Urgenze diabetologiche -...

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Urgenze diabetologiche Quando ci riferiamo alle urgenze diabetologiche, facciamo riferimento alle complicanze acute del diabete, escludendo le croniche come la neuropatia, la microangiopatia, la retinopatia che sono a lungo termine. Quando ci riferiamo alle complicanze acute ci riferiamo principalmente a tre tipi di complicanze, che sono: chetoacidosi diabetica coma o sindrome iperosmolare ipoglicemia La chetoacidosi è una complicanza importante e molto spesso quando esordisce, potrebbe indicare la presenza di diabete mellito di tipo I, aiutandoci nella diagnosi. Ad esempio in reparto in una ragazza abbiamo fatto diagnosi di diabete mellito , proprio con un esordio di chetoacidosi e di solito avviene così. Tuttavia nulla vieta che vi possiate trovare dinnanzi ad una condizione di chetoacidosi anche in un soggetto adulto o anziano, con un diabete mellito non necessariamnete di tipo I. E’ sicuramente una condizione meno frequente rispetto a quello che riscontriamo normalmente in un diabete di tipo I. Il quadro clinico può essere molto vario e sicuramente in alcuni casi la situazione può essere molto drammatica, perchè i pazienti giungono in coma e la gestione può essere molto complicata e complessa. Come si vede sulla slide, è una emergenza endocrina con elevato rischio, ed è la complicanza maggiore nel diabeti tipo I.

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Urgenze diabetologiche

Quando ci riferiamo alle urgenze diabetologiche, facciamo riferimento alle complicanze acute del diabete, escludendo le croniche come la neuropatia, la microangiopatia, la retinopatia che sono a lungo termine. Quando ci riferiamo alle complicanze acute ci riferiamo principalmente a tre tipi di complicanze, che sono:

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chetoacidosi diabetica coma o sindrome iperosmolare ipoglicemia

La chetoacidosi è una complicanza importante e molto spesso quando esordisce, potrebbe indicare la presenza di diabete mellito di tipo I, aiutandoci nella diagnosi. Ad esempio in reparto in una ragazza abbiamo fatto diagnosi di diabete mellito , proprio con un esordio di chetoacidosi e di solito avviene così. Tuttavia nulla vieta che vi possiate trovare dinnanzi ad una condizione di chetoacidosi anche in un soggetto adulto o anziano, con un diabete mellito non necessariamnete di tipo I. E’ sicuramente una condizione meno frequente rispetto a quello che riscontriamo normalmente in un diabete di tipo I. Il quadro clinico può essere molto vario e sicuramente in alcuni casi la situazione può essere molto drammatica, perchè i pazienti giungono in coma e la gestione può essere molto complicata e complessa. Come si vede sulla slide, è una emergenza endocrina con elevato rischio, ed è la complicanza maggiore nel diabeti tipo I.

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Quando si verifica una completa assenza o carenza di insulina come meccanismo si innesca un aumento degli ormoni controregolatori. Tale condizione permette un utilizzo da parte del nostro organismo di fonti di energia alternativi al glucosio. Essendoci una glicemia elevata e non essendoci insulina ( o non somministrata), o ci ritroviamo all’ esordio della patologia ed il paziente non è a conoscenza della propria situazione , crea quella condizione iniziale di iperglicemia. Dunque questo glucosio non viene utilizzato dalle cellule, così si attivano dei meccanismi che devono sopperire a tale carenza, per poter acquisire le energie necessarie. Per cui si avrà un utilizzo alternativo degli acidi grassi da parte del sistema del tessuto adiposo, andando a produrre i corpi chetonici. Questo è quello che dicevo prima, ovvero che la CAD può presentarsi come esordio della malattia,oppure è altrettanto vero l’ opposto.

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In particolari periodi i il paziente può ritrovarsi in uno scompenso dei valori glicemici, causato ad esempio da infezioni intercorrenti, oppure in seguito ad una polmonite, o da una infezione urinaria, o da tutto ciò può alterare il normale metabolismo , ovviamente si può giustificare un quadro di CAD. Vi sono varie cause di carenza assoluta o relativa di insulina: al primo punto si notano le infezioni, ma come vedete sotto abbiamo una serie di condizioni che comunque possono alterare o precipitare una condizione chetoacidosica.

