The World of il Consulente n. 35 del 2012

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Contratti a termine e intermittenti Le dimissioni dal lavoro dopo la riforma Fornero Falso in fatturazione Il rapporto di lavoro dirigenziale L’altra faccia di… Dubai Presenze record al convegno Fornero Metti un laureato a cena Quale sindacato per i futuri professionisti I Quaderni del Consulente

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Contratti a termine e intermittentiLe dimissioni dal lavoro dopo la riforma ForneroFalso in fatturazioneIl rapporto di lavoro dirigenzialeL’altra faccia di… DubaiPresenze record al convegno ForneroMetti un laureato a cenaQuale sindacato per i futuri professionistiI Quaderni del Consulente

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Contratti a termine e intermittentiLe dimissioni dal lavoro dopo la riforma ForneroFalso in fatturazioneIl rapporto di lavoro dirigenzialeL’altra faccia di… DubaiPresenze record al convegno ForneroMetti un laureato a cenaQuale sindacato per i futuri professionistiI Quaderni del Consulente

N°35 - 15 novembre 2012

Periodico telematico - Reg.Tribunale di Roma n. 280 del 20 settembre 2011

House Organ del Consiglio provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma - Pubblicazione quindicinale

Direttore Responsabile Lorenzo Lelli

Comitato Scientifico Gabriella Di Michele - Aldo Forte

Giuseppe Sigillò Massara Pierluigi Matera - Antonio Napolitano

Antonio Maria Rinaldi - Vincenzo Scotti Virginia Zambrano

Redazione Eleonora Marzani

Massimiliano Pastore Daniele Donati

Giuseppe Marini Paolo Stern

Andrea Tommasini Aldo Persi

Editore Ordine dei Consulenti del Lavoro

Consiglio Provinciale di Roma IT 00145 Roma RM

Via Cristoforo Colombo, 456 Tel. 06 89670177 r.a. - Fax 06 86763924 www.consulentidellavoro-roma.it

Segreteria: [email protected]

Ente di Diritto Pubblico Legge 11-1-l979 N.12

Redazione: [email protected]

Questo numero è stato chiuso in redazione il 15-11-2012

Foto: elaborazione grafica di Carlo Busi

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1The world of il Consulente

Care colleghe e cari colleghi,è noto a tutti quanto sia difficoltoso e oneroso gesti-re pratiche di competenza dell’INPS, l’Istituto che invece di assistere il cittadino in difficoltà, lo finisce a colpi di burocrazia! E il peggio deve ancora arri-vare!Il CPO di Roma ha più volte sollecitato i dirigenti Inps per porre rimedio a quelle criticità che oggi sembra-no essere insostenibili: la maggior parte dei colleghi trova difficoltoso infatti utilizzare il sito istituzionale dell’INPS, le cui risposte sono spesso tardive e non esaustive; i “canali telefonici” e gli “sportelli” non sono più utilizzabili; e risulta estremamente complicato anche l’accesso diretto agli uffici, con i quali è arduo concordare appuntamenti e, nei casi in cui questi ulti-mi non siano richiesti, i tempi di attesa vanno da 30 a 60 minuti; per non parlare dei tempi dell’espletamen-to delle pratiche, sempre a ridosso delle scadenze, un esempio per tutti: l’emissione dei DURC.In tutto questo desolato scenario, l’Istituto, invece di trovare soluzioni per arginare le conseguenze di scelte strategiche inadeguate, magari riorganizzan-do la propria struttura in profondità per portare un concreto valore aggiunto ai cittadini, si “diverte” a stipulare accordi illegittimi con associazioni di tri-butaristi!L’accordo di collaborazione operativa firmato a fine ottobre tra l’Inps e i tributaristi iscritti a Int, Ancot, Ancit, Lapet, Lait relativo al “Cassetto previdenziale per artigiani e commercianti” finalizzato alla gestio-ne dei lavoratori autonomi, è infatti l’ennesima vio-lazione alle leggi dello Stato e una, neanche tanto velata, forma di abusivismo professionale. Il primo passo verso l’autoregolamentazione e l’arbitrario as-

soluto diniego della legge, che viola i diritti dei lavo-ratori, nella fattispecie dei lavoratori autonomi che non vengono al meglio assistiti e degli stessi Con-sulenti del Lavoro che vengono derubati delle pro-prie competenze e del proprio lavoro in un momento particolarmente delicato sia a livello economico che istituzionale. L’art. 39 Dl 112/08, disciplinando l’istituzione e te-nuta del Libro Unico del Lavoro, assimila totalmente la figura del lavoratore parasubordinato a quella del lavoratore subordinato, e secondo quanto disposto dalla Legge 12/1979, sono i Consulenti del Lavoro ad avere la prerogativa e la professionalità per assi-stere il datore del lavoro nella tutela di tali figure pro-fessionali. I tributaristi non sono contemplati nella citata normativa, in quanto non hanno le peculiarità tecniche richieste dalla norma per la gestione legale e previdenziale delle risorse umane. L’Inps dovrà fare un passo indietro, ammettendo l’illegittimità dell’intesa stipulata, onde evitare di accendere la miccia che porterà inevitabilmente al caos, oggi per il consulente del lavoro, domani per quale professionista? Immagino tante piccole tes-sere di un domino che cadono l’una dietro l’altra, spinte dall’iniziale illegittimo input, innescando una reazione a catena le cui conseguenze potrebbero es-sere notevolmente gravose per l’intero mondo delle professioni.Il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro si sta muovendo nelle opportune sedi per impugnare il protocollo d’intesa e accertare l’illecito: la violazione della Legge 12/79. Questa faccenda non finisce quì! Ne sentiremo anco-ra parlare, statene certi!

Inps, tra disservizie accordi illegittimi

Editoriale

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2 The world of il Consulente

27L’altra faccia di… DubaiLavoratori attirati e raggirati da datori di lavoro senza scrupoli

di Giuseppe Marini

14Falso in fatturazione

Una recente pronuncia della suprema

Corte di Cassazionedi Giuseppe Maria Gallo

16Il rapporto di lavoro

dirigenzialeIl dirigente alla luce dell’evoluzione

giurisprudenzialedi Stefano Canali De Rossi

4 Contratti a termine

e intermittenti Le nuove disposizioni: freno

alla precarietà o all’occupazione?di Paolo Stern

8Le dimissioni dal lavoro dopo la riforma Fornero

Le nuove norme destinate a combattere il fenomeno delle

“dimissioni in bianco”di Euremio Massi

Sommario

30Presenze record

al convegno ForneroOltre 700 persone al Convegno“A tre mesi dalla riforma lavoro” organizzato dalla CPO di Roma

di Andrea Tommasini

32Metti un laureato a cena

Le lauree, ulteriore “ponte” verso il dialogo e la conoscenza

interpersonale e la crescita culturale della Categoria

di Andrea Tommasini

34Quale sindacato

per i futuri professionistiConsidarazioni dal full day

di Andrea Parlagreco

35I Quaderni

del ConsulenteLa mediazione fiscale obbligatoria

ex art. 17-bis D. Lgs. 546/92

In Focus

1the world of il Consulente

Inps, tra disservizie accordi illegittimi. L’editoriale del Presidente

di Adalberto Bertucci

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• Convegno Lunedì 19 novembre 2012 - ore 14:45

Oly Hotel - Via Santuario Regina degli Apostoli 36 – Roma

Definizioni liti ultradecennali in Commissione Trib. Centrale Diniego delle definizioni delle liti pendenti

Novità IVA in materia di cessioni e locazioni immobiliari alla luce della L. 7/8/2012 n. 134

Le problematiche del reverse charge e del pro rata nelle cessioni e locazioni immobiliari

• Convegno

Giovedì 22 novembre 2012 – ore 14:45 Oly Hotel - Via Santuario Regina degli Apostoli 36 - Roma

Parliamo di IMU:

casi particolari ed esempi pratici

Convegno Lunedì 26 novembre 2012 - ore 9:00

Luogo Evento da definire

LA RIFORMA FORNERO - L. 28 giugno 2012 n. 92

Chi fosse interessato a partecipare potrà prenotarsi esclusivamente attraverso il ns. sito internet www.consulentidellavoro-roma.it – “Prossimi Eventi – dettaglio- partecipa” (inserendo nome utente e password). Ricordiamo inoltre ai prenotati, che in caso di sopravvenuta impossibilità a partecipare al suddetto evento formativo, va effettuata la relativa disdetta, per dar luogo alla prenotazione da parte di altri iscritti. (art. 9 del Regolamento FCO)

Ordine

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Ritengo necessaria una breve premessa: quale è stato l’obiet-tivo della manovra Fornero? In estrema sintesi, cercare il “grande scambio”. Cioè aumen-tare la cd. flessibilità in uscita in cambio di un minor ricorso alle cd. flessibilità in entrata, con lo scopo di combattere il “precariato” che ha caratte-rizzato il nostro mercato del lavoro negli ultimi anni. Indi-viduato quindi l’obiettivo della Riforma, la domanda che se-gue sarà naturalmente questa: in questo scambio è stato trova-to il giusto equilibrio? E poi in un momento in cui la disoccu-pazione tocca picchi storici era il caso di porre freni all’occupa-bilità dei lavoratori? Era il caso di limitare rapporti di lavoro, ancorchè flessibili, favorendo di fatto delocalizzazione di im-prese, lavoro nero o stagnazio-ne dell’occupazione? Forse al di là del merito di molte scelte compiute dal Legislatore, su cui però ci sarebbe tanto da ragionare, quello che appare più stridente è la mancata sin-cronia con il momento di crisi economica vissuta dal Paese. Il diritto positivo non è immutabi-le e va legato al periodo storico,

alle esigenze del tempo: ecco questo credo che non sia stato fatto parlando di flessibilità in entrata al lavoro.Di sicuro tre mesi costituisco-no un arco temporale troppo breve per giudicare la riforma nel suo complesso, di certo non è presto però per evidenziare quelle criticità che si erano mo-strate fin dalla sue entrata in vigore, come ad esempio quel-le che riguardano le due tipo-logie contrattuali che andiamo ad analizzare e che sono ormai definite come “atipiche” ormai solo dal Legislatore costituen-do per le imprese forme “tipi-che” di inserimento al lavoro.Con riguardo al contratto a ter-mine, la novità più interessan-te introdotta dalla Legge 92 è senz’altro quella della possibi-lità di prevedere un contratto privo di causa (cd. contratto a-causale) quale primo rapporto a tempo determinato, di dura-ta non superiore a 12 mesi, sia nella forma di contratto a tem-po determinato diretto sia nel caso di prima missione nell’am-bito di un contratto di sommini-strazione a tempo determinato. Senz’altro una novità interes-sante, che è stata accolta con

favore dagli operatori del setto-re, ma che deve essere analiz-zata con molta attenzione.Tale previsione normativa è stata giustificata, in prima bat-tuta, dalla maggior parte dei commentatori, me compre-so, individuando nell’ipotesi del contratto a termine senza causa quella del contratto di “conoscenza” tra le parti. Ba-sandosi su questa ratio si è por-tati a pensare che, affinché tale contratto possa considerarsi legittimo, era necessario che tra lavoratore e datore di lavo-ro non ci fosse stato in prece-denza alcun rapporto di lavoro, così da perseguire il senso che il legislatore aveva voluto attri-buire alla fattispecie. In questo senso si esprime chiaramente la circolare 18 del 18/07/2012 del Ministero del Lavoro.Se però, nell’analizzare la nor-ma, ci soffermiamo su quello che la lettera del legislatore (comma 9, lett. B), art. 1 L.92 / 2012) recita testualmente ve-rifichiamo che ciò che rileva ai fini della legittimità o meno di tale tipo contrattuale è solo l’esistenza di un precedente rapporto a tempo determinato, già intercorso tra quel lavora-

“A tre mesi dalla Riforma” così il suggestivo titolo del convegno cui sono stato invita-to a partecipare il 29 ottobre 2012, e nell’ambito del quale ho avuto l’occasione di analizzare due degli istituti che hanno presentato le maggiori criticità in seguito alle modifiche apportate dalla recente riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012).

Contratti a termine e intermittentiLe nuove disposizioni: freno alla precarietà o all’occupazione?

Lavoro

di Paolo SternConsulente del Lavoro

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tore e lo stesso datore di lavo-ro. Basandoci quindi su una interpretazione letterale della norma, un contratto a-causale potrebbe essere legittimo con un lavoratore già conosciuto dal datore di lavoro mediante contratti a tempo indetermina-to. Tale posizione sarebbe poi in linea con quanto disposto dall’Unione Europea nella Di-rettiva n. 1999/70/CE. La direttiva stabilisce condi-zioni oggettive (clausola 5, n.1) che devono essere presenti perché un contratto a termine sia legittimo ma, come succes-sivamente affermato anche dal-la Corte di Giustizia (in Angeli-daki e altri, 23 aprile 2009), tali condizioni non sono necessarie nell’ipotesi di primo contratto, essendo state previste solo con lo scopo di prevenire un utiliz-zo abusivo dei contratti o rap-porti di lavoro a tempo deter-minato successivi.Il Ministero, come ricordato, è intervenuto tempestivamente sulla questione con la circola-re del 18 luglio 2012 afferman-do che, se il contratto a tempo

Lavoro

determinato è preceduto da un contratto di tipo subordinato (quindi anche a tempo inde-terminato), non potrà esserci a-causalità. Al contrario sarà possibile stipulare il contratto a-causale nelle ipotesi in cui questo sia preceduto da un contratto diverso (para-subor-dinato). Siamo certi che il Legislatore abbia scritto proprio questo? E se invece, come ho suggerito, la chiave interpretativa fosse nella parola “rapporto” a tempo determinato? In questa ipotesi, ad esempio, non sarebbe possibile stipula-re un contratto a-causale dopo una collaborazione a progetto (in quanto rapporto di lavoro a tempo determinato) mentre in-vece sarebbe senz’altro ammis-sibile l’applicazione della fat-tispecie in esame anche dopo che ci sia già stato un contratto subordinato a tempo indeter-minato fra i due contraenti, per altre ragioni già concluso.Essendo quindi la fattispecie prevista dal comma 9 dell’art. 1 della legge 92/2012 di appli-

cazione ancora incerta, è consi-gliabile applicarla con estrema prudenza, in attesa di quella giurisprudenza cui, con ogni probabilità, spetterà stabilire i limiti e l’effettiva applicabi-lità dell’istituto. Quindi il mio consiglio è quello di evitare la stipulazione di un contratto a termine a-causale se lo stesso sia preceduto da un contratto a progetto.Nessuna remora o limitazione se a precedere il TD sia stato un tirocinio poiché, come è noto, in questo caso non si co-stituisce alcun rapporto di lavo-ro.

L’intervento Fornero prevede poi un ulteriore ipotesi di con-tratto a-causale, lasciata alla contrattazione collettiva. I con-tratti collettivi possono infatti prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, che possano esse-re stipulati contratti a termine senza causa nelle ipotesi in cui l’assunzione avvenga nell’am-bito di un processo organizza-

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tivo determinato da particolari ragioni produttive (es. lancio di un nuovo prodotto, avvio di nuova attività, proroga di una commessa consistente etc.). Tale possibilità è prevista però nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupa-ti nell’ambito dell’unità produt-tiva, limite che lascia di fatto escluse dalla previsione le pic-cole e micro-imprese, che co-stituiscono il 90% delle imprese italiane.Il secondo aspetto di comples-sità, sempre con riferimento al contratto a termine, sta nel li-mite di durata massima (di rei-terazione) del contratto stipu-lato con lo stesso lavoratore in 36 mesi, compresa, dal 18/07 in poi, l’ipotesi della sommini-strazione a tempo determina-to avente ad oggetto mansioni equivalenti.Poiché la legge nulla dice di nuovo con riguardo ad un even-tuale periodo massimo di com-puto entro il quale va effettuato il conteggio dei 36 mesi, si do-vrebbe continuare ad intendere che il conteggio può esser fatto retrocedere senza limiti, aven-

do cioè ad oggetto l’intera vita lavorativa del soggetto. Questa possibilità, oltre ovviamente a creare non pochi problemi alle imprese e agli stessi lavoratori che dovrebbero essere tutela-ti dalla norma, sembrerebbe anche in contrasto con la già citata sentenza della Corte di Giustizia del 23 aprile 2009, Angelidaki e altri. In questa oc-casione il giudice comunitario si interroga su cosa si intenda per successione di contratti e quando un secondo contratto a TD debba considerarsi suc-cessivo o semplicemente un nuovo contratto. La Corte di Giustizia ha affermato che, per esempio, trascorso un tempo di 90 giorni, due contratti non dovrebbero considerarsi con-secutivi (e forse non è un caso che proprio di 90 giorni parla la norma con riferimento agli ordinari periodi di latenza) con la conseguenza che il secondo contratto non sarebbe censura-bile con le norme volte ad evita-re una abusiva reiterazione dei contratti a termine.Il limite dei 36 mesi risulta superabile facendo ricorso al

contratto di somministrazio-ne a termine, che potrà quindi essere sempre stipulato anche dopo aver raggiunto tale limite temporale.Va però ricordato che la stessa norma inizialmente indica che il ricorso al contratto di som-ministrazione va comunque computato per il raggiungi-mento del limite massimo dei 36 mesi. Ma quando è allora che tale fattispecie va presa in considerazione? È interve-nuto a riguardo l’interpello n. 32 del 2012, nel quale viene specificato che il contratto di somministrazione va calcolato nel computo dei 36 mesi solo quando questo è seguito da un contratto a termine. Ne ri-sulta cioè che se un’eventuale somministrazione precede un contratto a tempo determinato, andrà considerata nel computo del raggiungimento dei limi-te di 36 mesi, raggiunto però il quale, sarà sempre possibi-le continuare ad impiegare lo stesso lavoratore tramite con-tratto di somministrazione a tempo determinato.Al datore di lavoro, come da

