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27/10/2015 Prof.ssa Santarpia Carcinoma Ovarico Il K Ovarico rappresenta il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile, si stima che nel corso della propria vita una donna su 76 sviluppi tale neoplasia. L’incidenza non presenta un gradiente nord-sud: si stimano dai 10,4 agli 11, 6 casi ogni 100 mila donne l’anno. La mortalità per questa neoplasia presenta un decremento nel tempo (- 1,5%/anno) e la speranza di vita, rispetto al decennio precedente appare modestamente migliorata (+ 4-5%) Possiamo avere carinomi ovarici di origine epiteliale, tumori stromali o tumori germinali. I primi rappresentano il 60% delle neoplasie ovariche, con picco di incidenza tra i 50 e i 70 anni, gli ultimi rappresentano il 40-60% delle neoplasie ovariche nelle donne di età inferiore ai 20 anni. Sebbene la maggioranza siano neoplasie benigne, oggi ci occuperemo di quelle maligne. TUMORI MALIGNI EPITELIALI Essi originano dall’epitelio celomatico che normalmente rieste la superficie ovarica (origine mesoteliale). Può essere di tipo : - Sieroso

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27/10/2015 Prof.ssa Santarpia

Carcinoma Ovarico

Il K Ovarico rappresenta il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile, si stima che nel corso della propria vita una donna su 76 sviluppi tale neoplasia. L’incidenza non presenta un gradiente nord-sud: si stimano dai 10,4 agli 11, 6 casi ogni 100 mila donne l’anno.

La mortalità per questa neoplasia presenta un decremento nel tempo (-1,5%/anno) e la speranza di vita, rispetto al decennio precedente appare modestamente migliorata

(+ 4-5%)

Possiamo avere carinomi ovarici di origine epiteliale, tumori stromali o tumori germinali. I primi rappresentano il 60% delle neoplasie ovariche, con picco di incidenza tra i 50 e i 70 anni, gli ultimi rappresentano il 40-60% delle neoplasie ovariche nelle donne di età inferiore ai 20 anni. Sebbene la maggioranza siano neoplasie benigne, oggi ci occuperemo di quelle maligne.

TUMORI MALIGNI EPITELIALI

Essi originano dall’epitelio celomatico che normalmente rieste la superficie ovarica (origine mesoteliale). Può essere di tipo :

- Sieroso- Mucinoso- Endometrioide- A cellule chiare- Transizionale

Può inoltre avere vari gradi di malignità ( basso, alto, borderline) determinati in base ad aspetti architetturali, caratteristiche nucleari e all’invasione stromale.

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L’incidenza maggiore la ritroviamo in Europa e Nord America, con aumento della stessa oltre i 40aa, e picco tra i 50 e i 70.

(La prof. proietta una slides con la classificazione dei tumori epiteliali modificata nel 2002 dalla Who, l’immagine è sfocata quindi riporto la seguente, presa da internet)

Fattori di rischio: appartengono a 3 principali categorie :

1) Fattori ormonali: ovulazione incessante e gonadotropina potrebbero favorire la trasformazione neoplastica : nulliparità; non allattamento; prima gravidanza in età maggiore dei 35 anni; terapia sostitutiva (solo con estrogeni) in donne in post-menopausa ( mentre l’uso prolungato di contraccettivi orali rappresenta un fattore protettivo); FIVET, terapia con gonadotropine e/o clomifene citrato in casi di infertilità ( per questi ultimi però i dati che evidenzierebbero un aumento del rischio non sono stati confermati confermati).

2) Fattori ambientali: è stata descritta un’associazione con l’esposizione ad asbesto e talco, con l’abuso di alcol, obesità (per via della maggiore conversione) e dieta ricca di grassi, non sono evidenti invece correlazioni con fumo e caffeina.