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Questo è il meccanismo che comporta la CAD.

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Abbiamo una carenza di insulina, e dunque abbiamo una condizione di base che è l’ iperglicemia, ed il mancato utilizzo del glucosio a livello cellulare. Tutto ciò permette di attingere a riserve energetiche alternative. Inoltre l’ aumentata lipolisi conduce alla produzione dei corpi chetonici e quindi conduce alla sintomatologia. Inoltre la condizione di ipeglicemia genera come sintomo soprattutto la poliuria. Guardando la parte a sinistra della slide si nota la modalità con cui si presenta spesso il paziente, ovvero fortemente disidratato. Questa disidratazione è ovviamente giustificata dalla condizione di iperglicemia, che determina una poliuria importante e quindi una perdita di acqua e sali, generando uno stato di disidratazione. Ovviamenete potrebbe condurre ad una insufficienza di pompa, lo shock e l’infarto, e sarebbe una situazione catastrofica, ma per fortuna non succede a tutti. Chiaramente tutte queste situazioni, come la perdita di K (ipopotassemia) possono sicuramente evolvere in quadri drammatici e anche letali. Questo giustifica la percentuale di mortalità di circa il 4%. L’ aumentata gluconeogenesi è legata all’ attività epatica. Chiaramente essendoci una condizione di iperglicemia per mancato utilizzo del glucosio, è chiaro che si abbia una aumentata produzione degli ormoni della controregolazione, e questo fa si che ci sia una aumentata gluconeogenesi, che va ulteriormente a peggiorare la condizione iniziale di iperglicemia.

Come si presenta il paziente che arriva ad una condizione di chetoacidosi.

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Diciamo che il quadro può essere molto vario, e non tutti arrivano in coma. Ci possono essere degli stati molto variabili, molto ampi per quel che riguarda lo stato di coscienza. Caso clinico: ad esempio due giorni fa abbiamo avuto una paziente con ph 6.9 ed era assolutamente vigile e tranquilla; mentre un’altra ragazza russa, un mese fa, è arrivata in coma, sempre in seguito alla chetoacidosi. In realtà la ragazza è giunta al pronto soccorso per un picco febbrile ed hanno trovato un addensamento polmonare, però le analisi del sangue e il dosaggio della glicemia hanno dimostrato una glicemia di 500mg/dl ed oltre. Così chiaramente è stata fatta la diagnosi ed è stata ricoverata. Ricordiamo che spesso il paziente si presenta con una poliuria importante, è asciutto e disidratato, quindi spesso avverte la sensazione di sete. Chiaramente la condizione di disidratazione può determinare uno stato di ipotensione, quindi diciamo che generalmente è difficile che abbiamo una condizione di ipertensione. Dunque solitamente tali pazienti sono ipotesi e tachicardici. Potremo avere vari stati di alterazione della coscienza e poi ovviamente la sintomatologia tipica della chetoacidosi, con: Nausea, Vomito, Dolore addominale, Ileo paralitico ( generalmente legato alla condizione di ipopotassemia, quindi questa condizione può essere presente ) Vasto quadro di sintomi ( considerate che il paziente spesso essendo disidratato ha una leucocitosi importante) L’ eventuale quadro di leucocitosi e ileo paralitico, legato sopratutto alla deplezione degli elettroliti, in particolare del potassio, a volte generala presenza di dolore addominale che in alcuni casi fa inizialmente pensare a patologie addominali anche di interesse chirurgico. Per cui capita spesso che i chirurghi chiamino per consulenza, a causa di un paziente che è

arrivato da loro con un sospetto di patologia addominale acuta mentre in realtà il tutto è riconducibile ad uno stato di chetoacidosi. Quindi il chirurgo che si ritrova una chetoacidosi diabetica, si ritrova un attimo spiazzato nella gestione della situazione. Abbiamo tante consulenze proprio perchè a volte la sintomatologia può simulare proprio una patologia addominale di interesse chirurgico.

Il respiro di Kussmaul vedete come si presenta.

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Un’altra cosa importante di questi pazienti è l’alito, che tipicamente è chetonemico, tipico soprattutto nei bambini.

