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P.16 SPECIAL FREE ISSUE - N.406 - 9 DICEMBRE 2019 YAMAHA TMAX 560 E TECH MAX 2020 LA PROVA P.30 Montesa Cota 301RR NOVITÀ P.80 “La guida dell’autobus con lo smartphone in mano” EDITORIALE Triumph Tiger 900

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P.16

SPECIAL FREE ISSUE - N.406 - 9 DICEMBRE 2019

YAMAHA TMAX 560 E TECH MAX 2020

LA PROVA

P.30

MontesaCota 301RR

NOVITÀ

P.80

“La guida dell’autobus conlo smartphone in mano”

EDITORIALE

TriumphTiger 900

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la provaYAMAHA TMAX 560

DA 11.999 EURO

MOTORE DUE CILINDRI IN LINEA

TEMPI 4

CILINDRATA 562 cc

RAFFREDDAMENTO A LIQUIDO

CAMBIO VARIATORE AUTOMATICO

TRASMISSIONE FINALE CINGHIA

POTENZA MASSIMA 48 CV A 6.750 GIRI

COPPIA MASSIMA 55 NM A 5.250 GIRI

EMISSIONI EURO 5

TELAIO TELAIO IN ALLUMINIO A DOPPIO TRAVE

PNEUMATICO ANT. 120/70R15M/C 56H

PNEUMATICO POST. 160/60R15M/C 67H

CAPACITÀ SERBATOIO 15 LT

ALTEZZA SELLA 800 MM

PESO 218 KG IN ORIDNE DI MARCIA

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PROVA PROVA

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di Edoardo Licciardello

YAMAHA TMAX 560 E TECH MAX 2020. SETTIMO CIELO

Più prestante, più affilato e

nuovamente sportivo anche

nel look. E’ completo, raffinato

e dinamico, ma la qualità si

paga...

20 anni (quasi) e non sentirli. Yamaha TMAX, nato nel 2001 e arrivato ormai alla settima ver-sione, è ormai un grande classico del panorama motociclistico mondiale. 330.000 unità vendute in 87 paesi - per l’84% in Europa, per circa il 30% in Italia.

Un classico, come si suol dire, e allo stesso tem-po anche uno dei modelli più controversi dell’in-tero panorama mondiale, perché proprio la sua natura di sintesi fra lo scooter e la moto lo ha reso del tutto polarizzante per il pubblico delle due ruote. O lo si ama, o lo si odia - difficile tro-vare vie di mezzo. Con l’arrivo del 2019, il TMAX passa all’Euro-5 e coglie l’occasione per rifarsi sotto e sopra le carene. Sotto, perché la nuova normativa lo rende più pulito e al tempo stes-so più prestante, con un aumento di cilindrata che fa crescere potenza e coppia. Sopra, perché dopo il modello 2017, più elegante ma meno ag-gressivo nell’estetica rispetto ai tradizionali con-notati del maxiscooter Yamaha, gli appassionati hanno chiesto a gran voce un ritorno alle origini,

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un back to the roots. Yamaha, con grande onestà, ha ammesso il (mezzo) passo falso, ed è tornata rapidamente sui suoi passi con un TMAX 560 più affilato e grintoso. Insom-ma, passateci il termine, con quel po’ di ta-marraggine guascona che l’appassionato si aspetta. Ci sono tratti delle supersportive YZF-R, linee del dark side of Japan della se-rie MT: insomma, esteticamente la missione è compiuta. Adesso ci tocca andare in una piovosissima Lisbona per capire se anche di-namicamente il TMAX 560 è... il miglior TMAX di sempre.

Un po’ di storiaNato nel 2001, il T-Max si è subito propo-sto come un mezzo unico, diverso da tutto quello che si era mai visto nella categoria dei maxiscooter. Con il suo telaio di stam-po motociciclistico ospitante un propulsore bicilindrico completamente svincolato dal forcellone e dotato di trasmissione finale a catena, il T-Max 500 si presenta come inedita sintesi fra lo scooter e la moto, ed è un suc-cesso immediato.

Nel 2004 arrivano l’iniezione, il doppio disco anteriore e la gomma posteriore maggiorata - tanto per assecondare i tanti appassionati che dappertutto lo usano come una moto sportiva - e poi quella nuova strumentazio-ne in tre elementi, caratterizzazione che è rimasta fin da allora pur cambiando nella composizione.

Il 2008 (qui la prova) è una vera rivoluzione. Il telaio diventa in alluminio, e arriva anche l’anteriore da 15” con nuove pinze freno di palese derivazione YZF-R. Ormai in tutto il mondo il T-Max è considerato un mezzo sportivo, e come tale si evolve. Nel 2012 la pietra miliare: la cilindrata cresce a 530 cc, il peso scende di 4 kg tornando vicinissimo ai 199 kg della prima versione, arriva la tra-smissione a cinghia che permette l’adozione del nuovo forcellone in alluminio e cambia anche il nome, che da T-Max diventa TMAX, tutto attaccato e maiuscolo come la power cruiser VMAX. Il maxiscooter Yamaha cresce sensibilmente nelle prestazioni, e la stru-mentazione diventa quella che conosciamo oggi, con display centrale LCD e i due stru-menti tondi ai lati. Trovate qui la nostra pro-va.

Nel 2015 arriva l’Euro-4 (qui la prova) qual-che ritocco nel design che lo rende ancora più spigoloso e cattivo, gruppo ottico a LED, la forcella a steli rovesciati con pinze radiali di derivazione MT-09, e infine la smart key. E arrivano anche le versioni speciali come Black MAX, Bronze MAX, IRON MAX e via di-scorrendo.

Nel 2017 esce la sesta versione (qui il test, e qui la comparativa con l’Honda X-ADV) molto più raffinata nella linea ma meno ca-ratterizzata in senso sportivo nonostante i tre allestimenti standard, SX, DX, e l’arrivo di

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menti e spegnimenti, in Yamaha hanno pen-sato bene di migliorare la lubrificazione a freddo.

Rimangono naturalmente, anche se affinati nelle strategie, i due D-mode, che variano la risposta del comando acceleratore YCC-T secondo le preferenze del pilota: una taratu-ra è più dolce, per la città, e una più cattiva per l’impiego sportivo. E resta naturalmente anche il controllo di trazione, anch’esso più raffinato nell’intervento.

Cambia anche lo scarico, che torna a pun-tare cattivo verso l’alto, studiato anche nel timbro acustico. Il tutto fa aumentare di

poco la potenza massima (+3,5%, per un to-tale appena sotto i 48 cavalli, scelta precisa per mantenere la guidabilità con patente A2) a 7.500 giri contro i precedenti 6.750 ma rinvigorisce nettamente la coppia (+6%) che cresce su tutto l’arco d’erogazione miglio-rando - secondo le dichiarazioni Yamaha - le prestazioni del 18%. Il rapporto finale si al-lunga di conseguenza, per offrire una velo-cità massima più elevata o, se preferite, un minor consumo alla velocità di crociera. In generale, restando in argomento, il consu-mo cala da 5,3 a 4,8 litri per 100 chilometri.

Cambia poco la ciclistica, con il consueto te-laio a doppio trave in alluminio con forcella

controllo di trazione e D-mode per l’accele-ratore. E quindi, registrato il tepore nel gradi-mento degli appassionati del TMAX, Yamaha ha fatto prontamente ammenda aggiustan-do il tiro per la settima versione, indiscutibil-mente più caratterizzata in senso sportivo.

Com’è fattoVe ne abbiamo già parlato solo qualche set-timana fa, al momento del lancio a EICMA, ma vale la pena ripassare i fondamentali. Il TMAX 2019 si adegua alle normative Euro-5, ma per non sacrificare nulla in termini di prestazioni cresce nella cilindrata: due mil-limetri in più di alesaggio portano il propul-sore bicilindrico con lubrificazione a carter

semi-secco a 562 cc, con conseguente allar-gamento delle valvole all’aspirazione che passano a un diametro di 27 mm, un diverso diagramma per la distribuzione bialbero e nuovi iniettori più efficienti, oltre a un albe-ro motore (fasato a 360°) alleggerito. Da se-gnalare come il motore non cresca né nelle dimensioni, né nel peso nonostante la mag-gior cilindrata.

Più efficiente l’impianto di raffreddamento, con un radiatore che aumenta del 6% nella superficie e nuove prese d’aria che permet-tono alla ventola di partire alla soglia degli 82° invece dei precedenti 71. E per adeguar-si all’uso cittadino, fatto di frequenti avvia-

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rovesciata e monoammortizzatore posterio-re Monocross; le sospensioni cambiano però nelle tarature con molle più rigide e idraulica rivista per adeguarsi alle maggiori prestazio-ni. Il peso si attesta a 218 kg in ordine di mar-cia (per la versione standard), con serbatoio da 15 litri pieno, continuando a detenere il primato di categoria.

A livello estetico vale la pena di citare linee sicuramente più tese e affilate, pur man-tenendo gli stilemi tipici del TMAX come il boomerang laterale, che per l’occasione si snellisce lateralmente facilitando l’appoggio dei piedi a terra per i meno alti. I gruppi ot-tici, compresi gli indicatori di direzione più rastremati e il faro posteriore a “T”, sono tut-ti a LED, con diversi richiami alle sportive di Casa Yamaha.

Il sottosella è illuminato e impermeabile, ed è capace di ospitare due jet o un integrale, la strumentazione mantiene lo schema a tre elementi con i due strumenti circolari - tachi-metro e contagiri - e un pannello TFT mono-cromatico nella parte centrale che mostra contachilometri, due tripmeter, l’indicatore del consumo corrente di carburante e quello della temperatura esterna.

Il cavalletto centrale, infine, è dotato di si-stema di bloccaggio antifurto che impedisce di far scendere lo scooter se non si dispone della smart key, introdotta già sul TMAX di

quinta generazione.

Prezzi, allestimenti e disponibilitàIl TMAX 560 2019 arriva nelle concessionarie a dicembre 2019 nelle due livree Icon Gray e Sword Gray a 11.999 euro franco concessio-nario.

La lista degli optional è naturalmente molto ampia; vale la pena di citare lo scarico Akra-povic, diverse parti in alluminio ricavate dal pieno, particolari in fibraa di carbonio e le pedane in alluminio per il passeggero dotate di svasatura frontale per accogliere anche i piedi del pilota in posizione sportiva.

Previsti anche allestimenti particolari come Sport Pack, Urban Pack e Winter Pack per configurare il proprio TMAX secondo le esi-genze risparmiando qualcosa sull’acquisto dei singoli accessori.

Se però volete il non plus ultra c’è la versione TECH MAX, che offre in più parabrezza rego-labile elettricamenrte, cruise control, sella e manopole riscaldabili, monoammortizzato-re regolabile, steli forcella anodizzati in oro, finiture più curate nel retroscudo e la funzio-nalità My TMAX, con antifurto Vodafone Box a canone gratuito per il primo anno.

Il peso, sempre in ordine di marcia e con il pieno, sale a 220 kg, e il prezzo lievita a 13.799 euro. Due le livree: Sword Gray e l’e-

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sclusiva Tech Camo.

In sellaIl primo contatto è estremamente positivo: la posizione in sella è quella - comoda ma di-namica - che ben conosce chiunque abbia o abbia avuto un TMAX. Essendo chi scrive non esattamente uno stangone, è apprezzabile la svasatura del boomerang centrale, che mi permette di toccare terra con entrambi i piedi a differenza di quanto avveniva con il modello precedente.

Il colpo d’occhio sul ponte di comando è dav-vero gratificante: su questo TECH MAX - gli esemplari in prova erano tutti nella versione più pregiata, anche perché storicamente gli allestimenti top pesano per circa il 50% delle vendite - strumentazione e blocchetti fanno invidia a una GT per completezza e raffina-tezza al tocco. Purtroppo, rimane un coman-do frecce un po’ troppo “digitale” al tocco, e privo di cicalino o di auto-cancellazione temporizzata - in città può succedere di di-menticarsele inserite, e di prendersi qualche maledizione da parte dell’automobilista che vi segue.

Per tutto il resto, il TMAX è un vero piacere da usare: il sistema di controllo di parabrezza e riscaldamento sella e manopole è comodo e razionale, e tutti i comandi sono ben dispo-sti, logici nella disposizione e facilmente rag-giungibili. La prima parte della nostra prova

si è svolta tra l’altro sotto una pioggia bat-tente, frangente in cui abbiamo apprezzato la protettività del TMAX: le mani sono prati-camente l’unica parte del corpo realmente esposta.

