TEMA magazine 01

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TEMA Flavio Favelli | Giorgio Guidi Pietro Ruffo | Silvia Vendramel n. 1 - marzo 2011

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TEMA è un luogo di incontro tra spettatori e artisti. Il primo numero, con la nuova copertina disegnata da Federica Aradelli, vede protagonisti quattro artisti italiani confrontarsi sull'essere italiani e lo stato dell'arte nel nostro paese.

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TEMA

F lav io Fave l l i | G io rg io Gu id i Pietro Ruffo | Si lv ia Vendramel

n. 1 - marzo 2011

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TEMA numero 1

I t a l i a

copertina: Federica Aradelli

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“Tutto questo ci suggerisce tre cose:1) L’avanguardia in quanto idea è inutile.2) Sappiamo tutti cosa vuol dire essere riverenti e scettici al tempo stesso. Pos-siamo quindi fare a meno delle strizzatine d’occhio che ci dicono “Ehi, sto facendo dell’ironia”.3) Finito il dramma, è tornata l’emozione. ”

Jerry Salz, a proposito dell’avanguardia (2000, Village Voice, NY)

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FLAVIO FAVELLI Nel catalogo scritto per Superblu, l’ope-ra realizzata per la facciata delle Piscine termali di San Luca, dici: “Il dramma, e questo avviene spesso, che si parla dell’arte sempre in modo troppo alto o troppo basso, si sbaglia spesso mira”. Dammi una mano a prender la mira giusta: il sistema dell’arte è autoreferenziale o risponde a una necessità di molti?

Beh direi che è molto autoreferenziale. E poi alla fine posso dire che l’arte è una questione di gusto. Il mondo dell’arte è spesso impopolare e dispotico. L’arte con-temporanea è spesso imposta, è elitaria; a volte viene percepita come una cosa odio-sa ed inutile. Direi che il mondo dell’arte contemporanea è immutabile; su Flash Art ultimamente ho letto di artisti di serie A e B e ci sono pochi colpi di scena; dalla A

non si retrocede mai. Il mondo dell’arte contemporanea è tanto piccolo quanto di-viso: la petizione promossa su internet da due delle più autorevoli riviste d’arte ita-liane per fare rimanere l’opera di Cattelan a Piazza Affari a Milano ha ricevuto meno di duemila firme in quattro mesi. Il mondo dell’arte contemporanea è frammentato e diviso. L’arte nasconde conflitti che spes-so non vuole vedere.

Partiamo dall’argomento principale: ti senti italiano?Cosa significa per te essere italiano? Ha un senso parlare di italianità? Credi che l’esser nato e cresciuto qui abbia avuto un’influenza nelle tue scelte di vita?

Sono nato in Italia, nel 1967 in una delle

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città più italiane, Firenze. In Italia mi sento a casa e ora abito a Savi-gno vicino a Bologna.Ho creato tante opere col tema della carta geografica e della bandiera dell’Italia.Mi considero di progresso e laico e sono un obiettore di coscienza. Ho servito il mio paese per un anno in un comune -quando fare l’obeittore era una scelta non sconta-ta- in biblioteca e all’asilo, vicino Reggio Emilia: la città del tricolore, ma allo stesso tempo ho grande rispetto per l’Esercito Italiano. In un’altra vita farei carriera milita-re nell’Esercito Italiano. Le sole volte che sto male per il mio paese sono quando muore un soldato in missione.

L’inno di Mameli, stretto fra la scuola elementare, la partita della Nazionale e la parata del 2 giugno. Le mie opere sono italiane, sono lo spec-chio del mio paese dal progetto dell’Itavia fino alle bottiglie di Martini Dry e Rosso messe insieme perchè la mia storia unica e irripetibile è fatta anche dalla storia di altri in luoghi diversi sotto il cielo dell’Italia.

Sempre che abbia senso parlare anco-ra di scena legata ad un territorio nell’era della globalizzazione e di internet. Esiste una scena artistica italiana? Esistono delle scene negli altri stati?

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Su questo non so rispondere. Faccio fati-ca a comprendere me e casa mia.

Si dice sempre che l’Italia è un paese di cultura. È evidente che “chi si loda s’im-broda”, infatti dal punto di vista delle poli-tiche culturali siamo messi malino... Come vedi la situazione attuale per la cultura italiana? L’arte non si interessa di politica? L’artista non ha una funzione anche socia-le?

Si sa come vanno le cose qui. Se dal tempo dopoguerra ci raccontiamo che si potrebbe vivere di cultura e di turismo qualcosa di serio ci deve essere. Alla fine ha ragione il Ministro Tremonti; a lui è attri-buita la frase con la cultura non si mangia. E’ vero. Magari in Francia o a Londra sì, ma in Italia no, non si mangia. Tutti a leva-re gli scudi e a strapparsi le vesti ... fac-ciamocene una ragione. Mia madre mi ha portato in giro per l’Italia da quando avevo 8 anni, l’abbiamo girata in lungo e in largo nei finesettimana; era sempre spesso tutto chiuso, tutto difficile, le preghiere per farci aprire la porta del monastero ai custodi...La situazione è lo specchio del paese. E’ giusto che sia così, è il paese che lo vuo-le. Le persone di cultura non conoscono il paese.

A leggere le biografie degli artisti italiani la tendenza è quella di scappare all’este-ro, tu invece ti sei rifugiato in un paesino vicino Bologna. È perché alcuni hanno l’esigenza di cercar fuori e tu invece cer-chi dentro?

