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IL MELANOMA prof. Altavilla Introduzione Oggi ciò di cui vi voglio parlare è del melanoma, tumore maligno della cute, che per lunghissimo tempo è stato un tumore “orfano” di terapie, nel senso che nella sua fase avanzata ha rappresentato, realmente, uno di quei problemi per l’oncologo e soprattutto per il paziente, che si imbatteva in questa patologia, per le sue scarsissime capacità di risposta terapeutica. Il melanoma rappresenta per certi versi uno di quei tumori che meglio dimostrano quelli che sono stati i progressi delle terapie a bersaglio molecolare e soprattutto quelle nuove di tipo immunologico. Il melanoma è stato forse il tumore che più di altri ha avuto vantaggi dalla nuova immunoterapia. Ma perché proprio il melanoma? Perché forse era più immunogeno di tanti altri? No, la spiegazione è molto più semplice e banale. Voi dovete sempre sapere che le terapie nuove in oncologia hanno sempre avuto come banco di prova i pazienti disperati e incurabili ed è da là che deriva sostanzialmente l’avanzamento della ricerca per la scoperta della terapia o del farmaco innovativo. E’ chiaro che un tumore che aveva una certa capacità di essere rispondente a certi tipi di terapia non sarebbe mai stato il target ideale per sperimentare le nuove terapie. Nella disperazione si sperimentano le nuove terapie. L’altra volta vi dicevo l’esempio della nascita della terapia adiuvante nell’ambito dei bambini con gli osteosarcomi. Lì il razionale c’era ma non c’erano i farmaci o funzionavano poco nella fase avanzata. Il fatto di avere, però, quella

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IL MELANOMA prof. Altavilla

Introduzione

Oggi ciò di cui vi voglio parlare è del melanoma, tumore maligno della cute, che per lunghissimo tempo è stato un tumore “orfano” di terapie, nel senso che nella sua fase avanzata ha rappresentato, realmente, uno di quei problemi per l’oncologo e soprattutto per il paziente, che si imbatteva in questa patologia, per le sue scarsissime capacità di risposta terapeutica. Il melanoma rappresenta per certi versi uno di quei tumori che meglio dimostrano quelli che sono stati i progressi delle terapie a bersaglio molecolare e soprattutto quelle nuove di tipo immunologico. Il melanoma è stato forse il tumore che più di altri ha avuto vantaggi dalla nuova immunoterapia. Ma perché proprio il melanoma? Perché forse era più immunogeno di tanti altri? No, la spiegazione è molto più semplice e banale. Voi dovete sempre sapere che le terapie nuove in oncologia hanno sempre avuto come banco di prova i pazienti disperati e incurabili ed è da là che deriva sostanzialmente l’avanzamento della ricerca per la scoperta della terapia o del farmaco innovativo. E’ chiaro che un tumore che aveva una certa capacità di essere rispondente a certi tipi di terapia non sarebbe mai stato il target ideale per sperimentare le nuove terapie. Nella disperazione si sperimentano le nuove terapie. L’altra volta vi dicevo l’esempio della nascita della terapia adiuvante nell’ambito dei bambini con gli osteosarcomi. Lì il razionale c’era ma non c’erano i farmaci o funzionavano poco nella fase avanzata. Il fatto di avere, però, quella mortalità post-operatoria così imponente imponeva delle condizioni che potessero migliorare l’outcome e così si arrivò alla nascita della terapia adiuvante per gli osteosarcomi.

Il melanoma voi sapete che, sostanzialmente, è un tumore che incide maggiormente nel fenotipo chiaro. Quindi non c’è da meravigliarsi se l’85% dei melanomi cutanei insorga praticamente nel mondo occidentale, dove vi è questo tipo di fototipo. Non c’è ancora da meravigliarsi neanche se la prevalenza e l’incidenza del melanoma è maggiormente nei soggetti di tipo caucasico. Inoltre, è un tumore che è presente un po’ in tutte le classi di età, però presenta una peculiarità: è uno di quei tumori che più di altri incide nei soggetti al di sotto dei 50 anni, anzi, se stiamo a guardare questa analisi sull’incidenza dei tumori al di sotto dei 50 anni, il melanoma si trova al 3° posto.

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Fattori di rischio

Io solitamente li suddivido in fattori di tipo genetico e fenotipico e in fattori di tipo ambientale. Nella realtà dei fatti sono più importanti le combinazioni dell’uno e dell’altro.

Fattori genetici

Essi sono capaci di indurre melanomi cutanei nel 10-15% dei casi. Fra i fattori genetici e fenotipici, il fenotipo cutaneo chiaro è quello che più degli altri ha maggior rischio di incidenza. Altro fattore importante è il numero totale dei nevi, soprattutto di quei nevi che si presentano sotto la forma del nevo displastico. Poi (e questo è più genetico nel senso vero del termine) vi è una storia familiare di melanomi in alcune famiglie in cui vi è la mutazione di un gene oncosoppressore che è il CDKN2A, che codifica per due proteine deputate al controllo negativo del ciclo cellulare: p16 e p14. In poche famiglie di soggetti affetti da melanoma è stata descritta anche una mutazione del gene CDK4 che altera il sito di interazione con la proteina p16, con conseguente deregolazione del ciclo cellulare. In più, possono esserci delle possibilità di avere delle alterazioni genetiche che vengono ad essere trasmesse come ad esempio la ipoespressione di un gene oncosoppressore quale quello del RB e poi un’alterazione del gene della tirosinasi che interviene proprio nella produzione della melanina nel corso del tempo. Lo stato di immunodeficienza rappresenta, inoltre, nel melanoma un’altra condizione che favorisce la sua insorgenza.