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anni sappiamo, è data inoltre la possibilità della ‘proroga’, la quale dovrà essere motivata da cause oggettive, cioè dovrà di-mostrarsi necessaria a seguito di una reale esigenza di prose-cuzione del contratto che non era stata prevista nel momen-to in cui il contratto era stato stipulato, esigenza che sia ac-cettata dal lavoratore e che ciò risulti da atto scritto.Tale possibilità non sarà co-munque mai possibile con rife-rimento al contratto a-causale di avvio (art. 1, c. 1bis, L.92 / 2012).È poi prevista anche la cd. ‘pro-roga di fatto’, cioè la possibili-tà di prolungare la durata del rapporto di 30 giorni in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi ovvero di 50 in caso di contratto con durata superiore senza alcun tipo di formaliz-zazione e/o di accettazione da parte del lavoratore. L’istituto della prosecuzione del contrat-to è volto ad evitare involonta-rie trasformazioni del contratto a tempo indeterminato a ragio-ne di una banale dimenticanza della scadenza prefissata. La previsione, oggi confermata ed ampliata quanto a durata dal Legislatore, appare in con-trasto con l’onere gravante sul datore di lavoro di comunicare al Centro per l’impiego, entro la scadenza del termine inizial-mente fissato, che il rapporto continuerà oltre tale termine, indicandone la durata della pro-secuzione. Ci troviamo quindi di fronte al paradosso nel quale il datore di lavoro, dimentico del termine entro cui il contrat-to avrà termine, si deve però ri-cordare di eseguire la comuni-cazione al Centro per l’impiego della prosecuzione, prima della scadenza del predetto termine. Un vero rebus inspiegabile che, vista la pubblicazione in GU

dello specifico DM, sarà opera-tivo dal 25/11/2012.Come anticipato in apertura, la seconda tipologia contrattuale esaminata è quella del contrat-to di lavoro intermittente. Previsto dal D.lgs. 276/2003, poi abrogato ad opera della L. 247/2007, ripristinato dal D.L. 112 del 2008 e infine modifica-to dalla recente Riforma Forne-ro (L. 92/2012). Si può dire brevemente che il contratto di lavoro intermitten-te è quello tramite il quale un lavoratore si pone a disposizio-ne di un datore di lavoro che ne potrà utilizzare le prestazioni all’occorrenza, senza aver pre-definito né la quantità né la distribuzione temporale delle stesse. A chiamata, appunto. Proprio per prevenire possibili forme di elusione nell’utilizzo di questa tipologia contrattuale interviene la manovra Fornero. Questa infatti, oltre a prevedere che i contratti a chiamata pos-sano essere avviati o in presen-za di nuovi requisiti anagrafici del lavoratore (età minore di 24 anni o maggiore di 55) o nelle ipotesi stabilite dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, impone anche un obbligo di comunicazione am-ministrativa preventiva, da ef-fettuarsi con specifiche moda-lità (sulle quali per altro è stata generata ulteriore confusione) per ogni chiamata del lavorato-re. Insomma ancora una volta si tende a prevenire un abuso utilizzando un adempimento formale la cui violazione risulti fortemente sanzionata. Prima di ogni chiamata il DL dovrà inviare una comunicazione alla DTL competente in cui indiche-rà gli estremi del lavoratore e la giornata o le giornate (massi-mo 30) di lavoro previste. Sulle modalità di comunicazione del-la chiamata alla DTL il balletto

dei comunicati ministeriali di fine luglio e dei primi di agosto risulta quanto di più sconcer-tante possa ipotizzarsi. Basti solo ricordate che in data 9/08 si ordinò alle imprese di attiva-re nuove modalità di comuni-cazione dal successivo lunedì 13/08, rischiando in caso di er-rore, una sanzione amministra-tiva che va da un minimo di 400 euro ad un massimo di 2.400 euro. Quasi offensiva risulta la circostanza che il numero tele-fonico cui inoltrare sms previ-sto nell’ordine del 9/08 risulta ad oggi ancora inattivo!La circolare ministeriale 18/2012 ha poi individuato un’ulteriore comunicazione, per altro in nessuna legge prevista, che abbia ad oggetto l’annullamento o la modifica della chiamata da effettuarsi, come rettificato dalla circolare 20 dello stesso Ministero del Lavoro, entro le 48 ore succes-sive alla mancata prestazione lavorativa. Paradossalmente l’eventuale omissione di tale comunicazione successiva sarà sanzionata in modo maggiore rispetto alla mancata comuni-cazione preventiva della chia-mata, in quanto si aggiungerà alla sanzione già prevista per la mancata comunicazione pre-ventiva anche il pagamento del-la retribuzione e della contri-buzione per i periodi lavorativi previsti e non annullati. Ritengo che non si debba esse-re indovini per ipotizzare nuovi prossimi aggiornamenti alle norme in commento e pertan-to, visto il clima di incertezza, ritengo che sia auspicabile da un lato una prudenza applica-tiva da parte dei consulenti, e delle loro imprese assistite, e dall’altro chiarimenti ministe-riali maggiormente ragionati di quelli ricordati.

Lavoro

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Riforme

di Euremio MassiDirettore della Direzione territoriale del Lavoro di Modena

Con alcuni commi inseriti nell’art. 4 della legge n. 92/2012, il Legislatore ha inteso reintrodurre alcune disposizioni finalizzate a rimettere nel nostro sistema giuridico un complesso di norme destinate a combattere il c.d. fenomeno delle “dimissioni in bianco”, già oggetto di una specifica disciplina, contenuta nella legge n. 188/2007, che, per una serie di motivi, ebbe una

vita molto breve, in quanto il decreto attuativo visse soltanto 96 giorni, prima di essere abrogato con l’art. 39, comma 10, lettera l) del D.L. n. 112/2008, convertito nella successiva legge n. 133/2008.

Con queste parole si intende una situazione di palese illegalità, molto presente, purtroppo, nel nostro Paese, finalizzata ad obbligare un lavoratore (e più volte, una lavoratrice, per evidenti ragioni legate al proprio “status” di donna) a firmare una lettera di dimissioni senza data, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro: al di là dei possibili risvolti economici, è evidente l’intento ricattatorio che sussiste in tali situazioni. La pratica delle “dimissioni in bianco” è un fenomeno deprecabile che va combattuto ma, nonostante una serie di sforzi finalizzati a “quantificarne” il numero, non se ne conosce la reale dimensione.Ora, il Legislatore della riforma, prova ad ipotizzare un intervento più organico che dovrebbe eliminare od attutire una serie di questioni.Prima di entrare nel merito è opportuno ricordare, in via generale, che le dimissioni, atto unilaterale ricettizio debbono, per previsione contenuta in molti contratti, essere date in forma scritta, pur non costituendo questa la regola assoluta, comportando soltanto un particolare rigore nell’accertamento di un eventuale negozio orale di dimissioni (Cass. n. 4760/2000). Ovviamente, a prescindere dalla specifica normativa sulla quale si sta riflettendo, è necessario rimarcare come le dimissioni possano essere annullate per una serie di vizi (violenza, errore e dolo) o in caso di incapacità d’agire.

Ma andiamo con ordine cominciando dalla modifica del comma 4 dell’art. 55 del D.L.vo n. 165/2001 che disciplina le modalità di convalida delle dimissioni della lavoratrice e del lavoratore, in relazione alla presenza in famiglia di un bambino in tenera età. Tale disposizione va vista in un’ottica di “difesa” della lavoratrice madre in un momento nel quale è terminata la tutela legale legata alla impossibilità del licenziamento fino al compimento di un anno dalla nascita del bambino e nel quale, per diversi motivi, cominciano a rilevarsi alcuni problemi, di difficile soluzione, legati alla collocazione del bambino ed all’inserimento ad un eventuale nido dello stesso. Di qui anche una stretta correlazione con un altro “pezzetto” della riforma che, alcuni commi dopo, prevede la possibilità di voucher per baby – sitting, ma la piena operatività, tenuto conto delle scarse risorse economiche a disposizione, è rimandata ad un decreto attuativo del Ministro del Lavoro. Il nuovo testo dispone che “la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’art. 54, comma 9, devono essere convalidate dal

Le dimissioni dal lavoro dopo la riforma Fornero Le nuove norme destinate a combattere il fenomeno delle “dimissioni in bianco”

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servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto”.La disposizione trova applicazione sia in caso di dimissioni che di risoluzione consensuale del rapporto. Qui, è stato fatto un “passo in avanti” rispetto alla dizione contenuta nel vecchio art. 55: infatti, la risoluzione consensuale del rapporto non era prevista e con l’introduzione della stessa sono state superate anche talune obiezioni della Magistratura di merito (Trib. Milano, 27 luglio 2004) secondo la quale la stessa era da considerarsi fuori dalla tutela normativa prevista per le mamme, atteso che in essa erano configurabili la manifestazione di volontà e di autonomia negoziale di entrambe le parti e non l’esercizio della volontà della sola lavoratrice.Il nuovo comma 4, oltre ad essere “onnicomprensivo” nel senso che si applica a tutta una serie di ipotesi come l’adozione, anche internazionale e l’affidamento, allunga il periodo di tutela che, oltre a comprendere il periodo di gravidanza della donna, si estende anche per il padre lavoratore fino al compimento dei primi tre anni di vita del bambino (o tre anni dall’accoglienza o dall’invio della comunicazione di adozione internazionale). Sia la risoluzione consensuale che le dimissioni sono sottoposte alla c.d. “convalida” dei servizi ispettivi della Direzione territoriale del Lavoro, competente per territorio che è quello ove insiste l’azienda presso la quale la dipendente (o il dipendente) presta la propria attività. A tale atto amministrativo il Legislatore subordina l’efficacia della risoluzione del rapporto. Quest’ultima deve tendere ad accertare l’effettività delle dimissioni e ciò può avvenire soltanto attraverso un colloquio finalizzato ad accertare che la volontà non sia stata coartata. Modalità diverse, come ad esempio la verifica del documento, senza alcuna indagine specifica, non sono sufficienti per l’accertamento dell’autenticità in quanto foriere di comportamenti elusivi e distorsivi (nota Min. Lavoro n. 7001 del 4 giugno 2007). Tale principio è stato ribadito dallo stesso Dicastero del Welfare in data 26 febbraio 2009 (prot. n. 25/II/2840), laddove è stata sottolineata la necessità di procedere ad un colloquio con la lavoratrice o il lavoratore interessato, con compilazione di uno specifico modello, e di informare circa la possibilità di rivolgersi alla Consigliera provinciale di parità. La disposizione su cui è intervenuto il Legislatore è soltanto quella già disciplinata dall’art. 55, comma 4, la quale va vista di per se stessa e non

esplica alcun effetto sull’art. 54, commi 1 e 2 che non sono stati “toccati” e che disciplinano il divieto di licenziamento fino al compimento di un anno dalla nascita del bambino (dall’adozione o dall’affidamento) e vi correlano sia l’indennità per mancato preavviso in caso di dimissioni (a carico del datore di lavoro) che le eventuali prestazioni di sostegno al reddito. È appena il caso di precisare che il comma 4 dell’art. 55 si riferisce alla procedura di convalida delle dimissioni entro il terzo anno di vita del bambino, ma non incide sulla potestà datoriale di risolvere, ricorrendone le motivazioni, il rapporto di lavoro, trascorso il periodo di tutela previsto dall’art. 54, comma 1.Con i commi compresi tra 17 e 23 il Legislatore entra “nel cuore” delle “dimissioni in bianco”, con modalità del tutto diverse da quelle ipotizzate nel 2007. Innanzitutto, si parla di efficacia delle dimissioni (sia dell’uomo che della donna) e della risoluzione consensuale del rapporto riferite a contratti di lavoro che sono, sempre, condizionate dalla convalida che può essere effettuata presso alcuni organi: la Direzione territoriale, il centro per l’impiego competenti per territorio o, ancora, una sede individuata dalla contrattazione collettiva nazionale sottoscritta dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.La disposizione merita alcune considerazioni.C’è, innanzitutto, da chiarire la portata della disposizione: si parla di dimissioni (nel silenzio della norma, anche quelle per giusta causa, mentre sembrerebbero da escludersi quelle avvenute durante la prova, potendo le parti risolvere in qualsiasi momento il rapporto) e di risoluzioni consensuali del rapporto, istituti che trovano la loro applicazione, nella maggior parte dei casi, ai contratti di lavoro di natura subordinata. Di conseguenza, sono immediatamente applicabili a tutte le tipologia nella quali possono ricorrere (ad esempio, contratti a tempo indeterminato, contratti a tempo determinato risoltisi prima della scadenza, apprendistato, contratto di inserimento ecc.). Ma la norma non sembra escludere, “a priori”, neanche i rapporti di natura autonoma, in quanto le dimissioni possono riguardare anche alle collaborazioni coordinate e continuative a progetto (il nuovo comma 2 dell’art. 67, nella versione modificata dall’ art, 1, comma 23, prevede le dimissioni anticipate se previste dal contratto individuale) ed alle associazioni in partecipazione, seppur certificate, nella versione consentita dal comma 29, dell’art. 1. La seconda considerazione riguarda la piena operatività della norma: a differenza di quanto

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previsto nella legge n. 188/2007 ove tutto era rimandato ad un D.M. attuativo del Ministero del Lavoro, emanato “di concerto” con quello della Funzione Pubblica, qui non risulta esserci alcun “condizionamento”, in quanto il decreto di natura non regolamentare, citato al comma 18, è eventuale (nel senso che il Dicastero del Lavoro “può”) e, in ogni caso, non è propedeutico all’attuazione operativa delle disposizioni, limitandosi ad affermare che lo stesso può individuare “ulteriori modalità semplificate per accertare la veridicità della data e la autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore, in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto, in funzione dello sviluppo dei sistemi informatici e della evoluzione della disciplina in materia di comunicazioni obbligatorie”. Del resto, la disposizione, anche facendo riferimento al punto ove è descritta, sembra riferirsi non alla convalida presso gli Enti individuati al comma 17, ma alla procedura alternativa (firma in calce alla ricevuta della comunicazione di cessazione del rapporto inviata telematicamente ai servizi per l’impiego).Di conseguenza, la piena operatività è scattata a partire dal 18 luglio 2012 e l’Amministrazione del Lavoro ha fornito, sollecitamente, alle proprie strutture periferiche i dovuti chiarimenti con la circolare n. 18 del 18 luglio 2012. Essi sono finalizzati ad individuare modalità di convalida uniformi e semplificate nella forma su tutto il territorio nazionale le quali, in ogni caso, non possono prescindere da una verifica sulla effettiva volontà di chi risolve il rapporto di lavoro. Ciò, a mio avviso, dovrà comportare un effettivo impegno dei funzionari addetti per accertare la volontà dell’interessato, in quanto una diversa volontà dello stesso accertata ed espressa (violenza morale, minaccia di licenziamento, alternativa tra dimissioni e denuncia penale, comportamento intimidatorio e minacce vessatorie anche per motivi religiosi, sindacali e politici, ecc), ha un effetto immediato e conseguente: la sospensione dell’efficacia del recesso con tutto ciò che ne consegue in ordine alla continuazione del rapporto. È ovvio come, in presenza di una situazione di tal genere, la Direzione territoriale del Lavoro debba informare sollecitamente il datore di lavoro circa l’inefficacia delle dimissioni presentate con tutte le conseguenze correlate al rapporto di lavoro che continua.È interessante fare anche una breve riflessione su quali siano i datori di lavoro potenzialmente interessati: la norma non pare effettuare alcuna

distinzione, sicchè sembrerebbero compresi sia quelli pubblici, sia pur con qualche dubbio, (si pensi, ad esempio, alla risoluzione “ante tempus” di un rapporto di lavoro a tempo determinato con un avventizio o un operaio o di un contratto a tempo indeterminato) che quelli privati, ivi compresi quelli titolari di un rapporto di lavoro domestico. Per la verità, per quel che concerne i primi (i datori di lavoro pubblici) è necessario tenere presenti i commi 7 ed 8 dell’art. 1 della legge n. 92/2012, i quali affermano che “le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolamentazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”: sul punto, al momento e con esclusivo riferimento alla procedura di convalida delle dimissioni, non è intervenuto alcun chiarimento sia da parte della Funzione Pubblica che del Ministero del Lavoro.Il Legislatore, a differenza del passato, parla della risoluzione consensuale del rapporto che, nel 2008, aveva rappresentato la “valvola di sfogo” per aggirare la procedura relativa alla convalida delle dimissioni. Quest’ultima, sul piano strettamente giuridico, consiste in una condivisione “comune” espressa dal datore di lavoro e dal lavoratore, finalizzata a porre termine al loro contratto: in generale, è facilmente rinvenibile nella gestione di particolari situazioni “pesanti” vissute dall’impresa come, ad esempio, nei processi di ristrutturazione di riorganizzazione e, sovente, è utilizzata anche per non ricorrere o limitare il ricorso alle procedure collettive di riduzione di personale. Con la risoluzione consensuale che, preferibilmente, è da formulare in forma scritta, pur essendo possibile che scaturisca da comportamenti “concludenti” di entrambe le parti, si può stabilire una estinzione immediata del rapporto di lavoro, oppure concordare una efficacia differita ad una certa data: il rapporto continua con tutte le correlazioni contrattuali, ma anche soltanto per l’eventuale periodo di preavviso o il godimento delle ferie maturate. La necessità di convalidare anche i casi di risoluzione consensuale ha, curiosamente, effetti anche sui trasferimenti dei calciatori e dei professionisti sportivi in genere che sono considerati dal Legislatore, lavoratori subordinati, sia pure con regole diverse dalla generalità dei dipendenti (ad esempio, non si applica la “tutela reale”, o gli articoli 5 e 7 della legge n. 300/1970), per effetto della legge n. 91/1981. Spesso, soprattutto allorquando è previsto un

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“incentivo all’esodo” aggiuntivo rispetto alle competenza di fine rapporto, il datore di lavoro ha interesse a formalizzare le stesse con un accordo in sede sindacale (art. 411 cpc) o in sede amministrativa avanti alla commissione provinciale di conciliazione (art. 410 cpc). L’accordo raggiunto avanti a quest’ultimo organo che è presieduto dal Dirigente o da un funzionario della Direzione territoriale del Lavoro, può avere i requisiti richiesti dal Legislatore per la convalida, con la conseguenza che l’accordo economico è sì inoppugnabile, ma anche la risoluzione consensuale è efficace perché la volontà è stata accertata da un organo istituito presso la DTL e presieduto da un funzionario della stessa? La risposta è positiva anche alla luce degli orientamenti dettati dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 18 del 18 luglio 2011 che, peraltro, ha altresì escluso la convalida per quelle risoluzioni certificate in sede sindacale ex art. 411 cpc o in sede giudiziale ex art. 420 cpc. La stessa contrattazione collettiva del settore industria, con un accordo interconfederale datato 3 agosto 2012 ha previsto quale sede di convalida quella sindacale ex art. 411 cpc, rimandando alle pattuizioni di categoria l’individuazione di altre sedi.Per completezza di informazione è opportuno sottolineare come la risoluzione consensuale del rapporto non dia luogo ad alcuna percezione

dell’indennità di disoccupazione (questo “status” non sarebbe involontario), a meno che la volontà del lavoratore non abbia trovato quale motivazione principale quella delle rilevanti mutazioni delle condizioni di lavoro per effetto, ad esempio, del trasferimento in altra sede oltre modo disagiata e distante oltre 50 Km. dalla propria abitazione (Circ. INPS n. 108 del 10 ottobre 2003), o sia avvenuta al termine della procedura conciliativa prevista dal nuovo art. 7 della legge n. 604/1966, che da diritto, dal 1° gennaio 2013, al trattamento di ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego).Un altro problema da esaminare riguarda i soggetti abilitati alla convalida: se per quel che concerne le Direzioni territoriali del Lavoro ed i centri per l’impiego, espressioni delle realtà del “collocamento provinciale”, non ci sono particolari problemi di individuazione, per quelli che dovrà prevedere la contrattazione collettiva nazionale, occorrerà attendere, dopo quello di Confindustria, CGIL, CISL e UIL al quale si è accennato pocanzi, un qualche “avviso comune” che potrebbe, ad esempio, individuare, laddove esistente, la sede dell’Ente paritetico bilaterale o altro organismo similare o, come si diceva, la sede sindacale per gli accordi ex art. 411 cpc.L’individuazione della Direzione del Lavoro o, in alternativa, del centro per l’impiego avviene sulla base della competenza territoriale: nulla dice in più il Legislatore, per cui si ha motivo di ritenere che per la stessa non possa che farsi

riferimento alla sede aziendale, ossia al posto di lavoro in cui è addetto il

soggetto dimissionario. Certo, a regime, si porrà anche il problema di una eventuale

