l’apparato genitale.L’ernia inguinale nel bambino è una condizione congenita e differisce da quella dell’adulto, che è una condizione acquisita dovuta solitamente a una debolezza muscolare anche se, anche l’adulto, può presentare questa pervietà del dotto peritoneo-vaginale. La patogenesi è la mancata chiusura del dotto peritoneo-vaginale e l’obbiettivo chirurgico, una volta ridotta manualmente l’ernia, è andare a legare il dotto peritoneo-vaginale senza dover fare grandi plastiche (no reti o protesi) perché nel bambino le recidive sono molto rare e se presenti legate alla mancata chiusura del dotto peritoneo-vaginale.

Dobbiamo ricordare che il testicolo nella sua formazione, intorno al terzo mese di vita intrauterina, si forma a partire da un abbozzo di cellule sotto il polo renale inferiore, retroperitoneale. Il testicolo scende e, verso la fine della gravidanza, giunge a livello dell’anello inguinale esterno dove spinge creando un’estroflessione, a dito di guanto, del peritoneo parietale. Questa estroflessione del peritoneo è il

dotto peritoneo-vaginale. Il testicolo raggiunge poi la borsa scrotale e il dotto, che altro non è se non una comunicazione che si mantiene tra la cavità addominale e la cavità inguinale, che dovrebbe poi obliterarsi e rimanere soltanto come vaginale del testicolo. Specialmente nei bambini molto piccoli nati precocemente, nel 20-30% dei casi, non vi è il tempo per la chiusura e il dotto rimane pervio e rimane quindi una comunicazione tra la cavità addominale, in alto, e la cavità inguinale fino alla borsa inguinale con la possibilità che si possa impegnare dell’omento, del grasso o delle anse intestinali. Il concetto sarà poi ripreso nell’idrocele, perché è identica la patogenesi, la differenza è che piuttosto che impegnarsi un’ansa intestinale passa del liquido quindi il bambino avrà un’aumentata dimensione del testicolo o anche del funicolo legata a una pervietà del dotto peritoneo- vaginale. Nella femmina non esiste il dotto peritoneo-vaginale, ma succede qualcosa di analogo quando parliamo di un mezzo di fissità dell’utero che si chiama legamento rotondo. Il legamento rotondo, dall’addome entra nel canale inguinale e ha un dotto che si chiama canale di Nuck, dall’autore che lo ha descritto. Il canale di Nuck, questa estroflessione, porta giù il legamento rotondo che si inserisce sul grande labbro e il dotto si chiude. Se il canale di Nuck rimane aperto c’è la predisposizione a far passare o anse intestinali o omento o, se c’è una motilità eccessiva delle strutture annessiali, si potrebbe trovare un ovaio erniato nel canale inguinale. L’obbiettivo chirurgico è quello di legare il canale di Nuck. La patologia si manifesta con una tumefazione molliccia con cute integra (neonati o bambini di 2-3 anni) con localizzazione inguinale o inguino-scrotale. La tumefazione è assente al mattino, aumenta con la deambulazione e in posizione ortostatica. Se il bambino piange, aumentando la forza del addominale, aumenta la tumefazione, così come con la tosse, la manovra di Valsalva o facendolo saltellare. La tumefazione è lungo il canale inguinale che nei bambini è molto piccolo e aumenta la sua lunghezza con la crescita. Non dovrebbe essere dolente e non dovrebbe essere transilluminabile, condizione invece tipica dell’idrocele in cui la tumefazione è un po’ più tesa ed elastica. La tumefazione da ernia dovrebbe essere riducibile, alle volte si sente anche il gorgoglio dell’aria che esce, e improvvisamente il bambino non ha più dolori perché si riduce l’effetto di compressione sul funicolo. In un bambino in cui l’ernia la si vede e la si riduce non c’è motivo di fare un esame ecografico, quando abbiamo dei dubbi dal punto di vista terapeutico e sull’operare o meno va effettuata una ecografia. Entra in diagnosi differenziale con l’idrocele, che abbiamo visto ha delle caratteristiche diverse, la tumefazione potrebbe ricordare anche una linfoadenite che per definizione dovrebbe avere anche una reazione di fine