Fattori ambientali

Quando parliamo di fattori ambientali, invece, voi sapete che il fattore ambientale più importante è rappresentato dall’esposizione ai raggi UV. Si dice addirittura che l’esposizione cronica ai raggi UV conferisca un rischio doppio di insorgenza del melanoma rispetto ai soggetti che non sono per niente esposti. Certamente, è un rischio a cui sono sottoposti tutti quelli che stanno sotto la luce del sole, soprattutto quelli che stanno in regioni dedite all’agricoltura o in regioni che sono al mare. Però, se pensate ai nostri contadini o ai nostri pescatori, vi renderete conto che, nella realtà dei fatti, queste categorie non è che sono così soggette al melanoma ma piuttosto ad un altro tipo di tumore cutaneo, l’epitelioma. Questo è dovuto probabilmente al fatto che vi è una differenza nell’induzione del rischio fra quella che è l’esposizione cronica come hanno questi soggetti piuttosto che l’esposizione intermittente. Si vuole dire, insomma, che è molto più pericolosa la scottatura da

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abbronzatura presa nel breve tempo nel corso dell’estate piuttosto che l’esposizione cronica ai raggi UV. Il rischio correlato all’esposizione ai raggi UV varia anche in relazione all’età: l’età infantile e quella adolescenziale sono quelle a maggior rischio. Fate attenzione ad un’altra cosa: ancora non è stato dimostrato realmente quale sia il valore delle creme a schermo solare protettive. Quindi il fatto di mettersi la protezione 50 piuttosto che 30 ancora non ha avuto una reale dimostrazione di efficacia. La IARC, inoltre, ha da sempre sostenuto che le fonti artificiali di raggi UV quali lettini e/o lampade per l’abbronzatura sono cancerogene. Per quanto riguarda l’alimentazione, nell’ambito del melanoma, si parla non tanto di fattori che inducano il melanoma ma piuttosto di fattori che, se assunti con l’alimentazione, possono in qualche modo proteggerci dal melanoma. Tutto questo deriva da delle osservazioni di tipo sperimentale e dalla evidenza che alcuni farmaci, che vengono ad essere utilizzati per la protezione del melanoma, sono in realtà dei derivati alimentari. Pensiamo per esempio ai licopeni che sono presenti nei pomodori oppure ai sulforafani che sono presenti nei fiori di broccoli o agli estratti del the verde. Un altro dato interessante presente in un articolo pubblicato nel Journal of the National Cancer Institute nel gennaio 2015 riguarda un lavoro epidemiologico sulla correlazione tra l’assunzione di caffè e il melanoma. Si è constatato che l’assunzione di caffè, almeno di 4 tazze al giorno, con caffeina, dà luogo ad una riduzione dell’incidenza del melanoma rispetto a coloro che non l’assumono.

Schema sui fattori ambientali:

-L’esposizione a raggi UV è il più importante fattore di rischio

-Conferisce un rischio doppio di sviluppo del melanoma negli esposti rispetto ai non esposti

-Il rischio varia in rapporto:

-alle dosi assorbite

-al tipo di esposizione (intermittente più che cronica)

-all’età (a maggior rischio l’età infantile e adolescenziale)

-Contradditorio appare il ruolo protettivo delle creme a schermo solare

-IARC identifica come cancerogene fonti artificiali di raggi UV come lampade e/o lettini per l’abbronzatura

-L’alimentazione potrebbe rivelarsi utile al fine della prevenzione del melanoma

-Molti agenti anti-ossidanti in fase di sperimentazione per la prevenzione del melanoma sono derivati alimentari:

-licopeni (composti che si trovano principalmente nei pomodori)

-I sulforafani (piccole molecole isolate dai fiori di broccoli)

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-gli estratti del the verde

-Interessanti sono i dati relativi alla correlazione tra il consumo di caffè e la riduzione del rischio di melanoma.

Epidemiologia: Incidenza

Circa un uomo su 70 e una donna su 88 sono destinati a sviluppare un melanoma cutaneo nel corso della vita e, venendo ai dati italiani, per quanto riguarda l’incidenza noi quest’anno ci aspettiamo circa 11.300 nuovi casi di melanomi con una lieve predominanza nel sesso maschile. L’incidenza del melanoma maligno è da anni in costante ascesa sia negli uomini (+3.2%/anno), che nelle donne (+3.1%/anno). I più recenti dati ISTAT (2012) indicano in 1.881 i decessi per melanoma maligno nel nostro Paese (1.080 fra gli uomini e 801 fra le donne). Ancora qui c’è una lieve prevalenza per gli uomini che per le donne. Inoltre, negli ultimi decenni il trend di mortalità è risultato sostanzialmente stabile sia negli uomini che nelle donne.

Origine dei melanomi

Da dove deriva il melanoma? Il melanoma deriva dalla trasformazione maligna dei melanociti, le cellule responsabili della produzione della melanina. I precursori dei melanociti derivano dalla cresta neurale e, nel corso dello sviluppo fetale, migrano verso diverse aree del corpo quali la pelle, le meningi, le mucose, l’esofago superiore e gli occhi. Per questo è possibile che un melanoma insorga in tutte queste localizzazioni dove sono presenti i melanociti. Ovviamente la prevalenza si ha a livello cutaneo con un 91.2 %, a seguire il 5.3% dei melanomi sono oculari (i quali non vanno mai trascurati e vanno sempre diagnosticati, perciò, in caso di dubbi, la visita del fondo oculare va sempre fatta), l’1.3% mucosali (soprattutto a livello esofageo) e il 2.2% a sede primitiva sconosciuta (molte volte vediamo delle metastasi melanomatose ma non riusciamo a localizzare il tumore primitivo da dove sono provenute).