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Avevo bisogno di spazio e di un luogo un po’ appartato. Sono tanto pieno delle mie immmagini che non ho bisogno di tv, di cinema e di teatro. Non vedo un film da anni. Semplicemente non ho bisogno di una città o di una situazione che di solito si chiama “eccitante” o “viva”. Sono un soli-tario. Mi bastano le fiere dell’arte due o tre volte l’anno... mi ci immergo e poi ritorno a casa fra la chiesa quasi abbandonata e il cimitero.

In un’altra occasione, un’intervista al ritiro del Premio Marconi 2009 per la scultura/arte ambientale, hai dichiarato che un oggetto di legno con quattro zampe è una sedia se la fa un designer, è una scultura se la fa un artista. Nei tuoi lavori spesso il limite tra oggetto d’arte e oggetto d’uso è labile, a volte addirittura le opere sono utilizzabili oppure, come al Museo Marini, contengono elementi creati per essere venduti. E nonostante ciò dici che sei poco interessato al pubblico come fruitore finale dei tuoi lavori.

Quando progetto ed eseguo un’opera voglio che l’opera sia il riflesso della mia condizione psicologica e delle immagini che ho. E siccome credo di avere una condizione psicologica particolare e delle immagini particolari ho deciso che era giusto che traducessi tutto ciò in arte. Chi non ha immagini personali non è artista. Io credo di essere diverso dagli altri, sono un pontefice. Prima vengo io. La mia opera Sala d’Attesa per i funerali laici o il mio progetto su Ustica esaudiscono dei miei 3

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desideri che vengono dalle mie immagi-ni. E’ chiaro che la società, la comunità, la città, le istituzioni devono dare ad ogni cosa un singificato utile, ampio e collettivo e così questi progetti sono stati interpre-tati esclusivamente come arte pubblica e sociale... nulla di più forzato dal mio intento. Ma è la consapevolezza che fa la differenza. L’arte è piramidale.

Poi però tante volte le tue opere sono site specific e monumentali, penso a Chi-na Red oppure a Acrobazie #5 o ancora a

Sala d’attesa. Come ci fosse la necessità di espandere il potenziale degli elementi che inserisce negli spazi. O forse è sem-plice economia di scala: se si ha tanto spazio meglio sfruttarlo tutto?

Ogni supporto o ogni spazio può andare bene; da un biglietto d’auguri ad un’intera fabbrica abbandonata. Mi piace mettermi alla prova, non faccio distinzione fra luo-ghi importanti o meno a differenza di molti artisti che scelgono il luogo in base alla fama che ha nel sistema.

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Le tue opere prendono spunto dalla tua vita passata, soprattutto dall’infanzia. Non nascondi le tue radici borghesi, d’altron-de visti i risultati sarebbe inutile. A partire dai colori, quei rossi di broccato e i legni scuri, alle rifiniture e gli stupendi candela-bri tutto racconta di un’Italia che non c’è più e in questo acquistano il fascino del ricordo. Sembra quasi tu stia giocando al costruire una memoria collettiva prima che sia definitivamente persa.

Prima di tutto tento di ricostruire la mia memoria che mi dà piacere anche se spesso riconosco che non è esente da

perversione. Spesso hanno scritto sul mio lavoro dicendo che non è nostalgico cer-cando di dare un significato di più ampio respiro. Forse fa paura la nostalgia? Chis-senefrega, amo il mio passato. Sono fatti miei. Se molti curatori prediligono gli artisti che indagano temi collettivi, sociali, politi-ci è perchè semplicemente perchè fa co-modo a loro, sono ideologici e superficiali, meglio l’universale del particolare, è più corretto, come nel calcio quando intervi-stano il bomber che è costretto a dire che la vittoria è merito della squadra anche se lui ha fatto tre gol.

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È evidente anche un legame col territo-rio molto forte, il tuo fare arte è legato a un’Italia di provincia molto fisica, concreta, luoghi visitati, pavimenti calpestati, stanze vissute. Come viene vista all’estero?

“So Italian” mi disse la collezionsita Anita Zabludowicz davanti ad una mia opera. Non so bene, non ho fatto tanto all’estero. Il mio ufficio marketing è un po’ miope, crede che il prodotto sia di qualità sempli-cemente perchè è l’unico prodotto che fa e può fare. Se poi incontra anche i mercati esteri bene altrimenti pazienza.

A proposito degli oggetti: come funzio-na? Come li scegli? Mi affascina molto questo aspetto di ricerca (è una ricerca?) perché nelle tue opere emerge sempre e

comunque un elemento puramente esteti-co forte, una ricerca di pulizia e raffinatez-za nelle forme che emerge. Come interfe-risce l’estetica con la tua arte? È possibile vedere la bellezza negli oggetti di oggi?

Non direi mai “Sono gli oggetti che mi cer-cano”, una delle tante frasi che di solito gli artisti dicono ai collezionisti. Vedo e trovo immagini delle mie opere negli oggetti che poi trasformo. Non riesco a dire come sia la mia estetica, non la posso vedere dall’esterno. Oggi non esiste più nulla e non so cosa sia la bellezza, è bello ciò che (mi) piace anche se sono sicuro di una cosa: la bellezza non serve (apparen-temente) a nulla.

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- A cosa serve?- E’ per Bellezza diceva mia madre

“Abito vs habitat, perché il sole scotta anche con l’ozono, l’acqua è fredda anche se è pura e il vento, come si dice, fa di-ventare pazzi” questa frase introduceva la mostra al Museo Marini durante Pitti. Dici che dobbiamo metterci ai bordi del fiume aspettando di vedere il cadavere del no-stro nemico? O hai programmi migliori per il futuro?