infiammatorio e la tumefazione dovrebbe essere più consistente e parenchimatosa, la cute è arrossata e il bambino presenta dolore. Entra in diagnosi differenziale con la torsione del funicolo ma, in questo caso, così come nell’epididimite, la prima cosa che gonfia e aumenta di volume è il testicolo che è anche fortemente dolente. L’ematoma in zona inguinale ha un colorito caratteristico che non può essere scambiato per ernia inguinale. I tumori in questa regione e in quest’età sono per fortuna rari quindi solitamente non entrano in diagnosi differenziale e solitamente si presentano con una tumefazione più dura e meno mobile. Le complicanze dell’ernia ombelicale: problemi vascolari prima di ritorno venoso e poi ischemici e quindi evolve verso lo strozzamento, cioè una condizione di ischemia dell’ansa con rischio di perforazione. L’ernia intasata è ancora ricoperta da cute integra ma il bambino prova forte dolore, rifiuta il cibo, ha vomito che può diventare di tipo gastrico quando l’ernia è strozzata e la consistenza che era molliccia diventa più consistente, la cute può essere arrossata. Se l’intasamento è avvenuto da poco possiamo provare a ridurre l’ernia con una spinta progressiva che si fa sul canale inguinale dal basso verso l’alto, vi può però essere edema e quindi si mette del ghiaccio, si fa un antidolorifico (paracetamolo che è quello più utilizzato nei bambini). Alle volte il solo antidolorifico e la condizione di rilasciamento del bambino può determinare una riduzione spontanea. L’antidolorifico per agire ha bisogno di almeno 15 min. associato al ghiaccio, bisogna poi effettuare una spinta delicata ma con una certa forza, non eccessiva per scongiurare la rottura dell’ansa, all’avvenuta riduzione il bambino smetterà di piangere e sentiremo quel gorgoglio di cui abbiamo parlato che è segno dell’avvenuta riduzione. Se l’ernia è riducibile e compare in un neonato prematuro di meno di un anno bisogna operarla, perché non vi è possibilità che possa guarire spontaneamente e bisogna intervenire elettivamente perché il rischio di intasamento e strozzamento è molto elevato. Se ha più di un anno si può intervenire anche più tardivamente. La continua fuoriuscita delle anse può provocare l’insorgenza di aderenze dell’intestino con il dotto peritoneo-vaginale. Se abbiamo il problema di non riducibilità dell’ernia, ovviamente il bambino è ricoverato, o riusciamo a ridurla e aspettiamo 24-48h per ridurre l’edema oppure vi è la possibilità di ridurre l’ernia in narcosi o comunque dover intervenire in urgenza. Normalmente con l’anestesia il bambino si rilascia completamente e noi riusciamo a ridurla, se questo non avviene, anche in narcosi, conviene comunque non svegliare il bambino e operare anche se le strutture sono edematose. La patologia non è

grave, non è rara, l’unico problema reale è l’anestesia per i bambini molto piccoli di 2-3Kg, nei bambini più grandi l’intervento viene effettuato in day hospital. Il rischio di recidiva è molto basso, poiché bisogna solo legare il dotto peritoneo-vaginale attraverso un intervento che solitamente si fa per via inguinale in anestesia generale.

