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DIABETE MELLITO Il diabete mellito non costituisce un entità singola ma un gruppo eterogeneo di disturbi metabolici con un comune denominatore: l'iperglicemia alla base della quale ci sono diversi meccanismi fisiopatologici ed eziologici e sicuramente un assetto genetico differente. Sulla base delle conoscenze attuali il National Diabetes Data Group ha stilato una classificazione accettata unanimemente: Diabete tipo 1: anche chiamato diabete mellito insulino-dipendente ( IDDM), é caratterizzato da una scarsa produzione di insulina dovuta ad una lenta ed inesorabile distruzione delle β-cellule. La severa insulinopenia rende sempre necessaria la somministrazione di insulina esogena per controllare la glicemia, prevenire la chetoacidosi e preservare la vita del paziente. Insorge nei soggetti giovani (due picchi, uno tra 5-8 anni ed uno tra 11-13 anni). L'insulinodipendenza descrive una condizione fisiopatologica, ossia il rischio di chetoacidosi in condizioni di carenza insulinica. Diabete tipo 2: il diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM) è caratterizzato dalla combinazione di insulinoresistenza ed insulinodeficienza relativa (inadeguata secrezione compensatoria di insulina). Il contributo di queste due componenti fisiopatologiche è variabile andando da casi in cui predomina l'insulinoresistenza a casi dove invece predomina l'insulinodeficienza. I pazienti con NIDDM possono necessitare di insulina esogena per il controllo della glicemia, tuttavia la sospensione del farmaco non precipita il quadro di come chetoacidosico (sebbene l'innalzamento della glicemia possa determinare un coma iperosmolare). Il picco di insorgenza per questo tipo di diabete è intorno ai 40-50 anni. E' poco comune prima della pubertà ed in questo caso interessa soggetti affetti da obesità pediatrica, aventi uno stile di vita molto sedentario ed una dieta caratterizzata dall'assunzione di cibi ad alto contenuto di calorie e zuccheri. MODY (maturity onset diabetes of the young): Sono forme di diabete di tipo 2 (insulinoresistenza associata a insulinodeficienza relativa) in cui l'iperglicemia si manifesta sempre prima dei 25 anni di età e l'ereditarietà è di tipo autosomico dominante. Si tratta di un gruppo eterogeneo di disordini causati da una varità di mutazioni monogeniche. Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria - 1

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Il diabete mellito in pediatria. Appunti personali.

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DIABETE MELLITO

Il diabete mellito non costituisce un entità singola ma un gruppo eterogeneo di disturbi

metabolici con un comune denominatore: l'iperglicemia alla base della quale ci sono diversi

meccanismi fisiopatologici ed eziologici e sicuramente un assetto genetico differente. Sulla

base delle conoscenze attuali il National Diabetes Data Group ha stilato una classificazione

accettata unanimemente:

• Diabete tipo 1: anche chiamato diabete mellito insulino-dipendente (IDDM), é

caratterizzato da una scarsa produzione di insulina dovuta ad una lenta ed inesorabile

distruzione delle β-cellule. La severa insulinopenia rende sempre necessaria la

somministrazione di insulina esogena per controllare la glicemia, prevenire la

chetoacidosi e preservare la vita del paziente. Insorge nei soggetti giovani (due

picchi, uno tra 5-8 anni ed uno tra 11-13 anni). L'insulinodipendenza descrive una

condizione fisiopatologica, ossia il rischio di chetoacidosi in condizioni di carenza

insulinica.

• Diabete tipo 2: il diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM) è caratterizzato

dalla combinazione di insulinoresistenza ed insulinodeficienza relativa (inadeguata

secrezione compensatoria di insulina). Il contributo di queste due componenti

fisiopatologiche è variabile andando da casi in cui predomina l'insulinoresistenza a

casi dove invece predomina l'insulinodeficienza. I pazienti con NIDDM possono

necessitare di insulina esogena per il controllo della glicemia, tuttavia la sospensione

del farmaco non precipita il quadro di come chetoacidosico (sebbene l'innalzamento

della glicemia possa determinare un coma iperosmolare). Il picco di insorgenza per

questo tipo di diabete è intorno ai 40-50 anni. E' poco comune prima della pubertà ed

in questo caso interessa soggetti affetti da obesità pediatrica, aventi uno stile di vita

molto sedentario ed una dieta caratterizzata dall'assunzione di cibi ad alto contenuto

di calorie e zuccheri.

• MODY (maturity onset diabetes of the young): Sono forme di diabete di tipo 2

(insulinoresistenza associata a insulinodeficienza relativa) in cui l'iperglicemia si

manifesta sempre prima dei 25 anni di età e l'ereditarietà è di tipo autosomico

dominante. Si tratta di un gruppo eterogeneo di disordini causati da una varità di

mutazioni monogeniche.

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• Diabete mitocondriale: il diabete può essere la manifestazione di presentazione di

diverse sindromi causate da mutazioni a livello del DNA mitocondriale. Queste

mutazioni possono essere associate con molte altre condizioni patologiche quali

miopatia, encefalopatia, acidosi lattica, epilessia mioclonica, sordità, oftalmoplegia,

cardiomipatia, ecc...

• Diabete mellito gestazionale: qualsiasi grado di intolleranza al glucosio insorto o

individuato per la prima volta durante la gravidanza. Può associarsi a: morte fetale

intrauterina, macrosomia fetale ed altre morbidità neonatali (ipoglicemia,

ipocalcemia, policitemia, ittero), ipertensione materna, necessità di parto cesareo.

• Diabete secondario: effetto di farmaci, malattie pancreatiche (es. fibrosi cistica),

endocrinopatie (es. Cushing), malattie infettive, sindromi genetiche che si associano

ad insulinoresistenza/deficienza, ecc. (vedi tabella)

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• Diabete mellito neonatale: Il DN, alquanto raro (1: 400.000 – 1:500:000), può

essere determinato da diversi tipi di anomalie genetiche che possono coinvolgere le

beta-cellule pancreatiche sia per quanto riguarda la loro funzionalità (in particolare

come “sensori” della glicemia in grado di variare finemente il tasso plasmatico di

insulina in relazione ai pasti) che la loro regolazione numerica: disomia uniparentale

paterna del cromosoma 6 (6q24) ed altre alterazioni dell'espressione genica della

medesima regione cromosomica (generalmente correlate a diabete neonatale

transitorio e IUGR), mutazioni del gene KCNJ11 codificante la subunità Kir6.2 dei

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canali del K+ sensibili all' ATP (generalmente correlate a diabete neonatale

permanente), alterazioni dei fattori di trascrizione del gene dell'insulina (ad es.

“insulin promoter factor”, IPF-1, il cui gene è localizzato sul cromosoma 13),

mutazioni del gene della glucokinasi (enzima dal ruolo cruciale per segnalare alle

beta-cellule il livello plasmatico di glucosio), mutazioni del “fattore eucariotico” di

inizio traduzione 2alfa-kinasi3 (EIF2AK3), ed altre ancora in corso di identificazione

e prevedibilmente molto numerose. Studi recenti dimostrano che diverse delle

suddette mutazioni, riducendo l'esocitosi insulinica, o la sintesi dell'ormone,

determinano diminuito stimolo accrescitivo sui tessuti embrio-fetali e pertanto IUGR

(ritardo di crescita endouterino). D'altronde è ben nota la rapida ripresa della velocità

di crescita post-natale in risposta alla terapia insulinica. Altre delle su indicate

mutazioni configurano invece un disturbo in epoca fetale della regolazione numerica

della popolazione cellulare pancreatica determinando ipoplasia dell'organo. Il DN

pertanto si distingue sul piano eziopatogenetico dal diabete di tipo 1 per l'assenza di

meccanismi autoimmuni: caratteristicamente nel DN non si ritrova nessuno dei

markers anti-pancreatici responsabili della patogenesi del diabete di tipo 1. Il DN può

presentarsi sia in forma permanente (PNDM) che transitoria (TNDM), sebbene

quest'ultima sia soggetta con discreta frequenza a recidiva, ad intervallo di tempo

variabile rispetto all'esordio neonatale (spesso in epoca puberale). Alcune mutazioni

del gene KCNJ11 possono inoltre associarsi a, o complicarsi con manifestazioni

neurologiche (convulsioni, debolezza muscolare, ritardo psicomotorio) correlate a

disfunzione dei canali del K+ al livello dei neuroni, disfunzione che a sua volta in

queste cellule interferisce con la normale regolazione dei flussi transmembrana del

calcio (forme severe). Recenti trials terapeutici dimostrano l'efficacia in tali varianti,

dove l'iperpolarizzazione dei canali del potassio delle beta-cellule compromette

l'esocitosi insulinica, delle sulfaniluree (glibenclamide, tolbutamide) non solo nello

svezzamento dall'insulina ma anche nella terapia e, probabilmente, prevenzione della

sintomatologia neurologica (c.d. intervento farmacogenetico). Il trattamento iniziale

del diabete neonatale consiste nella somministrazione di insulina per il controllo

dell'iperglicemia. Recenti studi hanno evidenziato che in alcuni casi di difetto del

gene del Kir6.2 (KCNJ11) è possibile instaurare una terapia con ipoglicemizzanti

orali (glibenclamide).

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• Prediabete: esistono poi due condizioni, talvolta identificate come “pre-diabete”:

• Alterata glicemia a digiuno (IFG: impaired fasting glucose)

• glicemia a digiuno > 110 mg/dl ma < 126 mg/dl

• Alterata tolleranza al glucosio (IGT: impaired glucose tollerance)

• glicemia a digiuno < 126 mg/dl

• glicemia a 2 ore (OGGT con 75 gr.) > 140 mg/dl ma < 200 mg/dl.

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Incidenza del DMT1

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Fisiologia

L'insulina viene prodotta e rilasciata dalla β-cellule del pancreas endocrino. Sintetizzata

come proinsulina, subisce un clivaggio proteolitico che ne distacca una porzione (il peptide

C). Sia l'insulina che il peptide C vengono immagazzinati nelle vescicole secretorie e secreti

simultaneamente con l'exocitosi.

Lo stimolo principale per il rilascio dell'insulina è l'innalzamento della glicemia.

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Il glucosio penetra nelle β-cellule tramite il trasportatore GLUT-2 e viene fosforilato dalla

glucochinasi a G6P. Il metablismo del G6P porta alla formazione di ATP che chiude dei

canali KATP (sensibili alla sulfonilurea) con conseguente depolarizzazione cellulare. La

depolarizzazione determina l'apertura di canali Ca++ vol.dip; l'ingresso di Ca++ nella cellula

che mette in moto il meccanismo dell'esocitosi.

1) L'insulina favorisce la deposizione e lo storage dei lipidi nel tessuto adiposo.

• Stimola la lipoprotein-lipasi facilitando la formazione degli FFA dai trigliceridi delle

LDL e dei chilomicroni. Gli FFA vengono poi captati dal tessuto adiposo.

• Stimola l'uptake del glucosio nel tessuto adiposo per la formazione del glicerolo-

fosfato necessario per la sintesi dei trigliceridi.

• Inibisce la lipasi ormono sensibile, diminuendo la lipolisi ed il release di FFA nel

plasma.

• Inibisce la formazione di chetoacidi inibendo la degradazione degli acidi grassi (β-

ossidazione) e la chetogenesi.

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2) L'insulina stimola la lipogenesi incrementando l'attività dell'AcetilCoA carbossilasi

(catalizza la formazione di malonilCoA e promuove la formazioend i NADPH richiesto per

il processo di sintesi degli FFA).

3) L'insulina promuove la sintesi ed il contenuto di colesterolo da parte del fegato attivando

l'idrossimetilglutarilCoA reduttasi (tappa limitante e quindi regolatrice della sintesi del

colesterolo).

4) L'insulina stimola uptake degli amminoacidi e la sintesi proteica a livello muscolare,

contestualmente inibisce la proteolisi ed il release di aminoacidi.

5) L'insulina promuove la glicogenosintesi epatica.

• Promuove l'attività della glucochinasi con conseguente intrappolamento intracellulare

del glucosio (in forma di G6P).

• Attiva la glicogeno-sintasi ed inibisce la fosforilasi

• Diminuisce i livelli di G6P-fosfatasi riducendo il release di glucosio da parte del

fegato

6) L'insulina inibisce la gluconeogenesi diminuendo l'attività dell'apparato enzimatico e

riducendo la disponibilità di aminoacidi (aumento dell'uptake muscolare e della sintesi

proteica, diminuzione della proteolisi e dei livelli di aminoacidi gluconeogenetici nel

sangue).

7) L'insulina abbassa la glicemia favorendo l'uptake del glucosio da parte dei tessuti

sensibili all'insulina (fegato, tessuto adiposo e muscolo scheletrico).

8) L'insulina stimola diverse attività enzimatiche tra cui quella della fosfofruttochinasi e

della piruvato chinasi (via glicolitica).

9) L'insulina incrementa l'uptake cellulare del K+ diminuendone la concentrazione

plasmatica.

Alle azioni dell'insulina si oppongono quelle degli ormoni controinsulari, principalmente,

glucagone, adrenalina, cortisolo e GH.

Glucagone: stimola la gluconeogenesi e la glicogenolisi incrementando il release di

glucosio nel sangue ed aumentando così la glicemia; stimola la lipolisi, la beta ossidazione

degli acidi grassi e la chetogenesi.

Adrenalina: stimola la lipasi ormono sensibile e la lipolisi nel tessuto adiposo aumentano la

quota di FFA disponibili a fini energetici; stimola la gluconeogenesi e la glicogenolisi.

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Cortisolo: riduce l'uptake degli aminoacidi e la sintesi proteica in molti tessuti, stimola la

proteolisi ed il release di aminoacidi nel sangue; stimola la gluconeogensi aumentando

l'attività enzimatica gluconeogenetica e della G6P-fosfatasi; favorisce le azioni del

glucagone e dell'adrenalina, tra le quali la glicogenolisi e la lipolisi; stimola la

glicogenosisntesi favorendo la produzione di G6P; inibisce l'uptake del glucosio in diversi

tessuti (muscolare, linfoide, connettivo) risparmiandolo per l'utilizzo da parte del tessuto

nervoso centrale; determina insulinoresistenza.

GH: diminuisce l'uptake di glucosio a livello del tessuto adiposo e del muscolo; stimola la

lipolisi nel tessuto adiposo; stimola la gluconeogenesi epatica; stimola l'uptake di

aminoacidi e la sintesi proteica a livello epatico e muscolare.

Eziopatogenesi del diabete di tipo 1

Il diabete mellito di tipo 1 (T1DM) è una malattia cronica autoimmune nella quale si

verifica una progressiva e selettiva distruzione delle β-cellule del pancreas endocrino con

conseguente stato di deficit assoluto o relativo di insulina e, quindi, un'elevazione cronica

delle concentrazioni di glucosio nel sangue (iperglicemia). In particolare, il diabete mellito

di tipo 1 costituisce oltre il 97% delle cause di iperglicemia nell'età pediatrica.