Notevole lo spazio sottosella, che accoglie bene un integrale e uno zainetto di piccole dimensioni (abbiamo provato) e l’illumina-zione è comoda, anche se forse l’avremmo preferita in posizione un po’ più elevata: se la zona posteriore del vano è occupata può venire “bloccata”.

MotoreIl nuovo propulsore da 560 cc è un vero gio-iello. Pronto all’avviamento, anche con lo scarico di serie ha una voce brillante e spor-tiva (quello del nostro apripista era dotato di silenziatore Akrapovic e il tono è ancora più gustoso senza essere fastidioso) e in cit-tà si dimostra pastoso e dolce nella risposta all’acceleratore. I due D-mode ora sono ef-fettivamente molto più differenziati, con un “T” più dolce e gestibile, e un “S” invece mol-to più pronto nella risposta e adatto all’uso sportivo.

Il bicilindrico Yamaha risponde ora con più prontezza e vigore al richiamo dell’accelera-tore, e pur non avendo a portata di... sella un modello 2019 per fare il confronto diretto, in diversi frangenti abbiamo notato un motore decisamente più grintoso, sia alle basse che

alle alte velocità, con un allungo nettamente migliore quando si insiste con il gas.Efficace e ben tarato anche il controllo di trazione, che nella mattinata ci ha salvato diverse volte in situazioni spinose (per ter-ra c’era veramente di tutto, visto il vento e la pioggia) senza risultare poi intrusivo o incoerente nella guida sportiva, provata nel pomeriggio su strade più mosse e fortunata-mente più asciutte.

Capitolo consumi: dal computer di bordo abbiamo visto una media di 5 litri per 100 chilometri, valore più che onorevole consi-derando la guida tipica della presentazione stampa, con tante ripartenze da fermi e pas-saggi davanti al fotografo.

La ciclisticaStabile e preciso, il TMAX si rivela anche ben maneggevole in città, con un notevole equi-librio anche nelle manovre in quasi surplace per slalomare nel traffico, frangente in cui scopriamo un mezzo più agile di quanto le dimensioni non lascerebbero sospettare. Nella guida sportiva, come sempre, preci-sione e rigore direzionali sono nettamente superiori a qualunque altro scooter, anche se è difficile valutare l’irrigidimento delle so-spensioni senza un confronto diretto.

Ci limitiamo a dire che nei cambi di direzio-ne, in percorrenza e in frenata la coerenza dell’assetto è quella che normalmente as-

sociamo al TMAX. Parlando di frenata, la po-tenza del comando è ottima e adeguata an-che nella guida più dinamica, senza risultare troppo impegnativa nei frangenti cittadini - l’equilibrio fra mordente e modulabilità è davvero azzeccato.

Bene l’assorbimento delle buche: la compo-stezza dell’assetto non vi spacca la schiena su buche e dissuasori vari - certo, ci sono scooter più comodi sulle asperità. Ci sentia-mo però di dire senza grossi timori di smen-titq che non sono però altrettanto veloci ed efficaci...

Per chi è TMAX 560?Stavolta è facilissimo. Se parliamo di chi ha già un TMAX, la versione 2020 mette d’accor-do tutti: è sportivo nelle linee come i best seller dell’albero genealogico, senza sacrifi-care la raffinatezza tecnica e stilistica guada-gnate con il modello 2017. Sono solo state sacrificate un po’ quelle forme giunoniche e stondate che avevano fatto storcere il naso ai duri e puri del maxiscooter di Iwata.

Se invece pensiamo più in generale, il TMAX rimane una sintesi finora non raggiunta - almeno a parere di chi scrive - fra scooter e moto, con la praticità, la fluidità e la... scoo-terosità che ne fanno un re degli scenari ur-bani, unite a un telaio di tipo davvero moto-ciclistico, capace di dare feeling e gusto nella guida sportiva.

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ABBIGLIAMENTO

CASCO HYPE HP5.21

GIUBBOTTO STUD75 REVOLVER

PANTALONI ALIKE TECH DENIM

SCARPE: TCX STREET ACE AIR

E poi c’è quel suo fascino un po’ eccessivo unito a un’immagine da prodotto di gamma alta (se non altissima) che lo rende appeti-bile come nessun altro - pensate a un abito di Versace, Cavalli o Dolce & Gabbana. Non è detto che tutti se la sentano di indossarlo, ma non per questo è meno bello o elegante.

Certo, il prezzo è alto, come del resto è sem-pre stato - se vi chiedete perché, con questi soldi, dovreste comprare questo e non una moto vuol dire che non siete “da TMAX”. Che può benissimo affiancare una moto se volete un mezzo più comodo e pratico per la città

che vi permetta di... fare il giro lungo diver-tendovi nel ritorno a casa, ma volendo an-che sostituirla, se le vostre priorità “tirano” più verso la praticità. Servono solo apertura mentale e una prova. Poi capirete.

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la provaMONTESA COTA 301RR

10.190 EURO

MOTORE MONOCILINDRICO

TEMPI 4

CILINDRATA 298 cc

RAFFREDDAMENTO A LIQUIDO

CAMBIO A 5 MARCE

TRASMISSIONE FINALE CATENA

POTENZA MASSIMA N.D.

COPPIA MASSIMA 26 NM A 8.500 GIRI

TELAIO DIAMANTE DOPPIO TRAVE IN ALLUMINIO

PNEUMATICO ANT. 1.60 X 21”

PNEUMATICO POST. 4.00–18”

CAPACITÀ SERBATOIO 19 LT

ALTEZZA SELLA 665 MM

PESO 73 KG A SECCO

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F

di Andrea Buschi

MONTESA COTA 301RR: TUTTA NUOVA E PIÙ MODERNA

Montesa non finisce di stupire,

e dopo tre anni rinnova il suo

modello RR con importanti

interventi meccanici ed una

nuova, più moderna veste

estetica

Fin dalla sua nascita, il modello Montesa Cota 4RT ha rappresentato una vera rivoluzione nel mondo della Trial, una disciplina completamen-te dominata dalla meccanica a 2 tempi, motori di relativa semplicità meccanica estremamente compatti che, tuttavia risultano penalizzati per l’alto livello di emissioni inquinanti.

Tanto che, in previsione delle normative antin-quinamento che dovevano entrare in vigore nel 2006, Montesa, in stretta collaborazione con Honda Motor Co., sviluppò la Montesa Cota 4RT, una moderna motocicletta da Trial dotata di un rivoluzionario e compatto motore 4 tempi a 4 val-vole alimentati dall’iniezione elettronica PGM-FI; un progetto altamente efficiente in termini di livello di emissioni inquinanti, nonché di valori significativi di coppia e potenza. Inoltre, Anche la parte ciclistica si è rivelata certamente inno-vativa con l’adozione di un telaio in alluminio leggero e l’uso di un set di sospensioni Showa di alta qualità, sottolineando il design di successo del sistema di sospensione posteriore Pro-Link.

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301RR, un modello che viene a sostituire la 300RR e il cui obiettivo è stato quello di av-vicinarlo alla moto da corsa del campiona-to mondiale Trial 2. La 301RR è la versione più potente prodotta in serie. È una moto progettata per competere, da cui il suo co-gnome RR (Race Ready). Il modello ha una comprovata esperienza ereditata dalle mac-chine da competizione utilizzate dai piloti Montesa nel Trial World Championship, da cui adotta la maggior parte dei suoi compo-nenti e soluzioni tecniche.

La Cota 301RR è sostanzialmente la stessa motocicletta con cui Gabriel Marcelli è stato proclamato campione del mondo di Trial2.

Un successo che è stato completato dal se-condo posto di Matteo Grattarola (campione del mondo della categoria la scorsa stagio-ne) e con il quinto posto di Francesc Moret. Insomma, una vera moto da corsa, a dispo-sizione dei fan.

ProduzioneCome Cota 4RT260, Race Replica e 4RIDE, la 301RR è prodotta esclusivamente e per tutto il mondo nelle moderne strutture di Mon-tesa Honda, a Santa Perpètua de Mogoda, Barcellona. Va notato che in fabbrica ven-gono eseguiti tutti i processi di produzione, tra cui: assemblaggio del motore, iniezione di plastica, fabbricazione del telaio in allu-

Fin dal primo momento, i vantaggi del fan-tastico motore da 250 cc hanno stupito tutti sulla possibilità di poter competere contro macchine a 2 tempi di cilindrata simile. Mon-tesa Cota 4RT si è distinta per l’esclusività in termini di soluzioni tecnologiche, ma anche per essere un modello di alta qualità e più che comprovata affidabilità, aspetti sicu-ramente apprezzati dai clienti del marchio. Seguendo questa filosofia, che unisce la tec-nologia più avanzata e il massimo rispetto per l’ambiente, nel 2013 Montesa ha presen-tato la nuova Cota 4RT260, una motocicletta completamente nuova che ha mantenuto le caratteristiche principali della Cota 4RT, au-mentandone le prestazioni. In questo stesso

senso, nel 2015 il marchio ha anche lanciato la sua competitiva Cota 300RR, un modello di orientamento più racing rispetto alla Cota 4RT260, ma che ha continuato a condividere con essa la tecnologia a 4 tempi.

Per la stagione 2016, e senza perdere la sua identità, Montesa ha deciso di presentare il 4RIDE, un modello inserito sul mercato per recuperare un concetto che il marchio stesso ha iniziato con modelli come la versione da Trail di Cota 247 o Cota 348 e che consolidato con l’Evasion. In pratica una moto focalizza-ta sul Trial escursionistico.Per la stagione 2020, Montesa ha nuovamen-te sorpreso con l’annuncio della nuova Cota

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minio, serbatoio del carburante e forcellone, processi che garantiscono alti livelli di quali-tà del marchio.

MotoreLa nuova Cota 301RR eredita il motore del-la moto che partecipa al Campionato mon-diale Trial2 e ha ottenuto buoni risultati, proclamandosi campione del mondo nella categoria con il pilota spagnolo Gabriel Mar-celli. Questo è stato l’obiettivo principale de-gli ingegneri con questo nuovo modello cioè stato quello di avvicinarlo il più possibile alla concorrenza. La cilindrata è aumentata da 288cc della 300RR agli attuali 298cc (cilin-drata massima consentita nel Campionato mondiale Trial2), aumentando le dimensioni del pistone e del cilindro. Insieme a questo aumento di cilindrata, la Cota 301RR bene-ficia di una serie di importanti cambiamen-ti nell’unità di controllo elettronica (ECU), insieme a una riprogettazione del sistema di decompressione del gas del basamento a favore di una ulteriore riduzione del freno motore. Pertanto, durante il taglio del gas, la motocicletta si sente molto più leggera e controllabile. Per raggiungere questo obiet-tivo, il diametro dello sfiato del basamento è stato aumentato da 1,9 mm a 2,25 mm, ora identico alla motocicletta campione del mondo TrialGP di Toni Bou e Fujinami.Oltre a quanto sopra, l’albero a gomiti ora ha più inerzia per ottenere una maggiore progressività. In questo modo si ottiene un

notevole miglioramento della risposta ai mi-nimi regimi e un comportamento più simile alle motociclette che competono in Cam-pionato del Mondo. A questo proposito, vale la pena notare la perfetta connessione tra il controllo del gas e la trasmissione finale, un aspetto chiave nella prova di altissimo livello e in cui diventa essenziale lo squisito funzionamento del sistema di iniezione elet-tronica PGM-FI.

CiclisticaLa Cota 301RR si basa su un leggero telaio in alluminio e un forcellone con comprovata af-fidabilità e alto livello di prestazioni. Questo nuovo modello è equipaggiato con i dischi dei freni a lobi che montano le macchine del-la squadra corse su entrambi i treni, in parti-colare il disco posteriore è omologato FIM. In questo modo si ottiene più potere frenante su entrambe le ruote.

