Voce Francescana 2/2012

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2/2012 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 art. 1, comma 2 - DCB Pesaro

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periodico del servizio missionario dei frati cappuccini delle Marche e dell'OFS delle Marche

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2/2012Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003art. 1, comma 2 - DCB Pesaro

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L’editorialeL’Anno della Fede p. 51

Raniero CantalamessaIl frutto della Pentecoste è la comunità p. 53

La tristezza diventa letizia p. 54

Non basta la Messa alla domenica p. 56

Quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli? p. 58

Intermezzo p. 63Renato LupiFra Antonio Santicolo architetto cappuccino p. 64

Il platano di Meryem Ana p. 70

Bénin - Forum sui bambini “sorciers” p. 72

Bénin - Autonomo il monastero delle Monache cappuccine di Zervié p. 76

Foreng, Foreng p. 78

L’Etiopia nel cuore p. 82

L’incontro con Takele p. 84

In casa nostra p. 86

I nostri lutti p. 89

Bangladesh: mussulmane per nascita, cristiane per amorea Cristo p. 91

Ordine Francescano Secolare p. 92

Finalino 3a di Copertina

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io FRATI CAPPUCCINI

DELLE MARCHEBimestrale di Formazione e Promozionedelle Missioni Estere e dell’Ordine FrancescanoSecolare

22012 ANNO XXXII

Direttore responsabileAntonio Ginestra

Consiglio di redazioneEgidio PicucciGiuseppe SantarelliFrancesco PettinelliMario PiginiLucio ManciniVittore FioriniEmilia Barone Picciafuoco

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D

all’ottobre scorso la

Chiesa sta vivendo

l’Anno della Fede, in-

detto da Papa Benedetto XVI du-

rante la liturgia celebrata per la

nuova evangelizzazione.

Dopo l’anno sacerdotale, ci si

aspettava l’anno dei religiosi o

della Parola di Dio; invece il

Pontefice ha indetto l’ anno della

fede “per dare rinnovato impulso

alla missione di tutta. la Chiesa di

condurre gli uomini fuori dal de-

serto in cui spesso si trovano

verso il luogo della vita, l’amici-

zia con Cristo che ci dona la vita

in pienezza”. L’anno, iniziato nel

50° anniversario dell'apertura del

Concilio Vaticano Il, terminerà il

24 novembre 2013, solennità di

Cristo, Re dell'Universo.

Le motivazioni, le finalità e le

linee direttrici dell'anno della

fede sono esposte dal Santo

Padre nella lettera apostolica

Porta fidei, nella quale è detto

che “la coincidenza con il cin-

quantesimo anniversario del-

l’apertura del Concilio Vaticano

Il può essere ‘un’occasione pro-

pizia per comprendere, come ha

detto il mio Beato predecessore,

che i testi lasciati in eredità dai

Padri conciliari non perdono il

loro valore né il loro smalto. E’

necessario che essi vengano letti

in maniera appropriata, che ven-

gano conosciuti e assimilati

come testi qualificati e normativi

del Magistero, all’interno della

Tradizione della Chiesa ... Sento

più che mai il dovere di additare

il Concilio come la grande grazia

di cui la Chiesa ha beneficiato nel

secolo XX: in esso ci è offerta

una sicura bussola per orientarci

nel cammino del secolo che si

apre’. Io pure intendo ribadire

con forza quanto ebbi ad affer-

mare a proposito del Concilio

pochi mesi dopo la mia elezione

a Successore di Pietro: “Se lo

leggiamo e recepiamo guidati da

una giusta ermeneutica, esso può

essere e diventare sempre di più

una grande forza per il sempre

necessario rinnovamento della

Chiesa”. Nel tempo in cui vi-

viamo, ricorda il Papa, non si può

più pensare alla fede come pre-

supposto del vivere comune; e

per la profonda crisi di fede che

ha toccato molte persone non c’è

più un tessuto culturale unitario

che si richiami alla fede e ai va-

lori che da essa scaturiscono. In

tale contesto “non possiamo ac-

cettare che il sale diventi insipido

e la luce sia tenuta nascosta”; per

51

L’ed

itoria

le

L’Anno della Fede

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Can

tala

mes

sa

questo parliamo di “nuova evan-

gelizzazione”, necessaria per ri-

scoprire la gioia nel credere e

ritrovare l’entusiasmo nel comu-

nicare la fede. Per aiutare la

Chiesa in questo impegno, il

Santo Padre ha dato vita ad un

nuovo organismo: il Pontificio

Consiglio per la Promozione

della Nuova Evangelizzazione,

che ha come finalità “risvegliare

la fede nei Paesi di antica tradi-

zione cristiana”.

E in questo si pone in conti-

nuità con il Beato Papa Giovanni

Paolo Il che in numerosi inter-

venti ha richiamato la ‘nuova

evangelizzazione’ come il com-

pito della Chiesa dei nostri tempi,

un compito che, se riguarda di-

rettamente il suo relazionarsi

verso l’esterno, presuppone però,

prima di tutto, un costante rinno-

vamento al suo interno, un conti-

nuo passare, per così dire, da

evangelizzata ad evangelizza-

trice. Già i vescovi nel 2004 con

il documento “Il volto missiona-

rio delle parrocchie in un mondo

che cambia”, avevano detto che

non basta più una pastorale della

conservazione della fede ma che

“è necessaria una pastorale mis-

sionaria, che annunci nuova-

mente il Vangelo, ne sostenga la

trasmissione di generazione in

generazione, vada incontro agli

uomini e donne del nostro tempo,

testimoniando che anche oggi è

possibile, bello, buono e giusto

vivere l’esistenza umana confor-

memente al Vangelo e, nel nome

del Vangelo, contribuire a ren-

dere nuova l’intera società”.

52

Crisi di fedee crisi di valori

L

a lettura del brano degli

Atti degli Apostoli ci de-

scrive la primitiva co-

munità cristiana, quella nata dalla

Pentecoste e dall’annunzio degli

Apostoli di Gesù Signore. È la

conclusione logica della Pente-

coste: “Erano assidui nella pre-

ghiera, nell’insegnamento degli

Apostoli, nella frazione del

pane, nell’amore fraterno, nella

gioia...”. E il brano evangelico ha

come confermato con la parola

stessa di Gesù l’importanza di

questo essere uniti, di formare

una comunità. Lui è venuto nel

mondo, perché nel mondo na-

scesse un riflesso della Trinità:

“...come io e te, o Padre, siamo

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una stessa cosa, che anche loro

siano una cosa sola”. La Chiesa

è Comunità perché deve essere il

segno, il riflesso della Trinità; è

una comunità d’amore.

Movimento centripeto

Come si presenta la comunità

che nasce dal sacrificio di Gesù

ed è consacrata dalla Pentecoste?

Si presenta come l’insieme di due

movimenti, in un certo senso con-

trapposti, ma il cui equilibrio fa la

comunità cristiana. Questa comu-

nità è contraddistinta da un movi-

mento centripeto, cioè di

coesione tra i credenti, e dunque

anche di distacco dal mondo; è un

53

Il frutto dellaPentecosteè lacomunità

di Raniero Cantalamessa

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gruppo di persone che sono tirate

via dal mondo e messe insieme

con una solidarietà nuova, che si

chiama Amore, la condivisione

fraterna, il mettere insieme, il

gioire insieme. Sono uomini tratti

dal mondo, e questo momento in-

timo della comunità cristiana è

costituito da alcuni fattori precisi:

sono insieme perché li tiene in-

sieme una realtà fortissima, la più

forte del mondo, che si chiama

Spirito Santo, che agisce attra-

verso l’insegnamento degli Apo-

stoli, perché quando gli Apostoli

parlano è lo Spirito che fa eco

nella loro parola, nel cuore di chi

ascolta, e dunque questa parola è

fortissima, è diversa da tutte le

altre; sono uniti da un’unione fra-

terna, cioè dalla carità, che è an-

ch’essa frutto dello Spirito; sono

uniti nella frazione del pane, cioè

intorno all’Eucarestia e nella pre-

ghiera.

Questa unione si manifesta

anche all’esterno, con segni visi-

bili, perché condividono anche i

beni: quelli che hanno dei beni li

vendono per poter fare comunità,

condivisione, sicché non c’è nes-

suno povero tra di loro.

Movimento centrifugo

Il secondo elemento che costi-

tuisce questa comunità nuova, la

Chiesa, è un movimento contra-

rio al primo, centrifugo: dal ce-

nacolo, dove stanno insieme, li

porta fuori, verso le strade, ed è

il primo movimento che abbiamo

notato appena ricevuta la Pente-

coste: gli Apostoli escono in

strada a proclamare con forza

inaudita che Gesù crocifisso è ri-

54

Il frutto della Pentecoste è la comunità

L

a comunità cristiana è fondamentalmente una comunità di

preghiera, di vita interiore, di comunione fraterna che spri-

giona gioia, letizia. Letizia: è la prima volta che questa parola

compare nella storia della Chiesa; prima c’era tristezza: tristezza

perché Gesù partiva, tristezza perché era asceso al cielo. Adesso,

per la prima volta, si comincia a parlare di letizia: “...prendevano

i pasti in letizia” e in questo brano ogni singola parola deve es-

sere da noi presa per quello che vale, cioè la sintesi di tutto un at-

teggiamento di vita; c’è gioia, gioia, gioia profonda tra questi

fratelli, e la loro gioia costituisce il motivo di maggiore attra-

zione per gli altri che li guardano “con simpatia”, e “ogni giorno

si aggiungevano alla comunità numerosi altri che erano chia-

mati”, chiamati dal Signore, ma attraverso i segni che vedevano

di questa gente nuova, di questi uomini nuovi.

La tristezza

diventata letizia

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sorto. È dunque una comunità

che è presa dal mondo, ma costi-

tuita per il mondo; è una comu-

nità sacerdotale, perché questo è

stato detto nel Nuovo Testamento

dal sacerdote. L’epistola agli

Ebrei dice che “Ogni sommo sa-

cerdote, preso fra gli uomini,

viene costituito per il bene degli

uomini nelle cose che riguardano

Dio...” (Eb 5,1). Così questa co-

munità cristiana nell’insieme è il

nuovo popolo sacerdotale, il po-

polo dell’Alleanza che è tirato

fuori dal mondo, è diviso, sepa-

rato dal mondo, non per essere

isolato, a sé stante come un’élite,

ma per essere mandato allo sba-

raglio per il mondo. Infatti gli

Apostoli non vanno per il mondo

a sentire lusinghe: vanno per es-

sere fustigati, giudicati subito dal

Sinedrio. Ma in mezzo a queste

difficoltà portano la fiamma, per-

ché è una fiamma che si è accesa

a Pentecoste: Gesù Cristo è il Si-

gnore; e con questa fiaccola

hanno incendiato il mondo.

Non tutti devono fare contem-

poraneamente queste due cose; la

Chiesa, nel suo insieme, è for-

mata da tanti carismi: ci sono gli

Apostoli che vanno in piazza a

gridare e ci sono i diaconi che di-

vidono il pane per le vedove, cioè

curano i bisogni concreti degli

uomini. Non tutti, dunque, fanno

le stesse cose, ma tutti insieme

partecipano di tutto perché anche

quelli che restano a casa parteci-

pano di questa missione della

Chiesa.

Maria è il prototipo di coloro

che non scendono mai in piazza,

che non fanno udire in piazza la

loro voce, perché rimane nel ce-

nacolo, rimane in preghiera, e

senza la preghiera di Maria e

delle donne nel cenacolo, noi non

sappiamo se la voce di Pietro

avrebbe avuto quel timbro irresi-

stibile che fece crollare il cuore

di tremila persone. Così è l’espe-

rienza della Chiesa: ci dimostra

che la forza dell’annuncio cri-

stiano nasce dalla profondità

della preghiera, della contempla-

zione.

Ecco il profilo di questa Chiesa

meravigliosa uscita dalla Pente-

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coste. Quando Papa Giovanni

XXIII ha profetizzato una nuova

Pentecoste per la Chiesa, il Con-

cilio ha fatta sua questa parola:

ha osato lanciare questa parola

arditissima di una nuova Pente-

coste per la Chiesa. La Penteco-

ste ha questo frutto: creare la

Comunità, queste Comunità. Se

dunque nella Chiesa ci deve es-

sere una nuova Pentecoste, nella

Chiesa devono nascere Comunità

come quella che leggiamo de-

scritta negli Atti degli Apostoli.

Questa è una logica ferrea. La

nuova Pentecoste si disperderà in

pochi anni come una fiammata se

da essa non nascono in seno alla

Chiesa queste comunità cristiane

così fatte: assidui nell’ascoltare

l’insegnamento degli Apostoli,

nell’unione fraterna, nella fra-

zione del pane, nella preghiera,

nella gioia, nella condivisione

fraterna. Questo è un annuncio

per noi! Non è una rievocazione

nostalgica di quella Chiesa mera-

vigliosa di pochi anni di Gerusa-

lemme; quella Chiesa di

Gerusalemme resta il prototipo,

lo stimolo, il modello per tutti i

secoli: così devono essere le co-

munità cristiane. Difatti non è

mai venuto meno, in tutti i secoli

della Chiesa, il desiderio di te-

nere vive queste comunità come

quella di Gerusalemme. Tutti gli

ordini religiosi che sono nati

nella Chiesa, all’inizio sono sem-

pre esplicitamente nati con il pro-

posito di ridare vita a questa

Comunità di Gerusalemme in cui

nella semplicità e nella povertà

gli uomini sono pieni di gioia e

annunciano il Regno di Dio.

Tutte le comunità, prima quelle

O

ggi la fede, il cristianesimo, ha bisogno vitale di queste Co-

munità, perché il cristianesimo è fatto per essere vissuto in

comunità, non da soli; è fatto per essere un corpo! Gesù è venuto

sulla terra per costruirsi un corpo, una sposa, un popolo, non tanti

individui. Non ha fatto delle alleanze separate, ma una comunità

che deve riflettere la comunità sorgente, fonte di tutto, che è il

Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che stanno sempre insieme nello

stesso luogo, cioè in ogni luogo, e si amano e sono nella gioia e

sono una cosa sola. Questo deve essere la Chiesa, un riflesso della

Trinità, della gioia della Trinità sulla terra.

I cristiani fanno l’esperienza che è impossibile vivere cristiana-

mente nel mondo d’oggi se non c’è qualcosa di più: non basta an-

dare a messa la domenica senza conoscere nessuno e poi tornare

a casa... La fede sembra non reggere il ritmo della vita moderna,

viene da chiedersi che cosa sia la fede in questo mondo. Quando

i cristiani si trovano assieme attraverso i carismi, attraverso la Pa-

rola di Dio, l’Eucarestia, fanno l’esperienza che ciò che è dentro

di noi, lo Spirito Santo, è più forte dello spirito del mondo, del

maligno, che è spirito di tristezza, di avarizia, e questo spirito che

sembra gigantesco e che stritola tutto è più debole dello Spirito di

Dio che è in noi.

È necessario che ognuno di noi sia “profezia” affinché all’in-

terno delle parrocchie fioriscano queste Comunità che sono

“mine” inserite nel mondo di ghiaccio di oggi, e che lo faranno

saltare in aria, perché tutto si può contestare, ma non la comunità.

È stato scritto che solo l’amore è credibile, ma non è vero nep-

pure questo: solo la comunità è credibile. Quando una comunità

vive insieme come i primi cristiani, gli uomini pagani devono dire:

“guardate come si amano”, e sono messi in crisi.