3) Fattori genetici e familiari: nel 5-10% dei carcinomi ovarici maligni di origine epiteliale si evidenzia un pattern ereditario o familiare, bisogna attenzionare quelle pazienti che abbiano una anamnesi familiare positiva per carcinoma della mammella o del colon-retto. Dal punto di vista genetico, è stata evidenziata una correlazione con la mutazione dei geni BRCA1/BRCA2 (le donne con questa mutazione hanno il 20/60% di probabilità di sviluppare il carcinoma ovarico, in associazione a tumore ovarico e mammario), con la sindrome di Lynch 2 e quella di Cowen (si associano tumori cerebrali e sono correlate alla mutazione

del gene PTEN). Le forme sierose di basso grado risultano correlate alle mutazioni di KRAS e BRAF, quindi un’alterazione della cascata delle MAP-chinasi, mentre quelle di alto grado con le mutazioni

Tabella 1 Possiamo evidenziare in tabella la presenza di tumori sierosi, per lo più bilaterali, mucinosi spesso monolaterali così come gli endometriodi, i quali li troviamo spesso associati carcinomi endometrioidi ben differenziati dell’utero, poi abbiamo quelli a cellule chiare, molto meno frequenti e delle forme miste in cui vi è sia una componente epiteliale che stromale

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di p53, che configurano una prognosi infausta, BRCA1 e BRCA2. Noi sappiamo come le neoplasie sierose ovariche correlate alla mutazione di questi ultimi due geni si possano spesso associare a neoplasie tubariche, vi è infatti un’altra ipotesi patogenetica che ritiene che gli istotipi sierosi derivino proprio dall’epitelio di rivestimento della tuba, il quale, sottoposto a continua proliferazione e distacco durante l’ovulazione, possa comportare l’impianto di alcune cellule a livello ovarico. Come anche l’ipotesi patogenetica riguardante il carcinoma endometrioide, la quale sostiene che questo derivi da focolai di endometro ectopico (endometriosi)

Fattori prognostici: Sicuramente il fattore prognostico più importante è lo stadio, vedete infatti come la sopravvivenza a 5 anni vada da circa il 70-90% per un tumore stadio I al 10% per un tumore stadio IV. La sintomatologia è però spesso aspecifica e tardiva, dunque circa il 75-80% delle pazienti presenta al momento della diagnosi una malattia in fase avanzata (III-IV stadio)

I fattori prognostici vanno valutati anche in base allo stadio della malattia:

Per quanto riguarda gli stadi iniziali, vengono considerati fattori prognostici importanti: il grado di differenziazione istologico ( il fattore più importante nello stadio I); il sottostadio ( con particolare attenzione alla rottura pre-operatoria della cisti); l’età; il sottotipo istologico ( quelli a cellule chiare o indifferenziati sono gravati dalla prognosi peggiore); crescita extra capsulare; ascite.

Negli stadi avanzati invece i fattori associati a prognosi sfavorevole sono: l’istotipo mucinoso ( sebbene esso sia nella maggior parte dei casi diagnosticato nelle fasi iniziali –stadio Ia- nei casi di malattia avanzata vi è una ridotta probabilità di risposta alla terapia di I linea con platino); L’istotipo a cellule chiare (meno del 5% delle neoplasie ovariche maligne), che manifesta una ridotta sensibilità al trattamento con platino; residuo di malattia dopo chirurgia primaria; livelli sierici di CA125 persistentemente elevati dopo dopo exeresi chirurgica radicale; profilo molecolare caratterizzato dalla mutazione di p53 e markers di neoangiogenesi quali VEGF-C, COX-2 e altri. Fattori favorevoli sono invece: profilo BRCAness (sono i tumori privi di BRCA1/BRCA2, ovvero presentanti la mutazione, che possono paradossalmente avere una prognosi migliore per via di farmaci al giorno d’oggi molto attivi in questi casi), che determina una migliore risposta a CT con platino in associazione agli inibitori PARP; espressione di inibitori del ciclo cellulare (p16 e p21).