Oltre agli effetti sul metabolismo dei carboidrati, il diabete mellito induce alterazioni

rilevanti del metabolismo dei grassi e delle proteine.

La distruzione selettiva delle β-cellule del pancreas è determinata da meccanismi

autoimmuni nei quali sono coinvolti fattori genetici e ambientali (malattia multifattoriale).

Fattori genetici

Numerose evidenze hanno permesso di sostenere inequivocabilmente il ruolo dei fattori

genetici nel determinismo del danno β-cellulare:

• la familiarità della malattia;

• l'associazione con antigeni di istocompatibilità (HLA);

• possibili geni candidati.

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Da questi studi si evince che il T1DM è una malattia poligenica.

La familiarità è documentata dalla osservazione che la prevalenza del T1DM è molto

superiore nei parenti di pazienti con questa malattia rispetto alla popolazione generale: un

bambino con il padre affetto ha un rischio di contrarre la malattia pari a circa il 7%; se la

madre ha il T1DM il rischio è del 3-4%; se un fratello ha il diabete il rischio è del 2-6%, ma

se è un gemello monozigote, il rischio sale al 35-45%. Ovviamente, tale rischio è

particolarmente elevato se i familiari hanno un simile assetto genetico degli aplotipi HLA.

La suscettibilità genetica al T1DM è stata descritta in associazione con HLA di classe IB

(B8 e B15 nei caucasici; Bw54 e Bw61 nei giapponesi) e di classe II DR (DR3 e DR4 nei

caucasici;DR4 DR9 nei giapponesi). Attualmente, è ben riconosciuto che il T1DM è più

strettamente associato con alleli HLA-DQ che sono in linkage disequilibrium (ereditati

insieme con una frequenza maggiore di quella che ci si aspetterebbe se non fossero

correlati) con alleli HLA-DR. Le molecole HLA che predispongono al diabete non

presentano efficacemente l'antigene durante la differenziazione timica e favoriscono lo

sviluppo di cloni self-reattivi. Sono state anche evidenziate delle molecole HLA protettive

nei confronti del diabete (HLA-DR2-DQ6): sembra che esse leghino e presentino i peptidi

diabetogeni al sistema immune durante la differenziazione embrionale causando la

delezione o la down-regulation dei cloni self-reattivi. Gli antigeni HLA sono definiti

IDDM1 e spiegano il 34% della suscettibilità genetica al T1DM.

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Tuttavia numerosi altri geni che aumentano la suscettibilità al T1DM sono stati descritti,

come il gene dell'insulina, definito IDDM2. IDDM1 e IDDM2 sono i geni che conferiscono

maggiore suscettibilità (circa il 50%). Altri geni sono stati descritti e altri ancora lo saranno

in futuro.

Fattori ambientali

Molte linee di evidenza scientifica hanno documentato il ruolo dei fattori ambientali nella

patogenesi del diabete mellito di tipo 1: aumenti dell'incidenza in popolazioni migranti (per

esempio italiani emigrati in Canada, Giapponesi emigrati negli Stali Uniti, ecc.), studi su

gemelli, epidemie di diabete in alcune regioni, aumento di incidenza negli ultimi lustri.

I maggiori candidati a un rilevante ruolo patogenetico sono:

• infezioni virali

• alimenti

• tossine

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L'attuale orientamento patogenetico è che la maggior parte dei fattori ambientali

favoriscono l'instaurarsi dei meccanismi autoimmunitari che conducono alla distruzione

delle β-cellule, mentre solo raramente il danno è causato da un effetto diretto sulle β-cellule

da parte di essi (per esempio alcune tossine o un aggressione diretta di alcuni virus).

Gli enterovirus (echovirus, coxsackie A e B) sono stati chiamati in causa nella

eziopatogenesi del diabete mellito di tipo 1 in diversi studi. I meccanismi chiamati in causa:

• alcuni virus possono infettare direttamente e permanere più a lungo nelle insule

pancreatiche: ciò può di per sé determinare una maggiore esposizione di alcuni

antigeni p-cellulari e favorire l'attivazione citochinica e T-linfocitaria che sottende la

progressiva distruzione delle cellule

• cross-reattività immunologica tra proteine virali e β-cellulari.

• gli enterovirus potrebbero anche avere rilevanti interazioni con i fattori dietetici,

modificando la permeabilità intestinale ad alcune proteine alimentari diabetogene

Anche altri virus (rosolia congenita, citomegalovirus) sono stati chiamati in causa nella

patogenesi del diabete, con studi condotti sia sull'animale che sull'uomo; tuttavia, per questi

virus mancano studi convincenti come quelli condotti per gli enterovirus.

L'omologia antigenica tra epitopi di alcuni alimenti e le β-cellule hanno stimolato numerosi

studi sui fattori dietetici . Il ruolo delle proteine del latte vaccino è stato a lungo sostenuto

dopo che studi epidemiologici hanno dimostrato una diretta correlazione tra il consumo di

latte vaccino e l'incidenza del diabete. Altri studi hanno anche dimostrato che l'albumina

bovina sierica (USA) ha omologie di struttura con un antigene β-cellulare (ICA69 o p69),

che anticorpi anti β-lattoglobulina e anti β-caseina sono più frequentemente associati con

diabete all'esordio. Tuttavia, mancano studi controllali che confermino il ruolo delle

proteine del latte vaccino nell'innescare i meccanismi che conducono al diabete.

Un settore di ricerca molto fervido è lo studio del ruolo del glutine nella patogenesi del

diabete. Studi sugli animali e sull'uomo hanno dimostrato che anticorpi anti-gliadina sono

più frequenti all'esordio della malattia.

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Meccanismi autoimmunitari

Numerose prove suggeriscono che il T1DM è indotto dalla produzione di autoanticorpi

verso autoantigeni β-cellulari. La ablazione delle β-cellule si verifica conseguentemente per

un complesso meccanismo di apoptosi cellulare indotto dal rilascio di alcune citochine

(IFN-γ. TNF-α. e altre) e mediato da Fas ligando e/o da citotossicità mediata dai T-linfociti.

Numerosi autoantigeni sono stati descritti finora.

In breve si può affermare che:

• autoanticorpi circolanti diretti contro le cellule insulari (ICA, antigeni citoplasmatici

multipli) si ritrovano nella maggior parte dei soggetti con T1DM di recente diagnosi;

• gli ICA ad allo titolo predicono un rischio del 40-60% nei successivi 5-7 anni;

• gli ICA e gli IAA (anti-insulina), e altri autoanticorpi sono presenti nel prolungato

periodo di "prediabete" che può durare anche diversi anni prima dell'esordio clinico

della malattia;

• quando sono presenti anticorpi multipli la capacità predittiva aumenta in modo

considerevole; per esempio se sono presenti anche anticorpi GAD 65kd (anti-

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glutamato-decarbossilasi) e anticorpi IA-2 (anti tirosina-fosfatasi) il rischio di

sviluppare il diabete è di oltre il 70% nei successivi 5 anni.

Anticorpo Diabetici all'esordio (%) Note

ICA 70-80 Riduzione prevalenza con l'aumentare

della durata della malattia;

Anti GAD65 75-80 Prevalenza invariata;

IAA 37-69 Prevalenza elevata nelle forme ad

esordio precoce;

IA2 40-70 Prevalenza elevata nelle forme ad

esordio precoce;

Numerose evidenze hanno quindi dimostrato che la presenza di uno o più autoanticorpi

contro alcuni antigeni β-cellulari conferisce un progressivo rischio di sviluppare il diabete;

ne consegue che la valutazione di questi markers immunologici è estremamente utile nella

individuazione dei soggetti a rischio sia nelle categorie maggiormente esposte (familiari di

pazienti con T1DM, presenza di altre malattie autoimmunitarie nell'anamnesi personale o

familiare, pazienti con rosolia connatale, soggetti con iperglicemia occasionale).

Eziopatogenesi del diabete di tipo 2

Per lungo tempo il diabete nel bambino è stato considerato il diabete di tipo 1 (T1DM)

(diabete mellito insulino-dipendente [IDDM], diabete "giovanile", diabete "magro").

Si riteneva, infatti, che il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) (diabete mellito non-insulino-

dipendente [NIDDM], diabete "grasso"), caratterizzato generalmente da insulinoresistenza,

obesità, vita sedentaria e talvolta da alterata secrezione dell'insulina, fosse una malattia

descritta solo nell'adulto e nell'età geriatrica. Sin dai primi anni '80, tuttavia, sono iniziate

segnalazioni di T2DM in adolescenti e giovani adulti. I primi casi sono stati segnalati in

bambini e adolescenti in minoranze etniche con adulti a rischio elevato di T2DM (indiani

pima, afroamericani, ispanici negli Stati Uniti, alcuni gruppi in Giappone, aborigeni in

Australia), ma recentemente sono stati segnalati in letteratura anche bambini e adolescenti

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caucasici con T2DM. L'obesità, ma soprattutto il tessuto adiposo viscerale, sembra uno dei

principali fattori di rischio. L'aumentata prevalenza di questo fenomeno in età pediatrica,

associato con altri fattori di rischio (genetica, etnia, stile di vita sedentario, dislipidemia) è

stata correlata con lo sviluppo di insulinoresistenza che in presenza di una normale funzione

della β-cellula ha un adeguato compenso metabolico che mantiene la glicemia normale a

fronte di un'elevazione di livelli di insulinemia. Se, a un certo punto, la β-cellula va incontro

a uno scompenso, si sviluppa il diabete mellito di tipo 2 (T2DM).

In una coorte multietnica di bambini e adolescenti obesi è stata trovata una percentuale

molto elevata di intolleranza glucidica (IGT) (21-25%) mentre il diabete di tipo 2 è stato

riscontrato solo nel 4% degli adolescenti. I rischi principali, legati allo sviluppo di IGT.

sono rappresentati principalmente dall'insulinoresistenza, dall'iperinsulinemia e

dall'iperproinsulinemia.

Molti geni sono candidati per la patogenesi del diabete di tipo 2. tra cui quelli che

codificano per:

• cascata del segnale dell'insulina:

• recettore dell'insulina;

• substrati del recettore dell'insulina;

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• enzimi (pi3chinasi, tirosin chinasi ecc.);

• fattori di trascrizione:

• fattori tessuto-specifici (insulino-sensibili);

• trasportatori del glucosio (glut4, ecc.);

• sintesi del glicogeno;

• canali del potassio;

• recettori per sulfonilurea;

• fattori rilasciati dal tessuto adiposo

Anche numerosi fattori ambientali, legati soprattutto allo stile di vita, possono contribuire

allo sviluppo di diabete di tipo 2, come:

• obesità;

• sedentarietà:

• alimentazione inappropriata:

• stress;

• occidentalizzazione, urbanizzazione.

Nella progressione dall'insulinoresistenza allo sviluppo di T2DM sono stati descritti vari

quadri intermedi:

1) uno stato di iperinsulinemia con normale tolleranza glucidica;

2) successivamente uno stato di iperglicemia postprandiale fino a una vera e propria

ridotta funzione β-cellulare su cui agiscono vari fattori, come la glucotossicità, la

lipotossicità e l'autoimmunità latente.

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Quindi in termini fisiopalologici la storia naturale del diabete di tipo 2 può iniziare

dall'insulino-resistenza legata all'obesità, associata o meno ad altri fattori di rischio genetici

e ambientali. Sicuramente i passaggi non sono obbligati e un individuo potrebbe avere una

marcata insulino-resistenza ma, se le sue β-cellule riuscissero a secernere abbastanza

insulina, non svilupperebbe mai il diabete. Infatti per avere un diabete clinicamente

manifesto è necessario sviluppare un'anormale funzione β-cellulare con il conseguente

deficit relativo di insulina e iperglicemia.

La curva da carico orale di glucosio (OGTT, Oral Glucose Tolerance

Test)

A digiuno, di prima mattina, la glicemia è normalmente di 80-90 mg/100 ml.; il valore di

110 mg/100 mL viene considerato, in generale, come il limite superiore normale. Nel

diabete di tipo I, i livelli plasmatici di insulina sono molto bassi sia a digiuno sia dopo

l'assunzione di un pasto. Nel diabete di tipo II, invece, questi livelli sono molto superiori

alla norma e abitualmente aumentano notevolmente dopo l'ingestione del carico standard di

glucosio durante il test di tolleranza al glucosio.

Quando un soggetto normale ingerisce a digiuno una certa quantità di glucosio, la glicemia

sale da circa 90 mg/100 mL a 120-140 mg /100 mL, quindi ricade, scendendo al di sotto del

suo livello normale in circa 2 ore. Dopo ingestione di glucosio, i soggetti diabetici

presentano un aumento della glicemia molto maggiore rispetto al soggetto normale, come

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mostra la curva, e il tasso glicemico ridiscende verso il valore iniziale soltanto dopo 4-6 ore,

senza oltrepassare, inoltre, il livello di partenza.

La lenta caduta della curva e il fatto che questa non scenda alla fine al di sotto del livello

iniziale indicano che (1) o non si verifica il normale aumento della secrezione insulinica in

risposta all'ingestione di glucosio (2) oppure che la sensibilità all'insulina è diminuita. La

diagnosi di diabete mellito può essere quindi formulata sulla base dell'andamento di questa

curva, mentre la differenzazionc tra tipo I e tipo II può essere fatta dosando l'insulina nel

plasma. Nel diabete di tipo I questo valore è basso, o addirittura non misurabile, mentre è

aumentato nel diabete di tipo II.

Nel bambino si effettua una somministrazione rapida di glucosio per via orale, al mattino

dopo una notte di digiuno, di una soluzione di glucosio ( 1,75 g/Kg fino ad un max di 75g).

Si valuta la glicemia basale e poi quella dopo 30, 60, 90 e 120 minuti.

Si parla di ridotta tolleranza al glucosio quando a 2h la glicemia è compresa tra 140 e 200

mg/dl (nel diabete mellito > 200 mg/dl).

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 20: Martinelli.md.Diabete Pediatria

La diagnosi clinica di T1DM nell'età pediatrica e le sue fasi

L'insulina è uno degli ormoni anabolizzanti più importanti del nostro organismo, è secreto in

grande quantità con l'assunzione del cibo, regola l'ingresso del glucosio nelle cellule, ne

favorisce l'utilizzazione ed il deposito sotto forma di glicogeno. Favorisce inoltre la sintesi

proteica e dei lipidi a lunga catena.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 21: Martinelli.md.Diabete Pediatria

La sua secrezione si riduce nel digiuno e ciò favorisce la scissione dal glicogeno di molecole

di glucosio. Il ciclo glicemico giornaliero dell'insulina prevede un aumento della secrezione

che avviene ai pasti ed un rapido decremento durante il digiuno. L'insulina svolge la sua

funzione nel muscolo, nel tessuto adiposo e soprattutto nel fegato dove viene trasportata dal

circolo portale e inattivata per il 60% della sua secrezione dopo naturalmente aver svolto la

sue funzioni.