Non basta la Messaalla domenica

Il frutto della Pentecoste è la comunità

monacali, poi quelle mendicanti,

poi gli ordini religiosi dei tempi

moderni, si sono proposti di rea-

lizzare questo e lo hanno realiz-

zato. In alcuni aspetti, per grazia

dello Spirito, sono andati anche al

di là, hanno fatto anche meglio:

S. Francesco, ad esempio, ha rea-

lizzato una povertà, nella sua co-

munità, che forse era maggiore di

quella descritta negli Atti; altri

hanno realizzato una comunità di

servizio per opere sociali carita-

tevoli non meno forti di quelle di

Gerusalemme.

È adesso che si deve realizzare

Eppure mi sembra di potervi

dire che questa comunità di Ge-

rusalemme ancora non si è vista

realmente, integralmente nella

storia della Chiesa: deve ancora

nascere! O, almeno, deve nascere

di nuovo, perché la “parrocchia”,

che è fatta per realizzare tutto

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57questo, raramente lo realizza.

Cosa mancava in quelle comunità

che erano intorno a S. Francesco,

o intorno a S. Chiara, o intorno a

S. Ignazio? Erano fervorose,

erano piene di santità, ma man-

cava l’insieme dei carismi: erano

un membro della Chiesa, non il

corpo. La Chiesa è un corpo e il

corpo esiste se c’è l’occhio, la

testa, la mano che lavora, il piede

che cammina, il cuore che ama, la

mente che pensa. Perché ci sia re-

almente la Chiesa corpo di Cristo,

non basta che ci sia una mano,

non basta che ci sia una comunità

di uomini attivi missionari; non

basta che ci sia una comunità,

come i domenicani, di pensatori,

che sviluppano la dottrina della

Chiesa; non basta che ci sia una

comunità di persone contempla-

tive che vivono solo in preghiera,

perché questo è un membro, un

carisma. Questa comunità degli

Atti degli Apostoli risorgerà in

mezzo al popolo, anzi sta risor-

gendo! Quando ci sono comunità

cristiane che vivono così insieme,

assidui nell’ascoltare la parola di

Dio, a celebrare l’Eucarestia, a

condividere i bisogni, a portare i

pesi gli uni degli altri, e quando

questa Comunità non è fatta da

soli uomini o da sole donne, un

pezzo del corpo di Cristo, ma da

donne, da uomini, da sacerdoti,

da suore, da bambini, da sani, da

malati... allora sì che c’è la

Chiesa. Questa frase ha un signi-

ficato teologico profondo che

forse va al di là di ciò che si può

pensare, perché si pensa, a volte,

che in un’assemblea di preghiera

ci sia un “pezzo” di Chiesa, e in-

vece no! C’è la Chiesa intera.

Leggiamo cosa ha scritto il Vati-

cano II nella Lumen Gentium, la

Costituzione dedicata alla Chiesa:

“Questa Chiesa di Cristo, che è la

Chiesa universale diffusa in tutto

il mondo, questa Chiesa di Cristo

è veramente presente in tutte le

legittime comunità locali di fedeli

le quali, in quanto aderenti ai loro

pastori, sono anch’esse chiamate

Chiese nel Nuovo Testamento.

Esse infatti sono nella loro sede il

popolo nuovo chiamato da Dio

con la potenza dello Spirito Santo

e con grande abbondanza di cari-

smi. In esse, con la predicazione

del Vangelo di Cristo, vengono

radunati i fedeli e si celebra il mi-

stero della Cena del Signore; in

queste comunità, sebbene spesso

piccole, povere, disperse, è pre-

sente Cristo intero per virtù del

quale quella che si raccoglie è la

Chiesa Una, Santa, Cattolica e

Apostolica”.

n

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58

L

a risposta sembra ovvia:

lo Spirito Santo è di-

sceso sugli Apostoli il

giorno di Pentecoste. Ma il

Nuovo Testamento ha due ver-

sioni diverse. La prima fa riferi-

mento al giorno di Pentecoste,

cioè al 50.mo giorno dopo la Pa-

squa (pentékonta in greco vuol

dire 50), come racconta S. Luca

negli Atti degli Apostoli. “Il mat-

tino di Pentecoste i dodici erano

riuniti insieme nel medesimo

luogo, ma improvvisamente

venne dal cielo un rumore di

vento – ma non era vento – che

riempì tutta la casa in cui si tro-

vavano; e apparvero lingue di

fuoco – ma non era fuoco – che si

divisero e se ne posò una su cia-

scuno, e tutti furono pieni di

Spirito Santo. E, uscendo, co-

minciarono un parlare estatico e

come in lingue diverse, dicendo

quello che lo Spirito Santo gli

dettava dentro”.

È il racconto più conosciuto e

quello che la Chiesa ha incluso

nella liturgia e ricorda ogni anno

nella festa di Pentecoste.

L’opinione di Giovanni

Il quarto Vangelo, comunque,

ha un versione diversa, soste-

nendo che quella “discesa” av-

venne il giorno stesso della

Risurrezione. “La sera di quel

giorno, il primo della settimana,

mentre erano chiuse le porte del

luogo dove si trovavano i disce-

poli per timore dei Giudei, venne

Gesù, stette in mezzo e disse

loro: «Pace a voi!». Detto questo,

mostrò loro le mani e il fianco. E

i discepoli gioirono al vedere il

Signore. Gesù disse loro di

nuovo: «Pace a voi! Come il

Padre ha mandato me, anche io

mando voi». Detto questo, soffiò

e disse loro: “Ricevete lo Spirito

Santo. A coloro a cui perdonerete

i peccati, saranno perdonati; a co-

loro a cui non perdonerete, non

saranno perdonati”.

Quindi, secondo il Nuovo Te-

stamento, lo Spirito Santo sa-

rebbe disceso su gli Apostoli due

volte. È vero?

All’interrogativo sono state

varie risposte. Una dice che a Pa-

squa lo Spirito Santo discese in

modo transitorio e a Pentecoste

in modo definitivo. Un’altra so-

stiene che a Pasqua discese solo

sopra gli Apostoli, e a Pentecoste

sopra tutti e in modo definitivo e

completo.

Le spiegazioni non convincono

perché Giovanni non dice né che

lo Spirito Santo sia disceso sugli

Apostoli in forma provvisoria, né

Quando lo Spirito Santo discese sugliApostoli?

Traduzione dal portoghese

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che sia disceso in forma pura-

mente individuale. Inoltre nelle

due versioni è detto che discese

in modo definitivo, pieno e to-

tale.

Chi ha ragione?

Una settimana nuova

I biblisti dicono che hanno ra-

gione tutt’e due gli evangelisti, nel

senso che tutt’e due parlano della

stessa e unica discesa dello Spirito

Santo, ma la raccontano in modo

diverso, cioè seguendo una loro

“personale” teologia.

Secondo Giovanni, la Risurre-

zione di Gesù fu come una se-

conda creazione, come se la

prima, compiuta in sette giorni,

fosse dimenticata, superata, e ne

occorresse un’altra con mondo e

creature nuove. Per far questo oc-

correva anche uno Spirito nuovo,

proprio come era avvenuto nella

prima creazione, quando “lo Spi-

rito di Dio aleggiava sulle acque”.

Analizzando il testo di Gio-

vanni ci si accorge che egli allude

proprio a questo. Dice infatti: “La

sera di quello stesso giorno, il

primo dopo il sabato”, in riferi-

mento alla sera del primo giorno

della settimana in cui Dio aveva

creato il “primo” mondo (Gn 1, 1-

5): quindi anche la nuova crea-

zione deve cominciare sul far

della notte.

Giovanni continua dicendo:

“Gesù si pose in mezzo a loro e

disse: la pace sia con voi”. Se è

normale che uno, arrivando in un

luogo, saluti chi vi si trova, perché

Giovanni lo dice addirittura due

volte? Gli esegeti lo spiegano di-

cendo che la pace, che avrebbe

60

Quando lo Spirito Santodiscese sugli Apostoli?

dovuto stabilirsi in Israele alla fine

dei tempi, non era ancora arrivata,

tanto che il popolo era stato sem-

pre perseguitato. Il duplice saluto

di Gesù risorto significa, allora,

che sono arrivati i tempi nuovi,

che è avvenuta una seconda crea-

zione, quella tanto attesa.

Giovanni aggiunge che “i disce-

poli gioirono al vedere il Signore”.

Il saluto è interessante perché

Gesù, lasciando gli Apostoli dopo

l’ultima cena, aveva promesso

che, al prossimo ritorno tra loro, la

loro gioia sarebbe stata perfetta

(Gv 15, 11; 16, 22-24). Ripetendo

il saluto due volte, Egli vuol far

capire che il momento è giunto

perché è in atto una nuova crea-

zione.

Giovanni aggiunge ancora che

“Gesù soffiò sopra di loro, di-

cendo: ricevete lo Spirito Santo”.

Questa maniera curiosa di infon-

dere lo Spirito Santo ricorda la

scena della creazione del primo

uomo narrata dalla Genesi. Dio

aveva soffiato su Adamo dando-

gli la vita; ora Gesù soffia sugli

Apostoli lo Spirito per far capire

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che agisce come aveva agito Dio

all’inizio del mondo. Egli, in-

somma, sta realizzando una

nuova creazione.

Gesù poi dice: “Come il Padre

ha mandato me, così anch’io

invio voi”. Si tratta di una novità

assoluta nel Vangelo di Gio-

vanni, nel quale non è mai detto

che Gesù inviò gli Apostoli a

predicare. È detto qui perché solo

con la discesa dello Spirito Santo

gli Apostoli, diventate “creature

nuove”, sono in grado di predi-

care il Vangelo. Prima non era

stato possibile.

C’è di più. Giovanni aggiunge

che in quel giorno Gesù conferì

agli Apostoli il potere di rimettere

i peccati; segno ulteriore della

nuova creazione perché, stando a

quanto aveva detto il profeta Eze-

chiele, e cioè che “all’arrivo dei

tempi nuovi Dio avrebbe purifi-

cato gli uomini dai loro peccati”

(Ez 36, 25-26), cosa che nessun

rito ebraico era riuscito a fare,

Gesù ora può farlo.

Matteo dice che Gesù aveva

conferito questo potere prima;

Giovanni dice che esso avvenne

in questa circostanza per sottoli-

neare con maggior forza che co-

mincia finalmente una creazione

nuova.

Tre feste in un sol giorno:

il racconto di S. Luca

Secondo Giovanni, il giorno di

Pasqua sarebbe anche il giorno

dell’Ascensione di Gesù al cielo.

Infatti Gesù dice agli Apostoli: “È

bene per voi che io me ne vada,

perché se non me ne vado, non

verrà per voi il Consolatore; ma

quando me ne sarò andato, ve lo

manderò” (Gv 16, 7). Come a

dire: perché nel giorno di Pasqua

possa scendere lo Spirito sugli

Apostoli, è necessario che Gesù

ascenda al cielo.

Giovanni lo fa dire da Gesù

alla Maddalena: “Non mi tratte-

nere, perché non sono ancora sa-

lito al Padre; ma va’ dai miei

fratelli e di’ loro: Io salgo al

Padre mio e al Padre vostro, Dio

mio e Dio vostro”. (Gv 20,17).

San Luca fa riferimento a una

teologia diversa e colloca la di-

scesa dello Spirito Santo 50

giorni dopo la festa di Pasqua.

Perché? Per il significato che la

Pentecoste aveva per gli Ebrei.

Per loro la Pentecoste era una

grande festa perché ricordava

l’arrivo della loro gente uscita

dall’Egitto, al Monte Sinai, il

monte da cui Mosè portò le ta-

vole della Legge, dopo 50 giorni

di cammino nel deserto. In

quella circostanza Dio stabilì

un’alleanza con il popolo. Que-

sto fa capire meglio il pensiero

di Luca: lo Spirito Santo di-

scende sugli Apostoli a Penteco-

ste perché venne a stabilire una

nuova alleanza.

Dice infatti: “Mentre il giorno

di Pentecoste stava per fi-

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.18 Pagina 61

Page 14: Voce Francescana 2/2012

62

Quando lo Spirito Santodiscese sugli Apostoli?

nire…”, come a dire che si sta

concludendo qualcosa che era

già cominciato, ma che era in-

completo. O meglio, per far ca-

pire che la festa celebrata dai

Giudei era imperfetta, e che oc-

correva qualcosa di più perché

fosse perfetta.

Significativo anche che Luca

noti che il fatto avvenne “al piano

superiore” di una casa. Il che è

impossibile, tenendo conto delle

dimensioni che avevano le case

ebraiche del tempo; impossibile

anche perché Luca dice che

erano presenti 120 persone.

Egli parla di “luogo supe-

riore” per dire cha anche “la

nuova alleanza” avvenne in un

luogo alto come la prima, avve-

nuta sul Sinai.

Luca dice che la “discesa” fu

accompagnata da un rombo,

come di vento che si abbatte ga-

gliardo e riempì tutta la casa in

cui si trovavano”. Facile capire

che egli allude ai tuoni e ai lampi

che accompagnarono la consegna

della Legge a Mosé sul “monte

santo”; se quei segni c’erano stati

per la prima alleanza, “dovevano”

esserci anche per la seconda alle-

anza. E se alla prima erano pre-

senti solo gli Ebrei, alla seconda

deve essere presente gente venuta

da ogni parte del mondo.

Differenza

tra le due “discese”

Tuttavia tra le due “discese” c’è

una differenza: sul Sinai scesero

dal cielo le tavole della Legge, a

Gerusalemme scende dal cielo lo

Spirito Santo; l’antica alleanza

era scritta su tavole di pietra, la

nuova è scritta nel cuore dallo

Spirito.

Riassumendo si può dire che,

secondo Giovanni, quando un

uomo riceve lo Spirito Santo di-

venta una creatura nuova, un es-

sere nuovo che non deve mai

tornare indietro. Secondo Luca,

invece, chi riceve lo Spirito Santo

non può obbedire ad altra voce

che alla sua.

Non conoscendo, infine, il

giorno esatto della discesa dello

Spirito e della nascita della

Chiesa, invece di dire che “la

Chiesa è nata nel giorno di Pen-

tecoste”, è meglio dire che “a

Pentecoste è nata la Chiesa”. Dal

punto di vista teologico, Penteco-

ste non è un giorno di 24 ore, ma

una “condizione storica” iniziata

con la risurrezione di Gesù e che

durerà fino alla fine dei tempi. Un

giorno sorto venti secoli fa e sul

quale non è ancora scesa la notte.

n

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.18 Pagina 62

Page 15: Voce Francescana 2/2012

Per non tagliare

la testa al missionario

I kivari, tribù dell’Oriente equa-

toriano, sono noti per l’abilità che

hanno di mummificare le teste che

hanno tagliate. Uno di questi di-

ceva al missionario: «Io andrò

avanti. Se ti seguissi, sarei troppo

tentato di tagliarti la testa». Un

altro, mentre guidava la barca del

missionario, così gli diceva: «Sai,

nella mia collezione mi manca

una testa barbuta; con la tua potrei

fare una marmitta ed usare dei peli

della barba per formare un bel

manico».

Che significa eschimese?

Il nome «eschimese» significa

«mangiatore di carne cruda». La

tavola eschimese è ricca, ma il

pezzo preferito è, naturalmente, la

foca. Tutto in essa serve all’uomo,

persino la pelle che è mangiabile.

Come bevanda: olio, acqua,

grasso e sangue di foca.

Cammello farcito

boccone prelibato

Un boccone speciale degli

Arabi, e non sempre facilmente e

prontamente trovabile, è il cosid-

detto «cammello farcito». Esso

consiste in un cammello con den-

tro un montone che contiene un

agnellino che nel ventre ha una

gallina!

Fiori... gabbia ed esplosivi

Si tratta di una specie di orchi-

dea dei paesi tropicali con un

Curiosoma vero!