A seguito delle analogie con la Montesa Trial di Campionato del mondo, anche il silenzia-tore in alluminio è stato riprogettato. La sua resistenza è aumentata, aumentando il volu-me del silenziatore e il diametro della camera d’aria. Tutto ciò, insieme alle altre modifiche al motore, ha comportato un notevole au-mento della coppia in tutta la gamma di giri, beneficiando fino al 16% in più di potenza e coppia in giri bassi e medi. Inoltre, incorpo-ra una nuova protezione di scarico, mentre per migliorare la protezione del basamento,

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è stata posizionata una nuova gomma tra carter e piastra di para-motore, molto più avvolgente, basata anch’essa sulle moto dei campioni del mondo di TrialGP e Trial2. La Cota 301 ha ancora la forcella ammortizzata Tech con barre in alluminio e adotta nuovi mozzi ruota leggeri lavorati in alluminio, so-luzioni che consentono un notevole rispar-mio di peso. Nel treno posteriore continua ad equipaggiare un ammortizzatore Showa che aiuta a migliorare la trazione.

Design e plastichen generale, la nuova Cota 301RR presenta linee più aggressive e spigolose, offrendo un tocco più sportivo e moderno. In questo senso, vale la pena notare il nuovo parafan-go posteriore e il nuovo design del serbatoio del carburante che abbandona le sue forme arrotondate per lasciare il posto a un design più racing. Degno di nota è anche il nuovo faro da corsa a LED.

Ma senza dubbio, uno degli aspetti che atti-rerà maggiormente l’attenzione sono i nuo-vi colori di questo modello, finora inedito a Montesa e nelle moto da Trial. È un colore grigio scuro che, elegantemente combinato con l’inconfondibile rosso Montesa e alcuni dettagli bianchi, gli conferisce un’originalità e una colorazione senza precedenti. Questa combinazione innovativa è anche rinforzata con l’elegante oro dei foderi forcella e altri componenti. Inoltre, per i più nostalgici, la

Cota 301RR sarà disponibile anche con l’op-zione rossa e nera, più in linea con il model-lo precedente, la Cota 300RR. Las Montesa si è sempre distinta per l’alta qualità delle finiture e l’eccellente livello di componenti che mantengono intatte le loro proprietà nel tempo, questo è un aspetto che rimane fisso anche in questo nuovo modello con l’ado-zione di plastica e adesivi di alta qualità.

Il testGrazie all’importatore Red Moto, abbiamo avuto modo ancora una volta di poter testa-re in anteprima questa interessante versione racing, nella presentazione mondiale tenu-tasi in concomitanza con la famosa “Mon-tesada”, la festa di fine stagione che si tiene da oramai diciannove anni a Tona, epicentro storico del Trial catalano, per celebrare i suc-cessi della gloriosa marca iberica. Come per il modello precedente, il luogo di prova pre-scelto è stato l’agriturismo Can Pinel, all’in-terno del quale si trova una magnifica area Trial, teatro anche del Campionato Mondiale 2009.

Sei le moto a disposizione per i numerosi tester e due turni di prova da 30 minuti cia-scuno, ci hanno consentito di approfondire la conoscenza di questo affascinante moto-cicletta, per la prima volta in una nuova colo-razione grigia in alternativa al consueto ros-so corse. Prima di descrivere le sensazioni di guida, occorre sottolineare come Montesa

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PROVA PROVA

La moto reagisce bene copiando fedelmen-te gli ostacoli mentre nelle curve soffre leg-germente di sovrasterzo forse causato dalla molla un poco morbida della forcella, alla quale probabilmente basta intervenire au-mentandone il precarico.

In ogni caso si muove bene nei cambi di di-rezione e negli spostamenti che sono deci-samente agevoli nonostante il peso della moto sia ancora superiore ai 73 kg in ordine di marcia; da riferimento invece l’equilibrio statico del mezzo, il surplace con questa moto è a prova di neofita.

Al posteriore, il mono Showa non delude le aspettative garantendo un’ottima trazione sul terreno friabile tipico della zona ed una spinta rilevante nel superamento di gradini ed ostacoli di una certa importanza.

Da sottolineare come proprio grazie alla perfetta sinergia tra motore e sospensioni questa RR rispetto al modello precedente ri-sulti se possibile ancor più maneggevole ed agile nella guida. Naturalmente la parte del protagonista in questo test la fa l’unità mo-trice che in questa release 2019 si presenta con un importante cambio di carattere, la moto infatti fa sentire tutta la sua potenza e coppia fin dai bassi regimi richiedendo una guida più attenta e calibrata rispetto ai mo-delli precedenti. Nulla di preoccupante anzi, la moto è Ready for Racing e si sente, le re-

azioni del mezzo sono comunque gestibili a patto di conoscere l’erogazione particolare del 4t, aperture decise sotto all’ostacolo e progressiva chiusura del gas regalano emo-zioni importanti nella risalita di qualsiasi ostacolo, la moto infatti scorre con sicurezza regalando sempre un buon feeling, aiutata in questo anche dalla ulteriore percepibile diminuzione del freno motore.

Da evidenziare inoltre la pulizia dell’ero-gazione ed una linearità nel prendere i giri pressoché perfetta, questo senso la 301 beneficia della nuova mappatura che nelle due possibilità di utilizzo si caratterizza con più decisione rispetto al passato, la mappa 1 morbida che abbiamo preferito in questo test preliminare e la mappa 2 adeguata all’e-sigenza delle zone più estreme.

Le prime tre marce ben spaziate garanti-scono un perfetto range di utilizzo mentre la frizione decisamente aggressiva tradisce la vocazione corsaiola del mezzo e se da un lato agevola la guida moderna fatta di balzi e scatti improvvisi, dall’altro necessità di un certo periodo di assuefazione.

Le ottime qualità di motore, telaio e sospen-sioni sono leggermente penalizzate dalle dimensioni vitali dell’unità motrice che ri-spetto alla concorrenza 2t risulta essere ab-bastanza rilevante così come il peso che in alcune situazioni richiede una guida più mu-

abbia consapevolmente messo a listino la 301RR con vocazione assolutamente racing, infatti qui si parla di una versione costruita replicando fedelmente la moto portata in gara dai Campioni del Mondo Trial 2, Matteo Grattarola (2018) e Gabriel Marcelli (2109), tra l’altro presenti entrambi al demo test ini-ziale insieme all’inossidabile Takahisa Fuji-nami ed al campionissimo Toni Bou.

Dopo aver apprezzato staticamente la cura nella realizzazione della veste estetica che ri-sulta essere molto più aggressiva e moderna rispetto alla precedente, ciò che immediata-mente salta “all’orecchio” è la sonorità dif-ferente, più cupa e “piena”, grazie al nuovo

silenziatore ed all’aumento di cilindrata che porta questa unita motrice ai quasi 300cc ef-fettivi. In movimento la moto si presenta con quelle qualità telaistiche tanto apprezzate dagli appassionati, mono Showa molto mor-bido e scorrevole e forcelle TECH a tre vie in alluminio nere.

Le sospensioni della nostra moto dopo la prima mezzora di test scorrono veramente bene addirittura po’ troppo sfrenate quindi per apprezzare al meglio la moto, richiedo un setting maggiormente controllata nel ri-torno di entrambe le unità aumentandone immediatamente il feeling ed il relativo equi-librio dinamico.

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PROVA PROVA

ABBIGLIAMENTO PIÙ INFORMAZIONI

ALPINESTARS: ALL MOUNTAIN 2 PANTS

ALPINESTARS: MID LAYER JACKET

ALPINESTARS: F-LITE GLOVE

ALPINESTARS: VOLCANO KNEE GUARD

ALPINESTARS: PARAGON VEST

ALPINESTARS: RACER SUPERMATIC JERSEY

ALPINESTARS: TECH TOOL PACK

AIROH: DRAFT GREEN GLOSS

TCX: TERRAIN 2

LUOGO: AREA TRIAL “CAN PINEL” TONA

METEO: SOLE, CALDO

TERRENO: TERRA ROSSA E SASSI

FOTO: PEP SEGALES

scolare, ma d’altra parte il mezzo è votato al pilota di buon livello che troverà sicuramen-te trascurabili questi aspetti.

In definitiva, grazie all’ottimo lavoro dei suoi tecnici, Montesa alza nuovamente l’asticella nel Trial 4t con un mezzo equilibrato, deci-samente competitivo pensato espressa-mente per chi ha fatto dell’agonismo la sua vocazione sportiva, questa 301 RR ha tutto ciò che serve per eccellere in zona, grande trazione, coppia motrice onnipresente ed ora anche una notevole dote di potenza che sicuramente accontenterà i futuri fortunati

ed anche facoltosi, si parla di 10200 euro, possessori di questo mezzo.

ProEstetica | Erogazione | Potenza e coppia

ControPeso | Ingombri motore | Piastra forcellada fusione | Prezzo

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TRIUMPH TIGER 900RALLY E GT

Due versioni, Rally e GT,

per accontentare amanti

dell’offroad e turisti di lungo

corso. In arrivo in aprile

Due versioni, cinque allestimenti per la nuova Triumph Tiger 900 2020. Due versioni - tre, se si considera oltre a Tiger 900 Rally e Tiger 900 GT la “semplice” Tiger 900, che prendono il posto di Tiger XC e XR sulla precedente 800, e che vanno a rispondere alle esigenze rispettivamente dei più fuoristradisti e degli amanti dei lunghi viag-gi. Destinazioni d’uso d’altra parte facilmente intuibili dalla dotazione in termini di cerchi: a raggi per la 900 Rally e in lega per la 900 GT. GT e Rally, dicevamo, si dividono a loro volta in al-lestimento standard e Pro, che rappresenta per entrambe le versioni, dando quindi vita a cinque modelli totali: Tiger 900, Tiger 900 GT, Tiger 900 GT Pro, Tiger 900 Rally e Tiger 900 Rally Pro - an-cora tanti, forse troppi, ma se non altro con nomi più intuitivi dei precedenti XCa, XCx, XRt e via di-scorrendo.

Nettamente più leggera e slanciata in entrambe le versioni, la nuova Tiger 900 prende ispirazione dal concept Tramontana realizzata da Rodolfo Frascoli per essere portata in gara nel Panafrican

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Rally - il nome riprende peraltro il prototipo su base Scrambler sviluppato da Felipe e Da-vid Lopez, due tester dello sviluppo ciclistica Triumph che fanno base nel sud della Spa-gna e a cui è sempre piaciuto... giocare con le moto.

Il motoreSia Tiger 900 Rally che Tiger 900 GT, pur con caratterizzazioni più marcate rispetto alle precedenti XR e XC, e dichiaratamente più performanti nei rispettivi ambiti, condivi-dono gran parte della piattaforma tecnica a partire da un propulsore tricilindrico Euro-5 a dodici valvole completamente rivisto ri-spetto al precedente 800, tanto da essere dotato di una fasatura completamente diffe-rente e più spaziata per migliorare la perso-nalità del propulsore.I dati parlano di una cilindrata di 888 cc, ca-pace di offrire una coppia cresciuta del 10% per un valore di 87 Nm a 7.250 giri, e una po-tenza che cresce del 9% su tutto l’arco d’ero-gazione, fino a un valore massimo di 95,2 cv a 8.750 giri.

L’elettronica è stata notevolmente affinata rispetto alla versione precedente, con una nuova strumentazione TFT da 7” (in dota-zione GT e GT Pro, Rally e Rally Pro) con si-stema di sistema di connettività My Triumph integrato (quest’ultima riservata alle versio-ni Pro). ABS e controllo di trazione lavorano secondo le indicazioni di una piattaforma

inerziale evoluta ed offrono funzione cor-nering (solo GT e GT Pro, Rally e Rally Pro) ragionando con sei riding mode: Rain, Road, Sport, Rider, Off-Road, Off-Road Pro.

Le versioni top di gamma sono dotate di qui-ckshifter Triumph Shift Assist, mentre tutte quante godono di fari full-LED con luci diur-ne e presa USB nel sottosella.

La ciclisticaSempre basata su un telaio in traliccio di tubi con sospensioni convenzionali, la cicli-stica prevede un’unità modulare alleggerita, con reggisella e pedane passeggero imbul-lonate all’elemento principale. Il comparto sospensioni conta su unità miste Showa/Marzocchi progressivamente più sofisticate nelle versioni top. Da notare le pinze Brembo Stylema, ormai diffuse a macchia d’olio sulla gamma Triumph e divenute lo standard de facto sulle moto più prestigiose di ogni casa, con le maxi sportive da cui ci si aspetta l’ado-zione delle Stylema R recentemente annun-ciate a EICMA 2019.

Volete saperne di più? Dovrete attendere i primi di febbraio, quando la proveremo. E vi sapremo dire come va, in attesa che arri-vi nelle concessionarie, indicativamente ad Aprile. Il prezzo parte da 11.800 euro per la versione base Triumph Tiger 900.

