Spagine teatro 01 ferraris intervista a mario perrotta

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spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A.Verri Antonio Ligabue, autoritratto in un disegno Un bacio per Ligabue A colloquio con Mario Perrotta teatro di Gianni Ferraris Lecce, ottobre 2013 - anno I Spagine n°0 - Teatro 01

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Il Ligabue di Mario Perrotta

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spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo VerriUn omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A.Verri

Antonio Ligabue,autoritratto in un disegno

Un bacio

per Ligab

ue

A colloquio con Mario Perrotta

teatro

di Gianni F

erraris

Lecce, ottobre 2013 - anno I Spagine n°0 - Teatro 01

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spagine

Antonio (Toni) Ligabue nac-que in Svizzera nel 1899,da Elisabetta Costa e da pa-dre ignoto, nel 1919 si do-vette trasferire a Gualtieriin provincia di Reggio

Emilia, paese del marito di sua madre,Bonfiglio Laccabue, perché indesideratonel paese Elvetico.

Là solo i sani di mente, solo chi profu-ma di denaro e cioccolato ha diritto adavere patria, il genio lo cacciano via, inparticolare quando è ritenuto folle.

In Italia, nella bassa reggiana, diventa“el matt” o “el tedesc” per via del suo for-te accento, e del fatto che entra ed esce dacase di cura (manicomi). Ligabue preferi-sce gli animali alla vita da osteria. Si arra-batta tra mille lavoretti e impasta la cretaper fare statuette che scambia con cibo.

Un lavoro fisso non l’ha mai avuto,aveva però una Guzzi rossa con la qualescorazzava per le campagne, dormiva neicapanni in riva al Po e parlava poco e ma-le l’italiano.

Durante la seconda guerra, leggo, fece

anni, Ligabue era ed è lo sguardo ad occhisgranati e smarriti di Flavio Bucci nellosceneggiato Rai degli anni '70. Unosguardo terrifico per chi, come me, avevaotto anni e subiva l’apparizione del “di-verso”, del bambino indifeso che diventauna bestia. Il ricordo di quel terrore equella fascinazione infantile, unito allavista dei luoghi dove aveva vissuto, han-no scatenato un nuovo innamoramentoper questo personaggio. Ma questo nonsarebbe bastato per impostare un interoprogetto teatrale su di lui, ma di questo di-rò in seguito.

Dam un bes è un titolo drammatico,per una vita come la sua, un bacio, infondo, è poca cosa, però pare vitale...

E sì! Si tratta del bacio mancato, quellodella madre biologica, e poi quello dellamadre adottiva, e poi ancora quello delladonna che non ha mia avuto e, infine, ilbacio di chiunque pur di sentire una qua-lunque vicinanza umana. Ma niente. PerLigabue tutto questo non fu dato e la sua èuna vita di assenza di affetti. Intorno aquesta assenza, a questa castrazione con-tinua, ho costruito tutta la vicenda teatralee il rapporto che il personaggio ha con ilpubblico presente in sala, un rapporto chesi basa sulla coscienza che neanche loro,gli spettatori, saranno disposti a donargliquel "momento di bene" che lo farebbesentire finalmente accettato.

anche da interprete per i tedeschi, nel 44però, dicono le cronache, spaccò una bot-tiglia in testa ad uno di loro e fu nuova-mente in manicomio. Ogni tanto si facevadel male anche, tentava di raddrizzare asassate il suo naso immenso e storto.

Intanto, verso la fine degli anni ’20,l’incontro con il pittore Marino RenatoMazzacurati lo cambia, gli vengono rega-lati colori e tele.

Il dopoguerra lo consacra “pittorenaif”, “artista pazzo” autodidatta. Famosele sue belve, gli animali che ama dipinge-re perché li conosce senza averli mai visti,prendendo spunto da illustrazioni su libri.Quegli stessi animali di cui diceva: “socome sono fatti anche dentro”. Un VanGogh delle nostre terre, un genio che sa-peva dire con l’arte le sue emozioni. Morìnel 1965.