Sacco isolato dal funicolo spermatico in un’ernia inguinale destra in un maschio

Questo è un vecchio trattato che mostra cosa si faceva nei bambini piccoli che non potevano essere trattati, si mette un cinto erniario che impedisce di vedere la fuoriuscita dell’ansa ma non chiude il dotto quindi il rischio era di intasamento sotto la fasciatura e il bambino arrivava alla strozzamento, oggi non si utilizza più il cinto erniario. L’incisione che si fa è sulla piega inguinale (il canale inguinale si proietta dal tubercolo pubico alla spina iliaca anteriore superiore) nel bambino piccolo l’anello inguinale interno ed esterno sono quasi opposti, quindi preferiamo fare una piccola incisione orizzontale proprio sulla piega cutanea in maniera tale che questa non sia più visibile. Oggi è possibile anche l’intervento con tecnica laparoscopica che permette di chiudere il dotto dall’interno però presuppone tre trocar (1 ombelicale e 2 accessori) e un’anestesia generale ed è presumibilmente un intervento più invasivo. Il vero vantaggio della laparoscopia è nel caso di un’ernia bilaterale poiché permette la chiusura da ambo i lati con un unico accesso. L’ernia solitamente è a destra ma, specie nei bambini prematuri, può essere bilaterale. Bisogna stare attenti a non ledere il dotto deferente o i vasi testicolari e bisogna evitare di danneggiare le anse, o eventualmente l’ovaio nel caso di una femmina, all’interno del sacco.

Idrocele o cisti del funicoloLa patogenesi è sempre la mancata chiusura del dotto peritoneo-vaginale, la differenza è che il dotto è molto più sottile e non permette il passaggio di anse, passa quindi del liquido. Solitamente nel bambino, specie se grande, il

volume del testicolo aumenta la sera e al mattino, essendo stato durante la notte in posizione supina, questa tumefazione scompare, si parla in questo caso di idrocele comunicante. Si può avere anche un idrocele non comunicante e quindi in questo caso varia poco il volume e può o interessare solo il funicolo, o essere chiuso il dotto sopra e sotto e si parla di cisti del funicolo. In ogni caso vi è sempre la presenza di una certa quantità di liquido che avvolge il testicolo e che causa una pressione. Il testicolo per funzionare bene ha bisogno di temperature leggermente più basse della temperatura corporea, ecco perché il varicocele o il criptorchidismo fanno male al testicolo. Il liquido che avvolge il testicolo ha una temperatura di 37° e questo quindi non aiuta il testicolo. La differenza reale tra ernia e idrocele è che nell’ernia bisogna intervenire il prima possibile, nell’idrocele aspettiamo perché c’è la possibilità che il liquido si possa assorbire poiché il dotto è molto sottile. Nell’idrocele è l’emiscroto a essere aumentato di volume, mentre nell’ernia, a meno che non sia inguino-scrotale, la tumefazione è inguinale. Se vedo un bambino che ha il testicolo gonfio e l’inguine normale non è possibile che il bambino abbia un’ernia inguinale, perché l’ansa intestinale aumenta prima il volume dell’inguine, quindi probabilmente si tratta di un idrocele saccato o è un bambino grande che ha avuto un trauma. La consistenza è più dura ed elastica, non si modifica con il decubito ed è transilluminabile. Nell’idrocele, anche comunicante, il liquido si raccoglie nella parte declive e distende lo scroto. Si può avere una tumefazione inguino-scrotale o difronte a un’ernia inguino-scrotale o una condizione di ernia associata a idrocele. Quindi se abbiamo una tumefazione solo inguinale verosimilmente si ha un’ernia inguinale, se si ha una tumefazione solo scrotale verosimilmente si ha un idrocele, se siamo difronte a una tumefazione inguino-scrotale si possono avere dei dubbi e quindi si fa una ecografia. Nella transilluminazione, in una stanza al buio, con una fonte luminosa il testicolo si illumina. Nel bambino piccolo, a meno che non si abbiano delle dimensioni fortemente aumentate, siamo autorizzati ad attendere fino almeno ai 2 anni di vita poiché il liquido potrebbe riassorbirsi. Se anche dopo i due anni di età persiste si interviene dal punto di vista chirurgico per evitare i danni che potrebbero essere provocati dalla presenza del liquido e dall’aumento della pressione. Se il bambino giunge alla nostra osservazione verso i 3-4 anni non vi è possibilità di guarigione spontanea quindi bisogna intervenire con intervento chirurgico in elezione. Il dotto si può obliterale nell’idrocele. Nel bambino non si punge l’idrocele poiché è sempre una manovra invasiva che viene effettuata nel bambino in anestesia e dovrebbe essere