Penso che sia sempre bene sottolineare il carattere spietato, duro e inesorabile delle leggi della Natura. In un momento dove il termine Natura con Ambiente ed Ecologia fa rima con Eden o con quando i mulini

erano bianchi, penso che questo mondo piegato alle nostre necessità sia la sola cosa che potevamo fare.“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare (Gn 1,28)”Parlo di noi Occidente, il resto non conta , non è. Sono andato ad abitare sull’Appennino ma la mia casa dentro è cittadina. Guardo dalla finestra la Natura così seducente e diabolica. Tutto scorre per Lei. Davanti a Lei sul punto di morte dovrò confessa-re che la mia esistenza, la mia arte è un artificio, è un disperato tentativo di scon-figgerLa e contrastarLa, Lei e le Sue leggi di merda.

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1- Alfasud 1x2, 2010 - neon e light box - Palazzo del Comune Termini Imerese (Pa) 2- Mobilia Essay (Sicilia), 2010 - bancali verniciati e decorati - 840x400cm 3- La rotonda, 2010 - materiali vari - 655x655x640h cm4- China Red (vista esterna), 2009 - ambiente per-manente - Portico del Sentierone Bergamo5- China Red (vista interna), 2009 - ambiente per-manente - Portico del Sentierone Bergamo6- Crystal Garden, 2008 - installazione site specific temporanea - Milano7- Studiolo da Esposizione, 2009 - legno e vernice - S. Colombano (Mi)8- Sala d’Attesa, 2008 - ambiente permanente - Pantheon, Certosa di Bologna

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GIORGIO GUIDI Ti senti italiano? Cosa significa per te essere italiano?

Sono Italiano.Significa che vivo in Italia perché ci sono nato.

Ha un senso parlare di italianità?

Per me no, ma esiste... Tuttavia mi sentirei me stesso più o meno in qualsiasi parte del mondo.

Credi che l’esser nato e cresciuto qui abbia avuto un’influenza nelle tue scelte di

vita?

Si, credo che qualsiasi scelta uno fac-cia durante la propria vita sia in qualche modo condizionata dalle circostanze e dai luoghi. Inoltre l’idea di decostruire quel-le circostanze e iniziare un percorso di ricerca è qualcosa di innato; per quanto mi riguarda non mi sono mai sentito legato ad un luogo in particolare, anche se sarei un bugiardo a dire che i luoghi in cui ho vissuto non abbiano per niente condizio-nato la mia vita.

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Sempre che abbia senso parlare anco-ra di scena legata ad un territorio nell’era della globalizzazione e di internet. Esiste una scena artistica italiana? Esistono delle scene negli altri stati?

Per rispondere a questa domanda mi piacerebbe citare un articolo su Joel Ko-tkin*, considerato il più celebre geografo-economista- demografo degli Stati Uniti. L’assunto di base della sua analisi delle connessioni internazionali sostiene che i rapporti tra le nazioni si stanno riallaccian-do con il DNA dei loro popoli.“Nel mondo intero - sostiene Kotkin - una rinascita di legami tribali sta creando nuo-ve reti di alleanze globali, più complesse. Se una volta la diplomazia aveva l’ultima parola nel tracciare le frontiere, oggi sono la storia, la razza, la religione e la cultu-ra a dividere l’umanità in nuovi gruppi in movimento. C’entra qualcosa il declino delle ideologie, che avevano funzionato

da collante transnazionale. Ambientalisti, progressisti, liberisti: questi sono valori che possono animare le élite, ma per i popoli il concetto di «tribù» è decisamente più potente.”Detto questo credo sia inevitabile parlare di scene. Se da un punto di vista teorico posso dire di sentirmi un artista europeo ma non di essere americano, da un punto di vista pratico ci sono delle grosse diver-genze anche all’interno di un paese come l’Italia.

A leggere le biografie degli artisti italia-ni sembra ci sia una moda di indicare le doppie residenze. Almeno tu ti sposti solo tra Brescia e Milano, ma viene da pensare che essere artista e vivere in Italia non sia vantaggioso. All’estero con la cultura si mangia?

Ora vivo a Milano ma per un lungo perio-

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do ho vissuto “sull’interregionale tra Bre-scia e Milano”... senza nulla togliere ai voli low-cost ti dico che mi piacerebbe sapere dove si trova quel paesino strategico tra Milano e Berlino in cui a volte pare ci viva-no tutti!Tuttavia io stesso cerco di mantenermi in movimento per ampliare al massimo le mie possibilità. Inoltre è molto bello sapere di aver una base in cui tornare e contempo-raneamente vivere in un altro posto nel mondo.Per il resto non so se la questione sia le-gata al “si mangia”; credo che la differen-za (intendiamoci, solo per alcuni stati) stia alla base. Ti faccio un esempio: a Ginevra una grossa azienda di orologi ha donato al comune uno stabile in cui risiedevano gli uffici. Il comune l’ha sistemato ed ha realizzato studi per artisti con un affitto decisamente basso. Pensi che questo succederebbe a Milano? In realtà non si può nascondere che in Alto Adige i fondi per l’arte e per la cultura ci sono, ed è Italia.