La glicemia è molto alta, generalmente siamo intorno 400/500mg/dl, ma possiamo avere valori anche più alti.

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Una volta si controllava la chetonuria utilizzando degli stick che andavano a valutare la concentrazione di chetoni nelle urine. Adesso invece si valuta la chetonemia, usando delle striscette, simili a quelle per la glicemia, e con delle macchinette apposite consentono di fare il dosaggio. Quindi non si valuta la chetonuria, bensì la chetonemia. Si dosa il betaidrossibutirrato, che è il metabolita che si riscontra e permette di fare diagnosi di chetoacidosi nel momento in cui è superiore al valore di 3.5mmol/l, mentre normalmente dovrebbe essere inferiore a 0.5mmol/l. Nella slide precedente, si nota in basso l’atteggiamento che occorre mantenere ed il monitoraggio da effettuare in un paziente con chetoacidosi diabetica. Il paziente con CAD deve essere monitorato ogni 1 o 2 ore con dosaggio della glicemia e della chetonemia. Chiaramente questo accumulo di corpi chetonici nel sangue va ad abbassare il PH, per cui quando andiamo a fare un’emogas, generalmente ci troviamo davanti una condizione di acidosi metabolica, con un PH acido inferiore a 7.3 e una riduzione importante dei bicarbonati al di sotto di 15mmol/l.

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Anche qui il problema è sempre legato al monitoraggio. Immaginate una paziente che deve essere monitorata ogni 1 o 2 ore con un pungidito per dosare glicemia e chetonemia e che purtroppo deve fare anche altri controlli importanti. A parte gli esami di laboratorio di routine, la creatinina, l’emocromo, gli elettroliti, deve essere svolto l’emogas. Emogasanalisi è un esame molto complicato e fastidioso da fare, per cui immaginate di andare a pungere continuamente l’arteria, il che ovviamente non è piacevole per nessuno. L’ EGA è molto utile in un pazienti con chetoacidosi, ma soprattutto se presenta una patologia di tipo respiratorio che giustifica lo scompenso, o una polmonite o qualcosa del genere, per cui abbiamo bisogno di informazioni a livello arterioso.Tuttavia in altri tipi di pazienti, l’ emogas ripetuto in maniera continuativa, può essere fatto anche a livello venoso, essendo un prelievo molto più tollerato. Per cui a noi interessa differenziare un emogas arterioso da un emogas venoso, per la concentrazione di PO2 , che a livello arterioso troveremo più alto rispetto a quello venoso. Ripeto che a noi nel paziente chetoacidosico potrebbe bastare il saturimetro, a meno che non abbia una patologia respiratoria per la quale ci interessi sapere quant’è la sua ipossiemia, altrimenti ci limitiamo a fare un emogas ripetuto più volte anche di tipo venoso, senza martoriare il paziente.

L’emogas si fa circa ogni 4/5 ore anche se dipende dal caso clinico.

Caso clinico : Chiaramente se la paziente arriva con 6.9 di pH ed ha una indicazione alla terapia con bicarbonati (va fatta soltanto quando il pH è inferiore a 7), non si può non fare EGA ripetuti. Quindi nel momento in cui abbiamo una paziente in terapia con bicarbonati, è chiaro che non puoi fare un emogas e poi dimenticarlo. Eventualmente non si ripete ogni 2 ore, ma almeno ogni 4/5 ore. Invece se si è davanti ad un paziente con un ph di 7.25 che sta

facendo la terapia come si dovrebbe e tutti i vari parametri stanno rientrando, diciamo che puoi farlo con queste tempistiche. Il prelievo può essere un prelievo arterioso o venoso, poichè l’unico parametro significativamente diverso tra i due è il valore dell’ossigeno. Dunque nel caso in cui ci sia una insufficienza respiratoria da polmonite o per altre cause, si effettua l’ emogas arterioso, altrimenti possiamo tranquillamente monitorare il paziente con un emogas venoso. Un’ altra condizione che dobbiamo attenzionare con i prelievi ricorrenti ,ma non nell’ ordine delle due, tre ore, ma nell’ordine delle 6, 8 ore ed è il deficit di potassio. Spesso questi pazienti arrivano con un valore di potassio normale , però ricordiamoci che man mano il glucosio entra nelle cellule , il K lo segue e quindi dobbiamo sempre aspettare una riduzione della kaliemia, che tenderà nel tempo a diminuirsi. Invece il sodio generalmente non subisce grandi modifiche nel paziente con chetoacidosi. In alcuni casi, tuttavia possiamo avere una riduzione della sodiemia, ma generalmente la sua correzione non impone terapie particolari.