Diffusione e metastatizzazione

1) Via intraperitoneale: è la via di diffusione più importante, le cellule neoplastiche superano la capsula ovarica e, sfaldandosi, cadono nella cavità peritoneale impiantandosi nel peritoneo, sull’omento e sulla faccia peritoneale del diaframma

2) Via retroperitoneale: il drenaggio linfatico avviene attraverso il peduncolo gonadico e quello iliaco esterno. Vengono, pertanto, interessati i linfonodi laterocavali, intraortici, periaortici, lateroaortici, iliaci esterni, iliaci comuni e paraortici, per via retrograda possono essere colpiti i linfonodi inguinali [la prof cita soltanto questa via, il resto è stato estratto dalla slide proiettata]

3) Via linfatica diaframmatica: è tardiva rispetto le precedenti. Attraverso la doccia parietocolica destra le cellule neuoplastiche possono raggiungere i linfonodi del mediastino anteriore e,

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quindi, i sovraclaveari. La completa ostruzione dei linfonodi diaframmatici da parte delle cellule neoplastiche impedisce la rimozione del liquido peritoneale e causa l’ascite neoplastica

4) Via ematogena: è poco frequente. Alla diagnosi sono presenti metastasi epatiche o polmonari in meno del 5% dei casi. Rare anche le metastasi ossee e cerebrali.

5) Per contiguità: possono essere infiltrati l’utero, il retto, la vescica e altre strutture pelviche

Segni e sintomi

Il carcinoma ovarico è spesso definisto “il killer silensioso”, proprio perché nella maggior parte dei casi è asintomatico, soprattutto negli stadi iniziali. Questo è infatti il motivo per cui la diagnosi è spesso tardiva (III-IV stadio). Solo nel 10% dei casi la diagnosi risulta essere fatta negli stadi iniziali (limitata agli annessi), quasi sempre come riscontro occasionale durante controlli ginecologici routinari, mentre in un altro 10% dei casi essa viene diagnosticata quando è ancora circoscritta alla pelvi. Quando una sintomatologia compare essa è correlata allo sviluppo della massa o ad una ascite imponente ( carcinosi peritoneale, stadio III). Possiamo, infatti, avere: aumento del volume dell’addome (spesso accompagnato da dolore e meteorismo); disturbi dell’alvo e della digestione; senso di sazietà precoce anche dopo pasti piccoli; anoressia; perdita di peso; sanguinamenti vaginali anomali. Bisogna comunque ricordare che una massa annessiale deve far sospettare una neoplasia maligna indipendentemente dall’età.

Diagnosi e stadiazione

- Esame clinico pelvico: grazie alla palpazione bimanuale retto-vagina è possibile evidenziare la presenza di una massa pelvica mono o bilaterale di consistenza solida o solido-cistica, spesso fissa nella pelvi o una massa pelvica associata a disturbi da compressione sulle strutture pelviche quali pollachiuria, stipsi e dolore pelvico

- Ecografia transvaginale: essa è da preferirsi per sensibilità a quella transaddominale per la migliore visualizzazione delle ovaie

- Dosaggio dei marcatori sierici: CA125 ( eventualmente associato a quello del CEA e del CA19.9 per escludere una eventuale patologia gastroenterica). Risulta infatti che nelle donne in postmenopausa, elevati livelli di CA125 si accompagnano ad una neoplasia maligna annessiale nell’80% dei casi, mentre nelle donne in premenopausa livelli dello stesso maggiori di 35U/ml sono più frequentemente associati a condizioni benigne (miomi uterini, endometriosi, tumori ovarici benigni)

- Rx torace, Tc addome-pelvi con mezzo di contrasto, RM addomino-pelvica: sono d’aiuto per la stadiazione pre-chirurgica

- Rettoscopia, cistoscopia, gastroscopia: nel caso di dubbio clinico di una infiltrazione degli organi contigui o di secondarietà della lesione ovarica (T. di Krukenberg)