Inte

rmez

zo

lungo nome latino logoglottis per-phirophillae. Alla sera questo

fiore si chiude a forma di gabbia,

e solo il petalo superiore rimane

aperto. Se un insetto ha la malau-

gurata idea di toccarlo, il petalo si

chiude con un rumore secco che

pare un’esplosione. L’insetto resta

prigioniero tutta la notte, e la mat-

tina è lasciato libero pieno di pol-

line che andrà a depositare su altri

fiori.

Garuda, simbolo della

Thailandia e dell’Indonesia

Si tratta di un mitico uccello

(che all’aspetto ricorda l’aquila)

che ricorre spesso nelle leggende

della religione indù. Si narra in-

fatti che il dio Visnù usava caval-

care nei suoi viaggi l’uccello

Garuda. Il veloce uccello traspor-

tava il suo signore per i cieli sem-

pre al momento giusto e

direttamente dove la sua presenza

era richiesta. I Thai dicono che,

nell’ultima guerra, il Garuda, che

orna la facciata del grande palazzo

delle poste in Bangkok, fu visto

animarsi e sorvolando difendere il

palazzo dalle bombe.

SENTENZE E PROVERBI

l Un savio decide per conto suo;

un ignorante secondo il parere

degli altri.

l Se chiami un cane, non pren-

dere il bastone.

l Chi si mette in un pozzo per

guardare il cielo, non ne vede

molto.

l Colui che scherzando lancia

un’ascia è prossimo all’arrabbia-

tura.

l Far bene per dieci anni non

basta; far male per un solo giorno

è troppo.

l Chi ha le scarpe ai piedi crede

che il terreno sia fatto di cuoio.

Un vecchio aveva un capretto e un

cane. Un giorno, ritornando dal

mercato, si accorse che il grasso

contenuto in una pentola era stato

mangiato.

– Chi ha mangiato il mio

grasso? – incominciò a gridare.

Un vicino di casa, udendolo,

cercò di calmarlo: – Ti assicuro

che nessuno è entrato nella ca-

panna, all’infuori del capretto e

del cane.

Il vecchio allora si rivolse ai due:

– Sei stato tu, furfante? – chiese al

cane.

– No, padrone; non sono stato io.

– Sei stato tu, allora – disse al ca-

pretto.

– Non sono stato io – rispose que-

sto. – Ma se proprio vuoi sapere

la verità, apri quella porta.

Il vecchio l’apri e il cane ne ap-

profittò per darsela a gambe e

mettersi al sicuro dalle legnate.

Ladro è chi scappa.

63

ladro è chi scappa

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 63

Page 16: Voce Francescana 2/2012

provincia civile di Brescia (Valca-

monica); si tratta perlopiù di fratelli

laici esperti nell’arte muraria, e di

solo tre professi chierici.

Precisato che di tutti essi

nell’archivio provinciale si

conservano, da loro auto-

grafati, i rispettivi atti di

incardinazione all’Ordine

cappuccino insieme alla

segnalazione della casa

dove trascorsero l’anno

di noviziato, proviamo

ad elencarli.

Ne ricordiamo alcuni.

Fr. Giacomo Taboni

da Breno (BS), Compa-gno dei cinque missionari

della terza spedizione per la

missione indotibetana.

Morto a Chandernagor (Ben-

gala) e non ricordato dai docu-

menti ufficiali perché i Compagnidei missionari al tempo non veni-

vano considerati missionari! Poteva

64

F

ra i tanti religiosi cappuc-

cini della Provincia delle

Marche dalla fine del

XVII secolo agli anni 20 del

Settecento, figura una nutrita

colonia di religiosi giuridi-

camente incardiati alla

Provincia Picena, ma

provenienti dal nord Ita-

lia, particolarmente

dalla Valcamonica.

Astraendo da altre lo-

calità del nord della

Penisola, come ad

esempio di due reli-

giosi provenienti dalla

vicina Tirano (Sondrio),

i chierici fr. Felice Naz-

zario da Tirano e Alessio

Ferrari da Tirano detto da

Jesi, nei registri di Vestizione

e Professione conservati nel-

l’archivio provinciale abbiamo

individuato almeno undici soggetti

originari della zona montana della

Fra Antonio

da Santicolo

architetto

cappuccino

di Renato Raffaele Lupi

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 64

Page 17: Voce Francescana 2/2012

esser qualificato come missiona-

rio solo il sacerdote. Con lui ri-

cordiamo Fr. Gio. Batta

Armannino/i da Edolo, fratello

muratore, “abile e impegnato”,

che fece nuove le camere del

convento di Ancona costruito nel

1554 e si occupò anche della rete

fognaria di quella casa religiosa,

dopo che “cinque frati, in pochi

dì” erano morti per le cattive e

venefiche esalazioni della fogna

(cf. LUDOVICO DA ANCONA ofm-

cap, Memorie storiche (1876) delconvento anconetano, c 8. I Ne-crologi di Provincia non segna-

lano la scomparsa di questo

religioso.

Ci sono, inoltre, Fr. Bartolo-

meo Tosello da Edolo, morto a

Jesi nel 1751. Fr. Angelo Maria

(Armannino/i) da Edolo, di cui

si ignora luogo e tempo di morte.

Fr. Domenico Fornarin da

Edolo (ignoto luogo e data di

morte di questo religioso). Fr.

Antonio Tosello da Edolo, che

nel 1712 venne scelto come

Compagno del Generale p. Mi-

chelangelo Bosdari da Ragusa, e,

soprattutto, Fr. Antonio Pe-

drazzi da Santicolo

Tra i fratelli muratori non se-

gnalati, va aggiunto fr. Antonio

Pedrazzi da Santicolo (BS) che al

secolo si chiamava Giacomo, fi-

glio di Bartolomeo e di donna

Caterina. Egli a 23 anni aveva la-

sciato la sua terra per farsi reli-

gioso tra i cappuccini delle

Marche.

Di lui si hanno poche notizie.

Accolto nella fraternità cappuc-

cina picena dal Provinciale p.

Michelangelo Gentile da Monte-

granaro il 17 novembre 1675, a

Cingoli, si consacrò religioso per

sempre, stesso giorno e mese del-

l’anno successivo.

Due anni orsono, incaricato co-

65

m’ero della custodia e ordina-

mento dell’archivio provinciale,

venni occasionalmente a cono-

scenza dell’esistenza di un ma-

noscritto non meglio identificato,

redatto alla fine del XVII secolo

e primo decennio del XVIII da

un cappuccino marchigiano; esso

era segnalato e conservato nella

biblioteca Oliveriana di Pesaro.

2

;

Una veloce visita alla biblioteca

pesarese, e mi trovai davanti ad

un’opera manoscritta niente af-

fatto disprezzabile riguardante

l’Architettura civile e religiosa.

Rimasi ancor più sorpreso

quando individuai l’autore del

poderoso lavoro: non era di un

celebrato religioso, ma dello sco-

nosciuto fratello laico fr. Antonio

Pagina a fronte: AutoritrattoSotto: Pianta della chiesa dei cap-puccini di Pesaro eretta nel 1656.

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 65

Page 18: Voce Francescana 2/2012

66

Fra Antonio da Santicolo

architetto cappuccino

da Santicolo. Provvidi alla ripro-

duzione del reperto mediante fo-

tocamera digitale, alla sua

stampa, rilegatura e confeziona-

mento in due volumi cartonati,

oggi conservati e consultabili nel

nostro archivio provinciale.

Volendo conoscere qualcosa in

più di questo religioso, rovistai

l’archivio ed ebbi la fortuna di

imbattermi in un grazioso ed

esemplare caso di “divina Prov-

videnza” del 1678, tramandatoci

dall’annalista-cronista p. Bernar-

dino Grigiolini da Jesi.

Riferisce p. Bernardino che,

due anni dopo la Professione, a

fr. Antonio, dal Ministro gene-

rale, era stato concesso di poter

tornare alla sua terra di origine

3

.

Accompagnato da fr. Ruffino da

Ascoli, nel viaggio verso i suoi

monti, fr. Antonio si incontrò con

un “generale tedesco (Lisler) lu-

terano convertito” che non esitò

a familiarizzare con i due frati

viandanti, associandoli alla sua

Compagnia.

Caduto un giorno il discorso

sul tema della divina Provvi-

denza, mediante la quale Iddio

governava il mondo e provve-

deva “con tanta abbondanza

senza alcuna provisione umana”

a quanti in lui fiduciosamente si

rivolgevano, i due religiosi rac-

contarono all’ufficiale tedesco

l’insegnamento e l’esperienza del

loro patriarca san Francesco di

Assisi. E riferirono che il Pove-

rello una volta in viaggio verso

Assisi con certi signori, giunto il

tempo di rifocillarsi, alcuni di

essi signori si misero in giro nei

paesi circonvicini per trovare e

comprare pane per tutti, ma non

ne trovarono; lo trovò invece

l’umile padre Francesco ricor-

rendo alla mensa del Signore,

bussando di porta in porta.

Ma lasciamo la parola al croni-

sta:

“Il che sentendo esso generale[c 14], se ne rise e protestò checiò non haverebbe mai creduto,perché di certo col denaro sitrova tutto. E così Dio gli fecetoccare con mano quanto con ve-rità da quei poveri laici gl’era

stato detto. Poiché, arrivati aduna certa villa, dove voleva faralto [alt ?] assieme co’ frati,diede per ciò alcune monete adun suo servitore acciò con essecomperasse il bisognevole perreficiarsi tutti. Ma, nonostantetutte le diligenze usate dal servi-tore, non poté trovare con queidenari neppure una pagnotta e,

Indice dell'opera di Fra Antonio

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 66

Page 19: Voce Francescana 2/2012

67

ritornato dal padrone, narròquanto gl’era accaduto, del chene restò stupefatto.

All’hora, inspirati da Dio, queipoveri frati, dissero: “Anderemonoi a cercare per amor di Dio,che forse forse troveremo qual-che cosa per il nostro bisogne-vole”.

E così fu perché, andati a cer-

care per le porte della villa, trova-rono tutto il bisognevole non soloper loro ma per il generale e lasua famiglia ancora; del che stu-pitosi non poco il generale disse:

“Oh, adesso sì che credo aquanto mi havete detto!”; e siconfermò maggiormente nellafede cattolica romana”4.

Giunto in Santicolo, fr. Anto-

nio poté certamente riabbracciare

i familiari e, soprattutto osse-

quiare e ringraziare il suo vec-

chio parroco don Quinto Ballar-

dini.

L’antica comunità cristiana

in Santicolo

In quale contesto di fede reli-

giosa nacque la vocazione alla

vita consacrata di fr. Antonio? In

tempi assai remoti a Santicolo,

sull’antica via Valeriana che sa-

liva da Edolo verso il passo del-

l’Aprica per raggiungere poi la

Valtellina, esisteva un oratorio,

luogo di accoglienza per pelle-

grini e viandanti; era dedicato a

san Giacomo apostolo. Si sa

anche che, già nel 1465, era in es-

sere la parrocchia di Santicolo vi-

sitata dal vescovo diocesano del

tempo; per ultimo è noto come la

chiesa matrice attuale, sempre

dedicata all’apostolo venerato in

Compostella, era stata eretta

nella tarda metà del XVII secolo.

Già prima della fondazione

della chiesa però, scorrendo le vi-

site pastorali dei vescovi del Cin-

quecento a quella comunità, si sa

che le testimonianze scritte met-

tono in bella evidenza la solleci-

tudine dei pastori

5

che vigilarono

sulla vita cristiana di quella co-

munità istituendovi varie confra-

ternite di mutuo soccorso, quali

quella dei Disciplini (1573), del

Santissimo Sacramento (1567) e,

più tardi, del Rosario (1700

circa).

Non va dimenticata nemmeno

la confraternita delle Sacre Reli-quie dei santi martiri Pio (Papa,

† 154) e Giustino (filosofo, †

165) nata probabilmente dopo la

metà del XVIII secolo e le cui

origini sembrano intrecciarsi in

una improbabile leggenda di due

pii e santi carbonari della monta-

gna sopra Santicolo, catturati e

uccisi da una tagliola micidiale

nascosta nel bosco per catturare

Titolo dell'opera del Santicolocon autoritratto incorniciato

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 67

Page 20: Voce Francescana 2/2012

della comunità di Santicolo negli

anni 1961-1986. Non solo, ma lo

stesso sacerdote afferma che la

Compagnia, forse nell’anno

1684, era stata rifondata e fornita

di un proprio Statuto manoscritto

nel quale venivano precisate le fi-

nalità della Schola e alcuni

adempimenti obbligatori per gli

iscritti. Tale Libro dal Lazzarini,

nel 1982, veniva segnalato nel-

l’archivio parrocchiale della ca-

nonica di san Giacomo e indicato

con collocazione archivistica

“Libro C, Schola dei Murari, ini-

ziato l’anno 1684, rilegato in

pelle e con le pagine numerate

fino al n. 196”.

La Schola dei Murari

È opinione di don Lazzarini

che la povertà endemica della co-

munità santicolese, nella secoda

metà del secolo XVII, aveva

spinto gli antenati dei suoi fedeli

a dedicarsi all’artigianato della

pietra e all’arte muraria. Feno-

68

cervi o camosci. Certa risulta in-

vece la grande devozione che nu-

trivano i santicolesi per i due

santi martiri dell’era cristiana, la

cui intercessione nel 1758 aveva

scongiurato un’epidemia di be-

stiame e per questo prodigio era

stata istituita una solennissima

festività (16 agosto) per onorare i

due santi “fedelissimi avvocati”

6

.

Anche questa Schola conserva

nell’archivio parrocchiale di San

Giacomo i suoi registri di rendi-

condazione di cassa.

Intorno agli anni cinquanta del

XVII secolo era nata in Santicolo

anche la Compagnia o Schola deiMurari, confraternita che racco-

glieva numerosi artigiani, inta-

gliatori, scalpellini e muratori di

quella piccola comunità mon-

tana; notizia fornitaci da don Da-

niele Lazzarini parroco emerito

Fra Antonio da Santicolo

architetto cappuccino

meno che determinò la nascita

della corporazione o Schola deiMurari.

Ho percorso l’incantevole e

spettacolare Valcamonica verso i

monti fino ad Edolo con la cer-

tezza di mettere gli occhi sul re-

gistro della Schola dei Murariconservato nella parrocchiale di

San Giacomo in Santicolo, ma

anche con la segreta speranza di

poter catturare dai registri di Bat-

tesimo, Matrimoni o Defunti

qualche notizia rigurdante la fa-

miglia o la persona dello scono-

sciuto architetto cappuccino fr.

Antonio. Mi son dovuto accon-

tentare, invece, di prendere in

mano, ammirare e consultare

l’interessante manoscritto della

Schola (1684), essendo gli altri

registri parrocchiali di molto suc-

cessivi alla fascia temporale della

mia ricerca.

Passando al Ms oggetto della

mia curiosità, debbo subito pre-

cisare che dei tre libri che tratta-

vano fin dalle origini della

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 68

Page 21: Voce Francescana 2/2012

69

dazzi, prima di entrare al novi-

ziato nel nostro convento di Cin-

goli (1775), fosse iscritto come

membro effettivo della Compa-

gnia dei Murari di Santicolo.

Non rimane che porci pr un at-

timo davanti al Ms lasciatoci da

fr. Antonio.

L’Opera di Fra Antonio

Fr. Antonio è dunque autore di

un volume manoscritto (formato

extra 40x37 circa) rilegato in

carta pecorina, intitolato Del-l’Architettura civile di fr. Antonioda Santicolo Bresciano Capuc-cino, diviso in sei Libri. Nel-

l’opera sono segnalate le date di

inizio (1694, titolo di apertura, p.