La carenza di insulina determina uno stato catabolico permanente e l'introduzione del cibo

accentua tale condizione. Lo scompenso metabolico è accentuato dalle aumentate

concentrazioni degli ormoni controinsulari mediante la loro azione antagonista

promuovendo la glicogenolisi, la endogenesi, la gluconeogenesi e la lipolisi.

Nella maggioranza dei soggetti in età evolutiva la diagnosi di diabete mellito di tipo I

dovrebbe essere posta senza difficoltà e con urgenza; un dato anamnestico recente di

poliuria (spesso anche di pollachiuria, nicturia, enuresi secondaria), sete e polidipsia,

polifagia e dimagrimento è un'indicazione inequivocabile per richiedere un esame delle

urine per glicosuria e chetonuria e una glicemia.

La presenza di glicosuria, chetonuria e di glicemia a digiuno superiore, in genere, a 150-

200 mg/dL pone pochi dubbi sulla diagnosi di diabete mellito di tipo 1.

Tuttavia molti bambini si presentano alla diagnosi con chetoacidosi grave o, comunque, con

sintomi che talvolta datano da lungo tempo.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 22: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Basi della diagnosi

STORIA CLINICA E SINTOMI CLASSICI (fondamentale)

Dobbiamo pensare al diabete quando:

• bambino disidratato che emette la stessa quantità di urina o maggiore

• bambino che mangia tanto ma dimagrisce

• bambino con nausea e vomito senza una causa precisa, alito acetonico, letargico e

con un fratello o un genitore con IDDM

• segni di chetoacidosi (polipnea e respiro di Kussmaul, forma di respiro patologico

caratterizzato da atti respiratori molto rapidi e profondi e associato a acidosi

metabolica grave; è una forma di iperventilazione compensatoria in cui l'aumento

della frequenza respiratoria ha lo scopo di incrementare l'eliminazione dell'anidride

carbonica per compensare la riduzione del pH del sangue.)

Esistono casi statisticamente a rischio di sviluppo di diabete (importante per la diagnosi

precoce):

• Alterata tolleranza al glucosio (iperglicemie occasionali e in OGTT)

• Predisposizione genetica

• Presenza di Ab anti-insulari

• Parenti di 1° grado affetti

• Soggetti con patologie endocrinologiche autoimmuni (tiroiditi, insufficienza

surrenalica, malattie intestinali croniche e celiachia)

• Bambini che hanno avuto glicemia a digiuno > 100 mg/dl (senza cortisonici e non

obesi)

STICK-URINE (primo esame da effettuare)

• glicosuria

• ↑ PS

• chetonuria

• lieve proteinuria

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 23: Martinelli.md.Diabete Pediatria

GLICEMIA

• Vedi i valori di riferimento.

• Nel coma diabetico può essere > 700 mg/dl.

OGTT

• Se la sintomatologia non è caratteristica ma la glicemia a digiuno è > 110 mg/dl

EGA

• Il PH è < 7 nella chetoacidosi.

CHETONEMIA

ELETTROLITI

ECG

Esami che possono essere utili ma non hanno una ricaduta immediata sono:

DOSAGGIO ICA e IAA

IDENTIFICAZIONE HLA

DETERMINAZIONE C-PEPTIDE

EMOGLOBINA GLICOSILATA (Hb-A1C)

• Deriva dal fatto che l’Hb circolante si lega chimicamente al glucosio e quindi la sua

% è in fx della glicemia.

• Rappresenta una misurazione diretta dell’andamento medio della glicemia negli

ultimi 3 mesi (infatti la vita media del GR è di 120 giorni).

• Si normalizza in 1-2 mesi dopo la normalizzazione della glicemia.

• I valori normali sono del 7-7,5%.

FRUTTOSAMINE

• Proteine plasmatiche (in maggioranza albumina) che si sono legate al glucosio

circolante.

• Rappresentano un indice di controllo della glicemia nelle 2-3 settimane precedenti

(cattivo controllo per valori > 2,5 mmol/L).

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Page 24: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Fasi cliniche del diabete di tipo 1

È ormai ben dimostrato che il diabete clinicamente manifesto è preceduto da una lunga fase

di riduzione della produzione di insulina da parte delle β-cellule (prediabete), che può

precedere la presentazione della malattia anche di anni; dopo l'esordio, può conseguire una

fase nella quale la produzione di insulina può aumentare considerevolmente (fase di

remissione o di "luna di miele"), ma successivamente si determina una totale perdita della

capacità di secernere insulina quando necessario e una permanente, irreversibile

insulinodipendenza.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 25: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Vi è grande interesse scientifico su quali siano i fattori che influenzano la fase di

remissione: è opinione comune che un esordio non associato a chetoacidosi, valori di

glicemia costantemente vicini alla norma, età superiore a 6 anni (nei bambini più piccoli la

fase di remissione è molto breve o del tutto assente) e probabilmente alcuni HLA, siano

associati a un più lungo periodo di remissione.

Lo screening per il prediabete è giustificato esclusivamente in categorie particolari (per

esempio nei bambini con iperglicemie occasionali, nei parenti di primo grado affetti da

diabete, nei bambini con endocrinopalie autoimmuni o in quelli con rosolia connatale).

Non vi è alcuna indicazione attualmente per uno screening sulla popolazione generale.

Quando il danno β-cellulare supera il 90% o in occasione di eventi stressanti (infezioni,

pubertà, stress emotivi, febbre), che normalmente inducono un aumento del fabbisogno di

insulina, la secrezione di insulina non è più sufficiente a mantenere una glicemia normale o

di poco alterata. Ne consegue che l'assenza d'insulina determina una mancata utilizzazione

del glucosio da parte del tessuto muscolare e adiposo e una ridotta glicogenosintesi, con

aumentata lipolisi e gluconeogenesi e, conseguentemente, iperglicemia.

Quando la glicemia supera la soglia renale del glucosio (circa 180 mg/dL), si verifica un

progressivo e considerevole passaggio di glucosio nelle urine (glicosuria) che induce una

aumentata diuresi osmotica (poliuria), aumento della sete (polidipsia), progressiva

disidratazione, perdita di peso (nonostante vi sia in genere un aumento dell'appetito),

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 26: Martinelli.md.Diabete Pediatria

sintomi associati al ridotto afflusso cerebrale (sonnolenza, obnubilamento fino al coma).

La progressione dalla fase di remissione parziale alla fase stabile di insulinodipendenza

totale è in genere graduale, ma può essere accelerata da alcuni fattori, quali infezioni

intercorrenti, febbre, stress psicologici, la pubertà (comunque fattori che inducono aumento

del fabbisogno di insulina).

Manifestazioni cliniche e diagnosi del T2DM

Il T2DM si manifesta nell'adolescente con segni clinici estremamente variegati che possono

andare da gravi manifestazioni di deficit di insulina a iperglicemia lieve identificata

incidentalmente. E rilevante ricordare che alcuni di questi ragazzi possono manifestare

chetonuria con o senza chetoacidosi e segni acuti compatibili con la diagnosi di diabete

mellito di tipo 1 (poliuria, polidipsia, nicturia e perdita di peso), che richiedono terapia

insulinica. Con questo tipo di manifestazioni cliniche la distinzione tra T2DM e T1DM è

difficile ed è necessario valutare gli autoanticorpi (ICA, 1AA, GADA e IA-2, che sono

ovviamente negativi nel T2DM) e seguire il decorso clinico (la presenza di obesità grave, di

acanthosis nigricans. di sindrome dell'ovaio policistico. di appartenenza a gruppi etnici ad

alto rischio di T2DM) faciliterà la diagnosi differenziale. Alcuni pazienti possono essere

totalmente asintomatici e il sospetto diagnostico può essere posto per una iperglicemia e/o

glicosuria incidentale. L'età media alla diagnosi è di 13,5 anni e la maggior parte dei

pazienti descritti in letteratura era in fase puberale. Diversamente dal T1DM, le ragazze

sono a maggior rischio dei ragazzi (con un rapporto 1,671-3/1 nei diversi studi). Oltre il

95% dei pazienti è obeso (BMI > 85° percentile), acanthosis nigricans è presente nel 60-

95% dei pazienti. La storia familiare di T2DM è un'altra caratteristica presente in circa il

95% dei ragazzi; essendo il T2DM una malattia poligenica, non vi è una trasmissione

autosomica dominante, caratteristica, invece, del MODY.

Diagnosi

Le caratteristiche metaboliche e biochimiche dei giovani con T2DM non sono ancora

definitivamente chiare; ciò è dovuto al fatto che nella maggior parte dei casi la diagnosi è

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 27: Martinelli.md.Diabete Pediatria

posta retrospettivamente con mancanza di uniformità nella definizione dei casi, raccolta dei

dati e follow-up dei ragazzi. I dati attualmente disponibili indicano che i ragazzi con T2DM

hanno all'esordio della malattia livelli più bassi di glicemia, concentrazioni più alte di

insulinemia e di C-pcptide, sono meno frequentemente chetonurici e hanno acidosi più

lieve. L'obesità e l' acanthosis nigricans sono altamente suggestive di insulino-resistenza;

l'insulino-resistenza e l'iperinsulinismo sono presenti precocemente e possono essere

predittivi di suscettibilità al diabete di tipo 2.

Come è noto il T2DM è un complesso disordine metabolico con una eziologia eterogenea e

fattori di rischio sociali, comportamentali e ambientali che favoriscono l'insorgenza di

diabete in ragazzi geneticamente predisposti. Infatti. la componente ereditaria (multigenica)

svolge un ruolo importante nel determinismo della malattia, ma il recente marcato aumento

nella incidenza dimostra anche il rilevante ruolo dei fattori ambientali (soprattutto

alimentazione e sedentarietà). L'omeostasi glucidica dipende dal bilancio tra secrezione di

insulina dalle β-cellule pancreatiche e l'azione della insulina in periferia; affinché si

determini una iperglicemia l'insulino-resistenza non è sufficiente ed è necessario che vi sia

una inadeguata secrezione di insulina da parte della β-cellula. L'evoluzione da normale ad

alterala tolleranza glucidica è associata con un peggioramento dell'insulino-resistenza.

Pertanto, nei pazienti con T2DM sono presenti sia un'alterata azione dell'insulina (insulino-

resistenza) che una insufficienza secretoria di insulina; il fallimento secondario delle β-

cellule a continuare a secernere maggiori quantità di insulina segna la fase di passaggio

dalla insulino-resistenza (con iperinsulinismo compensatorio e glicemia normale) al diabete

clinicamente evidente (con iperglicemia a digiuno e aumento della produzione epatica di

glucosio). Occorre, inoltre, sottolineare come l'iperglicemia di per sé può peggiorare sia

l'insulino-resistenza sia le anormalità secretive di insulina, il che può accelerare la fase di

transizione dalla intolleranza glucidica al diabete clinicamente manifesto o aggravare il

diabete (determinando la necessità di antidiabetici orali o di insulino-terapia).

La pubertà ha anche un ruolo importante nello sviluppo del T2DM; è noto, infatti, che la

pubertà è caratterizzata da insulino-resistenza e studi con clamp euglicemico-

iperinsulinemico hanno dimostrato che la disponibilità di glucosio mediata dall'insulina è in

media del 30% più bassa negli adolescenti con stadio di Tanner II-IV rispetto ai bambini

prepuberi (stadio puberale Tanner I) e rispetto agli individui postpuberali. In presenza di una

normale funzione β-cellulare, l'insulino-resistenza è compensata da un'aumentata secrezione

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 28: Martinelli.md.Diabete Pediatria

insulinica che mantiene la tolleranza glucidica normale. In soggetti obesi o con aumentata

suscettibilità genetica al T2DM, la pubertà può rendere clinicamente manifesta l'intolleranza

glucidica dopo carico o l'iperglicemia a digiuno. Altri fattori di rischio sono la presenza di

ipertensione, di iperlipidemia (ipercolesterolemia. Ipertrigliceridemia, aumento dell' LDL-

colesterolo, riduzione dell'HDL-colesterolo) e di ovaio policistico.

Le complicanze del diabete mellito

Sono di tipo acuto e di tipo cronico.

Complicanze di tipo acuto

Iperglicemiche

Chetoacidosi diabetica

Coma chetoacidosico

Coma iperosmolare

Ipoglicemiche

Ipoglicemia acuta

Coma ipoglicemico

Complicanze di tipo cronico

Microangiopatia diabetica

Macroangiopatia diabetica

Nefropatia diabetica

Oculopatia diabetica

Neuropatia diabetica

Piede diabetico

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 29: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Chetoacidosi diabetica e coma chetoacidosico

La chetoacidosi diabetica (DKA) è un'acidosi metabolica secondaria all'accumulo di corpi

chetonici dovuto alla grave riduzione dei livelli di insulina. Colpisce il 30-40% dei bambini

con IDDM. Responsabile del 5% dei decessi per diabete (nell’anziano ha una mortalità del

20%) le cui cause più frequenti sono l’edema cerebrale, IMA e pancreatite acuta. È la

manifestazione d’esordio nel 25% dei casi. La DKA deriva dallo spostamento da un

metabolismo basato sull'ossidazione del glucosio ad un metabolismo basato sull'ossidazione

dei lipidi. Nei pazienti affetti da DMT1 può presentarsi all'esordio oppure viene precipitata

da:

• interruzione della terapia insulina

• condotta alimentare non adeguata

• infezioni, traumi (rendono insufficiente il normale dosaggio insulinico)

Glicosuria e chetonuria possono essere determinate facilmente tramite l'utilizzo di stick

(metodo colorimetrico) e misurate quindi anche a casa in qualsiasi momento. Per la glicemia

si utilizza lo stick glicemico. La chetonuria deve essere valutata durante qualsiasi malattia

(vomito incluso) e ogni volta che la glicemia a digiuno supera i 240 mg/dl (13.3 mmol/L) o

che la glicemia non a digiuno (misurazione casuale) supera i 300 mg/dl (16.6 mmol/L).

Nella DKA la spiccata iperglicemia determina notevole diuresi osmotica con forte perdita

idroelettrolitica, disidratazione ed ipovolemia. Se non vengono reintegrati liquidi si

determina anche iperosmolarità. L'aumentata lipolisi produce grandi quantità di FFA che

vengono metabolizzati a livello epatico con formazione di corpi chetonici, cui consegue

chetonemia, acidosi metabolica e chetonuria (acido acetoacetico e beta-idrossibutirrico).