Classificazione clinica (OMS)

-Melanoma a diffusione superficiale (SSM)

-Melanoma nodulare (NM)

-Melanoma su lentigo maligna (LMM)

-Melanoma lentigginoso acrale (ALM)

-Varianti rare: (le ho inserite per completezza)

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-Melanoma desmoplastico

-Melanoma neurotropo

-Melanoma nevoide

-Melanoma spitzoide

-Melanoma verrucoso

-Melanoma animal-like

-Melanoma su nevo

-Melanoma in regressione

-Melanoma delle mucose

Melanoma a diffusione superficiale

- Rappresenta il 70% dei melanomi, più frequente tra i 40-60 anni soprattutto in zone foto esposte.

- Presenta una fase iniziale di crescita radiale, nella quale la lesione appare piana con varie sfumature di grigio, marrone e nero. Ricordatevi che la crescita radiale è la fase iniziale, da un punto di vista istologico, di crescita di un melanoma.

- Nella fase di crescita verticale assume delle caratteristiche tipiche delle neoformazioni melanomatose maligne che sono determinate dalla: asimmetria (A); bordi irregolari (B); colore disomogeneo (C); dimensioni > 6mm (D); evoluzione rapida nel tempo (E). Queste caratteristiche determinano la regola dell’ABCDE che viene ad essere normalmente usata soprattutto dai dermatologi, che sono coloro che vedono per primi queste lesioni, nel dare una supposizione diagnostico-clinica del melanoma.

Melanoma nodulare

- 10-15% di tutti i melanomi- Nodulo di forma regolare con superficie liscia o moriforme, di colore variabile

dal marrone al rosso.- Diagnosi basata sulla regola EGF (elevation, firm on palpation, continuous

growth for 1 month)- Non legato alla foto esposizione.

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Melanoma su lentigo maligna

- 10% di tutti i melanomi - Maggiore incidenza tra i 70 e 90 anni- Nei giovani fra chi utilizza lettini o lampade abbronzanti- Istotipo caratterizzato da lenta crescita

Melanoma lentigginoso acrale

- Rappresenta il 2-8% dei melanomi nei caucasici (quindi da noi è quello a minore incidenza), il 29-46% negli asiatici e il 60-72% nella razza nera

- Età media alla diagnosi 65aa- Clinicamente: maculo-papule (fase di crescita radiale), noduli (fase di crescita

verticale). Bordi irregolari e colore scuro.- Localizzazione tipica: regione plantare e meno frequentemente palmare,

inguinale, interdigitale- Tumore gravato dalla peggiore prognosi.

Diagnosi

La diagnosi viene ad essere determinata dalla visita di un dermatologo, che ormai si avvale della dermatoscopia, che è un mezzo estremamente agevole per fare una diagnosi che sia più accurata, rispetto alla semplice diagnosi di tipo ispettivo. Ma non c’è dubbio che la diagnosi venga poi surrogata dalla biopsia. Infatti nel caso in cui il dermatologo ha il sospetto di trovarsi di fronte un melanoma deve chiedere al chirurgo la biopsia.La biopsia deve essere il più possibile, alle volte, di tipo escissionale, caratterizzata da una asportazione completa della lesione con circa 2 mm di cute sana circostante e di uno strato di grasso sottocutaneo. Però, nei casi in cui la biopsia escissionale comporti demolizioni non giustificate o difficili per sede, si pratica la biopsia incisionale, caratterizzata, invece, dall’asportazione parziale a tutto spessore della zona più elevata della zona sospetta.

Fasi di crescita di un melanoma

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- Il Melanoma origina dalla proliferazione dei melanociti negli strati basali dell’epidermide, per poi espandersi radialmente ed invadere, in un secondo tempo, in profondità il derma.

- La fase radiale è la fase non tumorigenica, caratterizzata dalla proliferazione di melanociti nell’epidermide e/o nel derma papillare senza formazione di nodulo.

- La fase di crescita verticale, che è quella che porta sostanzialmente all’estrinsecazione clinica del melanoma, è la fase tumorigenica nella quale il melanoma acquisisce capacità di metastatizzare ed è caratterizzata dalla presenza di nodulo espansivo.

- Ciascuna fase è caratterizzata da specifiche alterazioni molecolari e ciò è importante in ottica di target therapy.

Driver Mutations nel melanoma

La maggior parte dei melanomi dipendono da una particolare via di segnale oncogenico, ovvero la via della MAPK, attraverso mutazioni mutuamente esclusive a carico dei geni c-Kit, NRAS, BRAF, GNAQ o GNA11. Ciò significa che se c’è la mutazione di uno di questi geni di questa cascata normalmente non ce n’è un’altra. Ciò aiuta soprattutto nella prima fase di target therapy. Peccato però che, dopo, il target viene ad esser perduto perché compaiono resistenze e, naturalmente, una nuova mutazione anche più a valle rispetto a quella precedente.

I melanomi cutanei (che sono quelli a maggior incidenza e con i quali ci confrontiamo più spesso), che sorgono a livello del tronco o delle estremità e che sono associati ad un’esposizione intermittente dei raggi UV, presentano un alta percentuale di mutazione a carico di BRAF (50%) o NRAS (20%).

I melanomi mucosali e acrolentigginosi, associati ad una bassa esposizione ai raggi UV, hanno una percentuale più bassa di mutazioni a carico di BRAF (dal 5% al 20%) ma una più alta percentuale di mutazioni a carico di c-KIT (dal 5% al 10%), che se ricordate era presente anche nei tumori GIST.