3) e della fine della stesura di

esso (Pesaro, 4 novembre 1705,

p. 342). Esso consta di 347 pa-

gine scritte ante et retro (per un

errore dell’autore però la pagina-

zione originaria da 169 passa a

180, senza tuttavia interrompere

o variarne il contenuto). Vi appa-

Schola dei Murari di Santicolo,

solo il libro C è giunto sino a noi;

mancano i due libri A e B. Al re-

gistro B, del quale si conserva un

solo fascicolo accorpato alle

prime pagine del libro C, fa qual-

che volta riferimento lo stesso

libro C.

Contrariamente a quanto mi

sarei aspettato, non ho trovato

nel manoscritto elenchi di iscritti

alla Schola, nomi di presidenti,

consiglieri e segretari, obblighi a

carattere civile o ecclesiale, con-

vocazioni assembleari o verbali

di riunioni. Vi ho letto invece una

puntuale sequenza di prelievi e

versamenti in denaro che agli

iscritti alla Schola venivano dati

al tasso dell’uno per cento e ai

non iscritti veniva applicato un

interesse del cinque per cento,

secondo le disposizioni ecclesia-

stiche del tempo

7

.

Nell’anteporta del Ms residuo,

a firma del parroco don Pietro

Antonio Quadrubbi, è riportato

l’atto di ricostituzione di quella

Compagnia “instituita da molti

anni...”; probabilmente intorno

agli anni cinquanta del Seicento.

Dispensandoci di indugiare

nella descrizione dell’antico ma-

noscritto sui Murari, segnaliamo

solo che in esso spesso ci siamo

trovati davanti personaggi con il

cognome Pedrazzi

10

: forse erano

parenti del nostro fr. Antonio, ma

nulla ci autorizza a formulare

ipotesi alcuna data la larga diffu-

sione del toponimo Pedrazzi;

anche se gli anni erano quelli ap-

pena seguenti dell’avvento di

Giacomo Pedrazzi di Bartolomeo

(fr. Antonio) nella Marca per

farsi cappuccino. Potremmo in-

vece affermare, come quasi

certo, che lo stesso Giacomo Pre-

Porticato corinzio del Santicolo

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 69

Page 22: Voce Francescana 2/2012

70

Dicono che avesse più di150 anni, che non è poiun’età eccessiva per un

platano come quello cadutoqualche settimana fa sulla col-lina del Bülbül Dağ (montagnadell’usignolo), accanto allaporta laterale di Meryem AnaEvi, la casa di Maria, un piccolosantuario alto sulla collina sud-occidentale dell’antica Efeso, inTurchia.

E’ caduto di notte, così nes-suno sa dire se è vero che “un al-bero che cade fa più rumore diuna foresta che cresce”: nessuno

Il platano di Meryem Ana

di Egdo

iono moltissimi disegni e tavole

in b/n, effettuati con inchiostro di

china, schizzi, disegni classici,

piante di ville, palazzi, templi,

facciate di basiliche e ville, scali-

nate, sezioni di interni ed esterni,

prospettive, calcoli matematici.

Opera che, fino ad oggi del

tutto sconosciuta, a nostro giudi-

zio meriterebbe di essere studiata

con maggiore attenzione, dopo

l’improba sua fatica della trascri-

zione del testo autografo di non

sempre facile lettura.

Ciò consentirebbe un giudizio

più esteso di questo lavoro che

meriterebbe anch’esso di essere

iscritto, a “pieno titolo”, nella

storia dell’architettura cappuc-

cina, e non solo, che andava svi-

luppandosi nel periodo storico

della massima espansione del-

l’Ordine cappuccino.

1

Fermo, archivio provinciale

cappuccini Piceni, Cod. Prof. 05,

pag. 36.

2

Ms in folio di pagine 348 con

innumerevoli disegni tecnici e

planimetrie a china; collocazione

archivistica: Mss, n. 1173.

3

Mi ha sfiorato l’idea che fr.

Antonio, essendo muratore ben

noto al suo parroco di Santicolo

don Quinto Ballardini a quel

tempo quasi certamente alle

prese con la costruzione della

chiesa parrocchiale (eretta nel

“tardo Seicento” e della quale

non esiste alcuna traccia docu-

mentale), potesse essere stato ri-

chiesto da don Quinto ai

Superiori dell’Ordine perché il

muratore cappuccino di Santi-

colo avesse potuto dare una

mano nella costruzione della par-

rocchiale del suo paese di ori-

gine. Da ricerche effettuate in

AGO (Obbedienze, Atti del Ca-pitolo generale 1678), non si è

venuti però a capo di nulla!

4

Cf. I Cappuccini della Marca,

Ancona 2004, a cura di P. RENATO

RAFFAELE LUPI, FD,II, 86, p. Ber-

nardino Grigiolini da Jesi fu an-

nalista-cronista provinciale dal

1697 al 1720c.

5

Ricordate, nell’Enciclopedia

bresciana di ANTONIO mons FAP-

PANI, vol. XVI, ed. La Voce delPopolo, Brescia 2000, voce San-ticolo (266), le visite pastorali dei

vescovi G. Pandolfi nel 1562,

Bollani nel 1567, di san Carlo

Borromeo nel 1580 e di G. F.

Morosini nel 1593.

6

Cf. ANTONIO mons. FAPPANI,

Santicolo, 270.

7

L’accensione di un prestito

dai fondi della Schola normal-

mente era registrato con la nor-

male dicitura: “per il presente

scrittto quale habbia forza di pub-

blico e legale istrumento, si di-

chiara come il signor NN riceve

dalla Compagnia delli Murari, ra-

presentata dal Massaro NN no-

minatamente, lire..., all’interesse

del 5 per cento ogni anno; se non

paga lui pagheranno gli eredi”

(Santicolo, Archivio parroc-

chiale, Libro C, Schola dei Mu-rari, c. 104v, 4, dicembre 1718).

n

Fra Antonio da Santicolo

architetto cappuccino

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 70

Page 23: Voce Francescana 2/2012

71

ha visto, nessuno ha sentitonulla. Eppure tra i rami era ap-pesa la campana che annunciavale liturgie che i Frati cappucciniorganizzano al santuario per ipellegrini provenienti da ogniparte del mondo e che amavanofarsi fotografare all’ombra dellasua rinfrescante solitudine.

C’è da credere che abbia man-dato qualche rintocco, dilatatodal silenzio della notte. Ma nes-suno ha sentito nulla.

Era nato e cresciuto sponta-neamente, irrigato dall’acquache Caterina Emmerick “vide”allorché descrisse minuziosa-mente la casa costruita dal “di-scepolo che Gesù amava” per laMadre che gli era stata affidatasul Calvario. “Nella stanza cisono pietre annerite e fuliggineindurita, accanto alla qualesgorga una sorgente”, dettò laveggente al confessore ClemensBrentano. Ed era la stessa sor-gente a cui bevvero avidamenteP. Eugène Paulin e P. Henry

Ioung, i due Lazzaristi che nel1891, grazie alla descrizione diuna donna che non si era mai al-lontanata dal suo paese, fecerola sensazionale scoperta.

Era luglio, e i due esa-sperati pellegrini (avevano ac-cettato di fare le ricerche dellacasa di Meryem per smentire unavolta per sempre le strane affer-mazioni della Emmerick, cui cre-deva invece Suor Marie Mandatde Grancey, che li aveva pregatidi salire sul colle) chiesero dabere a un gruppo di donne arsedi sole e curve sulla solitudinegialla delle stoppie, che li invia-rono a Panaghià Kapoulu, laporta della Tuttasanta. La sor-gente era lì, piccola, quasi invi-sibile nel suo pudico tremore,come componente necessaria diogni santuario della Vergine, chefa dell’acqua la sua limpida in-segna.

Il platano se n’è nutrito per unsecolo e mezzo, alzando nel cielorami irrequieti di luce; poi ha ce-

duto, cadendo proprio dove untempo la sorgente tesseva untreccia silenziosa, allagata diluna. Ora che non c’è più, tuttopare più triste: l’altro platanoche protegge l’ingresso princi-pale del santuario; gli ulivi cheombreggiano gli ultimi metri delsentiero che vi porta i pellegrini;la stessa statua della Madonnache al mattino si veste di luce alsole che sorge senza raggi oltre imonti d’Anatolia, terra lontana ecorsa da vagabonde fragranze.

I Frati lo terranno come unareliquia, sull’esempio dei pelle-grini che ne staccavano scheggedi corteccia infilate nello zaino.Compresi quelli musulmani, per-ché Meryem Ana è anche il lorosantuario. In nessun altro luogoal mondo, infatti, cristiani e mu-sulmani pregano abitualmenteinsieme come qui, alla luce dellecandele infilate nella sabbia delcandelabro che stenta a reggerletutte.

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 71

Page 24: Voce Francescana 2/2012

72

A

lla fine di marzo si è te-

nuto a Parakou (Bénin)

un Forum per discutere

la situazione dei bambini accu-

sati di stregoneria, e per questo

eliminati al momento della na-

scita o subito dopo, fenomeno

piuttosto diffuso tra alcune tribù

del nord del piccolo Paese afri-

cano.

L’organizzazione del Forum è

stata curata dai tre Ordini Fran-

cescani e da alcune congrega-

zioni che fanno riferimento allo

spirito di S. Francesco. Nel

Bénin esse sono una decina tra i

98 istituti (26 maschili e 72 fem-

minili) presenti nel Paese, e

hanno scelto un’attività decisa-

mente unica, perché affronta un

problema che, pur interessando

anche altri Paesi africani, qui ha

proporzioni preoccupanti rispetto

alla superficie della nazione (113

Forumsui

bambini “sorciers”

Bénin

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 72

Page 25: Voce Francescana 2/2012

73mila kmq) e al numero degli abi-

tanti (poco più di 7 milioni).

Da anni esse sono impegnate

non solo a sensibilizzare il Paese

su un problema così grave, ma

anche a correre letteralmente da

una capanna all’altra per salvare

la vita di piccoli destinati a una

macabra eliminazione o perché

nati in modo anomalo (posizione

podalica) o con qualche difetto

fisico (labbro leporino) e per que-

sto accusati di possibili danni che

possono colpire non solo la loro

famiglia, ma anche l’intero vil-

laggio.

Il fenomeno si verifica soprat-

tutto nel Nord del Paese, nei Di-

partimenti dell’Atacora e del

Borgou, dove vivono i Bariba,

una tribù di circa un milione di

persone, dedita principalmente

all’agricoltura. Sono loro, infatti,

insieme ai Peul, che, temendo

supposti malefìci da parte di tali

bambini, ne uccidono almeno il

60%. I pochi che riescono a sal-

varsi porteranno sempre con loro

il marchio che ne determinerà

l’isolamento e il rifiuto.

Il primo a interessarsi di questo

problema angoscioso è stato il

sacerdote P. Bio Sanou, di Nati-

tingou, che per oltre 40 anni ha

fatto il possibile per fermare il

massacro di tanti neonati. L’età lo

ha costretto a passare il testimone

ad altri, lieto che ci siano anime

generose disposte a tutto pur di

impedire una tradizione che da

secoli popola il cielo di angeli in

nome di un ingiustificato pregiu-

dizio.

Dividendosi i compiti, i reli-

giosi hanno iniziato una vasta

campagna per far capire agli in-

teressati la gravità del loro com-

portamento, indispettiti, tuttavia,

che qualcuno “osi” intromettersi

nelle loro tradizioni ancestrali

chiedendo di risparmiare la vita a

chi, secondo loro, è una spada

pronta a colpire. “La fatica è im-

mane - ha detto il coordinatore

dell’iniziativa Frère Auguste

Agounkpé, cappuccino - anche

perché non troviamo appoggio né

nelle autorità nazionali né in

quelle del luogo. Tutti sanno, tutti

promettono, ma nessuno inter-

viene”.

Nonostante tutto, suor Made-

leine Koty, della Congregazione

delle Figlie di P. Pio (fondata nel

1995 dall’Abbé Gilbert Dagnon),

ha detto che “è stato ottenuto

qualche piccolo successo, ma

pressoché insignificante perché

ci si possa accontentare.”

Parakou, Bénin - Tavolo dellapresidenza durante il Forum e(foto in alto) Monsieur KotoYarou, re di Péréré

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Page 26: Voce Francescana 2/2012

74

La suora ha ragione, visto che,

in cinque anni di attività, sono

stati salvati soltanto una ventina

bambini: un successo se si pensa

al valore della vita, una sconfitta

rispetto al numero di quelli che

nel frattempo sono morti per

mano di disumani esecutori.

Per ottenere qualcosa di più,

essi hanno organizzato il Forum,

cui hanno partecipato alte perso-

nalità dello Stato, come il Prof.

Albert Tevoedjre, médiateur de la

République, cioè la seconda au-

torità del governo; Madame Gi-

sèle Zinkpé, delegata dal

Ministro della Giustizia; mon-

sieur Lafia Boko, sindaco di Pé-

réré; il vice sindaco di Parakou;

due rappresentanti dell’amba-

Forum sui bambini “sorciers”

sciatore della Francia; monsieur

Koto Yarou, re di Péréré; il

capo delle terre di Parakou (fi-

gura di alto rilievo nella società

beninese); i vescovi di N’Dalì e

Parakou; Père Bio Sanou; il frate

cappuccino Frère Auguste

Agounkpé e Soeur Madeleine,

che tre anni fa hanno denunciato

il fatto all’Onu, e oltre un centi-

naio di persone interessate al pro-

blema.

“Una tale tradizione - è stato

detto con riferimento ai bambini

“sorciers” - non solo è radicata da

secoli nell’ambito di alcuni clan,

ma è giustificata con motivazioni

assurde. All’orrore che la sop-

pressione dei piccoli provoca per

Parakou Bénin - L’Abbe P. BioSanou, di Natitingou, il primoche si è interessato del problemadei bambini “stregoni”

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 74

Page 27: Voce Francescana 2/2012

75il modo con cui avviene, si unisce

così uno sfrontato disinteresse per

la vita, inconcepibile in tribù che,

invece di preoccuparsi di crescere

di numero, come fanno tutte, uc-

cidono gli uomini di domani”.

Particolarmente interessato al

problema sembra sia stato il Prof.

Albert Tevoedjre, che ha chiesto

di parlare privatamente con i re e

il capo delle terre di Parakou, con

cui ha studiato un piano per un

intervento immediato per sradi-

care una tradizione che, oltre a di-

sonorare la nazione, macchia i

responsabili di colpe socialmente

e moralmente ignominiose, col-

pevolizzando le creature più fra-

gili della società. Egli ha poi

promesso che il prossimo Forum

sarà organizzato dal governo e a

livello nazionale, “perché vo-

gliamo liberarci una buona volta

da colpe così disonoranti”.

L’organizzazione gli ha fatto

eco dicendo che è assurdo legitti-

mare una cattiveria del genere

con la tradizione, ma che va com-

battuta lanciando slogan brevi ma

efficaci, come: “il bambino stre-

gone non esiste”; “salvare un

bambino è valorizzare la vita”;

“cambiare le tradizioni non è un

segno di debolezza”; ma soprat-

tutto agendo sui re, sui capi vil-

laggio, su quanti possono

arginare, anche con la forza,

l’abominevole strage.

È stato inoltre proposto di fare

dell’infanticidio uno dei temi del

Festival culturale “Baatonou”, af-

fidando agli attori il compito di

sensibilizzare il pubblico per far

capire che cosa avviene in alcune

zone del Paese. Ultima proposta,

fare il possibile perché sia propo-

sta e votata una legge contro l’in-

fanticidio, affidandone la stesura

e il controllo della sua applica-

zione a qualche deputato del

nord, la zona più responsabile del

crimine.