effettuata in condizioni di assoluta asepsi, altrimenti rischieremmo aspirando il liquido l’infezione e soprattutto se l’idrocele è comunicante il liquido si riformerà ed è lo stesso motivo per il quale il liquido si riforma dopo l’utilizzo di creme eparinoidi. L’intervento di chiusura del dotto è a volte associato (nell’adulto sempre) all’apertura della vaginale del testicolo e all’eversione verso fuori per evitare che si possa riformare il liquido inseguito al trauma chirurgico. Nella femmina può succedere la stessa cosa ma è molto meno frequente, parleremo di cisti del canale di Nuck cioè una raccolta di liquido che si localizza nel canale inguinale.

CriptorchidismoTesticolo nascosto dal greco κρυπτος, nascosto, e όρχυς, testicolo. Il testicolo non ha completato la sua discesa. Ha un’incidenza del 3% alla nascita, dopo tre mesi diventa 1% e 30% nei prematuri. Il testicolo scende durante le fasi dello sviluppo quindi bisogna aspettare da 1 a 3 mesi dopo la nascita perché sono dei bambini che possono avere una discesa più rallentata. Se a 6 mesi il bambino non presenta il testicolo in borsa scrotale bisogna intervenire. La discesa del testicolo è influenzata da fattori che sono endocrini, meccanici e anche di tipo strutturale e alterazioni genetiche. Ha una fase che è intraddominale in cui in parte è tirato dal gubernaculum verso sotto, il gubernaculum si fissa nella borsa scrotale e c’è una fase sempre sotto l’influsso ormonale in cui si retrae. Il testicolo si crea da un abbozzo di cellule sotto il polo renale inferiore ed è tenuto da un legamento sospensorio craniale e dal gubernaculum sotto, il ligamento sospensorio si rilascia e il gubernaculum lo tira verso sotto e tutto questo è regolato da fattori ormonali oltre che dalla pressione addominale, perché sapete che l’intestino a un certo punto è fuori dalla cavità addominale e poi rientra, la parete si chiude e aumenta ala pressione intraddominale. In condizioni ottimali la trazione del gubernaculum, l’effetto degli ormoni e la pressione intraddominale favoriscono la discesa del

testicolo che si va poi a localizzare all’interno della borsa scrotale e questo avviene a fine gravidanza. Si ha una maggiore frequenza in bambini prematuri, gemellarità, diabete in gravidanza. Fattore di rischio è l’assunzione di alcol, caffè e fumo in gravidanza. Vi è una correlazione con alterazioni genetiche, si è visto che nel Klinefelter vi può essere una maggiore incidenza. Fattori di rischio sono anche i fattori ambientali ad esempio gli ftalati e tutte quelle sostanze che sono conosciute oggi come distruttori endocrini che hanno un effetto simil-estrogenico e sono presenti anche nei fertilizzanti chimici o in alcuni tipi di plastica che si utilizzavano anni fa. Una maggiore esposizione della mamma in gravidanza a questi prodotti può causare nel feto maschio un’alterazione dell’asse ormonale e determinare criptorchidismo o ipospadia in cui non si forma perfettamente lo sbocco del meato uretrale, che non sarà alla punta ma lungo l’asta.Il testicolo si può arrestare in un qualunque punto lungo la sua discesa, queste sono le distopie permanenti in cui il testicolo può essere ritenuto o a livello intraddominale o lungo il canale inguinale oppure ha preso una strada diversa e si parla di ectopia testicolare. Le distopie transitorie quelle che alcuni definiscono testicoli in ascensore o retrattili sono testicoli che scendono nella borsa, rimangono nella borsa scrotale e poi hanno un riflesso cremasterico e si ritrae e sono generalmente non patologici. Se palpo il testicolo nel canale inguinale posso fare diagnosi di criptorchidismo e se ho atteso 6 mesi posso entro il primo anno di vita intervenire chirurgicamente. Le soluzioni ormonali che possono favorire la discesa oggi sono state abbandonate. Il problema si pone quando il testicolo non è palpabile ed è possibile che non si sia formato, si fa quindi un’ecografia che ha dei limiti e si fa poi la laparoscopia entro un anno un anno e mezzo. Il trattamento ha quindi l’obbiettivo di ridurre gli effetti sulla fertilità, ricordate che purtroppo più il testicolo rimane in posizione ritirata e se è intraddominale ancora di più, maggiore è il rischio di un danno permanente e il rischio di una trasformazione neaoplastica. Il testicolo ritenuto è più esposto a torsione e traumi e ha sicuramente effetti psicologici. Il testicolo subisce un danno termico oltre un danno genetico cioè una displasia del testicolo, il periodo critico è tra 3 e 9 mesi, se questi clusters di cellule dark, scuri, sono sottoposti a una temperatura maggiore, si possono trasformare in senso neoplastico o comunque non svilupparsi in maniera normale avendo effetti sulla fertilità. Ecco perché bisogna intervenire prima di 1 anno di vita.