Classificazione di Clark

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Ora immaginiamo che abbiamo fatto l’escissione di questo melanoma e l’anatomopatologo è chiamato a chiarirci quanto questo melanoma sia esteso. Una prima classificazione che per lunghissimo tempo è stata usata era quella di Clark. I livelli di Clark sostanzialmente sono 5 e vengono a rappresentare l’espansione del melanoma dall’epidermide al tessuto sottocutaneo.

Livello I di Clark EpidermideLivello II di Clark Derma papillare superficialeLivello III di Clark Derma papillare profondoLivello IV di Clark Derma reticolareLivello V di Clark Ipoderma

Il livello di invasione è strettamente correlato alla sopravvivenza.

Il problema, però, che la classificazione di Clark comporta, è la variabilità di interpretazione da patologo a patologo. Molto spesso i dati non sono ben riproducibili e per un patologo una medesima lesione può essere un primo livello mentre, per un altro, un secondo livello. Per cui si ritenne che potesse essere più agevole rappresentare in maniera più oggettiva questa penetrazione attraverso la classificazione di Breslow, che invece si imposta sulla dimensione dell’estensione della penetrazione del melanoma.

Classificazione di Breslow

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- Essa si basa sulla misura in mm dello spessore verticale:

- Melanoma inferiore ad 1mm, sopravvivenza a 7 anni del 95%- Compreso fra 1 e 1,69mm, melanoma a rischio basso- Compreso fra 1,70 e 3,99mm, melanoma a rischio moderato- Superiore a 4mm, melanoma ad alto rischio

- Si è dimostrata meglio riproducibile tra i patologi.- La comparazione con la classificazione di Clark dimostra la validità prognostica

di entrambe.

Perciò un basso livello di Clark ed un basso livello di Breslow correla con la migliore prognosi. Però, man a mano che il tumore si approfonda fino al sottocutaneo, la prognosi del paziente sarà peggiore.

Ulcerazione

La presenza di ulcerazione è stata riconosciuta come variabile prognostica di sicuro impatto e tende a predire una maggiore probabilità di metastatizzazione viscerale ed ossea.

La presenza di ulcerazioni deve essere valutata al microscopio e viene definita dalla presenza delle seguenti caratteristiche:

1) mancanza dell’epidermide a tutto spessore compreso lo strato corneo.2) evidenza di fenomeni reattivi (depositi di fibrina, neutrofili).3) iperplasia reattiva o assottigliamento dell’epidermide adiacente.

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Altri fattori prognostici

- Indice mitotico (negativo)= normalmente il melanoma replica poco per cui già basta un indice mitotico superiore all’1% per dire che è fattore prognostico negativo.

- Reazione infiammatoria (presenza di linfociti infiltranti il tumore) (positivo)= ciò dimostra l’attivazione del sistema immunitario ed è un fenomeno chiaramente, dal punto di vista prognostico, positivo

- Regressione (negativo se >75% della lesione)= non significa che il tumore regredisce ma riguarda una serie di fenomeni istopatologici come la fibrosclerosi nell’ambito tumorale, le teleangiectasie, la neovascolarizzazione linfatica e le cellule degenerate di melanoma che, se presenti >75%, diventano prognosticamente sfavorevoli.

- Invasione angiolinfatica (negativo)- Microsatellitosi (nidi tumorali >0.05 mm distanti almeno 0.3 mm dalla lesione

principale) (negativo).

Stadiazione TNM

Tumore primitivo (T)T1 Tumore minore o uguale a 1.0 mm in

spessoreA: Senza ulcerazione e livello di

Clark II /IIIB: Con ulcerazione o livello di Cark

IV / VT2 Tumore 1.01-2.0 mm in spessore A: Senza ulcerazione

B: Con ulcerazioneT3 Tumore 2.01-4.00 mm in spessore A: Con ulcerazione

B: Senza ulcerazioneT4 Tumore >4.00 mm in spessore A: Senza ulcerazione

B: Con ulcerazioneLinfonodi regionali (N)

N1 1 linfonodo A: MicrometastasiB: Macrometastasi

N2 2-3 linfonodi A: MicrometastasiB: Macrometastasi

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C: metastasi in-transit/satellite(s) senza

linfonodi metastaticiN3 4 o più linfonodi oppure linfonodi

regionali metastatici conglobatio metastasi satellite(i) o in-transit con

metastasi nei linfonodi regionali

 

Metastasi a distanzaM1a Metastasi a distanza cutanee,

sottocutanee o linfonodaliLDH = Normale

M1b Metastasi polmonari LDH = NormaleM1c Metastasi viscerali

Qualsiasi metastasi a distanzaLDH = Elevata

Stadi

  Stadiazione Clinica Stadiazione Patologica0 Tis N0 M0 Tis N0 M0

IA T1a N0 M0 T1a N0 M0IB T1b N0 M0 T1b N0 M0  T2a N0 M0 T2a N0 M0

IIA T2b N0 M0 T2b N0 M0  T3a N0 M0 T3a N0 M0

IIB T3b N0 M0 T3b N0 M0  T4a N0 M0 T4a N0 M0

IIC T4b N0 M0 T4b N0 M0III Qualsiasi T N1 M0    N2    N3  

IIIA   T1-4a N1-2a M0IIIB   T1-4b N1-2a M0

    T1-4a N1-2b M0    T1-4a/b N2c M0

IIIC   T1-4b N1-2b M0    T1-4b N2b M0    Qualsiasi T N3 M0

IV   Qualsiasi T, qualsiasi N, M1

In questa classificazione vedete sostanzialmente come dal T1 al T4 vi è corrispondenza con lo spessore di Breslow, ma, in più, con la variante della presenza di ulcerazione (A) o in assenza di essa (B). Inoltre, il coinvolgimento dei linfonodi (N) fa chiaramente saltare il quadro dallo stadio I-II allo stadio III. N1 con un linfonodo soltanto preso da metastasi e N2 se sono coinvolti 2-3 linfonodi. Le metastasi