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Considerate sempre che il paziente con una chetoacidosi deve essere sempre reidratato. Quindi sottolineamo il fatto che quando arriva un paziente in chetoacidoasi, per prima cosa va idratato e non trattato con l’ insulina. Dal momento che l’ idratazione comunque viene effettuata con soluzione fisiologica ad una determinata velocità, almeno nelle prime 10-12 ore, è chiaro che quel piccolo deficit di sodio che può esserci, generalmente viene colmato da questa terapia, la quale rappresenta il primo gradino nella gestione della chetoacidosi.

Generalmente non ci troviamo dinnanzi a delle alterazioni importanti della sodiemia. Chiaramente andremo a controllare la funzionalità renale, considerato che il paziente è sempre disidratato e può andare incontro ad insufficienza renale da scarso afflusso di liquidi. Ovviamente queste sono le cose che dobbiamo monitorare in un paziente. Quindi partiamo dalla chetonemia ogni due ore, emogas, esami del sangue e quindi elettroliti, funzionalità renale, emocromo, ricordando che tali pazienti presentano una importante leucocitosi ( causato dalla disidratazione e dallo stato infiammatorio).

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Spesso il quadro clinico associato a nausea , vomito, sintomi tipici di chetoacidosi come dolori addominali,ileo paralitico, con presenza di leucocitosi, possono mimare un addome acuto . Tutto ciò può indirizzare erroneamente questi pazienti ai reparti di chirurgia. Se il dolore addominale non si risolve con il trattamento della chetoacidosi, perchè chiaramente intervenendo sulla causa , si migliora la condizine clinica, allora bisogna prendere davvero in considerazione la presenza di una patologia addominale. Qui ripetiamo l’approccio che deve essere fatto nei confronti di un paziente.

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Chiaramente valutiamo i parametri vitali, il paziente potrebbe essere in una situazione di shock dato lo stato in cui versa, presentando disidratazione e alterata coscienza. Inoltre si misura la glicemia capillare e la chetonemia capilare. Chiaramente l’anamnesi, così se il paziente è cosciente può raccontare qualcosa, altrimenti generalmente ci rifacciamo ai parenti. Questi sono tutti gli esami di laboratorio come detto precedentemente.

Questo è il primo messaggio da portare a casa.

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La prima cosa che noi dobbiamo andare a correggere nel paziente con CAD non è l’iperglicemia,ma la cosa importante è ripristinare il circolo e i liquidi corporei, quindi è fondamentale correggere l’idratazione. Questa è la spiegazione del perchè noi dobbiamo idratare prima il paziente.

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Se noi diamo l’insulina, il glucosio entra nelle cellule ed essendo osmoticamente attivo si porta dietro l’acqua. Essendo il paziente già ipovolemico, andiamo ad aggravare la situazione.

Terapia:

Reidratazione;

Correzione dell’iperglicemia, tipi di insulina e vie di somministrazione;

Correzione dei deficit elettrolitici;

Correzione dell’acidosi (correzione con bicarbonato: vi sono teorie contrastanti sull’ utilizzo)

Controllo e monitoraggio generale del paziente per vedere che non insorgano delle complicanze.