convalida da effettuarsi, ad esempio, in un altro territorio ove l’interessato

risieda, oppure si trovi moment aneamente: ciò, in una logica di

semplificazione e di “servizio al cittadino” potrebbe, senz’altro,

essere possibile, magari con il supporto amministrativo di una

nota ministeriale interpretativa.La procedura

prevista dal comma 17 non è la sola

individuata dal Legislatore. Infatti,

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in alternativa, l’efficacia della risoluzione del rapporto sia consensuale che per dimissioni può essere raggiunta attraverso la firma del soggetto interessato sulla ricevuta del modulo di cessazione (UNILAV) inviato telematicamente ai servizi per l’impiego: tale sottoscrizione deve essere apposta sotto una dichiarazione con la quale si afferma che le dimissioni (o la risoluzione consensuale) sono avvenute volontariamente e senza alcuna costrizione. Ed è proprio in relazione a tale modalità che, come si diceva, il Dicastero del Welfare può ipotizzare ulteriori modalità semplificate che hanno, in ogni caso, l’obiettivo di verificare l’effettiva volontà del lavoratore o della lavoratrice interessata.Una delle grosse ed irrisolte questioni della normativa precedente era rappresentata dalla possibilità che il dipendente non accedesse a nessuna forma di convalida: allora, la conseguenza era una nullità assoluta delle dimissioni, con effetti, indubbiamente, aberranti se rapportati a situazioni del tutto particolari (lavoratore all’estero dipendente di un’impresa italiana che aveva trovato occupazione in un’altra azienda ubicata nello stato e che non tornava in Italia, per convalidare le dimissioni). Ora, il Legislatore, con i commi da 19 a 22 ha ipotizzato un iter “salvifico”, rispettoso sia della posizione aziendale che di quella del lavoratore e del proprio diritto al c.d. “ripensamento”. Se l’interessato (o l’interessata) non aderiscono ad alcuna delle due procedure di convalida, il datore di lavoro deve formalizzare l’invito ad adempiere, inviando una comunicazione scritta (con copia della ricevuta di comunicazione di cessazione, qualora il dipendente intenda avvalersi dell’iter alternativo) al domicilio indicato nel contratto di lavoro o a quello successivamente comunicato o previa consegna a mano sottoscritta per ricevuta. Nei sette giorni successivi (vale il principio generale secondo il quale i termini decorrono dalla ricezione, con tutti i problemi di natura temporale legati alla “giacenza” ed all’effettivo ritiro), che possono sovrapporsi al c.d. periodo di preavviso, due sono le strade possibili: il lavoratore non fa nulla ed allora il rapporto si intende risolto per il venir meno della condizione sospensiva (comma 18), oppure (comma 19) le dimissioni o la risoluzione consensuale sono revocate. Quest’ultimo atto è preferibile che avvenga in forma scritta, pur se ciò non è obbligatoriamente richiesto dalla norma.Le questioni legate alla “ricezione della lettera raccomandata” possono, in alcuni casi, rappresentare un punto debole della procedura,

nel senso che il lavoratore, non ritirando la nota, potrebbe utilizzare il tempo per trovare un altro lavoro (magari, in maniera non ortodossa, con un periodo “in prova in nero” presso un altro datore di lavoro, trascorso il quale, non trovandosi bene, ritira la raccomandata e si ripresenta al lavoro). In questo caso, il primo datore di lavoro, se non ha “in mano” la prova del comportamento scorretto del proprio dipendente, non può far nulla ma deve soltanto accettare la ripresa del rapporto. In ordine a quanto appena detto, sono necessarie alcune considerazioni che potrebbero, in gran parte, risolvere alcune questioni prettamente operative, pur comprendendo che questa riforma, soprattutto nelle grandi imprese ed in quelle ubicate con più sedi su tutto il territorio nazionale o alle prese con un grosso “turn – over”, postula una diversa organizzazione degli uffici del personale, anche in considerazione del fatto che la procedura si applica a tutte le risoluzioni relative a rapporti di lavoro subordinato (tempo indeterminato, tempo determinato con dimissioni o risoluzione consensuale prima della scadenza del termine, apprendistato, ecc.). Il problema appare di una certa complessità gestionale, ad esempio, per le agenzie di somministrazione che sono alle prese, quotidianamente, con dimissioni anticipate dalle “missioni temporanee” e che, per dettato normativo, possono effettuare tutte le comunicazioni di assunzione, di cessazione e di proroga entro il venti del mese successivo.La comunicazione telematica di cessazione del rapporto al centro per l’impiego (per dimissioni o risoluzione consensuale) con una data successiva anche di parecchio (perché, ad esempio, comprensiva del periodo di preavviso lavorato) è “accettata” dal “sistema delle comunicazioni obbligatorie” e ciò può consentire, attraverso la ricevuta di ottemperare a quanto richiesto dal Legislatore.La medesima soluzione può essere adottata dalle imprese con più sedi sul territorio nazionale che hanno richiesto al Ministero del Lavoro l’accentramento delle comunicazioni, ad esempio, sulla sede legale, con la conseguente utilizzazione di un solo programma regionale. L’invio della comunicazione di cessazione avviene dal luogo prescelto per l’accentramento ma la ricevuta perviene dal sistema informatico della Regione ove si è svolto il rapporto di lavoro. Ma quali sono gli effetti della revoca delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto?

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Se il rapporto di lavoro si era interrotto, esso si ricostituisce dal giorno successivo alla comunicazione della revoca, ma se durante il periodo intercorrente dal recesso non vi sia stata prestazione lavorativa, non c’è alcun diritto di natura retributiva: cosi dispone la norma ma, evidentemente, non c’è neanche alcun obbligo di natura contributiva. Se, a seguito della interruzione del rapporto, erano stati corrisposti emolumenti (si pensi ad un incentivo all’esodo) o erano stabilite particolari pattuizioni, queste ultime vengono meno e quanto percepito deve essere restituito.La ricostituzione del rapporto ha effetti anche sull’adempimento amministrativo riguardante l’invio della comunicazione di cessazione al centro per l’impiego: ebbene, in caso di “nullificazione” delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto, va effettuata una comunicazione di ricostituzione del rapporto al centro per l’impiego.Ma cosa succede se il datore di lavoro rimane inerte rispetto alla mancata convalida delle dimissioni o della risoluzione del rapporto?La risposta ce la fornisce sempre il Legislatore al comma 22: se l’invito alla convalida o, in via alternativa, alla sottoscrizione della ricevuta della comunicazione di cessazione non è stato effettuato entro i trenta giorni successivi alla data della risoluzione del rapporto, le dimissioni sono prive di effetto. Quanto appena detto riveste una specifica e non secondaria valenza: deve cambiare il “modus operandi” delle aziende che debbono monitorare con costanza ed efficacemente tali fenomeni, in quanto una “mancata messa in mora” del dipendente, potrebbe portare a conclusioni non proprio piacevoli, atteso che le dimissioni “si considerano definitivamente prive di effetto”, con tutte le intuibili conseguenze del caso.Ma, in caso di dimissioni per causa di matrimonio, come ci si comporta? Il Legislatore, dopo aver parlato di una serie di ipotesi, ivi comprese le dimissioni durante il periodo di gravidanza (coperto da tutela), le ha forse volute ricomprendere nella casistica generale, oppure, senza averle citate, le considera un caso a se stante “coperto” dalla disciplina specifica contenuta già contenuta nell’art. 1 della legge n. 7/1963, secondo il quale sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, se non confermate entro un mese avanti alla Direzione territoriale del Lavoro?

La risposta, a mio avviso, risiede nella specialità della norma che non risulta essere stata abrogata: di conseguenza, le dimissioni presentate nel periodo “sospetto” sono affette da radicale nullità se non confermate e la stessa Corte di Cassazione ha ritenuto necessaria la conferma avanti alla Direzione del Lavoro anche per tutti gli altri atti di natura unilaterale rilevanti ai fini della risoluzione del rapporto, ivi comprese le rinunce a vizi sostanziali (Cass., n. 5734/1981). Circa le modalità di conferma delle dimissioni non può che farsi riferimento alla procedura individuata dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 45 del 31 marzo 1964, ribadita, per gli aspetti di natura contenutistica, riferiti all’attività di accertamento del funzionario della Direzione territoriale del Lavoro, dalla circolare n. 51 del 26 marzo 2001. L’interessata deve confermare la propria volontà ed il personale dell’Ufficio deve indagare, nei limiti del possibile, sulla reale volontà della lavoratrice dimissionaria. La eventuale nullità delle dimissioni come, del resto, quelle presentate ex art. 55, comma 4, del D.L.vo n. 165/2001 hanno quale conseguenza principale quella della corresponsione della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio. La lavoratrice che, invitata a riprendere servizio dopo l’allontanamento, rifiuti, deve esprimere questa sua volontà entro i dieci giorni successivi alla ricezione della comunicazione. Le dimissioni sono considerate, in questo caso, per giusta causa, cosa che da diritto, tra le altre cose, al “godimento” dell’indennità di disoccupazione. Il comma 23 si occupa degli aspetti sanzionatori e colpisce pesantemente chi abusi del foglio firmato in bianco finalizzato alla simulazione delle dimissioni o della risoluzione consensuale del contratto: fatto salva l’ipotesi correlata ad un fatto costituente reato, il datore di lavoro è punibile con una sanzione amministrativa compresa tra 5.000 e 30.000 euro. L’organo deputato ad accertarla e ad irrogarla è la Direzione territoriale del Lavoro, attraverso il proprio personale di vigilanza ed il proprio nucleo Carabinieri. Tale precisazione appare importante, in quanto nei casi in cui la violazione sia stata verificata da altri organi che, per in virtù dell’art. 33 della legge n. 183/2010, effettuano attività di controllo in materia di lavoro (INPS, INAIL, Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate, ecc.), è necessario che gli stessi si raccordino con l’organo periferico del Ministero del Lavoro, segnalando il fatto. Infine, per quanto compatibili, trovano applicazione le norme contenute nella legge n. 689/1981.

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La Corte di Cassazione penale è intervenuta recentemente, con una nuova sentenza – la n. 18929 del 17 maggio 2012 -, per precisare il momento perfezionativo dei reati tributari della dichiara-zione fraudolenta ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsti rispettivamente dagli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74 del 2000. La Suprema Corte ha chiarito che nel

reato d’utilizzazione di fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti di cui all’art. 2, il momento perfezionativo del reato va individuato nel momento della presentazione della dichiarazione, in cui

Falso in fatturazioneUna recente pronuncia della suprema Corte di Cassazione

si determina la lesione dell’inte-resse dello Stato alla riscossio-ne dei tributi; per converso, nel reato d’emissione di fatture per operazioni in tutto o in parte ine-sistenti, la Cassazione ha ritenu-to che la fattispecie si perfeziona con l’emissione della fattura. Preliminare all’esame della pro-nuncia, è l’approfondimento del concetto d’inesistenza dell’ope-razione. La disposizione di cui all’art. 2 va letta unitamente alla disposizione di cui all’art. 1 lett. a), la quale stabilisce che per fatture per operazioni inesisten-ti devono intendersi le fatture emesse a fronte d’operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i cor-rispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, cioè che riferisco-no l’operazione a soggetti diver-si da quelli effettivi. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 2, la fattura deve dunque rite-nersi falsa qualora l’operazione

non sia stata realmente effettua-ta oppure qualora si riferisca a soggetti diversi rispetto a quelli effettivi. Questione molto dibat-tuta in giurisprudenza è l’esatta definizione delle c.d. operazioni inesistenti; ci si chiede, in parti-colare, se per queste ultime de-vono intendersi quelle giuridica-mente inesistenti ovvero le sole operazioni inesistenti in rerum natura. La problematica riguar-da in particolare la rilevanza penale delle ipotesi di c.d. falso qualitativo e di falso soggetti-vo. Il primo si configura tutte le volte in cui il costo indicato in fattura faccia riferimento ad un’operazione diversa rispetto a quella realmente intercorsa tra le parti, mentre il secondo riguarda la condotta del contri-buente che, pur avendo sostenu-to un costo inerente alla propria attività d’impresa, ha ricevuto fattura da soggetto diverso ri-spetto a quello che ha realmente effettuato la prestazione.

In materia di falso qualitativo si contrappongono due orien-tamenti. Uno più flessibile che ha affermato che la disciplina penale dei reati in materia di fatture ed altri documenti per operazioni inesistenti di cui agli artt. 1 lett. a), 2 e 8 il d.lgs. n. 74 del 2000 si applica soltanto alle operazioni non realmente effet-tuate, con esclusione quindi di quelle aventi qualificazione giu-ridica diversa – c.d. inesistenza solo giuridica -, salvo che il fatto abbia comportato delle conse-guenze di carattere fiscale. A quest’orientamento si è contrap-posta una giurisprudenza deci-samente più rigorosa che, alla luce della particolare insidiosità connessa all’utilizzazione della fattura falsa, ha affermato che si ha fattura per operazione inesi-stente ogni qualvolta si realizza una divergenza tra la realtà eco-nomica e la rappresentazione documentale compresa quindi l’ipotesi dell’inesistenza giuridi-

Tributario

di Giuseppe Maria GalloAvvocato

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ca. Analoga problematica legata alla rilevanza penale delle fattu-re qualitativamente false è quel-la relativa alle fatture definite soggettivamente false.Anche in questo caso si sono ve-nuti a delineare due orientamen-ti giurisprudenziali. Un primo ha specificato che l’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 punisce chiunque si avvale di fatture connotate dalla diversità tra il soggetto cui effettivamente si riferisce l’ope-razione ed il soggetto che vi ap-pare, e dunque costituisce reato inserire in dichiarazione fatture intestate fittiziamente a soggetti diversi da quelli che sono stati i reali beneficiari dei beni e dei servizi. A conclusioni totalmen-te differenti è giunto un secondo orientamento giurisprudenziale che ha escluso che in tale ipote-si si possa realizzare il reato ex art. 2 comma 1 d.lgs. n. 74 del 2000 per difetto nella sua con-dotta sia dell’elemento oggetti-vo sia dell’elemento soggettivo. In questa prospettiva, il reato contestato deve ritenersi insus-sistente per mancanza d’offen-sività, poiché l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice non subisce alcuna lesione nell’ipo-

tesi in cui i costi siano stati de-dotti legittimamente perché ine-renti alla produzione del reddito e realmente sostenuti. L’analisi della fattispecie di cui all’art. 2 non può, quindi, prescindere dalla ricostruzione del bene giu-ridico tutelato che va ravvisato nella tutela del patrimonio dello Stato. Si tratta di fattispecie che, per la loro gravità, il Legislatore ha ritenuto di dover prevedere delle sanzioni penali anziché amministrative. Sono punibili penalmente, però, le sole viola-zioni commesse nell’ambito del-le imposte sui redditi e dell’Iva. Sono, pertanto escluse le viola-zioni in ambito IRAP o relative ad altre imposte indirette.In particolare, secondo la rico-struzione operata dalla pronun-cia in commento, l’art. 2 del d. lgs. 74/2000 disegna un model-lo complesso, in cui il fatto tipi-co (sorretto da dolo specifico d’evasione) contempla una con-dotta consistente nell’avvaler-si delle fatture per operazioni inesistenti (registrandole nelle scritture contabili obbligatorie o comunque detenendole a fini di prova nei confronti dell’am-ministrazione finanziaria) men-

tre l’art. 8 prevede il fatto di chi emette o rilascia fatture per operazioni inesistenti, relegan-do ad oggetto del dolo specifico l’evasione altrui, ossia l’evasio-ne di chi utilizzi i documenti fal-si. Non essendo necessario che la fattura falsa venga effettiva-mente utilizzata, è palese la no-tevole anticipazione della tutela rispetto al bene giuridico pro-tetto. Se s’individua quest’ul-timo nell’interesse dello Stato alla completa e tempestiva, o quasi, percezione del tributo, il delitto di cui all’art. 8 è un reato di pericolo astratto.Tale fattispecie, pertanto, è stata configurata come reato di peri-colo presunto, in considerazione della spiccata pericolosità del-la condotta di chi immette nel mercato documentazione volta a supportare l’esposizione in dichiarazione da parte delle im-prese d’elementi passivi fittizi. Alla luce di tale ragionamento, la Suprema Corte fa decorrere la prescrizione del reato ex art. 8 dalla data d’emissione della fattura mentre fa coincidere il momento consumativi del reato di cui all’art. 2 con la data di pre-sentazione della dichiarazione.

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Speciale

Il rapporto di lavoro dirigenziale

di Stefano Canali De RossiAvvocato

La definizione di dirigente non è contenuta in nessuna legge ma si ricava soltanto dalle maggiori pattuizioni collettive applicate alla categoria.L’art. 2095 del codice civile si limita infatti ad indicare quattro categorie di lavoratori subordinati ovverosia i dirigenti, i quadri, gli impiegati e gli operai, ma né nel medesimo articolo di legge né in

altre norme si rinviene alcuna definizione della figura del dirigente. Sono pertanto intervenuti i contratti collettivi e la sapiente opera di interpretazione giurisprudenziale

proprio al fine di pervenire ad un’identificazione ab-bastanza precisa del dirigente.Secondo il contratto collettivo dell’industria sono dirigenti “i prestatori di lavoro per i quali sussistono le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c., che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizza-to da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione de-gli obiettivi dell’impresa”.Il contratto collettivo dei dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi identifica invece quali dirigenti “coloro che rispondendo diret-tamente all’imprenditore o ad altro dirigente a ciò espressamente delegato, svolgono funzioni aziendali di elevato grado di professionalità, con ampia auto-nomia e discrezionalità ed iniziativa e col potere di imprimere direttive a tutta l’impresa o ad una sua parte autonoma”. Si tratta di definizioni che pur tentando di circo-scrivere abbastanza peculiarmente la figura del di-rigente, rendono possibili, nella disamina del caso specifico, varie interpretazioni della definizione stessa.In ragione di ciò ha sempre avuto un indiscutibile rilievo la sapiente opera di interpretazione giuri-sprudenziale, con l’evolversi che la stessa ha avuto anche nel corso degli ultimi anni.Storicamente la Suprema Corte individuava il trat-

to caratteristico della figura del dirigente d’azienda nell’autonomia e nella discrezionalità delle scelte decisionali, in maniera tale che l’attività del dirigen-te stesso andasse ad influenzare gli obiettivi com-plessivi dell’imprenditore (Cass. S.L., 30/08/04, n. 17344); la Cassazione anche in tempi abbastanza recenti (cfr. Cass. S.L. 11/07/2007, n. 15489) aveva ribadito che il tratto caratteristico della figura diri-genziale è rappresentato dall’esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide o sull’anda-mento dell’intera azienda ovvero che attiene ad un autonomo settore produttivo della stessa azienda; secondo detto orientamento pressoché univoco sino a pochi anni orsono (cfr. anche Cass. S.L. 22/12/2006, n° 27464, in Repertorio Foro it., Lavo-ro (Rapporto), 3890, 1410) il dirigente è solamente colui che sia investito di attribuzioni che per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezio-nalità che gli consentono, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento di governo complessivo, assumendo la corrisponden-te responsabilità di alto livello.Peraltro, a seguito della sentenza della Suprema Corte a Sezione Unite 20 Marzo 2007 n° 7880 ( in Dir. e Prat. Lav., 2007, 1402, con articolo di Petrucci e Taddei) ha assunto altresì rilievo un altro crite-rio giurisprudenziale secondo il quale la qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro

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Il dirigente alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale

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che, come alter ego dell’imprenditore, ricopre un ruolo di vertice nell’organizzazione o, comunque, che occupa una posizione tale da poter influenza-re l’andamento aziendale ma sia invece sufficiente che il dipendente (dirigente), per l’indubbia qualifi-cazione professionale nonché per l’ampia responsa-bilità in tale ambito demandata, operi con un cor-rispondente grado di autonomia e responsabilità; a tal fine si deve far riferimento, in considerazione della complessità della struttura dell’azienda, alla molteplicità delle dinamiche interne nonché alle diversità delle forme di estrinsecazione della fun-zione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) ed infine anche alla contratta-zione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione allo specifico settore produttivo (in tal senso cfr. pure Cass. S.L. 24 Giugno 2009, n° 14835, in Repertorio del Foro it., voce Lavoro (Rapporto), 3890, n° 989).La giurisprudenza di merito appare poi orientata nel senso di ritenere che debba essere la contrat-tazione collettiva ad individuare le peculiarità della figura dirigenziale e che, solo in mancanza di una definizione da parte della pattuizione collettiva, det-ta qualifica vada riscontrata in figure che abbiano autonomia e discrezionalità nelle decisioni, man-canza di una vera e propria dipendenza gerarchi-ca ed ampiezza delle funzioni tali da influire sulla conduzione di un’intera azienda o di un suo ramo autonomo e non circoscritto ad un settore o ufficio della stessa (cfr. App. Napoli, 8/01/2009, in Lavo-ro giur. 2009, 925 nonché nello stesso senso ma di molto precedente Pret. Milano 18/01/1989, in Dir. & Prat. Lav., 1989, 1449).