Si dice sempre che l’Italia è un paese di cultura. È evidente che chi si loda s’imbro-da, infatti dal punto di vista delle politiche culturali siamo messi malino... Come vedi la situazione attuale per la cultura italiana? L’arte non si interessa di politica? L’artista non ha una funzione anche sociale?

L’arte si interessa di politica, eccome; il problema è che in Italia la politica è un gigantesco carosello in cui si tende alla spettacolarizzazione di qualsiasi avve-nimento e in cui nessuno fa veramente il

proprio lavoro.L’artista ha una grande funzione sociale, assolutamente, ma bisogna fare atten-zione perché per certi versi credo che la ricerca di un artista sia sempre rivolta a pochi. Di sicuro l’arte non è un servizio so-ciale, ma ci sono tante analisi interessanti sul mondo che ci circonda e tanti spunti di riflessione per chi ne fruisce. Per quanto riguarda la cultura poi, andrei avanti con Kotkin; l’Italia fa parte delle Repubbliche dell’Olivo con Grecia, Bulga-ria, Macedonia e Portogallo. Nonostante le nobili radici in comune nell’antichità classica, sono nettamente distanziate dall’Europa settentrionale in ogni catego-ria: i tassi di povertà sono due volte più alti, la popolazione attiva dal 10% al 20% inferiore, i debiti pubblici più elevati, e i tassi di natalità più bassi del pianeta. La posizione dell’Italia vista da questo geo-grafo americano è chiara: non c’è verso che possa integrarsi con il nord Europa proiettato a distanze stratosferiche; non solo nell’Indice di Prosperità, ma anche su altri terreni come istruzione e innovazione tecnologica.

In questo ultimo anno sono stati inau-gurati nuovi musei a Roma e Milano per coprire la mancanza di spazi pubblici d’arte moderna e contemporanea. Se que-sti spazi offrissero una proposta adeguata, credi che esista un pubblico per l’arte contemporanea in Italia? Gli italiani hanno gli strumenti culturali adatti ad affrontare l’arte contemporanea?

Vedo sempre l’arte contemporanea come

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un movimento di ricerca, e la ricerca ha bisogno di parecchio tempo per passare al grande pubblico.Tuttavia, non so se questo sia dovuto alla momentanea gratuità ma c’è sempre una coda piuttosto lunga davanti al nuovo mu-seo del ‘900 a Milano.Strumenti culturali... non credo che li abbiano nemmeno per affrontare l’espres-sionismo tedesco! Battute a parte, anche in questo caso non so se farei una distin-zione netta in una visione disfattista. Tre anni fa ho visitato il Getty Center di Los Angeles, in una domenica pomeriggio assolata. Il pubblico era per lo più compo-sto da famiglie normali in gita. Penso che veramente pochi di loro avessero le com-petenza per analizzare l’arte in generale.

Forse il gap andrebbe di nuovo ricercato in materia economica e sociale?

Descrivi il tuo lavoro come un qualco-sa “basato sullo studio di relazioni che possono avvenire tra persone, luoghi ed oggetti ben precisi”. Significa che mentre componi l’opera pensi anche al suo fru-itore futuro o parli di relazioni interne al racconto dell’opera?Che strumenti servirebbero ad uno spetta-tore per comprendere il tuo lavoro?

Le relazioni per me sono degli spunti, si legano tra di loro in maniera imprevedibile e nascono i “sistemi” di cui parlo. Mi piace eliminare tutte le connessioni tra una rela-

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zione e l’altra e farle cascare a terra come una rete a cui son stati sciolti i nodi.Poi rimescolo il tutto secondo il mio punto di vista che smette di essere filtrato da come questa rete si sia costruita col tem-po.

Quando racconti le storie da cui scatu-risce un’opera, penso a Tamburo, hanno davvero rilevanza una volta che l’opera è esposta in un determinato contesto? E queste storie come le scegli?

A volte un’opera è un mezzo e a volte è un fine.Come scelgo le storie? Il mio lavoro at-tinge dalla realtà, in alcuni casi analizzo piccoli sistemi di relazioni con cui entro in contatto (possono essere vicende di interesse sociale legato alla città in cui vivevo come “Tamburo” oppure legati a ricordi della mia infanzia come “Il dolce”), diversamente mi appassiono a riflessio-ni analizzate da altri e ne traggo le mie conclusioni, cercando di dare un taglio privo di pregiudizi, che sia il più oggettivo e preciso possibile.

Il fruitore medio messo di fronte alle opere d’arte solitamente non le compren-de, in maniera esponenziale se si guarda a quella contemporanea, e quindi bana-lizza il lavoro dell’artista. Il classico “Lo potevo fare anch’io” ti preoccupa?

No, non mi preoccupa per niente. Come ben sai far parte del mondo dell’arte contemporanea, ammesso che esista sul 6

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serio, comporta molto di più che produrre lavori incomprensibili al “fruitore medio”. Il vero problema è che agli occhi di chi guarda inconsapevolmente spesso è difficile riconoscere chi lavora in maniera dilettantesca da chi lavora come profes-sionista.

Ti sei mai googlato? Lo sai che condividi il nome con Johnny Dorelli? Lui è un’icona della cultura pop italiana, tu invece che cosa farai da grande? Progetti futuri?

Me lo dicono da quando facevo le ele-mentari (scusa, non ho resistito ndS) Cosa farò? A parte proporre una nuova versione de “L’immenstità” a Sanremo, oppure par-tecipare ai provini per la nuova edizione del Grande Fratello?...non so!