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 30: Martinelli.md.Diabete Pediatria

L'acetone si accumula nel plasma e viene lentamente eliminato con la respirazione (alito

acetonemico, dal classico odore di frutta troppo matura o francamente marcia).

La carenza di insulina e l'acidosi favoriscono l'iperkaliemia, mentre l'ipovolemia può

precipitare una insufficienza renale acuta di tipo prerenale. L'eccessivo catabolismo

proteico induce iperfosfatemia. L'ipovolemia e la ridotta perfusione possono determinare

acidosi lattica che aggrava lo squilibrio acido-base.

I sintomi ed i segni iniziali sono solitamente poliuria, polidipsia, astenia (dovuti

all'iperglicemia), nausea, vomito, dolore addominale (dovuti alla chetoacidosi). La DKA

determina uno stato di ileo paralitico ed il dolore addominale, specie nei bambini, può

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 31: Martinelli.md.Diabete Pediatria

essere così intenso da simulare un quadro di addome chirurgico (talvolta vi si associa anche

leucocitosi). Possono presentarsi crampi e dolori muscolari vari. La deplezione di volume

determina cute e mucose asciutte, bulbi oculari infossati, ipotensione fino allo shock

ipovolemico, tachicardia.

Il respiro è particolare, boccheggiante, profondo e lento (respiro di Kussmaul): iperpnea

caratterizzata da inspirazione profonda, piccola pausa, espirazione rapida (forzata e

gemente). Nella chetoacidosi severa, quando il pH scende sotto 7, la depressione respiratoria

può inibire il respiro di Kussmaul. L'alito è acetonemico. Con l'aggravarsi del quadro

compaiono i segni neurologici (determinati da vari fattori in primis l'aumento

dell'osmolarità e l'alterazione del pH del' LCS): alterazioni dello stato di coscienza a vari

livelli, dalla letargia fino al coma.

Le analisi di laboratorio mostrano:

• Glicemia ≥ 200 mg/dl

• pH sangue venoso < 7.3 e/o bicarbonato sierico < 15 mmol/L (mEq/L)

• Chetonemia totale (β-idrossibutirrato ed acetoacetato) > 3 mmol/L

• Glicosuria; Chetonuria

Altri esami da eseguire: emocromocitometrico, emogasanalisi, ionogramma (natremia,

cloremia, potassiemia) con fosforemia, osmolalità plasmatica, azotemia, creatininemia,

controllo diuresi.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 32: Martinelli.md.Diabete Pediatria

La DKA può essere classificata come

• Lieve: pH < 7.3, bicarbonati < 15 mmol/L

• Moderata: pH < 7.2, bicarbonati < 10 mmol/L

• Severa: pH < 7.1, bicarbonati < 5 mmol/L

I principali obiettivi da perseguire nella terapia della chetoacidosi diabetica sono la

correzione dell'ipovolemia e della disidratazione (terapia della reidratazione), della

chetoacidosi (terapia insulinica), degli squilibri elettrolitici (correzione degli ioni) e infine

l'identificazione e il trattamento delle cause che hanno condotto alla chetoacidosi (per

esempio, infezioni). Il trattamento deve essere iniziato non appena viene effettuata la

diagnosi. Il primo passo e una valutazione clinica del grado di disidratazione. A seconda

del grado di disidratazione, se lieve, moderata o grave, si può presumere una perdita del

peso corporeo che può variare dal 4-5% fino al 10% e anche oltre, con deficit di liquidi pari

a 50-100 ml/kg.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 33: Martinelli.md.Diabete Pediatria

L'esame clinico in base ai segni e ai sintomi può aiutare nello stabilire il grado di

disidratazione. Una valutazione più attendibile può essere effettuata determinando la perdita

di peso subita dal paziente conoscendone il peso precedente all'episodio. La quantità totale

di liquidi ed elettroliti da somministrare si valuta sulla base delle perdite subite e dei bisogni

di mantenimento, con successivi aggiustamenti in rapporto ai dati clinici e di laboratorio. La

somministrazione nel tempo dei liquidi previsti (perdile idriche + bisogno idrico) può essere

ripartita in 24-36 ore. Nei casi con marcata disidratazione (> 15%) e con elevata osmolalità

plasmatica la terapia reidratante deve essere effettuata in 48 ore. Attualmente si sostiene che

per prevenire l'edema cerebrale è opportuno che i liquidi vengano somministrati nel corso

del trattamento a una velocità di infusione non superiore a 4L/m2/24 ore.

La terapia reidratante rappresenta il cardine del trattamento della chetoacidosi diabetica:

essa deve iniziare non appena effettuati i prelievi basali. Le decisioni da prendere per quanto

riguarda la terapia della reidratazione sono:

• quantità di liquidi da infondere nelle prime 24 ore

Il totale dei liquidi da infondere nelle prime 24 ore è dato dalla somma dei liquidi di

mantenimento più i liquidi stimati sulla base della disidratazione (abitualmente è del 5%, nei

casi più gravi del 10%).

E' da sottolineare che deve essere assolutamente evitata la correzione troppo brusca dello

stato di disidratazione, in quanto a rischio di complicanze neurologiche gravi.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 34: Martinelli.md.Diabete Pediatria

• modalità dì infusione dei liquidi e tipi dì liquidi da infondere

Dopo avere calcolato la quantità da infondere si somministra nella prima ora un'infusione di

10-20 ml/kg di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0.9% che risulta isotonica nel soggetto

con normale osmolarità plasmatica ma ipotonica nel paziente iperosmolare, ma

contestualmente evita una caduta troppo rapida dell'osmolarità riducendo il rischio di edema

cerebrale intracellulare); solo in casi particolarmente gravi caratterizzati da shock e collasso

circolatorio periferico la soluzione fisiologica potrà essere sostituita da macromolecole di

sintesi. Poiché nel conteggio dei liquidi da somministrare nelle prime 24 ore deve essere

ovviamente compresa la quantità somministrata nella prima ora, la quantità calcolata

restante viene distribuita per metà nelle prime 8 ore e il rimanente nelle successive 16 ore.

Dopo la prima ora e fino a quando la glicemia non scende al di sotto di 250 mg/dl si

consiglia l'utilizzo di una soluzione salina allo 0,45% (emi-fisiologica) o allo 0,75%: essa ha

il vantaggio di espandere il volume plasmatico senza aumentare eccessivamente l'osmolalità

plasmatica (la preparazione di questa soluzione può essere effettuata in reparto). Quando la

glicemia scende al di sotto dei 250 mg/dl i liquidi devono essere somministrati in forma di

soluzione glucosata al 5-10% o tenendo comunque conto che la quantità di glucosio ottimale

da somministrare è di 5-10 g/ora.

Nelson, 18th ed.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 35: Martinelli.md.Diabete Pediatria

L'insulinoterapia rappresenta, insieme alla terapia reidratante, l'altro aspetto essenziale del

trattamento della chetoacidosi diabetica. Gli schemi di trattamento attualmente in uso, che

prevedono l'infusione continua di piccole dosi di insulina rapida, si sono dimostrati molto

più efficaci e maneggevoli dei vecchi trattamenti solo a bolo. Può essere prevista

inizialmente, alla fine della prima ora di reidratazione, l'infusione rapida per via endovenosa

di un bolo di 0.1 U/kg di insulina ad azione rapida. Viene successivamente avviato il

trattamento con infusione EV lenta di 0,1 U/kg/ora di insulina rapida.

Si considera soddisfacente una riduzione della glicemia di circa 150-200 mg/dl nelle prime

2 ore. Una riduzione inferiore ai 100 mg/dl richiede un aumento della quantità di insulina

(da 0,1 U/kg/ora a 0,2 U/kg/ora); viceversa una riduzione della glicemia che superi i 300

mg/dl nelle prime 2 ore è da ritenere eccessiva e pertanto richiede un dimezzamento della

dose di insulina infusa (da 0,1 U/kg/ora a 0.05 U/kg/ora). La successiva posologia oraria

dell'insulina deve essere regolata in base ai valori della glicemia: se la glicemia scende al di

sotto dei 200 mg/dl è necessario dimezzare la velocità di infusione. Il trattamento con

insulina EV viene generalmente protratto per almeno 24-30 ore in modo da ottenere la

completa risoluzione della chetoacidosi e il ripristino di uno stato di sufficiente idratazione.

Quindi si può passare alla somministrazione per via sottocutanea Inizialmente viene

utilizzata una posologia totale di 0,8-1 U/kg/die, in 3 o 4 somministrazioni giornaliere,

adeguandola al fabbisogno reale valutato in base alle determinazioni della glicemia e della

glicosuria-chetonuria.

L'utilizzo dei bicarbonati nel trattamento della chetoacidosi diabetica di regola non è da

raccomandarsi. Tuttavia esso trova impiego se, dopo la prima ora di trattamento, il pH è

inferiore a 7,0, poiché un'acidosi severa peggiora la contrattilità del miocardio e provoca

vasodilatazione periferica e resistenza all'azione dell'insulina. La somministrazione del

bicarbonato può provocare i seguenti effetti negativi: 1) peggiorare la depressione del SNC

aumentando paradossalmente l'acidosi all'interno della barriera ematoencefalica, che viene

attraversata più rapidamente dalla CO2, che dall'HCO3 2) aggravare l'ipokaliemia; 3)

provocare una riduzione della dissociazione dell'ossiemoglobina, con aggravamento

dell'ipossia tissutale e aumento della latticoacidemia; 4) contribuire all'iperosmolalità.

Nei pazienti che presentano grave acidosi (pH < 7), ipotensione, aritmie è possibile

somministrare una quantità di NaHCO3 di 1–2 mmol/kg in almeno 2-3 ore ( o meglio, se è

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 36: Martinelli.md.Diabete Pediatria

possibile calcolare il deficit di basi, pari alla metà di quella ottenuta con la formula: deficit

di basi in mEq/L * peso in kg * 0,3)

Nel corso della chetoacidosi diabetica è caratteristica un'alterazione del metabolismo del

potassio. Nelle prime ore la potassiemia (che non equivale ai livelli totali di potassio, che

sono ridotti) può essere significativamente elevata a spese del potassio intracellulare (sia

l'effetto osmotico dell'iperglicemia, che sposta i liquidi dal compartimento intra- a quello

extracellulare, sia l'acidosi determinano una fuoriuscita di potassio dalle cellule) e tale da

dare alterazioni all'ECG (onde T appuntite ed elevate). Solo dopo qualche ora compare una

condizione di ipopotassiemia spesso grave (onde T basse associate a onde U,

sottoslivellamento del tratto ST, prolungamento del tratto PQ all'ECG) dovuta alla poliuria

osmotica, alla escrezione urinaria dei chetoacidi sotto forma di sali di potassio,

all'iperaldosteronismo secondario alla disidratazione e, con l'infusione di insulina, al

passaggio intracellulare del potassio plasmatico.

Si raccomanda una corretta prevenzione dell'ipopotassiemia tenendo comunque presente

che, se la diuresi è conservata, la somministrazione di potassio deve iniziare già con l'avvio

della terapia reidratante e deve essere protratta per le prime 12 ore di trattamento sulla guida

della potassiemia e del tracciato ECG. Lo schema da utilizzato è il seguente:

• con valori superiori a 5 mEq/l: non intervento

• con valori compresi tra 3,5 e 5 mEq/l: si aggiungono 20 mEq di potassio per litro di

liquido di infusione;

• con valori inferiori a 3,5 mEq/l: si somministra il potassio a concentrazioni superiori

(fino a 40 mEq/l) ma solo con monitoraggio continuo dell'ECG per il rischio di

aritmie.

Supplementazioni di potassio per via orale possono poi essere somministrate nei giorni

successivi (3 g di KCl/die). Per la correzione della potassiemia è opportuno impiegare una

soluzione di KCl e KPO ( in parti uguali: in tal modo si fornisce anche un adeguato apporto

di fosforo e si evita l'ipercloremia. Raccomandiamo infine di usare estrema prudenza nella

somministrazione del potassio non superando mai i 5 mEq/kg/die né i 40 mEq/l di soluzione

e di verificare costantemente la validità della diuresi.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 37: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Nelle prime ore di trattamento si osserva frequentemente una critica riduzione della

fosforemia. Poiché tale alterazione può provocar una diminuita concentrazione

intraeritrocitaria di 2,3 difosfogliceraldeide (DPG) e quindi aumentare l'affinità dell'Hb per

l'ossigeno, alterando gli scambi gassosi, è opportuna la somministrazione di fosfato di

potassio alle modalità già indicate. Si sottolinea infine che può essere presente anche

ipocalcemia: per tale motivo è necessario monitorare la calcemia e correggere l'eventuale

deficit con gluconato di calcio.

La complicanza più temibile della chetoacidosi in età pediatrica è rappresentata dall'edema

cerebrale, evento raro ma associato a elevata mortalità (90%). L'edema cerebrale deve

essere sospettato dopo alcune ore dall'inizio del trattamento, in genere dopo l'ottava ora se il

paziente non riprende conoscenza, o se dopo una fase di transitorio miglioramento

ripresenta stato di sonnolenza, a fronte di parametri del controllo metabolico già

normalizzati. Clinicamente si caratterizza per l'ulteriore progressiva alterazione del sensorio,

riduzione del riflesso pupillare, papilledema, segni di compromissione del tronco cerebrale.

Il trattamento dovrebbe essere il più tempestivo possibile e intrapreso appena tale

complicanza venga sospettata. La velocità di infusione dei fluidi andrebbe ridotta. Sebbene

il mannitolo ha mostrato possibili effetti benefici in vari casi, non è possibile determinare un

effetto benefico negli studi epidemiologici. La risposta potrebbe essere alterata dalla

tempestività di somministrazione. Quindi il trattamento con mannitolo per via endovenosa,

alla dose di 0,25-1,0 g/kg in 20 minuti, dovrebbe essere iniziato il più precocemente

possibile. La soluzione ipertonica, a 5-10 ml/kg per 30 minuti, potrebbe essere un'alternativa

al mannitolo. Non ci sono dati riguardanti l'uso dei glucocorticoidi nell'edema cerebrale da

DKA. Predisporre l'intubazione e, se necessario, iperventilare il bambino al fine di ridurre la

pCO2. E' utile eseguire una TC encefalo per escludere altre cause (trombosi, emorragie,

infarti).

Coma iperglicemico-iperosmolare non chetosico

Sindrome caratterizzata da iperglicemia, disidratazione estrema ed iperosmolarità

plasmatica che conducono alla compromissione dello stato di coscienza, talvolta

accompagnata da convulsioni. E' una complicanza del DMT2 e non è molto comune nei

bambini.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 38: Martinelli.md.Diabete Pediatria

E' caratterizzato da:

• Glicemia elevata (> 600 mg/dL)

• Osmolarità elevata (>300 mOsm/L)

• Grave disidratazione

• Acidosi e chetosi modeste o assenti

Nota osmolarità: [2Na+(mEq/L)+glicemia(mg/dL)+azotemia(mg/dL)] /2,8

La mancanza della chetosi è in relazione ai livelli di insulina (nel DMT2 c'è iperinsulinemia

relativa), sufficienti ad inibire la chetogenesi, ed all'elevata iperosmolarità che riduce

l'effetto lipolitico dell'adrenalina.

