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Bioetica Prof.essa Gensabella Ordinario di Filosofia Morale - Università di Messina 3 novembre 2016 INTRODUZIONE ALLA BIOETICA Il professore Asmundo introduce la professoressa affermando quanto lei “sia SEVERISSIMA in sede di esame e molto più severa di noi medici legali, perché l’introduzione alla bioetica, di cui parlerà oggi, presuppone dei principi sui quali NON C’E’ MOLTO DA DISCUTERE, perché i PRINCIPI SONO PRINCIPI. E purtroppo ogni volta che le chiedo come sia andato il candidato, storce molto il muso. Quindi vi pregherei di fare molta attenzione se ci tenete ai crediti e al voto agli esami. Cercate di prendere dalla professoressa il massimo e se avete questioni bioetiche da porle, ponetele, perché penso ci sarà davvero una soddisfazione reciproca. Sarà con voi fino a fine Novembre. Buon lavoro”. Allora intanto io devo dire che sono qui veramente per passione e mi auguro che voi sentiate quelle poche cose che ho da dirvi, non per i voti, esami, ma perché possano davvero interessarvi. Facendo un po' di psicanalisi selvaggia su me stessa, probabilmente mi sono dedicata alla bioetica (dal ’90) perchè dietro c’era una antica vocazione alla medicina, ma insomma…questa è storia personale. Ma per dirvi che mi piace molto cercare di dire qualcosa del mio percorso di ricerca a chi fa il lavoro che voi fate. Un lavoro, il vostro, che apprezzo moltissimo perché è un lavoro di grande spessore, non solo scientifico, ma anche umano. Detto questo, la prima lezione sarà una lezione un po' di inquadramento della bioetica, le altre invece saranno rivolte a delle questioni specifiche di bioetica e durante le varie lezioni prenderemo soprattutto in esame dei casi. Naturalmente non dei casi clinici, come siete abituati voi, ma dei casi bioetici. E allora da dove nasce intanto la parola BIOETICA? La parola nasce in America, non esisteva prima, anche se alcune ricostruzioni recenti in letteratura trovano qualche parola simile e qualche ascendenza simile, ma diciamo che la tesi prevalente è che il conio di questa parola “BIOETHICS”, spetta a questo signore qui, che era un oncologo statunitense. Quindi vedete, la bioetica nasce da qualcuno che studiava ciò che voi studiate: Van Rensselaer Potter. 1

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Bioetica Prof.essa Gensabella Ordinario di Filosofia Morale - Università di Messina

3 novembre 2016

INTRODUZIONE ALLA BIOETICA Il professore Asmundo introduce la professoressa affermando quanto lei “sia SEVERISSIMA in sede di esame e molto più severa di noi medici legali, perché l’introduzione alla bioetica, di cui parlerà oggi, presuppone dei principi sui quali NON C’E’ MOLTO DA DISCUTERE, perché i PRINCIPI SONO PRINCIPI. E purtroppo ogni volta che le chiedo come sia andato il candidato, storce molto il muso. Quindi vi pregherei di fare molta attenzione se ci tenete ai crediti e al voto agli esami. Cercate di prendere dalla professoressa il massimo e se avete questioni bioetiche da porle, ponetele, perché penso ci sarà davvero una soddisfazione reciproca. Sarà con voi fino a fine Novembre. Buon lavoro”.

Allora intanto io devo dire che sono qui veramente per passione e mi auguro che voi sentiate quelle poche cose che ho da dirvi, non per i voti, esami, ma perché possano davvero interessarvi. Facendo un po' di psicanalisi selvaggia su me stessa, probabilmente mi sono dedicata alla bioetica (dal ’90) perchè dietro c’era una antica vocazione alla medicina, ma insomma…questa è storia personale. Ma per dirvi che mi piace molto cercare di dire qualcosa del mio percorso di ricerca a chi fa il lavoro che voi fate. Un lavoro, il vostro, che apprezzo moltissimo perché è un lavoro di grande spessore, non solo scientifico, ma anche umano.

Detto questo, la prima lezione sarà una lezione un po' di inquadramento della bioetica, le altre invece saranno rivolte a delle questioni specifiche di bioetica e durante le varie lezioni prenderemo soprattutto in esame dei casi. Naturalmente non dei casi clinici, come siete abituati voi, ma dei casi bioetici.

E allora da dove nasce intanto la parola BIOETICA?

La parola nasce in America, non esisteva prima, anche se alcune ricostruzioni recenti in letteratura trovano qualche parola simile e qualche ascendenza simile, ma diciamo che la tesi prevalente è che il conio di questa parola “BIOETHICS”, spetta a questo signore qui, che era un oncologo statunitense. Quindi vedete, la bioetica nasce da qualcuno che studiava ciò che voi studiate: Van Rensselaer Potter.

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Questo oncologo si dedicava allo studio dell’origine del cancro, faceva degli studi a livello di laboratorio e durante i suoi studi vedeva sempre di più le connessioni tra la malattia, di cui si occupava, e l’ambiente, i danni all’ambiente.

E proprio per questo, nonostante fosse già molto avanti nella carriera e avesse già grandi soddisfazioni dalla sua carriera (quindi non si dedica alla bioetica, per cercare gloria, semmai per lasciare gloria, per lasciare un percorso che era già molto accreditato scientificamente), decide di dedicarsi ad altro.

Cosa era questo altro, che lui definisce come “una uscita dal suo laboratorio”? Bè, questo altro era una nuova disciplina, una DISCIPLINA MISTA, che già a partire dal 1970, in questa prestigiosa rivista “Perspectives in Biology and Medicine”, viene indicata come “Bioethics: The Science of Survival”. La bioetica come scienza della sopravvivenza.

Ma cosa intendeva Potter per questa scienza? Quale era la sua idea originaria, quello che lui chiama un momento di “eureka”, “finding”, “ho scoperto, ho trovato”? Il momento che tutti noi che ci dedichiamo alla ricerca, vorrebbe trovare sulla nostra strada. Qualche cosa di nuovo, e qualche cosa di nuovo, non perché sia banale, perché sia folle, ma qualche cosa di nuovo che tenga.

Questo qualcosa significava per Potter cercare di lavorare in un territorio che era INTERDISCIPLINARE.

Lui parla della bioetica, proprio come PONTE, ponte tra due brache, tra due discipline.

Nel testo che io vi ho indicato nel programma che è “BIOETICA. NOZIONI FONDAMENTALI” di Francesco D’Agostino e Laura Palazzani, la bioetica viene definita come ETICA DELLA VITA, cioè l’interpretazione del termine è BIOS = vita ed ETHOS = etica.

Il testo è molto buono, l’ho scelto da anni e continuo a sceglierlo, però questa definizione secondo me è una definizione troppo generica.

Nell’idea di Potter, e nell’idea che secondo me poi è più valida, BIOS non significa vita, ma significa BIOLOGIA, significa lo studio del vivente, non la vita. E quindi il ponte è tra le discipline che studiate voi e le discipline che studio io. Questo giustifica in parte la mia presenza qui.

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Un territorio interdisciplinare, più che una nuova disciplina, e una scienza, ma una scienza di tipo particolare, che sta a cavallo tra scienze umanistiche come l’etica, che si fa a Filosofia, e scienze biologiche come quelle da cui voi siete partiti e cresciuti. Quindi dallo studio del cancro deriva questa idea dei danni che l’uomo genera alla Terra e che si riversano sulla salute dell’uomo.

La bioetica cosa dovrebbe fare allora? Bè, dovrebbe cercare di dedicarsi a un compito ben preciso, che con un’immagine possiamo dire non solo essere ponte tra scienze umanistiche e scienze biologiche, ma essere un ponte gettato per il futuro.

Noi siamo una terra in cui si aspetta da anni un ponte, il ponte sullo Stretto…bè, Potter pensava a un ponte di tipo diverso, forse avveniristico come il ponte sullo Stretto. Perchè? Perché mette insieme discipline completamente diverse, completamente diverse come metodo, come tipologia di sapere… il prof Asmundo ha detto prima che io difficilmente resto soddisfatta degli esami, il problema è che probabilmente dipende dal fatto che ciò che io cerco è diverso da ciò che voi cercate, il metodo è diverso, l’approccio è diverso, come tipologia di sapere.

Quando voi avete scelto medicina, avete fatto in qualche modo una riflessione su ciò che vi piaceva a scuola, su ciò che erano le vostre vocazioni, e avete in qualche modo messo da parte quelle che erano le discipline umanistiche … lo aveva fatto anche Potter! Ma alle discipline umanistiche Potter ritorna, cercando in qualche modo di ritrovare un aiuto per quelle che erano le sue discipline biologiche.

E allora lo sforzo che io vi chiedo di fare è di pensare a questa bioetica, non come qualcosa di estraneo al vostro sapere, ma come un sapere che nasce in qualche modo da una esigenza di persone che, come voi, si erano dedicate a materie scientifiche e che all’interno di queste riflessioni che venivano dalle materie scientifiche, avvertono l’esigenza di dialogare, di colloquiare con gli umanisti.

Quindi qual era l’intento? L’intento derivava dal fatto che Potter pensava che il mondo, il futuro del mondo, il futuro della specie umana fosse in pericolo. Era catastrofista Potter? Bè, quello che noi sentiamo su tutto ciò che ci dicono sullo stato della Terra, sullo stato dell’Ambiente, le variazioni climatiche a cui assistiamo, le variazioni del mondo della fauna, ma le variazioni anche nel nostro organismo e i danni al nostro organismo, dimostrano che proprio catastrofista non era.

Ma che cosa potevano fare gli umanisti in proposito? E perché parlare agli umanisti e con gli umanisti? L’idea di Potter ora la vedremo meglio, però sicuramente nella idea di Potter c’erano dei precedenti, era quella discussione sui danni ambientali che porta il nome di ecologia e che si andava diffondendo in quegli anni (siamo verso la fine

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degli anni ’60, l’inizio degli anni ’70), in America, attraverso dei nomi ben precisi. Uno era Aldo Leopold.

(da WIKIPEDIA: Aldo Leopold (Burlington, 11 gennaio 1887 – Wisconsin, 21 aprile 1948) è stato un ecologo statunitense, cacciatore, ispiratore della moderna biologia di conservazione. Considerato tra i più grandi ecologisti mondialmente riconosciuti, fu fondatore della prima Area Wilderness mondiale, e fu per tutta la sua vita un convinto ed appassionato cacciatore.

La caccia è stata una delle principali attività formative per Aldo Leopold: il suo pensiero in merito alla fauna ed all'etica comportamentale di chi pratica la vita all'aria aperta iniziò a formarsi durante la sua giovinezza, quando si accompagnava a suo padre nella caccia di anatre lungo il Fiume Illinois. Dall'inizio della sua carriera di cacciatore fino all'età adulta, Leopold unì sempre l'attività della caccia con il lavoro sul campo del suo sentirsi anche naturalista. La sua filosofia può essere condensata in una citazione: "Conservation is a state of harmony between men and land" (in italiano: La conservazione è uno stato di armonia fra gli uomini e la terra).

La sua idea di etica della terra, spiegata nell'opera Almanacco di un mondo semplice, pone una visione diversa dell'etica umana dove la terra non è più un semplice elemento da sfruttare ma un vero e proprio organismo da tutelare e proteggere.

"Il cittadino medio ritiene oggi che la scienza sappia che cosa fa funzionare il meccanismo della comunità; lo scienziato è altrettanto certo di non saperlo.”)

Leopold era un professionista di quello che riguardava l’ambiente e soprattutto l’importanza per l’ambiente degli alberi, delle foreste e i danni della deforestazione. Aldo Leopold scrive “Land Ethics”, cioè etica della Terra, pensando a un nuovo modello di rapporto con l’ambiente. Ma c’era anche un altro testo che influenzava molto in quel tempo la discussione e che influenzò molto Potter, ed era il testo di una giornalista, al tempo stesso biologa, Rachel Carson.

(da WIKIPEDIA: Rachel Louise Carson (Springdale, 27 maggio 1907 – Silver Spring, 14 aprile 1964) è stata una biologa e zoologa statunitense. È autrice di molti libri tra cui Primavera silenziosa (Silent Spring) che ebbe un enorme successo negli Stati Uniti d'America e lanciò il movimento ambientalista. Primavera silenziosa ebbe un grande effetto

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negli Stati Uniti incitando un cambiamento nella politica nazionale sui fitofarmaci. « Più riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sulle meraviglie e le realtà dell'universo attorno a noi, meno dovremmo trovare gusto nel distruggerlo. » Primavera Silenziosa si focalizza sull'ambiente e sui fitofarmaci in particolare. È conosciuto come la crociata della Carson e lei lavorò su questo libro fino alla morte. La Carson esplorò le connessioni ambientali: nonostante un biocida sia finalizzato all'eliminazione di un organismo, i suoi effetti si risentono attraverso la catena alimentare, e ciò che era inteso per avvelenare un insetto finisce per avvelenare altri animali e uomini.)