Da parte loro, decisi ad andare

fino in fondo, gli Istituti hanno in-

viato e invieranno ancora Frère

Auguste e Soeur Madeleine Koty

a denunciare l’infanticidio al-

l’Onu tramite il Franciscan Inter-

national, un’istituzione promossa

dalle Famiglie Francescane per

segnalare soprusi e malversazioni

nei confronti dei poveri, indi-

cando possibili soluzioni. La loro

denuncia suscitò stupore e incre-

dulità nei delegati e piovvero pro-

messe di intervento da varie parti,

soprattutto da quella francese, ma

in realtà la situazione è rimasta al

Parakou Bénin - Frère AugusteAgounkpé e Soeur MadeleineKoty, che hanno denunciato il fe-nomeno dei bambini”stregoni”all’Onu di Ginevra

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 75

Page 28: Voce Francescana 2/2012

76

punto di partenza: nessuno vuole

inimicarsi le autorità locali che,

purtroppo, sanno e non interven-

gono. Gli istituti promotori deb-

bono così muoversi con i propri

mezzi e opporsi da soli a una re-

altà che li supera in tutti i sensi e

per la quale non hanno possibilità

sufficienti per agire se non avvi-

cinare delicatamente le famiglie

interessate, con i risultati già

detti.

“Non ci fermeremo finché non

avremo raggiunto lo scopo per

cui ci siamo mossi - dice Frère

Auguste - perché non è possibile

che in un Paese in cui, grazie a

Dio, la gente non muore di fame,

si debba morire per convinzioni

così ingiuste. Ci conforta sapere

che il vescovo di N’Dali, mons.

Martin Amahoumi Adjou, condi-

vide il nostro pensiero e mette al

sicuro, in una casa per bambini

abbandonati (altra piaga del no-

stro Paese), anche alcuni “enfants

sorciers”. Come figli di S. Fran-

cesco, ci ha detto, dovete vivere e

manifestare a tutti la sua spiritua-

lità. Se la vostra presenza è ano-

nima, non sarete né sale né luce;

se, invece, sarà operativa, illumi-

nerà tutti”.

Anche i bariba e i peul? È

quanto i Francescani si augurano

per poter salvare tanti innocenti.

Forum sui bambini “sorciers”

C

on gioia vi comuni-

chiamo l’erezione ca-

nonica del nostro

monastero, avvenuta il 17 feb-

braio scorso, e la celebrazione

del primo capitolo elettivo che

ha avuto luogo l’8 giugno. Una

grande grazia è stata la presenza

di madre Serena del Monastero di

Mercatello, che ci ha tanto consi-

gliato e aiutato. Tutto è avvenuto

in un clima di pace, di unità e di

gioia. La prima badessa del mo-

nastero beninese è suor Maria

Paola Perotti, vicaria suor Maria

Maddalena Lovison e consigliera

suor Maria Nathalie.

In breve, pensando di farvi pia-

cere, vi raccontiamo il cammino

di questi anni.

L’avventura della nostra mis-

sione comincia il 13 agosto del

1993, 750° della nascita di S.

Chiara, giorno in cui abbiamo toc-

cato il suolo di questa terra bene-

detta che il Signore ci ha donato.

I primi anni a Cotonou non

sono stati sempre facili: il clima

e la malaria hanno decimato il

piccolo gruppo italiano: delle

cinque arrivate siamo restate in

tre. Nonostante le difficoltà, o

forse proprio grazie ad esse, si vi-

veva un forte clima di famiglia,

facendo insieme tutti i lavori:

orto, cucina, preghiera.

La nostra forza era la Presenza

Eucaristica e le ore che passa-

vamo in adorazione in una cella

che avevamo adibito a piccola

cappella.

Intanto i missionari che ci ave-

vano invitato ci hanno fatto visi-

tare varie parti del paese perché

ci rendessimo conto della situa-

zione di povertà e del bisogno di

evangelizzazione. Essi ci hanno

sempre sostenuto e aiutato sia dal

punto di vista spirituale che ma-

teriale.

Autonomoil monastero

delle Monachecappuccine di

Zinvié

Bénin

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Page 29: Voce Francescana 2/2012

77

Nella chiesa locale essi cele-

bravano la liturgia delle Ore

(Lodi e Vespri) con il popolo; per

questo all’inizio ci siamo inserite

in questa realtà senza cambiare

nulla. Sin dall’arrivo la gente ci

ha apprezzato e ha partecipato

numerosa alle varie iniziative di

preghiera.

Con l’arrivo di suor Nathalie e

suor Myriam nel 1996, la comu-

nità ha avuto una forma più sta-

bile con un orario ben definito di

preghiera e di lavoro.

Molte erano le giovani che si

avvicinavano per conoscerci e al-

cune hanno iniziato un cammino

di aspirantato: la prima è stata

suor Véronique, oggi professa

solenne. Nel tempo altre l’hanno

seguita e oggi la Fraternità è com-

posta da 4 sorelle italiane, 2 so-

relle beninesi professe perpetue e

quattro di professione tempora-

nea; una novizia del Burkina Faso

e tre postulanti locali.

In questa relazione non pos-

siamo non ricordate con emo-

zione tutto l’aiuto e il sostegno

donatoci dalla cara Madre Mar-

gherita, e di altre sorelle che da

Mercatello sono venute ad aiu-

tarci e incoraggiarci in questo

cammino non sempre facile, ma

che è andato avanti grazie a Qual-

cuno che ci ha dato la mano.

Purtroppo la rapida avanzata

del mare, presso il quale si tro-

vava la nostra casa, ci ha costretto

ha scegliere un altro terreno più

sicuro dove costruire. Lasciare la

realtà di Cotonou, con tutto

l’amore della gente che ci attor-

niava, non è stato facile, ma oggi

possiamo solo benedire il Signore

per questa nuova terra che ci ha

preparato. A Zinvier, dove ci tro-

viamo ora, c’è un clima più fa-

vorevole alla nostra vita di

preghiera e di contemplazione;

inoltre abbiamo potuto impostare

la liturgia in modo più conforme

al nostro stile monastico. Pre-

ghiera arricchita anche dalla par-

tecipazione di persone e religiosi

che vengono per i ritiri e per gior-

nate di ristoro.

Anche per la formazione ci

siamo ben organizzate e abbiamo

fatto un bel cammino, suddivi-

dendoci i compiti legati alle varie

tappe, formazione affidata in

parte ai padri cappuccini e a corsi

sia comunitari che esterni.

Guardando nell’insieme questo

cammino, non possiamo fare

altro che ringraziare il Signore

per come ci ha condotto e per

tutte le persone che ci ha messo

accanto. Affidiamo a Lui questa

nuova pagina della nostra storia,

fiduciose nella Sua Divina Prov-

videnza.

Vogliamo terminare con un

pensiero particolare alla nostra

madre Margherita che conti-

nuiamo a sentire presente nella

vita comunitaria e in tanti avve-

nimenti; dal Cielo continui que-

sta sua assistenza e che un giorno

ci accolga accanto a Lei nella Di-

mora Eterna.

A voi chiediamo un ricordo

nella preghiera perché questa

pianticella di Santa Chiara cresca

nella testimonianza e nello spirito

del nostro carisma. Grazie a tutti

per il vostro sostegno.

Le sorelle Clarisse Cappuccine di Zinvié

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 77

Page 30: Voce Francescana 2/2012

condato da occhi che ti guardano

con curiosità, dolcezza ed affetto.

E tu pensi : “Che cosa si aspette-

ranno da me? Da dove nascono

questi intensi sentimenti?”

Camminavo in uno dei primi

villaggi che abbiamo visitato,

Bukama, e una bimba dolcissima

passeggiava al mio fianco. Con

una mano stringeva la mia e con

l’altra l’accarezzava. E sorrideva,

anzi, rideva quando mi voltavo a

guardarla.

Accanto a me, c’era un dottore

del posto e – su mio sollecito – le

ha chiesto in wolaytigno come

mai ridesse così. Lei ha risposto

che era felice di camminarmi a

fianco, era felice che io fossi lì.

Cosa facevo? Nulla.

Le stavo dando la mano, le fa-

cevo sentire che c’ero e di tanto

in tanto le sorridevo. Neppure sa-

pevo la sua età, la sua storia.

Cercavo di darle affetto e in

cuor mio, intimamente, pregavo

perché tanta bontà d’animo, tanta

purezza e bellezza non venissero

scalfite dagli orrori di una po-

vertà, di una lotta alla sopravvi-

venza che non conoscono

dignità, rispetto per sé e per gli

altri, ritegno.

Mi guardavo attorno ed in

quella fiumana di persone, ve-

devo bimbe di 6 o 7 anni che ave-

vano in braccio il fratellino di 1

o 2 anni e lo accudivano con un

senso materno, una maturità ed

una sicurezza che credevo im-

possibili per una bimba così pic-

cola e che a volte non vediamo

neanche in una donna di 35 anni

oggigiorno. Vedevo donne dal

viso affaticato, con taniche piene

d’acqua sulla spalle o ceste di

frutta in testa che si concedevano

una pausa durante il lungo cam-

mino che le conduceva al mer-

cato “più vicino”.

78

‘‘F

oreng, foreng” gri-

dano a bocca aperta

sorridendo quando

ti vedono passare in macchina.

Qualsiasi cosa stiano facendo, la

interrompono. In quel momento

il loro mondo si ferma.

I più piccoli iniziano a saltellare

agitando le loro gambette per av-

vicinarsi alla strada; i più grandi-

celli corrono instancabilmente a

piedi nudi per raggiungerci. Non-

curanti delle taniche e dei pesi

sulle loro spalle, tutti sollevano la

mano salutando. E sorridono. Sor-

ridono al vederci. Sorridono an-

cora di più se solo noi ricambiamo

il saluto dal finestrino.

È un urlo di gioia, di festa. Per

un semplice saluto, per un mero

gesto.

Se poi ti fermi e scendi, ti trovi

circondato da mani che ti toccano,

che cercano la tua per stringerla,

accarezzarla, baciarla. Ti trovi cir-

FORENG,FORENG

Dal Wolaita, Etiopia

di Luana

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Page 31: Voce Francescana 2/2012

79

Vedevo bambini che si vanta-

vano, con sguardo fiero e soddi-

sfatto, coi loro amici solo perché

stringevano la mano di un fo-

reng; altri (mezzo nudi) appena

in grado di mantenersi in equili-

brio che si univano alla festa e al-

l’entusiasmo senza neanche

capire cosa stesse succedendo.

Vedevo una natura secca, una

terra bisognosa d’acqua, mucche

magrissime, asini con pesi im-

pensabili da portare.

E polvere.

Tutto questo in una camminata

di venti minuti.

Risaliamo in macchina e i no-

stri amici sono fermi lì, immobili

che ci guardano e ci accompa-

gnano nella nostra dipartita come

a volte si fa ancora da noi salu-

tando un ospite caro che ci è ve-

nuto a far visita.

Hai ancora in testa i loro volti

quando, solo dopo pochi km –

senza neanche aver avuto tempo e

modo per fissarli – i tuoi sensi

sono rapiti da altri occhi che guar-

dano, altre mani che si agitano per

salutare, altre bocche aperte per

chiamare e sorridere, altri piedi

che alzano polvere in una corsa

che ogni volta ti interroga.

Attraversando quelle distese di

terra arida, quelle piantagioni di

banano e caffè, quegli alberi con

radici immense e chiome larghe e

piatte per dare riparo dal sole, quei

rari tratti di asfalto che interrom-

pono le numerose stradine fatte di

buche e massi, di terra rossa e

crepe… puoi solo stare in silenzio.

Un silenzio che guarisce. Un si-

lenzio che è prezioso oggi.

Scende la sera, ma le strade

non si svuotano. Sebbene non vi

siano luci, si vedono gruppi di

persone (maggiormente donne)

che camminano ancora, senza

sosta e senza apparente stan-

chezza. Non si tolgono a volte

finché non suoni, un po’ come le

Soddo, Wolaita - EtiopiaLuana con un bambino del luogo

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Page 32: Voce Francescana 2/2012

L’assistenza medica è davvero

per pochi e non solo per man-

canza di strutture e personale, ma

anche per cultura. Durante la vi-

sita nell’ ospedale di Dubbo, una

delle strutture più organizzate

della regione, un dottore ci ha

guidato tra i vari reparti. Oltre a

parlare di malaria e di problemi

legati alla malnutrizione, ad infe-

zioni varie dovute a mancanza di

igiene, di acqua ed alla tanta pol-

vere, ci ha raccontato un episodio

che credo sia rappresentativo.

Qualche giorno prima della no-

stra visita erano riusciti a salvare

la vita ad una ragazza incinta, la

cui gravidanza non era andata a

buon fine. Per quattro giorni que-

sta povera donna ha avuto il feto

morto nel canale dell’utero poi-

ché il marito le proibiva di la-

sciare la casa ed i lavori

domestici per andarsi a curare.

È una terra da educare l’Etio-

pia. Da educare con lungimi-

ranza, dando a queste persone gli

strumenti per il domani, non per

l’immediato. Di caramelle ne

hanno ricevute troppe.

E troppe volte hanno cono-

sciuto delle forme di aiuto che

non guardano alla dignità del-

l’essere umano e non concorrono

al consolidamento di tale valore,

che è invece essenziale.

Ho sperimentato sulla mia

pelle durante questo soggiorno

quanto povertà e fame mettano

da parte qualsiasi senso del giu-

sto, qualsiasi pudore, rispetto per

se stessi e per gli altri.

Non è stato facile accettare

questa realtà.

Non è facile capire

un’altra mentalità

Non è indolore sbattere contro

la mentalità di chi ti guarda e

mucche : in fin dei conti la strada

è loro. Sono loro il popolo in si-

lenzioso e costante cammino.

I bambini affrontano un cam-

mino anche di 2/3 ore prima di

arrivare a scuola. A volte arri-

vano tardi perché purtroppo

l’istruzione non è ancora vista e

vissuta come priorità per loro.

Prima ci sono i mestieri di casa,

ci sono gli animali da accudire

e... poi si può andare a scuola.

Tuttavia quando riescono ad an-

dare, ci è stato detto che non di-

stolgono mai lo sguardo dalla

lavagna e non si lasciano sfuggire

una sola parola dell’ insegnante;

non assistono passivamente alle

lezioni aspettando che arrivi il

papà o la mamma a riprenderli to-

gliendo lo zainetto dalle spalle.

Stanno a scuola ed appren-

dono, con concentrazione.

Hanno così tanta voglia di im-

parare, una sete così grande di

conoscenza che a volte devono

essere invitati ripetutamente dai

maestri ad andarsene la sera.

Quanto avrebbero da insegnare

ai nostri bimbi!

La prima volta che ho visitato

la scuola a Soddo, sono rimasta

sorpresa, esterrefatta nel vedere

la loro disciplina, la loro atten-

zione. Bellissimi nelle loro uni-

formi, seduti nelle panche di

legno l’uno vicinissimo all’altro,

con le loro penne ed i loro qua-

derni. Sessanta o settanta volti al-

zati verso la lavagna, vogliosi di

imparare, conoscere, apprendere

con la speranza di dare ed avere

un futuro migliore.

Scuole e ospedali sono il vero

pane del popolo etiope… se solo

ne potessero avere di più!

80

“FORENG, FORENG”

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 80

Page 33: Voce Francescana 2/2012

81

vede in te il bianco che ha tutto e

non ha tempo di pensare se sei lì

per aiutare o per viziare, se sei lì

perché anche tu vuoi che quella

fame e quella povertà siano

ascoltate.

A maggior ragione oggi, in

virtù di ciò che ho sperimentato,

posso dire quanto sia necessario,

importante e vitale da un lato cor-

reggere in loco certi atteggia-

menti con l’istruzione e la

sensibilizzazione verso certi temi,

dall’altro tra noi foreng appren-

dere con umiltà come aiutare ri-

spettando la dignità dell’essere

umano e della creatura di Dio, in-

terrogarsi per capire se certi aiuti

siano educativi e guardare so-

prattutto al di là della mera sen-

sazione di benessere che si prova

“aiutando”.