La distinzione dei dirigenti dai quadri, dai funzionari e dagli impiegati direttiviAbbiamo già visto che il dirigente è figura che si caratterizza per i suoi ampi poteri decisionali e per la discrezionalità nell’effettuare delle proprie scelte che abbiano influenza sull’intero andamento azien-dale o su un ramo autonomo della stessa; la figura dirigenziale si contraddistingue, quindi, in primo luogo per il proprio potere decisionale e cioé per il fatto di poter imprimere l’indirizzo della stessa azienda all’esterno ovvero per il fatto di poter far ciò limitatamente ad un settore autonomo della mede-sima. Abbiamo però altresì evidenziato che secon-do un più recente orientamento giurisprudenziale possono altresì considerarsi dirigenti a tutti gli ef-fetti di legge e di contratto collettivo anche coloro che pur non avendo i poteri di effettuare delle scelte con riferimento all’intera struttura aziendale o ad un suo ramo autonomo, per l’indubbia qualificazio-

ne professionale nonché per l’ampia responsabilità in tale ambito demandata, operano comunque con un corrispondente grado di autonomia e respon-sabilità, sempreché la contrattazione collettiva ap-plicata li riconosca come figure a tutti gli effetti di livello dirigenziale.Non sempre è pertanto agevole il distinguo tra quest’ultima tipologia di dirigenti e la figura dei “funzionari”, dei “quadri” ed in alcuni casi persino degli “impiegati con funzioni direttive”.Al riguardo, va infatti osservato che le figure che più si avvicinano a quella del dirigente, ma che ben si distinguono dallo stesso, sono in primo luogo i funzionari, peraltro in via di “estinzione”, sostitui-ti in tutti i settori – dopo un’iniziale “convivenza” – dalla figura dei quadri. Di creazione contrattuale (esemplificativamente settore banche ed assicu-razioni), i funzionari, a differenza di dirigenti, non avevano però quei poteri di gestire l’azienda o un ramo autonomo della stessa. Agli stessi era solita-mente attribuito un potere di rappresentanza - ad esempio della banca - esercitato in via continuativa. Di ben altro rilievo, anche numerico, i “quadri diret-tivi”, già presenti nella contrattazione collettiva ed istituti dalla legge 13 Maggio 1985 n° 190, e quindi richiamati anche nella definizione generale delle categorie dei lavoratori contenuta nell’art. 2095 c.c. La definizione di legge (art. 2 L. 190/1985) fa ri-ferimento a dei lavoratori che pur non appartenen-do alla categoria dei dirigenti, svolgono “funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”.. Il riconoscimento è subordinato dal-lo stesso articolo 2 della menzionata L. 190/1985 alla ricorrenza dei requisiti stabiliti dal singolo con-tratto collettivo nazionale o aziendale. Segnaliamo inoltre – su un piano più pragmatico -, quali ulteriori elementi che caratterizzano la figura dei quadri, la gestione diretta dei rapporti con i terzi, la respon-sabilità di budget, un’elevata professionalità e la dipendenza gerarchica diretta nei confronti di un dirigente.Infine l’impiegato con funzioni direttive (ma talvol-ta la definizione di questi lavoratori è assolutamen-te analoga a quella di un quadro ; occorre, infatti, esaminare attentamente cosa preveda il singolo contratto collettivo) riguarda colui che è preposto ad una struttura, ma si tratta al massimo di un settore o di un ufficio interno della stessa azienda ovvero di personale che ha un ruolo tecnico eleva-to, ma che non possiede quei poteri gerarchici al “vertice” nell’azienda o in un settore della stessa e nemmeno quei poteri di rappresentare e di prende-re rilevanti decisioni per conto della stessa impresa.

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Infatti, se avesse detti poteri, rientrerebbe nella ca-tegoria dei dirigenti (cfr. Cass. S.L. 10/08/1999, n. 8572 in Giust. Civ. Mass., 1999, 1795 nonché Cass. S.L 7/10/1999 n. 11218, in Not Giur. Lav, 2000, 188). Possiamo pertanto osservare che in linea di prin-cipio (va rimarcato che nelle strutture complesse la differenzizione tra quadri e dirigenti di prima fa-scia può presentarsi come abbastanza complessa e il Giudice può ricorrere a criteri pragmatici, quali la disamina dell’organico aziendale) la figura del dirigente si distingue da detti differenti figure che appartengono comunque al personale direttivo, in particolare per il fatto che solo il dirigente, sia pure nell’ambito e nell’osservanza delle direttive ricevu-te dal datore di lavoro, ha il potere ed ogni conse-guente responsabilità per imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’a-zienda o ad un suo ramo autonomo. L’impiegato con funzioni direttive, - ma lo stesso vale per i quadri o per i funzionari - é invece colui che è preposto ad un singolo servizio, ufficio o reparto e svolge la sua at-tività sotto il controllo dell’imprenditore o di un diri-gente, in modo tale che la sua posizione gerarchica, i suoi poteri di iniziativa e pertanto le sue respon-sabilità siano adeguatamente circoscritte e di più modesto e limitato rilievo, tanto nei rapporti all’in-terno dell’impresa che nei confronti dei terzi (Cass. S.L., 23/12/2003, n. 19704 ; Cass. S.L. 8/11/2003 n. 16804 nonché Cass. S.L. 28/04/1998, n. 3218).Appare al riguardo ancora attuale una nota senten-za della Pretura del Lavoro di Milano pubblicata in questa rivista (cfr. Pret. Milano 18/01/1989, in Dir. & Prat. Lav., 1989, 1449) secondo la quale la distin-zione tra dirigente e quadro sarebbe da individuarsi in questi elementi: a) il fatto che il dirigente parte-cipi alla determinazione degli obiettivi dell’impresa ed alla promozione della complessiva politica azien-dale mentre il quadro si limiti ad attuare gli obiettivi aziendali individuati dai suoi superiori ; b) il fatto che la funzione dirigenziale si rifletta sull’andamen-to aziendale generale o su un suo ramo autonomo mentre quella del quadro sia limitata ad un sempli-ce settore ; c) il fatto che il dirigente abbia piena rappresentanza dell’impresa o di un consistente ramo autonomo, connessa ad un relativo ampio o addirittura illimitato potere decisionale mentre il quadro abbia al massimo un ben limitato potere di gestione e di rappresentanza dell’azienda verso ter-zi soggetti.

Il dirigente e la stipula di contratti di lavo-ro a tempo determinato.Ai sensi dell’art 10 comma 4 del decreto legislativo 6/09/2001 n. 368, va evidenziato che è certamente

possibile la stipula dei contratti a termine con i diri-genti, comunque di durata non superiore a 5 anni. Si deve pure precisare che non sono necessarie le ragioni di carattere organizzativo tecnico, produtti-vo o sostitutivo, che invece sono necessarie e vin-colanti nella loro specificazione per la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato per tutte le altre categorie di lavoratori dipendenti. È quindi assolutamente regolare la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato per un di-rigente senza alcuna causale, purché venga rispet-tata la durata massima di 5 anni; è altresì possibi-le la proroga del contratto di lavoro a termine del dirigente, sempre senza necessità di una specifica causale, purché il contratto originario e la proroga dello stesso non superino complessivamente il pre-detto termine di cinque anni.La legge prevede altresì che il dirigente possa rece-dere liberamente trascorso un periodo di tre anni, con il rispetto del preavviso ai sensi dell’art. 2118 del codice civile. Al contratto a termine dei diri-genti non si applicano comunque le disposizioni di cui al decreto legislativo 368/2001 valide per le al-tre categorie di dipendenti; fanno però eccezione a questa regola generale e cioè trovano applicazione alla categoria dirigenziale le sole disposizioni di cui agli articoli 6 (principio di non discriminazione ri-spetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato) e 8 (che prevede il computo negli organici al fine dell’applicazione delle varie disposizioni di legge, solo dei lavoratori con contratto a termine di durata superiore ai 9 mesi) del predetto decreto legislativo 368/2001.Quanto alla forma del contratto a termine del diri-gente, dal dato testuale dell’articolo 10 del comma 4 del decreto legislativo 368/2001, non si ricavereb-be l’obbligatorietà della forma scritta nella stipula del contratto di lavoro a termine. Peraltro alcuni interventi giurisprudenziali hanno ritenuto invece obbligatoria la stipula del contratto a termine del dirigente con forma scritta; non può, pertanto, che consigliarsene l’utilizzo – e con stipula anteriore o contestuale all’inizio del contratto a termine con il dirigente - dovendo ritenersi, in caso diverso, as-solutamente problematico fornire la prova circa la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato. Sulla questione si segnala una non recente pronun-cia della Suprema Corte, seppure intervenuta nel regime della precedente disposizione di legge (Leg-ge 18/04/1962, n° 230), nella quale veniva precisato che il contratto doveva essere stipulato per iscritto, sebbene l’ apposizione del termine per quanto con-cerne i dirigenti non dovesse risultare da atto ante-riore all’inizio del rapporto di lavoro (cfr. Cass. civ.

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17/08/1977, n° 3773). Mentre una recente sentenza (cfr. Cass. S.L. 16/01/2006, n° 749, in Not. Giur. Lav., 2006, 465) ha ritenuto che il principio secondo il quale l’apposizione del termine deve risultare da atto anteriore all’inizio del rapporto, non è applica-bile ai contratti a termine stipulati con i dirigenti, per i quali ha ritenuto possibile la stipula del con-tratto a termine anche in corso di rapporto.

Il periodo di prova del contratto di lavoro dei dirigenti E sempre possibile l’applicazione del patto di prova al contratto di lavoro del dirigente purché lo stes-so risulti da atto scritto e la stipula risulti anterio-re o contestuale al giorno di inizio del rapporto di lavoro. Per quanto riguarda le fonti legislative il patto di prova è regolato dagli articoli 2096 del codice civile nonché dall’art. 4 del Regio Decreto Legge 13/11/1924, n. 1825, convertito nella legge 18/03/1926, n. 562; detto articolo ha stabilito che il periodo di prova, che deve risultare da atto scritto, non possa in ogni caso mai superare il limite di 6 mesi per i dirigenti e per le altre categorie di lavora-tori di livello elevato.I principali contratti collettivi della categoria diri-genziale prevedono normalmente la durata massi-ma del periodo di prova secondo quanto stabilito per il massimo dalla disciplina di legge; é quindi possi-bile sottoporre il dirigente, nell’ambito dei principa-li contratti collettivi dell’industria e del commercio, ad un esperimento della durata di 6 mesi durante il quale le parti potranno recedere dal rapporto di lavoro, senza preavviso e senza motivazione.

Il dirigente ed il lavoro straordinario.Altra questione di grande interesse è quella ineren-te le prestazioni oltre il normale orario e l’eventuale corresponsione di appositi compensi al dirigente che le effettui.Come principio generale va evidenziato che, ai sen-si dell’art. 17 del decreto legislativo 8/04/2003 n. 66, comma 4, il dirigente – e con esso tutto il perso-nale direttivo – va escluso dalle norme in materia di orario di lavoro e da quelle che regolano i limiti di durata massima della prestazione lavorativa.Peraltro, fermo restando che il principio generale è quello testé enunciato, la Suprema Corte, con pronunce costanti ed orientamento uniforme rico-nosce comunque il diritto ad un ulteriore compen-so per il lavoro svolto oltre il normale orario (Cass. S.L. 23/07/2004, n° 13882, in Not. Giur. Lav., 2004, 604; Cass. S.l. 16/06/2003 n. 9650, in Dir. & Prat. Lav., 2003, 46, 3109; Cass. S.l. 15/05/2003 n. 7577, in Not. Giur. Lav., 2003 724; Cass. S.L. 12/03/2001,

n° 3561; Cass. S.L. 12 Febbraio 2001, n° 1999 non-ché Cass. S.l. 23/08/1996, n. 7773) ogni qualvolta ci si trovi in presenza di una delle seguenti due fat-tispecie: se la normativa collettiva o la prassi aziendale o il contratto individuale, stabiliscano un determinato e preciso orario di lavoro anche per i dirigenti.Se, comunque, la durata della prestazione di lavoro fornita dal dirigente ecceda comunque i limiti della ragionevolezza in rapporto anche alla tutela del di-ritto alla salute che riguarda tutti i lavoratori.Anche in una recente sentenza la Suprema Corte (cfr. Cass. S.L. 23 Dicembre 2011, n° 28728) ha ri-badito che, pur dando per assodato che le mansioni del dirigente comportino una maggiore dedizio-ne temporale rispetto alle mansioni impiegatizie, ciò non significa che nell’ipotesi di un particolare ulteriore impegno che implichi un’abnegazione di particolare intensità e l’assunzione di particolari re-sponsabilità, tale ulteriore impegno non debba es-sere compensato attraverso un adeguamento della prefissata retribuzione ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione. Resta comunque ferma la possibilità del Giudice di merito di ricorrere anche ad una va-lutazione equitativa ex articolo 432 c.p.c..

Dirigenti e ferieL’art. 17 comma 5 del decreto legislativo 8/04/2003 n. 66 esclude espressamente il dirigente – e con esso tutto il personale direttivo - dalla disciplina valida per tutti gli altri dipendenti, relativamente a varie specifiche norme; in particolare i dirigenti ed il personale direttivo sono esclusi dall’applicazione delle norme in materia di orario di lavoro e durata massima dello stesso, di lavoro straordinario, di ri-posi, di pause, e di lavoro notturno ma non vi è – per la categoria in esame - alcuna deroga all’applicazio-ne della normativa generale (art. 10 del citato d.lgs. 66 2003) in materia di ferie.La giurisprudenza, peraltro, disciplina diversa-mente dagli altri lavoratori subordinati il diritto del dirigente alle ferie ed alla relativa indennità sosti-tutiva, nell’ipotesi peculiare – e piuttosto frequente nell’ambito del rapporto di lavoro - in cui sia lui stes-so ad attribuirsi da solo le ferie che lo riguardano personalmente.Premesso che questa deroga introdotta per via giurisprudenziale riguarda - nella casistica ogget-to di disamina - il solo dirigente e non il personale direttivo in genere, va evidenziato che la Supre-ma Corte di Cassazione, con pronunce costanti (Cass. Sez. Un., 17 Aprile 2009, n° 9146, in Lavoro e Prev. Oggi, 2010, 197, con nota di Girolami; Cass. S.L. 29/11/2007, n. 24905, in Foro It. 2008, I, 509;

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Cass. S.L. 24/05/2006, n° 12226, in Dir. & Prat. Lav., 2007, 1909, con nota di Signorini; Cass. S.L. 8/06/2005, n. 11936, in Mass. Giur. Lav., 2005, 674, con nota di Tatarelli nonché Cass. S.L. 7/06/2005, n. 11786, in Not Giur. Lav., 2005, 743) ha ritenuto a più riprese che il dirigente che pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcune inge-renza da parte del datore di lavoro, non eserciti det-to medesimo potere e non goda, quindi, del perio-do di riposo annuale, non ha il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi lui la ricorrenza di necessità aziendali assolu-tamente eccezionali ed obiettive e tali da ostare alla suddetta fruizione di ferie.Anche una recente pronuncia della Suprema Corte (cfr. Cass. S.L. 16/06/2009, in Lavoro giur., 2009, 1146, con nota di Dui), pur ribadendo il principio di cui al costante orientamento della Suprema Corte, ha osservato che l’osservazione del Giudice di meri-to deve preliminarmente concentrarsi sull’accerta-mento di fatto circa il potere o meno di quel dirigen-te di attribuirsi le ferie ed il periodo di godimento senza ingerenza del datore di lavoro.

Licenziamento del dirigente e relativa tu-tela – Indennita’ supplementare.Al licenziamento del dirigente non trova applicazio-ne né l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20/051970 n. 300) né la legge 15 luglio 1966 n. 604, così come modificata dalla legge 11 maggio 1990 n.108.Ciò è espressamente previsto dall’art. 10 della legge 15 luglio 1966 n. 604, che testualmente prevede che la stessa normativa trovi applicazione solo ad impie-gati ed operai.Il licenziamento del dirigente, da un punto di vista delle previsioni di legge, è quindi “libero”, nel senso che rimane assoggettato solamente alla disciplina di cui agli articoli 2118 e 2119 del codice civile, con obbligo del solo preavviso o della relativa indennità sostitutiva.Va peraltro aggiunto, per completezza d’esposizio-ne, che vi sono due disposizioni di legge che si ap-plicano anche al licenziamento dei dirigenti. Sono l’art.2 – comma 4 - della citata legge 604/1966, che prevede comunque l’obbligo della forma scrit-ta, pena l’inefficacia dello stesso licenziamento ed inoltre l’art.3 della legge 11 maggio 1990 n° 108, la quale all’art.3 prevede quanto segue: “ Licenzia-mento discriminatorio. Il licenziamento determina-to da ragioni discriminatorie ai sensi dell’articolo 4 della Legge 15 luglio 1966 n° 60, e dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970 n° 300, come modificato dall’articolo 13 della Legge 9 dicembre 1977 n° 903, è

nullo indipendentemente dalla motivazione adottata e comporta, quale sia il numero dei dipendenti oc-cupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’articolo 18 della Legge 20 maggio 1970 n°300, come modificato dalla presente legge. Tali disposizio-ni si applicano anche ai dirigenti”.Si tratta del “licenziamento discriminatorio”, ovve-rosia di quel licenziamento determinato dall’affilia-zione ad un sindacato, dalla partecipazione ad atti-vità sindacale, dalla partecipazione ad uno sciopero ovvero intimato dalla parte datoriale per ragioni di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lin-gua, di sesso, di handicap, di età ovvero irrogato in ragione dell’orientamento sessuale del lavoratore o delle convinzioni personali dello stesso.Solo per detta tipologia di licenziamento (cd. Licen-ziamento “discriminatorio”), il predetto art.3 della Legge 108/1990 prevede che anche al dirigente – ed a prescindere dal numero dei dipendenti occupa-ti dal datore di lavoro – spetti la reintegrazione nel posto di lavoro e la tutela risarcitoria, retributiva e previdenziale di cui all’art. 18 della Legge 20 Mag-gio 1970 n° 300.Riportandoci al discorso generale sul licenziamen-to del dirigente, va adeguatamente evidenziato che i principali CCNL ( e su tutti il CCNL Dirigenti In-dustria ed il CCNL Dirigenti del Commercio) pre-vedono, in aggiunta all’indennità di preavviso – va ricordato però che il preavviso può essere lavorato per scelta delle parti – un’indennità supplementare di licenziamento.Detta indennità supplementare è pari ad un mini-mo corrispondente alle mensilità di preavviso fino ad un importo massimo pari a 18 mensilità di preav-viso, secondo la previsione del CCNL dei dirigenti del terziario/commercio.Per quanto concerne il CCNL Dirigenti dell’Indu-stria, l’indennità supplementare è pari alle mensili-tà di preavviso + 2 mensilità ( come minimo) e può andare sino ad un importo massimo pari a 22 men-silità di preavviso.Per entrambi i Contratti Collettivi detta indennità supplementare viene aumentata in considerazione dei requisiti di età del Dirigente e per il solo CCNL Dirigenti del terziario/commercio, in ragione an-che anche dei requisiti di anzianità del Dirigente.L’indennita supplementare spetta quando il licen-ziamento è giudicato privo di “giustificazione” ov-vero, con terminologia tecnica, privo di “giustifica-tezza”.Al riguardo va precisato che il concetto di “giustifi-catezza” del licenziamento del dirigente non coinci-de con il concetto di giustificato motivo - soggettivo o oggettivo - valido per il personale impiegatizio e

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per i quadri, di cui all’art. 3 della L.604/1966, così come analizzato nel capitolo che segue.