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pensato prima BMW con la S1000R divenuta poi XR, seguendo del resto l’esempio di un progetto un po’ più sottotono ma identico nella sostanza: la Honda Crossrunner VFR 800X. Ducati sta facendo lo stesso con la nuova Streetfighter e la Multistrada V4. D’al-tra parte, si può tranquillamente argomen-tare come le maxienduro siano nate esatta-mente così: la BMW R 80 G/S altro non è se il modello di serie delle boxer nude che i col-laudatori della Casa dell’Elica si divertivano a trasformare per l’uso in fuoristrada.

C

INDIAN FTR1200:ARRIVA UNA MAXIENDURO?

C’è grande fermento in casa Indian. Il brand statunitense sta lavorando molto bene, an-ticipando una (inevitabile) tendenza che sta diffondendosi oltreoceano - la necessaria di-versificazione della gamma produttiva.

Per quanto il segmento custom sia il più importante al mondo (soprattutto per le dimensioni del mercato statunitense e di tutti quelli che ad esso si rifanno) è impossi-bile ignorare il peso in termini numerici e di brand awareness di altre tipologie di moto.

Soprattutto, con l’apparentemente costante contrazione del mercato americano, è indi-spensabile pensare anche a modelli di gam-ma alta che possano attirare il cliente euro-peo, al momento concentrato sui segmenti delle naked e (appunto) delle maxienduro. Per questo, rivela la britannica BikeSocial, Indian starebbe lavorando a una maxien-

duro/crossover sulla base della FTR 1200, piattaforma pensata già per questo tipo di espansione.

Come, del resto, sta facendo Harley-David-son con Pan America. La base, dicevamo, sarà il bicilindrico bialbero raffreddato a li-quido da 1.203 cc e 120 cavalli, anche se pro-babilmente con aggiornamenti alla messa a punto pensati per addolcire l’erogazione per l’uso fuoristradistico.

Inevitabile invece l’adattamento della cicli-stica, che offrirà sicuramente sospensioni di maggior escursione e dalla taratura meno rigida, e ovviamente rinforzi in zona telaietto per accogliere valige laterali.

L’idea di trasformare una naked, o streetfi-ghter, in una crossover/maxienduro non è sicuramente nuova. In tempi recenti ci ha

Documenti interni svelano i piani per una adventure-bike sulla base della streetfighter americana

di Edoardo Licciardello

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BMW: NUOVO BOXER R18A MIRAMAS

Nella sua “Area 51”, BMW

presenta il più grande boxer

della sua storia: 1.800 cc.

90 cv e 150 Nm a partire da

1800 giri/min!

Non capita ogni giorno di essere tra i pochi in-vitati a curiosare nel centro di sperimentazione BMW di Miramas e la cosa risulta ancora più uni-ca se consideraiamo due aspetti: è la seconda volta in assoluto che BMW apre le porte della sua “Area 51” ad una selezione di giornalisti, ma so-pratutto questo è il vero debutto in società per il nuovo motore “Big Boxer” di 1800 cc, il più gran-de boxer mai costruito dalla casa tedesca. All’in-terno dell’area coperta, nella quale eravamo confinati per ovvie ragioni di riservatezza, abbia-mo trovato smontato pezzo per pezzo ai nostri piedi il bicilindrico che muoverà tutta la nuova piattaforma cruiser della casa dell’Elica (assen-ti soltanto volano e frizione) e due super tecnici a raccontarcelo, Joseph Miritsch e Kurt Böck: il primo al vertice del reparto che si occupa di tutti i bicilindrici raffreddati ad aria, il secondo a capo della progettazione proprio del boxer di 1800 cc che muoverà la nuova cruiser R 18 e il concept power cruiser R 18/2 visto finora solo in foto che però ci immaginiamo presente a EICMA 2020,

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di Antonio Privitera

ma siamo pronti ad essere smentiti.

Particolare curioso, ma non del tutto inusua-le, Kurt Böck prima di occuparsi del motore della R 18 era un ingegnere del programma motosport di BMW: dare ad un giovane tec-nico con un’esperienza racing il foglio bian-co (praticamente nessun componente è in comune con altri propulsori BMW) per pro-gettare un motore destinato ad una cruiser può sembrare faccia a pugni con la raziona-lità, invece secondo noi è la spia della tecno-logia che sta alle spalle del nuovo Big Boxer. Kurt, tra l’altro, è un tedesco molto affabile e spigliato molto distante dagli stereotipi di tecnici freddi che si esprimono a monosilla-

bi. BMW entra in un segmento dove manca-va da quasi un ventennio e lo fa alla grande, non è un modo di dire; il Big Boxer dal vivo è impressionante: grazie alle enormi teste alettate sembra un monumento alla tradi-zione e invece dissimula sotto forme quasi aeronautiche anteguerra un livello di indu-strializzazione al top. Ancora più distintivo è vederlo inserito in una ciclistica pressoché definitiva (privata di sovrastrutture e scari-chi, per quelli dovremo attendere la presen-tazione del modello) come quella mostrata-ci a Miramas: grande e grosso, largo senza mezze misure, dall’estetica curatissima per non tradire troppo la sua modernità, si ispira al propulsore della R5 del 1935 e della R 51/2

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del 1950 riprendendone layout e, per quanto possibile, lo stile. I vantaggi di avere una sto-ria alle spalle. Il nuovo

Big Boxer 1802 ccLa genesi del bicilindrico più grande mai pro-dotto dalla casa tedesca parte nel 2016 e, af-ferma Joseph Miritsch capo della progetta-zione di tutti motori raffreddati ad aria, nella disposizione dei componenti caratteristici si è disegnato un motore che fa riferimento alle radici di BMW; quindi albero motore lon-gitudinale rotante in senso antiorario (il pri-mo boxer prodotto da BMW nel 1919 aveva l’albero motore trasversale e gli assi dei cilin-dri longitudinali), aste della distribuzione in alluminio piazzate superiormente - quando nell’ultima evoluzione del boxer ad aste e bi-lancieri del 1969 erano poste inferiormente ai cilindri - e trasmissione ad albero: per la prima volta BMW usa in una moto un giun-to a tripode per annullare i giochi dell’intera trasmissione finale che, anche nel modello che andrà in produzione, sarà aperta e ni-chelata nel pieno rispetto di quest’attitudine heritage che pervade l’R 18. Le direttive del progetto avevano come obiettivi quello di definire un propulsore dal look coinvolgen-te, che avesse un suono e una pulsazione decisamente riconducibile al boxer BMW, facile da gestire (e qui ci aspettiamo moto anche dall’elettronica, argomento sul quale i tecnici si sono trincerati dietro il silenzio...) e, ovviamente, un tiro da strappare le brac-

cia e allargare il sorriso ad ogni rotazione del polso.

Il primo parametro da definire era, chiara-mente, quello relativo alla cilindrata: 1802 centimentri cubici - 110 pollici cubi, se vo-lete leggerlo dall’altra parte dell’oceano... - sono un valore in linea con la concorrenza e che consente di ottenere una coppia no-tevole ma per rispettare i parametri Euro 5 non si può prescindere da scelte tecniche ul-tra moderne: quattro valvole, 41,2 quella di aspirazione e 35 mm allo scarico con angolo rispetto all’asse rispettivamente di 21 e 24 gradi, alesaggio di 107,1 mm e corsa di 100 mm, con doppia candela all’interno delle camere di scoppio; la potenza è di 67 kW/91 CV a 4 750 giri/min e il limitatore ferma tutto mille giri più in alto, la coppia massima ha il picco di 158 Nm a soli 3000 giri/min ma i 150 Nm sono disponibili già da 2 000 a 4 000 giri/min (Böck ci ha confidato che i 150 Nm partono da 1800 giri, e il regime del minimo è 950!). Ma al di là dei dati saranno le sen-sazioni che sarà capace di trasmettere il Big Boxer a fare la differenza perché, se nella sua carriera il bicilindrico contrapposto BMW si è sempre evoluto con caratteristiche via via più sofisticate fino ad arrivare alla distribu-zione Shiftcam dell’ultima evoluzione 1250 cc raffredata a liquido, nel caso del 1800 cc si è tornati a soluzioni tecniche classiche come la distribuzione ad aste e bilancieri - con doppio albero a camme nel basamento - e il

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raffreddamento ad aria/olio. Iconico e qua-si nostalgico è anche il razionale metodo di recupero del gioco valvole a semplice vite di regolazione e controdado per ogni valvola.

Il cambio è a sei rapporti con frizione a secco a disco singolo, affiancato da una retromar-cia (optional) gestita da un motore elettrico e inseribile tramite una leva meccanica sul lato sinistro del carter, ma a detta dei tester BMW il quinto rapporto è praticamente un cambio automatico adatto alla maggior par-te dei percorsi misti.

L’intero propulsore pesa - inclusi cambio e corpi farfallati da 48 mm - 110,8 chili e ha un’emissione di CO2 pari a 129 g/km che si traduce in un consumo dichiarato di 5,6 l/100 km.

Limiti antinquinamento assolti senza dif-ferenziare le specifiche del motore da un mercato all’altro e senza particolari acroba-zie tecniche vista anche la cilindrata deci-samente oversize, ma sappiamo cosa state pensando, state unendo i puntini tra la sto-ria BMW e la nuova - apparente - tendenza ad utilizzare la sovralimentazione sia alla ricerca di potenza che per esigenze di omo-logazione: vi state chiedendo se BMW abbia in mente di replicare in qualche modo la ma-gnifica RS 500 del 1935 e magari aggiungere un compressore al suo Big Boxer 1800; vi ri-portiamo la risposta di Christof Lischka, da

agosto capo dello sviluppo di tutte le moto BMW: “molte persone ci hanno chiesto se avremmo mai usato la sovralimentazione, magari mutuandola dalla nostra esperienza in ambito auto, ma si deve tenere in conside-razione che nelle moto il peso, il design (del motore n.d.r.) e la risposta immediata del gas hanno un ruolo molto più importante di quello che giocano nel mondo automo-bilistico. La sovralimentazione non è l’unico modo per ottenere maggiore potenza”.

Quindi no, almeno per il momento non aspettiamoci una folle R 18 dragster sovra-limentata nipote della RS 500 detentrice di numerosi primati nel primo dopoguerra, ma diamoci appuntamento per la seconda metà del 2020 al debutto su strada della BMW R 18.

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di Antonio Privitera

E-POWER-ROADSTER PROTOTYPE, LA MOTO ELETTRICA DI BMW

Abbiamo provato

l’accelerazione della E-Power-

Roadster Prototype, quella

che potrebbe diventare la

prima moto elettrica ad alte

prestazioni di BMW

Nel Centro Sperimentazione BMW di Miramas, nel sud della Francia la... riservatezza è una del-le qualità più apprezzate: nel corso della nostra visita non abbiamo potuto vedere molto oltre quello che il protocollo del Techday BMW - che vi racconteremo presto in un altro articolo - pre-vedeva e tutto quello che era lasciato ai nostri occhi non era certo lì per caso. Potete quindi immaginare quanto rapidamente ha corso la nostra curiosità nel momento in cui il minivan che ci ha accompagnato dentro l’area protetta ha aperto le porte proprio di fronte ad una “stra-na” S1000R.

Il colpo d’occhio è ingannevole per pochi decimi di secondo, poi vediamo un gigantesco pacco batterie, il telaio a traliccio in blu e realizziamo, sotto gli sguardi complici degli addetti stampa, che questa è la prima moto elettrica BMW!

La Casa di Monaco ha già in listino lo scooter C Evolution e non ci sorprende saperla impegna-ta sul fronte dell’elettrico ma vedere e toccare

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con mano una naked elettrica sportiva che sembra avere tutta l’aria di essere industria-lizzabile in tempi ragionevolmente brevi, ha scatenato la fantasia e l’ansia di provarla...

Esteticamente la E-Power-Roadster Pro-totype si presenta diversa da come l’avrem-mo immaginata se qualcuno ci avesse chie-sto di farlo: le dichiarazioni di Timo Resch (Vice President vendite e marketing) e il concept DC Roadster avevano fatto inten-dere una continuità stilistica che portasse il concetto di trazione elettrica all’inter-no della iconicità del Boxer BMW, invece la E-Power-Roadster Prototype è una naked sportiva a tutti gli effetti che richiama le quattro cilindri della serie S, ma non si tratta di un trapianto di una power unit elettrica su un veicolo già esistente quanto di una moto totalmente nuova, svelata per far capire quanto seriamente BMW stia lavorando per riprodurre un emozionante feeling di guida motociclistico anche su un mezzo senza pi-stoni e valvole.