Rachel Carson nel suo testo “Silent Spring”, cerca di vedere quali sono i danni recati all’ambiente dai pesticidi. L’uso smoderato dei pesticidi provoca in effetti il venir meno dei canti degli uccelli. Diminuendo gli insetti, diminuiscono anche gli uccelli. E la rete del vivente, la rete in cui noi siamo, SUBISCE DANNI.

Può l’etica fare qualche cosa in questo senso? Bè, Potter credeva in questo, anche se ci credeva a modo suo.

Con Potter ho avuto la fortuna di dialogare via email. Era l’inizio del 2000 e non che ancora fossi molto esperta, lui era molto più esperto di me come americano. Ebbene, lui pensava a questo ponte tra scienza ed etica, ma lo pensava come un ponte un po' sbilenco, un po’ squilibrato: c’era tantissima scienza e pochissima etica; tantissima biologia, tantissimo studio dell’ambiente … e filosofia? Bè, filosofia un po' poca.

Devo dire che quando ha autorizzato la traduzione del suo primo testo “Bioethics: Bridge to the Future”, è stato tradotto qui a Messina, per una casa editrice messinese, io scrissi in questa prefazione qualcosa riguardo a questo ponte, che recuperava un po' di filosofia. Era la filosofia heideggeriana. Heidegger, in un suo testo, parla del ponte tra scienza ed etica come un ponte impossibile, anzi come un ponte d’asino.

(nds. Heidegger è considerato il maggior esponente dell'esistenzialismo ontologico e fenomenologico. Secondo lui solo attraverso la morte l'uomo si costituisce come coscienza trascendentale, che "aprendo al mondo" lo fa venire all’essere. Da qui l’elaborazione del suo concetto famoso di essere-per-la-morte).

Il risultato finale fu che Potter si offese da morire con me e stava per ritirare la sua autorizzazione alla traduzione, perché nella email mi scrisse: “ma cosa pensi? che io sia un asino?”. Certo io non pensavo questo, ma la mi voleva essere una provocazione, perché che cosa volevo da parte sua? Bè, che che in questo ponte, per aggiustare il tiro, ci mettesse un po' più di filosofia e soprattutto mettesse un po' più di filosofia per

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quello che riguardava quelle che possono essere le modalità di rapporto all’ambiente, perché Potter parla di una saggezza biologica, biological wisdom.

“Ma come è possibile la saggezza biologica?”, io gli chiedevo, e lui rispondeva, “bè, noi cerchiamo di vedere quali sono i parametri (voi medici parlate molto spesso di parametri), vediamo quali sono i parametri della sopravvivenza della specie, cosa la Terra può sopportare della nostra presenza sulla Terra, cosa la Terra può sopportare dei nostri consumi”, e quindi tutta una serie di parametri, tutta una serie di statistiche, che venivano fuori da indagini sicuramente serie e attendibili … “e poi l’etica cosa deve fare?”, “Bè, l’etica deve adeguarsi”.

La saggezza si riduceva in una moderazione dei consumi e in una moderazione anche dello stesso ritmo della riproduzione sulla base di quei parametri.

Secondo me era un po' troppo poco e un po' troppo semplice.

L’etica ricerca la saggezza da sempre, e da sempre vede quanto sia difficile la ricerca della misura. Ma questa misura è difficile trovarla nei parametri. Dobbiamo prima di tutto ritrovarla in una modifica del nostro atteggiamento verso il reale, del nostro atteggiamento verso il mondo.

In tutta questa discussione che cosa accadeva intanto. Bè, intanto accadeva che la bioetica di Potter, presente sia in quel testo, sia in un altro “Global Bioethics”, quindi una bioetica globale, una bioetica per tutti, ma una bioetica soprattutto che teneva insieme il rapporto dell’uomo con la sua salute, col rapporto dell’uomo col mondo, rimaneva una bioetica di nicchia.

Il modello di bioetica di Potter è il primo modello di bioetica, ma non è che abbia avuto questo grande successo. Ancora oggi quando si parla di bioetica non si pensa proprio all’etica ambientale e al ponte verso il futuro di Potter, si pensa ad altro.

Si pensa ai problemi di bioetica clinica, si pensa alla bioetica che più interessa a voi, si pensa all’eutanasia, si pensa alla fecondazione in vitro, si pensa alla sedazione terminale, si pensa a quelle situazioni che voi incontrerete nel momento in cui eserciterete la vostra professione, ma che probabilmente avete già incontrato nel momento in cui siete entrati all’interno dei reparti.

Quel modello stava iniziando in contemporanea negli anni ’70, attraverso un altro signore che si chiamava Andre Hellegers e attraverso un altro ancora che si chiamava Daniel Callahan. E stava iniziando sempre in America, in questi due istituti: la Georgetown University, che aveva dentro di sé questo Kennedy Institute, e a NY dove c’era l’Hastings Center, tutt’ora attivo.

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In questi istituti lavoravano insieme, medici, senz’altro, (Hellegers era un medico), ma anche filosofi, come Callahan. Quindi medici e filosofi stavano insieme e accanto a loro c’era anche questa figura, che è presente anche nella bioetica del nostro Paese, la figura dei teologi, che non è proprio la figura del filosofo, è altra cosa, ma sicuramente appartiene anche a quella branca di scienze umanistiche con cui bisognava, secondo Potter, gettare ponti.

Questo modello di bioetica clinica prende il sopravvento per due motivi secondo me.

Il primo è il modello di bioetica di Potter è molto scomodo, molto scomodo perché alla fine della fiera, il modello di Potter sia che lo si interpreti con i suoi parametri, sia che lo si interpreti accrescendo la dose di filosofia, come volevo fare io, una cosa impone: la MODERAZIONE, la moderazione nei consumi.

Come si faceva in America, negli anni 70, a parlare di moderazione dei consumi? Come si faceva nel Paese dell’industria a parlare di ridurre non solo la produzione e i consumi, ma anche quelli che erano i gas inquinanti? Molto difficile e soprattutto molto scomodo.

Ma c’era anche un altro motivo, la bioetica clinica era molto più accattivante, attirava molto di più l’attenzione e c’erano molte questioni sul tappeto. Molte questioni che la bioetica si portava dal passato.

Vedete, in letteratura, la bioetica, dagli anni ’70 ad ora (diciamo che non è più giovanissima, ha già i suoi anni), nella letteratura bioetica si parla anche di una PREISTORIA della bioetica, cioè di una problematica bioetica che non porta ancora il nome, perché il nome non c’era, ma che di fatto dice e pone le stesse questioni, cioè questioni che stanno a cavallo tra la scienza e l’etica.

Da dove viene questa preistoria? Quando nasce questa preistoria? La si fa risalire soprattutto agli anni della seconda guerra mondiale.

Voi sapete benissimo cosa è avvenuto nella secondo guerra mondiale. Non soltanto la tragedia che ogni guerra porta con sè, ma anche una tragedia che passava molto da quella che era la scienza. Pensate alla bomba atomica, che sfruttando una grandissima scoperta, quella dell’energia nucleare, la rivolgeva… a che cosa? Alla distruzione.

Io sono stata, finalmente, dopo averlo desiderato tanto, in Giappone, e lì ci sono ancora le tracce atroci della distruzione della bomba atomica.

Questo evento segna la coscienza di molti scienziati, perché la domanda è: “noi abbiamo fatto questa scoperta e pensavamo di portare avanti l’umanità, ma con questa scoperta si può portare l’umanità, non avanti, ma alla distruzione e alla morte, e si

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possono distruggere popoli e le persone che non vengono distrutte, resteranno marchiate per sempre. Che cosa abbiamo fatto?”

La domanda vedete è assolutamente una domanda tra scienza ed etica, tra una scoperta scientifica validissima e l’applicazione etica che dice “ma lo abbiamo fatto per questo?”, “No, lo abbiamo fatto per altro e possiamo farlo per altro?”.

Ancora, c’era un’altra cosa tremenda della seconda guerra mondiale, ed erano i campi di concentramento, ma nei campi di concentramento c’era l’orrore nell’orrore, che era segnato dalle sperimentazioni.

Le sperimentazioni venivano fatte dai medici nazisti, non senza un razionale scientifico, stiamo attenti, a volte il razionale scientifico c’era, ma erano sperimentazioni senza scrupoli, senza nessuna attenzione e cura per i soggetti in sperimentazione.

Non erano sperimentazioni per loro, per aiutarli, non erano terapeutiche, erano sperimentazioni per altri, erano sperimentazioni per altro e il fatto che soffrissero o meno, non aveva nessuna importanza, il fatto che morissero o meno non aveva nessuna importanza.

Vi dico che anni fa ho avuto una tesi di una ragazza di madrelingua tedesca, che aveva tantissimo materiale su questo, e forse per la prima e ultima volta nella mia vita, le ho chiesto ad un certo punto di non portarmi più nulla, non volevo più nulla, volevo chiudere quella tesi, sapete perché? Perché non ce la facevo a leggere, non ce la facevo, era troppo orribile, ed era orribile pensare che dei medici avessero potuto fare tanto male a degli esseri umani. Però lo avevano fatto, lo avevano fatto.

E allora vedete il nazismo si è servito della scienza, si è servito per distruggere, ma si è servito anche della scienza con una logica scientifica, per sperimentare senza nessuno scrupolo.

Da là l’Occidente non poteva uscire con la coscienza pulita, doveva lavarsela questa coscienza. Il processo di Norimberga è il tentativo dell’Occidente di lavarsi la coscienza, dopo gli orrori che avvenivano in una Germania che pure aveva una legge sulla sperimentazione e ne aveva fatto carta straccia di quei diritti delle persone che erano diventate semplicemente cavie.

Dal processo di Norimberga, deriva anche il codice di Norimberga.

(da WIKIPEDIA: Il Codice di Norimberga nasce dalle carte del processo che si è svolto al termine della seconda guerra mondiale nell'omologa città tedesca, contro i medici nazisti che avevano perpetrato torture e sperimentazioni contro innocenti nei campi di sterminio come Auschwitz e

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Birkenau. Su di esso si basa il Comitato Etico, ovvero quell'organismo indipendente che si occupa di tutelare i diritti, la sicurezza e il benessere dei soggetti che partecipano ad una sperimentazione.

Il Codice traccia una linea di divisione tra sperimentazione lecita e tortura, e su sperimentazioni non regolate, prive di fondamenti etici. Consiste di 10 punti:

1 Il soggetto volontariamente dà il proprio consenso a essere sottoposto a un esperimento. Prima di dare il consenso, la persona deve conoscere: natura, durata e scopo della sperimentazione clinica, il metodo e i mezzi con cui sarà condotta, eventuali effetti sulla salute e sul benessere della persona, eventuali pericoli cui sarà sottoposta. (Questo è alla base del concetto di "consenso informato", ovvero di un consenso fornito in piena consapevolezza delle implicazioni di quello a cui ci si sta per sottoporre).

2 L'esperimento dovrà essere tale da fornire risultati utili al bene della società; la natura dell'esperimento non dovrà essere né casuale, né senza scopo. 3 Ci dovrà essere una pianificazione dell'esperimento sulla base degli esperimenti in fase preclinica in vivo, e sulla base della conoscenza approfondita della malattia

4 L'esperimento dovrà essere condotto in modo tale da evitare ogni sofferenza o lesione fisica o mentale che non sia necessaria. 5 Non si deve eseguire la sperimentazione se a priori si è a conoscenza che tale sperimentazione possa causare danni o morte. 6 Il grado di rischio da correre non dovrà oltrepassare quello dei vantaggi, determinati dalla rilevanza umanitaria del problema che l'esperimento dovrebbe risolvere.

7 Si dovrà fare una preparazione tale da evitare che il soggetto abbia lesioni, danni o morte. 8 L'esperimento potrà essere condotto solo da persone scientificamente adeguate e qualificate, con il più alto grado di attenzione verso la sperimentazione e l'essere umano. 9 Nel corso dell'esperimento il soggetto umano dovrà avere la libera facoltà di porre fine ad esso se ha raggiunto uno stato fisico o mentale per cui gli sembra impossibile continuarlo. 10 Durante l'esperimento lo scienziato responsabile deve essere pronto a interromperlo in qualunque momento se indotto a credere che la continuazione dell'esperimento comporterebbe probabilmente lesioni, invalidità o morte per il soggetto umano).

Il codice di Norimberga lo possiamo considerare come il primo documento PRE-BIOETICO, di questa preistoria della bioetica. Perché? Che cosa segna? Segna quella che deve essere l’attenzione etica alla sperimentazione su soggetti umani, affermando un primo fondamentale principio: il soggetto deve dare sempre il consenso. Non deve essere una cavia, un oggetto, uno strumento, ma deve volerlo lui, deve sapere e volere entrare nella sperimentazione.

Certo, ora ci sembra scontato, ma sicuramente non era scontato visto che tutto quello che abbiamo saputo era realmente accaduto.

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C’è un’altra cosa in quegli anni, in quegli anni c’è l’impegno della Chiesa e della Chiesa Cattolica in particolare, (ma anche le Chiese protestanti sono molto vive e molto attente su queste tematiche) su quelli che sono i problemi a cavallo tra scienza ed etica.