Il concetto di “giusificatezza” del licenzia-mento nell’individuazione giurispruden-ziale.È da ritenersi ormai superato un orientamento giurisprudenziale, piuttosto datato, che tendeva ad assimilare il concetto di “giustificatezza” del licen-ziamento del dirigente a quello di “giustificato mo-tivo”, ex art. 3 della legge 604/1966, valido solo per le altre categorie di dipendenti diverse da quella dei dirigenti. Detto orientamento era stato espresso da ultimo da Cass. 9 dicembre 1986 n°7295 ( in Mass. Giur. Lav., 1986,642; in Not. Giur. Lav., 1986, 779 nonché in Giust. Civ., 1987, I 857, con nota di Mari-no) nonché da Cass. S.U. 9 dicembre 1986, n°7295 e tendeva, appunto, ad operare, in tema di motivazio-ni datoriali per quanto attiene al recesso, un acco-stamento tra la posizione dei dirigenti e quella degli altri lavoratori subordinati.L’orientamento giurisprudenziale, che è divenu-to decisamente “univoco” nel corso degli ultimi anni, ha invece da tempo affermato ( cfr. Cass. S.L. 05/10/2007, n° 20895, in Riv. it. dir. lav., II, 659, con nota di Basenghi; Cass. S.L. 28/10/2005 n° 21010, in Argomenti Dir. Lav., 2006 1356;, Cass. S.L. 12 febbraio 2000 n° 1591, in Foro IT.,200,I,752 nonché Cass S. L. 14 maggio 1993 n° 5531, in Mass. Giur. Lav., 1993, 223 nonché in Orient. Giur.Lav.1993,428 e 726, con nota di Giustiniani), che, nell’ambito del-la controversia che inerisca il diritto del dirigente a vedersi riconoscere l’indennità supplementare pre-vista dal contratto collettivo per l’ipotesi del licen-ziamento ingiustificato, il Giudice non debba usare i medesimi parametri valutativi impiegati per l’ac-certamento della sussistenza del giustificato moti-vo oggettivo per le altre categorie.Detto orientamento giurisprudenziale distingue il concetto di “ giustificatezza” del licenziamento per i dirigenti da quello di “ giustificato motivo” valido per gli altri lavoratori; per lo stesso orientamento ai fini della legittimità del recesso aziendale del diri-gente rileva qualsiasi motivo che sia tale da esclude-re l’arbitrarietà del licenziamento stesso. Il datore che intenda essere esonerato dalla corresponsione dell’indennità supplementare deve pertanto limitar-si a provare la veridicità e la fondatezza dei motivi da lui addotti nonché la loro idoneità a giustificare il recesso. Al Giudice del lavoro non è richiesta – secondo detta giurisprudenza – una verifica anali-tica su ogni singolo elemento della situazione che ha portato al recesso datoriale, ma piuttosto una globale valutazione che escluda l’arbitrarietà del

licenziamento ( cfr. la recente Cass. S.L. 27 Mag-gio 2008, n° 3812; Cass. S.L. 20/12/2006, n° 27197 in Not. Giur. Lav.,2007,195; Cass.S.L. 19/08/2005, n°17039; Cass S.L. 13/05/2005,n° 10058; Cass. S.L. 1 luglio 2004, n°12090, in Lav. & Prev. Oggi, 2004, 11, 1845; Cass S.L. 20 giugno 2003, n° 9896, in Dir. & Prat. Lav., 2003, 47, 3179; Cass. S.L. 20 novembre 2001, n°14604, in Not. Giur. Lav., 2002,225; Cass S.L. 20 novembre 2000,nà14974,in Giust.Civ.Mass.2000,2378; Cass. S.L. 18 agosto 2000,n°10936, inedita per quanto consta Cass. S.L. 4 gennaio 2000 n° 22 in Riv.It.Dir.Lav., 2001, II, 298, nonché Cass. S.L. 19/06/1999n°6169 e per la giuri-sprudenza di merito cfr.Trib.Roma, 13/02/2006, in Lav. e Prev. Oggi, 2006, 1395).Pertanto ai fini dell’indennità supplementare previ-sta dalla contrattazione collettiva in caso di licen-ziamento del dirigente, secondo recenti pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass. S.L. 15/12/2009, n° 26232, in Not. Giur. Lav., 2010, 227 nonché Cass. S.L. 15/07/2009, n° 16498) la suddetta «giustifi-catezza» del recesso per le figure dirigenziali non deve necessariamente coincidere con l’impossi-bilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui mi-surare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, ga-rantita dall’art. 41 della Costituzione, che verrebbe realmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le perso-ne idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa.È comunque opportuno segnalare che esiste poi un orientamento ormai decisamente minoritario che critica detto dominante orientamento giurispru-denziale, pur riconoscendo che non può esservi, rispetto alle altre categorie di lavoratori dipenden-ti, un’equiparazione tra il concetto di giustificato motivo e quello di giustificatezza. Secondo detto orientamento minoritario l’interpretazione della “giustificatezza” del licenziamento come “non ar-bitrarietà” finirebbe per legittimare la piena libertà di recesso dell’imprenditore e l’insindacabile scelta imprenditoriale assumerebbe i connotati della “dog-maticità”.Per tale ultimo filone giurisprudenziale – comunque decisamente di minor seguito - proprio allorquando il licenziamento del dirigente si basa su ragioni di carattere organizzativo e produttivo dell’azienda, l’indagine dell’autorità giudiziaria, ai fini della formazione del convincimento, deve esse-

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re particolarmente intensa e scrupolosa ( cfr. Cass. S.L. 3 gennaio 2005 n°27, in Dir e Prat. Lav., 205, 24, 1361; Cass. S.L. 28 aprile 2003,n° 6606, in Riv.it.Dir.Lav., 2003, 847, con nota di Signorini; Cass. S.L. 26 luglio 2002, n° 11118; Cass. S.L. 8 maggio 2001, n° 9715, in D & L., 2002, 421, con nota di Mes-sana; Cass. S.L. 24 giugno 1998, n° 6268, in Mass.Giur.Lav.,1998, 861).

Concetto di giusta causa del licenziamen-to del dirigente.Effetti diversi rispetto alla “giustificatez-za” del licenziamento stesso.Il concetto di giusta causa è assai rilevante anche per i suoi effetti pratici giacchè un licenziamento in-timato ad un dirigente per giusta causa, che risulti però, a seguito del giudizio instaurato dallo stesso lavoratore, privo della giusta causa invocata ma co-munque “giustificato” (tecnicamente, assistito dal requisito della “ giustificatezza”), dà comunque di-ritto al riconoscimento dell’indennità di preavviso anche se non dell’indennità supplementare di licen-ziamento, che spetta solo quando un licenziamento sia privo anche del requisito della “ giustificatezza”. La giusta causa è infatti concetto appositamente cre-ato dal legislatore e contenuto nel testo dell’art.2119 del Codice Civile, valido tanto per gli impiegati quanto per gli operai ed altresì per i dirigenti.Si tratta infatti di quella “causa che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto”. Consiste in quel comportamento che posto in esse-re da parte del dirigente, rompa immediatamente il vincolo di fiducia necessario per la continuazione del rapporto di lavoro: la casistica al riguardo po-trebbe essere piuttosto ampia, ma riportiamo in via esemplificativa la fattispecie del dirigente che abbia costituito, anche con altri soci, una società che svol-ga attività di concorrenza sleale alla società della quale è dipendente ovvero quella del dirigente che, per lo svolgimento delle proprie normali funzioni o per la conclusione di un affare in nome e per con-to del datore di lavoro, percepisca delle (indebite) “prebende” da parte del terzo contraente ovvero il caso del dirigente che pur avendo ricevuto del-le precise direttive da parte del datore di lavoro in ordine ad un determinato affare, prenda della deci-sioni in totale difformità da quelle precise direttive, senza alcuna plausibile ragione.È evidente che un licenziamento potrebbe esse-re intimato dalla parte datoriale per giusta causa ma che poi, nel giudizio instaurato dal lavoratore licenziato, a seguito di un’analisi accurata dei fatti il Tribunale potrebbe arrivare a ritenere lo stesso licenziamento giustificato, perché non arbitrario né

pretestuoso ed anzi intimato sulla base di elementi di ragionevolezza e di buona fede tali da escludere l’arbitrarietà dello stesso; ciò non significa, peral-tro, che lo stesso Tribunale, nell’ambito del suo ac-certamento, non possa denegare - nell’ambito degli addebiti mossi al dirigente - l’esistenza di fatti di tale gravità da ledere immediatamente il vincolo di fi-ducia e quindi l’esistenza stessa della giusta causa. Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia pertanto “giu-stificato” ma non assistito da “ giusta causa”, al di-pendente/dirigente spetta comunque l’indennità di preavviso.Detta indennità di preavviso, con riferimento ai principali contratti collettivi della categoria diri-genziale, viene quantificata, da parte del CCNL Dirigenti del Commercio, in un importo da 6 a 12 mesi in relazione all’anzianità di servizio globale in azienda del dirigente; mentre, per quanto concerne il contratto collettivo dei dirigenti dell’industria, il preavviso va da un minimo di 8 mesi ad un massi-mo di 12 mesi, sempre in relazione all’anzianità di servizio aziendale.

I requisiti di forma del licenziamento del dirigente.La legge, per quanto concerne la forma del licen-ziamento, prevede che vi sia l’obbligo di intimare il licenziamento con forma scritta, anche se non vincola il datore di lavoro a fornire le motivazioni contestualmente alla comunicazione del licenzia-mento e nemmeno qualora la comunicazione origi-naria ne sia carente e le stesse motivazioni gli ven-gano richieste dal dirigente ( articolo 2 della citata legge 604/1966, così come integrata dalla legge 108/1990).La disciplina di legge deroga quindi alla normativa generale in materia di requisiti di forma per il licen-ziamento dei lavoratori dipendenti che non siano dirigenti, che prevede che, in tal caso, il datore di lavoro sia tenuto a fornire la motivazione nei 7 gior-ni dalla richiesta del dipendente licenziato, sem-prechè la motivazione non sia già contenuta nella comunicazione originaria di licenziamento.Va peraltro adeguatamente evidenziato che i prin-cipali contratti collettivi per i dirigenti integrano “severamente” la disciplina di legge, proprio sullo specifico punto dei requisiti di forma che deve rive-stire il licenziamento. Così, il contratto collettivo dell’industria prevede non solo che in caso di licenziamento sia necessa-rio adottare la forma scritta prevista dalla legge, ma vincola altresì la parte datoriale a fornire la conte-stuale motivazione del recesso, in mancanza della quale il dirigente ha diritto ad adire il Collegio Ar-

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bitrale per vedersi riconoscere l’indennità supple-mentare di licenziamento.Per quanto concerne poi la pattuizione collettiva dei dirigenti del settore terziario/commercio, la previ-sione è analoga a quella che vale per i colleghi del settore industria, tanto con riferimento alla forma scritta ( requisito di legge) che all’obbligo di conte-stuale motivazione; del pari la carenza di contestua-le motivazione dà poi diritto al dirigente del settore terziario/commercio ad adire l’apposito Collegio ar-bitrale per vedersi poi riconoscere l’indennità sup-plementare di licenziamento.

Obbligo di applicazione del procedimen-to disciplinare di cui all’art. 7 della legge 300/1970, nonché situazioni alle qua-li trova applicazione lo stesso art.7 L. 300/1970.Sulla questione relativa all’applicazione o meno di tutte le garanzie di cui all’art. 7 della legge n°300/1970, ed in particolare in merito all’applica-zione della stessa normativa anche ai dirigenti di vertice, si contrapponevano due orientamenti giu-risprudenziali.Il primo orientamento riteneva che non potesse trovare applicazione al dirigente di vertice la pro-cedura prevista dall’art. 7 della legge 300/1970 in materia di contestazione disciplinare; secondo det-ta giurisprudenza ( cfr. Cass. S.L. 14 ottobre 2005, n. 19903; Cass. S.L. 13 maggio 2005 n. 10058; Cass. S.L. 28 aprile 2003, n. 6606; Cass. S.L. 21 luglio 2001 n. 9950 nonché Cass. 26 febbraio 2000 n.2192) riteneva quindi che l’indagine circa l’applicabilità o meno al dirigente della procedura disciplinare di cui all’art. 7 dello Statuto, non potesse prescindere dall’accertamento di fatto che il Giudice di merito doveva svolgere circa l’effettiva posizione - apicale o meno - del dirigente in azienda, dovendo consi-derarsi esclusi dall’applicazione delle garanzie di cui all’art. 7 della Legge 300/1970 i soli Dirigenti di vertice ( Dirigenti “apicali”).A detto orientamento se ne contrapponeva un altro, che pareva sino ad alcuni anni orsono minoritario ( cfr..Cass. S.L. 2 marzo 2006, n.4614; Cass.S.L. 3 aprile 2003, n.5213) secondo il quale le garan-zie procedimentali di cui all’articolo 7 della legge 300/1970, in caso di licenziamento del dirigente di azienda, dovevano comunque trovare applicazione a tutti i dirigenti (e quindi anche a quelli di vertice) a prescindere dalla specifica posizione ricoperta nell’ambito dell’organigramma aziendale.La questione è stata risolta con l’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali ( cfr. Cass. Sez. Un. 30/03/2007, n.7880, in Dir. e Prat.

Lav.,2007, 1402, con nota di Petrucci e Taddei non-ché in Lav e Prev. Oggi, 2007, 1023 ) hanno stabilito che le garanzie procedimentali di cui all’art.7 della legge 300/1970, per il dirigente al quale sia addebi-tato un comportamento in ragione del quale viene intimato il licenziamento, “ devono trovare applica-zione nell’ ipotesi del licenziamento di un dirigente – a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell’impresa – sia se il datore di lavoro adde-biti al dirigente stesso un comportamento negligente ( o in senso lato colpevole) sia se a base del detto recesso ponga comunque condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia”.Ciò significa che le Sezioni Unite hanno stabilito non solo il principio dell’applicabilità della citata norma a tutti i tipi di dirigente ma altresì il fatto che qualsivoglia addebito di qualsiasi natura o tipo an-che se non di carattere disciplinare in senso stret-to - nel senso che, ad esempio, involva un giudizio sulle prestazioni e sui risultati ottenuti dal dirigen-te - necessariamente deve essere preceduto da una rituale contestazione disciplinare e dalla possibilità di sentire lo stesso dirigente a sua discolpa.Le stesse Sezione Unite precisano poi che il man-cato rispetto della procedura disciplinare di cui all’art.7 della legge 300/1970 importa che il licen-ziamento sia da considerarsi privo di giustificazio-ne, con tutte le conseguenze previste dalla contrat-tazione collettiva di categoria per tale tipo di vizio ( e cioè diritto all’indennità di preavviso ed all’inden-nità supplementare di licenziamento). Da tale pronuncia delle Sezioni Unite la Sezione La-voro della Suprema Corte non si è in alcun modo di-scostata nelle successive pronunce (cfr. Cass. S.L. 27/05/2008 n° 13812). La Suprema Corte ha ribadito pertanto, anche as-sai di recente (cfr. Cass. S.L. 27/12/2011, n° 28967; Cass. S.L. 7/12/2010, n° 24794, in Riv. neldiritto 2011, 671, con nota di Proietti nonché Cass. S.L. 21/11/2007 n° 24246, in Orient. giur. lav., 2008, I, 24, con nota di Picciariello) che le garanzie proce-dimentali dettate dall’art. 7, 2º e 3º comma, dello Statuto dei lavoratori debbano trovare applicazione anche nell’ipotesi del licenziamento di un dirigen-te - sia esso apicale o meno -, a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso abbia assunto nell’impresa, sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o in senso lato colpevole), sia se a base del licen-ziamento ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie deriva pertanto l’applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustifica-

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zione, non potendosi, per motivi giuridici e logico-sistematici, assegnare all’inosservanza di garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall’accertamen-to dell’illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso.Segnaliamo infine che una recente sentenza della Suprema Corte ha comunque ribadito quello che appare ad ogni buon conto evidente (cfr. Cass. S.L. 21/03/2011, n° 6367) e cioè che le garanzie proce-dimentali di cui all’art. 7, 2º e 3º comma, l., della Legge n. 300 del 1970, pur compatibili anche con il licenziamento di un dirigente, non trovano però applicazione ove il recesso del datore di lavoro sia assistito da giustificatezza e si fondi su ragioni con-cernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, non avendo in tal caso il licenziamento natura onto-logicamente disciplinare.