Il telaio è un traliccio di tubi, abbraccia il pacco batterie dal guscio in alluminio che è elemento stressato, come nei disegni dei brevetti depositati da BMW, anche non si è scelta la strada di ricavare il cannotto di sterzo nella struttura dell’involucro delle batterie: le piastre di sterzo sono conven-zionalmente imperniate nel telaio che, per inciso, disegna una posizione di guida molto

simile a quella della hypernaked di Monaco e immediatamente identificabile come BMW. Il motore viene alloggiato molto in basso e vicino il perno del forcellone (è quello della serie R e sembra praticamente lo stesso del-la R 1250 R, Paralever incluso): alla prima occhiata sembrerebbe limitare molto la luce a terra, mentre confrontando la stessa zona della S 1000 R si capisce che in quel punto la distanza tra asfalto e moto è più o meno uguale anche nella E-Roadster e la curiosità balza quindi ai due radiatori posti in posizio-ne tradizionale.

Il motore e il pacco batterie sono raffreddati da due circuiti distinti per mantenere stabili le temperature ed evitare perdite di potenza o di autonomia (su quest’ultimo punto, tra l’altro, risposte piuttosto vaghe): il motore ha bisogno di restare sotto i 70°, mentre le batterie possono arrivare a 50° senza rinun-ciare a troppa carica utile ma sempre meglio non superare i 40°, anche in fase di ricarica. Parliamo di potenza, qui i tecnici di BMW sono stati molto precisi: sono 100 Kw/136 Cv con 200 Nm di coppia che con un rapporto di trasmissione pari a circa 8 diventano oltre 1500 Nm alla ruota, valori in linea con la con-correnza più sportiva che lasciano presagire accelerazioni decisamente folgoranti, se ci passate il gioco di parole, poco stemperate da un peso dichiarato in 290 kg, anche se BMW afferma che tra non molto con batterie più efficienti si potrà scendere a 250.

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La ProvaPiù che una prova, è stata una presa di con-tatto su una drag strip: dato lo stadio pro-totipale della E-Roadster, BMW ha preferito farci soltanto provare il debordante spunto da fermo in una sfida di accelerazione con-tro la sorella a motore endotermico S 1000 R condotta da un loro tester; il punto di BMW è quindi non soltanto far vedere quanto solido sia il progetto e avanzato lo stato di sperimentazione ma anche far capire come prestazioni da maxisportive possano essere riproducibili con relativa facilità - e da tutti - su un veicolo elettrico

Saliamo quindi sulla E-Roadster con un piz-zico di ansia, temendo di trovare una moto pesante che vuole farsi dare del lei anche da ferma, e invece sembra che i 290 chili siano molti di meno perché la naked elettrica non incute alcun imbarazzo mentre ci viene spie-gata la procedura di avviamento e ricordato che la leva sinistra aziona il freno posteriore e non la frizione. Assente un minimo di ge-stione elettronica dell’impennata mentre ci viene garantito l’ABS, meno male.

Il teatro della estemporanea gara è un retti-filo di circa 600 metri all’interno del centro test di Miramas e accanto a noi la S1000R con scarico Akrapovic - ma senza quickshi-fter - tiene il motore sopra i 7000 giri mentre a visiera abbassata attendiamo che la ban-diera dia il via. Al contrario di altri colleghi

decidiamo di sfruttare la grande progressi-vità di risposta della Power Unit alle piccole rotazioni dell’acceleratore, tenendolo pun-tato mentre tratteniamo la E-Roadster con in freni poi, al segnale di partenza, molliamo le leve e anziché spalancare il gas (...o ruotare il potenziometro, fate voi) senza pietà, arri-viamo a fondo corsa un decimo di secondo dopo quanto sarebbe istintivo fare: in que-sto modo evitiamo le impennate di poten-za e lasciamo che i 200 Nm facciano il resto schiacciandoci sul finto serbatoio e puntan-do i piedi sulle pedane.

Viene da paragonare le prestazioni in accele-razione ad una forza di attrazione magneti-ca, più che ad una propulsione: come essere attirati, risucchiati, dal punto di fuga in fon-do al rettilineo con una forza assimilabile a quella di una mille naked, tanto che alla no-stra sinistra la S1000R urla e sbatte contro il limitatore ma fino ad almeno i primi 350 me-tri non riuscirà a metterci le ruote davanti, troppo grande il nostro vantaggio derivante dal non avere nessun rapporto da inserire e da una coppia costante!

Dopo circa tre secondi - accompagnati da un fischio che stiamo imparando a riconoscere - siamo a 100 km/h, tuttavia raggiunti i 168 indicati il motore mura stabilizzando la velo-cità e a quel punto preferiamo frenare anche perché non conosciamo la relazione tra l’im-pianto della E-Roadster (mutuato da quello

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della S 1000 R) e un peso da maxi tourer: la voglia di non fare figuracce prende il soprav-vento, precauzione eccessiva dato che la fre-nata è assolutamente adeguata.

In questo contesto, il comportamento della E-Roadster ci è sembrato molto equilibrato e, se possiamo sbilanciarci, molto più avanti dal punto di vista dinamico di quanto BMW forse voglia fare intendere: in rettilineo la moto avanza rigorosamente con l’anteriore che sfiora l’asfalto, in frenata i trasferimenti di carico non sono disarmanti e qualche zig zag nella drag strip ci ha confermato una moto che non ha bisogno di particolari ma-lizie per cambiare inclinazione e direzione.

Ma sono, chiaramente, impressioni parziali e limitate che meriterebbero un approfon-dimento ben più rigoroso: quello che pos-siamo dire con certezza, unendoci al coro dei tecnici BMW, è la democraticità della notevole accelerazione garantita dai 136 cv, sfruttabile da tutti e replicabile nelle sue pre-stazioni anche da chi non possiede le astuzie di un pilota esperto.

Avremmo preferito, lo ammettiamo senza vergogna, vedere qualche chilometro all’ora in più sul display (lo stesso del C Evolution), ma se teniamo conto che le concorrenti si fermano tra i 176 e i 200 km/h c’è tutto lo spazio per ulteriori evoluzioni velocistiche.

ABBIGLIAMENTO

CASCO: NOLAN N40 5 GT

GIACCA: IXON CROSS TOUR HP

PANTALONE: IXON CROSS TOUR 2PT

GUANTI: IXON PRO RESCUE

STIVALI: VANUCCI VTB 12

Non sappiamo quanto vicina possa essere la presentazione di una E-Power-Roadster, però una cosa è certa: BMW ha in mano tut-te le carte per portare sul mercato una moto che già adesso sembra concettualmente ma-tura e che ci piacerebbe provare tra le curve; da una parte i tempi non saranno brevissimi e dall’altra l’elettrico viene visto come una grande opportunità ma senza alcun passo indietro sull’endotermico: il capo dello svi-luppo BMW, Cristof Lischka, alla domanda “volete diventare i Tesla delle moto?” ha ri-sposto sornione “noi vogliamo fare denaro, non bruciare denaro”.

PIÙ INFORMAZIONI

FOTO: JAHN PHOTOGRAPHY MARKUS-JAHN.COM

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PATENTI PATENTI

GUARDA I L V IDEO

Patente A2: ottenibile a partire dai 18 anni, abilita alla guida di motocicli con potenza massima di 35kW con rapporto peso/poten-za massimo di 0,2Kw/kg.

I mezzi depotenziati per rientrare nella cate-goria A2 non potranno derivare da motocicli dotati, in origine, di oltre 70kW.Patente A: si può ottenere dai 20 anni con un minimo di due anni di possesso di paten-te A2, oppure con accesso diretto (e dunque anche se in possesso di patente A1 o AM) a partire dai 24 anni. Consente, evidentemen-te, di guidare qualunque motociclo.Patente B: consente la guida sul territorio nazionale dei veicoli previsti per la categoria

A1, nonché di tricicli di potenza superiore a 15kW a condizione che il titolare abbia com-piuto almeno 21 anni

I

PATENTE AM PER IL 50: GUIDA E CONSIGLI PRATICI CON NICO CEREGHINI E ANDREA PERFETTI

Insieme a Nico Cereghini e Andrea Perfetti vi diamo un po’ di consigli per il conseguimen-to della patente AM per il 50. E’ venuto a tro-varci in redazione il giovanissimo Gerardo, 15 anni, che ci spiega i costi e come si svolge l’esame.

E poi via, per la prima volta, nel traffico della città dove il nostro Perfetto dà alcuni, impor-tanti consigli pratici a Gerardo.Al primo posto la prudenza per guidare sicuri e imparare ad amare la moto, senza correre stupidi rischi! Impennate, derapate e altre evoluzioni lasciamole solo alla pista e alle aree chiuse, perché su strada ci si può fare davvero molto male.

Le categorie di patentiLa vecchia “A” viene ora divisa in quattro sottocategorie, conseguibili a seconda delle età e con vincoli molto precisi per quanto ri-

guarda cilindrate e potenze massime che si è abilitati a condurre. Vediamole una per una, ricordando che ogni patente abilita anche alla guida di tutti i mezzi che rientrano nelle categorie inferiori, e che per conseguire ogni “gradino” è necessario sostenere una prova pratica su un mezzo che rientri fra quelli che la sottocategoria abilita a guidare.

Patente AM: conseguibile a 14 anni, abi-lita alla guida di ciclomotori a 2 o 3 ruote e quadricicli leggeri con cilindrata massima di 50cc (o potenza massima di 4kW in caso di mezzi a propulsione elettrica) e velocità li-mitata a 45km/h. Il trasporto del passeggero sarà consentito solo dopo il compimento dei 18 anni.Patente A1: si può conseguire a 16 anni, e consente di guidare motocicli di cilindrata massima pari a 125cc e potenza massima pari a 11kW. Vietato trasportare passeggeri.

Insieme a Nico Cereghini e Andrea Perfetti vi diamo un po’ di consigli per il conseguimento della patente AM per il 50. E’ venuto a trovarci in redazione il giovanissimo Gerardo, 15 anni, che ci spiega i costi e come si svolge l’esame. E poi via, per la prima volta, nel traffico della città

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MERCATO MERCATO

dato negativo occorre però aggiungere che novembre 2018 vide le moto in forte cresci-ta, con un significativo +21,3% sullo stesso mese del 2017, dato a propria volta in attivo del 5,8% sull’anno precedente.

Un anno fa gli scooter videro invece una cre-scita contenuta in un +4,5%.

La Top 30 di novembreDopo l’exploit del Liberty 125 Corporate, ol-tre 2.000 esemplari non acquistati da privati, la classifica mensile dei primi 30 veicoli più venduti è tornata nella configurazione con-sueta, con i tre scooter a ruote alte Honda SH in testa al gruppo. Non ci sono novità di

rilievo nelle preferenze, se non un calo nu-merico rispetto al più commercialmente vo-luminoso mese di ottobre. Sono soltanto sei le moto presenti nelle prime trenta posizioni e, come in ottobre, al top c’è la Honda Afri-ca Twin (185 unità contro le 273 di ottobre), il cui dato vede sommate le nuove versioni 1100 alle 1000 ancora in rete.

Al secondo posto risale la R1250 GS, che su-pera la Yamaha Ténéré 700, passata da 227 a 82 unità, a sua volta inseguita dalla R1250GS Adventure. Al quinto posto l’enduro speciali-stica KTM EXC 300, una novità 2020 per i pilo-ti. Ultima moto nella Top 30 è la Benelli TRK 502, che ha rallentato la sua crescita negli ul-

C

di Maurizio Gissi

NOVEMBRE: FRENA LA CRESCITA DELLE VENDITE. HONDA AFRICA TWIN AL PRIMO POSTO. LE TOP 100

Continuano a essere positive

le immatricolazioni italiane del

2019 (+6,4%), ma a novembre

segnano una piccola battuta di

arresto: -2,1%. Vanno peggio

le moto, e l’Africa Twin è la più

venduta del mese. Poi GS 1250

e Ténéré 700

Complice forse il meteo, ma crediamo abbia contato di più il confronto con il vivace 2018, nel mese di novembre appena concluso sono diminuite le immatricolazioni di moto e scooter rispetto allo stesso mese dello scorso anno.