Quali sono questi problemi?

- Il primo è la pillola contraccettiva.

Sicuramente voi ne sapete molto più di me, ma quello su cui vorrei richiamare l’attenzione è la svolta che la pillola contraccettiva segna nella vita e nei costumi non solo delle donne, ma di uomini e donne.

Questa pillola separava in modo molto ma molto attendibile (certo non ci può mai essere il 100%, ma diciamo 99 e passa) la sessualità dalla procreazione.

Ma lo separava anche in che modo? A separarlo era la donna in autogestione. Guardate era una grande rivoluzione.

Un mio amico ginecologo una volta mi ha detto: “guarda, inutile che tu studi tutte queste femministe, questa etica delle donne… perchè? Perché la libertà alle donne l’abbiamo data noi, l’abbiamo data noi con la pillola contraccettiva!”.

Io non sarei così radicale, penso che la libertà ce la siamo anche conquistata noi donne, con i movimenti femministi a cui dobbiamo tutte moltissimo e sulle cui conquiste dobbiamo sempre, costantemente vigilare.

Però una parte di ragione il mio amico ginecologo ce l’aveva, perché prima le donne per non passare da una gravidanza all’altra e spesso da un aborto all’altro, dovevano affidarsi ai loro compagni, ai loro mariti.

Ora, dopo la pillola, potevano affidarsi alla LORO attenzione e ai loro medici. Le prime pillole erano sicuramente molto più pesanti e avevano molti effetti collaterali, però aprivano una strada completamente nuova.

- La seconda scoperta era la scoperta del DNA.

(nds. sebbene il DNA venne inizialmente isolato dal biochimico svizzero Friedrich Miescher, il quale, nel 1869, individuò una sostanza microscopica contenuta nel pus di bende chirurgiche usate e che chiamò nucleina, la scoperta del DNA la si fa notoriamente risalire al 1953, l'anno in cui, attraverso immagini da diffrazione a raggi X, James Watson e Francis Crick presentarono, sulla rivista Nature, quello che è oggi accertato come il primo modello accurato della struttura del DNA,ovvero il modello a doppia elica. A disegnarne il bozzetto fu Odile Speed, pittrice e moglie di Crick.)

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Scoperta che rappresentava quindi la possibilità di studiare la trasmissione della eredità genetica. Sapete che questa scoperta, importantissima, apre tutto un campo alla medicina completamente nuovo e rivoluzionario, ma lo apre anche all’etica, perché la domanda che nasce, che è la domanda tipica di tutti questi problemi, è “dal punto di vista della scienza noi lo possiamo fare, ma quando andiamo ad applicarle queste conoscenze, quando andiamo ad applicarle nella nostra vita… possiamo farlo?” Perché sicuramente scoprire come funziona la trasmissione dei geni, bè, è importantissimo, ma quando noi interveniamo sulla trasmissione del patrimonio genetico, modificandolo, (pensate alle ultime tecniche e alla possibilità di sperimentare anche sugli embrioni e sulle cellule germinali), bè, lo possiamo fare? E diventa una forte, importante domanda.

- Il terzo punto è quello dei trapianti.

Negli anni ’60 si diffondevano i trapianti di rene e nel ’68 Barnard, in Sudafrica, attuava il primo trapianto di cuore.

(da WIKIPEDIA: Christiaan Neethling Barnard (Beaufort West, 8 novembre 1922 – Pafo, 2 settembre 2001) è stato un chirurgo sudafricano, assurto a fama mondiale per aver praticato il primo trapianto cardiaco della storia della medicina. Il 2 dicembre del 1967, a Città del Capo, in un incidente d'auto perde la vita la signora Myrtle Ann Darvall, mentre la figlia Denise, una ragazza di 25 anni, ha le ore contate, a causa delle ferite riportate. In cura all'Ospedale Groote Schuur c'era in quel periodo un droghiere ebreo di 54 anni, Louis Washkansky, che soffriva di diabete e di un inguaribile male cardiaco. Barnard parla con il padre di Denise, che dà il suo consenso per il trapianto. Il primo trapianto di cuore umano al mondo viene effettuato il 3 dicembre 1967: l'operazione è condotta da Christiaan Barnard, assistito dal fratello Marius e un team di una trentina di persone (nel quale era presente anche Hamilton Naki). Dopo 9 ore in sala chirurgica il cuore della defunta Denise Darvall viene impiantato nel corpo di Washkansky e funziona regolarmente. La sensazionale notizia fa il giro del mondo in poche ore: Barnard diventa l'uomo del momento. Passato l'entusiasmo, il problema del trapianto diventa l'eventuale rigetto. Dopo una settimana in cui le condizioni di Washkansky sembrano buone, il 9 dicembre i globuli bianchi nel sangue diminuiscono, il 15 la diagnosi: polmonite doppia, indotta dai farmaci immunosoppressivi che stava assumendo il paziente. Tra il 16 e il 20 dicembre le condizioni di Washkansky si fanno gravissime, la polmonite non è guaribile. La notte del 21 dicembre 1967 Washkansky muore, diciotto giorni dopo il trapianto.

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Nonostante il primo paziente con il cuore di un altro essere umano sia sopravvissuto poco più di due settimane, l'operazione di Barnard costituisce una pietra miliare per la chirurgia.

Barnard in pochissimo tempo diventa una stella internazionale, ed è celebrato in tutto il mondo: il suo viaggio in America con la moglie diventa un vero e proprio trionfo mediatico, tra partecipazioni a show televisivi, incontri nelle università e con politici e scienziati. Il secondo trapianto di cuore di Barnard avviene il 2 gennaio 1968: il cuore di Clive Haupt viene impiantato nel corpo del dentista Philip Blaiberg, che sopravviverà 19 mesi. Per questa operazione, aver trapiantato il cuore di un nero in un bianco, Barnard riceve il premio di "Uomo dell'anno" da parte dell'Unione degli Stati africani.)

Era completamente rivoluzionario anche questo, e a quei tempi anche assolutamente sperimentale. Il primo pz che subisce un trapianto di cuore, vive 18 gg.

In qualche modo lieve sacrificato anche lui, se vogliamo, perché la tecnica è molto sperimentale e ancora la terapia antirigetto non funziona bene, però è una svolta.

Ma anche questa volta c’è la domanda: “possiamo farlo? E a che prezzo e come?”

- Contemporaneamente, collateralmente si diffondeva la medicina rianimatoria.

Quella medicina che è sempre più avanti, ma che ci costringeva ad una domanda: “il pz in rianimazione, il pz quindi ventilato, fino a quando lo dobbiamo tenere? Le sue funzioni cerebrali, dobbiamo controllare se sono attive, se non sono attive, come, perchè, e se per caso non si risveglierà mai più?”

Nasceva questa idea da studi francesi del coma depassè, di un coma irreversibile, da cui non ci fosse più ritorno indietro, e quei pz potevano diventare dei donatori di organi? Potevano dare quei cuori necessari a Barnard per continuare nella sua impresa e agli altri cardiochirurghi?

Vedete ad Harvard nel 1968 si cercava di giungere a una definizione dei criteri di morte cerebrale.

Non era poco, perché si passava dalla morte come evento, che tutti noi, medici e non medici, possiamo constatare (… è lì, è morto, si vede, lo vede anche un bambino che è morto, perché non si muove, è freddo, sì si chiama il medico necroscopo, però vede che è morto), all’accertamento della morte cerebrale. Che cosa vuole dire accertamento della morte cerebrale?

Vedete io ho perso, qualcosa come 37 anni fa, in questo policlinico, mio padre e mio padre è morto in rianimazione.

Il medico che lo aveva seguito, un neurologo davvero bravissimo sotto tutti i punti di vista, professionale ed umano, uscì e mi disse “suo padre è in morte cerebrale”. Era il 1980 , ancora di bioetica in Italia non se ne parlava proprio, io studiavo Filosofia,

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studiavo altro. E ricordo che gli chiesi con grandissima rabbia: “ma lei mi deve dire se è vivo o se è morto!”

Perché vi racconto questa storia? Perché vi potrebbe capitare di essere quel medico che esce da un reparto di rianimazione e vi potrebbe capitare di vedere la rabbia di un familiare a cui dite “stiamo per iniziare l’accertamento di morte cerebrale”, ma per la persona che non ne sa niente, quello che voi dite, suona strano, invasivo, invadente, non si capisce.

“Cos’è questo accertamento della morte cerebrale? io devo poterlo vedere se è vivo o morto! E invece no, quell’accertamento è in mano di medici, ed è dietro un vetro, in un reparto dove io non posso entrare”. Vedete la rabbia è inevitabile.

L’accertamento di morte cerebrale è altra cosa dall’evento morte, che per quanto tragico noi tutti possiamo vedere. Poi c’è il lutto, c’è l’accettazione, c’è il pianto, però lo vediamo.

L’accertamento della morte cerebrale richiede fiducia nei medici, io mi sono dovuta fidare che mio padre era morto. Non è poco.

Quando ad Harvard si riunisce questa commissione di saggi, che è una commissione mista di medici, filosofi, teologi e giuristi, devono cercare di tracciare un cammino che sia certo, con dei criteri, con dei parametri certi, per cui la persona che esce da lì, da quella sala, possa veramente dire “no guardi, non c’è ritorno indietro”.

E se ci fosse il sospetto, se ci fosse il dubbio da parte dei pz e dei familiari? Vedete la domanda rimane in questo momento in sospeso, poi la riprenderemo e la riprenderete senza dubbio anche in medicina legale, se non l’avete già trattata… però vedete, la medicina legale è una cosa, è già a livello giuridico, a livello della legge, ma c’è un livello precedente, ed è un livello molto interessante per voi medici, perché il livello etico precede e a volte allontana tutto quello che può essere la medicina difensiva, la rabbia, il contenzioso, perché crea possibilità di comunicazione, di relazione tra voi e coloro che stanno dall’altra parte.

- Ancora la dialisi.

In quegli anni cominciavano le prime macchine per la dialisi, e come voi sapete si tratta di macchine salvavita, però le macchine erano poche e i pz tanti. Nascevano in quegli anni i primi comitati etici ospedalieri.

Cos’erano questi comitati etici? Ancora una volta era interessante la composizione, perché erano composti da medici, ma non solo da medici, ma anche da giuristi, da filosofi, da teologi, da rappresentanti dei pz.

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Questi comitati etici quindi già facevano vedere una bioetica applicata, quasi prima che la bioetica dal punto di vista teorico si assestasse.

E facevano anche una piccola rivoluzione, perché il problema della allocazione delle risorse in medicina c’è sempre stato, ma era sempre all’interno dell’ospedale, gestito dai medici, non c’erano ancora i manager, i direttori generali.

Gestiti quindi dai medici, certo in scienza e coscienza, ma sono dei medici e i medici, loro stessi, avevano avvertito il bisogno di dialogare con altre professionalità.

- Ultimo punto della slide, si andava a sviluppare la medicina intensiva, cioè quell’insieme di cure che potevano in qualche modo dare aiuto là, dove si pensava ci fosse ormai poco da aiutare… ma fino a che punto? “Fino a che punto insistere?”. Si profilava quel problema che è tuttora sempre vivo e che si chiama accanimento terapeutico.

Ma oltre questo elenco dei problemi scientifici dovute alle scoperte scientifiche, c’erano anche delle cause prossime nella bioetica statunitense, che ci aiutano a capire perché la bioetica nasce proprio lì.

Sicuramente in quegli anni in America, c’era stato un grandissimo scandalo sollevato dai giornali… e voi sapete che tra i giornali e la medicina, tra i giornali e la scienza, c’è un rapporto non sempre ottimale, un rapporto su cui si dovrebbe lavorare.

Intanto perché le notizie, non vengono sempre tastate bene, vengono a volte distorte, c’è il sensazionalissimo, ci sono tante cose e talvolta il difetto è tra coloro che trasmettono la notizia, ad es. scienziati che hanno un progetto di ricerca che va così così e che ha finanziamenti così così e che hanno bisogno di pompare un po’ i finanziamenti e quindi pompano la ricerca.

A volte invece il sensazionalismo dello scandalo, avete visto il caso di quella donna morta a Catania con una gravidanza gemellare. Si è detto subito “obiezione di coscienza”, poi si è detto “no, l’obiezione di coscienza non c’entrava niente”, ma intanto si è sollevato uno scandalo, perché se effettivamente il medico, obiettore di coscienza, non fosse intervenuto per l’obiezione di coscienza, nel momento in cui c’è una emergenza di vita, bè, anche io che sono contro l’aborto, avrei avuto grandissime perplessità etiche, perché là c’è il problema della vita, di salvare la vita.

Gli scandali fanno molto per l’etica e fanno molto nel rapporto tra l’etica e la medicina.

Qui c’è uno scandalo che tocca un nervo scoperto della sensibilità del popolo americano, che è un popolo in quel momento molto orgoglioso di avere tirato fuori

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l’Europa dalla tirannide nazista, dagli orrori del nazismo, proprio con l’intervento americano, hanno salvato la democrazia, hanno salvato l’Europa dal baratro del nazismo, quel baratro che comprendeva anche gli orrori della sperimentazione.