Una storia che non è sfuggita a MarioPerrotta, che sta portando in giro per l’Ita-lia “Un bes - Antonio Ligabue" (Un bès indialetto emiliano significa: un bacio)

Ne abbiamo parlato con l’autore attore.Come mai Ligabue?Tutto è iniziato così. Durante una repli-

ca del mio spettacolo Odissea a Gualtieri -il paese d’origine di Ligabue - ho vistouna sua gigantografia e un busto a lui de-dicato ed è stata una strana epifania: perquelli della mia generazione tra i 40 e i 45

“Ho visto una sua gigantografiae un busto a lui dedicato

ed è stata una strana epifania”l’attore Mario Perrotta racconta

lo spettacolo dedicato al pittore di Gualtieri

Antonio Ligabue in un autoritratto

di Gianni FerrarisDam un bes...

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Nella presentazione dici che Ligabueartista sapeva di meritarlo quel bacio, ilpazzo invece doveva elemosinarlo.

Certamente. Ligabue aveva una perfettacoscienza di sé e del suo valore artistico.Amava ripetere: "quando sarò morto i mieiquadri varranno un sacco di soldi". Non eraassolutamente lo scemo del paese, comeamavano pensare i suoi compaesani, sem-mai lo faceva perché gli tornava comodo.Sapeva che, in quanto artista, avrebbe meri-tato attenzione e sperava che quell'attenzio-ne si concretizzasse anche in affetto da partedi qualcuno, in modo particolare di una don-na. Ma questo, come detto, non avvennemai neanche dopo quel poco di fama che ar-rivò negli ultimi anni della sua vita. Sem-mai, tentarono di sfruttarlo, anche le donne,ma lui questo lo sapeva e a volte si vendica-va in modo feroce, facendosi pagare deiquadri in anticipo e poi realizzando delleopere brutte (a suo stesso dire!).

Le ultime parole delle righe che haimesso nel tuo sito, parlando dello spetta-colo, sono: “Voglio stare anch’io a guar-dare gli altri. E sempre sul confine, chie-dermi qual è il dentro e quale il fuori.

Mi ricorda un amico, Adriano Sofri, checapitò in una sventura giudiziaria e ci salu-tava dal carcere di Pisa dicendo: “Ciao danoi chiusi dentro a voi chiusi fuori”.

Sicuramente lo "stare al margine" è unacondizione che mi affascina molto, sin dalprogetto dedicato ai nostri emigranti deglianni '50 e '60. E' una condizione limite, ap-punto, che trova rispondenza ancora unavolta in un'esperienza profondamente mialegata all'infanzia. Da figlio di genitori se-parati nel sud di 40 anni fa, il rischio di esse-re messo al margine per questa condizioneera forte e ho dovuto sempre lottare per re-

ancora bisogno di "tirar fuori" e allora, eccoche l'incontro con il "diverso" per eccellen-za - Antonio Ligabue il pazzo, il genio, lostraniero, il reietto - ha scatenato il corto cir-cuito che ha dato vita all'intero progetto. At-traverso la sua figura potrò dissolvere anchele ultime tracce di quei dubbi e quelle do-mande di cui ho appena scritto.

Infine: è proprio l'urgenza della domandache determina la forma e la durata del pro-getto. Trovo riduttivo fermarsi a un solospettacolo per esaurire un argomento cosìprofondo. Ho bisogno, invece, di respirarelungo, di indagare diversi aspetti della vi-cenda di Ligabue, partendo dall'uomo, loscemo del paese, che è l'oggetto del primospettacolo Un bès - Antonio Ligabue, perpoi occuparmi dei suoi quadri e delle suesculture fino ad arrivare al rapporto tra il suopaesaggio interiore, la Svizzera mitica dellasua infanzia, e quello esteriore, la pianurapadana con il grande fiume Po.

Progetti futuri?Ancora due anni, appunto, dietro al Toni

Ligabue, con una marea di iniziative satelli-te tutte da scoprire ma che rimando al sitodel progetto che è www.progettoligabue.it

Ligabue ha messo in moto un intero proget-to e non solo per le ragioni dette sopra, chesarebbero insufficienti. Provo a spiegare.