Si verifica dopo un periodo di iperglicemia sintomatica, durante il quale l'apporto di liquidi

è inadeguato a prevenire la disidratazione estrema dovuta alla diuresi osmotica indotta

dall'iperglicemia. All'esordio dei sintomi neurologici la diuresi è marcatamente ridotta a

causa dell'ipovolemia conseguente alla disidratazione.

La cute del paziente è secca e disidratata, sono presenti ipotensione e tachicardia. I segni

neurologici vanno da convulsioni focali o generalizzate a letargia fino al coma. In caso di

acidosi lattica (da ipoperfusione) può comparire il respiro di Kussmaul.

La terapia si basa sulla correzione del deficit idrico (con normosalina 0,9%, metà del deficit

in 6 ore e l'altra metà nelle 12 ore successive; altri autori suggeriscono l'emisalina 0.45%) al

fine di ripristinare la perfusione renale, normalizzare il bilancio idroelettrolitico e diminuire

i livelli glicemici. Si somministra insulina per diminuire la glicemia (0,1 U/kg per ora a

partire dalla quarta ora di reidratazione; per glicemie minori di 250 mg/dL si utilizzano 0,05

U/kg per ora più glucosata al 5% 1 ml/kg/ora).

Ipoglicemia acuta e coma ipoglicemico

L'ipoglicemia rappresenta una delle condizioni metaboliche più frequenti e temibili in età

pediatrica per le conseguenze a livello del SNC, soprattutto nei primi 6 mesi di vita. In

questa fascia di età, ovviamente, l'aumentata suscettibilità all'ipoglicemia è dovuta

all'aumentato fabbisogno di glucosio, soprattutto per il metabolismo cerebrale, e alla

limitata disponibilità di "scorte" epatiche di glicogeno. La definizione di ipoglicemia non è

unanime, variando con l'età.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 39: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Si considera patologica una glicemia: < 40 mg/dL nelle prime 24 ore di vita; < 45 mg/dL

dopo le 24 ore; < 50 mg/dL in epoca postnatale.

L'ipoglicemia è la maggior limitazione al controllo del diabete. Una volta iniettata, sia

l'assorbimento che l'azione dell'insulina esogena sono indipendenti dai livelli di glucosio e

quindi espongono al rischio di crisi ipoglicemia. Statisticamente la maggior parte dei

bambini con DMT1 presenta almeno un episodio di ipoglicemia lieve a settimana, di

ipoglicemia moderata qualche volta in un anno e severa almeno una volta nell'arco di pochi

anni. Si tratta di episodi che anche con il massimo controllo possono risultare imprevedibili.

Più i bambini sono piccoli (in special modo i neonati) maggiore è il rischio in quanto

incapaci di riconoscere i segni iniziali dell'ipoglicemia ed impossibilitati a reagire

ricercando una fonte di glucosio. L'ipoglicemia può verificarsi in qualsiasi momento del

giorno e della notte. Nei bambini più grandi e nei pazienti adolescenti con diabete di lunga

data può accadere che venga persa la capacità di secernere glucagone ed adrenalina (nella

neuropatia autonomica) in risposta all'ipoglicemia. Il rischio di ipoglicemia in questo caso

aumenta in quanto i primi segni e sintomi della carenza di glucosio sono legati al release

delle catecolamine.

Le cause principali delle crisi ipoglicemiche nel paziente diabetico risiedono in una

alterazione del bilancio tra gucosio circolante ed insulina disponibile dovuto a molteplici

fattori (stress, vomito, attività fisica inconsueta, ritardo nell'ora del pasto, eccessiva

assunzione di ipoglicemizzanti orali, variazioni della risposta all'insulina, malattie epatiche

o renali che alterano la clearance dell'ipoglicemizzante).

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 40: Martinelli.md.Diabete Pediatria

A prescindere dalla causa scatenante, l'ipoglicemia si presenta con due categorie

fondamentali di manifestazioni cliniche: sintomatologia adrenergica ed effetti a carico del

SNC. I sintomi dell'ipoglicemia tuttavia non sono costanti potendo variare con l'età e con la

frequenza degli episodi. In genere i sintomi sono in relazione alla risposta contro-regolatoria

autonomica (sudorazione, tremori, tachicardia, ansia, flushing, fame) e alla

neuroglicopenia (cefalea, difficoltà a concentrarsi, astenia, irritabilità, confusione fino

alla letargia).

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 41: Martinelli.md.Diabete Pediatria

I fattori più importanti nella gestione delle ipoglicemie in corso di diabete mellito sono:

– Comprensione e conoscenza dei sintomi e dei segni dell'ipoglicemia

– Conoscenza dei fattori che possono precipitare la crisi ipoglicemica (attività sportive,

orari dei pasti, ecc...)

– Consapevolezza che tanto è più stretto il controllo glicemico tanto maggiore è il

rischio di ipoglicemia

– Disponibilità di una sorgente di glucosio (succhi di frutta, bevande zuccherate,

caramelle, ec...) in qualsiasi momento ed in ogni luogo (scuola, visite agli amici,

ecc..)

– Le ipoglicemie dovrebbero essere documentate prima di intervenire in quanto alcuni

sintomi potrebbero non essere legati alla carenza glucidica. Molti bambini e le loro

famiglie, tuttavia, con il tempo e l'esperienza sapranno riconoscere l'inizio di un

acrisi ipoglicemica e quindi prevenirne la progressione anche in assenza di test della

glicemia.

– Il glucosio da somministrare non deve essere eccessivo: 5-10 gr sono sufficienti

(sotto forma di succo di frutta, cramella, ecc...). Testare la glicemia 15-20 minuti

dopo. Tenenere presente che 3 grammi di zucchero ogni 10 kg di peso faranno alzare

la glicemia di 70 mg/dl. Se i valori glicemici sono inferiori a 65 mg/dl è importante

assumere solo zuccheri e quindi evitare alimenti o bevande contenenti grassi

(dolciumi, cioccolato, latte, etc.) poiché i grassi rallentano lo svuotamento dello

stomaco e quindi l’assorbimento degli zuccheri. Bisognerà attendere 10-15 minuti

prima che lo zucchero faccia il suo effetto sulla glicemia; nel frattempo è necessario

interrompere ogni attività.

– Se il bambino non può assumere glucosio orale i familiari devono essere in grado di

poter somministrare glucagone intrasmuscolare (kit da iniezione) alla dose di 0.5 mg

se il bambino pesa meno di 20 kg oppure 1 mg se di peso superiore. Il glucagone può

determinare emesi e pregiudicare la successiva somministrazione orale di glucosio.

In questo caso è bene provvedere al ricovero per praticare l'infusione IV di glucosio.

– Nei bambini che possono assumere glucosio per via orale ma che rimangono

sintomatici presentando una glicemia < 60 mg/dL, è possibile somministrare una

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 42: Martinelli.md.Diabete Pediatria

mini-dose di glucagone (10 mcg/anno di età fino ad un massimo di 150 mcg) per sia

sottocutanea.

La conoscenza dei processi metabolici che regolano l'omeostasi del glucosio è essenziale

per un corretto approccio diagnostico all'ipoglicemia. Il mantenimento dell'euglicemia

durante il digiuno e dopo i pasti dipende da vari fattori quali:

• disponibilità di substrati glucogenetici (aminoacidi, glicerolo. lattato);

• attività enzimatica epatica (glicogenolisi, glicogenosintesi, neoglucogenesi);

• efficienza del sistema endocrino controregolatore (GH, collisolo, glucagone.

adrenalina) responsabile della mobilizzazione e dell'utilizzo dei substrati

Le cause possono essere divise in due categorie in base all'aumentato fabbisogno di glucosio

o alla sua ridotta disponibilità.

Le condizioni ipoglicemiche possono essere classificate in base a diversi parametri, tuttavia

la classificazione più utile per la diagnosi differenziale suddivide le ipoglicemie in

chetotiche e non chetotiche la cui frequenza varia con Tetà. L'ipoglicemia chetotica più

frequente in età pediatrica è rappresentata dall'ipoglicemia chetotica idiopatica. Altre cause

sono rappresentate da deficit enzimatici della glicogenosintesi e glicogcnolisi, e da deficit

endocrini (GH, cortisolo). Le ipoglicemie non chetotiche sono causate da iperinsulinismo.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 43: Martinelli.md.Diabete Pediatria

disordini della chetogenesi e della β-ossidazione, alterazioni del metabolismo del

galattosio, del fruttosio e degli aminoacidi a catena ramificata.

Un approccio diagnostico semplificato prevede: esame obiettivo, anamnesi clinica

dettagliata (con particolare attenzione alle circostanze dell'episodio ipoglicemico), esami

laboratoristici (glicemia. isulinemia, C-peptide, chetonemia, chetonuria, acidi grassi liberi,

pH), valutazione della tolleranza al digiuno e della risposta epatica al glucagone. In casi

selezionati, nel sospetto di specifici deficit enzimatici, la diagnosi definitiva sarà affidata a

centri specializzati per malattie metaboliche. Una corretta diagnosi è fondamentale per un

trattamento tempestivo dell'episodio ipoglicemico e per ridurre le sequele neurologiche di

ipoglicemie ricorrenti.

Complicanze croniche

Il diabete mellito nel bambino può indurre una serie di conseguenze in altri organi e

apparati, determinate sostanzialmente dall'iperglicemia cronica, ma anche da una particolare

suscettibilità dei bambini con diabete. Inoltre, i meccanismi autoimmunitari che conducono

al diabete mellito di tipo 1 possono sottendere alterazioni di altri organi. Nelle ultime decadi

il miglioramento della qualità delle cure ha comportato una rilevante riduzione della

morbilità e mortalità nei bambini con diabete mellito. Pertanto, i pediatri diabetologi hanno

enfatizzato e promosso il miglioramento delle cure a lungo termine di questi bambini.

Sebbene le gravi complicanze croniche del diabete mellito di tipo 1 divengano evidenti dopo

15-30 anni di malattia, già durante l'adolescenza (o comunque 2-5 anni dopo l'esordio del

diabete) possono evidenziarsi le prime alterazioni strutturali e funzionali relative alle

complicanze microvascolari. Nei bambini e negli adolescenti l'angiopatia diabetica è

costituita principalmente dalla microangiopatia, rappresentata essenzialmente da alterazioni

strutturali del microcircolo retinico e glomerulare. La neuropatia diabetica e la macroan-

giopatia sono le altre due principali complicanze tardive, differenti dalle precedenti dal

punto di vista patogenetico e di meno frequente osservazione nell'età evolutiva. Minime

lesioni retiniche si sviluppano dopo 20 anni di malattia e una retinopatia diabetica a rischio

di cecità può potenzialmente svilupparsi dopo 30 anni di malattia. Le metodiche più

sensibili per lo screening delle precoci lesioni retiniche sono rappresentate dalla retinografia

e dalla fluoroangiografia. Lo screening è raccomandato dopo 5 anni di diabete in soggetti

con inizio in epoca prepuberale e dopo i 15 anni di vita in tutti gli altri. I controlli

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 44: Martinelli.md.Diabete Pediatria

dovrebbero essere effettuati ogni 2 anni. L'incidenza della nefropatia diabetica aumenta

dopo 5 anni di malattia e raggiunge un picco intorno ai 20 anni; essa comporta un aumento

del rischio di mortalità che non è solo legalo all'insufficienza renale ma anche all'aumentata

incidenza di problemi cardiovascolari. La nefropatia diabetica manifesta è preceduta da una

fase clinicamente silente ma caratterizzata da un'escrezione di albumina urinaria nel range

microalbuminurico. La microalbuminuria è associata ad alterazioni anatomo-patologiche

(ispessimento della membrana basale glomerulare, proliferazione mesangiale).

Il miglioramento del controllo metabolico rallenta la progressione di tali lesioni. La precoce

individuazione di tali iniziali alterazioni è di cruciale importanza essendo queste suscettibili

di miglioramento e di normalizzazione con opportuni interventi (farmacologici e non).

La microangiopatia diabetica

Vasculopatia tipica del diabete mellito che colpisce i piccoli vasi (capillari, arteriole,

venule). Interessa tutti i distretti. L'aspetto fondamentale è costituito da:

• Ispessimento della membrana basale vasale

• Iperplasia/desquamazione endoteliale

• Fibrosi delle pareti arteriolari e venulari

• Deposizione di fibrina e materiale lipoproteico

• Trombosi

• Dilatazione aneurismatica (non costante)

La patogenesi della microangiopatia è piuttosto complessa. Il glucosio in eccesso produce

una vasta gamma di alterazioni che possiamo riassumere in :

• Modificazioni del metabolismo cellulare nei tessuti in cui l'insulina non è

indispensabile al trasporto intracellulare del glucosio: danno osmotico da sorbitolo

(si forma dal glucosio via aldoso reduttasi e si accumula nelle cellule), abbassamento

del pool di mioinositolo (glucosio e sorbitolo riducono la captazione di mioinositolo

nei tessuti), aumento dell'attività della PKC (per aumentata sintesi di DAG dal

glucosio; la pkc è coinvolta nella regolazione di una vasta gamma di funzioni

cellulari), glicazione non enzimatica di proteine, lipidi ed acidi nucleici, formazione

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 45: Martinelli.md.Diabete Pediatria

dei prodotti di Amadori (prodotti della glicazione non enzimatica) che si auto-

ossidano e riarrangiano generando radicali liberi e prodotti intermedi di glicazione

avanzata (AGE), azione degli AGE (crosslinking di proteine come il collagene,

inattivazione del NO, legame agli acidi nucleici, chemiotassi leucocitaria, secrezione

di citochine e fattori di crescita, aumento della permeabilità vascolare, attività

procoagulante, stimolo alla proliferazione cellulare, stimolo alla produzione di

matrice extracellulare).

• Turbe del trasporto dell'O2: aumento dei livelli di emoglobilna glicosilata (HbA1C)

con elevata affinità per l'ossigeno (che viene ceduto con più difficoltà ai tessuti). Age

ed ipossia determinano iperplasia e dequamazione (se l'ipossia è grave) delle cellule

endoteliali. Age ed ipossia favoriscono inoltre il passaggio di proteine plasmatiche

attraverso la membrana basale e la comparsa di fibrosi parietale di arteriole e venule.