Lo pseudo-dirigente e la disciplina che trova applicazione al recesso dello stesso. Onere della prova.Altra figura di rilevanza giuridica nell’ambito di una completa disamina del profilo è quella del co-sìddetto “pseudo – dirigente” ovvero del “dirigente convenzionale”. Abbiamo già visto che si definisce propriamente dirigente colui che, sia pure nell’os-servanza delle direttive programmatiche ricevute dal datore di lavoro, ha comunque i poteri e quindi è in grado di imprimere un indirizzo ed un orienta-mento al governo complessivo dell’azienda e/o ad un suo ramo o settore autonomo, assumendo tutte le corrispondenti responsabilità di alto livello ( cfr. Cass.S.L. 22/12/2006 n. 27464). Con il termine, invece, di “pseudo–dirigente”, la giu-risprudenza individua colui che pur inquadrato dal datore di lavoro nella qualifica dirigenziale anche ai fini del trattamento retributivo nonchè degli altri istituti del rapporto, in realtà da un esame appro-fondito sia caratterizzato dall’attribuzione di poteri non superiori a quelli di un quadro o di un impiega-to con funzioni direttive, ovverosia non superiori a quelli del soggetto che tutt’al più è preposto ad un singolo limitato settore, ufficio o reparto e che svol-ge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, con poteri d’iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità. Secondo una definizione della Suprema Corte si tratta di coloro i cui compiti non sono assolutamen-te riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente (cfr. Cass. S.L. 13/12/2010, n° 25145, in Not. Giur. Lav., 2011, 224). Ebbene per detta figura professionale la Suprema Corte - ormai costantemente - ritiene che, in caso

di licenziamento non assistito da giusta causa o da giustificato motivo, trovi comunque applicazione la normativa ordinaria – che vale per tutte le altre ca-tegorie di lavoratori ad eccezione dei dirigenti – di cui alla legge 15 luglio 1966 n. 604 e successive in-tegrazioni e modifiche nonché di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300. A colui che il Giudice del merito ritenga rientra-re sostanzialmente nella figura del c.d. pseudo-dirigente, trova pertanto applicazione, in caso di licenziamento che venga giudicato illegittimo, la reintegrazione nel posto di lavoro di cui all’art.18 della legge 300/1970, qualora ricorrano in ambito aziendale i relativi requisiti dimensionali ( cfr. la già citata Cass. S.L. 13/12/2010, n° 25145, in Not. Giur. Lav., 2011, 224; Cass. S.L. 22/12/2006 n. 27464, in Riv. Giur. Lav. 2007 II 394 con nota di Salvagli; Cass. S.L., 15/11/2001, n.14230, in Lavoro e Prev. Oggi, 2002, 358, con nota di D’Andrea; Cass. 1/04/1983, n. 2363 nonché Cass. 21/03/1980 n.1922, in Foro It., 1981, I, 832, con nota di Vallebona).Riassumiamo infine il contenuto di una recente sentenza della Suprema Corte in merito all’onere della prova in una causa promossa da un dirigen-te che richiedeva l’applicazione della tutela di cui all’art. 18 della Legge 300/1970, applicabile per le altre categorie di dipendenti nelle aziende maxidi-mensionali.Al riguardo la Cassazione ha evidenziato (cfr. Cass. S.L. 2/09/2010, n° 18998) che il principio secondo il quale spetta al datore di lavoro provare l’appar-tenenza del lavoratore alla categoria dei dirigenti non si applica ove l’accertamento della natura diri-genziale dell’attività lavorativa costituisca oggetto di specifico interesse del prestatore, dovendo tro-vare applicazione il principio generale che spetta a chi vuole far valere un diritto in giudizio l’onere di provare i fatti che ne costituiscono fondamento. La Cassazione ha affermato in conseguenza di ciò che, in caso di licenziamento di dipendente formalmen-te inquadrato come dirigente, grava sul lavoratore, che intenda fruire del più favorevole regime limita-tivo dei licenziamenti previsto per i dipendenti non aventi tale qualifica, l’onere di provare la natura me-ramente convenzionale dell’inquadramento, e che le mansioni effettivamente svolte non corrisponde-vano a quelle previste o, comunque, difettavano, in concreto, delle connotazioni proprie della categoria dirigenziale.

Cenni sul Collegio Arbitrale previsto dai principali contratti collettivi dei dirigenti. Secondo i due principali contratti collettivi per i dirigenti - CCNL dirigenti dell’industria e CCNL

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dirigenti del commercio -, un apposito Collegio Ar-bitrale è competente a giudicare non per tutti gli aspetti del rapporto di lavoro del dirigente azienda, ma solo in ordine alla “ giustificatezza” o meno del licenziamento irrogato, con eventuale attribuzione della relativa indennità e con poteri di determinare l’ammontare della stessa.Va precisato che il Collegio Arbitrale va adito dal lavoratore entro i trenta giorni dalla data in cui gli perviene la comunicazione di licenziamento.Peraltro, detto termine di 30 giorni è relativo solo e soltanto alla decadenza dalla possibilità di presen-tare ricorso da parte del dirigente licenziato per adire il Collegio Arbitrale; ciò significa che qualora il dirigente intendesse impugnare il licenziamento ma non presentare le proprie istanze al collegio ar-bitrale bensì direttamente al Magistrato del Lavoro, lo stesso dirigente non sarebbe comunque tenuto al rispetto del termine di decadenza di sessanta gior-ni previsto dall’articolo 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604, che trova invece applicazione a tutte quante le altre categorie ( operai, impiegati, quadri ) con eccezione della sola categoria dirigenziale (in tal senso cfr. combinato disposto articoli 6 e 10 della Legge 15 Luglio 1966 n° 604).Visto il chiaro disposto del predetto ’articolo 10 della Legge 604/1966 – che esclude l’applicazione della medesima Legge alla categoria dei dirigenti –, si deve ritenere che l’introduzione di un nuovo comma all’articolo 6 della Legge 604/1966 (avvenu-ta con il disposto dell’art. 32 della Legge 183/2010, c.d. “Collegato Lavoro”), non abbia in alcun modo inserito per i dirigenti dei termini di decadenza per l’impugnativa stragiudiziale e per la successiva in-troduzione del giudizio di impugnativa del licenzia-mento.Comunque, in ragione della recente emanazione della predetta normativa e per l’ambiguità di alcu-ni passaggi della stessa, è suggeribile in via mera-mente prudenziale, che lo stesso dirigente impugni il licenziamento con lettera stragiudiziale nel termi-ne di 60 giorni e promuova l’eventuale successiva causa nel termine di 270 giorni successivi alla pre-cedente impugnativa. Va poi segnalato che, ai sensi dell’articolo 5 della legge 11 agosto 1973, n. 533, si prevede espressa-mente che i giudizi arbitrali in materia lavoro abbia-no la natura di arbitrato irrituale e che comunque la previsione di tale tipo di giudizio da parte del con-tratto collettivo, non possa in alcun modo limitare il diritto delle parti di adire l’autorità giudiziaria ordinaria (Tribunale del Lavoro). Peraltro ai sensi dell’articolo 31, comma 10 della Legge 4 Novembre 2010 n° 183, è altresì possibile che le parti stipuli-

no una clausola compromissoria che le vincoli allo svolgimento del giudizio arbitrale in caso di conten-zioso.Va però precisato che il giudizio arbitrale può esse-re vincolante per le parti qualora le stesse abbiano stipulato una clausola compromissoria di cui all’ar-ticolo 808 del codice di procedura civile, da conside-rarsi valida ed efficace sempreché la stessa:sia prevista da accordi interconfederali o da contrat-ti collettivi di lavoro stipulati da accordi interconfe-derali o da contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentativi sul piano nazionale; sia certificata dagli organi di certificazione di cui all’art. 76 del D.Lgs. 10/09/2003, n° 276 e successi-ve modificazioni;sia stata stipulata dopo la conclusione del periodo di prova ovvero, se non c’è patto di prova, dopo alme-no 30 giorni dall’inizio del rapporto di lavoro; non inerisca comunque a controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Le dimissioni del dirigente ed ipotesi qua-lificate e particolari di dimissioni dello stesso.Sulle dimissioni rassegnate da parte del dirigen-te, si deve precisare che le stesse vanno date con preavviso. Inoltre i principali contratti collettivi dei dirigenti impongono altresì l’obbligo della forma scritta. La durata del preavviso che il dirigente è tenuto a dare alla controparte è di un terzo rispetto alla durata del preavviso del licenziamento nel set-tore industria mentre per quanto concerne il CCNL dirigenti del settore terziario/commercio, detto periodo di preavviso per le dimissioni, rappresenta anch’esso, all’incirca, una frazione che si avvicina grosso modo ad 1/3 della durata del preavviso pre-visto per il recesso da parte datoriale.Le dimissioni possono essere rassegante per giu-sta causa allorquando si verifichi un fatto, che non dipenda in alcun modo dalla volontà del dirigente, che non consenta a quest’ultimo la prosecuzione del rapporto di lavoro: è il caso, ad esempio del manca-to pagamento delle retribuzioni mensili ovvero del mancato versamento dei contributi previdenziali ovvero di un brusco, repentino ed ingiustificabile demansionamento (per tale ultima ipotesi cfr. Cass. S.L. 8/02/2008, n° 3098; Cass. S.L. 8/11/2005, n° 21673, in Dir. e Prat. Lav., 2006, 277, con nota di Mannacio; Cass. S.L. 11/07/2005, n° 14496).Le dimissioni per giusta causa danno comunque di-ritto al dirigente non solo alle dimissioni senza dare il dovuto preavviso, ma anche a ricevere da parte del datore di lavoro l’indennità di preavviso.

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Al riguardo va altresì segnalato che nel settore ter-ziario/commercio il lavoratore dimissionario per giusta causa può adire il Collegio Arbitrale non solo per farsi riconoscere l’ indennità di preavviso ma anche, in aggiunta, un’ ulteriore frazione pari ad 1/3 dell’indennità stessa di preavviso.Va poi segnalato che i due principali contratti col-lettivi per dirigenti prevedono delle dimissioni che potremmo definire come “qualificate”, ovvero delle situazioni giuridiche nelle quali il dirigente, ricor-rendo determinate condizioni, può procedere alle dimissioni stesse, con diritto altresì a vedersi rico-noscere alcune somme.In primo luogo, nel caso del trasferimento di pro-prietà dell’azienda, sussiste il diritto del dirigente – da esercitarsi entro 180 giorni – a dimettersi senza dover dare alcun preavviso ed in aggiunta a vedersi riconoscere da parte della stessa parte datoriale l’indennità di preavviso prevista per il licenziamen-to, intera per i dirigenti del settore terziario/com-mercio e nella frazione di 1/3 per quanto concerne l’applicazione ai dirigenti dell’industria.In secondo luogo, in caso di mutamento delle man-sioni del dirigente tale da incidere sulla posizione individuale, sussiste il diritto del dirigente – da esercitarsi entro 60 giorni dal verificarsi del fatto – a rassegnare le dimissioni senza preavviso ed inoltre a vedersi corrispondere per intero la stessa indennità di preavviso prevista per il licenziamento.Inoltre, in terzo luogo, la mancata accettazione da

parte del dirigente del trasferimento individuale, dà diritto a quest’ultimo - da esercitarsi entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di trasferimen-to – a dimettersi senza preavviso ed inoltre gli dà diritto a ricevere da parte della azienda la relativa indennità sostitutiva del preavviso prevista per il licenziamento ed inoltre un’indennità supplementa-re pari alla frazione di 1/3 del preavviso maturato.Infine, in quarto luogo, in caso di superamento del periodo di comporto previsto contrattualmente, al dirigente, che venga licenziato ovvero che si dimet-ta, spettano, oltre alla normali competenze di fine rapporto, anche l’indennità sostitutiva del preavvi-so.Si tratta di istituti comuni ed identici sia per il set-tore commercio che per quello dell’industria e che trovano un disciplina non di legge ma soltanto da parte delle predette pattuizioni collettive.

Responsabilità civili e penali del dirigente. Esaminiamo ora delle interessanti peculiarità della figura dirigenziale – con riferimento alle respon-sabilità civili e penali – che riscontriamo esclusiva-mente nelle previsioni contrattuali, e nello specifico del CCNL industria e del CCNL commercio.Qualsivoglia responsabilità così come le conse-guenze di natura civile verso terzi causate dalla vio-lazione delle n orme di legge e di regolamento, che siano commesse dal dirigente nell’esercizio delle proprie funzioni rimangono comunque a carico della parte datoriale.In caso di procedimento penale a carico del dirigen-te – di ogni grado - per fatti relativi alle sue funzioni ed alle Sue responsabilità, ogni tipo di spesa resta a carico del datore di lavoro, ivi incluse quelle di as-sistenza legale.Il datore di lavoro ha facoltà di nominare il difenso-re del proprio dirigente nel processo ma il dirigente ha comunque diritto ad un proprio difensore di fi-ducia, con oneri che comunque rimangono a carico della parte datoriale.Inoltre il rinvio a giudizio del dirigente, per fatti atti-nenti all’esercizio delle sue funzioni, non giustifica – di per sé – l’irrogazione di un licenziamento.Il dirigente in caso di privazione della libertà perso-nale ha altresì diritto alla conservazione del posto con diritto alla retribuzione di fatto.Peraltro le garanzie e le tutele di cui s’è detto, si ap-plicano anche posteriormente alla chiusura del rap-porto di lavoro e possono essere garantite tramite apposita polizza; le stesse tutele e garanzie sono pe-raltro escluse nei casi di dolo e/o colpa grave del di-rigente, accertati con sentenza passata in giudicato.

Speciale Lavoro

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Mondo

Dubai. Che sensazione arrivarci. Lo skyline, nella bruma del mattino dal ponte della nave… è eccezionale. Vedi stagliarsi ‘vette’ ineguagliate … Burj Khalifa (la torre più alta del mondo!), Burj Jumeira, Burj Al Arab... tanto per nominarne qualcuna!!!Quando si sente parlare di Dubai, il primo pensiero corre proprio alle grandi e lussuose

la drammaticità d el conte-sto:Capito che il passaporto è re-quisito, obbligatoriamente, dal Datore di lavoro che lo riconse-gna a fine contratto al lavoratore unitamente alla liquidazione del-le sue competenze in modo che l’immigrato provveda con im-mediatezza a lasciare l’Emirato [altro che ASPI o CIG – ndA]. Senza lavoro non esiste possi-bilità alcuna di permanere. E il passaporto è indispensabile per uscire dallo Stato.C’è da sapere, poi, che il passa-porto può essere riconsegnato dal Datore solo unitamente con la liquidazione del dovuto e con la dichiarazione di fine lavoro. Ma, se una Compagnia fallisce, cosa succede? Non ha i soldi per liquidare! I lavori non sono ultimati! Il Passaporto non può essere riconsegnato!Il Lavoratore rimane in uno sta-tus inimmaginabile: Senza Re-tribuzione, non avendo alcuna forma di assicurazione, di am-mortizzatore sociale, deve so-pravvivere con i suoi risparmi.

L’altra faccia di… Dubai

costruzioni, agli hotels a cinque, sette stelle che si vedono negli spot pubblicitari… Ora erano lì di fronte a me e si avvicinavano lentamente mentre la pilotina guidava la nave verso il porto.Tutto faraonico, tutto bello … che visione … il tour turistico, che meraviglie i Mall, sfarzosi ipermercati del lusso! Agli occhi di ogni ‘Occidentale’ è il toccare con mano la possibilità di soddi-sfare tutti i bisogni legati ‘all’ap-parire’!In quella società tutto parla di grandezza, di sfarzo, di compe-titività, ma ho potuto costatare che tutto ciò che conta è … l’ap-parenza.L’aver potuto girare da solo, l’a-ver potuto incontrare nostre connazionali impegnate come in terra di missione a portar bene a veri bisognosi, l’aver appreso la verità dalla viva voce di chi vive quella realtà, mi ha sconvolto.Che delusione! Ho appreso che l’80% della po-polazione di Dubai è formato da immigrati provenienti pre-valentemente da Paesi asiatici:

di Giuseppe MariniConsulente del Lavoro

Lavoratori attirati e raggirati da datori di lavoro senza scrupoli

India, Filippine, Pakistan, Ban-gladesh, Nepal... venuti a Dubai in cerca di lavoro per sostenere i familiari rimasti in Patria.Per alcuni immigrati, Dubai è come un miraggio, un sogno da tempo atteso, che spesso svani-sce come una bolla di sapone. Lavoratori ma, soprattutto, Uo-mini attirati e aggirati dalle pro-messe di datori di lavoro senza scrupoli che, al momento del contratto, si vedono trattenere i loro passaporti per impedire ripensamenti e un eventuale vo-lontario rimpatrio.Quando la crisi economica mon-diale ha colpito anche questa grande e appariscente metro-poli, e con essa moltissime ditte e compagnie che hanno dovuto chiudere per mancanza di lavo-ro e di finanziamenti. In conseguenza, molti Lavora-tori si sono trovati senza lavoro, senza soldi e in particolare sen-za passaporto o alcun documen-to legale e quindi impossibilitati a fare ritorno alle loro Patrie.Il quadro legale, così come ap-preso, è importante per capire

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Neanche se ne può andare per-ché senza documenti pur essen-dogli vietato il permanere, non può andarsene … in alcun modo. È un fuorilegge,’tollerato’!!!! Però può farsi mandare dalla Fa-miglia i soldi per sopravvivere!!! Un emigrato che deve invertire il flusso patrimoniale che aveva originato la sua migrazione. Far-si mantenere dai famigliari che voleva sostentare con il suo lavo-ro estero. Un’indecenza! Chi è fortunato e trova ancora lavo-ro è mal retribuito, con salari mini-mi (dai 400 agli 800 Dirahms) [At-tenzione: 1 Euro equivale a poco più di 5 Dirahms – ndA] per non essere legalmente in regola. E, pur lavorando, per mesi potrebbe non ricevere buste paga.Guardandomi attorno, per le vie di Dubai, dove diverse costru-zioni sono rimaste incomplete, proprio a causa della crisi eco-nomica mondiale che ha forte-mente colpito e messo in crisi il settore edilizio dell’Emirato, ho visto lavorare sotto il sole cocente tanti poveri immigrati. Ho domandato, allora, alla mia interlocutrice: “Chi sono questi lavoratori? Da dove provengono e soprattutto dove e come vivo-no qui a Dubai?”Non c’è voluto molto a scoprire la verità, ed è una verità molto triste.In Dubai e negli Emirati vicini ci sono numerosi “Labour Camps” dove vive la maggioranza, d’im-migrati asiatici disoccupati, in condizioni davvero disumane. Circa venti persone vivono am-mucchiate in una piccola stanza con solo tre letti a castello, gli altri devo trovare posto e dor-mire sul pavimento. In alcuni “Labour Camps” gli immigrati devono anche pagare l’affitto mensile di 3.000 Dirahms, divi-so per il numero delle persone che vi abitano ed è evidente che con salari simili sono costretti a

tati diversi dove ho potuto vede-re e toccare con mano la dura e triste realtà di questi indigenti». Alcune testimonianze, raccolte grazie alla Suora:• I datori di lavoro di Vinod

(operaio nepalese) hanno chiuso la loro ditta e lasciato Dubai, portando il suo passa-porto con loro. Ora egli è sen-za lavoro, senza documenti legali, e senza una dimora. Dorme nei parchi e per il cibo deve contare sulla carita’ del-le persone.

• Mary ha lavorato in Dubai per due anni. Il suo Visa è scaduto l’anno scorso. Vor-rebbe ritornare al suo Paese di origine ma non se lo puo’ permettere perché non ha i soldi per il biglietto aereo.

• Ramesh è bloccato qui a Du-bai perché non è stato paga-to dal suo datore di lavoro che gli deve 9.000 Dirahms. Senza soldi, Ramesh non ha possibilita’ di ritornare in In-dia. Anche lui si deve affidare alle organizzazioni non-profit per ricevere almeno un pasto giornaliero.

• Shankar è un falegname che ha perso il suo lavoro perché la ditta in cui lavorava è falli-ta. I suoi datori di lavoro non gli hanno mai ritornato il suo passaporto e neppure pagato quanto gli era dovuto.