Ma i giornali scoprono che anche in America c’erano delle sperimentazioni senza scrupoli (nds, il riferimento è allo studio sulla sifilide di Tuskegee, vedi dopo), sperimentazioni su soggetti deboli, su bambini disabili, su anziani con patologie neurologiche degenerative, incapaci di intendere e di volere, su popolazioni di colore di basso livello economico e culturale.

Tutti soggetti deboli, tutti soggetti su cui si sperimentava non a favore loro, ma contro di loro, facendo delle sperimentazioni che, se pure avevano un razionale, sicuramente li danneggiavano e dove non c’era consenso delle persone interessate, non ce ne poteva essere, ma neanche dei loro tutori.

Naturalmente lo scandalo non può passare inosservato dal governo e il governo statunitense stabilisce che ci debba essere una commissione, indicata come la prima commissione che si occupa di quei principi bioetici di cui parlava il professore Asmundo, la commissione Belmont, ancora una volta una commissione mista e che porta avanti, alla fine degli anni ’70, questo Belmont report, questo documento che traccia i primi principi, per la sperimentazione su soggetti umani in ambito statunitense.

(da WIKIPEDIA: Il Rapporto Belmont è un rapporto creato dallo United States Department of Health and Human Services (in italiano "Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti"), e tratta i principi etici e le linee guida per la protezione dei soggetti nella ricerca.

Il suddetto documento è intitolato "Ethical Principles and Guidelines for the Protection of Human Subjects of Research" ed è un importante documento storico nel campo dell'etica medica. Il rapporto fu redatto il 18 aprile 1979 e deve il suo nome al Centro di conferenze Belmont, ove fu strutturato il documento. Nato in parte dalla problematica derivata dal drammatico studio sulla sifilide di Tuskegee (1932-1972) (vedi dopo), e basato sulla "National Commission for the Protection of Human Subjects of Biomedical and Behavioral Research" (Commissione Nazionale per la protezione dei Soggetti Umani nelle Ricerche Biomediche e Comportamentali) (1974-1978), il dipartimento della salute, istruzione e welfare (HEW) alla fine degli anni '70 ed all'inizio diegli anni '80, rivisitò ed espanse le sue regole per la protezione dei soggetti umani, articolo 45 del Code of Federal Regulations (CFR) parte 46. Nel 1978 fu pubblicato il report della Commissione chiamato:“Ethical Principles and Guidelines for the Protection of Human Subjects of Research”. Fu chiamato Belmont Report, per via del Belmont Conference Center, ove la commissione nazionale si incontrò quando disegnò per la prima volta il report. I tre fondamentali principi etici per l'uso dei soggetti umani in una ricerca sono:

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1 principio di autonomia: o del rispetto per le persone. Proteggere l'autonomia di tutte le persone e trattarle con rispetto e permettere il consenso informato. Esso comprende almeno due principi subalterni, ovvero: riconoscere l'autonomia e quello di proteggere coloro con diminuzione della stessa autonomia (ad esempio per malattie, disabilità mentale). Viene pure riconosciuto che alcune persone hanno bisogno di una grande protezione, altre di una protezione molto più moderata.

2 principio di beneficialità e principio di non maleficità: massimizzare i benefici per il progetto di ricerca, mentre si minimizzano i rischi ai soggetti. 3 principio di giustizia: assicurare che le procedure ragionevoli, non di sfruttamento ed equilibrate siano gestite equamente (l'equa distribuzione degli oneri e dei benefici). Questi principi rimangono la base per le regole del Human and health Service Departmennt, riguardanti la protezione dei soggetti umani. Attualmente il Belmont Report continua come un referente essenziale per comitato di revisione istituzionale (IRBs) che riesamina le proposte di ricerca sostenute dal HHS o che coinvolgono soggetti umani, al fine di garantire che la ricerca risponda alle fondamenti etici del regolamento.

LO SCANDALO: lo studio sulla sifilide di Tuskegee

Lo studio sulla sifilide di Tuskegee fu un esperimento clinico attuato e seguito dallo United States Public Health Service nella città di Tuskegee, in Alabama, negli USA. Svoltosi tra il 1932 e il 1972, ebbe ad oggetto lo studio dell'evoluzione della sifilide non curata nella popolazione maschile di colore della cittadina statunitense, venne effettuato con lo scopo di verificare gli effetti della progressione naturale della malattia su un corpo infetto non curato. Per gli esperimenti vennero reclutati 399 inconsapevoli mezzadri afroamericani malati di sifilide e 201 a cui fu inoculata, i quali furono seguiti dalle autorità coinvolte per capire l'evoluzione della malattia e i suoi reali effetti anche nella speranza di giustificare i programmi di trattamento sulla popolazione nera. Sebbene nel 1940 fosse stata provata l'efficacia della penicillina come cura della malattia, i medici proseguirono nel programma di studio, seppur consapevoli che avrebbe portato a un disastro sia sul piano sanitario che su quello sociale. Nel 1947, la penicillina era ormai ampiamente utilizzata come cura universale per la sifilide, ma dal momento che l'accettazione di essa come cura avrebbe causato la chiusura dello studio di Tuskegee, gli studiosi continuarono per la propria strada impedendo anche agli altri neri della città di sottoporsi al trattamento di penicillina. Seguito da numerose autorità di vigilanza, lo studio di Tuskegee continuò le proprie attività fino al 1972, data della cessazione ufficiale degli esperimenti a causa di una fuga di notizie che portò il progetto fino allora nascosto alla ribalta nazionale. L'eredità del programma di ricerca fu la morte, seguita all'aggravarsi della sifilide, di numerosi uomini e la trasmissione della malattia attraverso i rapporti sessuali alle proprie donne, che una volta incinte, trasmisero una sifilide congenita ai propri nascituri. Citato in seguito come "senza dubbio lo studio più infame nella ricerca biomedica nella storia degli Stati Uniti", le vicende che ne seguirono portarono nel 1979 alla creazione del rapporto Belmont e l'istituzione dell'Office for Human Research Protections (OHRP). Inoltre portò all'adozione di una regolamentazione federale richiedente una commissione di revisione istituzionale per la tutela dei soggetti partecipi a sperimentazioni sul corpo umano. A gestire questa responsabilità sarà quindi incaricato in seguito l'OHRP, messo a sua volta come sezione interna del dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti.

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Nel 1997 l'allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton chiese ufficialmente scusa per l'accaduto a tutta la nazione.)

Ma non c’era solo questo come causa prossima, c’erano anche i problemi che abbiamo visto, posti dalla dialisi e quindi i criteri di accesso alla dialisi. Quali potevano essere? 20 pz per 10 macchine, come scegliere?

Apriamo un dibattito su questo punto. Come scegliereste voi?

“L’età”

“i casi più gravi”

E se il caso più grave è tra un giovane, e ci troviamo tra un giovane gravissimo e anziani over 65, però in buona salute, chi precede?

“il giovane”

“chi ha più probabilità di sopravvivere grazie alla dialisi”

Ma c’è un altro indice però, perché si tratta di decidere nell’emergenza. Abbiamo detto che il criterio dell’età non vi convince poi così tanto, o si? Ragazzi non è che dovete farne una questione di categoria però, eh: a morte tutti i sessantenni!

“chi ne trae più giovamento”

Chi ne trae più giovamento, sicuro, però c’è un altro indice. Chi ne trae più giovamento e come diceva il suo collega anche in base a quel trattamento particolare, perché ci può essere un giovane per cui ci dispiace moltissimo perché ha una proiezione di vita, teoricamente, perché è giovane, molto più lunga di un anziano, ma la sua proiezione di vita di fatto se l’è giocata per la malattia.

“la qualità di vita”

Quello è un altro indice ancora.

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“l’integrazione sociale e la sua utilità”

NOOOO. Vedete questo dell’integrazione sociale era un parametro occulto, che si scopre nei primi comitati, nei primi comitati si scopre che guarda caso prima andavano i bianchi e poi i neri, tanto per intenderci, prima i ricchi e poi i poveri, prima quelli di classe borghese e poi i proletari.

E no, non funziona così.

E non funziona così nemmeno secondo il criterio della utilità sociale.

Se per ipotesi ci fosse un professore universitario e un idraulico (e io considero più utile l’idraulico, visto che a casa mia ho sempre problemi)…

“E se fosse un padre di famiglia contro un anziano solo?”

L’utilità sociale del padre di famiglia contro l’anziano solo è difficile da gestire. Perché questo criterio dell’utilità della persona per altri finisce per essere discriminante. Una persona sola finirà per essere sempre ai margini della lista d’attesa.

Il criterio che non vi è venuto in mente, voi in qualche modo lo praticate sempre, forse per questo non ci avete pensato. E’ troppo evidente per vederlo e quindi non ci pensate. E’ il criterio della necessità e dell’urgenza.

Cioè non solo deve precedere chi ha più possibilità di farcela, ma chi ha più urgenza, perché ci può essere qualcuno che può ancora aspettare.

Tutto ciò che ricade invece nella utilità per altri rischia di essere discriminante, anche quello lì che è in qualche modo più “etico” (il padre di famiglia), perché richiama a una responsabilità e richiama a un danno di soggetti minori. Ma non può essere valido.

E allora vedete, questo era tra le cause prossime, ma lo era anche l’accertamento della morte cerebrale tra le cause prossime, (e non era un caso che questo comitato fosse ad Harvard), ma anche i dibattiti sull’aborto, i movimenti delle donne per il diritto all’aborto e ancora le pressioni dei pz che cominciavano a rivendicare i loro diritti.

La bioetica nasce anche con questa impronta movimentista, non è solo qualcosa che nasce nella mente di alcuni scienziati particolarmente illuminati, no, nasce anche dai movimenti e quindi diciamo che c’è una genesi democratica della bioetica, nasce dalla

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gente, dalle donne che vogliono gestire il loro corpo e lo vogliono gestire in modo diverso da come finora lo hanno gestito, cioè male sulla loro pelle. Quindi quelle donne sono in qualche modo una spinta per cominciare a pensare al rapporto tra scienza ed etica. I pz che cominciano a dire “noi vogliamo sapere, sapere cosa ci fate, e scegliere noi se ci va bene o meno” , sono una forte spinta e una spinta che viene dal basso.

Questa è una slide che in qualche modo riassume un po' quello che ci siamo detti. Da una parte c’è un imperativo, che è l’imperativo della tecnica.

In che rapporto sta la scienza con la tecnica? E’molto complesso.

Voi sapete che la medicina che voi praticate è sempre più piena di tecnologia, tuttavia il vostro uso della tecnologia parte da una conoscenza scientifica e non può fare a meno della conoscenza scientifica. Però a volte questo uso della tecnologia, diventa una tecnologia che usa la scienza, cioè una tecnologia così potente, così sempre avanti, finisce con non essere più semplicemente uno strumento, ma in qualche modo va avanti anche rispetto alla conoscenza, guida i processi della conoscenza.

In ogni caso, la tecnica ha un imperativo “che si può fare e quindi lo dobbiamo fare”. Guardate, non è che la scienza ne abbia poi un altro, lo scienziato che pensa che la sua ipotesi di ricerca valga, che ci sia un ragionamento dietro che tiene, vuole provare, la vuole verificare quella strada, quella ipotesi di ricerca, siete d’accordo con me?

La scienza procede così e scienza e tecnica procedono così, si va avanti e se qualcuno li ferma, si arrabbiano.

Io ho la fortuna di essere da qualche anno nel Comitato Nazionale per la Bioetica e la c’è uno scienziato, che forse voi conoscete, perché è anche molto noto, Silvio Garattini. E’ un farmacologo, che ora c’ha la sua bella età. Dirige un istituto di ricerca farmacologica a Milano, che nell’ultima riunione si è arrabbiato moltissimo con me e mi è dispiaciuto anche perché abbiamo buoni rapporti di solito.

Ma perché si è arrabbiato tanto con me? Perché lui crede nella ricerca e crede che la ricerca in quanto conoscenza, debba andare sempre e comunque avanti. Il contenzioso era naturalmente la ricerca sugli embrioni.

Per lui gli embrioni sono un ammasso di cellule e il fatto che non facciano sperimentare su di essi è un arrestarsi, assolutamente dovuto a superstizioni, così lui le definisce, della scienza e del processo della conoscenza.

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Allora gli ho fatto notare che la bioetica è così, tutto quello che noi facciamo di bioetica non tiene più allora, e tanto vale che cambiamo il nome, non ci chiamiamo più comitato di bioetica, ci chiamiamo comitato per la Ricerca, punto.

Perché la bioetica, l’imperativo bioetico, vuole distinguere e porsi la domanda, cioè, vuole dire “noi lo possiamo fare, c’è un razionale scientifico e c’è anche una capacità tecnica, (là in questo caso era la capacità tecnica di interventi genetici di ultima generazione), benissimo, lo possiamo fare, ma lo possiamo fare anche dal punto di vista etico?”