Sicuramente la mia prospettiva

è diversa, ora. E ne sono ricono-

scente e grata al Signore e ai servi

di Dio conosciuti qui presso le

Missioni dei Cappuccini e là in

Etiopia.

La mia testimonianza ci sarà,

sincera e sentita.

Non dimenticherò certi occhi,

certe immagini, certi odori.

Quei bambini che ho visto,

pieni di mosche, scalzi, sporchi,

ma sorridenti, hanno il diritto di

crescere senza il peso della fame

da sopportare, delle malattie non

curate, hanno il diritto di andare

a scuola e di avere gli strumenti

per poter fare della loro vita un

sogno.

Nel mio piccolo, io li aiuterò.

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 81

Page 34: Voce Francescana 2/2012

82 ci avevano rese partecipi di un

impegno nei confronti della po-

polazione etiopica che è, prima di

tutto, educativo, e che, poi, si tra-

duce in opere fondamentali per lo

sviluppo umano e sociale.

Finalmente è arrivato il giorno

della partenza e, dopo un lungo

viaggio, siamo giunte nella mis-

sione di Konto (Soddo).

Da casa avevamo pensato alla

realtà missionaria dei frati cap-

puccini in Etiopia in un modo to-

talmente diverso da quello che

abbiamo riscontrato. Di racconti

ne avevamo sentiti tanti, da parte

di chi, prima di noi, aveva avuto

modo di partire per lo stesso

viaggio, ma, inutile dirlo, vedere

personalmente la realtà missio-

naria, è un’altra cosa.

Non credevamo ci fosse tanta

povertà, non potevamo immagi-

nare che, nel 2012, esistessero

ancora famiglie che vivono in

tucul o in case di terra e paglia,

condividendo gli ambienti con

quegli animali che sono indi-

spensabili al sostentamento fami-

liare. Passando con le Jeep, è

stato impossibile non notare le

lunghe code per attingere l’acqua

alle rarissime fonti e le persone

di ogni età che a piedi percorre-

vano lunghi tratti di strada a qual-

siasi ora, senza preoccuparsi del

buio o del caldo, e spesso cariche

di taniche o di prodotti da mer-

cato.

Nella missione di Konto ab-

biamo avuto modo di visitare la

Scuola Arti e Mestieri, un impor-

tante centro di istituzione che tra-

smette a ragazzi e a ragazze di età

superiore ai 15 anni una profes-

sionalità (è possibile imparare a

fare il meccanico, a lavorare il

legno e il ferro), e la Scuola per i

bambini, a partire dalla prima

classe. Di scuole ne abbiamo

L

o scorso 2 gennaio, con i

buoni propositi per il

nuovo anno ancora vi-

vissimi nel cuore, riceviamo la

tanto attesa telefonata: «Si parte a

fine Febbraio, intorno al 25». Da

quel giorno non abbiamo smesso,

neppure un momento, di pensare

a come vivere al meglio l’espe-

rienza che ci stava aspettando.

Dovevamo fare in modo che

fosse per noi indimenticabile,

speciale, unica. Solo una volta

giunte in Africa, quando abbiamo

iniziato a visitare le missioni, ci

siamo rese conto che quell’espe-

rienza sarebbe stata per noi co-

munque indimenticabile, e che,

in ogni caso, anche se fossimo

partite senza tanta preoccupa-

zione di vivere tutto al massimo,

sarebbe stato uno degli eventi più

significativi della nostra vita.

I tanti incontri di preparazione

vissuti insieme ai Frati di Loreto

L’ Etiopianel cuore

di Chiara e Francesca

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Page 35: Voce Francescana 2/2012

83

viste tante: a Soddo, a Dubbo, a

Bukama, a Humbo e a Pegaka. In

ognuna di esse, a colpirci sono

stati gli stessi elementi: la nume-

rosità delle classi, e l’attenzione e

la voglia di apprendere dei bam-

bini. Il confronto con il nostro

Paese è subito scattato – siamo

entrambe figlie di insegnanti – e

abbiamo immediatamente pen-

sato ai racconti delle nostre

mamme, e a quanto la scuola, in

Etiopia, sia percepita dalla popo-

lazione come un bene non neces-

sario, il che la investe

automaticamente di una enorme

importanza. I bambini che pos-

sono frequentare le lezioni costi-

tuiscono una classe privilegiata

rispetto alla maggioranza e cer-

cano di apprendere quanto più

possibile impegnandosi al mas-

simo.

Per l’ambito ospedaliero, ab-

biamo visitato le cliniche di Ka-

nafa, Mokonissa e Humbo,

alcune delle quali non ancora at-

tive per mancanza di personale o

per l’impossibilità di avere acqua

corrente. L’ospedale e l’orfano-

trofio di Dubbo, invece, costitui-

scono dei fiori all’occhiello della

missione e dell’intera regione.

I pozzi, l’ultimo dei quali è

stato inaugurato lo scorso no-

vembre a Humbo, sono un’altra

delle fondamentali opere dei no-

stri missionari e permettono un

progressivo miglioramento delle

condizioni igienico-sanitarie

della popolazione.

Alla vigilia della nostra par-

tenza da Montegiorgio, molti ci

hanno detto, conoscendoci, che ci

saremmo innamorate di quei

posti e che saremmo rimaste là, o

che, quantomeno, saremmo tor-

nate col famoso “mal d’Africa”.

Forse non avevano sbagliato.

Non ci fraintendete, il 9 marzo

eravamo a casa, e anche contente

di avervi fatto ritorno; sicura-

mente, però, un pezzetto del no-

stro cuore è rimasto lì,

mimetizzato con quella terra

rossa. Nel pensiero di molti il

missionario è colui che, dotato di

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 83

Page 36: Voce Francescana 2/2012

84

istruzione e speranza dove ce

n’era bisogno, favorendo la vita e

lo sviluppo della popolazione

etiopica. Il lavoro è ancora molto

lungo, i progetti e le opere da

realizzare sono tante, ma la

buona volontà non manca, e,

come ha detto un giorno Padre

Francesco, entrando nella Chiesa

di Boditti, ringraziamo Dio, per-

ché Lui sì che salva davvero, noi

possiamo solo contribuire!

una massiccia dose di coraggio e

di incoscienza, lascia tutto quello

che ha per occuparsi dei poveri e

dei bisognosi. Questo è indub-

biamente vero, ma si tratta di un

concetto limitante. La nozione

va, a nostro avviso, ampliata e

vanno inseriti nella categoria

“missionario” anche tutti quelli

che rimangono a casa e che, al-

trettanto coraggiosamente, do-

nano tempo, pensieri e denaro

secondo le proprie possibilità.

Sono partiti con noi dall’Italia

anche alcuni volontari, rimasti

nella missione fino allo scorso 28

Marzo per incontrare gli orfani

inseriti nel programma di ado-

zioni a distanza.

L’emozione più grande l’ab-

biamo vissuta senza dubbio

quando Francesca ha incontrato

il bambino che ha adottato a di-

stanza qualche anno fa. L’incon-

tro è avvenuto a Boditti, dove

Takele (così si chiama il bimbo,

orfano di padre) si è presentato,

insieme alla mamma, per il cen-

simento (un momento in cui si

incontrano uno ad uno i bambini,

accompagnati da un genitore, si

verifica lo stato di salute, la fre-

quenza scolastica, si scatta la foto

da spedire all’adottante e si dà il

contributo economico al geni-

tore).

In conclusione vorremmo ri-

cordare quello che è stato il mes-

saggio del Governatore del

Wolayta nei confronti dei nostri

missionari. Grato di quello che

finora è stato fatto, e fiducioso

nel futuro del proprio Paese, du-

rante una cena, tramite un suo de-

legato, ha ringraziato i missionari

perché hanno portato acqua,

L’Etiopia nel cuore

S

peravo di riuscire ad incon-

trare Takele, ma, in fondo,

non ci credevo. Pensavo fosse

impossibile. Poi, invece, contro

ogni aspettativa, mi hanno detto

che saremmo andati con i volon-

tari del censimento a Boditti e

che, se qualcuno di noi aveva in

quel luogo il bambino adottato a

distanza, probabilmente lo

avrebbe potuto incontrare. Mi

sono sentita come quando ricevi

L’incontro c

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 84

Page 37: Voce Francescana 2/2012

85

chiami?” e “come stai?” e lui è ti-

mido e parlava a bassa voce, ma

siamo ugualmente riusciti a

creare un contatto attraverso dei

piccoli gesti (la sua manina nella

mia per tutto il tempo) e con gli

sguardi.

Dopo aver conosciuto Takele,

ho voluto incontrare la mamma.

L’hanno chiamata spiegandole

chi fossi e ci siamo potute salu-

tare. Non è facile spiegare a pa-

role quel che ho provato: come si

può trasmettere la sensazione che

si ha nel momento in cui una

mamma ti butta le braccia al

collo perché ha capito che, grazie

al tuo aiuto, riesce a mandare

avanti la sua famiglia? Un attimo

prima lei stava parlando con un

volontario locale e, repentina-

mente, mi sono trovata avvolta in

un abbraccio colmo di gratitu-

dine e riconoscenza... In quel

preciso istante mi sono sentita di

non meritare quell’abbraccio per-

ché, in fondo, i soldi che mando

ogni anno non sono una cifra esa-

gerata (poco più di 200 €, nean-

che un caffè al giorno); sono solo

un piccolo sacrificio, appena per-

cettibile. Ma ho capito che que-

sto piccolo sacrificio, per Takele

e per la sua famiglia, equivale a

un vero e proprio miracolo. Ho

capito che Dio si serve di noi per

soccorrere i Suoi figli e interve-

nire, con la Sua provvidenza,

nelle vite degli altri.

I miei compagni di viaggio

sono stati partecipi della mia

gioia. È stato un momento emo-

zionante per tutti noi e, dopo le

“foto di famiglia” con Takele e

con la sua mamma, con il cuore

colmo di gioia, abbiamo conti-

nuato la nostra visita alla mis-

sione.

Francesca

un regalo in un giorno che non è

né quello del tuo compleanno né

la ricorrenza di qualche altra

festa: sorpresa da un fatto ina-

spettato (non ero partita dall'Ita-

lia con l’intenzione di

incontrarlo) e piena di gratitudine

per quanto avevo ricevuto.

Quando siamo arrivati a Bo-

ditti, i volontari avevano iniziato

la loro attività già da diverso

tempo, e da poco avevano scat-

tato la foto a Takele, quindi il

bambino si trovava ancora nei pa-

raggi. È stato fatto chiamare, e lui

si è avvicinato. È molto cresciuto

rispetto allo scorso anno... Ha già

8 anni! È un bel bambino e sta

bene. È stato bello capire dai suoi

occhi che i soldi che mando ogni

anno giungono a destinazione e

che, soprattutto, sono utili.

Non è stato facile comunicare:

io sapevo solo dire “come ti

o con Takele

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 85

Page 38: Voce Francescana 2/2012

86

nostrain

cas

a

CONVEGNO ASSOCIAZIO-

NE EUCARISTICA

LORETO (AN) – Il 18 febbraio

si è tenuto a Loreto il Convegno

dell’Associazione Laicale Euca-

ristica Riparatrice. Ugo Ricco-

belli, vicepresidente dell’ALER,

ha introdotto i lavori, spiegando il

tema del Convegno “L’incultura-zione della fede come camminoverso l’Eucaristia”. Hanno fatto

seguito gli interventi di P. Gian-

nantonio Fincato, Mons. Gian-

carlo Vecerrica, Dott. Ernesto

Preziosi, Sr. Maria Elisabetta Pa-

trizi. Hanno partecipato circa set-

tanta persone al mattino e

cinquanta al pomeriggio.

RICORDO DI

FRA MARCELLINO

FERMO – Il 26 febbraio i Cap-

puccini di Fermo hanno ricordato

l’anniversario della morte di Fra

Marcellino da Capradosso con un

Concerto della Corale “Fra Mar-

cellino da Capradosso”; la recita

del S. Rosario e la Concelebra-

zione eucaristica presieduta da fr.

Mario Pigini, il quale, dopo una

riflessione sulla Quaresima, ha il-

lustrato la testimonianza su fra

Marcellino da Capradosso data

dal Servo di Dio P. Giuseppe

Bocci. Al termine uno spuntino

per i moltissimi partecipanti.

ESERCIZI SPIRITUALI 

INTERFRANCESCANI

GROTTAMMARE (AP) – Dal

27 febbraio al 2 marzo c’è stato

a Grottammare, presso il Con-

vento dei Frati Minori, un corso

di Esercizi spirituali interfran-cescani, animati da fr. Pietro Ma-

ranesi, sul tema “Il sogno diFrancesco. Rilettura tematica

delle Regola per una riappro-priazione di un ideale di vita”.

Venticinque i partecipanti, di cui

dodici confratelli cappuccini.

P. MARIO CAPRIOTTI

DAL BÉNIN IN PROVINCIA

FERMO – Dopo 25 anni di

missione nel Bénin, P. Mario Ca-

priotti da Ascoli Piceno ha chiesto

di poter tornare definitivamente in

Provincia. P. Mario è stato uno dei

quattro pionieri della missione,

aperta il 4 ottobre 1987. In questi

anni egli si è interessato partico-

larmente della formazione france-

scana sia dei giovani aspiranti alla

vita cappuccina, sia dei laici, per i

quali ha fondato l’Ordine France-

scano Secolare. Notevole anche il

suo contributo nell’insegnamento

ai giovani filosofi e teologi nel

convento di Ouidah, nel quale è

stato anche responsabile degli

studi. A lui si deve anche una pre-

ziosa raccolta di documenti sul-

l’evangelizzazione dell’antico

Dahomey, nella quale si distinsero

i Cappuccini bretoni e spagnoli.

Grazie, P. Mario, per i tuoi 25

anni di fatiche apostoliche nella

giovane missione beninese!

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 86

Page 39: Voce Francescana 2/2012

87

RITROVATO QUADRO 

RUBATO NEL CONVENTO

DI CINGOLI

S. SEVERINO M. – Il 3 marzo

è stato ritrovato, a S. Severino M.

(MC), dai carabinieri il quadro

raffigurante la “Moltiplicazione

dei pani” di Fanelli, rubato presso

il nostro convento di Cingoli nel

dicembre 2009. Complimenti alla

“Benemerita”.

ASSEMBLEA

PROVINCIALE

Loreto (AN) – L’8 marzo circa

45 confratelli hanno partecipato

all’Assemblea provinciale in cui

ha parlato don Felice Accrocca sul

tema della povertà francescana.

Nello stesso giorno, tre confra-

telli: fr. Amedeo Frezzotti, fr.

Egidio Picucci e fr. Mario Pigini,

hanno ricordato il 60.mo dell’or-

dinazione sacerdotale.

FESTA DI S. GIUSEPPE 

A FERMO

Preceduta da un Triduo di pre-

ghiera e annuncio della Parola,

animato da fr. Umberto Bastia-

nelli e fr. Giuseppe Settembri, il

18 marzo si è tenuta a Fermo la

tradizionale festa di San Giu-

seppe. Il Ministro provinciale ha

presieduto le SS. Messe delle ore

12.00 e 17.30. Molto numerosa la

partecipazione dei fedeli. Non

sono mancate attività ricreative

come i giochi a premi e la pesca

di beneficenza.

PRESENTATI GLI ATTI

DEL CONVEGNO

SUL BEATO BENEDETTO

A FOSSOMBRONE

A Fossombrone il 21 aprile

sono stati presentati gli Atti del

Convegno tenuto nel convento

dei Cappuccini il 23 ottobre

2010, in occasione del 450 anni-

versario della nascita del Beato

Benedetto Passionei, morto a

Fossombrone il 29 aprile 1625.