Quanti e quali liquidi nelle prime 10/12 ore

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Reidratazione di circa 250/500 ml/h. Significa che nell’arco delle prime 10/12 ore, l'idratazione va da circa 2,5 a 5 litri di liquidi. È chiaro che lo stato di idratazione va sempre valutato, soprattutto se è un soggetto con diagnosi di diabete di tipo I di prima insorgenza. Generalmente sono ragazzini, ma se è un paziente con diabete di tipo 2, con cardiopatia dilatativa, la funzione di pompa del 30% capite bene che dobbiamo essere un po' più cauti. In linea generale dobbiamo seguire tali linee guida, ma ovviamente è chiaro che quello che c'è scritto sui libri deve essere poi rapportato con il tipo di paziente che abbiamo davanti. In passato venivano somministrati fin dalla prima ora un litro di soluzione fisiologica, con una velocità abbastanza importante. Adesso nelle ultime linee guida non si effettua. Infatti occorre partire con 250 500ml/h nell'arco delle prime 10 12 ore. Poi è chiaro che quando idratate il paziente e ogni due ore controllate la glicemia vedrete che ad esempio la glicemia sta scendendo quindi verrà da sè aggiustare la posologia di tutto quello che andate a fare. Allora considerate che già la sola idratazione del paziente fa abbassare la glicemia, per esempio a noi capita spesso in pazienti anziani che vengono con la glicemia un po' più alterata, somministriamo 500ml di soluzione fisiologica consentendo la riduzione dei valori di glicemia. Generalmente si utilizzano le soluzioni isotoniche, quindi soluzione fisiologica allo 0.9%. Il deficit di liquidi viene corretto poi nelle 48/ 72 ore successive. Generalmente quando arriva un paziente con chetoacidosi diabetica dobbiamo ricorrere ad un escamotage, perché noi dobbiamo da un lato idratare il paziente e dall'altro dobbiamo utilizzare una miriade di farmaci, per cui è sempre bene sempre avere due accessi venosi periferici. Un

accesso venoso è da dedicare all’ idratazione, mentre l'altro accesso alla terapia aggiuntiva. Chiaramente per fare abbassare la glicemia introduciamo insulina. Anche per l’ insulina c'era una vecchia linea guida che prevedeva un bolo rapido inizialmente, invece adesso questo non avviene più.

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Oggi si può iniziare subito con una infusione di insulina a dosaggio che va da 0.1 a 0.14 unità pro kilo all'ora, e questa infusione va regolata e va seguita fino al raggiungimento di quello che noi definiamo il target, ovvero una glicemia di 250mg/dl. A tale valore l’ organismo subisce una variazione. Ad un paziente di circa 70 kg dovremmo dare circa da 7 a10 unità/h di insulina e nella pratica abbiamo la pompa di infusione che ci permettono di somministrare la quantità di insulina corretta. Abbiamo essenzialmente due modi di diluire la nostra insulina: o diluiamo 50 unità di insulina in 50 ml di soluzione fisiologica e così il rapporto è 50 e 50, cioè per ogni ml di soluzione fisiologica c'è un'unità di insulina, per cui ad esempio se noi dobbiamo dare 7 unità di insulina l'ora basta organizzare la pompa in modo da fare scendere i liquidi a 7 ml l'ora. Oppure abbiamo anche quelle da 500 ml, ed è chiaro che in questo caso se mettete in pompa 500 ml di soluzione fisiologica con 50 unità di insulina rapida, il rapporto non è più 50 e 50, per cui una unità di insulina ce l'avrete in 10 ml di soluzione fisiologica. Inoltre ricordiamo che a causa di incompatibilità, l'insulina glulisina non va mai miscelata in glucosata al 5%. Se alla seconda ora la glicemia ancora non si è ridotta, allora possiamo raddoppiare la quantità di insulina dalla seconda ora in poi fino a 0.2 unità di insulina pro kg l'ora. Dunque vi dicevo che il nostro target iniziale è quello di

ripristinare la volemia e di far abbassare la glicemia fino al valore soglia di 250, e una volta raggiunto questo valore dobbiamo modificare la nostra terapia.