• Satnam lavorava come guar-diano di una ditta. Dopo 11 mesi di lavoro senza retri-buzione, è stato licenziato. Il suo passaporto è “misteriosa-mente” andato perso. Anche lui si aggiunge alla lunga lista di coloro che ricevono un pa-sto dai volontari.

E la lista di chi si trova in strette necessità è lunga. Forse, quanto alta è Burj Khalifa … orgoglio dell’Emiro locale, in ‘difficoltà’ finanziarie, e terminata solo grazie ai soldi dell’inviso Emiro

Mondo

risparmiare anche sul cibo. Chi non riceve un salario si affida alla bontà, generosità e solida-rietà di chi è più fortunato.Non hanno alcun diritto umano, sono segregati dalla società e vi-vono in condizioni deplorevoli, il loro unico desiderio è quello di poter ritornare ai loro Paesi di origine. Un diritto questo che a loro è negato proprio perché restati senza documenti e senza soldi per il biglietto di ritorno. Purtroppo, anche le rispettive Ambasciate non sono di molto aiuto. I loro connazionali da aiu-tare sono troppo numerosi.Nella St Mary’s Parish di Dubai, un compound, un’area chiusa utilizzata più che per difende-re i suoi occupanti da eventua-li aggressioni, per confinare i religiosi cristiani (sacerdoti e consacrate) come veri e propri prigionieri di guerra, ho ap-preso che Il locale “Samaritan Group” ha lanciato nel tempo appelli a tutti i parrocchiani – gli altri immigrati di fede cattolica - sollecitando la loro generosità, indicando una serie di prodotti alimentari indispensabili per andare incontro alle prime ne-cessita’ di chi vive nei “Labour Camps”, una generosità che, è stato detto, è andata al di la’ del-le attese e che ha permesso di distribuire centinaia e centinaia di sacchetti di generi alimentari ai bisognosi dei “Camps”. Un’a-zione meritoria ma pur sempre una goccia nel deserto! Molti altri di quei disgraziati sono ri-masti in fila, in attesa di riceve-re qualcosa che, purtroppo, non hanno trovato.La Missionaria ha proseguito dicendomi: «Ogni venerdì – in cui anche i cristiani devono offi-ciare – esclusivamente nel com-pound - obbligatoriamente i loro riti al posto della Domenica, con alcuni volontari, vado in uno di questi “Camps”. Ne ho già visi-

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di Abu Dabi! Non l’avrei mai detto di trovare una così penosa realtà proprio qui a Dubai, un’altra triste verità che ‘Coloro che Possono’ celano agli occhi della gente. Da Uomo e da Professionista, sapere come i diritti umani e, nel contempo, i diritti di lavora-tori vengono calpestati impune-mente, mi ha fatto rabbrividire! Mi sono domandato come lan-ciare un Grido affinché chi può o almeno le OO.SS. nostrane – quantomeno le “sigle maggior-mente rappresentative” - gestri-ci di munifici settori ‘produttivi di finanze’ quali Caf e Patrona-

e Vedrai”, mentre un altro, evan-gelico, dice “Tocca e Credi”… e io – dopo quarantacinque anni di lavoro ‘ufficiale’ - me ne vado in giro per il mondo per Vedere e Toccare. Cercando di capire se la crisi che è mondiale, che è triste per ognuno, è triste in egual misura per tutti. Capire se la solidarietà verso l’Altro si può stimolare. Se tutti abbiamo il diritto di imprecare per il pro-prio status d’indigente. Se sia-mo veramente così sfortunati come crediamo di essere. Ognuno di noi, ‘tristi e sconsola-ti’ Europei, avrà sicuramente di che riflettere.

ti, ormai rese consapevoli della triste realtà da questo articolo, devono sentirsi stimolate a ren-dersi parte attiva per la tutela di Lavoratori in condizioni di estremo disagio; a intervenire sia tramite le loro rappresen-tanze internazionali e sia facen-dosi promotrici di azioni di soli-darietà umanitaria. Ringrazio Sr. Agnese Elli, com-boniana del St Mary’s Parish, che con le sue testimonianze, il suo coraggio e la sua determina-zione mi ha permesso di realiz-zare questo scoop ‘illuminante’ per i più.Un afflato salesiano dice “Vieni

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Eventi

Presenze record al convegno Fornero

Presenze record e relatori d’eccezione al Convegno di Studi organizzato dal Consiglio Pro-vinciale di Roma dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro dello scorso 29 ottobre che ha visto la sponsorizzazione di TeleConsul Editore Spa e le media partnership della rivista House Organ del Consiglio Provinciale di Roma dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, insieme a

IES TV.

di Andrea Tommasini Redazione Cultura

IES TV ha dedicato una edizione speciale del Te-legiornale, visualizzabile dal sito istituzionale del Consiglio Provinciale di Roma all’indirizzo www.consulentidellavoro-roma.it.Dopo un caloroso intervento iniziale di benvenu-to e ringraziamento ai convenuti ed apertura dei lavori da parte del Presidente del CPO di Roma, il Dott. Adalberto Bertucci, il quale ha introdotto la Riforma Fornero, stigmatizzando alla Catego-ria anche il nostro ruolo determinante rispetto alle riforme in corso in materia di liberalizzazioni degli Ordini, sostenendo con forza il punto della Categoria. Dopo un intervento di presentazione del CDL Atti-lio Miotto, Presidente di TeleConsul Editore Spa, sponsor dell’Evento che ha con forza sostenuto l’ef-ficacia della loro presenza a fianco della Categoria ed in particolare del Presidente Bertucci.È stata poi passata la parola al Segretario del CPO di Roma, Dott. Daniele Donati il quale, accompa-gnando la chiara introduzione del Presidente, ha proseguito moderando con agilità gli interventi dei relatori, tutti seguiti con grande interesse ed un grande applauso conclusivo.Nello svolgimento dei lavori, primo l’interven-to del relatore Lippolis, il quale ha ampiamente parlato del Lavoro a progetto, Lavoro Autonomo economicamente dipendente e dell’Associazione in partecipazione.. Ha seguito l’intervento del re-latore Massi il quale ha chiarito, a seguito della riforma Fornero tutto ciò che riguarda la questio-

Oltre 700 persone al Convegno“A tre mesi dalla riforma lavoro” organizzato dalla CPO di Roma

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ne delle c.d. “dimissioni in bianco” e subito dopo quanto cambia in materia di Riforma del licenzia-mento individuale.È stata dunque passata la parola a Bussino il qua-le ha chiarito il significato della c.d. ASPI e Mini ASPI spiegando significato e modalità applicative per La nuova Assicurazione Sociale Per l’Impiego.La parola dunque al Consigliere del CPO di Roma, il Dott. Stern il quale ha ampiamento diffuso e chiarito le modalità da riservare al contratto a ter-mine e quello intermittente.Ha concluso l’intervento con una coinvolgente ri-flessione il CDL Marini il quale ha parlato di Codi-ce Deontologico e doveri di competenza.Presenze record dunque per questo importan-te appuntamento curato in ogni dettaglio dalla Commissione Competente e dagli impiegati dell’Ordine che silenziosamente da “dietro le quinte” accompagnano a supporto del Consiglio, della Commissione competente e degli iscrit-ti tutte le delicate fasi, che dalla gestione delle iscrizioni portano sino alla realizzazione di even-ti di successo. Foto di: Simone Colucci ed Alessandro Maffei

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Eventi

Metti un laureato a cenaLe lauree, ulteriore “ponte” verso il dialogoe la conoscenza interpersonale e la crescita culturale della Categoria

Metti un laureato a cena!....Riprendendo la parafrasi del famoso film di Giuseppe Patroni Griffi e con tutt’altra situazione e soprattutto con lieto finale (metafora già utilizzata per la cena conviviale del 27 ottobre dell’anno scorso), con grande soddisfazione dei presenti, è stato posto in essere dal Presidente Adalberto Bertucci e dal Consiglio il giorno 1 ottobre

2012 un allegro appuntamento conviviale per festeggiare le ottantasei nuove lauree magistrali dei Col-leghi. Presenti tutti i consiglieri dell’Ordine, i presidenti delle Commissioni e quelli di molte consulte.

che ci hanno sempre contrad-distinti ed hanno permesso di raggiungere alle nostre perso-ne ed alla Categoria un valore aggiunto, quello della serietà e della integrità di un legame che è iniziato, a volte anche per caso e che si è consolidato e ar-ricchito per scelta. Auguri di cuore alle nuove dottoresse ed ai nuovi dottori che arricchisco-no il nostro Ordine di nuovi pro-fessionisti. Il primo ottobre con tutti loro abbiamo festeggiato in una bel-la serata conviviale con cena, insieme alle rispettive famiglie, per gioire insieme degli impor-

di Andrea Tommasini Redazione Cultura

tanti traguardi raggiunti.Ad allietare la splendida serata, insieme ad una tipica selezione eno-gastronomica locale ser-vita dai proprietari e da simpa-ticissimi camerieri, un “finto cameriere” che intratteneva gli ospiti impersonato per noi da un noto attore di fiction, Cinema e Teatro, Renato Marotta, che è anche uno straordinario musici-sta e con le sue note ha allietato grandi e piccini nella serata con un ampio repertorio che passa-va dai classici della canzone ro-mana e napoletana, alle migliori tradizioni del pop rock interna-zionale, del blues e del Ghospel

Ottantasei sono le lauree conse-guite in questa sessione dai no-stri Colleghi dei quali con pia-cere andiamo a ribadire i nomi con orgoglio ed in segno di ul-teriore ringraziamento per aver saputo sostenere, insieme alla grande fatica ed impegno dello svolgimento della professione, anche la costanza nel consegui-mento di sempre nuove sfide e traguardi. Che cosa dire se non annunciare la felicità per questi splendidi traguardi meritati e realizzati con quella determi-nazione fatta di costanza, fer-mezza, ostinazione, risolutezza, tenacia, perseveranza, qualità

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con il quale insieme a tutti i pre-senti abbiamo concluso cantan-do “Oh Happy Day…”Il coinvolgente ritmo della mu-sica, insieme al piacere del buon cibo, hanno colorato la serata di gioia ed allegria, fa-cendoci mettere da parte per qualche ora i pressanti impegni che ogni giorno si nutrono del nostro tempo.Una piacevole atmosfera che ha celebrato il successo di tutti noi, presenti ed assenti, nell’occasione. Un’altra risposta alle richieste di molti ha trova-to compimento. Il Presidente Bertucci, durante tutta la cena, si è piacevolmente intrattenuto con tutti i commensali spostan-dosi fra i tavoli in un clima di serena e familiare condivisio-ne che, grazie anche al bravo artista che animava la serata, ha fatto sì che si potessero su-perare le rigide forme, a favore di una piacevole sostanza che ci ha visti cantare tutti insieme un vasto repertorio musicale. Più

che positivo quindi il feedback ricevuto dai convenuti per l’ap-puntamento.Auguri di cuore agli ottantasei neo dottori magistrali: Massi-mo Albiani, Tommaso Arseni, Guido Avvertenza, Adalberto Bertucci, Federica Bertucci, Marco Bertucci, Andrea Borro-meo, Marco Cacurri, Federico Canoppia, Adalberto Capurso, Francesca Celidonio, Gianluca Ciccia, Corrado Cicco, Pame-la Civitareale, Massimiliano Costanzo, M.Mario Daniele, Flavia D’amico, Leonardo D’a-mico, Federico Del Fiume, Li-dia Di Gaspari, Giustino Di Ian-ni, Marco Di Marco, Andrea Di Sacco, Annalisa Di Sacco, Chiara Donati, Gianluca Do-nati, Davide Marco Doricchi, Linda Ferretti, Massimo Flac-comio, Tiziana Galletti, France-sco Giandonato, Marco Giosi, Patrizia Gobat, Giuliano Gra-delli, Alessandro Gradelli, Ro-sanna Grizzi, Laura Guerrini, Marco Gurrieri, Roberto Ian-

narilli, Tiziana Leggi, Lorenzo Lelli, Marco Lombardo, Augu-sto Mancini, Mariano Manci-ni, Mauro Marcelli, Eleonora Marzani, Christian Mascellino, Domenico Masciarelli, Adria-no Mastracci, Pietro Massa, Manuela Matacena, Tommaso Mengucci, Marco Murolo, Car-lo Nezzo, Luca Orati, Manuele Orciari, Giuliana Panella, Mau-rizio Paniccia, Massimiliano Pastore, Antonio Pazonzi, Ele-na Picchioni, Mauro Polacchi, Michele Polini, Stefania Priori, Tiziana Procopio, Francesca Proietti, Rosella Quacquarini, Stefania Romaniello, Giovanna Rafanelli, Valentina Rinaldi, Te-resa Roselli, Laura Salvatorelli, Marina Scaringella, Giancarlo Scivales, Valerio Taurelli Salim-beni, Paola Tomassi, Francesca Tozzi, Giovanni Turchetti, Da-niela Valentini, Valerio Valeri, Nelido Vallocchia, Antonio Ve-nanzi, Sergio Venanzi, Roberta Verrillo, Maria Vinciguerra, Serenella Zizza.

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Sindacato

su cosa dovrebbe essere e fare il sindacato dei Con-sulenti del Lavoro per i liberi professionisti par-tendo dalla riforma delle professioni. Le relazioni iniziali hanno inquadrato la questione aperta dalla riforma delle professioni dai vari osservatori privi-legiati. La nostra presidente Calderone, a proposito ancora auguri per la riconferma alla guida del Cup, ha incentrato la sua relazione sugli aspetti normati-vi e sul percorso che ha portato al testo approvato. Il presidente Longobardi ha sottolineato la necessi-tà di una maggior collaborazione degli enti e degli istituti con i professionisti e i Consulenti del lavoro che operano nell’interesse della collettività con gli strumenti da loro stessi messi a disposizione. Ma, a mio avviso, l’intervento per noi illuminante è sta-to fatto dal collega Visperalli. Dal suo osservatorio all’Ente di Previdenza fresco di riforma, ha sottoli-neato alcuni aspetti del futuro di questa professio-ne che ci indicano la strada per le prossime e futu-re iniziative sindacali. La scelta fatta con la riforma dell’Enpacl si basa e fonda la propria sostenibilità sul “patto generazionale”. L’uovo di Colombo. Au-mentiamo il contributo integrativo dal 2% al 4%, di cui solo il 3% a montante contributivo, rimoduliamo il contributo soggettivo, e giungiamo ad una più equa pensione in funzione dei contributi effettiva-mente versati. Il sistema sarà in equilibrio e rispon-derà ai requisiti di sostenibilità. Sì! Ma per quanto? 50 anni. Come da normativa! Ok. Ma il “patto gene-razionale? Noi “ripuliamo” l’ente dalle storture del passato e le generazioni future ci “pagheranno” la pensione. Fantastico. Ma forse manca qualcosa. Va bene aver messo in sicurezza i conti dell’ente ma i conti dei nostri studi e quelli delle generazioni fu-ture chi li mette in sicurezza? Con chi dovremmo stipulare questo “patto generazionale”? Con coloro che vedono la loro professione attaccata da più par-

ti come fosse il principale obiettivo per risanare la finanza pubblica o per rilanciare il mercato? Con coloro che hanno visto e continuano a vedere il fat-turato dei loro studi in caduta libera? Con coloro, chissà se sono più fortunati della precedente cate-goria, che continuano a svolgere la loro attività con l’ulteriore aggravio del recupero crediti dai clien-ti? Con coloro che pensando ai “vecchi consulen-ti” che facevano la fila all’INPS sorridono perché “oggi si usa il cassetto bidirezionale”... Vero! Però non funziona e dopo non puoi nemmeno metterti in fila all’INPS perché nessuno ti riceve… È questa la professione che vogliamo? Io no! Voglio una pro-fessione che sia rispettata e che si faccia rispettare. Il nostro impegno non è solo quello, obbligatorio e portato a termine con egregia capacità dai ver-tici ENPACL, di mettere in sicurezza i conti, ma quello di rilanciare le libere professioni e in parti-colare la nostra. Per renderla nuovamente appeti-bile e affascinante. E allora la nostra casa, il nostro fortino all’interno del quale difendere le posizioni e rilanciare conquistando e riconquistando campo, centimetro dopo centimetro, è il sindacato. Nel sin-dacato possiamo elaborare forme di protesta e di proposta da presentare a tutti gli enti e istituti con i quali collaboriamo nell’attività quotidiana. Come ANCL Regione Lazio presenteremo nei prossimi giorni alcuni suggerimenti e riflessioni che saran-no la sintesi di ciò che i Presidenti delle Unioni Pro-vinciali hanno elaborato ascoltando le esigenza dei colleghi. Il documento è aperto a tutti coloro che volessero portare la loro esperienza e i loro sugge-rimenti. Riteniamo che la via debba essere quella del costante ascolto e della sensibilità ma che tutto debba poi essere portato alla luce con la forza di-rompente che solo le idee condivise di gruppi coesi possono avere.

Il 17 ottobre scorso, presso l’Oly Hotel di Roma si è svolta una vera e propria full day Ancl. La mattina il Consiglio Nazionale e il pomeriggio l’assemblea dei Consiglio Regionali e delle UP.A parte gli aspetti puramente tecnici e interni quali l’approvazione del bilancio di previsione 2013, il resto della giornata, soprattutto il pomeriggio, è stato un susseguirsi di interventi e di suggerimenti

Quale sindacato per i futuri professionisti

di Andrea ParlagrecoPresidente ANCL Regione Lazio

Considarazioni dal full day

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Quaderni

I Quaderni del Consulente La mediazione fiscale obbligatoria ex art. 17-bis D. Lgs. 546/92

In questo numero, prosegue il Quaderno d’approfondimento iniziato nel Numero 33 del 15/10/2012, a cura dell’Avv. Maurizio Villani, Patrocinante in Cassazione e dell’Avv. Francesca Giorgia Roma-na Sannicandro, sulla materia della Mediazione fiscale obbligatori ex art. 17-bis D. Lgs. 546/92 che, nello sviluppo dei numeri, andrà ad analizzare i punti come di seguito indi-

Fiscale

cati:

In questo numero:7. Il rapporto tra il reclamo e l’accertamento esecutivo

Seguiranno nei prossimi numeri:8. La Circolare n. 9/E/2012 del 19 marzo 20129. I dubbi dell’istituto10. Quadro sinottico delle sanzioni11. La circolare n. 33/E del 03 agosto 201212. Conclusioni

Abbiamo già pubblicato:Numero 33 – Anno II – Uscita del 15/10/20121. Il reclamo e la mediazione fiscale obbligatoria come riformata dal d.l. n. 98 del 06.07.2011 conv.

in L. 111 del 15.7.2011 2. La norma: D.L. 98/2011, art. 39 commi 9,10,113. La natura del reclamo

Numero 34 – Anno II – Uscita del 31/10/20124. L’oggetto5. La procedura6. Il reclamo e gli strumenti deflativi7. Il rapporto tra il reclamo e l’accertamento esecutivo.