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1- La Pillola, 2009 - legno, metallo, stoffa, vetro, pane, pennarello su tela - 100x100x35 cm2- La Pillola (dettaglio), 2009 - legno, metallo, stoffa, vetro, pane, pennarello su tela - 100x100x35 cm3- Il dolce, 2009 - ceramica, corda, legno, pelle, metallo - 60x60x65 cm4- Il dolce (dettaglio), 2009 - ceramica, corda, le-gno, pelle, metallo - 60x60x65 cm5- Skull project, 2010-2011 - strumenti musicali mo-dificati gesso, resina, polistirolo, ferro, creta, legno, gommapiuma6- I tre punti#2 mostri floreali (dettaglio), 2011 - pen-narelli e acquerello su gesso e legno - 60x40 cm7- Tamburo, 2009 - legno, ferro, pelle, corda, metal-lo - 170x400x150 cm

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PIETRO RUFFO

Ti senti italiano? Cosa significa per te essere italiano? Ha un senso parlare di italianità? Credi che l’esser nato e cresciu-to qui abbia avuto un’influenza nelle tue scelte di vita?

Certo, mi sento italiano e per me il luogo dove sono nato, Roma, e dove ho vissuto e studiato Architettura, è molto importante. Penso che farei un lavoro completamen-te diverso se fossi nato in un’ altra città. L’idea di stratificazione architettonica propria di una città come Roma, entra in modo forte nei miei lavori. Penso anche che gli artisti che hanno lavorato in Italia

siano un punto di partenza importante per la mia ricerca.

Sempre che abbia senso parlare anco-ra di scena legata ad un territorio nell’era della globalizzazione e di internet. Esiste una scena artistica italiana? Esistono delle scene negli altri stati?

Penso che la scena srtistica Italiana sia densa ed’interessante, e non abbia nulla da invidiare ad’altre nazioni. È vero che oramai c’è la possibilità di lavorare in luoghi diversi e che il lavoro

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degli artisti è spesso contaminato, ma pre-servare una radice che deriva da un luogo è un punto di forza.

A leggere le biografie degli artisti ita-liani sembra ci sia una moda di indicare le doppie residenze. Viene da pensare che essere artista e vivere in Italia non sia vantaggioso. All’estero con la cultura si mangia?

Essere artista è sempre vantaggioso in ogni luogo dove si vive, dipende solo se quello che si fa ha una propria identità e forza e autonomia, altrimenti si può pure vivere nel cuore di Manhattan ma non aver nessun ‘vantaggio’.

A proposito di estero, tu sei tornato da poco da un’esperienza all’Italian Acca-demy di New York. Cosa è successo in questi mesi? Cosa significa lavorare lon-tano da casa, senza i supporti che puoi avere a Roma?Si dice sempre che New York non è Ame-rica. Che idea ti sei fatto? Che influenza ha avuto la città sul lavoro finale esposto? Come hanno recepito la tua arte?

Il semestre che ho trascorso come ricer-catore all’Italian academy presso la co-lumbia university, è stato per me davvero importante. Ho avuto l’opportunità di poter studiare e approfondire delle tematiche legate al liberalismo in america.Inoltre mi sono confrontato con ricercatori e professori di filosofia e artisti provenienti da diverse parti del mondo, questo scam-

bio mi ha dato la possibilità di sviluppare un grande atlante sui diversi modi di inten-dere la parola libertà. Sicuramente è stato un periodo eccitante, adesso,tornato in Italia, stò tirando le somme di questi lavori e per perfezionarli anche grazie al sup-porto che la città in cui ho il mio studio mi può offrire.I lavori che ho presentato a new york han-no riscosso un grande interesse, questo perché a New York forse sono meno abi-tuati ad un lavoro di tipo sociale. È anche una città molto veloce e alcune persone non si riuscivano a capacitare di come im-piegassi il mio tempo: ore e ore a disegna-re e piegare libellule, una cosa del genere per loro è inconcepibile, ma affascinante nello stesso momento.Degli Stati uniti ho visto solo new york e Philadelphia non ho quindi gli strumenti per sapere com’è il resto della nazione.

Dalle tue opere emerge sempre un certo impegno sociale ben manifesto. A partire dalla serie Geologia umana, in cui ritrai luoghi di guerra visti dal satellite, in poi in ogni opera emerge un elemento di de-nuncia morale verso le potenze politiche e sociali. Questo elemento è qualcosa di imprescindibile per un’artista secondo te? Esiste un limite tra il messaggio sociale che può portare l’arte e la politica?

Penso che non esista un elemento impre-scindibile per fare arte, ognuno fa ricerca su quello che più gli interessa. Il mio lavo-ro parte spesso dallo studio di alcuni feno-meni sociali e politici, ma senza un’ intento di denuncia morale, cerco solo di studiare

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questi fenomeni tramite il mio lavoro e di mostrare così i miei appunti visivi.

Allo stesso tempo però l’aspetto esterio-re è sempre calibrato, geometrico, preciso e bello da vedere. I greci dicevano kalòs kai agathòs, sottolineando l’unione tra il

bello e il buono. Cosa c’è dietro la ricerca stilistica? È uno strumento per veicolare messaggi o l’estetica a valore a se?

Il fatto di essere laureato in architettu-ra mi porta a elaborare i progetti sia da un punto di vista di indagine, sia da un punto di vista compositivo. Credo che

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all’interno di un lavoro una composizione interessante può essere uno strumento per veicolare messaggi.