Operiamo secondo la tecnica di Shoemaker o di Bianchi se si fa solo il taglio scrotale, ma il taglio classico è un’incisione come quella dell’ernia inguinale e un taglio sullo scroto che serve per fissare il testicolo e portarlo giù.

Chirurgia

gli obiettivi di ricollocare i testicoli nello scroto sono:- evitare ulteriori danni termici;- trattare il sacco erniario associato (isolamento e chiusura del dotto peritoneo- vaginale);- evitare la torsione del testicolo ed i traumi contro il pube;- raggiungere un buon risultato estetico (evitando gli effetti psicologici legati ad uno scroto vuoto);- consentire l’autopalpazione dei testicoli per la prevenzione dei tumori.

L’intervento standard di orchidopessi e quello di Shoemaker. Questa tecnica prevede un’incisione inguinale, la localizzazione e l’isolamento del testicolo e quindi del funicolo spermatico, la sezione del gubernaculum, la separazione di vasi sanguigni e del deferente dal dotto peritoneo-vaginale e la chiusura dello stesso a livello dell’anello inguinale interno. Un’ulteriore allungamento del funicolo puo essere ottenuto liberando i vasi nel retroperitoneo. Il testicolo cosi mobilizzato viene quindi collocato e fissato in una tasca sottodartoica realizzata previa incisione dello scroto omolaterale.ln alcuni casi e possibile eseguire l’orchidopessi con un unico approccio transcrotale (intervento di A. Bianchi). Altre tecniche chirurgiche come quella di Fowler-Stephens sono utilizzate in casi selezionati come per testicoli intraddominali e/o con funicolo spermatico molto corto.

VaricoceleViene trattato perché a lungo andare determina problemi di fertilità, sappiamo che nel 40% delle coppie adulte che hanno problemi di fertilità il maschio ha un varicocele. Quando il varicocele viene scoperto in età adulta potrebbe essere troppo tardi e il trattamento potrebbe solamente dare una finestra per avere una buona fertilità qualche mese dopo l’intervento. Sul bambino sappiamo che il danno che si ha sul testicolo si ha per aumento del danno ossidativo, aumento della pressione venosa, ipertermia per stasi venosa. Secondo le linee guida non c’è evidenza che il trattamento del varcicocele in età pediatrica determini un miglior outcome in ambito andrologico se fatto precocemente rispetto al farlo tardivamente. Vi sono però delle indicazioni per l’intervento: -testicolo ridoto di volume (sinistro solitamete)-se è bilaterlae-risposta anomala FSH facciamo un ecodoppler per valutare l’entità del reflusso

-se il testicolo è ridotto del volume e se il ragazzo ha dolore o fa sport perché il varicocele è una limitazione allo sport agonistico in questo caso interveniamo.Interveniamo o per via laparoscopia o tramite taglio inguinale o con scleroembolizzazione dei vasi inguinali che è di ambito radiologico.