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Fiscale

A decorrere dal 1° ottobre 2011 l’attività di riscossione è incor-porata nella fase dell’accerta-mento relativamente ai periodi d’imposta in corso al 31.12.2007 e alle annualità successive.L’art. 29 del Decreto Sviluppo n. 78 del 31.05.2010, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122, introduce le nuove regole ai fini dell’accer-tamento esecutivo.A partire dal 01 luglio 2011 – data successivamente portata al 1° ottobre 2011 – oggetto di accertamento esecutivo non sa-ranno tutti i tributi, ma soltanto gli avvisi di accertamento emes-si dall’Agenzia delle Entrate in materia di imposte sui redditi, Irap e Iva nonché i provvedi-menti di irrogazione delle san-zioni.La novità principale del nuovo

accertamento abita nel contenu-to dello stesso che dovrà inclu-dere l’intimazione ad eseguire il pagamento delle somme pre-tese entro il termine di presen-tazione del ricorso (60 giorni), ovvero, nel caso di impugnazio-ne dell’atto impositivo, le som-me dovute a titolo provvisorio ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/73. Risulta, pertanto, evidente, l’in-tento legislativo: contrastare per quanto possibile – attraver-so l’intimazione di pagamento contenuta già nell’avviso di ac-certamento – il fenomeno dell’e-vasione dalla riscossione. A seguito delle indicate inno-vazioni normative, il termine entro cui occorre provvedere al pagamento degli importi richie-sti a titolo di imposta, sanzioni e interessi è quello per la presen-

tazione del ricorso, cioè gli ordi-nari 60 giorni, fatto salvo però il caso in cui venisse presentata istanza di adesione (in tale si-tuazione, il termine rimane so-speso per ulteriori 90 giorni).Decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, come sopra individuato, se il contri-buente non paga, l’ufficio acqui-sta titolo per delegare l’agente della riscossione a procedere.In presenza di ricorso innan-zi alla CTP, la richiesta corri-sponde alla metà delle imposte pretese; in presenza però di un pericolo per la riscossione, può essere richiesto l’importo integrale, con la possibilità per il concessionario di procedere a esecuzione forzata sulla base dell’avviso di accertamento.L’innovazione normativa si tra-duce sostanzialmente nell’acce-

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lerazione dei tempi della riscos-sione (parziale o totale) delle somme accertate, finalizzata a evitare i fenomeni di sottrazio-ne al Fisco delle somme che sono oggetto di atti impositivi.In sintesi, secondo la normativa in vigore:- l’accertamento deve conte-

nere l’avvertimento che, de-corsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme ri-chieste sarà affidata ad Equi-talia (incaricata del servizio di riscossione dei tributi era-riali);

- in caso di fondato pericolo per la riscossione, le somme potranno essere affidate ad Equitalia prima dei termini di cui all’art. 29 del D.L. n. 78/2010, lettere a) e b);

- l’atto successivo rispetto all’avviso di accertamento è costituito dal pignoramento, che deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenu-to definitivo;

- a seguito dell’affidamento del credito ad Equitalia, il contribuente può chiedere la dilazione delle somme dovu-te.

Nel nuovo sistema, l’avviso di accertamento diviene esecutivo con il decorso di 60 giorni dalla notifica dell’atto.Pertanto, ai fini dell’esecuzione, non è più necessaria la notifica della cartella di pagamento.A pena di nullità, l’avviso di ac-certamento notificato al contri-buente deve contenere:- l’indicazione dell’imponibile

o degli imponibili accertati;- l’indicazione delle aliquote

applicate e delle imposte li-quidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle rite-nute di acconto e dei crediti

d’imposta;- i presupposti di fatto e le ra-

gioni giuridiche che lo hanno determinato.

A seguito delle modifiche ap-portate dal D.L. n. 78/2010, l’at-to deve altresì contenere:- l’intimazione ad adempiere,

entro il termine di presenta-zione del ricorso, all’obbligo di versamento delle somme richieste;

- ’indicazione degli importi da pagare a titolo provvisorio in caso di proposizione del ricorso, secondo quanto sta-bilito dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973;

- l’avvertimento che, decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscos-sione delle somme richieste in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo sarà affidata ad Equitalia, ai fini dell’esecuzione forzata.

Nel nuovo contesto normativo, la riscossione, quindi, dovrà av-venire secondo la sequenza pro-cedimentale: - avviso di accertamento- affidamento del credito all’a-

gente della riscossione- eventuale intimazione ad

adempiere- pignoramento Poiché l’atto impositivo acquisi-sce il carattere dell’esecutività, il contribuente potrà evitare il rischio dell’esecuzione forzata solamente procedendo al paga-mento (senza che si renda ne-cessaria alcuna cartella esatto-riale, perché non più prevista).L’art. 29 del D.L. n. 78/2010 pre-vede infatti la seguente sequen-za: - affidamento del credito ad

Equitalia con modalità che verranno determinate con provvedimento del Diretto-re dell’Agenzia delle Entrate (se l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate dispone di ulteriori

elementi utili – ai fini dell’ef-ficacia della riscossione – li fornirà al momento dell’affi-damento);

- sulla base del titolo esecuti-vo (che è costituito dall’avvi-so di accertamento) l’agen-te della riscossione, senza la preventiva notifica della cartella, procederà con l’e-spropriazione forzata, ai sensi del D.P.R. n. 602/1973 (l’espropriazione, in ogni caso, dovrà essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenu-to definitivo).

L’art. 29 comma 1 lett. a), del D.L. n. 78/2010, prevede che l’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche median-te raccomandata con avviso di ricevimento.Ciò avviene in tutti i casi in cui siano stati rideterminati gli im-porti dovuti, in base agli avvisi di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA (mancato pagamento anche di una sola delle rate dovute a seguito di accertamento con adesione; pagamento del tri-buto in pendenza di processo; esecuzione delle sanzioni am-ministrative).In tali ipotesi, il versamento delle somme deve avvenire en-tro 60 giorni dal ricevimento della raccomandata.Nel caso in cui il contribuente raggiunto dall’atto impositivo scelga la strada del contenzio-so, può essere richiesta la so-spensione dell’atto stesso: -in sede giudiziale, dinnanzi alla CTP (art. 47, D. Lgs. n. 546/1992), in presenza di ve-rosimiglianza della pretesa (fumus boni iuris) e del danno grave e irreparabile (pericu-

Quaderni Fiscale

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39The world of il Consulente

lum in mora);- in sede amministrativa, come è precisato dall’art. 29 del D.L. n. 78/2010, richiamando l’art. 39 del D.P.R. n. 602/1973.Risulta altresì opportuno pre-cisare un esempio di impugna-zione di avviso di accertamento esecutivo, alla luce dell’introdu-zione dell’istituto del reclamo obbligatorio.I termini per l’impugnazione dell’avviso di accertamento ese-cutivo restano sempre 60 giorni dalla notifica dell’atto; per poter procedere alla presentazione del ricorso sarà, tuttavia, neces-saria la presentazione di un re-clamo (con i requisiti ex art. 17 bis), il quale allo scadere dei 90 giorni previsti dalla procedura, produrrà gli effetti del ricorso (e così 30 giorni per la costitu-zione in giudizio).Mettiamo il caso che il contri-buente, prima ancora del ricor-so, voglia tentare un’adesione con l’ufficio, al 59° giorno dal-la notifica dell’accertamento. Pertanto, ai 59 giorni a seguito della ricezione dell’atto, se ne dovranno aggiungere altri 90, previsti dall’adesione, che so-spendono gli effetti e i termini dell’accertamento.Il contribuente non raggiunge un accordo con l’ufficio e decide di proporre ricorso – precisia-mo che in questo caso ha soltan-to un giorno utile per la proposi-zione del reclamo (ovviamente dando per certa la sussistenza dei requisiti per la proposizione dello stesso) – e, proponendo reclamo, tenta ulteriormente di addivenire ad un accordo o all’annullamento dell’atto notifi-catogli.Aggiungeremo, così, ulteriori 90 giorni, trascorsi i quali, il re-clamo produrrà gli stessi effetti del ricorso (costituzione nei 30 giorni successivi mediante de-posito del fascicolo).

A questo punto, il contribuen-te, già alla presentazione del reclamo, avrà dovuto adempie-re al pagamento di una parte delle imposte – in quanto dopo i 60 giorni dalla notifica l’atto diventa esecutivo –, come indi-cato nell’atto di accertamento (ricordiamo a tal proposito che le sanzioni non possono essere chieste prima della sentenza di primo grado); infatti, il 61° gior-no dopo la notifica dell’atto, le suddette somme vengono affi-date all’agente della riscossione che, tuttavia, non potrà – stante la normativa vigente – procede-re ad esecuzione forzata prima dei 180 giorni da quando riceve in carico il provvedimento (e quindi avremo: 60 giorni per l’esecutività, 90 giorni per l’a-desione, ulteriori 90 giorni per il reclamo, 30 giorni per l’affi-damento, 180 giorni per l’inizio dell’esecuzione).Ricordiamo che la sospensione di 180 giorni, prevista prima dell’inizio della riscossione, opera ex lege, ovvero senza che sia richiesto al contribuente al-cun adempimento. A tal proposito, è possibile, ai sensi dell’art. 47 del D. Lgs 546/92, in pendenza di ricor-so, richiedere alla Commissio-ne provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto, se da questo possa de-rivare un danno grave e irrepa-rabile; la sospensiva è richiesta con un’istanza contestuale o successiva al ricorso, che in-terrompe gli effetti dell’atto fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado. La L. 106/2011, ha introdotto all’art. 47 del D. Lgs. 546/92 il comma 5 bis, il quale prevede che i giu-dici devono pronunciarsi sull’i-stanza di sospensione entro 180 giorni dalla data di presentazio-ne dell’istanza. Opportuno ricordare che la so-

spensione agisce solo sull’ese-cuzione e non anche sulle misu-re cautelari.Il tutto si traduce in 450 giorni prima del primo atto esecutivo (il pignoramento), con il paga-mento di una parte delle impo-ste. Senza considerare poi, il termine di sospensione feriale, con il quale i giorni diventereb-bero 496 giorni, quindi oltre un anno e mezzo.Fatta salva, ovviamente, la pos-sibilità per l’agente della riscos-sione, di procedere alla richiesta di misure cautelari, al ricorrere delle situazioni di pericolo per la riscossione.Infatti, le misure cautelari co-stituiscono una possibilità, per l’Amministrazione, di tutelare il credito erariale in presenza di una situazione di pericolo per la riscossione.Tale normativa è stata sottopo-sta a revisione a opera dell’ art. 27, D.L. 29.11.2008, n. 185, con-vertito dalla L. 28.1.2009, n. 2 e dell’ art. 15, commi da 8-bis a 8-quater, D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla L. 3.8. 2009, n. 102.I più recenti interventi interpre-tativi in materia, emanati dagli organismi di controllo, rappre-sentano delle precise linee di condotta per gli addetti alle attività ispettive e si rinvengo-no nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 15.2.2010, n. 4/E, oltre che nella circolare del Co-mando Generale della Guardia di Finanza 7.4.2010, n. prot. 010449610.Le più recenti innovazioni nor-mative in materia di misure cautelari sono state apportate dall’art. 29, quinto comma, del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122.Il carattere di novità della nor-ma consiste nella modifica dell’art. 27, comma 7, primo periodo, del D.L. n. 185/2008,

Fiscale

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40 The world of il Consulente

per effetto della quale le misu-re cautelari conservano, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, la loro validità e il

loro grado a favore dell’agen-te della riscossione che ha

in carico il ruolo, qualora siano adottate in base:

al processo verbale di constatazione,

al provvedimento con il quale ven-gono accertati maggiori tributi, all’atto di recupe-ro per la riscos-sione di crediti

indebitamente utilizzati, al

prov vedimento di irrogazione del-la sanzione oppure all’atto di contesta-zione.A seguito della mo-difica in commento,

quindi,

le misure cautelari conservano la loro validità e il loro grado a favore dell’agente della riscos-sione, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, ove adottate in base al pvc, al prov-vedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, al provvedimento di irrogazione della sanzione o all’atto di con-testazione; non più, dunque, in relazione agli importi iscritti a ruolo in base al provvedimento di accertamento di maggiori tri-buti (come prevedeva la prece-dente formulazione del settimo comma).Le nuove regole possono essere coordinate con quanto previsto in materia di accertamento ese-cutivo (in presenza di pericolo per la riscossione, gli importi possono essere riscossi coatti-vamente senza rispettare il li-mite generale di 60 giorni).È stata altresì disposta la so-spensione dell’esecuzione

forzata conseguente agli accertamenti

esecut i -

Quaderni Fiscale

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41The world of il Consulente

Fiscale

vi per 180 giorni decorrenti dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione; tale sospensione non si applica con riguardo alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni al-tra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.La sospensione non opera, inol-tre, se gli agenti della riscos-sione vengono a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudica-re la riscossione.Stando al respiro europeo delle liti pendenti con il Fisco, l’istitu-to del reclamo, unitamente agli strumenti consensuali già utiliz-zati, consentirebbe una sorta di allineamento con gli altri Paesi, mediante il quale la valutazione della magistratura entrerebbe in campo solo per le controver-sie effettivamente rilevanti.Cosa s’intende per “effettiva-mente rilevanti” non si riesce bene ancora a delineare, dal momento che nell’ultimo anno, ci sono state una serie di modi-fiche legislative e di incrementi di norme che, essendo ancora in via sperimentale, attendono di produrre gli effetti sperati,

ma anco-

ra produttivi di un numero ele-vato di dubbi.Relativamente alla comunica-zione dell’agente della riscos-sione, emerge che la avviso verrà inviato al contribuente nel momento in cui l’agente della riscossione avrà preso in carico la somma risultante dall’avviso di accertamento, mediante una raccomandata semplice, con pregi e difetti che questa comu-nicazione comporterà.Infatti, da un lato, con fini quasi “educativi” per i contribuenti, l’informativa sarà il campanello d’allarme per il contribuente; nello specifico, perché la co-municazione dell’agente della riscossione, lo avvertirà che nessun altro avviso sarà porta-to alla sua conoscenza relativa-mente alle debenze tributarie a suo carico. Da un altro lato, poiché la ri-chiesta di rateazione può esse-re avanzata a seguito dell’affi-damento della riscossione, la comunicazione de quo, dovreb-be servire anche a segnalare, a chi interessato, che da quel mo-mento può attivarsi la richiesta di rateazione.

Infatti, il recentissimo D.L. n. 16 del 02.03.2012, pub-

blicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 52 ed

in vigore dalla stessa data,

r e c a n t e “Dispo-

sizio-n i

urgenti in materia di semplifi-cazioni tributarie, di efficien-tamento e potenziamento delle procedure di accertamento”, di-spone all’art. 8, comma 12:“Al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con mo-dificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono apportate le seguenti modificazioni: ) all’ar-ticolo 29, comma 1: 1) alla lettera b), in fine, è ag-

giunto il seguente periodo: «L’agente della riscossione, con raccomandata semplice spedita all’indirizzo presso il quale è stato notificato l’atto di cui alla lettera a), informa il debitore di aver preso in ca-rico le somme per la riscos-sione»;

2) alla lettera c), in fine, sono aggiunte le seguenti parole: «e l’agente della riscossione non invia l’informativa di cui alla lettera b)»”.

Le perplessità circa la norma sono notevoli, soprattutto rela-tivamente al fatto che non sono ancora palesi le conseguenze di un eventuale mancato od er-roneo invio dell’informativa; in quale modo vi potrà essere la tracciabilità di questa nota della riscossione, entro quali termini e in quale misura si potrà rileva-re un eventuale vizio attinente alla raccomandata; tutti ancora interrogativi senza risposta.Senza contare poi, che nel se-condo periodo, la norma pre-vede che l’”atto di cortesia” dell’agente della riscossione, non venga in essere qualora sia ravvisato un elemento di pericolo per la riscossione; in soldoni, l’avviso sarà inviato al contribuente nel momento in cui le somme saranno prese in suo carico, eccezion fatta per tutti i casi in cui sussiste il pe-ricolo per la riscossione, ove si procederà direttamente all’ese-cuzione.

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Convegno di Aggiornamento Professionale

LA RIFORMA FORNEROL. 28 giugno 2012 n. 92

ROMA 26 NOVEMBRE 2012

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Formazione Continua dei Consulenti del LavoroE' obbligatoria la prenotazione sul sito www.consulentidellavoro-roma.it

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Somministrazione, apprendistato e tirocini formativi e di orientamento(Avv. Antonella Parisi)

Contratto a tempo determinato(Avv. Maurizio Santori)

Contratto a progetto(Avv. Iolanda Gentile)

Collaborazioni autonome e associazioni in partecipazione(Avv. Francesco Giammaria, Avv. Silvia De Santis)

Rito speciale per i licenziamenti(Avv. Lorenzo Confessore)

Ore 13.00 - 14.20 pausa

Ore 14.30 Ripresa lavori

Presiede il Prof. Avv. Roberto Pessi

Licenziamento discriminatorio, per giusta causa e giustificato motivo soggettivo: fattispecie e conseguenze(Avv. Tiziana Serrani)

Licenziamenti economici (giustificato motivo oggettivo): fattispecie e conseguenze(Avv. Raffaele Fabozzi)

Licenziamenti collettivi(Avv. Marco Rigi Luperti)

Dimissioni(Avv. Mario Miceli)

Presiede il Prof. Avv. G. Sigillò Massara

Ammortizzatori Sociali

ASPI(Dr. Emilio Rocchini)

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LA PRIMA CARTA SCONTO RISERVATA AI CONSULENTI DEL LAVORO

L’Ordine dei consulenti del Lavoro – Consiglio Provinciale di Roma con l’obiettivo di consolidare ed aumentare ulteriormente il senso di appartenenza ed il livello dei servizi offerto ai propri iscritti ha demandato alla Fondazione Studi Oreste Bertucci la realizza-zione della “CDL CARD”.La CDL CARD è in buona sostanza una carta sconti, gratuita, nominativa, e riservata esclusivamente ai consulenti del lavoro e rispettivi familiari, che consente un risparmio immediato in Italia e all'estero, presso gli esercizi convenzionati, sia pubblici, sia pri-vati, selezionati con priorità nei confronti dei clienti degli stessi Consulenti del Lavoro e da essi segnalati alla Fondazione.La condizione di essere clienti non è certamente vincolante, in quanto, abbiamo ritenuto di voler dare la possibilità di accesso anche agli altri esercizi ritenuti comodi o strategi-ci o che, in ogni caso, intendono riservare alla categoria quel segnale di attenzione nei nostri confronti che ogni giorno conquistiamo con il nostro servizio professionale ed umano, alle imprese ed alla società.Ciascun consulente ha facoltà di segnalare alla Fondazione, attraverso i recapiti di se-guiti specificati, i propri clienti del settore Commercio o servizi interessati alla stipula di una convenzione a titolo non oneroso che possa riservare alla Categoria, sconti o “corsie preferenziali” per i titolari di Cdl Card nell’acquisto di beni o servizi.L’iniziativa è stata promossa ed attuata dalla nostra Presidenza attraverso la Fondazio-ne Studi Oreste Bertucci con il duplice obiettivo, sia di rafforzare il senso di apparte-nenza della Categoria all’Ordine, sia di aiutarci a fidelizzare i nostri clienti ed ha immediatamente riscosso ampio consenso da parte dei titolari e dei convenzionati.I settori merceologici nei quali la Card esercita i propri ambiti d’azione, sono già molte-plici e con il contributo di tutti i nostri iscritti contiamo di poter coprire quanto prima tutti i settori di mercato nella comune esigenza di risparmio.Per maggiori informazioni puoi visitare il sito internet www.cdlcard.it nella pagina dedi-cata oppure inviare una mail all’indirizzo [email protected].

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