Questo è l’interrogativo della bioetica.

(nds. per mera curiosità riporto l’elenco dei membri in carica al CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica) Presidente vicario • Lorenzo d'Avack, giurista italiano, esperto di diritto e di bioetica Vice Presidenti

• Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma • Laura Palazzani, Ordinario di Filosofia del Diritto alla LUMSA di Roma Membri

• Salvatore Amato, Ordinario di Filosofia del diritto e Biogiuridica, Università di Catania • Luisella Battaglia, Ordinario di Filosofia Morale e di Bioetica - Università di Genova • Carlo Caltagirone Ordinario Neurologia, Università Tor Vergata di Roma • Stefano Canestrari, Ordinario di Diritto Penale – Università di Bologna

• Cinzia Caporale, Dirigente tecnologico presso l'Istituto di tecnologie Biomediche (ITB-CNR) - Coordinatore della Commissione per l'etica della ricerca e la bioetica del CNR • Carlo Casonato, Ordinario di Diritto costituzionale comparato - Facoltà di Giurisprudenza - Università di Trento

• Francesco D'Agostino, Ordinario di Filosofia del diritto - Università di Roma Tor Vergata • Bruno Dallapiccola, Professore emerito di Genetica medica - Direttore scientifico Ospedale Bambino Gesù di RomaIRCCS • Antonio Da Re, Ordinario di Filosofia morale - Università di Padova • Mario De Curtis, Ordinario di Pediatria - Università degli Studi di Roma "La Sapienza" • Carlo Flamigni, Professore emerito di Ginecologica e Ostetricia - Università di Bologna

• Paola Frati, Ordinario di Medicina Legale/Bioetica - Universita degli Studi di Roma "La Sapienza"

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• Silvio Garattini, Direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" • Marianna Gensabella, Ordinario di Filosofia Morale - Università di Messina

• Assunta Morresi, Associato di chimica-fisica - Università di Perugia • Andrea Nicolussi Ordinario di Diritto Civile - Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

• Rodolfo Proietti Ordinario di Anestesia e Rianimazione - Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma • Massimo Sargiacomo, Ordinario di Economia Aziendale - Università "G. D'Annunzio" Chieti-Pescara • Lucetta Scaraffia Professore emerito di storia contemporanea - Università degli Studi di Roma "La Sapienza"

• Monica Toraldo Di Francia, Docente di Bioetica , Stanford University (Breyer for Overseas Studies in Center Florence) • Grazia Zuffa, Psicologa e Psicoterapeuta)

Poi ovviamente la bioetica si distingue, perché non è detto che io abbia ragione con la mia tesi sull’embrione, per me l’embrione è vita umana e non si tocca. Ma non è che pretendo di essere l’unica risposta a questa domanda, però che la domanda ci sia! Quindi l’imperativo tecnologico, io direi scientifico e tecnologico insieme, e l’imperativo bioetico, che più che imperativo, impone la distinzione tra ciò che la scienza ci consente di fare, aiutata dalla tecnica e da una tecnica sempre più avanti, e quello che l’etica ci dice che si può fare.

E vedete, qua è la difficoltà e io qua vorrei anche le vostre opinioni.

Perché quando noi diciamo scienza, quando diciamo tecnica, in qualche modo ci capiamo. Perché voi sapete benissimo che anche sul razionale scientifico le tesi divaricano.

C’è chi crede che determinate ricerche tengano, c’è chi non lo crede. Però ci dovrebbero essere dei dati, delle evidenze, su cui ci si confronta.

Sull’etica ci sono dati? ci sono evidenze? Bè, il nostro sapere non è su dati ed evidenze… il nostro sapere, col vostro metodo, non tiene! Io non vi posso dimostrare che l’embrione non si tocca, perché l’embrione si può toccare, voi potete sperimentare sugli embrioni, io vi posso ARGOMENTARE le mie ragioni del PERCHÉ, SECONDO ME, ma non solo secondo me, secondo molti e secondo alcune scuole di pensiero, non si deve toccare un embrione. Ma voi mi potreste anche, sulla base di ragionamenti vostri o ragionamenti di altri o di autori che avete letto, portare altre ragioni. Il mondo dell’etica non è il mondo della DIMOSTRAZIONE, è il mondo

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della argomentazione, è il mondo in cui le ragioni si confrontano e a volte si scontrano. Apriamo su questo punto. Ditemi che cosa ne pensate.

Alice: mi scusi professoressa, ma in questo caso, l’etica realmente mette un freno al progresso scientifico, perché comunque è vero quello che dice lei che c’è un movimento di opinione che l’embrione non si tocca, però il toccare l’embrione potrebbe dare tanti vantaggi riuscendo a ricavarne qualcosa, in questo modo invece si mette un freno e non si può fare nulla. Si mette un muro ed è ovvio che non si può andare avanti e vanno avanti solo all’estero. Uno deve valutare anche i possibili benefici.

Prof: allora il problema è come noi consideriamo l’embrione. Perché anche se prendono me e mi mettono in sperimentazione ne ricavano qualche cosa, potrei essere un caso interessante. Naturalmente però dovrebbero rispettare che cosa? Dei criteri. Sugli embrioni è difficile rispettarli questi criteri. Una volta che si sperimenta sull’embrione, proprio per la composizione cellulare iniziale, è difficile tutelare l’embrione.

Allora sicuramente, io sono d’accordo con lei, e su questo mi sono scontrata anche con persone del mondo cattolico, sul fatto che si fa danno alla ricerca, però secondo me è un danno inevitabile dal punto di vista etico.

L’etica non sempre è la strada più facile o la strada che reca vantaggi. Ci sono tanti vantaggi a cui noi per motivi etici dobbiamo rinunciare. Allora questa rinuncia è sicuramente una rinuncia pesante, ma ci sono delle strade alternative? Sì, ci sono delle strade alternative. Le dico in tutta sincerità, che come ricercatore io capisco che uno debba avere la possibilità maggiore di scelta tra le strade. Come filosofa non mi piace leggere semplicemente una corrente, mi piace leggere quella corrente e l’altra, e capisco lo scienziato che vuole lavorare sulle cellule staminali adulte e sulle cellule staminali embrionali, lo capisco perfettamente, però il problema è che cosa accade se noi consideriamo l’embrione come QUALCOSA (e non QUALCUNO), che si può poi distruggere e sacrificare per il bene di altri, questa è la domanda.

Alice: eh, ma io dico che bisognerebbe valutare anche i possibili benefici, altrimenti così mettiamo un freno e basta. Non si va avanti.

Daniele: anche dagli studi fatti ad Auschwitz hanno tratto beneficio.

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Prof: e ancora alcuni di questi studi vengono persino consultati oggi.

Allora lei dice la valutazione dei benefici.

Nella sperimentazione sicuramente si fa, valutazione costi e benefici, però una cosa NON si può fare nella sperimentazione su soggetti umani: considerare l’essere umano su cui si sperimenta come un mezzo per vantaggi di altri. Questo non si può fare. NON SI DEVE FARE.

Allora il problema è radicale: l’embrione è un essere umano? SI o NO? E’ un essere umano da tutelare o no? Quello è il problema. Vedete, ora l’argomentazione si va a stringere. Sicuramente per alcuni di voi no, per me sì.

Per l’Inghilterra per esempio, dove abbiamo sperimentazione sulle cellule embrionali dagli anni 80, col rapporto Warnock del 1984, si stabilisce che debba esserci un limite sugli embrioni, ma solo fino al 14esimo giorno, dopo il 14esimo giorno no, perché la struttura cambia.

La struttura cambia?! Ma l’embrione non è sempre embrione? Cosa cambia? Vogliamo cercare di trovare delle soluzioni di compromesso, delle zone finestra per lavarci la coscienza. Comunque questo problema lo riprenderemo, vi volevo solo provocare.

(DA UN SITO CATTOLICO sull’argomento: Nel lontano 1984 la Commissione d’inchiesta inglese Human Fertilisation and Embryology concluse i suoi studi, cominciati due anni prima, sulla sperimentazione degli embrioni umani. Emanò un rapporto, il famoso rapporto Warnock, dal nome della sua presidente Mary Warnock una pedagogista e filosofa del Regno Unito. Eravamo nel luglio del 1984 e il Rapporto della Commissione di Inchiesta sulla Fecondazione ed Embriologia, appunto il Rapporto Warnock, stabilì che prima del quattordicesimo giorno dal momento della fecondazione l’embrione non può essere considerato un individuo biologico. Le motivazioni addotte riguardano il fatto che solo al 14° giorno si ha il completamento dell’impianto in utero, cominciato 7 giorni prima, e che solo verso il 14° giorno si evidenzia la comparsa della “linea primitiva” (che indica l’avvenuta differenziazione tra le cellule dell’embrione vero e proprio e le cellule che invece formeranno i tessuti placentari).

Questo Rapporto ha dato origine alla “Human Fertilisation and Embryology Act” del 1990 che disciplina il trattamento della fertilità umana e la sperimentazione con gli embrioni umani. Il suo effetto pratico fu quello di richiedere le licenze per le procedure come la fecondazione in vitro e il divieto per la ricerca che utilizza gli embrioni umani oltre i 14 giorni. Come disse Suzi Leather, ex presidente della Human Fertilisation and Embryology Authority, questo è stato “forse il più grande successo del comitato Warnock, che è riuscito a ottenere un consenso etico condiviso”.

Purtroppo il limite di 14 giorni del piccolo embrione-essere umano che sembrava allora una conquista etica, in realtà fu l’inizio di una deriva etica impressionante. Da allora, infatti, sul piccolo embrione è stato fatto di tutto: se prima dei 14 giorni l’embrione “non è un individuo biologico” (della specie umana) sarà possibile costruirlo in provetta, congelarlo, selezionarlo,

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estrarre da lui le cellule staminali embrionali, impiantarlo in utero, togliere dall’utero quelli in sovrannumero, impedirne l’impianto con la spirale, con la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo. L’ultima frontiera, per ora, è l’utero in affitto (chiamata gentilmente e laicamente “gestazione per altri”). Ricordiamo che Mary Warnock, ora 92enne, è stata fatta baronessa del Regno Unito e si sta occupando dal 2008 di eutanasia per le persone con demenza alle quali, secondo lei, dovrebbe essere consentito di scegliere di morire se si sentono “un peso per la loro famiglia o allo Stato”. Ora però uno studio realizzato alla Rockefeller University di New York e all’Università di Cambridge, pubblicato contemporaneamente su due pubblicazioni di “Nature” e “Nature Cell Biology”, ha cercato di indagare cosa succede nei primi 13 giorni di vita dell’embrione umano, nella fase detta blastocisti, cioè dal concepimento alla fine dell’annidamento nella mucosa uterina della madre (cominciato al 6° / 7° giorno di vita). Lo studio afferma che l’embrione umano è in grado di auto-organizzarsi autonomamente secondo un piano di sviluppo ordinato anche in assenza di segnali esterni. Cioè che l’embrione “vive”. Inoltre si è visto che ci sono differenze inaspettate tra i modelli animali e gli embrioni umani per quanto riguarda la diversificazione delle linee cellulari, dalle quali dipendono l’organizzazione dei tessuti dipendenti dai geni. E ancora che la ricerca sui topi non basta assolutamente per avere un’idea della vita umana.

Dunque l’embrione umano non è un grumo di cellule, né un essere indistinto e informe né un “prodotto del concepimento” come veniva sprezzantemente definito. Sappiamo che queste ingiuste e antiscientifiche definizioni di embrione furono usate per giustificare, secondo l’etica laicista, la fabbricazione in provetta, la pillola del giorno dopo, la spirale, la sperimentazione ecc. In Italia è vietata la ricerca sugli embrioni umani, ma all’estero si fa con un limite alla sperimentazione posto dal 1984 al 14° giorno di vita. Ora con questo nuovo studio bisogna tornare indietro dai 14 giorni, e, come dice “Nature”, è ora di mettersi a ridiscutere quel limite di 14 giorni e spostarlo. La vera scienza l’ha sempre detto, il Magistero della Chiesa Cattolica l’ha sempre sostenuto. Dal concepimento non c’è salto, né trasformazione perché l’embrione umano, come scrisse magistralmente il genetista gesuita Angelo Serra, ha uno sviluppo “continuo, graduale e coordinato”. E pensare che questo ultimo studio pubblicato da “Nature” è il risultato di embrioni coltivati in provetta alla Rockefeller University e a Cambridge, non nel ventre della loro legittima madre, ma su un substrato artificiale. Speriamo che, dopo aver aperto gli occhi, cominci un nuovo rispetto per la vita umana dal suo “vero” inizio. Maggiori informazioni http://www.advmcastelliromani.it/news/rapporto-warnock-fin-dal-primo-istante-del-concepimento-e-vita-umana/)

Alice: mi scusi però se tutti la pensassero in questo modo, non ci sarebbe più la ricerca, finirebbe, io questo dico. Lei cose ne pensa a riguardo? E’ giusto?

Prof: allora io non trovo una giustificazione per considerare l’embrione prima e dopo in modo diverso.