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linfonodali (N1-N2), a loro volta, possono essere micro metastasi (A) o macrometastasi (B). Il tipo N2C riguarda invece metastasi in-transit o satelliti senza linfonodi metastatici. N3 se sono coinvolti 4 o più linfonodi oppure linfonodi regionali metastatici conglobati o metastasi satellite(i) o in-transit con metastasi nei linfonodi regionali. Il maggiore coinvolgimento linfonodale, dunque, condiziona lo stadio fino a giungere allo stadio IIIC. Ciò che è importante sottolineare è come la sopravvivenza a 5 anni sia di riguardo per quanto concerne i tumori melanomatosi localizzati e come, invece, nelle forme localmente avanzate (ovvero il T4 e le forme N+) vi sia una caduta della sopravvivenza a 5 anni.

Metastasi satelliti: metastasi localizzate entro 5 centimetri di distanza dalla lesione primitiva. Sono generalmente visibili come papule pigmentate;

Metastasi in transit: metastasi localizzate tra la lesione primitiva e la prima stazione linfonodale che drena quella sede cutanea. Si presentano come noduli piuttosto duri, a volte visibili e palpabili;Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/salute/melanoma-classificazione.html

Esami di stadiazione

-Il 50-70% dei melanomi viene diagnosticato in fase precoce con un rischio di recidiva e/o diffusione inesistente (melanoma in situ) o molto basso (stadio IA). E’ chiaro, quindi, che in questi pazienti non si fa sostanzialmente nulla. Però, trova sempre indicazione, prima della radicalizzazione chirurgica, una ecografia del bacino (o dei bacini) di drenaggio linfatico del melanoma primitivo (nel caso di sospetto coinvolgimento linfonodale) ed un Rx torace.

-L’utilizzo di metodiche di stadiazione complesse (TC total body, PET-TC), invece, va riservato a: - pz con T4 ulcerato - pz con metastasi linfonodali

Terapia chirurgica

Ma, dopo aver fatto la biopsia escissionale, essa risulterà sufficiente? La risposta è no, perché dopo la biopsia escissionale il trattamento chirurgico si basa e consiste nell’ampliamento dell’escissione. Quest’ampliamento della chirurgia porterà ad un’escissione che deve essere dipendente dalla dimensione della neoformazione che è stata escissa:

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Ricordate che nei pazienti a maggior rischio di metastasi (Breslow >1mm, ulcerazione), anche in quelli con ecografia linfonodale negativa, è indicata la biopsia del Linfonodo Sentinella –BLS. Se risulterà positiva si procederà con la linfadenectomia regionale.

Terapia adiuvante

I pazienti dopo l’escissione chirurgica possono essere classificati in:- Basso rischio di ricaduta: Stadi IB e IIA- Alto rischio di ricaduta: Stadi IIB-C, IIIA-B-C

La terapia adiuvante nell’ambito del melanoma è sempre stato un argomento di grosso interesse soprattutto quando prima si avevano chemioterapici di scarsissima attività. Non si ricorda, infatti, nel melanoma una chemioterapia di tipo adiuvante. Ma questa sostanziale immunogenicità delle cellule del melanoma portò all’utilizzo di diversi farmaci adiuvanti:

-BCG = Bacillo di Calmette- Guèrin tramite il quale si cercava di stimolare l’immunità,- Levamisolo= un antielmintico che si dimostrò avere anche un’attività di induzione

della risposta immune, a tal punto che venne utilizzato per lungo tempo anche nella terapia adiuvante del tumore del colon e

- Interleuchina= quella che ha dato maggiori risposte obiettive nel melanoma. Ma studi clinici di terapia adiuvante con questi farmaci, utilizzati nei pazienti ad alto rischio, non hanno dimostrato alcun vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto ai non trattati.

Terapia adiuvante: Interferone

L’interferone, invece, è stato utilizzato e si è dimostrato efficace in vari studi clinici che lo hanno utilizzato sia a basse dosi (3MU/m^2) che ad alte dosi (>10MU/m^2), ma più tossico ad alte dosi.

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Due metanalisi dimostrano che il trattamento adiuvante con IFNα (sia a basse che alte dosi) procura un beneficio assoluto in OS (sopravvivenza globale) del 3% con riduzione del RR (rischio relativo) del 18% sulla DFS (sopravvivenza libera da malattia) e dell’11% in OS. Non è molto, perciò bisogna cercare sempre di commisurare un trattamento di tipo precauzionale a quello che è il vantaggio e soprattutto la potenzialità di tossicità!

Linee guida sulla terapia adiuvante:

Da ricordare: la prognosi dei pazienti con stadio IV è severa; la mediana di sopravvivenza è 6-9 mesi e il 5-10% sopravvive a 5 anni. E’ una situazione veramente terribile che però negli ultimi anni ha visto una soluzione inaspettata.