Diagnosi differenziale

La, seppur scarsa, sintomatologia del carcinoma ovarico può necessitare la diagnosi differenziale con altre patologie annesiali e non, spesso benigne, quali:

- Annessite acuta e cronica- Fibroma uterino- Neoplasia del sigma

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- Neoplasie di tube e perineo- Neoplasie del tratto gastroenterico che possano aver dato una lesione secondaria (Krukenberg) a

livello ovaricoUn nuovo antigene tumorale sierico detto Human epididymal secretory protein (HE4), risulta utile nella diagnosi differenziale avendo un’elevata sensibilità per il carcinoma ovarico, superiore addirittura a quella del CA125 (soprattutto negli stadi iniziali), anche se ad oggi ci continuiamo a basare du quest’ultimo.

Terapia:

- Chirurgica : l’approccio chirurgico iniziale riveste un ruolo fondamentale in caso di neoplasia sospetta sia ai fini diagnostici (per l’accertamento istopatologico), sia terapeutici ( rimozione e accurata valutazione dell’estensione anatomica della malattia). Può avvalersi di tecnica laparotomica ( la più utilizzata, per valutazione diretta e ampia della cavità addomino-pelvica) o laparoscopica, ( per la ristadiazione chirurgica della diagnosi incidentale di carcinoma ovarico e nella valutazione preoperatoria della malattia avanzata in carcinomi non suscettibili di un intervento radicale).

La terapia chirurgica dell’Early Ovarian Cancer ( FIGO I-II) prevede la chirurgia radicale, che si dimostra curativa nel 70% dei casi. Si attua una istero-annesiectomia bilaterale con omentectomia infra-colica (o

Tabella 2 sapete che la stadiazione FIGO è distinta in 4 stadi, nel quarto stadio c’è l’interessamento dei tessuti pelvici e ci sono metastasi a distanza . la diagnosi è prevalentemente attuata negli stadi III e IV

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totale se ci sono lesioni sospette), washing e biopsie peritoneali multiple ( con particolare attenzione per docce paracoliche, p. prevescicale, Douglas, emidiaframma, radice mesentere), eventuale appendicectomia. Inoltre viene praticata l’esplorazione retro-peritoneale, dell’area pelvica, para-aortica e la linfoadenectomia. Se la paziente è in pre-menopausa, in casi selezionati, è possibile preservare utero e ovaio controlaterale. Nonostante la radicalità dell’intervento inoltre il 30% recidiva, rendendo necessario anche un trattamento chemioterapico adiuvante

La terapia chirurgica degli stadi avanzati prevede invece l’asportazione di tutta la neoplasia visibile (chirurgia citoriduttiva o di debulking) oltre a valutarne l’estensione , poiché il residuo tumorale post-chirurgico è considerato un fattore prognostico indipendente, correlato alla sopravvivenza. Generalmente si attua un’isterectomia totale extrafasciale con annessiectomia bilaterale, omentectomia totale, appendicectomia, asportazione dei linfonodi pelvici e aortici se aumentati di volume, asportazione di tutta la neoplasia macroscopicamente visibile. La linfoadenectomia sistemica è importante per la stadiazione, infatti evidenzia un numero di metastasi linfonodali superiore rispetto al campionamento , mentre è attualmente in discussione il suo ruolo terapeutico. Negli stadi avanzati inoperabili d’emblè è possibile prendere in considerzione dopo chemioterapia adiuvante ( 3 cicli) una chirurgia di seconda istanza (chirurgia d’intervallo), sebbene tale approccio non abbia dimostrato sostanziali differenze rispetto quello standard ( chirurgia seguita da chemioterapia) in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia e sopravvivenza globale