Alice: nel pratico quindi resteranno sempre due strade che non potranno mai trovarsi.

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Prof: io capisco che dal punto di vista della ricerca questo può essere un grossissimo problema, non è che non vedo il problema, sicuramente lo è, PERO’ ci possono essere anche delle metodologie alternative di ricerca. Là, dove l’etica pone un ostacolo, la scienza potrebbe trovare strade diverse. Potrebbe, questo è il mio augurio, perlomeno.

Allora, la DEFINIZIONE DI BIOETICA.

Il professore Asmundo ha fatto un poco di terrorismo, ma le mie domande agli esami sono molto facili e sono sempre le stesse.

Una alla quale io tengo moltissimo è “che cos’è la bioetica”.

Ci tengo perché c’è questa fissazione di chi fa filosofia, che parte forse da Socrate. Socrate diceva sempre “ma che cos’è?” (nds. il famoso τί ἐστί), che cos’è la giustizia, che cos’è la bontà, che cos’è. Definiamola.

E allora vedete, nel 1978 Thomas Reich (che è stato diverse volte ospite a Messina), otto anni dopo il conio della parola bioetica, si lancia in questa impresa, di una ENCYCLOPEDIA OF BIOETHICS. Per fare una enciclopedia, che cosa ci vuole? Ci vuole un sapere sistematico, tanti studiosi, tutti insieme e fare sistema.

Lo scoraggiano tutti “chiamala enciclopedia di etica applicata, se proprio vuoi”, ma no, lui la chiama “Enciclopedia di Bioetica” e facendo questa scelta coraggiosa ottiene anche una grande fortuna, perché il nome di Reich si scrive nella storia della bioetica, proprio grazie a questa enciclopedia che lui ha creato e che ora è alla quarta edizione.

La definizione che lui dà all’inizio, non è poi mantenuta in tutte le edizioni, però secondo me questa definizione è la migliore.

Perchè? perché rende la natura della bioetica, rende la novità della bioetica:

“E’ lo studio sistematico della condotta umana, (quindi lo studio che fa sistema, perché mette insieme saperi diversi, quella concezione interdisciplinare che già era in Potter, di scienze biologiche, scienze della vita ed etica, perché quando noi parliamo della condotta umana, di etica stiamo parlando. L’etica non fa altro che studiare i principi, le regole del nostro agire, quindi della nostra condotta, rispondendo alla domanda: “che cosa devo fare?” Questa domanda, però, in bioetica è in un’area specifica, è l’area delle scienze della vita e della salute), nell'ambito della scienza della vita e della cura della salute (non solo scienze della salute, vedete? Non ci siete solo voi! La bioetica si insegna anche in altre facoltà scientifiche, che non sono facoltà di medicina, come in scienze biologiche o farmacia), in quanto questa condotta è

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esaminata alla luce dei valori morali e dei principi”. Come vedete ci sono anche io. Quindi la bioetica è un’etica?

Si, è un’etica, perché riguarda la condotta umana, ma è un’etica impastata di scienza, è un’etica che ricade nell’ambito della scienza, è un’etica costantemente in rapporto con la scienza.

In bioetica, io dico sempre, siamo sempre tutti assolutamente sapienti e tutti assolutamente ignoranti. Io non ne so niente di medicina e voi ne sapete poco di etica, quello che vi ricordate dalla scuola.

Gli ambiti della bioetica quindi sono diversi.

C’è la bioetica clinica, che è quella che studieremo, c’è la bioetica ambientale che riguarda i principi che dobbiamo tenere presente quando ci rapportiamo all’ambiente, c’è la bioetica animale, che è estremamente interessante, per la quale un grande problema è la sperimentazione sugli animali. E c’è anche la bioetica sociale, una bioetica di nuova emergenza, cioè una bioetica che si occupa dei problemi sempre tra scienza ed etica, ma su soggetti particolarmente deboli, come gli anziani, i bambini, come le persone con disabilità, come anche i carcerati, per es.

Allora quali sono le QUESTIONI DELLA BIOETICA.

Bè, sicuramente ci sono delle questioni che sono un po' vecchie.

E’ una vecchia questione quella dell’aborto. Pensate che San Tommaso si occupava dell’aborto, chiedendosi se fosse un omicidio o un peccato grave e stabilendo, dando grossissimi dolori alla Chiesa, che in effetti era un peccato grave fino al quinto mese. Ma c’era anche un altro ragionamento che lui faceva.

Siccome lui era allievo di Aristotele, diceva, bè, l’anima razionale ancora non ci può essere, perché ancora non c’è la materia che tende a quella forma che è l’anima razionale, prima del quinto mese.

(nds. a tal proposito segnalo un articolo http://www.uccronline.it/2013/01/13/il-falso-pensiero-attribuito-a-tommaso-daquino/ ).

La fecondazione assistita, no, la fecondazione è un nuovo problema.

In bioetica, il nuovo e il vecchio si incontrano e si scontrano, e a volte il vecchio diventa anche rivisitato dal nuovo, perché l’aborto, noi pensiamo quello chirurgico,

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ma c’è anche quello farmacologico oggi e la contraccezione di emergenza, la pillola del giorno dopo o dei 5 giorni dopo, è possibile assimilarla all’aborto oppure no? Vedete là i pareri divergono, alcuni la assimilano, altri no.

Fecondazione assistita, voi sapete ci sono tanti campi e tante modalità diverse.

Anche l’utero in affitto, che forse oggi è una delle questioni più in tappeto, è un’altra cosa ancora.

Non è una nuova tecnica neanche questa. Pensate che già nella Bibbia abbiamo dei casi in cui alcune donne che guarda caso erano donne ricche, donne potenti, ma sterili, davano la loro schiava al marito perchè partorisse alla fine sulle loro ginocchia.

(nds. il caso a cui si riferisce la professoressa è quello che coinvolge Abramo e la sterile moglie Sara, narrato dal libro della Genesi 21,8-21, e quello della matriarca Rachele, moglie del patriarca Giacobbe nella Genesi 30:3. A tal proposito segnalo due articoli trovati in rete: “Il vizietto poco laico di citare (a sproposito) la Bibbia per giustificare l’utero in affitto”: http://www.tempi.it/bibbia-utero-in-affitto#.WB2V92XCu9Y un altro articolo della Stampa: http://www.lastampa.it/2016/03/04/cultura/opinioni/editoriali/sara-e-rachele-lutero-in-affitto-ai-tempi-dei-patriarchi-qFdgXeQrB2cQJcb4iVMlXN/pagina.html .

Riporto alcuni pezzi del primo articolo per chi fosse interessato: “Sara è sterile, ma vuole comunque assicurare una discendenza ad Abramo, così decide di offrire al marito la propria schiava Agar, giovane e fertile. Abramo si congiunge con lei, ma poco dopo Sara pretende soddisfazione dal marito Abramo inducendo quest’ultimo a scacciare Agar e il figlio da questa partorito; appena Agar viene allontanata dalla casa di Abramo il Signore concede a Sara di ottenere una gravidanza propria e assicurare una discendenza legittima al marito Abramo.

I motivi per cui non si tratta di maternità surrogata sono molteplici e tutti molto evidenti. In primo luogo: non è maternità surrogata in quanto non viene reclamato un presunto diritto al figlio, ma semmai un dovere alla discendenza che Sara come moglie di Abramo deve assicurare al proprio marito, a tal punto da accettare che questi si congiunga con un’altra donna. In secondo luogo: più che di maternità surrogata si tratta, semmai, dunque, di adulterio, poiché il seme di Abramo, sposato con Sara, si congiunge con l’ovulo di Agar, come in qualunque rapporto extra-coniugale, dando vita a una prole naturale e non legittima.

In terzo luogo: non è maternità surrogata poiché non c’è né un contratto, né soprattutto una libera volontà della madre surrogante, cioè Agar che, in quanto schiava, è tenuta ad obbedire all’ordine ricevuto dalla propria padrona Sara.

In quarto luogo: tanto è sicuramente adulterio che la stessa Sara subito dopo ripensa al mal fatto e chiede ad Abramo di scacciare la schiava Agar con il figlio frutto dell’adulterio. In quinto luogo: non è maternità surrogata in quanto il rapporto tra Agar e, come si dice oggi, “il prodotto del concepimento”, cioè il figlio nato, non viene mai reciso, anzi, proprio perché questo rapporto sussiste Sara insiste che Agar venga allontanata dalla casa di Abramo. Secondo il diritto e

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la morale dell’epoca, infatti, diversamente dalla maternità surrogata odierna, Agar non avrebbe mai potuto essere separata dal figlio che aveva partorito.

Non riuscire a cogliere il senso teologico e il senso morale dell’episodio di Abramo, Sara e Agar, del resto, è un tipico portato e una necessaria conseguenza di una cultura ipersecolarizzata, come quella contemporanea (di cui i sostenitori della maternità surrogata sono caratteristici emblemi), non più abituata a scorgere il senso della realtà in quanto schiacciata dalla avverata profezia delineata dal laicissimo ma intellettualmente onesto e lungimirante Max Horkheimer che così ebbe saggiamente a scrivere anticipando i tempi attuali: «La dimensione teologica sarà soppressa. E, con essa, scomparirà dal mondo ciò che noi chiamiamo senso» ).

Questa è la storie di diverse donne della Bibbia. Bè, si può dire che questo era l’”utero in affitto” prima della ginecologia di oggi. Certo, oggi è un’altra cosa, perché non c’è nemmeno bisogno di avere un rapporto sessuale, basta una inseminazione, o basta una fecondazione in vitro, con il seme.

Ingegneria genetica e clonazione, sicuramente per quello che ci siamo detti è interessantissimo, importantissimo ed è nuovo.

Di eutanasia e di accanimento terapeutico, no, non è nuovo questo tema, perché l’eutanasia è talmente antica che nel codice ippocratico, nel giuramento che voi farete, quando diventerete medici, c’era già scritto “non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio”.

(GIURAMENTO DI IPPOCRATE « Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.

Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.

Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.

In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.

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Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.

E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro. »

Quindi era così antico questo problema, certo ora si configura in modo nuovo. Altro era il farmaco mortale, altro è l’eutanasia oggi, altro è il corrispettivo che oggi c’è rispetto all’eutanasia, su questo insistere, insistere, insistere con cure, di cui non si capisce bene la ragione.

Trapianti e donazioni di organi e tessuti, non solo di organi, che sono quelli più all’attenzione dal punto di vista etico e bioetico, ma anche dei tessuti. Diritti degli animali, difesa dell’ambiente e diritti delle generazioni future.

Allora, questa slide e poi dibattito.

La bioetica è una nuova disciplina? Perché l’hanno inserita nel vostro programma di studi? Tra l’altro depauperandola di crediti, da 3 sono scesi a 2 CFU, poi arriveremo a 1. Un po' poco, visto che la bioetica poi la incontrate sul terreno.

No, non è una nuova disciplina la bioetica, semplicemente per un fatto, CHE NON E’ UNA DISCIPLINA. NON E’ UNA MATERIA.

E’ un territorio interdisciplinare. La bioetica si fa insieme, la bioetica è mista, anche dal punto di vista accademico è mista, come settore disciplinare voi ce l’avete come M-FIL/03, ma potreste averla come settore disciplinare di medicina legale, potreste averla anche come filosofia del diritto. Ci si sta attrezzando per vedere se è possibile anche come diritto pubblico, all’interno di quali tipi di diritto si possa inserire la bioetica, come BIOGIURIDICA. In bioetica, questo territorio interdisciplinare può anche allargarsi ad altre discipline come possono essere la sociologia o l’economia, perchè? Per tutti i motivi che ci siamo detti. Ci possono essere dei criteri sociologici che interferiscono in questo dialogo tra scienza ed etica, e dei criteri economici sicuramente ci sono. Basti pensare alla ripartizione delle risorse in sanità, alla ripartizione delle risorse per la sperimentazione e per la ricerca.

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Questo significa anche che l’interdisciplinarietà rende difficile la possibilità di comprendersi. Non sempre ci si comprende, nel senso che non sempre si capisce ciò che l’altro dice. Io sono stata per diverso tempo in comitati etici per la sperimentazione, e devo dire che tante cose non le capivo e chiedevo spiegazioni, non avevo i mezzi e gli strumenti per capire. Però per statuto ci dovevo essere, perché ci doveva essere qualcuno esperto dal punto di vista umanistico, un membro laico (in questo caso laico significa “non medico”), quindi quale poteva essere il mio contributo? Paradossalmente il mio contributo era proprio quello di non capire! Perchè, pensateci un attimo. La persona che va in sperimentazione non è detto che sia un medico, e quando gli si sottopone un consenso informato DEVE capire, perché deve scegliere se entrare o meno in sperimentazione. Allora il mio non capire e chiedere spiegazioni, era il filtro per vedere se il ricercatore, nello stendere il suo consenso informato e poi nel proporlo al pz, era in grado di farglielo capire. Sapete però cosa succedeva, quando io chiedevo, chiedevo insistentemente per capire, eh? Varie volte sono stata accusata di fare perdere tempo.