Terapia della fase avanzata:- Chemioterapia- Terapia con modificatori della risposta biologica - Terapie a bersaglio molecolare- Immunoterapia

Chemioterapia

Il melanoma in fase metastatica è da sempre associato a cattiva prognosi e si è dimostrato neoplasia chemioresistente. Differenti agenti chemioterapici hanno dimostrato attività quando impiegati in monochemioterapia (dacarbazina, fotemustina, temozolamide). La fotemustina è trattamento di seconda linea “salva-coscienza” dopo che la dacarbazina è fallita. La temozolamide, farmaco orale, può essere ritenuta più <<compliante>> dal paziente ma comunque una metanalisi di

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studi eseguiti fino al 2005 ed includenti 2100 pazienti ha dimostrato che la sopravvivenza mediana è di 6.2 mesi, con solo il 25% dei pazienti vivi ad 1 anno. Risultati, quindi, per nulla soddisfacenti.

Modificatori della risposta biologica

Le due citochine utilizzate sono α-interferone e interleuchina 2. Esse avrebbero il presupposto di stimolare l’immunità del soggetto contro il melanoma:

- α-IFN ha attività immunoregolatoria, antiproliferativa, induce la differenziazione cellulare ed ha attività apoptotica ed antiangiogenetica. Ha prodotto risposte obiettive nel 15%. Quindi, se ha una sua utilità nella fase precauzionale o adiuvante, non la ha, invece, nella fase avanzata dato che, in quest’ultima, l’unico trattamento che sembrava di maggior impatto in termini di risposte obiettive e di sopravvivenza rispetto alla chemioterapia è stata rappresentata proprio dall’IL-2.

- L’interleuchina 2 ad alte dosi e.v. ha dimostrato effetto antitumore con e senza le cellule LAK (Lymphochine Activated Cells). In realtà non si faceva mai con le LAK perché si vide che lo stesso tipo di risultato si aveva con l’interleuchina da sola. Ha ottenuto risposte nel 12-16% (quindi poco maggiori rispetto alla chemioterapia e all’IFN), in alcuni casi di lunga durata(l’unico vantaggio è proprio il fatto che durano di più le risposte ma costa molto di più). Inoltre, il trattamento è gravato da frequente tossicità cardio-circolatoria e polmonare, a tal punto che, nel passato, quando ero costretto ad un trattamento con IL-2, veramente tremavo per il mio paziente perchè sapevo che non potevo dargli nulla di più di quello che era la terapia di supporto ed il paziente con l’interleuchina soffriva inutilmente e non aveva alcun vantaggio. La facevo perché tutti la facevano e perché il paziente chiedeva la terapia. Tra l’altro l’interleuchina è stato uno dei farmaci con più alto costo per un certo periodo della storia, ora sono bazzecole rispetto ai costi dei farmaci di oggi.

Le nuove strategie Con l’avvento dei nuovi agenti immunoterapici (ipilimumab, pembrolizumab, nivolumab) e target (quali il vemurafenib, il dabrafenib, il trametinib e il cobimetinib) l’approccio al paziente con melanoma avanzato è cambiato radicalmente. Il primo step nel trattamento di un paziente con melanoma metastatico è la valutazione dello stato mutazionale.

Attivazione aberrante di MAPK

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Di particolare importanza nel melanoma è la via di trasduzione del segnale della proteina chinasi mitogeno attivata (MAPK) che normalmente regola crescita, proliferazione e differenziazione. L’attivazione aberrante di MAPK è presente in circa il 70-80% dei melanomi.

Il problema è che noi oggi non abbiamo un farmaco per badare ad ogni singola mutazione. Fortunatamente, però, abbiamo i farmaci utili per controbilanciare quella che è la mutazione attivante più frequente nel melanoma, quella in V600E del gene che codifica per BRAF.

La mutazione di BRAF

Il 40-50% dei melanomi ha una mutazione in V600E (sostituzione al residuo 600 della Valina con Glutammato che porta ad attivazione costitutiva della cascata MAPK dipendente) del gene che codifica per BRAF. Tale mutazione è target di inibitori specifici (verumafenib e dabrafenib). Le mutazioni di proteine lungo la RAS-RAF-MEK-ERK si pensa siano mutuamente esclusive. Guardate, infatti, come siano diverse le possibilità di attivazione del

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sistema in maniera autonoma per mutazioni più a valle di BRAF come, ad esempio, a carico di MEK.

Ma limitandoci alla mutazione di BRAF vediamo quello che possiamo ottenere con dei farmaci inibitori di tirosin-chinasi specificamente quelli di BRAF. In uno studio randomizzato di fase 3, effettuato nel 2011, che confronta vemurafenib con dacarbazina in 675 pazienti con melanoma metastatico non pretrattato con mutazione BRAF V600E si vide che:

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- La sopravvivenza a 6 mesi è stata dell’84% nel gruppo vemurafenib contro il 64% nel gruppo dacarbazina (riduzione del 63% di rischio di morte). RR (rischio relativo) 48% (verumafenib) vs 5% (dacarbazina).

- Sopravvivenza mediana con vemurafenib intorno a 15-16 mesi (mai raggiunta con precedenti terapie)

- Lo studio, però, venne sospeso per non eticità alla prosecuzione.