Non accadeva da parecchi mesi e anche se que-sto non ha inficiato la tendenza positiva dell’in-tero anno, considerato che l’undicesimo mese dell’anno incide circa per il 4% delle immatrico-lazioni annuali, interrompe una lunga striscia di risultati con il segno più.

A fotografare questo andamento sono i dati di vendita diffusi da Ancma, che riassumono in 9.150 unità i motocicli immatricolati a novem-bre: una flessione del 2,1%, nella quale pesa maggiormente il -6,7% delle moto (che hanno totalizzato 3.535 unità), mentre gli scooter han-no visto un +1% grazie a 5.615 unità vendute.Sono andati ancora peggio i ciclomotori, fer-mi ad appena 1.318 registrazioni mensili e con una differenza di -16,4%. Nell’analizzare questo

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MERCATO MERCATO

timi mesi rispetto alla prima metà dell’anno.

Il 2019 resta un’annata positivaIl parziale dei primi undici mesi del 2019 segna 225.794 immatricolazioni, ovvero un +6,4% rispetto allo stesso periodo del 2018, quando il saldo vide un quasi identico +6,3%.Le moto vendute fino al mese di novembre sono state 96.132, in crescita del 7,5% (nel 2018 il differenziale a novembre fu +10,8%), mentre gli scooter hanno raggiunto le 129.662 unità: +5,6% (+3,2% invece nei primi undici mesi del 2018).

I cinquantini hanno totalizzato 18.083 re-gistrazioni in undici mesi: -7,9% rispetto al

2018. Il comunicato Ancma segnala come la classifica delle preferenze per segmenti veda sempre al primo posto le moto naked (36.494 unità e un +6,2%), con le enduro stra-dali che crescono del 15,1% e si avvicinano alle naked grazie alle 34.871 unità.

Al terzo posto, distaccate, ci sono le moto da turismo, con 11.658 unità vendute e un +1,4%. Sono in flessione le custom (4.977 moto e un -7,7%), calano anche le sportive (-4% e 4.413 unità), mentre salgono le super-motard (+20,3%), pur con sole 2.713 moto vendute.

Fra le cilindrate, la preferenza va ai modelli

fra 800 e 1.000 cc, con 26.631 unità vendute e un +11,2%. Praticamente stabili le oltre 1.000 cc, con 22.668 unità e una modesta flessione dell’1%. Crescono del +7,2% le cilindrate tra 600 e 750: 15.910 unità. Ancora meglio fanno i modelli fra i 300 e 500 cc (+14%), con 16.901 unità. Spuntano un +3,3% le moto 150-250 (2.588 unità), e segnano un +10% le 125, che totalizzano 11.434 moto vendute.

La Top 100 Moto gennaio-novem-breLe prime sei moto più vendute in Italia sono a manubrio alto: maxi enduro oppure cros-sover. Il primo posto della BMW R1250GS è ormai insidiato dalla Honda Africa Twin: 3.994 esemplari contro 3.712, ma a fine anno le posizioni molto difficilmente si ribalteran-no, e anche l’ordine delle prime dieci moto in classifica non dovrebbe cambiare.

Al terzo posto è ormai salita stabilmente la Benelli TRK 502 (quasi 900 esemplari vendu-ti in più in anno); la Yamaha Tracer 900 era partita molto forte a inizio anno, ma poi ha rallentato e ora con 2.683 esemplari occupa la quarta posizione davanti all’altra BMW 1250GS, la Adventure.

La Honda NC750X supera le duemila unità e conserva il sesto posto, davanti a un plotone di naked e classiche che sono nell’ordine: Ya-maha MT-07, Ducati Scrambler 800, Yamaha MT-09 e Kawasaki Z900.

Da rilevare che le moto presenti nelle pri-me venti posizioni in classifica hanno tutte migliorato il proprio risultato rispetto a un anno fa (era prevedibile in un marcato in crescit): hanno fatto però eccezione Yamaha MT-07 e MT-09, Ducati Scrambler 800 e Multi-strada 1260, Moto Guzzi V7, Benelli Leoncino 500 e Suzuki V-Strom 650.Moto Guzzi vede peraltro la sua nuova V85 TT al sedicesimo posto con quasi 1.200 unità.

Così come Ducati vede la nuova Hypermo-tard 950 raddoppiare il risultato della ver-sione precedente. Ed è una Ducati anche la super sportiva più venduta (al 31° posto con 748 unità): la Panigale V4.

La Benelli BN 125 è la prima “ottavo di litro” in classifica (23° posto), mentre l’appena ar-rivata Yamaha Ténéré 700 sale dalla 46esima alla 40esima posizione con 564 esemplari venduti.

Leggi la Top 30 di Novembre

Leggi la Top 100 Moto gennaionovembre

La Top 100 Scooter gennaionovembre

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STORIA STORIA

Q

di Andrea Perfetti

DAVIDE CICERI, “DAL SETTIMO CIELO AL SETTIMO PIANO”. NELLA VITA CI VUOLE CUORE!

Davide Ciceri è un ragazzo

di 20 anni con una forza

di volontà e un sorriso che

spostano le montagne. Ama

il motocross. Ma a 16 anni

deve fare i conti con il cancro,

che colpisce la sua gamba,

costringendolo all’amputazione

e a dolorose cure. Ma Davide

è forte, prende in mano la sua

vita, ci racconta le sue giornate

e affronta le cure col sorriso. E

scrive un libro-capolavoro: “Dal

settimo cielo al settimo piano”

Quando vi dicono che i supereroi non esistono, mentono. Ci sono, e talvolta si nascondono die-tro le sembianze dei nostri amici, dei nostri fra-telli, dei nostri figli o dei nostri genitori. Io ne ho conosciuto fantastico, che in confronto gli X-men sono delle mammolette. Uno che combatte con la forza e con il sorriso. Così incredibile che non potevo certo tenerlo segreto, tutto per me. Non vedo l’ora di farvelo conoscere con l’intervista video che vedete qui sopra. Sì, perché il nostro supereroe è pure buono e ha accettato di venire a trovarci in redazione. Si chiama Davide Ciceri, vive in provincia di Milano e ha 20 anni.Davide ha scritto un libro che è una magia (Dal settimo cielo al settimo piano). Le sue parole en-trano dirette nel cuore dalla porta principale e lì resteranno per tutta la vita. Sappiatelo, se deci-dete di leggerlo. Vi farà piangere, ridere, gridare la gioia e il dolore vissuti dal suo protagonista, che siate grandi o piccini (lo consiglio anche ai più giovani: molto meglio dello smartphone, fi-datevi). Il libro racconta la vita un adolescente felice e spensierato, che va a scuola e che impaz-

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STORIA STORIA

zisce per il Motocross. Che a 16 anni scopre di avere un tumore alle ossa. Passa in un lampo dal settimo cielo al settimo piano, quello del reparto pediatrico di oncologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Ma non si arrende, non abbassa mai la testa. Lo sguar-do va lontano e i gomiti sono alti, come nel-le gare di Motocross. Davide soffre, affronta cure insopportabili. Ma oggi è di nuovo in moto, senza una gamba, per dare fiducia ai piccoli pazienti in cura. E a tutti noi.

Davide partecipa oggi agli eventi organizzati da Vanni Oddera e da Daboot negli ospedali, per i pazienti più giovani. Ed è senza dubb-bio il testimonial più credibile, positivo ed entusiasta.

Il Progetto GiovaniDavide Ciceri ha trovato il sostegno meravi-glioso di cui aveva bisogno in un progetto voluto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e promosso attivamente dall’Associa-zione Bianca Garavaglia. Si chiama Progetto Giovani ed è coordinato dal dottor Andrea Ferrari all’interno della Pediatria Oncologica (diretta dalla dottoressa Maura Massimino). Il Progetto si rivolge agli adolescenti malati di cancro, e mira a portare dentro il reparto (al settimo piano) la normalità e tutte le at-tenzioni che vanno date a ragazzi che vivono una fase delicatissima della loro crescita. Fase che viene sconvolta dalla scoperta del tumore. Il progetto spinge i giovanissimi a

manifestare in libertà la loro creatività, a cre-are rapporti di amicizia tra di loro e coi medi-ci, che li curano con le medicine ma anche e soprattutto con l’amore.

E da qui è nato il desiderio di Davide di scri-vere il suo libro, intitolato Dal settimo cielo al settimo piano. Dalla routine della scuola e dello sport, a quella delle cure e dei dottori. E’ un libro magico, che racconta la sofferen-za e le speranze di un ragazzo di 19 anni col-pito dal tumore. Più forte della malattia è la speranza di guarigione e la voglia di tornare a fare le cose di prima. Anzi, ancora di più, come testimoniano le foto di Davide in sella alla sua moto.

Vi invitiamo a scoprire la vita e il messaggio di Davide sia guardando il video sopra, sia acquistando una copia del suo libro. Possiamo inoltre sostenere tutti l’Associa-zione Insieme per Fily che aiuta Davide e i bambini in cura cliccando qui.

Grazie Davide, Martina e Marco per il tempo che ci avete dedicato.

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INTERVISTA INTERVISTA

A

ANDREA FERRARESI: “I DESIGNER DUCATI HANNO UN ODIO VISCERALE PER IL PESO”

Il responsabile del Centro Stile

Ducati parla delle novità 2020,

ma soprattutto del lavoro del

designer. Guerra al peso e

guidabilità richiedono che il

designer Ducati sia anche un

profondo conoscitore della

tecnica motociclistica

Andrea Ferraresi guida il Centro Stile Ducati, un gruppo di lavoro dal quale sono scaturiti tanti modelli di riferimento nel panorama del design motociclistico degli ultimi anni.La marca bolognese ha esposto a EICMA le sue novità di prodotto 2020, che aveva già svelato nella World Premiere, ma a Milano ha portato anche due interessanti concept su base Scram-bler 800 e 1100. Lo è in particolare il secondo, che ricorda la Cagiva Elefant dakariana con mo-tore Ducati. Non si è trattato di modelli stile, ma di moto potenzialmente prossime alla produzio-ne, anche se “La decisione non è stata ancora presa”, ci ha confermato Ferraresi nel corso di questa intervista registrata al Salone di Milano.

Disegnare una naked così potente e quindi ve-loce come la nuova Streetfighter V4, obbliga a considerare con attenzione l’aerodinamica as-sieme allo stile, anche se una naked nasce priva, o quasi, di componenti aerodinamiche.«La difficoltà principale, quando si ha che fare

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di Maurizio Gissi

con queste moto, sta nel non considerarle come delle semplici super sportive spogliate dalle carenature».

Nel caso della Streetfighetr il frontale è ca-ratterizzato dal profilo della luce DRL che richiama il sorriso di Joker «Non è una battu-ta, effettivamente quando il designer ha ini-ziato a lavorare tre anni fa sulla nuova moto aveva sulla scrivania proprio un disegno con il ghigno di Joker».Viste le velocità in gioco, è stato necessa-rio dare un contributo attivo alla stabilità della moto grazie all’apporto aerodinami-co... «Grazie alle corse, Ducati è avanti nello studio aerodinamico, e stiamo trasferendo

quell’esperienza sulle moto di serie, prima sulle superbike e ora sulle naked. Le ali aiu-tano ad avere la necessaria stabilità senza penalizzare le misure ciclistiche, e quindi la maneggevolezza».

Una naked, proprio perché priva dl carena-tura, complica il lavoro del designer, consi-derato che le moto in grado di superare l’o-mologazione Euro5 devono avere una serie di accorgimenti poco estetici. «Una naked deve avere meno plastica possibile, e nella necessità di coprire componenti in più, por-tati ad esempio dalla Euro5, non bisogna aggiungere delle banali cover, cosa che pe-raltro proprio non ci piace. Per cui si tratta di

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INTERVISTA INTERVISTA

ripensare un layout nuovo». Il designer deve essere ormai un progettista. «Certo, vale per chi disegna le moto e per Ducati è ancora più centrale, visto quanta importanza diamo alla leggerezza: abbiamo un odio viscerale nei confronti del peso. E’ indispensabile sa-per integrare più funzioni invece di aggiun-gere coperchi che nascondo e fanno salire il peso, per cui tutti i nostri designer sono dei profondi conoscitori della tecnica motocicli-stica. Lavorano da subito a quattro mani con i progettisti del veicolo». Da osservatore del design Ferraresi giudica poi che cosa è stato presentato di nuovo. «Dopo un periodo di un certo immobilismo, adesso le Case stanno investendo nel design puro. Si iniziano a ve-

dere differenziazioni interessanti perché an-che le marche prima relativamente attente allo stile ora lo sono molto di più; e tutti cer-cano di imboccare una strada personale. Ci sono due notizie positive: c’è movimento, e non rischiamo di vedere moto tutte uguali».