Alice: … ma solo argomentare in questa maniera non porta da nessuna parte, quindi chiedevo se c’è una soluzione a questo, a livello pratico.

Certo che c’è una soluzione, certo che c’è. E questa è una cosa molto interessante che dice lei, perché la bioetica, a differenza della buona filosofia, la buona filosofia pone domande, ma come diceva sempre il mio maestro, non dà risposte. E quindi facendo filosofia siamo tutti contenti, perché argomentiamo, ognuno dice la sua, ma la conclusione non c’è, la conclusione è sempre aperta. Anche perché la domanda della filosofia voi la conoscete, è la domanda sul senso del mondo, sul senso della vita. Domande gigantesche, che sconsigliano di fare filosofia, perché non c’è risposta, e come dice la vostra collega, non si va da nessuna parte. Si resta sempre fermi nello stesso punto facendo filosofia. Secondo me non è proprio così, perché si avanza anche nell’argomentare, e nel porsi la domanda, ma comunque, prendiamo per buono questo. In bioetica si fa altro. Perché la bioetica non è solo etica, e non è neanche un’etica solo teorica, è un etica applicata. In bioetica si deve decidere e si deve concludere. La bioetica si fa nei Comitati.

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Allora nei comitati etici ospedalieri, si doveva decidere chi andava e chi non andava alla dialisi. Si doveva argomentare, ma si dovevano trovare i criteri, ci si poteva scontrare prima, perché se non si decideva, morivano tutti e venti. Chiaro? Nei comitati di bioetica per la sperimentazione si deve decidere, il protocollo può andare bene, il protocollo non può andare bene, giusto? Perché non si può neanche dire “non lo so, la domanda è aperta”, si deve decidere. La bioetica ha questo che la differenzia assolutamente dall’etica pura, che pure argomenta, pone la domanda “che cosa devo fare?”, cerca di definirla al meglio e argomenta sulle sue ragioni su come definirla, ma non chiude, non stringe. La bioetica essendo applicata, deve chiudere e stringere. Però ci sono dei principi su cui noi possiamo metterci d’accordo. Io credo fortemente che ci siano dei principi, perché è vero che la bioetica è pluralista… Pensate, tutti i comitati di bioetica nazionali, quindi quelli istituiti da Governo, come il nostro italiano, sono tutti per Statuto, pluralisti. Questo vuol dire che non si devono sedere solo persone che dal punto di vista etico si ispirano a determinati principi. Ci deve essere un tot di rappresentanti di un’area e un tot di rappresentanti di un’altra area. Perchè? Perché siamo in democrazia, e perché il nostro tessuto è pluralista. Quindi vedete, qui c’è un’altra grande, grandissima, difficoltà della bioetica, che va oltre le mie insistenti domande per capire e che significa mettersi d’accordo su alcuni principi base, su cui noi possiamo trovare condivisione. Lo sforzo maggiore nel comitati di bioetica è proprio quello della condivisione di principi base. Per cui si dice, “bene, non sei per questo, ma sei almeno per quest’altro?”. E quali possono essere questi principi base? Qui ne ho indicato uno che è un principio fondamentale, che è quello del rispetto della dignità dell’essere umano. Su questo principio base ci intendiamo sempre e ci intendiamo tutti. Abbiamo modi diversi poi di declinarlo questo principio base, sia quando diciamo che cos’è la dignità, (qualcuno di voi ha parlato di qualità della vita, alcuni identificano la dignità con la qualità della vita, altri la identificano con la indisponibilità della vita e già ci divarichiamo), ma ancora su come noi intendiamo l’essere umano, da quando inizia a quando finisce. Quindi vedete questo tenersi per mano, rappresentato da questo quadro (nds. La danza, Matisse), che viene visto sempre in tantissime conferenza, dovrebbe indicare il tentativo costante della bioetica, di mettersi insieme e a livello di saperi diversi e a

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livello di etiche diverse, per tentare di fare cerchio e di rispondere a quella domanda, su che cosa possiamo fare di ciò che la scienza e la tecnica ci consente di fare. Perché guardate, nessuno vuole fermarsi, però bisogna anche capire, dove stiamo andando e questo dove non è detto che sia sempre il progresso tout court, perché deve

essere anche un progresso di umanità, un progresso di civiltà, non solo un progresso scientifico.

INIZIO DEL DIBATTITO (nds. iniziano 32 minuti di dibattito. Premetto, scusandomi, che alcune domande fatte dai colleghi non si percepivano benissimo alla registrazione. Riporto quelle più chiare.)

Luca: Professoressa lei diceva che uno dei grossi problemi è dato dal fatto che non esiste una definizione esatta e valida per tutti di cos’è, nel senso da dove inizia e dove finisce la definizione di essere umano e secondo me questo sta al centro anche del dibattito per quanto riguarda l’aborto. Quando lei dice che non c’è un prima e un dopo nell’embrione, quindi non c’è un tot di giorni, un tot di settimane, per cui l’embrione a un certo punto diventa qualcosa di simile all’essere umano e prima non lo è, per lei dove inizia e dove finisce l’essere umano? Per sapere la sua posizione sull’argomento.

Prof.: ma sa, il mio argomento è questo. L’essere dell’embrione, e invece di usare questa parola filosofica “essere”, diciamo il DNA dell’embrione. Il DNA, il codice genetico indica anche ciò che per Aristotele è il ti estì, cioè “che cosa è”, la sostanza dell’embrione. La sostanza dell’embrione è l’essere umano, sì o no? Il codice genetico dell’embrione è il codice genetico dell’essere umano? Lo è fin dall’inizio? Muta o no?

Luca: ma secondo questa logica anche i geni contenuti nel singolo spermatozoo o nel singolo ovocita lo sono e poi vengono messi insieme.

Prof.: No, no, per un semplice motivo. Che lo spermatozoo da solo non dà luogo a un essere umano. Lo spermatozoo ha bisogno di un’altra causa che è l’ovulo, perché insieme, incontrandosi, diano luogo a uno zigote.

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Daniele: è il concetto di una potenzialità…

Prof.: Esatto. Eì il passaggio tra la possibilità e la potenzialità. Ed è la differenza etica importantissima tra la contraccezione e l’aborto. Differenza enorme. Per esempio la Chiesa Cattolica è contro sia la contraccezione che l’aborto. Io da questo punto di vista pur essendo cattolica, sono molto eterodossa, perché? Proprio per questo motivo. E’vero che la Chiesa dice che sono peccati di diversa gravità, però secondo me il fatto di impedire l’incontro tra spermatozoo e ovulo, non significa sopprimere, cosa si sopprime? Si impedisce solo una possibilità di incontro. Altra cosa è quando c’è già il concepimento, perché c’è già un qualcosa che NON E’ COSA, perché ha un codice genetico di essere umano. Questa questione è antichissima, pensate che è la questione che si poneva Tommaso, la questione a cui Tertulliano rispondeva “ma se diventa un essere umano, coma fa a non esserlo prima?”

(nds. alla questione “Εἰ τὸ ἔµβρυον ζῷον” = se l'embrione sia da considerarsi un essere vivente, Tertulliano rispondeva «E già un uomo colui che lo sarà» (Apologeticum IX, 8).

Come fa se diventa un essere umano a non esserlo prima? Questo è il ragionamento. Se volete un linguaggio giornalistico vi cito Giuliano Ferrara che diceva: “ma una cosa, non può diventare qualcuno!”. Il ragionamento è lo stesso. Possiamo usare linguaggi dotti o linguaggi giornalistici.

(nds. qui di seguito il link per l’intervento completo di Ferrara in merito, “FRATELLO EMBRIONE, SORELLA VERITA’” Maggio 19, 2005 Tempi http://www.tempi.it/fratello-embrione-sorella-verita-intervento-di-ferrara#.WB2wAGXCu9Y )

Ma il problema è la potenzialità, cioè ha dentro di sé quella capacità di sviluppo che lo porta ad essere essere umano, e ce l’ha dentro di sè, non c’è bisogno che si incontrino più, perchè già si sono incontrati.

Andrea (nds. scusami se la domanda non è fedelissima, la tua voce era bassa): Però se si fa sperimentazione su un essere umano formato, si crea sofferenza, o anche alla madre se si chiedesse di donare il suo embrione, la madre potrebbe provare sofferenza, ma lo zigote di

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per sé non può sentire, l’embrione di per sé, non può sentire. Se il dolore non è personale, né a terzi, dove sta il problema?

Prof.: allora lei sta seguendo un modello di bioetica che è interessantissimo che è il modello di bioetica utilitarista. Cioè lei dice, c’è un problema se c’è sofferenza. E capisco bene che per chi fa medicina, questo è un modello vincente. Ad Auschwitz c’era sofferenza, quando facevano le sperimentazioni, fino a che grado di temperatura resistevano nel freddo, se si congelavano, se non si congelavano, lì c’era una sofferenza terribile. L’embrione che sofferenza ha? Non ha sistema nervoso ancora, no? Ma non è solo questa la prospettiva bioetica a mio avviso. Questa è UNA prospettiva bioetica, senz’altro importante, ma non è l’unica, perché c’è anche un rispetto di ciò che è. Quando noi per esempio parliamo della dignità dell’essere umano non pensiamo semplicemente a misurare la nostra azione sulla sua capacità di piacere o di sofferenza, MA se lo stiamo usando come un mezzo oppure no.

Andrea: … quindi una cosa non va fatta non perché è dannosa, ma perché non è giusta. E questa è una cosa che io non condivido neanche lontanamente.

Prof.: ma guardi che la giustizia protegge tanto.

Andrea: ma è una giustizia a priori, senza nessuna praticità.

Prof.: ecco qua abbiamo un altro tipo di approccio. Perché io lo capisco, che per la scelta che fate, volete toccare e vedere. La vostra scelta è molto empirista diciamo, volete avere le mani in pasta nell’esperienza, e quando vi dico la dignità dell’essere umano, la dignità dell’embrione anche se l’embrione non sente, vi sembra qualche cosa di astratto.

(voci concitate sovrapposte)

Ora lo si vuole spostare questo termine di 14 giorni, lo si vuole spostare più avanti, ma perché prima si e poi no? Andrea: sempre per quel discorso, perché tanto se l’embrione diventa essere umano, non lo saprà. Non si è perso niente.

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Prof.: quindi lo possiamo sterminare!

Andrea: no, no, così tanto per no. Però se è proprio necessario, se è particolarmente necessario. Non soffre nessuno alla fine.

Mara: allora io la penso in modo un po' simile al mio collega, però quello che voglio aggiungere è che l’embrione oltre a un essere che non soffre è anche un essere che non pensa. L’essere umano in che cosa consiste? Quando noi mettiamo sul piatto, i vantaggi di una ipotetica madre che avrebbe un danno nel ricevere questo embrione e l’embrione che non soffre, che non pensa, che è un ammasso di cellule, forse un po' scorretto come termine, però praticamente è quello che è ancora allo stato attuale, quindi valutando sempre il rapporto rischio e beneficio, il danno all’embrione quale sarebbe?

Prof.: perché ne fate sempre e soltanto una questione di sentire, però lei sta introducendo un’altra cosa ancora, cioè il pensare. Allora io le chiedo, per le persone in Alzheimer in fase finale, che non riescono più a pensare, no?

Mara: io sono a favore della eutanasia infatti.

Prof.: si lo so, e c’è una coerenza in questa prospettiva, ed è una coerenza che vi devo dire, in modo poco accademico, mi fa molta paura, perché sapete che cosa accade? Che siamo tutti meno protetti da questa prospettiva. Perché quella società giusta che il suo collega vede come astratta, è una società che mette una tutela forte alla base, per tutti, qualunque sia la condizione. Tutti noi siamo stati degli embrioni, e siamo qua perché non ci hanno buttati via, tutti noi possiamo da un momento all’altro, entrare in stato vegetativo, tutti noi. Allora questa rete di proiezione che molti in bioetica pensano, è per tutti! A prescindere da quelle che possono essere le oscillazioni delle condizioni della nostra vita. Il vostro discorso invece che è molto basato sull’esperienza, sulla capacità di percepire e di pensare, crea delle discriminazioni enormi tra gli esseri umani. Crea discriminazioni veramente forti, voi dite nel loro interesse… ma chi lo sa? Alice: professoressa, ma mi scusi, ma vivere in stato vegetativo pure per 10 anni, ma che senso ha? Non ha un buona qualità di vita. Che vita è? Non ha vita completamente.

Prof.: allora non è vita, non è di buona qualità… ci arriviamo. Non possiamo anticipare tutto alla prima lezione, non mi posso sparare tutte le cartucce. Questa

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domanda ce la riserviamo. Perché c’è tutta una serie di cose sulla vita e la qualità delle vita.