Nuovo paesaggio italiano è il titolo della tua opera esposta al Macro. Un’opera singolare costruita come un paesaggio

esterno che svela una geologia sottostan-te. Per descriverla usi queste parole: “Al di fuori appare come un’’outpost’ una colonia realizzata in una notte dai giovani israe-liani sulle colline, sopraelevata da terra, realizzata con ferro, lamiere e legno. Sotto queste costruzioni si trovano delle voragini che contengono delle architetture storiche parassitate dalla natura”. Qual’è il legame con l’Italia? Il tuo interesse per il terreno, inteso come stratificazione della società che lo abita, a cosa ti ha portato? Esiste un terreno stratificato sotto i piedi degli italiani?

Nel lavoro Nuovo paesaggio italiano ho ripreso questa doppia azione: di costruire, per denunciare che un territorio ci appar-tiene, e di scavare, per trovare delle trac-ce del nostro passato. Questa dicotomia è particolarmente evidente in Israele, ma diventa una metafora forte della nostra necessità di appartenere ad’un luogo e di avere al contempo forti radici in quel luogo. Nuovo paesaggio italiano riflette su quale potrebbe essere un’evoluzione nel nostro modo di operare sul territorio, simi-le poi a quella di molti altri paesi.

Dal terreno escono gli insetti, che in qualche modo affascinano il mondo dell’arte, penso per esempio a Damien Hirst con The Forgiveness (migliaia di farfalle e insetti sotto vetro). Che relazione c’è tra l’uomo e lo scarafaggio? Siamo noi i parassiti o subiamo i parassiti?

Effettivamente nel mio lavoro uso spesso degli insetti per paragonarli a dei compor-

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tamenti umani.Noi siamo parassiti, e subiamo su noi stessi il nostro parassitismo. Mi spiego meglio: la terra ha un ciclo di vita più lungo e delle forze tali rispetto alla nostra specie che in alcun modo potremmo met-tere in pericolo la vita del nostro pianeta. Quello che mettiamo costantemente in pericolo con il nostro comportamento non è dunque la vita della terra, ma la nostra vita sulla terra.

Parlando sempre di insetti, sono cre-sciuta con i fumetti di Schultz. Non so se lo sai, ma Snoopy sostiene che quando passa una libellula bisogna tapparsi la bocca perché altrimenti ti cuciono le lab-bra. È buffo pensare che per te invece sia simbolo di libertà...

Utilizzo la libellula nei miei progetti sui diversi concetti di libertà, perche è un in-setto che si muove velocemente in diverse direzioni, mi da quindi un idea di libertà totale.È però anche un insetto che vive per po-chi giorni, questo mi fa pensare a un’ idea di fragilità legata al concetto di libertà.In oltre quando analizzo i temi legati al concetto di libertà collettiva dipongo le libellule in modo ordinato sulla superficie del lavoro, come fossero un plotone, che si dirige insieme verso una forma di libertà più alta.

1- Atlas of the various freedoms, 2010 - mappe e disegni a matita - misure ambientali2- R00 774 U.S.A. Flag, 2006-07 - garfite, gesso e acrilico su cartiglio - 115x175cm3- Beslan doppia mappatura, 2006 - installazione, matita su maylor - 310x400x245h cm4- Das chinesische Reich, 2007 - installazione, car-toni, carta velina e video - 310x400x375h cm

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SILVIA VENDRAMEL Ti senti italiana? Cosa significa per te essere italiana? Ha un senso parlare di italianità? Credi che l'esser nato e cresciu-to qui abbia avuto un'influenza nelle tue scelte di vita?

Mi viene da canticchiare Gaber "Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono".A parte gli scherzi e il grande Giorgio,l'essere italiana è una condizione, è un'eredità preziosa e vincolante. E' un fatto che sicuramente ha influenzato le mie scelte di vita.

Sempre che abbia senso parlare anco-ra di scena legata ad un territorio nell'era della globalizzazione e di internet. Esiste una scena artistica italiana? Esistono delle scene negli altri stati?

Come ben dici, stiamo vivendo un mo-mento molto delicato che impone un dinamismo spesso vacuo.Mi viene in mente un'immagine rispetto alla globalizzazione: una grande pista di pattinaggio sul ghiaccio, un grande lago, dove milioni di persone sfrecciano su una superficie apparentemente solida senza conoscere però lo spessore che li sostie-ne."…Pericoloso?- Dipende…" ( da Nord di Rune Denstad Langlo)

Non credo ci sia una scena italiana, credo che vorremmo averla, perché tutti vogliono andare al lago.Ci sono dei tratti che caratterizzano l'arte italiana, anche quella di oggi e c'è anche

una forte spinta nel cercare di andare oltre ad essa.Ritengo non esistano "scene" in questo momento (forse in Cina, ma ancora non la conosco. Sarò a Hong Kong il mese pros-simo e non vedo l'ora!)Quello che mi viene da dire è che esisto-no luoghi, spesso piccoli centri, dove gli artisti si uniscono e danno vita a scintille, coalizioni , magia, momenti catalizzatori.Mi conforta sapere che esiste un movi-mento di sottobosco, una decentralizza-zione, mi fa piacere sentire che esistono realtà che combattono e danno voce alla creatività.

A leggere le biografie degli artisti italia-ni sembra ci sia una moda di indicare le doppie residenze. Anche tu ti sei spostata molto: Francia, Spagna, New York... viene da pensare che essere artista e vivere in Italia non sia vantaggioso. All'estero con la cultura si mangia?