Effetti avversi degli inibitori di BRAF Eventi avversi comuni al trattamento con vemurafenib ed altri inibitori di BRAF sono: artralgia, rash, fatigue, diarrea e possibile insorgenza di carcinomi squamocellulari (che vanno immediatamente eradicati chirurgicamente proprio perché talvolta si ha un’attivazione paradossa del recettore con questi inibitori di BRAF che conducono alla proliferazione verso la forma del carcinoma squamocellulare).Risultati analoghi in termini di attività, efficacia e tossicità sono stati raggiunti con l’utilizzo di un altro inibitore di BRAF, il dabrafenib. Inibitori di BRAF+Inibitori di MEK

La possibilità del raggiungimento dell’obiettivo, dicevo prima, potrebbe essere inficiato da una successiva mutazione. Si è visto, ad esempio, che nel momento in cui la terapia non funziona più e si sviluppa una resistenza a questi inibitori di BRAF si può recuperare con l’inibizione di una proteina più a valle, mutata successivamente, la proteina MEK. Esistono infatti degli anti-MEK che si sono rivelati utili nella seconda linea di trattamento di questi pazienti.Recentemente sono stati riportati i dati di due importanti sperimentazioni di fase III che hanno confrontato il trattamento con la combinazione BRAF/MEK (dabrafenib/trametinib e verumafenib/cobimenitib) contro il trattamento con verumafenib in monoterapia. Entrambe le combinazioni sono risultate superiori in termini di risposte, PFS e OS rispetto alla monoterapia. La combinazione di inibitori BRAF/MEK si avvia ad rappresentare il nuovo standard di trattamento dei pazienti con mutazioni di BRAF. Ancora è un trattamento non codificato in Italia perché farmaci, quali il trametinib e il cobimenitib, non sono stati ancora registrati dall’AIFA.

Immunoterapia

Noi abbiamo utilizzato diverse vie per stimolare l’immunità del paziente con tumore. Una stimolazione non immuno-specifica (come quella vista con IFN-α e IL-2), l’adoptive cell transfer o ACT o immunoterapia adottiva (ovvero utilizzare delle cellule dirette contro il tumore che sono state trasferite al paziente), strategie di tipo

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vaccinico (sulle quali si avevano grandi prospettive stroncate da enormi delusioni) e poi l’immune checkpoint blockade (su cui si basa la moderna immunoterapia).

Il principio fondante la nuova immunoterapia dei tumori si basa sull’utilizzo di anticorpi capaci di legarsi con recettori presenti su cellule appartenenti al network immunità/infiammazione ed in grado di regolarne l’attività.

Razionale dell’utilizzo di anti-CTL4CTL4 (antigene 4 associato ai linfociti T citotossici) è una molecola chiave nella risposta immunitaria:

- Ha ruolo nella protezione dalle malattie autoimmuni- Regola fisiologicamente la risposta immunitaria- Ha attività di immunosoppressione durante la tumorigenesi.

Due segnali immunologici sono necessari per l’attivazione delle cellule T:- La stimolazione del T-cell receptor (TCR) da parte di MHC (immunological signal 1)

espresso dalle cellule dendritiche- La stimolazione di CD28 dalle molecole costimolatrici B7(immunological signal 2)

espresse sempre dalle cellule dendritiche.

Il legame di B7 a CTL4 (particolarmente espresso nell’ambito del tumore) blocca il secondo segnale e quindi l’attivazione delle cellule T. Tale legame, quindi, blocca la capacità di B7 di incidere sul CD28 e, non essendoci contemporaneamente i due segnali, la cellula T non viene ad essere attivata.

Il blocco di CTL4 con anticorpi monoclonali, come ipilimumab, dereprime il segnale CD28, permettendo l’attivazione T-cell.

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Ipilimumab è il primo farmaco capace di indurre un netto miglioramento nella sopravvivenza dei pazienti con melanoma metastatico. Studio 2011 che confronta le risposte in termini di sopravvivenza in pazienti che assumono ipilimumab+dacarbazina contro quelli che assumono dacarbazina+placebo.

- Sopravvivenza ad 1 anno ipilimumab+dacarbazina vs dacarbazina+placebo: 47% vs 36%

- Sopravvivenza a 2 anni ipilimumab+dacarbazina vs dacarbazina+placebo: 29% vs 18%

- Sopravvivenza a 3 anni ipilimumab+dacarbazina vs dacarbazina+placebo: 21% vs 12%

Esso in termini di sopravvivenza rappresenta, dunque, un passo importante. Come si fa la terapia con ipilimumab? Noi abbiamo oggi questo tipo di anticorpo monoclonale che si è verificato, negli studi di fase III, agire attraverso una somministrazione ogni 21 giorni per 4 volte soltanto. Cioè noi facciamo la somministrazione solo 4 volte e poi sospendiamo il trattamento. Ciò anche perché l’attivazione dell’immunità non è un fatto estremamente veloce. Devo dire che con l’ipilimumab noi abbiamo addirittura difficoltà a valutare le risposte perchè l’iperattivazione del B7, molto spesso, porta a delle pseudo-progressioni. Nel senso che questi linfociti T vengono ad agganciarsi al tumore e la sua immagine radiologica nel corso del trattamento o subito dopo il trattamento (2-3 settimane dopo) riporta come se fosse maggiore la dimensione della massa, proprio perchè infarcita di questi linfociti. Quindi sono dei farmaci che devono essere valutati più che in termini di risposte obiettive in termini di sopravvivenza. E la sopravvivenza, vedete, che è abbastanza interessante.

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Razionale di utilizzo di anti PDL-1

Un ulteriore checkpoint immuno-inibitore è costituito dal “programmed cell death 1” (PD-1) receptor. I tumori producono un ligando (PDL-1) capace di saturare questo recettore e bloccare l’attivazione della cellula T e quindi il segnale di attivazione TCR-MHC. Anticorpi monoclonali (nivolumab, pembrolizumab) si legano a PDL-1, dereprimono il segnale TCR e permettono l’attivazione della cellula T.

Anche qui abbiamo dei risultati estremamente importanti. Queste sono le sopravvivenze a 1 anno con nivolumab di pazienti, non precedentemente trattati, con melanoma metastatico refrattario al trattamento con ipilimumab in rapporto a quelle di pazienti, sempre non precedentemente trattati e sempre con melanoma metastatico refrattario al trattamento con ipilimumab, che hanno fatto uso, invece, della dacarbazina. Guardate come abbiamo delle risposte obiettive che sono del 40% nel gruppo con nivolumab e del 13.9% nel gruppo con dacarbazina (nds: ultima linea dell’immagine a seguire).