• Fattori endocrini: il tasso ematico di GH è scarsamente abbassato, nei diabetici, dal

tasso glicemico (favorisce l'ispessimento delle membrane basali, probabilmente

mediato da IGF-1)

• Condizione trombofilica: turbe della funzione piastrinica (iperaggregabilità,

iperadesività, aumentata produzione di TXA2 e diminuita produzione di PGI2),

alterazione della concentrazione dei fattori della coagulazione (aumento di I, V, VIII

e diminuzione di ATIII), ipoattività del sistema fibrinolitico (diminuzione attivatori

del plasminogeno), aumentata viscosità ematica (modificazione delle proteine

sieriche). La condizione trombofilica favorisce la trombosi microvascolare e

l'ischemia tissutale.

La macroangiopatia diabetica

E' responsabile di circa l'80% delle cause di morte nei soggetti diabetici. La malattia

coronarica, la vasculopatia cerebrale e l'arteriopatia periferica hanno una prevalenza da due

a quattro volte maggiore nei diabetici rispetto alla restante popolazione. Le cause sono

molteplici, è opportuno tuttavia ricordare la prevalenza di dislipidemia e di obesità viscerale

(aumentato rischio di malattia macrovascolare) nei pazienti con NIDDM, la glicazione non

enzimatica delle proteine che riduce il metabolismo delle LDL e favorisce l'eliminazione

delle HDL, la glicazione del collagene (il collagene glicato intrappola più efficientemente le

lipoproteine nella matrice extracellulare e favorisce l'aggregazione piastrinica), gli AGE

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 46: Martinelli.md.Diabete Pediatria

favoriscono la migrazione dei monociti attraverso l'endotelio e l'espressione di PDGF da

parte dei macrofagi, l'ipertensione che frequentemente accompagna il soggetto diabetico.

Questi ed altri fattori favoriscono l'aterogenesi e lo sviluppo della macroangiopatia.

La nefropatia diabetica

Negli USA è la causa più comune di insufficienza renale terminale. Si presenta nel 70-80%

dei pazienti con DMT1 e nel 20-30% dei pazienti con DMT2.

La patogenesi anche in questo caso è complessa e vede l'intervento dei fattori chiamati in

causa nella micro e macroangiopatia.

Lo sviluppo della nefropatia si ha nell'arco di 25-30 anni. Si è soliti identificare cinque stadi:

ipertrofico funzionale (nefromegalia, aumento della VFG), early diabetic nephropathy

(aumento dello spesso della MBG, aumento del mesangio, microalbuminuria), nefropatia

sintomatica (macroalbuminuria, aumento della pressione arteriosa, riduzione del filtrato

glomerulare), nefropatia conclamata (glomerulosclerosi moderata, fibrosi capsulare, ialinosi

arteriolare, forte riduzione del filtrato, ulteriore aumento della pressione arteriosa,

proteinuria in range nefrosico), insufficienza renale terminale (severa glamerulosclerosi,

oligo-anuria, ipertesione maligna).

I principali fattori di progressione della nefropatia diabetica sono sostanzialmente

l'ipertenzione, il controllo glicemico non ottimale, la displipidemia, gli AGE e le infezioni.

L'oculopatia diabetica

L'opacizzazione del cristallino (cataratta) insorge con discreta frequenza e più

precocemente dei diabetici. E' legato all'ossidazione dei gruppi SH a livello del cristallino e

dalla polimerizzazione delle proteine. Anche il rigonfiamento osmotico dovuto alla

formazione di sorbitolo è importante (con l'acqua entrano ioni sodio e si ha una

precipitazione di cristalli).

Anche la retinopatia è frequente. Si tratta di un insieme di lesioni degenerative, essudative e

proliferative che possono col tempo portare sino alla cecità. Si osservano dilatazione

segmentaria dei vasi retinici, emorragie, essudati, fenomeni di neoformazione vascolare

(retinopatia proliferante).

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 47: Martinelli.md.Diabete Pediatria

La neuropatia diabetica

Disordine neurologico, clinico o subclinico, presente in soggetti diabetici in assenza di altre

cause di neuropatia. Colpisce il sistema nervoso periferico sia nella sua componente

somatica che autonomica. Da un punto di vista anatomopatologico è caratterizzata da danno

assonale con perdita delle fibre mieliniche ed amieliniche.. Nella patogenesi sono coinvolti

la via dei polioli (sorbitolo), la glicazione delle proteine, fattori vascolari e formazione di

radicali liberi. Il tipo più comune è una polineuropatia sensitivo-motoria (le fibre sensitive

vengono colpite per prime): parestesie, iperestesia ed iperalgesia da contatta (lenzuola,

vestiti), dolore spontaneo notturno o continuo, perdita della capacità discriminatoria, termica

e vibratoria, interessamento delle fibre motorie con paresi di alcuni limitati gruppi muscolari

(in prevalenza agli arti inferiori).

La neuropatia autonomica si manifesta in maniera piuttosto eterogenea, Segni e sintomi

comprendo: tachicardia a riposo, mancanza di variabilità del ritmo cardiaco ipotensione

ortostatica, gastroparesi, stitichezza, diarrea, vescica neurogena, disfunzione erettile,

alterazione del flusso ematico cutaneo e della sudorazione (zone di anidrosi e iperidorsi),

ischemia silente (compreso l'IMA), perdita di consapevolezza dell'ipoglicemia e mancata

risposta del sistema simpatico, pupilla di Argyll-Robertson (assenza di risposta all'impulso

luminoso della pupilla, nonostante permanga la risposta all'accomodazione).

Il piede diabetico

L'interessamento delle estremità inferiori in corso di diabete è piuttosto frequente. La

lesione tipica è l'ulcera (discontinuità di tipo aperto e di origine necrotica, non tendente alla

guarigione spontanea). I fattori causali sono diversi: ipotrofia muscolare legata ai deficit

motori, alterazione degli stimoli propiocettivi, alterata sensibilità dolorifica, alterata

sudorazione, alterazioni del macro-microcircolo, alterazioni del riflesso pressorio. Tutti

questi (ed altri) fattori favoriscono l'insorgenza di lesioni a livello plantare

(prevalentemente), in corrispondenza delle teste metatarsali (zone sottoposte a pressione

elevata). Lesioni ulcerose possono comunque presentarsi ad ogni livello degli arti inferiori

(piede ischemico) per via dell'arteriopatia obliterante.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 48: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Terapia del diabete mellito

Finalità della terapia:

• Stabilizzare i livelli di glucosio entro un determinato range

• Evitare scompensi metabolici (chetoacidosi, ipoglicemia)

• Assicurare normali crescita e sviluppo

• Prevenire le complicanze a lungo termine

A tale scopo è importante mantenere:

• Glicemia preprandiale tra 80 e 120 mg/dl

• Glicemia postprandiale (2h dopo) minore di 180 mg/dl

• Glicemia notturna tra 100 e 140 mg/dl

• Livelli di Hb1AC entro un punto percentuale dai valori normali massimi (dipendenti

dal tipo di dosaggio).

Insulina

Esistono diversi tipi di insulina. I derivati di pancreas di maiale e di bue, anche se

economici, sono obsoleti ed hanno lo svantaggio di contenere componenti antigenicamente

non corrispondenti all’insulina umana (la risposta anticorpale è massima con l'insulina

bovina, intermedia con quella suina e minima con l'isulina umana).

Oggi non ha senso iniziare un nuovo trattamento se non con insulina umana (ottenuta

tramite tecniche di DNA ricombinante).

L’insulina umana regolare (insulina umana ricombinante senza modificazioni di sequenza

aminoacidica, la vecchia insulina “ad azione rapida”, detta anche solubile) non possiede in

realtà un’effettiva azione rapida, o un’azione simile alla normale risposta fisiologica. Questo

tipo di insulina era solo la più rapida tra le diverse insuline ad azione relativamente lenta che

erano disponibili tempo fa. Era anche l’unica che potesse essere utilizzata nel caso di terapia

EV nelle situazioni di emergenza (chetoacidosi) o in caso di interventi chirurgici. Oggi

anche gli analoghi dell'insulina lispro ed aspart possono essere utilizzati per via endovenosa

agli stessi scopi. L’insulina regolare che viene somministrata per via sottocutanea presenta

un picco 2-4 ore dopo la somministrazione, e continua ad esercitare una significativa azione

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 49: Martinelli.md.Diabete Pediatria

ipoglicemizzante per 6-8 ore, per cui risulta ben lungi dal simulare il rapido incremento

fisiologico della secrezione di insulina endogena, che presenta un picco un’ora dopo il

pasto. Oggi l'utilizzo dell'insulina regolare è stato soppiantato dai nuovi analoghi ad azione

rapida (lispro, aspart, glulisina).

Le formulazioni lenta ed ed ultralenta di insulina umana non vengono più utilizzate.

L'insulina isofano (anche chiamata insulina NPH, Neutral Protamin Hagedorn; sospensione

di insulina umana e protamina) è una formulazione ad azione intermedia ancora in uso.

Insuline in Italia (ricombinanti):

• Insulina umana (solubile, regolare) (Actrapid ®, Insuman ®, Humulin R ®)

• Insulina umana isofano o NPH (Protaphane ®, Humulin I ®)

• Miscele di insulina umana regolare ed isofano (Actraphane ®, Humulin 30/70 ®)

• Insulina glulisina (Apidra®)

• Insulina aspart (Novorapid ®)

• Insulina lispro (Humalog ®)

• Insulina lispro protamina o NPL (Humalog Basal ®)

• Miscele di insulina lispro e lispro protamina (Humalog Mix®)

• Miscele di insulina aspart e aspart protamina (Novomix ®)

• Insulina glargine (Lantus ®)

• Insulina detemir (Levemir ®)

Analoghi dell'insulina

Attualmente sono disponibili analoghi dell'insulina (ottenuti con semplici sostituzioni di

alcuni aminoacidi) che, a causa della loro conformazione prevalentemente monomerica

hanno profili di assorbimento diversi rispetto ad altre insuline precedentemente disponibili

sul mercato. Gli analoghi possono essere ad azione rapida o ad azione lenta.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 50: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Approximate insulin effect profiles. Meals are shown as rectangles below time axis. A,

The following relative peak effect and duration units are used: lispro/aspart, peak 20 for 4

hours; regular, peak 15 for 7 hours; NPH/Lente, peak 12 for 12 hours; Ultralente, peak 9 for 18

hours; glargine, peak 5 for 24 hours. Though Lente and Ultralente are no longer manufactured,

they are shown to give historical comparison to newer insulin analogs. ?, Injection time. B, Two

Ultralente injections given at breakfast and supper. Note overlap of profiles. C, Composite curve

showing approximate cumulative insulin effect for the 2 Ultralente injections. This composite

view is much more useful to the patient, parents, and medical personnel because it shows

important combined effects of multiple insulin injections with variable absorption

characteristics and overlapping durations.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 51: Martinelli.md.Diabete Pediatria

L'insulina lispro è un analogo dell'insulina, ottenuto dall'insulina solubile invertendo la

posizione di due aminoacidi della catena B (nella solubile B-28 prolina e B-29 lisina, nella

lispro B-28 lisina e B-29 prolina); tale inversione aminoacidica induce una minore

formazione di esameri, per cui l'insulina in forma prevalentemente monomerica è assorbita

più rapidamente dal tessuto sottocutaneo nel circolo ematico. Perciò la lispro ha un più

precoce inizio di azione, un picco più elevato e una più breve durata d'azione rispetto

all'insulina regolare. La lispro potrebbe sostituire l'insulina rapida in quanto dotata di

equivalente potenza ipoglicemizzante. Il più rapido inizio d'azione permette che la lispro sia

somministrata immediatamente prima del pasto anziché 15-45 minuti prima, come

raccomandato per l'insulina regolare. Questa caratteristica la rende potenzialmente meglio

accetta ai pazienti, soprattutto ai bambini. Nei bambini di età prescolare che possono,

talvolta, avere un comportamento alimentare imprevedibile, l'insulina lispro si è dimostrata

efficace anche se somministrata dopo i pasti. Inoltre la frequenza dell'ipoglicemia,

particolarmente notturna, potrebbe essere minore durante il trattamento con insulina lispro

rispetto a quella solubile. Quando si utilizza l'insulina lispro la dose d'insulina intermedia,

assunta contemporaneamente prima di colazione, andrebbe aumentata. Infatti a causa della

breve durata d'azione della lispro potrebbe verificarsi un'iperglicemia prima del pasto

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 52: Martinelli.md.Diabete Pediatria

successivo. Un interessante aspetto degli analoghi rapidi è il fatto che essi possono essere

somministrati dopo il pasto; in alcuni studi il profilo glicemico ottenuto somministrando

l'insulina lispro dopo il pasto era sovrapponibile a quello ottenuto somministrando l'insulina

prima del pasto; ciò potrebbe costituire un notevole vantaggio nei bambini molto piccoli nei

quali l'assunzione di cibo è talora imprevedibile.

Un altro analogo rapido dell'insulina, denominato insulina aspart è stato recentemente

sperimentato (in posizione B-28 la prolina è sostituita dall'acido aspartico); in alcuni studi

eseguiti anche in età pediatrica sono stati ottenuti profili glicemici e insulinemici simili a

quelli della lispro.

L’insulina aspart e l’insulina lispro possono essere somministrate per via endovenosa e

utilizzate in alternativa all’insulina solubile nelle emergenze e in caso di interventi

chirurgici.

Insulina glulisina e’ il terzo analogo rapido dell’insulina umana ad essere commercializzato

in Italia, dopo insulina lispro ed aspart. Differisce dall’insulina umana per la sostituzione di

due aminoacidi nella catena B della proteina (asparagina nella posizione B3 sostituita da

lisina, e lisina in posizione B29 sostituita da acido glutammico). Questa sostituzione

conferisce alla insulina glulisina un più rapido inizio d’azione in quanto previene la

formazione di esameri inattivi quando iniettata.

Recentemente è stato reso disponibile sul mercato un analogo dell'insulina ad azione lenta;

esso è ottenuto aggiungendo due molecole di arginina alla catena B e sostituendo la

asparagina in posizione 21 della catena A con una molecola di glicina. Tale analogo

dell'insulina è denominato glargina (o glargine); la sua farmacocinetìca è caratterizzata da

un lento assorbimento con assenza di picchi d'azione e una durata di circa 24 ore e

rappresenta un prezioso mezzo per assicurare il fabbisogno basale di insulina, sul quale poi

inserire la somministrazione di analoghi rapidi prima (o dopo) i pasti.