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Occorre stare attenti, perchè il paziente può andare incontro all’ ipoglicemia. Quindi giunti al valore di 250mg/dl sospendiamo la soluzione fisiologica ed iniziamo a infondere soluzione glucosata al 5%. Bisogna prestare attenzione, perchè nel momento in cui noi abbiamo la glicemia intorno ai 200mg/dl, non dobbiamo assolutamente sospendere l'insulina. Consideriamo il fatto che l'insulina ha un'emivita molto breve e se viene sospesa, in breve tempo ritorniamo al punto di partenza. Questo procedimento va ripetuto fino a quando non avremo un miglioramento dell'emogas. Quindi quando il pH torna verso la normalità,con un valore maggiore di 7.3 e i bicarbonati sono superiori a 18, (considerate che il valore standard è intorno al 24 ), a questo punto possiamo ricominciare a fare la terapia. Se il paziente era già un diabetico noto e faceva già a casa l'insulina rapida e il bolo lento serale, riprenderà la sua terapia, invece se il paziente è un primo esordio, gli impostiamo ovviamente la terapia. Quest’ ultimo inizierà con l'insulina rapida ai pasti e il bolo lento la sera alle ore 22. Ricordiamoci che nel momento in cui noi iniziamo la somministrazione di insulina per via sottocutanea non dobbiamo sospendere subito l'insulina per via endovenosa proprio per questo discorso di emivita, quindi per altre due ore dopo l'inizio della somministrazione sottocute dobbiamo continuare l'infusione dell'insulina endovenosa.

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L'altro parametro da valutare è il deficit degli elettroliti.

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Come detto precedentemente , diluendo e idratando il paziente, si riesce a ridurre la glicemia, ma il potassio entra nelle cellule. Per evitare un eventuale rischio di ipopotassiemia, dobbiamo somministrare ovviamente potassio dall'esterno. Considerate che anche con valori normali 3.4 e 4.5 infondiamo potassio, ma ad una velocità inferiore. La somministrazione di potassio la sospendiamo solo nel caso in cui ci troviamo in una condizione di iperpotassiemia, quindi nel caso in cui avremo un valore superiore a 5.5. Spesso questi pazienti presentano anche un deficit di magnesio. Considerate che il magnesio è fondamentale nel funzionamento della pompa ATPasi sodio-potassio, per cui se abbiamo un'ipopotassiemia e non diamo magnesio, possiamo dare anche grandi quantità di potassio ma non raggiungiamo il nostro obiettivo. Dunque è importante somministrare il magnesio dall'esterno con delle fiale di solfato di magnesio. Ricordiamo di non utilizzare i bicarbonati con un pH superiore a 7, ma li somministriamo a partire da un pH di 6.9, perché l'acidosi provocherà dei danni a livello di organi fondamentali quali il cuore, reni, cervello e strutture periferiche.

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Nella pratica clinica andiamo a somministrare una preparazione di sodio bicarbonato all’ 1.4% e dopo un'ora dall'infusione andiamo a fare un'emogas. L'altra condizione che più frequentemente ci troviamo nel diabete di tipo 2 è la sindrome iperosmolare.

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Anche in questo caso abbiamo un quadro di iperglicemia, ed il paziente è fortemente disidratato, ma ovviamente ci viene a mancare la condizione di chetoacidosi, ed inoltre l'emogas è praticamente normale. Nella maggior parte dei casi sono vecchietti, che magari non hanno fatto la loro insulina o che sono andati incontro ad un episodio infettivo, e dunque il quadro d'approccio è molto simile a quello della chetoacidosi. Tuttavia in questi casi la disidratazione può essere ancora più marcata. Ricordatevi però che il paziente di tipo 2 non è il paziente di tipo 1, perché nel paziente di tipo 2 che è spesso anziano noi possiamo effettuare un'idratazione massiva. Inoltre dobbiamo considerare la possibile presenza di comorbilità, ed il fatto che molto verosimilmente il fabbisogno insulinico è generalmente minore, ed in aggiunta devono essere idratati in maniera non molto importante e con minor insulina.

Nell'ipoglicemia abbiamo una glicemia inferiore ai 50 mg/dl e generalmente il quadro va a regredire nel momento in cui iniziamo a somministrare alimenti ad alto contenuto zuccherino,ovviamente se il paziente è vigile.

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Se il paziente è in coma ipoglicemico dobbiamo intervenire con la somministrazione endovenosa, generalmente usando dei boli con una concentrazione di glucosio maggiore al 33% e poi si può proseguire con glucosate al 20%, al 10% e 5%. Eventualmente in ultima analisi somministriamo il glucagone per via sottocutanea, intramuscolo o endovenoso. Le cause come potete vedere possono essere varie, ad esempio una dose eccessiva di farmaco o un'attività fisica imprevista.

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