Vi hanno partecipato tre Reli-

giosi dell’Istituto Storico del-

l’Ordine, tra cui P. Giuseppe

Avarucci, curatore del volume,

che hanno parlato del contenuto

dell’opera, preparata in vista di

una possibile riassunzione della

canonizzazione del Beato.

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Page 40: Voce Francescana 2/2012

88

Numeroso il pubblico, con a

capo l’addetto alla cultura del co-

mune di Fossombrone, Sig. Pa-

ride Crusciani, il quale si è

felicitato con i Frati Cappuccini

che rievocano figure significative

della città.

Il volume raccoglie 8 contributi

di notevole interesse, soprattutto

quello della Profe.ssa Anna Fal-

cioni, che ha consultato 226 do-

cumenti relativi alla famiglia

Passionei, dando così un notevole

contributo a un’eventuale biogra-

fia in linea con le nuove indica-

zioni dela scienza storica e

geografica.

IL FAI E IL SANTUARIO 

DI S. SERAFINO

ASCOLI PICENO – Il 25

marzo la direzione provinciale

del FAI (Fondo Ambiente Ita-

liano), in occasione della Gior-

nata di Primavera, ha incluso il

Santuario di San Serafino come

meta di pellegrinaggio turistico

ad Ascoli Piceno. Molti i visita-

tori, accompagnati nei vari ambiti

del complesso conventuale da

giovani guide sapientemente pre-

parate dai professori delle rispet-

tive discipline scolastiche (Liceo

classico, scientifico, linguistico,

Istituto agrario, geometri ... ); né

sono mancati i ragazzi delle scuole

medie ed elementari; è stata regi-

strata la presenza di oltre 1.000 vi-

sitatori. Il suggestivo percorso si è

snodato attraverso l’antico inse-

diamento farfense (VII-VIII sec.),

il coevo coro dei Farfensi e Osser-

vanti che ospita oggi un sontuoso

leggio ligneo con relativo Salterio

del XVII secolo, la chiesa e il

chiostro di fine sec. XV, la Came-

retta del Santo di Montegranaro, la

chiesa attuale santuario (XVIII

sec.) impreziosito dagli affreschi

su San Serafino di A. Mussini

(1872-1918). Aperto il convento,

gli ospiti hanno potuto ammirare

il grande affresco nel refettorio del

XVII sec. (di Martino Bonfini di

Patrignone); scesi poi nelle grotte,

hanno provato emozione alla vista

della Via di fuga sul Tronto, sca-

vata su roccia tufacea dai primi

monaci, e della passeggiata ar-

cheologica al di sotto della chiesa.

Dopo la risalita, in cantina ha cat-

turato tutti un singolare affresco di

S. Francesco nato (1490 c) osser-

vante e divenuto cappuccino nel

XVII secolo (cappuccio prolun-

gato a cuspide). n

P. YOHANES BACHE

TEKLEMARIAM

laureato in Storia della Chiesa, Beni culturali

Roma - Nel mese di febbraio P.

Yohanes Bache Teklemariam,

della Vice Provincia Etiopica, ha

conseguito il dottorato in Storia

della Chiesa, Beni culturali,

presso la Pontificia Università

Gregoriana con una tesi sul

Museo Francescano dell’Ordine

cappuccino, di cui è direttore.

Alle felicitazioni di tutti i suoi

confratelli, uniamo una breve

presentazione del Museo che tutti

possono visitare.

Il Museo Francescano di Roma,

situato attualmente presso l’Isti-

tuto Storico dei Cappuccini sul

Grande Raccordo Anulare (Km

65, 050), fu fondato da P. Louis-

Antoine da Porrentruy nel 1880

in Francia, presso il convento dei

Cappuccini di Marsiglia. Venne

denominato “Museo francescano

di Marsiglia” anziché “Museo

cappuccino”, perché la collezione

dei pezzi storici e artistici ab-

bracciava tutte le ramificazioni

della famiglia francescana.

Gli oggetti conservati sono te-

stimonianze di fede sentita e vis-

suta, facendo del Museo il più

grande e significativo istituto per

l’iconografia francescana, parti-

colarmente per la raccolta delle

incisioni.

Il lavoro di Abba Johannes

comprende cinque capitoli, arti-

colati in due parti principali: La

prima presenta il Museo France-

scano in terra francese (1880-

1905); la seconda è dedicata al

percorso storico del Museo in Ita-

lia dal 1905 fino ai nostri giorni.

Interessante il capitolo che

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 88

Page 41: Voce Francescana 2/2012

89

Il 30 gennaio è morto nella no-

stra infermeria di Macerata il no-

vantunenne

conosciuto nell’ambito della

Provincia come “l’economo pro-

vinciale”, avendo esercitato tale

ufficio per ben 35 anni con com-

petenza e religiosa responsabi-

lità.

Giovanissimo, fu inviato a

Roma per il corso di ingegneria,

che dovette abbandonare per mo-

tivi di salute, ma che lo “co-

strinse” ad accettare

l’insegnamento di matematica e

di scienze, prima a Fermo, poi in

Ancona, dove fu trasferito il liceo

dopo il famoso “passaggio del

fonte”.

Chi lo ricorda come inse-

gnante, può testimoniare la pre-

parazione, la responsabilità e la

pazienza con cui, in piedi vicino

alla lavagna, parlava con sor-

prendente disinvoltura di loga-

ritmi e di equazioni differenziali,

di coni e di parallelepipedi, di di-

namica e di termodinamica, vero

pane per i suoi denti giovanili.

Incaricato della ricostruzione

dei conventi, coniugò saggia-

mente il vecchio con il nuovo,

senza cedere a innovazioni con-

trarie allo spirito cappuccino.

Con la stessa esattezza costruì

il proprio edificio interiore di re-

ligioso autentico, amante della

preghiera, servizievole, acco-

gliente con tutti, disponibile a

ogni richiesta. Non fece mai pe-

sare la sua presenza, neppure du-

rante la lunga malattia,

“sopportata – hanno scritto i suoi

confratelli di Macerata nella co-

municazione ufficiale del suo

beato transito al Padre – senza un

lamento, ma sempre con un sor-

riso e una gratitudine sincera per

i servizi che gli venivano fatti.

Quando gli fu impossibile parlare

con i confratelli, intensificò il suo

colloquio con Dio, in cui ‘ritro-

vava’ pure gli altri ”.

Anche se gli impegni quoti-

diani non gli hanno consentito un

apostolato continuo, la domenica

la passava nel confessionale della

parrocchia del Pinocchio, attento

ai bisogni della gente che lo sti-

mava per la sua bontà.

La morte l’ha deposto dalla

croce e la lunga sofferenza gli ha

consentito di “lavare la stola nel

sangue dell’Agnello”: osiamo

perciò sperare che ora lo segua

“incoronato” di gloria nel regno

dei beati.

I nostri luttiparla del rischio corso dal

Museo, cioè quello di scomparire

a causa della legge francese sugli

ordini religiosi emanata nel 1901.

Lo salvò P. Louis-Antoine, che

dal 1896 si trovava a Roma.

Buona parte dei pezzi furono na-

scosti presso le abitazioni di nu-

merosi amici del convento. Per

bloccarne la vendita, P. Louis-

Antoine, nella veste di “Victor

Folletête”, suo nome di famiglia,

tentò di rivendicarne la proprietà,

ma il tribunale di Parigi si pro-

nunciò contro. Non vedendo pro-

spettive per la conservazione e la

riapertura del Museo in Francia,

nel 1905 i superiori ne decisero il

trasferimento in Italia.

Dal 1968 esso si trova sul

Grande Raccordo Anulare, tra le

vie Aurelia e Pisana.

Nel tempo, il Museo France-

scano è divenuto fondamentale

punto di riferimento per gli stu-

diosi e gli appassionati di storia,

cultura e arte francescana. Con i

suoi vastissimi e diversi cantieri

aperti, ma ancora da esplorare, è

luogo di consultazione e di studi

per vari oggetti non reperibili al-

trove. La sua notorietà risalta dai

servizi che offre (studi, consulta-

zioni, prestiti per le mostre e

altri).

Con l’affidamento del Museo

all’Istituto Storico dell’Ordine ha

ripreso notevole vigore l’inte-

resse degli studiosi per le ricche

collezioni in esso presenti, come

dimostrano numerose pubblica-

zioni, la presenza delle opere in

mostre in Italia e fuori, il note-

vole accrescimento del materiale,

oggi rigorosamente catalogato e

ben disposto nelle sale del nuovo

edificio, decentrato rispetto al

centro storico di Roma, ma fornito

di tutte le caratteristiche richieste

per la migliore conservazione ed

esposizione delle collezioni.

P. LUIGI CELLI

da Rapagnano (FM)

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 89

Page 42: Voce Francescana 2/2012

90

La notte tra il del 20 e il 21

marzo il nostro confratello

si è congedato dai confratelli

improvvisamente e furtivamente,

senza importunare nessuno, ma

lasciando in tutti, e specialmente

nei suoi confratelli di Fossom-

brone, un senso di smarrimento e

di vuoto, una tristezza inattesa,

che solo la fede può temperare.

P. Angelo è stato uno di quei

cappuccini lieti di essere cono-

sciuti più da Dio che dagli uo-

mini, e per questo sempre

sorridente, sereno e disponibile a

passare da un convento all’altro,

da un’incombenza all’altra, si

trattasse di servire i malati nel-

l’infermeria di Macerata (di cui

fu responsabile), di muoversi per

la questua nelle campagne del

fossombronese per la festa del B.

Benedetto o di affaccendarsi in

convento, dove trovava sempre

“qualcosa da fare”.

Questa operosa fedeltà al do-

vere è l’esempio più luminoso e

forte che P. Angelo lascia a cia-

scuno di noi. Il temperamento un

po’ timido e riservato non gli im-

pediva di mostrarsi, senza avve-

dersene, piacevole e interessante

nella conversazione con i confra-

telli e gli amici; molti, grazie alla

sua accattivante e naturale bontà.

È vissuto sempre nei “conven-

tini”, nei quali realizzò la sua vo-

cazione religiosa-sacerdotale in

silenzio e con lieta fedeltà, cu-

rando la pulizia della casa (segno

della sua “pulizia” interiore), il

decoro della chiesa e l’ordine

degli ambienti in cui si svolge la

vita conventuale, nei quali si

muoveva con un passo lento, ma

sicuro, che ne rivelava la solidità

interiore.

P. Angelo è stato un tipico

uomo di chiesa, nel senso mi-

gliore del termine, cioè natural-

mente integrato e totalmente

impegnato nella e per la comu-

nità. Amò le forme tradizionali

dell’apostolato cappuccino: pre-

dicazione semplice, visita ai ma-

lati, assiduità al ministero delle

confessioni.

Ce n’è a sufficienza per credere

che sia già entrato nella beatitu-

dine dei cieli.

Un ulteriore lutto ha colpito la

nostra Provincia cappuccina mar-

chigiana con la scomparsa di

avvenuta il 25 marzo scorso

presso la nostra infermeria di Ma-

cerata.

Con la morte di Fra Luca si as-

sottiglia sensibilmente il numero

dei nostri “Fratelli laici”, cui l’Or-

dine in gran parte deve la sua po-

polarità per il loro immedesimarsi

con la gente che visitavano perio-

dicamente, edificandola con il

buon esempio e confortavano con

una parola semplice, identica a

quella che sentivano parlare nelle

case e che arrivava direttamente al

cuore. Fra Luca non è andato se

non rarissimamente nella campa-

gne o nelle case, ma è sempre vis-

suto nell’anonimato di questa o di

quella cucina conventuale, fra

pentole che, in tempo di guerra,

creavano mille interrogativi ai

cuochi, non avendo nulla da cuo-

cere, ma dalle quali doveva pur

uscire qualcosa, soprattutto per la

P. ANGELO

BARTOCCETTI

da Barchi (PU)

FRA LUCA GIULIANI

da Pergola (PU)

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 90

Page 43: Voce Francescana 2/2012

91

fame dei giovani che si stavano

preparando alla vita religiosa.

Fra Luca “fece” questo mira-

colo, appreso alla scuola prima di

Fra Crispino da Urbania e poi da

Fra Giuseppe da Rapagnano, cui

fu debitore anche de “piatti” ca-

ratteristici della buona cucina con-

ventuale che mitigavano la dura

vita del tempo. Lavoratore instan-

cabile, Fra Luca peregrinò in una

dozzina di conventi, quasi sempre

come cuciniere (ad eccezione del

convento di Ancona, dove fu

“compagno” del Padre Provin-

ciale) attento, puntuale e premu-

roso. Sotto un’apparente

ruvidezza, nascondeva un cuore

generoso e gentile, come ricor-

dano i giovani aspiranti tra i quali

è lungamente vissuto, addetto alla

loro formazione che impostava

non sulle parole (era fondamen-

talmente silenzioso), ma sul-

l’esempio. I confratelli di

Macerata, tra i quali ha passato gli

ultimi tre anni di vita, hanno

scritto che aveva “un grande spi-

rito di preghiera”, che non si ac-

quista se non con un lungo

esercizio e un severo dominio di

se stessi.

Fu molto fedele alle pratiche

“tradizionali”, ma non disdegnava

le forme nuove che trovava nel-

l’ultima edizione delle Costitu-

zioni e che faceva notare anche

agli altri, gioioso come se avesse

fatto una scoperta.

“L’ultimo grande insegna-

mento – è scritto nella comunica-

zione ufficiale della morte – Fra

Luca l’ha dato negli ultimi giorni

di vita quando, per difficoltà di

deglutizione, dovette rinunciare a

ricevere l’Eucaristia (come gli fu

“imposto”), accontentandosi della

comunione spirituale. È stata una

grande prova, accolta con serenità

grazie all’allenamento durato tutta

la vita”.

M

aria e Teresa si sono convertite al cristianesimo per spo-

sarsi. I matrimoni si rivelano fallimentari: il marito della

prima beve ed è un violento; il secondo non vuole lavo-

rare. Entrambe però, scelgono di restare fedeli ai loro uomini e a

Cristo. “Un amore diverso”, dice Maria, “che mi rende felice”.

Musulmane per nascita, cristiane per amore. Accade spesso in

Bangladesh di imbattersi in equazioni simili. Il matrimonio infatti

è una delle ragioni principali per cui avvengono le conversioni nel

Paese. In questi casi, può sembrare difficile parlare di conversione

“genuina”, dettata da un’autentica ricerca di Dio. Tuttavia, non è

raro trovare donne che vivono una fede piena e matura, anche

quando l’unione sentimentale, invece, vacilla.

È il caso, per esempio, di Maria. “Da ragazza - ha raccontato -

mi sono innamorata di questo giovane. Volevamo sposarci, ma lui

era cristiano, così ho deciso di lasciare l’islam e farmi anch’io cri-

stiana. Dopo il matrimonio però, è cambiato tutto: ho scoperto che

è un ubriacone, e quando beve diventa violento”. L'amore dei primi

tempi cede il passo alle botte e alle offese. Eppure, la donna non ha

mai pensato di abiurare il cristianesimo e tornare musulmana: “Mio

marito si è rivelato un’altra persona. Con lui però ho trovato Gesù,

che è un amore diverso, ma sono felice così”.

La situazione di Teresa è ancora più difficile. È giovane e anche

lei viene da una famiglia islamica. I genitori non la ostacolano

quando decide di convertirsi al cristianesimo per sposare il suo at-

tuale marito, cattolico. Pur con dispiacere, la accompagnano e la

sostengono in questa sua scelta di fede. Ma anche per Teresa il ma-

trimonio si rivela qualcosa di diverso da quello che aveva immagi-

nato. Il marito è uno sfaticato, con poca voglia di lavorare. In più,

è malato di cuore: ha bisogno di cure e visite mediche continue. La

loro unione però porta anche due bambini. All’improvviso, tutto ri-

cade sulle spalle di Teresa, che fatica a mantenere i figli, occuparsi

della casa e sopportare i capricci del marito.