Tabella 3 Le nostre raccomandazioni, della Società Italiana di Oncologia, cui facciamo sempre riferimento nella pratica clinica ci dicono come negli stadi avanzati, ad eccezione dei pazienti con diffusione extraddominale di malattia o con sfavorevole PS o elevato rischio chirurgico l’approccio primario debba essere effettuato, cioè comunque in prima istanza dobbiamo prendere in considerazione un approccio chirurgico

Il ruolo della chirurgia nell’ambito delle recidive non è ancora del tutto definito. La chirurgia viene però indicata in 3 circostanze:

1) Alleviamento dell’ostruzione intestinale in casi selezionati;2) Debulking del tumore nei pazienti con recidiva platino sensibile3) Rimozione dei singoli siti di malattia che non sono sintomatici o a crescita lenta

- Medica (chemioterapia adiuvante): importante a livello postchirurgico, per ridurre le recidive, frequenti anche negli stadi precoci . È necessaria una prima valutazione dei fattori prognostici quali: il grado di differenziazione, lo stadio FIGO, il sottostadio, l’età, il sottotipo istologico e la presenza di ascite. In base a ciò i pazienti vengono classificati in:1) Pazienti a basso rischio: (FIGO Ia-Ib, malattia ben differenziata, istotipo non a cellule chiare) la

chirurgia è risolutiva nel 95% dei casi e non vi è evidente vantaggio di una CT adiuvante

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2) Paziente con tumore a rischio intermedio ( FIGO Ia-Ib, moderatamente differenziato) e alto (FIGO Ic-II scarsamente differenziato o a cellule chiare): si associano ad un tasso di recidiva del 25-40% e sono pertanto candidate a CT adiuvante

Lo standard terapeutico prevede: carbonplatino (AUC5)/ paclitaxel [o taxolo] per 6 cicli o carbonplatino (AUC6) single agent per 4-6 cicli

Per quanto riguarda la chemioterapia nello stadio avanzato del carcinoma ovarico, essa prevede secondo standard terapeutico di I linea Carbonplatino (AUC 5) + Paclitaxel (175 mg/mq) ogni 3 settimane, tuttavia il follow up a lungo termine ha messo in evidenza l’80 % di recidive a due anni, il che indica la necessità di nuovi approcci. Le possibili alternative terapeutiche valutate in studi clinici sono: 1) Aggiunta di un terzo farmaco non cross-resistente (gem, topotecan) (ad oggi però si ritiene, a

seguito di vari trial, che l’aggiunta di un terzo farmaco non dia alcun beneficio)2) Sostituzione di paclitaxel (taxolo) con doxoliposomiale, che ha meno tossicità e rappresenta

un’alternativa nei casi di ipersensibilità o di fattori di rischio per neurotossicità o per rifiuto dell’alopecia

3) Modifica del timing del trattamento (sebbene in clinica venga ancora utilizzato lo schema trisettimanale)

4) Modifica modalità di somministrazione (es. chemioterapia intraperitoneale, in cui la somministrazione di farmaci in associazione a calore può provocare uno shock termico delle membrane che faciliterebbe l’accumulo di farmaco all’interno della cellula tumorale, riducendo anche la tossicità sistemica)

5) I bevacizumab ha dimostrato elevata attività in studi di fase I e II in monoterapia per la recidiva del carcinoma ovarico ( tassi di risposta del 20%). Due studi randomizzati di fase III hanno dimostrato che l’aggiunta di bevacizumab a carboplatino/taxolo determina inoltre un prolungamento della PFS nel trattamento di prima linea di pazienti sottoposte a debulking, oltre che in OS, in particolare negli stadi avanzati a prognosi sfavorevole

Terapia medica : Chemioterapia di II linea

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(cosa fare quando i pz recidivano dopo trattamento standard, ovvero carbo/taxolo e carbo/taxolo e bevacizumab) La scelta terapeutica, secondo le nostre linee guida, è subordinata all’interallo di tempo intercorso tra la fine di trattamento con platino e la comparsa della recidiva (platinum free interval- PFI). In base a tale intervallo discriminiamo infatti:

1) Malattia refrattaria (che ha subito una progressione durante la prima linea di trattamento o entro un mese dall’ultimo ciclo di platino) o resistente (progredite o recidivate entro 6 mesi dall’ultimo ciclo con platino ) in questo caso l’efficacia della CT è comunque limitata. È pertanto indicato un trattamento monochemioterapico con : topotecan, doxorubicina liposomiale, gemcitabina, taxolo settimanale, trabectidina.( uno studio ha inoltre evidenzato l’indicazione al trattamento con Bevacizumab+CT - trattamento monochemioterapico- in associazione a paclitaxel, topotecan, doxo liposomiale in pz che non hanno ricevuto più di due linee precedenti di CT)

2) Parzialmente platino sensibile (con PFI tra 6 e 12 mesi ) tassi di risposta ad un trattamento di seconda linea variano a seconda dell’utilizzo o meno di un regime a base di platino (33 vs 27% rispettivamente): doxorubicina ribosomiale + trabectidina, carboplatino/PLD, carboplatino/paclitaxel, carboplatino/gemcitabina

3) Platino sensibile (PFI > 12 mesi) si presuppone dunque che possano nuovamente rispondere bene al platino. La terapia prevede in questo caso, carbo/paclitaxel, carbo/gemcidina, carbo/doxo liposomiale e carbo/gem + bevacizumab: il tasso di risposte al trattamento di seconda linea con platino, aumenta con l’aumentare dell’intervallo libero da malattia (30-70% o più)

Il ruolo della chirurgia citoriduttiva secondaria nella recidiva da carcinoma ovarico è tuttora oggetto di studio, pertanto ad oggi è la CT che per lo più ci configura la prognosi della paziente

Questo è un piccolo schema [purtroppo la foto dello schema è molto sfocata] per dirvi veramente una cosa nuova: recentemente nel piano terapeutico sono stati inseriti dei nuovi farmaci che sono gli inibitori di PARP, un enzima molto importante che partecipa al processo di riparazione del BER (base excision repair)per le rotture a singolo filamento del DNA (SSB). Tale danno viene riparato oppure, se troppo esteso viene indotta l’apoptosi. Qualora tuttavia BRCA1 sia mutato, qualsisi danno viene riparato, perché shuntato verso la via beta[ la registrazione si sente male, la frase comunque dovrebbe essere questa, riporto per chiarire una breve spiegazione da internet]

L’attivazione di PARP è alla base del fenomeno di resistenza dei tumori alla chemioterapia. Inibendo PARP si attenua la capacità delle cellule tumorali di resistere agli agenti alchilanti e si ripristina la sensibilità dei tumori alla chemioterapia. Inattivando PARP si accumulano, nel nucleo delle cellule, frammenti danneggiati di DNA, con conseguente arresto della crescita e della divisione cellulare, fino ad arrivare alla morte delle cellule tumorali. 

Targeted Therapies

- Olaparib (inibitore dell’enzima PARP) per il trattamento di mantenimento di pz con carcinoma ovarico sieroso di alto grado , alle tube di Falloppio o peritoneale primario, BRCA-mutato, che rispondono (in modo completo o parziale) alla chemioterapia a base di platino

- Ci sono poi degli studi ongoing per trattamenti sempre più specifici, sulla base delle mutazioni di ogni pz, riguardanti : Vargatef, erlotinib, pazopanib, cediranib, altri inibitori dell’enzima PARP e inibitori di MEK

Gli studi a riguardo saranno disponibili nei prossimi anni e permetteranno di rendere la terapia sempre più mirata

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Vi sono poi le linee guida per il follow up che voi comunque non siete tenuti a sapere. Ricordate solo che ad oggi l’incremento del marcatore (CA 125) senza incremento oggettivo, va valutato prima di dare inizio al trattamento