E per quanto riguarda che arriva adesso alla moto, i più giovani? «C’è un risveglio di in-teresse per la moto – conclude Ferraresi -, senza contare che tutto il mondo asiatico ha fame di moto. Quale strategia c’è? Abbiamo delle proposte in mente anche per i giovani, e le vedremo fra qualche anno».L’intervista completa potete vederla nel vi-deo in apertura.

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INTERVISTA INTERVISTA

D

di Maurizio Gissi

SEFANO MICHELOTTI. “BENELLI È PRONTA PERLE CILINDRATE MAGGIORI”

Project manager Benelli,

Stefano Michelotti illustra la

strategia del marchio, racconta

come è cresciuta Benelli nel

mondo in pochi anni e su cosa

si sta lavorando a Pesaro

Del successo di Benelli in Italia abbiamo già par-lato. Ne riassumiamo rapidamente la storia da quando è stata rilevata da Qianjiang Motorcycle nel 2005 diventando Benelli QJ.

Ci sono voluti dieci anni per raggiungere le 5.000 moto vendute nel mondo. Nel 2014 le im-matricolazioni in Italia sfiorarono le 500 unità, quest’anno saranno poco meno di 8.000 «Con una produzione che arriverà a 155.000 unità» ci ha detto Stefano Michelotti, project manager Benelli, in questa intervista registrata a Eicma.

«Le due versioni definitive di Leoncino 800 pre-sentate a Milano introducono novità nel motore oltre che nella ciclistica e sono differenziate per la misure della ruota anteriore, nell’altezza da terra della sella e per altri dettagli. I modelli lan-ciati nel mercato europeo sono pensati comun-que per il mercato globale».

La produzione di tutti i modelli è affidata allo stabilimento cinese di QJ. «A Pesaro nascono i

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INTERVISTA INTERVISTA

primi concept: nel caso di modelli dedicati ai mercati occidentali abbiamo più libertà pro-gettuale, meno per modelli dedicati ad altre aree del mondo».

Intanto Benelli va verso le cilindrate maggio-ri, misurandosi con concorrenti molto pre-parati in quei segmenti e con clienti esigenti. «Proprio per affrontare questo tipo di con-correnza e di clientela, due anni fa abbiamo riorganizzato il reparto R&D di Pesaro.

E’ strutturato in tre aree: un nuovo centro stile, reparto motori e telai, che naturalmen-te lavorano a stretto contatto con i tecnici in Cina».

«Negli ultimi anni ci siamo concentrati nel-la gamma prodotti, sviluppando almeno tre modelli nelle diverse cilindrate da 125 a 750: è stato un lavoro importante. Subito dopo ci siamo concentrati sull’aumento della qua-lità e dell’affidabilità: è vero che l’intervallo dei tagliandi è al momento di 6.000 km - d’al-tra parte il costo della moto è competitivo rispetto alla concorrenza -, ma è anche vero che non abbiamo lamentale importanti da parte dei clienti.

Nella gamma 2019 c’è stato un progresso a livello di finiture e di qualità percepita». Michelotti risponde poi anche alle critiche rivolte al peso di alcuni modelli dell’offer-ta Benelli, così come parla delle prossime

motorizzazioni elettriche, presentate come Benelli e Keeway: un altro marchio presente nel portafoglio QJ.

Trovate l’intervista completa nel video in apertura.

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CAMPIONI CAMPIONI

I

KEN KAVANAGH, L’AUSTRALIANO DI BERGAMO E LA GUZZI 8 CILINDRI

Ken Kavanagh è scomparso

pochi giorni fa, alla bella età

di 97 anni. Viveva a Bergamo

ed è stato anche il primo pilota

australiano a vincere una gara

mondiale. Corse con Norton,

poi Moto Guzzi e anche, per

poco tempo, MV Agusta | di

Augusto Borsari

Il 26 novembre scorso alla maniera irlandese, sollevando un bicchiere, ci sarebbe stato da ri-cordare e salutare con ammirazione la scompar-sa di Kenrick “Ken” Kavanagh, vincitore di una gara durata 97 anni!

Nella gara della vita Ken ha “battuto e doppiato” tutti i suoi avversari, dai compagni di squadra alla Norton Surtees e Ray Amm (tra i tanti) e poi Lomas, Dale e Campbell nel periodo della Guzzi.Da ricordare che in questa “gara di durata” ha battuto pure il 92enne Duke, che fu la sua pri-ma guida in Norton, quello che Ken considera-va l’unico pilota a lui superiore e parlandone lo definiva detentore “dell’unico modo di guidare vincente senza sconfinare in una sterile temera-rietà”.

Da quasi 60 anni Kavanagh si era sistemato a Bergamo, dove aveva deciso di vivere tranquil-lamente lontano dal mondo dei motori e di met-tere a frutto i guadagni ottenuti specie in Guzzi, niente di lontanamente paragonabile a quelli di

di Augusto Borsari

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CAMPIONI CAMPIONI

ra in lotta con Duke per il mondiale. Ken fece la sua parte, vinse alcune gare non titolate e nelle gare del campionato arrivò alle spalle di Duke che si laureò campione del mondo.

Questo piazzamento gli fece guadagnare il contratto di pilota ufficiale in Norton, ma l’anno successivo fu nel complesso piutto-sto deludente per lui, con una sola vittoria e qualche piazzamento nelle 350 e 500. Il 1953 ancora non si presentò sotto i migliori auspici per gli inglesi, con le moto in difficol-tà nei confronti delle quattro cilindri Gilera 500 e delle 350 Guzzi: la Norton riportò una sola vittoria al GP dell’Ulster, benché da-vanti a Duke che nel frattempo era passato

alla Gilera. Fu a quel punto che Kavanagh fu avvicinato dalla Guzzi, e l’occasione fu il di-simpegno Norton per alcune gare. Mandello propose agli inglesi un ingaggio temporaneo di Ken, ma dopo alcune gare da lui fatte in aiuto del nostro Lorenzetti (per contrastare le temibili NSU) gli fu presentato il contratto per il ’54, un accordo che non poteva ragio-nevolmente rifiutare. La dirigenza Norton, infuriata, paragonò i suoi piloti in fuga a “topi che abbandonano la nave”!

In verità in quegli anni ci fu una migrazione epocale dei più forti piloti anglofoni, quelli che si erano forgiati sui circuiti inglesi e sulla più bella monocilindrica della storia, verso

oggi ma comunque “da sogno” per un pilota di allora.

Di famiglia di origini irlandesi, Ken nacque a Melbourne nel 1923; innamorato della mec-canica intraprese gli studi di ingegneria e contemporaneamente cominciò ai fine anni Quaranta a gareggiare: prima nello spee-dway con una JAP e poi, “colpo di fulmine”, con una Norton Manx 500 vista nella vetrina di un concessionario.

La acquistò a rate, si mise in mostra nel-le gare locali e nel 1951 fu scelto e iscritto dall’importatore Norton, insieme ad altri due piloti australiani, alla gara che tutto il

mondo motociclistico sognava, il TT dell’iso-la di Man.Alla fine degli anni Quaranta nel mondo dei motori c’erano due gare leggendarie che oc-cupavano i sogni di tutti: Indianapolis per le 4 ruote e il TT di Man per le due.Neppure i campionati mondiali avevano lo stesso fascino e la medesima attrazione, tutto andava giocato in quelle due ore di gara da parte di piloti e costruttori, e qui va ricordato che anche Sohichiro Honda aveva posto la vittoria in quella gara come primo e imprescindibile obbiettivo per la conquista del mondo a due ruote. In quel 1951 l’obbiet-tivo degli inglesi era infoltire la squadra per poter sottrarre punti alla coppia Milani-Gile-

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le lussuose prospettive tecniche ed econo-miche offerte dalle case italiane. In Guzzi, Kavanagh si mise subito in mostra con la monocilindrica 350, e questo gli valse una tale fiducia da diventare il primo pilota desi-gnato per la otto cilindri. Nel 1956, però, con questa moto sofisticata e di difficile messa a punto, Ken non entrò mai davvero in sin-tonia: emersero molti problemi tecnici, i ri-sultati furono scarsi e a fine anno, complice qualche sua dichiarazione molto critica nei confronti della moto, il rapporto con Guzzi si concluse. Nell’’anno successivo, il 1957, lo si vide su una MV 500 a Barcellona, e nella preparazione alla gara successiva di Imola successe qualcosa di mai chiarito tra a lui e la MV, con la prematura richiesta di Ken di rescissione del contratto.

Per le ultime due stagioni della sua carrie-ra lo si vide, nell’ordine, prima alla guida di una Maserati 250 F senza alcun piazzamen-to, e poi ancora sulle due ruote, con una Norton e un paio di Ducati. Si chiudeva così nel 1960 la carriera di un pilota arrivato da molto lontano, uno che aveva fatto parte del “Continental circus”, uno tra quelli che erano arrivati in Europa motivati da una enorme passione, alla ricerca di gloria e di un ingag-gio sufficiente almeno a soddisfare quella: la passione. Fu pilota sanguigno e pragmati-co, di quelli che ricorrevano spesso alla loro “cassetta dei trucchi”: Come quando, per combattere l’appannamento degli occhiali

in gara, passava sulle lenti il dito intinto nel vino rosso!Come pilota non prese il primo posto nel cuore dei “guzzisti”, già occupato da Bill Lomas più empatico e intimamente legato a Guzzi; ma Ken ha meritato per sempre un ricordo.

Onore al “canguro”, e stima, gratitudine e ammirazione per quanto ha mostrato e ha dato al motociclismo.

L’autoreAugusto Borsari è un ex giramondo per la-voro e un grande appassionato della storia della moto, soprattutto quella dagli anni Quaranta ai Settanta. Una febbre che lo ha preso fin da piccolo: il padre era concessio-nario Moto Guzzi a Finale Emilia, provincia di Modena.La pagina facebook di Augusto è un poz-zo di storie, ricordi e considerazioni sul mon-do delle corse.

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TECNICA E STORIA TECNICA E STORIA

D

di Massimo Clarke

LE DUCATI A 4 VALVOLE.PIÙ UNA RARITÀ

Dopo la 125 a quattro cilindri

da GP, Ducati ha avuto un

rapporto alterno con le testate a

due e quattro valvole. Fino alla

748 Desmoquattro. Ma prima

non mancarono interessanti

prototipi

Di recente abbiamo parlato della Ducati 124 a quattro cilindri da Gran Premio realizzata nel 1965 e dotata di una testa bialbero con quattro valvole per cilindro.

Alla metà degli anni Sessanta, visti gli straor-dinari risultati che stavano ottenendo a livello mondiale le Honda con tale tipo di distribuzio-ne, la maggior parte dei tecnici che lavoravano sulle auto e sulle moto da competizione aveva iniziato a concentrare le sue attenzioni su tale schema costruttivo.La MV ha realizzato la nuova tricilindrica dotan-dola appunto di una testa a quattro valvole e lo stesso hanno fatto, di lì a poco, case come la Be-nelli e la Morini.Logico che anche la Ducati abbia pensato a que-sta soluzione. Però, uscita subito di scena la 125 da GP, per lungo tempo è sembrato proprio che la casa bolognese non avesse più alcun interes-se nei confronti delle quattro valvole per cilin-dro. Addirittura, fino alla comparsa della famosa 851 sviluppata alla metà degli anni Ottanta da

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Massimo Bordi e Gianluigi Mengoli, dallo stabilimento di Borgo Panigale di modelli con questo tipo di distribuzione non ne sono usciti. Del resto, l’ing. Fabio Taglioni non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confron-ti di questa soluzione. Preferiva le classiche due valvole, ovviamente con comando de-smodromico, che consentiva di ottenere aperture e chiusure rapidissime. Non si deve però pensare che alle quattro valvole dentro la Ducati non pensasse proprio nessuno… All’inizio degli anni Settanta, per dimostrare la validità della architettura “a elle” dei nuo-vi motori di serie di 750 cm3 (che avevano un cilindro pressoché orizzontale e l’altro pres-soché verticale), la casa bolognese aveva deciso di realizzare un bicilindrico da Gran Premio di 500 cm3 dotato di una struttura analoga. Questa moto, che è stata condotta in gara da piloti come Read, Spaggiari e Giu-liano e che aveva una distribuzione desmo-dromica a due valvole, non è però riuscita a fornire i risultati sperati.