A un certo punto, la sua famiglia d’origine interviene: “Lascia

quell’uomo, torna con noi insieme ai bambini”. “No - risponde Te-

resa - mi sono fatta cristiana, mi piace la messa. Il parroco mi dà

una mano. Ho promesso fedeltà a quest’uomo. Resto”.

Anche un sacerdote suo amico, che l’ha seguita e sostenuta nel suo

cammino di fede, è stupito dalla forza e dalla convinzione mostrate

dalla giovane sposa: “Anche se con dispiacere, non mi sarei stu-

pito se avesse deciso di separarsi e tornare con i suoi. È costretta a

subire di tutto dal marito, con in più la preoccupazione e la diffi-

coltà di pensare da sola ai suoi bambini. Invece, ha una grande fe-

deltà anche alla dimensione religiosa che ha scelto. È cristiana

perché ha deciso di accogliere Cristo”.

BANGLADESH: MUSULMANE PER NASCITA,

CRISTIANE PER AMORE A CRISTO

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Page 44: Voce Francescana 2/2012

92

Grande gioia al 29° Convegno annuale

di Spiritualità francescana

D

omenica 22 aprile, in una

giornata a tinte grigie ca-

ratterizzata da un cielo

plumbeo gravoso di pioggia e da

un vento dal tono decisamente

sprizzante, la fraternità regionale

dell’Ordine Francescano Seco-

lare delle marche ha riunito, nella

bella cornice del centro di pasto-

rale giovanile “Giovanni Paolo

II” di Montorso, più di 600 fra-

telli e sorelle francescani e non,

provenienti da tutte le fraternità

locali delle Marche per celebrare

il 29° Convegno annuale di spi-

ritualità francescana.

In apertura la Liturgia delle Ore

con la preghiera delle Lodi gui-

data da Padre Giulio Criminesi,

Ministro provinciale dell’OFM

Cappuccini, e il saluto cordiale e

fraterno del vice-Ministro nazio-

nale dell’Ofs, Noemi Paola Ric-

cardi, che ha dato il via al

convegno leggendo il saluto del

Ministro Nazionale Remo Di

Pinto per le fraternità francescane

delle Marche, qui riportato.

Nel suo discorso su “Educarealla Speranza Oggi”, la Prof.ssa

Ordine Francescano Secolare

La Prof.ssa Virgili e Fr. Giancarlo Corsini P. Provinciale OFM Conventuali

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Page 45: Voce Francescana 2/2012

Rosanna Virgili, docente di Sacra

Scrittura all’Istituto Teologico

Marchigiano, nella sua ampia re-

lazione, ispirata alla concretezza

dell’impegno per la comunità,

facendo riferimento al difficile

momento economico che stiamo

attraversando, ha presentato la

virtù teologale della Speranza

alla luce della Parola di Dio. Ed

ai più giovani - ha detto – corag-

gio perché avete tutto il nostro

sostegno. E’ stata poi la volta di

P. Fedele Salvadori, un innamo-

rato del francescanesimo, che ha

affrontato vari temi, tutti ricon-

ducibili all’“Enorme grazia dellaProfessione” nell’Ordine France-

scano Secolare.

Nel pomeriggio la solenne Con-

celebrazione eucaristica dei padri

provinciali e degli assistenti re-

gionali e locali presieduta dal-

l’arcivescovo di Loreto, mons.

Giovanni Tonucci, nella Santa

Casa, al termine della quale il

Ministro regionale Ofs ha rivolto,

a tutti un caloroso e fraterno rin-

graziamento e l’augurio di buon

ritorno nelle proprie case, carichi

di entusiasmo per questa espe-

rienza vissuta insieme a tanti fra-

telli e sorelle francescani pronti

a testimoniare e trasmettere la

gioia e il carisma ricevuto dal se-

rafico padre san Francesco.

C

arissimi, il Signore vi doni

la sua Pace!

Il tema che proponete con l’in-

contro di oggi, è senza dubbio at-

tuale e stimolante, e interroga

quelli che, come noi, sono stati

chiamati a vivere nel mondo

l’esperienza evangelica di Fran-

cesco e a farsi testimoni di gioia

e di speranza.

La speranza è atteggiamento fon-

damentale del francescano, che

lo fa un essere itinerante verso

Dio ma in compagnia di tutti gli

esseri della creazione, nei quali

ha fiducia e che non vuole de-

fraudare.

La speranza crea anche audacia,

ma un’audacia animata e soste-

nuta dalla speranza escatologica

che suppone una presenza di gra-

zia nel mondo.

La speranza escatologica, non è

disgiunta dalla speranza mon-

dana. Non c’è infatti una doppia

speranza, ma una speranza pro-

lungata, che comincia nel tempo,

e si consuma al di là del tempo.

Lo stile della fraternità, che spe-

rimentiamo e proponiamo al

mondo come modello da espor-

tare nella società per farne am-

biente di convivenza, giustizia e

pace, si propone esso stesso

come espressione di speranza

prolungata, veicolo che conduce

attraverso la relazione fraterna,

ad un approccio alla vita fidu-

cioso e gioioso. E’ lo stile di

Francesco, che riteniamo essere

valore da rileggere soprattutto in

questo tempo di profonda crisi

economica e sociale.

Come educare alla speranza e do-

nare gioia a chi oggi perde il la-

voro e vede svanire quelle che

riteneva sue sicurezze? Come

educare alla speranza chi soffre e

vive la malattia incurabile?

Prima di ogni possibile ricetta,

ancor prima che impegnarsi a

educare gli altri, occorre educare

noi stessi alla speranza. Occorre

divenire uomini e donne della

gioia, della fiducia e della pa-

zienza…con lo sguardo rivolto

verso l’alto, i piedi ben piantati in

terra e le mani riverse verso il

basso, come a lavare i

piedi…nella coerente imitazione

del Cristo figlio venuto nel

mondo e presente nella storia di

ciascuno di noi, su cui ha inve-

stito la sua stessa vita.

Sperare per i francescani non è

solo avere fiducia in Dio e nella

storia della salvezza, ma è anche

“dare credito alla realtà”! Non

solo sperare in Dio, ma anche

sperare negli altri, con gli altri e

per gli altri. Questo è il metodo

che ci rende educatori di spe-

ranza…

E’ questo oggi il ruolo che noi

francescani dobbiamo assumere,

la missione particolare di questo

tempo particolare, che deve so-

stenere e integrare manovre eco-

nomiche che da sole

porterebbero a ben pochi bene-

fici. Come stiamo sperimen-

tando, il recupero di un certo

benessere materiale, è come edi-

ficio costruito sulla sabbia, sicu-

rezza solo apparente, che vive di

continue insoddisfazioni, invita

alla difesa e alimenta paure. Lo

sperimentiamo, ma inevitabil-

mente sembriamo annaspare per

recuperare quello che abbiamo

perso, senza andare oltre e co-

93

Saluto al convegno spirituale dell’OFS delle Marche

Loreto, 22 aprile 2012

Il Ministro regionale accoglie esaluta il Vice Ministro Nazionale:Noemi Paola Riccardi

VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 93

Page 46: Voce Francescana 2/2012

gliere l’opportunità di questo

tempo…

Il tempo di crisi che viviamo, è

paradossalmente un tempo frut-

tuoso, come terreno arato su cui è

possibile gettare semi di spe-

ranza, di una speranza che si in-

carna nella storia per animare i

comportamenti quotidiani degli

uomini.

L’episodio dei discepoli di Em-

maus, ci indica il metodo che

possiamo acquisire: non bastano

maestri che illustrano teoremi

teorici, ma uomini e donne che

decidono di fare la strada con i

disillusi del nostro tempo, affian-

candoli, ascoltandoli, inculturan-

dosi e dialogando con loro…

l’incontro avviene per la strada e

si vive in una locanda, lontana

dai sontuosi palazzi o dai salotti

buoni dei nostri edifici ecclesiali.

E’ allora un invito a percorrere le

strade del mondo, a uscire dalle

sacrestie e ad aprire le nostre Fra-

ternità a una missione sociale

fondamentale, guardando con fi-

ducia ad ogni uomo, anche e so-

prattutto ai più lontani.

E’ l’augurio che mi rivolgo e che

estendo a voi, che con coraggio

vi interpellate su questo argo-

mento, certo che ne trarrete ele-

menti di profonda riflessione e

strumenti per divenire nuovi per

rinnovare, attraverso il percorso

della conversione quotidiana che

accompagna la nostra esperienza

vocazionale.Vi ringrazio di cuore

e vi auguro la Pace e il Bene!

Domenica 1 luglio 2012 - ore

17,30 Basilica Cattedrale San

Settimio, Jesi per l’imposizione

delle mani e la preghiera consa-

cratoria del Vescovo di Jesi

Mons. Gerardo Rocconi

Di anni 66 originario della par-

rocchia San Pietro Martire, am-

messo nel 2008 fra i candidati al

Diaconato permanente, istituito

lettore il 13/06/2010 ed accolito

il 05/06/2011, svolge il tirocinio

presso la Chiesa dei frati cappuc-

cini di San Pietro Martire; il 15

novembre 2009, è stato confer-

mato Ministro regionale dai Mi-

nistri delle Fraternità locali delle

Marche, alla presenza del Mini-

stro nazionale dell’Ordine Fran-

cescano Secolare d’Italia

Giuseppe Failla, che ha presie-

duto il Capitolo regionale.

Il Diaconato è il primo grado del

Sacramento dell’Ordine e i dia-

coni sono membri effettivi del

clero diocesano.

La fraternitÀ OFS

di Ancona in festa

Il 20 novembre 2011 la Frater-

nità Ofs di Ancona ha festeg-

giato la santa Patrona Elisabetta

d’Ungheria vivendo una gior-

nata di intense emozioni.

L’ammissione in fraternità della

sorella Simona Lucchetti e

durante la celebrazione Eucari-

stica presieduta dall’Assistente P.

Adriano Scalini, tre sorelle

hanno emesso la professione

nell’Ofs, portando una folata di

serenità e speranza in questa

bella Fraternità del capoluogo

regionale: Silvia Ciaramella, Sil-

via Mariotti e Stefania Nardozi.

È seguito un momento di festa

tra tutte le consorelle e confra-

telli presenti.

94

Ordine Francescano Secolare

fr. Giulio Criminesi - P. ProvincialeOFM Cappuccini e presidente diturno del Convegno insieme a fr.Giuseppe Bonardi – PadriFrancescani del TOR Presidentedella CAS regionale

Ordinazione diaconale di Emilio Capogrossi

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Page 47: Voce Francescana 2/2012

95

Secondo una superstizione,

la sposa che pone delle radici di

margherita sotto il proprio guan-

ciale sarebbe sicura di riconqui-

stare il cuore del marito infedele.

Poiché è in grado di vincere

le correnti contrarie e le cascate,

in Giappone la carpa è conside-

rata simbolo di coraggio, resi-

stenza e perseveranza.

Le prime bustine per fare il tè

furono poste in vendita negli

Stati Uniti, intorno al 1920, e da

là si diffusero presto in tutto il

mondo.

In un solo anno, il 1962, papa

Giovanni XXIII pronunciò più

di cento discorsi.

Una delle più antiche can-

dele di cui ci sia giunta traccia

risalirebbe al sec. I d.C.: ne è

stato ritrovato un frammento a

Vaison-la-Romaine, vicino ad

Avignone.

Secondo Plinio il Vecchio, un

sicuro metodo per evitare i fasti-

diosi effetti dell’ubriachezza du-

rante i banchetti, era quello di far

precedere le portate da una be-

vanda a base di zafferano.

Il camaleonte può «sparare»

la lingua fuori dalla bocca a una

velocità di 21,6 km orari, e può

catturare un insetto posto ad una

distanza pari a 1,5 volte il pro-

prio corpo in 20 millesimi di se-

condo.

È stato calcolato che poco più

della metà dell’intera popola-

zione mondiale ha meno di tren-

t’anni.

In gioventù Iosif Stalin, il dit-

tatore sovietico, aveva studiato

teologia in seminario.

Gli ippopotami riescono a

camminare e persino correre sot-

t’acqua, in apnea, alla velocità di

circa 10 km orari.

Già 4.000 anni fa Babilonesi,

Egiziani e Cinesi distinguevano

le principali costellazioni, osser-

vavano i fenomeni celesti e pre-

vedevano le eclissi.

Nell’isola greca di Nasso, del-

l’antico imponente tempio di

Apollo è rimasta in piedi

un’unica parte: i pilastri e l’ar-

chitrave dell’ingresso.

Le spugne hanno una capacità

di rigenerazione sviluppatissima:

se vengono schiacciate e fatte

passare attraverso la trama di

una garza, le cellule si possono

riaggregare per dare vita a un

nuovo organismo.

La telecamera subacquea di

una stazione petrolifera nel Mare

del Nord ha ripreso un’uria che,

per procurarsi prede, era rimasta

alla profondità di 97 metri, sop-

portando per 30 secondi una

pressione dieci volte superiore

che in superficie.

Secondo una superstizione

che in tempi antichi era diffusa

nelle campagne russe, un fungo

smette di crescere se lo sguardo

di una persona si posa su di esso.

Se viene aggredita improvvi-

samente, l’oloturia (detta anche

«cetriolo di mare») può estro-

flettere gli organi interni e la-

sciarli sul posto, per disorientare

l’avversario, e fuggirsene lon-

tano: con il tempo, poi, rigenera

le parti di cui si è mutilata.

A Port Royal, in Giamaica,

venne ritrovato un orologio d’ar-

gento rimasto sepolto sotto le

macerie del terremoto che nel

1692 colpì la città: riparato dopo

275 anni, riprese a funzionare

perfettamente.

Nell’antica Roma, il corpo di

chi era stato crocifisso rimaneva

insepolto: l’uso di affidarlo a fa-

miliari o amici (come avvenne

nel caso di Gesù) risale solo al-

l’epoca di Augusto.

Le operaie di alcuni tipi di

formiche vivono fino a 7 anni,

mentre le regine anche 15.

Da una ricerca statistica vo-

luta da papa Clemente VI, risultò

che l’epidemia di peste degli

anni 1347-51 aveva mietuto in

Europa oltre 42 milioni di vit-

time.

In tempi antichi, gli innamo-

rati avevano l’abitudine di scam-

biarsi anelli di ferro da calamite:

il loro magnetismo simboleg-

giava il desiderio di non vedere

svanire l’attrazione reciproca.

Le navi da guerra del ’500

erano armate con cannoni che

avevano una gittata masssima di

200 metri. Questa era però del

tutto teorica, perché in realtà le

bordate causavano danni al ne-

mico solo a distanze molto infe-

riori.

Secondo lo storico greco Ero-

doto, la costruzione della pira-

mide di Cheope, una fra le Sette

Meraviglie del mondo antico, ri-

chiese per vent’anni il lavoro di

100.000 persone.

Il puma, il felino diffuso in

America, è un abilissimo salta-

tore: con un balzo, partendo pra-

ticamente da fermo, è in grado di

portarsi su un albero alto anche

fino a 7 metri.

In passato si era convinti che

il primo uovo deposto da una

gallina portasse fortuna a chi lo

mangiava: le madri, inoltre, lo

davano da succhiare ai figli in

fasce, per far si che venisse loro

una bella voce e cominciassero

presto a parlare.

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Page 48: Voce Francescana 2/2012

Bimestrale delle Missioni Estere e dellʼOrdine Francescano SecolareFrati Cappuccini - Piazzale Cappuccini, 1 - 62019 RECANATI (MC)

Poste Italiane S.p.A. - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003(Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 2, DCB Pesaro

In caso di mancato recapito inviare allʼUfficio di Pesaro CPO, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

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