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Ma guardate come la sopravvivenza mediana cioè il 50% di pazienti vivi sia raggiunta per quanto riguarda la dacarbazina a 10 mesi mentre non è stata ancora raggiunta nel nivolumab. Questo significa che noi abbiamo delle lunghe sopravvivenze con nivolumab che portano a dire che la sopravvivenza ad 1 anno è del 73% nel gruppo con nivolumab contro il 41% nel gruppo con dacarbazina.

Si tratta di risultati realmente imponenti. Per altro con delle presupposizioni ancora maggiori per quelle che possono essere le prospettive future quali per esempio la combinazione dei due anticorpi e quindi il blocco immediato dei due meccanismi (ipilimumab+ nivolumab=anti CTL4+ anti PDL-1). Anche in questo caso abbiamo uno studio randomizzato, pubblicato pochissimi giorni fa, in cui l’associazione di

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ipilimumab più nivolumab dà nei pazienti che esprimono il PDL-1 una sopravvivenza maggiore rispetto all’utilizzo del singolo anticorpo.

Questo scenario che vi ho rappresentato nel melanoma e che chiaramente ha rivoluzionato la nostra capacità di trattare i melanomi è uno scenario, che voi comprendete, può essere compatibile con ogni tipo di neoplasia. In realtà gli studi di fase II e di fase III sono rivolti con questi anticorpi monoclonali anti-CTL4, anti-PDL1 (che bloccano il ligando) o anche anti-PD1 (che antagonizzano solo il recettore) che possono esser buoni per tutti i tumori. In realtà, noi, come clinica, stiamo, nei nostri studi sperimentali, utilizzando il nivolumab nelle seconde linee dei trattamenti del tumore del polmone. Inoltre, stiamo utilizzando il pembrolizumab nei pazienti ricaduti dopo la prima linea di ipilimumab nel melanoma. Ma soprattutto stiamo, in uno studio di fase III, quindi randomizzato (studio fatto da pochissimi centri, circa 500 in Italia), confrontando, in una patologia così importante (in termini quantitativi) come il tumore del polmone, tre braccia di trattamento in pazienti non EGFR mutati, ovvero pazienti che non possono fare erlotinib o gefitinib o afatinib e così via:

- La chemioterapia standard: doppietta di cisplatino + nivolumabvs

- Nivolumab da solo vs

- Una combinazione di nivolumab e ipilimumab. E vedremo da questo studio quale tipo di risultato avremo. Chiaramente ci aspettiamo che il nivolumab + l’ipilimumab e il nivolumab + la chemioterapia diano risultati maggiori rispetto al vecchio standard che prevedeva 9 mesi di sopravvivenza mediana e il 30% di risposte obiettive. Negli studi di fase I e II abbiamo ottenuto risultati, ora attendiamo quelli di questo studio di fase III. Ma il problema che si apre è quello della sostenibilità. Perché quello che ho trascurato di

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dirvi è che le 4 somministrazioni di ipilimumab che noi attualmente facciamo (a Messina lo facciamo noi soli, perché le varie Regioni hanno individuato dei centri prescrittori, ovvero dei centri che siano i soli e non altri adibiti a questo tipo di trattamento) costano 38.000 euro. Il nivolumab costa più dell’ipilimumab ma ancora il suo prezzo in Italia non è stato ancora stabilito. Ma voi capite cosa significa trattare pochi pazienti con melanoma avanzato e capite, invece, cosa può significare trattare moltissimi pazienti con tumore del polmone? Qua rischiamo di far saltare in aria il Sistema Sanitario Nazionale. E in questo momento, infatti, ci si sta interrogando molto su quelle che devono essere le strategie migliori per trattare meglio i pazienti, partendo sempre dall’assunto che chiaramente noi oncologi dobbiamo comunque dare al paziente la migliore terapia possibile. Credo, comunque, che nel corso dei prossimi anni chi farà oncologia si imbatterà sempre di più su questo tipo di trattamento con questo tipo di farmaci e sempre molto di meno con la chemioterapia tradizionale. Il problema è quello di dover identificare il target. Il PDL-1, ad esempio, che viene ad essere invocato come fattore discriminante o predittivo di risposta a questi anticorpi monoclonali, in realtà, è molto contestabile perché il PDL-1 è espresso in una gran parte di tumori come, ad esempio, quello del polmone NSCLC. In più, il PDL-1 è un ligando che viene indotto con la progressione del tumore ma può anche regredire nella sua quantità. Ciò che voglio dire è che se, per esempio, abbiamo un paziente che ha un pezzo operatorio o bioptico con una diagnosi di tumore del polmone fatto 2 anni prima rispetto a quando poi ricadrà delle metastasi e su quel pezzo operatorio si dosa il PDL-1, si potrà avere un risultato che potrà essere non corrispondente alla realtà, in quanto il PDL-1 può essere sia aumentato che ridotto. In caso di sua riduzione, si pone in essere la necessità di pensare a delle re-biopsie in questi pazienti e, comunque, tutto questo va attentamente evidenziato in questi studi che stiamo, in questo momento, portando avanti. Vi è chiara quindi la rivoluzione in termini di immunoterapia? Mentre prima noi cercavamo di stimolare la risposta immunitaria verso i tumori, oggi facciamo, invece, un discorso inverso ovvero stiamo sbloccando dei fattori che abbiamo capito esistere e che inibiscono la risposta immunitaria contro i tumori.