Daniele: io credo che il problema principale di oggi è volere tutto e subito. Il mondo scientifico vuole delle risposte precoci e invece di domandarsi se è giusto o meno fare sperimentazioni sugli embrioni, che non sappiamo se è essere umano o meno, perché non ci concentriamo sullo sviluppo di idee alternative che ci possano portare ad ottenere lo stesso risultato. Otterremmo un risultato più in là nel tempo, però sicuramente non ci porremmo più il problema dell’eticità o meno della ricerca sugli embrioni. Cioè l’embrione ci deve portare ad un punto, se troviamo altre vie, magari un po' più in là nel tempo, che ci possano portare allo stesso punto, qual è il problema?

(voci sovrapposte)

Daniele: ma qualora l’embrione fosse uomo, tu stai decidendo per una terza persona.

Prof.: al collega non posso obiettare, perché condivido la sua idea.

Laura: secondo me un altro dei problemi con cui si scontra la bioetica è il fatto che un comitato bioetico deve arrivare a una tesi o comunque deve poter dire “si è lecito, no non è lecito fare questo”, e quindi è un problema proprio di dare all’uomo l’autorizzazione per poter fare ciò che vuole sull’embrione. Che magari può essere una cosa positiva o comunque utile in un singolo caso, magari in un particolare caso che ha delle condizioni per cui quella ricerca, quella sperimentazione potrebbe portare a un beneficio potenziale. Ma nel momento in cui mi trovo a dovere dire che una cosa è lecita e quell’atteggiamento lecito deve valere come legge, deve valere come condizione discriminata, a me spaventa la pericolosità, la potenzialità, di dire “è possibile farlo.” Perché nel momento in cui io dico “ok, è lecito, io posso agire”, allora lì chi è che dice “qui si e qui no”, allora vale per tutti? Io non credo che l’uomo sia in grado… chi dà all’uomo l’autorità per poter dire “ok, a te do la vita, a te la tolgo, su di te sperimento, su di te no”. Secondo me è una cosa che non spetta all’uomo, per quanto in alcuni casi mi renda conto che possa essere una cosa interessante.

Prof.: c’è una cosa che la vostra collega evidenzia che è molto importante, è che la differenza tra ciò che è utile e ciò che è giusto. Perché sicuramente ci sono tante cose che possono essere utili e il criterio dell’utilità è un criterio da tenere presente, però il criterio della giustizia è altra cosa. A volte noi affermiamo dei diritti e rispettiamo la legge e l’etica, andando anche contro i nostri vantaggi, ma non solo i nostri, anche i vantaggi della maggior parte delle persone coinvolte, perché? Perché non lo riteniamo

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giusto. Allora qua introdurre questa distinzione tra utilità e giustizia ci fa fare un passo avanti nella complessità dell’etica.

Claudio: ma la bioetica mette punti fissi o comunque tende anche ad evolversi. Momentaneamente non si può fare sperimentazione sugli embrioni, ma la bioetica prende in considerazione la possibilità che in un futuro per concetti morali ed etici diversi, si possa fare?

Prof.: sicuramente. La bioetica, ma anche il biodiritto e vedremo che rapporto c’è tra bioetica e biodiritto, perché tutto ciò che ne facciamo di bioetica è in qualche modo propedeutico per quelle che sono poi le leggi che regolano tutto questo. Ad esempio noi abbiamo delle leggi sulla sperimentazione e abbiamo una legge sulla fecondazione in vitro, che è la legge del 2004 (nds. la legge 40 http://www.camera.it/parlam/leggi/04040l.htm), che è stata poi smontata in molti punti, smantellata in molti punti dalle sentenze della Corte Costituzionale. Questo cosa dice? Dice che la bioetica muta. La legge 40 è proprio un esempio. Diciamo l’orientamento giuridico su queste problematiche è mutato fortemente, dal 2004 al 2014, in dieci anni. In Francia le leggi bioetiche sono a tempo, cioè ogni 5 anni cambiano o perlomeno sono sottoposte a revisione. Questo vale sicuramente per il biodiritto e ne abbiamo le prove, ma vale anche per la bioetica, perché non è detto che la bioetica resti sempre allo stesso punto. L’atteggiamento anche della bioetica più intransigente, quella del Magistero della Chiesa Cattolica, questa bioetica prima era per il no ai trapianti, perché i trapianti prima erano in fase sperimentale e perché si moriva poco dopo e quindi si pensava che fosse in qualche modo un accanimento a sperimentare sull’uomo, la Chiesa adesso ha mutato radicalmente il suo atteggiamento nei confronti dei trapianti. Non lo ha mutato, come speravamo, sulle tematiche di inizio vita, ad esempio la contraccezione. Noi abbiamo un documento del ’68, che è stato molto travagliato a quel tempo, ci sono state tutta una serie di riflessioni, incontri, ecc…e nel 2008 lo abbiamo visto confermato.

(nds. il riferimento è alla Lettera enciclica del sommo pontefice Paolo pp. vi, Humanae Vitae, qui il link http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html)

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Non è detto che la bioetica abbia quel progresso che lei pensa alla luce del progresso scientifico. Perché voi siete abituati a un sapere che progredisce, non studiate sui testi di medicina del ‘500. Sarebbe assurdo, semmai studiate Storia della medicina, perché il vostro sapere progredisce. Il sapere della bioetica essendo misto tra il vostro sapere progressivo e il nostro che non è progressivo, perché per me il sapere di Aristotele e Heidegger valgono lo stesso oggi, fosse Aristotele più di Heidegger. E’ a metà. E’ vero però che il progresso scientifico ci pone sempre nuove domande e anche nuove possibilità. Se un domani ci fossero delle sperimentazioni dello stesso interesse, per es. ora si sta pensando molto alla sperimentazione su cellule germinali, che però non sono ancora le cellule embrionali, quelli potrebbero essere dei punti di incontro. Quindi la bioetica progredisce, certo, non nel senso che pensa lei, cioè non è un progresso lineare, come il progresso accumulativo della scienza, perché risente molto del sentire etico.

Alice: senta, ma alla luce di che cosa la bioetica ha cambiato opinione sui trapianti?

Prof.: alla luce del fatto che con la terapia antirigetto, la sopravvivenza e in termini di durata di vita e in termine di qualità di vita, ha avuto una impennata enorme.

Alice: eh, perché qualcuno ha continuato a portare avanti qualcosa che era moralmente sbagliato. A posteriori è facile dire che accettiamo quella cosa perché ci sono benefici. Però qualcuno ha dovuto continuare a farli.

Lucia: ma sono due cose diverse. Anche se sono contro la sperimentazione sugli embrioni, perché penso che prima o poi si troverà, chissà quando, una cellula totipotente che magari è nel sacco vitellino primitivo, che ne so, qualcosa che non inficerà, però su questo dei trapianti do ragione a lei, se nessuno avesse continuato a insistere… allora bisogna avere una doppia visione delle cose. Perché comunque il fatto dei trapianti è una cosa che non andrebbe a ledere l’individuo.

Prof.: però per i trapianti c’era un problema, bisognava vedere quanto una persona aveva chiaro quello a cui andava incontro, perché è chiaro che se una persona ha ormai poco da vivere, ha poche chance e gli si offre una strada, per quanto impervia sia, meglio quel poco anziché niente. Anche gli interventi di ingegneria genetica sulle cellule somatiche… l’importante è che la persona sappia quello a cui va incontro, i rischi e anche i benefici e poi decide

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liberamente. Però sull’embrione c’è un problema. Che noi stiamo decidendo su di lui, non c’è il suo consenso.

Alice: è stato pagato anche in passato un prezzo per queste ricerche, però noi oggi abbiamo anche benefici che sono derivati da questi esperimenti eticamente sbagliati. Quindi dico, è vero che noi potremmo aspettare, ma mentre noi aspettiamo….. (nds. non si sente più)

Prof.: signorina io posso fare solo una cosa, la presento al Gaslini (?) come una mia studentessa e una mia allieva così ricucio i rapporti con Frattini (?) nel mio interesse e per mia utilità.

Luca: a me invece interessa molto la definizione di essere umano. Io sono dell’opinione che noi diamo una dignità “superiore”, cerchiamo di tutelare maggiormente la vita di un essere umano, per non parlare di una comunità, perché siamo esseri umani e quindi anche per un istinto di sopravvivenza individuale e della specie, diamo la priorità, per esempio sugli animali, per quanto per me anche l’animale abbia una dignità. Ora io mi chiedevo, dato che si parla molto dalla clonazione alla robotica, se in questo momento io creassi dal nulla, non da un parto, non da altri individui, un individuo, anche una macchina, che sia in grado di pensare, e pensare non vuol dire fare semplicemente dei calcoli, ma provare delle emozioni, avere paura di morire e di vivere, quell’individuo non dovrebbe avere le stesse dignità dell’essere umano? Io parto dal presupposto che per me l’essere umano è pensiero, consapevolezza ed emozione, quindi per me sono fondamentalmente queste le cose che danno dignità all’essere umano, per me l’embrione ha dignità soltanto fintanto che è voluto, quindi nel momento in cui c’è una componente affettiva.

Prof.: quindi non per sé, ma in funzione di altri?

Luca: fintanto che non ha coscienza di sè, sì. Daniele: vabbè ma non è che non ce l’avrà mai.

Luca: ma non ha sistema nervoso.

Prof.: ma si evolverà.

Daniele: ma tu stai decidendo per qualcosa che sarà.

Alice: ma non è detto neanche che sarà.

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(Coacervo di voci tumultuose indistinguibili)

Prof.: allora su che cosa è l’essere umano, la domanda è interessantissima e su questo c’è un dibattito molto ma molto intenso, anche perché oggi si parla di post-umano, quindi quello che ha detto lei non è poi tanta fantascienza, sta diventando scienza. C’è anche tutta una corrente di bioetica che si interessa di questo, la roboetica, quindi dell’etica dei robot, quindi non è peregrina la sua domanda, assolutamente.

(nds. per ulteriori informazioni sulla roboetica http://www.roboetica.it)

Ci confronteremo quando questo accadrà. Sicuramente se lei riuscirà a creare un individuo ex nihilo, nel senso letterale della parola, dal nulla… c’è tutto il campo interessante della biologia artificiale, cioè della creazione della vita artificialmente, dal niente… allora, solo allora, ci confronteremo su questa domanda. Sicuramente noi ora ci scontriamo sulla definizione di essere umano, su quella che può essere la considerazione di tutti gli esseri umani a partire dal loro patrimonio genetico e quindi quello che per me è il loro essere, ossia come si svilupperanno, cosa hanno dentro di sè, come potenzialità? Il fatto di diventare emozione, il fatto di diventare pensiero, il fatto di diventar intelligenza, tutte le caratteristiche dell’essere umano, si o no? A me basta che ce l’abbiano in potenza dentro di sè, a lei non basta. E qui ci scontriamo e ci dividiamo. Lei vuole non la potenza, ma l’atto. A me basta la potenza per rispettarli. La bioetica che sento molto presente qui oggi, è una bioetica che vede, sente e tocca. Perché lei dice “funziona, sente, pensa, prova dolore” e io lo sento, lo vedo e lo tocco. Lei lo bilancia poi molto intelligentemente con gli animali…c’è un esperimento che io faccio sempre con i miei studenti, ma lo faccio la prossima volta.

Luca: potrebbe essere interessante parlare anche del paradosso del tram. A volte l’ho trovato anche come “il dilemma del carrello”. Perché quando si parla per esempio della questione della sperimentazione sugli embrioni, io personalmente sceglierei di dirottare il carrello e diventare carnefice di un essere umano, ma con la certezza allo stesso tempo di salvare una comunità di essere umani. Se in questo momento io sapessi di poter agire su un embrione che è in qualche modo frutto di un incidente di una donna che decidesse comunque di abortire, io farei sperimentazioni che mi potrebbero permettere un giorno di salvare vite. Trovo che sia un compromesso accettabile. Lei ha detto che noi vogliamo toccare e vedere, ma questo è più un aspetto dello scienziato, spesso anche fine a se stesso, il medico più che il desiderio di toccare e vedere penso abbia il desiderio di salvare.

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(nds. IL DILEMMA DEL CARRELLO: Nella versione originale, un autista di un tram conduce un veicolo capace solamente, tramite deviatoio, di cambiare rotaia, senza la possibilità di frenare. Sul binario percorso si trovano cinque persone legate e incapaci di muoversi e il tram è diretto verso di loro. Tra il tram e le persone legate si diparte un secondo binario parallelo, sul quale è presente una persona legata e impossibilitata a muoversi. Le opzioni sono due: lasciare che il tram prosegua diritto e uccida le cinque persone oppure azionare il deviatoio e ucciderne una sola. Cosa fate?”. Il cosiddetto dilemma etico del male minore).

Prof.: quello che dice lei è vero, però lei non vede l’embrione come qualcuno da salvare.

Luca: no

Prof.: allora c’entra in qualche modo il fatto di sentire e vedere, perché non lo sente. Se per caso questo embrione non fosse un embrione, ma fosse un feto, forse lo avrebbe salvato.

Luca: in quel caso si, la mia definizione di essere umano parte da quello che avevo detto prima, ma mi rendo conto del fatto che non c’è un margine.

GRAZIE RAGAZZI CI VEDIAMO LA PROSSIMA VOLTA.

Antonella Spatola

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