Un altro analogo lento privo di picchi d'azione è detemir e sembrerebbe mimare

strettamente la secrezione endogena d'insulina con un miglioramento del controllo

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 53: Martinelli.md.Diabete Pediatria

glicemico. Le differenze dell'insulina detemir rispetto all'insulina naturale sono la

scomparsa del residuo aminoacido in posizione B30 e l'attacco di un acido grasso con catena

a 14 atomi di carbonio (acido miristico) in posizione B29, che rende la molecola lipofila. La

presenza dell’acido miristico facilita il legame reversibile di circa il 98% della dose iniettata

d’insulina detemir con l’albumina nel sito sottocutaneo d’iniezione e successivamente con

l’albumina plasmatica prima che l’insulina si leghi ai recettori tessutali per esplicare

l’effetto biologico. Nel sito d’iniezione l’insulina detemir con struttura esamerica precipita

ed il meccanismo mediante il quale l’assorbimento nel torrente circolatorio viene rallentato

è dato dal legame reversibile con l’albumina sottocutanea. Dopo passaggio nel circolo

sistemico, l’insulina detemir in forma monomerica si lega all’albumina plasmatica che ne

limita il volume di distribuzione allo spazio extracellulare, allungandone in tal modo

l’emivita plasmatica.

Fabbisogno insulinico e pubertà

Sebbene ci sia un range estremamente ampio, la media del fabbisogno di insulina tende a

rimanere stabile per tutta l'infanzia intorno a 0,6-1 U/kg/die. ma aumenta rapidamente dopo

l'inizio della pubertà a 1-1,5 U/kg/die. La pubertà è notoriamente associata a un

peggioramento del controllo metabolico. La resistenza all'insulina, caratteristica della

pubertà, può essere parzialmente spiegata con gli aumentali livelli di GH che, in condizioni

di normalità, si riscontrano durante la pubertà. Peraltro, nei pazienti con diabete di tipo I i

livelli di GH sono generalmente più elevati, rispetto ai controlli, in ciascuno stadio dello

sviluppo. Anche gli ormoni gonadici (testosterone, estrogeni) possono contribuire all'in-

sulinoresistenza tipica dell'età puberale. Non si può inoltre sottovalutare che l'età

adolescenziale si accompagna a una ridotta compliance ai regimi insulinici e alle regole

alimentari, il che rende ancora più arduo raggiungere un buon controllo metabolico.

Metodi per la somministrazione di insulina

Il metodo tradizionale di somministrazione dell'insulina è l'iniezione con siringa; aghi

sempre più sottili rendono l'iniezione meno dolorosa e più semplice. Il metodo più pratico

d'iniezione, e largamente utilizzato in tutto il mondo occidentale, è la penna per la

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 54: Martinelli.md.Diabete Pediatria

somministrazione d'insulina. Si tratta di un dispositivo simile a una penna, in cui si inserisce

una cartuccia d'insulina, che presenta un ago a un'estremità; la dose è determinata agendo su

un display posto su un lato della penna. Le penne sono più discrete e veloci da preparare

rispetto alla siringa, rendendo il loro uso molto pratico a scuola, nei ristoranti, durante i

viaggi. Il principale svantaggio delle penne è che non consentono di miscelare due tipi

d'insulina e quindi, se è necessario somministrarle, vanno iniettate separatamente. In alcuni

centri sono utilizzati i cateteri sottocutanei (Insuflon) che possono essere tenuti in situ per

alcuni giorni e si possono rivelare utili in alcuni casi. Un altro metodo d'iniezione è

costituito dall'iniettore automatico, particolarmente utile nei bambini che hanno paura delle

iniezioni; la siringa viene posta all'interno dell'iniettore. L'ago non è visibile e la profondità

della iniezione può essere determinata da un apposito distanziatore. Gli iniettori senza ago

ad alta pressione hanno goduto negli anni passati di una certa popolarità, che però si è via

via ridotta per la variabile profondità della penetrazione dell'insulina, l'alterato assorbimento

dell'insulina e il loro costo elevato.

L'iniezione dovrebbe essere eseguita nelle sedi classiche: l'addome (la sede da preferire

perché l'assorbimento è più rapido e omogeneo e perché risente meno dell'attività fisica); la

parte anteriore delle cosce; i glutei (il quadrante laterale esterno); la parte laterale delle

braccia (non raccomandabile nei bambini della prima infanzia per il rischio di eseguire la

iniezione per via intramuscolare). L'iniezione dovrebbe essere eseguita iniettando per alcuni

giorni nello stesso sito distanziando le sedi della somministrazione al fine di prevenire la

lipodistrofia (in verità evento meno frequente con le nuove insuline più purificate).

La tecnica d'iniezione dovrebbe permettere all'insulina di raggiungere il tessuto

sottocutaneo: utilizzando gli aghi da 8 mm l'angolo di somministrazione dell'ago dovrebbe

essere di circa 90°; tuttavia, nei bambini più piccoli o molto magri anche con questi aghi è

prudente ottenere un angolo tra 45° e 90°. Se si usano aghi più lunghi (per esempio da 12.7

mm). può essere opportuno inserire l'ago con un angolo tra 45° e 90° anche nei bambini più

grandicelli.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 55: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Un'altra opportunità per la somministrazione d'insulina è costituita dalle "pompe" per la

somministrazione sottocutanea continua di insulina (CSII); con il microinfusore si può

mimare ancora meglio la fisiologica produzione endogena d'insulina, assicurando il

fabbisogno basale e iniettando "boli" d'insulina al momento del pasto. I microinfusori di

ultima generazione sono molto migliorati sotto il profilo delle dimensioni e dell'affidabilità

e potrebbero avere più spazio rispetto al passato nella moderna diabetologia pediatrica

(possibile utilizzazione in lattanti, adolescenti e giovani adulti); tuttavia, prima di proporre

la "pompa" ai ragazzi, il pediatra diabetologo dovrebbe selezionare i giovani pazienti con

accuratezza (grado di conoscenza del diabete, affidabilità, volontà di utilizzare il

microinfusore, cattivo controllo metabolico, ecc.) e fornire loro e alle famiglie tutte le

informazioni necessarie per prendere la decisione in modo consapevole e responsabile.

Le indicazioni all'uso della microinfusione sono: scarso controllo metabolico (HbAlC >7%),

ampie fluttuazioni della glicemia. frequenti episodi di ipoglicemia grave e/o non

riconosciuta, ipoglicemia notturna, fenomeno dell'alba con elevala glicemia a digiuno >144-

162 mg/dL), necessità di maggiore flessibilità di orari (attività lavorativa). Ovviamente è

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 56: Martinelli.md.Diabete Pediatria

necessario che il paziente sia motivato e desideri collaborare attivamente con il team

diabetologico. conosca il conteggio dei carboidrati, sia in grado di comprendere la

tecnologia e le funzioni del microinfusore e di trasformare in comandi per il microinfusore

gli eventi quotidiani ed esegua almeno 4 glicemie al giorno.

Regimi di somministrazione

I livelli plasmatici di insulina nel soggetto normale sono variabili e determinati da una

secrezione basale con aumenti in corrispondenza dei pasti. Nel soggetto diabetico la

somministrazione esogena di insulina tende a mimare questo comportamento pur non

potendo replicare esattamente le fluttuazioni fisiologiche.

Le insuline disponibili sono:

• Analoghi rapidi: lispro (Humalog ®), aspart (Novorapid ®), glulisina (Apidra®)

• Regolare: insulina umana (Actrapid ®)

• Ad azione intermedia: insulina umana isofano (Humulin I ®), insulina lispro NPL

(Humalog Basal ®)

• Analoghi lenti: insulina glargine (Lantus ®), insulina detemir (Levemir ®)

• Insuline premiscelate: insulina umana regolare ed isofano (Actraphane ®), insulina

lispro e lispro protamina (Humalog Mix®), insulina aspart e aspart protamina

(Novomix ®)

Le insuline premiscelate sono utilizzate frequentemente in alcuni Paesi, in particolare nei bambini piu’

piccoli o in quegli adulti che praticano due somministrazioni quotidiane di insulina (quota ormai molto

ridotta di pazienti). Sebbene queste insuline riducano errori potenziali nel dosaggio della insulina e nella

miscelazione, esse non permettono la flessibilità della terapia insulinica che si ha quando si aggiustano le

dosi dei due tipi di insulina separatamente. Questa flessibilità è utile particolarmente nei bambini che hanno

una assunzione dei cibi variabile. Non è chiaro se le insuline premiscelate siano meno efficaci nei bambini

piccoli, ma vi è evidenza scientifica che nell’età adolescenziale il loro uso possa determinare un peggior

controllo metabolico. Le insuline premiscelate sono più comunemente usate nelle penne. Le insuline

premiscelate possono essere utili quando la compliance (o la aderenza) al regime insulinico può diventare un

problema.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 57: Martinelli.md.Diabete Pediatria

La scelta del regime di terapia insulinica dipende da molti fattori quali: età, durata del

diabete, stile di vita (alimentazione, scuola, impegni di lavoro, eccetera), obiettivi del

controllo metabolico e, in modo particolare, le caratteristiche e le preferenze del bambino e

della famiglia.

Almeno due iniezioni di insulina al giorno devono essere consigliate nei bambini piccoli con

diabete. Solo occasionalmente, soprattutto nella fase di remissione parziale, una

somministrazione al giorno può essere sufficiente per ottenere un soddisfacente controllo

metabolico, fatta con analogo lento per mantenere l'insulinizzazione basale (fase di “luna di

miele” cioè remissione parziale o totale della malattia, transitoria).

Non esiste uno schema standard di terapia insulinica, e i programmi terapeutici variano da

persona a persona, e devono essere ritagliati proprio come un abito fatto su misura per

ognuno, considerando abitudini alimentari, condizioni di vita, attività lavorativa, esercizio

fisico, ecc. Alcuni regimi frequentemente utilizzati:

• Due iniezioni al giorno di una miscela di insulina rapida e di insulina intermedia o

analogo intermedio (prima di colazione e prima del pasto della sera).

• Tre iniezioni al giorno usando una miscela di insulina rapida e di insulina intermedia

o analogo intermedio prima di colazione; insulina rapida da sola prima dello

spuntino del pomeriggio o del pasto serale; insulina intermedia o analogo

intermedio prima di andare a letto;

• Somministrazioni multiple (regime "basalbolus" o “basale-boli”) di insulina rapida

20-30 minuti prima dei pasti principali (ad esempio colazione, pranzo e pasto serale);

insulina intermedia prima di andare a letto.

• Somministrazioni multiple (regime "basalbolus" o “basale-boli”) di analogo rapido

immediatamente prima dei pasti principali (ad esempio Glulisina prima di colazione,

pranzo e pasto serale); analogo lento (es. Glargina) al momento di andare a letto

Lo schema che più fedelmente riproduce la secrezione insulinica del pancreas è la terapia

insulinica “multiiniettiva” (somministrazioni multiple), che prevede la somministrazione di

boli di insulina ad azione rapida o ultrarapida ai pasti per rispondere all’introduzione di cibo

(boli prandiali) e la somministrazione di singole o multiple iniezioni di insulina ad azione

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 58: Martinelli.md.Diabete Pediatria

intermedia-lenta per rimpiazzare il fabbisogno insulinico tra un pasto e l’altro (insulinemia

basale). Questo è lo schema terapeutico tipico nel diabete mellito di tipo 1, e può essere

attuato attraverso più iniezioni o infusione sottocutanea continua mediante un

microinfusore.

Nel diabete mellito di tipo 2, il deficit insulinico può presentarsi prevalentemente in

condizioni basali (a digiuno) o durante il pasto, oppure, come nel tipo 1, in entrambe le

situazioni. Di conseguenza, il numero (da 1 a 4) e il tipo di iniezioni (insulina basale, rapida

o pre-miscelata), dipenderà dal difetto principale.

Ad esempio, se ad essere deficitaria è soprattutto la secrezione basale, può essere sufficiente

una sola iniezione di un preparato ritardo, se invece è insufficiente la risposta secretoria

prandiale, si dovrà ricorrere alla somministrazione di preparati rapidi ai pasti, per lo meno a

quelli non sufficientemente coperti dalla secrezione endogena di insulina.

Fattori che possono influire sull’assorbimento di insulina:

• specie e tipo di iniezione

• sede: a zona periombelicale ha l’assorbimento + rapido. Meno rapido a livello del

deltoide, zona antero-laterale della coscia, ed ancora più lenta nel gluteo.

• degradazione dell’insulina nella sede di iniezione

• esercizio fisico (accelera il consumo d’insulina)

• Ab anti-insulina (potrebbero bloccare o rallentare l’azione dell’insulina)

• tecnica d’iniezione: se troppo in profondità l’assorbimento sarà rapido, mentre se

troppo superficiale sarà più lento.

• quantità di insulina iniettata

Gli aggiustamenti della dose di insulina, alla diagnosi di diabete, dovrebbero essere fatti fino

a quando non sono raggiunti valori accettabili di glicemia. Se la misurazione frequente della

glicemia non è realizzabile, la valutazione di glicosuria e chetonuria è utile soprattutto per

definire il controllo metabolico durante la notte.

Nei periodi successivi alla diagnosi, con i regimi a 2 somministrazioni gli aggiustamenti

della dose sono generalmente basati sulla valutazione delle glicemie di una giornata o di

alcuni giorni, oppure tenendo conto delle risposte glicemiche alla assunzione di cibo o al

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Page 59: Martinelli.md.Diabete Pediatria

dispendio energetico; con i regimi a somministrazione multipla, l’adattamento della dose è

maggiormente flessibile e dinamico e si basa soprattutto sulla modificazione della dose di

insulina prima del pasti supportata dalla valutazione delle glicemie. Se si usano gli analoghi

può essere necessario misurare la glicemia dopo i pasti per valutare la loro efficacia.

Il fenomeno alba si riferisce all'aumento della glicemia nelle prime ore del mattino

(generalmente intorno alle 05.00) prima di svegliarsi. Nei soggetti non diabetici i

meccanismi che determinano questo fenomeno sono costituiti dall'aumento della produzione

di ormone della crescita e di cortisolo, aumento della resistenza insulinica ed aumento della

produzione epatica di glucosio. Questi meccanismi sono particolarmente determinanti

durante lo sviluppo puberale. In soggetti con diabete di tipo 1, l'iperglicemia a digiuno è

prevalentemente determinata dalla progressiva riduzione dei livelli di insulina,

determinando un “fenomeno alba" particolarmente rilevante.

La correzione della iperglicemia a digiuno può richiedere un aggiustamento del regime

insulinico al fine di fornire livelli di insulina adeguati durante la notte ed il primo mattino,

ad esempio utilizzando insulina ad azione intermedia o analogo lento somministrata più

tardi alla sera o subito prima di andare a letto;

Il fenomeno di Somogyi è invece una condizione che si verifica alle dosi eccessive di

insulina e si manifesta con una ipoglicemia seguita da una iperglicemia reattiva derivante

dalla secrezione di ormoni antagonisti in risposta all’ipoglicemia.