In altre parole, prendeva sonore paghe dalla MV Agusta di Agostini. La direzione dell’a-zienda ha pertanto deciso, visto che le quat-tro valvole ormai da tempo dominavano la scena sulle monoposto di Formula Uno, di far realizzare da un tecnico esterno una diffe-rente versione del motore, studiata alla luce dei più recenti orientamenti motoristici nel campo delle auto da competizione.È stato così che Renato Armaroli, nell’in-

verno 1971-72 ha realizzato un motore che si differenziava da quelli ufficiali in quanto dotato di nuove teste bialbero a quattro val-vole, con comando a cinghia dentata, dalla disposizione “rovesciata”, ovvero con aspi-razione al centro della V formata dai cilindri.

Questo motore, che realmente indicava la strada, è stato provato ma con scarsa con-vinzione e certamente non è stato svilup-pato come avrebbe dovuto, anche perché ben presto la Ducati ha deciso di ritirarsi dai GP. Arrivava da fuori e quindi non è escluso che ci sia stato un certo ostracismo nei suoi confronti… All’inizio degli anni Settanta era chiaro che per i gloriosi monocilindrici con distribuzione monoalbero comandata me-diante un alberello e due coppie di ingranag-gi conici la fine si stava avvicinando.

Per tentare di realizzare degni successori di questi splendidi motori sono state sondate più strade, sono stati costruiti più prototi-pi e si è puntato anche, come logico, sulle quattro valvole. Dapprima è stata realizzata una testa esteriormente eguale a quella di qualunque Scrambler e sempre con distri-buzione monoalbero, ma a quattro valvole, azionate per mezzo di bilancieri “sdoppiati” (cioè a tre bracci: uno dal lato camma e due dal lato valvole).

Poi si è passati a una testa completamente diversa, con distribuzione bialbero “ravvici-

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nata”, nella quale gli eccentrici azionavano le valvole (richiamate da molle a elica) per mezzo di corti bilancieri a due bracci. A co-mandare i due alberi a camme, assai vicini uno all’altro, provvedeva una terna di in-granaggi che veniva azionata dal consueto sistema ad alberello e coppie coniche. For-tunatamente un motore sperimentale di 350 cm3 dotato di questa testa è stato salvato e ottimamente restaurato da Rino Caracchi e ora è di proprietà del figlio Stefano.

Attorno alla metà degli anni Settanta all’in-terno della Ducati sono state realizzate an-che teste monoalbero a quattro valvole per i bicilindrici. Una grezza, ossia non ancora lavorata, è esposta al museo Ducati, men-tre un paio finite sono state a suo tempo montate su di una 750 SS. I diversi tentativi di realizzare una nuova generazione di mo-nocilindrici, hanno portato alla costruzione di alcuni interessanti prototipi, nessuno dei quali ha poi dato origine a modelli di serie.

Uno era stato ricavato da un bicilindrico 860 privandolo del cilindro anteriore e dotando-lo di una testa bialbero a quattro valvole, di-versa da quelle delle quali abbiamo parlato finora. Anche questo prototipo si è salvato e abbiamo la fortuna di poterne pubblicare un’immagine. Dopo la metà degli anni Set-tanta di teste con più di due valvole per ci-lindro alla Ducati non si è parlato per diverso tempo. Ovvero, fino al 1986, quando Bordi

e Mengoli hanno realizzato il primo bicilin-drico raffreddato ad acqua, alimentato a iniezione e dotato di distribuzione bialbero desmodromica a quattro valvole.

Con tale motore, nato come 748 e diventato 851 nel 1987, è iniziata la leggendaria stirpe dei Desmoquattro. In effetti però l’idea di dotare i bicilindrici bolognesi (che all’epoca avevano la distribuzione comandata me-diante alberelli e coppie coniche ed erano raffreddati ad aria) di teste di questo genere Bordi l’aveva avuta quando era ancora stu-dente di ingegneria, come ampiamente di-mostrato della sua tesi di laurea del 1974!

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EDITORIALE EDITORIALE

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Cdi Nico Cereghini

“LA GUIDA DELL’AUTOBUS CON LO SMARTPHONE IN MANO”A Milano ne vedo sempre di più: conducenti di mezzi pubblici, filobus, tram, bus e camion impegnati testa bassa sul loro dispositivo. L’incidente mortale di sabato scorso nasce da lì? Di certo i cittadini e l’amministrazione non possono più tollerare un simile comportamento

Ciao a tutti! Sono stato molto colpito dall’incidente stradale di sabato scorso 7 dicembre a Milano: un filobus passa col rosso e finisce contro un camion, muore una passeggera catapultata fuori dal mezzo pubblico e molti sono i feriti. Colpito personalmente per tanti motivi: l’incrocio è nella mia zona e ci pas-so spesso, per combinazione ero sul posto un’ora dopo lo scontro, e soprattutto perché ho perso una sorella, anni fa, in un incidente stradale analogo. Anche lei purtroppo espulsa da un bus in un fron-tale, in quel caso fuori città. La dinamica di sabato è stata in gran parte chiarita, c’è un video di buona qualità: il mezzo pubblico ha bruciato il semaforo rosso a velocità sostenuta, dalla sua destra arrivava un camion dell’AMSA che aveva semaforo verde, l’urto è stato catastrofico e vi assicuro che poteva essere una strage. Su quella corsia preferenziale si spostano (legittimamente, a Milano) grandi quanti-tà di moto e scooter, i pedoni che attraversano l’in-crocio sono tanti anche il sabato. Per fortuna in quel momento era un deserto e nessun altro è rimasto coinvolto. Naturalmente non è ancora stato stabili-

to come abbia fatto l’autista dell’ATM, l’azienda mi-lanese dei trasporti, a ignorare il semaforo, che era rosso da tempo e nel video si vede bene. Potrebbe aver avuto un malore, non si può certo escludere, ma secondo voi? Gli inquirenti hanno sequestrato il suo smartphone e stanno analizzando i dati. La maggior causa di distrazione, ormai è chiaro, resta quella. A Milano sono in giro con la moto quasi tutti i giorni. E da anni sono sempre più preoccupato. Si fa troppo poco per contrastare il fenomeno e la brutta abitudine ha contagiato anche i guidatori dei mezzi pubblici. Ho visto personalmente un tram passare col rosso, quella volta a bassa velocità e per fortu-na senza urti, l’autista chino sul suo dispositivo. Gli ho lanciato un urlaccio e si è spaventato per primo. Vedo mezzi dell’AMSA (i camion verdi dei servizi am-bientali) che viaggiano troppo forte e troppo vicino alle auto, i conducenti palesemente distratti. Non sono i soli, purtroppo, ormai è un tripudio di conver-sazioni, consultazioni, navigazioni e social: il dispo-sitivo mobile è sempre più mobile, maledizione. Ma trovo che per un autista di un mezzo pubblico, che

sta svolgendo un servizio e ha pure la responsabilità dei passeggeri, questa trasgressione sia assoluta-mente imperdonabile. Due anni fa a Milano un con-ducente di autobus ha investito e ucciso una ragaz-za sulle strisce pedonali: l’inchiesta ha stabilito che entrambi erano impegnati con il cellulare. Aggiungo una nota. Una recente ricerca svolta da Inail e Istat mette in relazione –mi risulta per la prima volta- i “dati del volume di traffico telefonico mobile e gli incidenti stradali, accoppiandoli nel tempo e nello spazio ad alta risoluzione”. Lo studio ha trovato al-larmanti associazioni tra il volume delle connessioni a Internet e il rischio di incidente stradale, e questo vale anche per gli sms in ricezione. In conclusione Inail afferma che il controllo sull’uso del cellulare du-rante la guida “potrebbe risultare un beneficio sulla salute pubblica e sulla sicurezza sul lavoro”. Potreb-be. Personalmente, gli studi sull’utilizzo disinvolto dello smartphone alla guida dei veicoli li faccio da me e da tempo. Posso testimoniare che a Milano la situazione peggiora drammaticamente mese dopo mese. E nell’attesa che i produttori dei veicoli e quelli degli apparecchi trovino un accordo per inibire tec-nicamente ogni dispositivo mobile mentre si guida, per quanto mi è possibile inibisco io: grido e gestico-lo senza perdonare nessuno, prendendomi anche qualche rischio. E a questo punto mi meraviglio che l’amministrazione cittadina non abbia ancora sguinzagliato ispettori destinati specificatamente alla stroncatura del fenomeno che si diffonde tra gli autisti dei mezzi pubblici. Spero vivamente che il sindaco Sala, dopo questa tragedia e soprattutto se, come temiamo, sarà appurato che l’autista era distratto dal suo dispositivo, ci pensi seriamente.

Nico Cereghini

ASCOLTA L’EDITORIALE

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MOTOGP MOTOGP

a qualche problema fisico, ma oggi la situa-zione sembra seria come allora. “Con questa fatica cronica -ha precisato Casey- non sono in grado di mantenermi in forma e in salu-te. Ho un problema, perché le mie costole vanno fuori asse, ed essendo collegate alle vertebre finiscono per generare dolore an-che alla schiena. E’ una situazione che mette pressione sui dischi, facendo fuoriuscire un po’ di liquido. Questo a sua volta mette pres-sione sul nervo, genera spasmi e ci vuole an-che una settimana prima che le cose tornino alla normalità”. Tutto questo lo ha tenuto lontano anche dalle moto. L’ultimo test se-rio risale al gennaio del 2018 con la Ducati a Sepang. Un paio di settimane fa Casey è sa-lito su una moto nel corso di un evento negli Stati Uniti, ma pur facendo soltanto pochi giri e senza spingere, si è dovuto arrendere.“In questi ultimi mesi -ha concluso Stoner-

sto migliorando con alcuni farmaci, ma non sono ancora vicino a ricominciare ad allenar-mi o a fare le cose che mi piacciono”. E’ una notizia inquietante e vi terremo informati. Casey Stoner ha dimostrato di meritare tut-to l’affetto di tanti appassionati italiani: ha portato in alto la Ducati nel 2007, ha vinto ancora con la Honda nel 2011, ha dato lezio-ne di guida e anche se si è ritirato sette anni fa molti ancora sognano che possa cambiare idea e ci permetta di vedere la sua sfida con Marquez, che in MotoGP non ha mai incon-trato. Ma disse che era stanco dell’ambien-te e si sarebbe fermato. Una scelta che fece scalpore: di anni ne aveva soltanto 27 (come il suo numero di gara); ma era una decisio-ne più che rispettabile e che tutti abbiamo rispettato. Dunque, forza Casey!

L

CASEY STONER CON LA SINDROME DA STANCHEZZA CRONICA

Nel corso di una trasmissione

in podcast, l’australiano ha

dichiarato di soffrire da oltre

un anno per un problema di

affaticamento cronico che lo fa

soffrire. Non riesce ad allenarsi,

si sta curando, ma la soluzione

non è vicina

La brutta notizia rimbalza dall’Australia: nell’ul-timo episodio del podcast Rusty’s Garage, un programma del giornalista Greg Rust, Casey Stoner ha dichiarato che sta assumendo dei far-maci per combattere contro un problema di af-faticamento cronico, qualcosa che gli impedisce tra l’altro di dedicarsi agli hobby che ama come il kart e il tiro con l’arco. “Non vado più in kart da un anno –ha precisato Casey- e non ho proprio l’energia per farlo: se ci provo un giorno poi resto sul divano una settimana. E da dieci mesi circa con riesco a fare neanche tiro con l’arco”.

Come tutti ricorderanno, Casey Stoner aveva avuto un problema fisico del genere già nel lon-tano 2009: aveva interrotto la stagione di gare, era tornato in fretta in Australia, e dopo una pri-ma fase di terapie e di indagini gli era stata dia-gnosticata una intolleranza al lattosio. Allora era stato del tutto recuperato, e il suo ritiro alla fine del 2012 dopo cinque vittorie e il terzo posto in campionato non era stato legato in alcun modo

di Nico Cereghini

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