Il fatto di risiedere all'estero e confrontarsi con altre culture ha certamente una gran-de importanza per mettere in discussione il proprio punto di vista.Senza dubbio essere artista non è vantag-gioso sotto molti punti di vista ma lo è per moltissimi altri.Purtroppo in Italia l'essere artista non è assolutamente riconosciuto. Per la società italiana questa categoria non esiste ancora e ciò comporta un enor-me sforzo da parte di chi opera in questo campo. In Francia dove ho vissuto e frequentato l'accademia, ti posso dire che l'artista ha

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un ruolo nella società, questo non signi-fica che sia un cammino semplice, ma sicuramente si parte avvantaggiati.Certo, con il governo Sarkozy le cose stanno cambiando drasticamente, ma ascoltando anche altre esperienze di ami-ci che hanno vissuto il Inghilterra, Germa-nia, Austria…l'idea che in Italia sia molto più difficile si rafforza.Io stessa ho avuto modo di comprovarlo.

Il fatto della doppia residenza suggerisce certamente un pizzico di esotismo al cur-riculum ma ne suppone anche un grande sforzo. Per quanto mi riguarda vivo in una piccola città e ci vivo bene se alterno la tranquillità della vita quotidiana a incontri e viaggi che ne ravvivano il ritmo.

Si dice sempre che l'Italia è un paese di cultura. È evidente che chi si loda s'imbro-da, infatti dal punto di vista delle politiche culturali siamo messi malino... Come vedi la situazione attuale per la cultura italiana? L'arte non si interessa di politica? L'artista non dovrebbe avere anche una funzione sociale?

L'arte ha sicuramente un peso all'interno della società, ogni azione sottintende una posizione politica. Per quanto mi riguarda non mi interessa usare l'arte come denuncia diretta ma si-curamente il farlo implica assumere una posizione precisa rispetto alla società.Vivo i miei lavori come una proposta di tre-gua cercando di dar vita a un linguaggio che intende trascendere la realtà.Ogni giorno mi confronto con persone che

hanno vite molto diverse dalla mia, con esse condivido il mio lavoro spiegando loro quello che esso significa per me.Trovo che questo abbia a che vedere con la realtà e con una funzione sociale.

Racconti la tua opera con queste parole “Il mio fare scultura muove da presuppo-sti che definisco spontaneo/empirici: la nascita di un pezzo scaturisce infatti dalla seduzione che un materiale o una forma suscitano su di me. Il procedimento plasti-co che ne deriva diventa mezzo per tra-durre e mediare il mio sguardo sulle cose , per realizzare questo ogni progetto richie-de un suo materiale ed una ricerca appo-sita”. La tua arte è effettivamente molto materica, anche nel caso dei disegni e degli acquerelli è presente spesso un elemento concreto oltre al colore. Senza i materiali fisici che artista potresti essere?

Mi chiedi di snaturarmi.Probabilmente mi stenderei sotto un fico a bocca aperta, ma siamo alle solite, sem-pre di materia e piacere si tratta.Il mondo delle idee non mi appartiene, mi sfugge, è troppo astratto e volubile .Il mio modo rimane legato alle cose, al tangibile. La vita si traduce in tracce ecco tutto, sen-za materia è qualcun altro, non io.

Nelle opere più recenti si nota una predilezione per la stoffa e per le storie. Un concetto caro a Louise Bourgeois che creava quadri magnifici con le stoffe della sua infanzia e gli abiti della madre. È un

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omaggio?

La serie "Suite" è un evidente omaggio a Louise Bourgeois. Lei resterà sempre un'esempio con la e maiuscola. Vivo quei pezzi con emotività ricono-scendo di servirmi dello stesso tipo di terapia.Ogni lavoro è l'elaborazione di una tappa.

Il lavoro della Bourgeois mi è caro perché lancia forti messaggi rispetto all'importan-za di affrontare la paura. Credo che que-sto abbia un valore immenso.Per comprendere fino in fondo le sue istanze che sento molto vicine, mi è stato necessario farne l' esperienza diretta, prendere in mano gli stessi strumenti.Non so fino a che punto questo possa avere un valore artistico ma so quanto questo mi è servito.

Servendomi di frammenti provenienti dal reale, quasi inevitabilmente i miei lavori sembrano raccontare storie anche se la narrazione non mi interessa, quello che voglio è andare oltre l'aneddoto.

Provo un forte rifiuto per l'arte che si parla addosso, che cita e ritrita.Ho bisogno di sentire un coinvolgimento, vivo, autentico.L'opera d'arte mi cattura quando è espressione, quando lo sforzo dell'individuo è così in-tenso da farsi universale.

Nelle tue opere manca la figura in senso classico, ma i rimandi alle forme naturali, archetipiche quasi, è presente in tutte; come se volessi svelare ciò che vedi, ma non mostrarlo chiaramente. Si potrebbe pensare a una forma di difesa?

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Come ogni donna un po strega, vedi e cogli quello che più ti somiglia.Più che arma l'arte è uno strumento e come tale è utile per conoscere il mondo e la vita. Gli strumenti adempiono a varie funzioni soprattutto in caso di necessità.Nel mio lavoro mi sforzo di avere un' intenzione chiara, ciò nonostante è il fare stesso a darmi risposte inaspettate, que-sto è ciò che amo di più nella scelta di vita che ho fatto.In ogni pezzo finito c'è un'enorme stratifi-cazione di passaggi avvenuti e passaggi che verranno, l'intuizione non ha un codi-ce esatto e come tale va rispettata, non è necessariamente una forma di difesa ma piuttosto una fiducia verso un linguaggio

non definibile a parole.