Il paziente durante la fine della notte o di mattina presto ha una crisi ipoglicemica con

sudorazione, incubi e cefalea alternati a chetosi, iperglicemia, chetonuria e glicosuria.

In questi casi è necessario diminuire la dose di insulina.

Come si fa a distinguere i 2 fenomeni:

• La glicemia alle alle 3-4 di notte è > 80 mg/dl e si mantiene maggiore anche alle 7

del mattino. Siamo difronte all’effetto alba. Si può quindi ritardare la

somministrazione serale di insulina di 2-3 h e/o aumentarne la dose in modo che il

picco venga ritardato e coincida con l’effetto alba. Si evita in questo modo

l’incremento della glicemia.

• La glicemia alle 3-4 di notte è di 60 mg/dl o minore (ipoglicemia) e alle 7 del mattino

ritorna l’iperglicemia. Questa volta ci troviamo difronte al fenomeno Somogyi ed è

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 60: Martinelli.md.Diabete Pediatria

consigliabile una diminuzione della dose serale di insulina e/o posticipando la

somministrazione.

Il periodo della luna di miele è una condizione che si sviluppa dopo l’inizio della terapia

insulinica al momento della diagnosi e che dura da 1-3 mesi fino a 2 anni. Questa

condizione è caratterizzata da una diminuzione del fabbisogno di insulina (a volte sino a

rendere possibile la sospensione delle iniezioni sottocutanee). Infatti le cellule β

sopravvissute (ormai non più del 10-20%), in virtù della terapia insulinica che corregge

l’iperglicemia, non essendo più “stressate” riacquistano la capacità di sintetizzare e liberare

insulina (come evidenziato dall’aumento del c-peptide). In questa fase l’Hb glicosilata può

tornare a valori normali. È, purtroppo, una condizione solo provvisoria inquanto alla fine di

tale periodo anche le ultime cellule β perdono la capacità di sintetizzare e liberare insulina.

Prospettive nel trattamento insulinico nell'età evolutiva

La ricerca nel settore della terapia insulinica è molto fervida; soprattutto si cerca di

realizzare insuline che siano somministrabili in modo atraumatico. Nuove vie di

somministrazione attualmente in fase di studio comprendono quella orale, respiratoria

(inalatoria), nasale e transdermica. La somministrazione orale d'insulina non è ancora

realizzabile a causa dei processi digestivi che rendono il peptide metabolicamente inattivo

nello stomaco. Di grande interesse è la somministrazione d'insulina orale nel tentativo di

agire sul processo immune nei soggetti a elevato rischio di sviluppare diabete, come i

familiari delle persone già affette da diabete. Nei prossimi anni sono attesi i risultati dei

trials clinici attualmente in corso. L'insulina somministrata per via inalatoria ha

recentemente destato grande interesse: gli alveoli polmonari sono molto vascolarizzati ed

espongono un'ampia superficie sulla quale l'insulina può distribuirsi. Studi preliminari

hanno dimostrato un effetto ipoglicemizzante dell'insulina somministrata per via inalatoria,

ma altri studi sono necessari per avere risultali definitivi applicabili alla routine clinica

quotidiana, specialmente nei bambini. Anche la terapia combinata d'insulina e agenti

ipoglicemizzanti orali del gruppo delle sulfaniluree e biguanidi ha sollevato un certo

interesse come mezzo per ridurre le dosi di insulina e migliorare il controllo metabolico.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 61: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Attualmente, non vi sono studi nell'età evolutiva che convalidino questa ipotesi, per cui

queste combinazioni non dovrebbero essere usate nei bambini.

Controllo e follow-up

All'esordio del diabete:

• HbA1c, assetto lipidico, azotemia, creatininemia e clearance della creatinina

endogena, funzionalità tiroidea, anticorpi anti-mucosa gastrica, esame delle urine

• Visita oftalmologica

• Esame neurologico generale

• Visita odontoiatrica

• Età ossea

Il follow-up raccomandato nei bambini e adolescenti con diabete mellito di tipo I include:

• valutazioni trimestrali (altezza, peso, BMI, stadio puberale, pressione arteriosa);

• valutazioni annuali (colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi. creatinina,

funzionalità tiroidea, autoanticorpi anti-tiroide. markers sierologici di malattia

celiaca, immunoglobuline);

• valutazioni dopo cinque anni dall'esordio: fotografìa del fundus e fluoroangiografia

(per valutare la presenza di retinopatia, da ripetere ogni tre anni in caso di normalità),

escrezione urinaria di albumina (per valutare la presenza di nefropatia, a scadenza

annuale), esami neurologici e per la funzione neurovegetativa (a scadenza triennale).

Molto importante è l’autocontrollo e l’autogestione considerando che nel bambino la

glicemia non ha mai valori costanti:

• glicemia: 3-4 volte al giorno (cartine imbevute dell’enzima glucosio-ossidasi)

• glicosuria e chetonemia: 3-4 volte al giorno (soprattutto quando non si controlla la

glicemia che va comunque effettuata quando la glicosuria persiste intorno al 2% o >).

• raccolta frazionata delle urine nelle 24 h: se servono aggiustamenti più precisi

• Importante è la valutazione dell’Hb glicosilata ogni 2-3 mesi:

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Significato dell'Emoglobina glicosilata (HbA1c)

Il test dell'HbA1c va ripetuto ogni 2-3 mesi presso un laboratorio d'analisi ed i risultati

vanno integrati con quelli di glicemia e glicosuria. L'emoglobina A rappresenta circa il 90%

dell'emoglobina (Hb) presente nel globulo rosso ed è formata da due paia di catene di

aminoacidi (alfa e beta); ad un terminale della catena beta si ancorano le molecole di

glucosio formando così l'emoglobina glicosilata (HbA1c). In considerazione del fatto che la

vita media del globulo rosso è di tre mesi, la quota di emoglobina cui si lega il glucosio sarà

proporzionale alla quantità di glucosio che è circolato in quel periodo. Si ottiene, quindi, una

stima della glicemia media in tre mesi. Nel bambino non diabetico la percentuale di

emoglobina glicosilata oscilla dal 4% al 6%, ma questo valore tende ad aumentare se la

glicemia sale a livelli superiori; vengono tollerati valori fino al 7,5%.

Oggi esistono sistemi automatizzati che in 6 minuti e l'utilizzo di un solo microlitro di

sangue capillare determinano il valore dell'HbA1c, eliminando il trauma del prelievo tramite

siringa. Come interpretare i valori di HBA1c:

✗ 4 - 6.1 % individuo non diabetico

✗ < 7.6 % individuo diabetico con controllo ottimale

✗ 7.6 - 9 % individuo diabetico con controllo non ottimale

✗ > 9 % individuo diabetico con scarso controllo

Stima indicativa della glicemia media per valore di emoglobina glicata:

Livelli plasmatici medi di glucosio e livelli di HbA1c sono correlati, per cui un incremento

dell'1% di emoglobina glicosilata, corrisponde ad un aumento di 35 mg/dl di glucosio

ematico. Abbiamo quindi:

4% HbA1c = 65 mg/dl glucosio medio nel plasma

5% HbA1c = 100 mg/dl glucosio medio nel sangue

6% HbA1c = 135 mg/dl glucosio medio nel sangue

7% HbA1c = 170 mg/dl glucosio medio nel plasma

8% HbA1c = 205 mg/dl glucosio medio nel plasma

9% HbA1c = 240 mg/dl glucosio medio nel plasma

10% HbA1c = 275 mg/dl glucosio medio nel plasma

11% HbA1c = 310 mg/dl glucosio medio nel plasma

12% HbA1c = 345 mg/dl glucosio medio nel plasma

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 63: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Fruttosamina

Con questo termine si comprendono tutte le proteine sieriche glicosilate; la sua

determinazione è un indice dell'equilibrio glicemico delle 2-3 settimane precedenti il

dosaggio. I valori normali nel bambino sono inferiori a 2mmol/l; quelli accettabili per i

diabetici devono essere inferiori a 2,5 mmol/l. L'esame della fruttosamina non sostituisce

quello dell'HbA1c.

Alimentazione ed esercizio fisico

L'alimentazione del bambino diabetico è sostanzialmente simile a quella del bambino non

diabetico ed ha come obiettivi :

• accrescimento armonico

• peso ideale

• attività fisica normale

La combinazione con le dosi di insulina deve consentire un controllo ottimale della

glicemia.

CARBOIDRATI 55%

Solo per il 10% rapidi (mono e disaccaridi) e per la maggior parte complessi (es amido)

perché richiedono una digestione ed un assorbimento di lunga durata in modo che la

glicemia aumenta lentamente. Importante inoltre usare sempre dolcificanti vari e non

sempre i soliti. Mai il sorbitolo e lo xilitolo perché sono prodotti della via dei polioli

coinvolti in alcune complicanze del diabete.

• Un regime di due somministrazioni di insulina a rapida e lunga azione richiede

un’assunzione regolare e frequente di carboidrati (spesso sotto forma di snacks) per

prevenire l’ipoglicemia durante gli inevitabili periodi di iperinsulinemia.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 64: Martinelli.md.Diabete Pediatria

• Un regime di più iniezioni di analoghi dell’insulina ad azione rapida prima dei pasti

permette un approccio più flessibile e dinamico per quel che riguarda l’equilibrio tra

insulina e carboidrati assunti.

• La maggior parte dei regimi insulinici richiede l’assunzione di carboidrati prima di

coricarsi per prevenire l’ipoglicemia notturna.

• Con un’intensificazione dell’attività fisica e della pratica sportiva ci sarà bisogno di

un consumo di extra carboidrati complessi prima, durante e dopo tali attività per

riequilibrare il bisogno di calorie e prevenire l’ipoglicemia.

LIPIDI 30%

I lipidi totali devono rappresentare il 30% delle calorie giornaliere fino ai 20 anni (25%

nell'adulto). I lipidi saturi ( contenuti negli alimenti di origine animale) dovrebbero essere

ridotti a meno del 10% delle calorie totali. I lipidi monoinsaturi (olio d'oliva) e poliinsaturi

(olii di seme e pesce) devono rappresentare rispettivamente il 12-14% e il 6-8% delle calorie

giornaliere. Contemporaneamente alla riduzione dei lipidi saturi si deve associare una

riduzione del colesterolo alimentare fino ad un massimo di 100 mg/1000 Kcal (per l'eta'

pediatrica).

PROTEINE 10-13%

Negli ultimi anni l'assunzione di proteine nei Paesi ad elevato livello economico è andata

progressivamente aumentando. In particolare tale aumento ha riguardato le proteine di

origine animale il cui introito è inevitabilmente accompagnato da grassi saturi.

Si raccomanda un apporto mediamente del 10% delle calorie totali; apporti superiori (fino al

13%) sono consigliati dal 10° al 17° anno di vita. Il rapporto ideale fra proteine animali e

vegetali deve essere quantomeno uguale a 1.

Un apporto corretto di proteine deve essere a maggior ragione indicato per il soggetto

affetto da diabete poichè l'eccessivo carico di aminoacidi determina un considerevole

aumento di filtrato glomerulare. Una dieta iperproteica prolungata nel tempo favorisce

sicuramente la comparsa di alterazioni prima funzionali e poi degenerative che conducono

all'insufficienza renale cronica. Quando si è in presenza di una persistente

microalbuminuria, pressione alta o nefropatia conclamata il consumo di proteine può essere

dannoso e per questo deve essere il più basso possibile.

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 65: Martinelli.md.Diabete Pediatria

Fonti di proteine come fagioli, legumi, lenticchie sono povere di grassi, ricche di fibre e di

carboidrati complessi e ne va incoraggiato il loro consumo, ma sono difficili da proporre se

non fanno già parte dell’alimentazione del posto.

FIBRE > 20 gr/die

Favoriscono il controllo glicemico aumentando il senso di sazietà. Regolano la funzione

intestinale aumentando l’alvo e la peristalsi. Rallentano o diminuiscono l’assorbimento degli

zuccheri (es pane integrale).

In base alla composizione ed agli effetti chimico-fisici le fibre si differenziano in due grandi

gruppi: fibre idrosolubili e non idrosolubili. Le fibre non idrosolubili (cellulosa,

emicellulose, lignina) hanno la funzione di aumentare il volume del contenuto intestinale, le

idrosolubili (pectine, gomme, mucillagini, guar, amilosio, raffinosio) hanno la capacita' di

formare un gel. Cellulosa, emicellulose e lignina sono i costituenti principali della crusca

che rappresenta la cuticola esterna della cariosside dei cereali e la maggior fonte di fibre

dell'alimentazione umana. Le pectine sono contenute in elevata quantità nella frutta, mentre

il guar e alcuni oligosaccaridi non digeribili sono specifici dei legumi.

Le fibre sono state indicate come elemento importante e indispensabile nelle

raccomandazioni dietetiche per il diabetico. Le fibre piu' efficaci nel ridurre la glicemia a

digiuno e post-prandiale sono quelle appartenenti alla classe delle fibre solubili e altamente

viscose (guar, pectine, mucillagini). La raccomandazione relativa all'assunzione giornaliera

di fibra è di 30-35 g/die per l'adulto; non esistono dati sicuri o probanti per quanto riguarda i

gruppi di popolazione di eta' estrema (bambini e anziani).

DISTRIBUZIONE CALORICA

La distribuzione calorica più in linea con le abitudini della nostra popolazione è la seguente:

Percentuale delle calorie totali Past o

15% colazione

5% spuntino

40% pranzo

5% spuntino

35% cena

Claudio Martinelli - Il diabete mellito in pediatria -

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Page 66: Martinelli.md.Diabete Pediatria

In alcuni casi (lungo intervallo fra iniezione del mattino e pranzo) puo' essere utile

consigliare una doppia merenda al mattino, sottraendo un 5% delle calorie da quelle del

pranzo. Alcuni non ritengono fisiologico somministrare di regola alimenti prima di andare a

letto allo scopo di evitare ipoglicemie notturne; è preferibile un più corretto adattamento

della dose di insulina.

ESERCIZIO FISICO

Non va negato. La contrazione muscolare rende necessario un adattamento cardiovascolare,

respiratorio, endocrino e neuronale, per fornire una maggiore quantità di ossigeno e di

substrati energetici ai muscoli e per rimuovere i prodotti di scarto. Nel soggetto diabetico

l'esercizio fisico regolare, di lieve o moderata intensità, determina una migliore utilizzazione

del glucosio e consente di abbassare i livelli di grassi (colesterolo e trigliceridi) nel sangue.

È necessario fare tuttavia attenzione alle possibili crisi ipoglicemiche durante o alcune ore

dopo l’esercizio fisico. Ogni diabetico deve controllare la propria risposta personale

all'attività fisica misurandosi la glicemia prima, durante e dopo l'esercizio fisico. È chiaro

che la somministrazione d’insulina verrà modificata in funzione delle esigenze.

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