Anche questa nuova avventura, cometutti i miei spettacoli, ho dovuto attendereche si presentasse per una sua urgenza inti-ma. Inizialmente fai difficoltà a coglierlama, come sempre, procedendo con il lavo-ro, scrivendo, cancellando, intervistandopersone, salta agli occhi all'improvvisoquella connessione segreta con la tua vita,con gli affanni, le preoccupazioni di quellafase della tua esistenza e allora capisci ilperché profondo di ciò che stai mettendo inatto sulla scena.

Infatti, avevo iniziato a lavorare con unpunto di domanda ancora aperto sulle ragio-ni intime della mia scelta poi, un giorno,senza alcuna causa apparente c'è stata la "ri-velazione". La spiego così: nelle prossimesettimane diventerò finalmente padre di unbimbo meraviglioso che arriva dall'Etiopia.Io e mia moglie, come tutte le coppie adotti-ve, abbiamo percorso un lungo cammino,dovuto ai tempi di legge, per arrivare a con-cludere l'adozione. E in questi anni moltesono state le domande e i dubbi su cui abbia-mo ragionato. Tra questi, uno dei più impel-lenti era il seguente: mio figlio arriva dal-l'Africa e porta con sé tutti i segni distintividella sua origine, compreso il colore dellapelle; noi, ovviamente, non porremo la mi-nima attenzione a questo ma qualcuno, neltempo e nei luoghi che frequenteremo, po-trà, invece, puntualizzare questa "diversità"(in aggiunta all'altra diversità altrettanto evi-dente che è un bambino adottato); bene: sa-premo dare a nostro figlio gli strumenti cri-tici per accettare e comprendere questa pun-tualizzazione che, per quanto inopportuna estupida, in alcuni casi accadrà inevitabil-mente?

E' chiaro che, nel tempo, abbiamo trovatorisposte razionali e di buon senso a questodubbio ma dal punto di visto emotivo avevo

teatro

di Gianni Ferraris - Fine

stare invece "all'interno della cerchia", tantoche spesso, finivo per ritrovarmi al centrodella stessa, troppo al centro, esattamentecome se stessi in scena a teatro (ecco chenon mi è stato difficile il passaggio da un"palcoscenico" all'altro).

Nel mio caso poi, questa paura di veleg-giare sul limite si è andata dissolvendo conil passare del tempo ed è diventata solo unricordo mentre, per quanto concerne la con-dizione di "malato di mente", è connaturataad essa anzi, è il suo superamento perché illimite sono i cancelli e le mura del manico-mio o i muri invisibili che le persone ergonotra loro e te. E una volta che i muri sono sali-ti, tu malato di mente ti trovi oltre essi equindi sei "fuori". Fuori dal consesso uma-no che ti ha rigettato. Ma, al contempo, glistessi uomini che si autodefiniscono "sani",guardando le mura di un manicomio si defi-niscono "fuori", mentre i malati sono "den-tro". E allora? Qual è il dentro e qual è il fuo-ri? Esattamente come nella condizione car-ceraria e in qualunque condizione di diver-sità sancita da un confine: esso stesso deter-mina un dentro e un fuori differente secondoil lato su cui ci si trova. Mi viene in menteuna parola leccese - 'ppoppeti - che i cittadi-ni di Lecce usano per indicare in modo irri-verente "quelli di provincia". Il suo etimo èlatino e cioè: post oppidum, oltre le muradella città.

Il guaio è che anche "quelli di provincia"usano la stessa espressione per indicare conla stessa irriverenza "quelli della città" per-ché, dal loro lato del confine, noi cittadinisiamo effettivamente 'ppoppeti, ossia oltrele mura. Ecco che, ancora una volta, un con-fine determina una discriminazione bilate-rale e a furia di annotare situazioni del gene-re, mi viene da pensare che è il concettostesso di confine ad essere sbagliato.

É un pezzo unico o ci racconterai anco-ra Ligabue?

Come ho detto l'incontro di Gualtieri con

“Lo stare al margineè una condizionelimite, che trovacorrispondenza

ancora una voltain un'esperienza

legata alla miainfanzia”

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