Le tre opere che hai esposto all'Italian Academy di New York in occasione della tua personale "Here Exactly" hanno un ele-mento comune: l'irraggiungibilità. Seppure le letture che tu stessa dai alle tre opere siano differenti hanno tutte l'elemento dei cocci messi sul pavimento in maniera meticolosa che in fondo limita l'interazione dello spettatore, costretto sempre a guar-dare da lontano.

La distanza di cui parli è legata all'idea di desiderio.Focalizzo l'attenzione in un punto raggiun-gibile solo attraverso un percorso imper-

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vio, formulando un' esplicita richiesta di cura.E' un modo per obbligare chi partecipa a essere delicato nell'interagire.In una società dove tutto viene consumato con voracità e noncuranza, la mia si pre-senta come un'imposizione.Una richiesta di ascolto, di presenza, di prendere il proprio tempo per osservare. E' un modo per farti avanzare lentamente.

Il tuo sito internet è molto curato. Oltre ai testi scritti per accompagnare le tue mo-stre hai aggiunto delle spiegazioni opera per opera scritte da te. Questa voglia di spiegare ogni cosa da cosa nasce? È un'attenzione particolare per lo spettato-re? Temi fraintendimenti? Quanto conta il fatto che qualcuno poi guardi e interagi-sca con le tue opere? Ti poni il problema

del pubblico? In Italia senza spiegazioni la gente comune non saprebbe affrontare l'arte contemporanea?

Partendo dall'ultima domanda, credo che ne in Italia ne altrove la gente comune come tu la definisci, saprebbe accogliere l'arte contemporanea senza delle premes-se.Quando faccio una mostra, la gente vuole ascoltare la storia di ogni pezzo, al di la delle loro sensazioni o punti di vista, vo-gliono conoscere i miei, per capire di più, per sapere quali sono le mie intenzioni, per dare forse maggior corpo al lavoro.Per questo nel sito credo sia importante trasmettere il mio punto di vista o anche solo le modalità che hanno dato vita a un pezzo.Vivo tra addetti e non addetti ai lavori e ogni incontro è frutto di arricchimento quindi credo sia giusto dare un contribu-to.

Perché bisogna credere ad un artista? (Questa è decisamente marzulliana!)

Credo che nessuno abbia mai detto che bisogna credere agli artisti.Io ci credo.Profondamente.Gli artisti piacciono o non piacciono. Su-scitano o no.Come nella vita, nell'amicizia, nell'amore… ci sono delle corde comuni e queste fanno scaturire dei legami molto forti attraverso un linguaggio non verbale.

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L'Italia è il paese dei creativi: tutti scrivo-no libri, tutti dipingono, tutti sono esperti d'arte... Tu da grande cosa farai?

Faccio quello che sai e per aggiungere ancora parole non mie:

Preferisco il cinemaPreferisco i gatti.Preferisco le querce sul fiume Warta.Preferisco Dickens a Dostoevskij.Preferisco me che vuol bene alla gentea me che ama l' umanità.Preferisco aver sottomano ago e filo.Preferisco il colore verde.Preferisco non affermareche l'intelletto ha la colpa di tutto.Preferisco le eccezioni.Preferisco uscire prima.Preferisco parlare con i medici d'altro.Preferisco le vecchie illustrazioni a tratteg-gio.Preferisco il ridicolo di scrivere poesieal ridicolo di non scriverne.Preferisco in amore gli anniversari non tondi,da festeggiare ogni giorno.Preferisco i moralistiche non mi promettono nulla.Preferisco una bontà avveduta a una cre-

dulona.Preferisco la terra in borghese.Preferisco i paesi conquistati a quelli con-quistatori.Preferisco avere delle riserve.Preferisco l'inferno del caos all'inferno dell'ordine.Preferisco le favole dei Grimm alle prime

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pagine.Preferisco foglie senza fiori a fiori senza foglie.Preferisco i cani con la coda non tagliata.Preferisco gli occhi chiari, perché li ho scuri.Preferisco i cassetti.Preferisco molte cose che qui non ho menzionatoa molte pure qui non menzionate.Preferisco gli zeri alla rinfusache non allineati in una cifra.Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale.Preferisco toccare ferro.Preferisco non chiedere per quanto anco-ra e quando.Preferisco prendere in considerazione perfinola possibilitàche l'essere abbia una sua ragione.

(Possibilità - Wistawa Szymborska)

1 - My baby just care for me, 2009 - Pucca, stoffa e sughero - 18x12x11cm2 - To Willendorf ... a big project .. . (dettaglio), 2008 - Materiale organico,velcro,rame, frammenti di ceramica - 500 x 500 x 160 cm3 - To Willendorf .. . a big project ... (dettaglio), 2008 - Materiale organico,velcro,rame, frammenti di ceramica - 500 x 500 x 160 cm4 - To Willendorf ... a big project ... (dettaglio), 2008 - Materiale organico, velcro,rame, frammenti di ceramica - 500 x 500 x 160 cm5 - La Custode, 2008 - Intervento presso il Museo Archeologico di Gubbio, Biennale di Scultura - Ele-menti: bimba, abito, manichino, mosaico e quotidia-ni6 - La Custode (dettaglio), 2010 - Pietra, lana e vetro - 50x30x35cm7 - La Custode, 2010 - Pietra, lana e vetro - 50x30x-35cm8 - Suite, 2010 - Stoffa, ferro, leggio, rivista

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