Spagine della domenica 72

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spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0

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“Il 25 aprile di tutti” di Gigi Montonato, “il cuore dei migranti” per Maria Grazia Presicce, la destra e i nuovi diritti per Marcello Buttazzo. Paolo Vincenti ricorda Sergio Torsello. In difesa dell’ulivo Manieri e il fotografo Pablo Peron, gli MMs dalla scuola di Cavallino, la questione armena ancora con Vincenti e la rivoluzione dei neri di Haiti con Sebastiano Leotta. Le note urbane di Ilaria Seclì, la lettera di Massimo Grecuccio è per Marco Vitale. Fabio A. Grossa sul Castello di Corigliano d’Otranto e in agenda il 1° maggio di Kurumuny e…

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ePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0

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25 apriledi Gigi Montonato

Nella ricorrenza del25 aprile, settan-t’anni dalla Libera-zione, i mediahanno risposto allagrande: libri, servizi

televisivi, dibattiti, film su tutti i canalie soprattutto il mantra: il 25 aprile è lafesta di tutti gli italiani, che viene ripe-tuto al termine di ogni trasmissione, diogni dibattito, di ogni intervista, lungao breve che sia. Ecco, sul mantra si ha il sospetto chenon sia proprio come si vorrebbe chefosse, ossia la festa di tutti gli italiani.Se lo è, perché ribadirlo, quasi peresorcizzarne il dubbio?Qualcuno, come il giornalista e scrit-tore Aldo Cazzullo, ha esplicitato l’im-portanza di ribadirlo dopo che certilibri di questi ultimissimi anni hanno ri-dimensionato in qualche modo la lim-pidezza della Resistenza, così ridotta,almeno nella sua fase conclusiva, aduna sorta di resa dei conti non sempreper ragioni nobili. Si riferisce, senzacitare il nome, a Giampaolo Pansa,sostenitore di verità après saison colsuo libro “Il sangue dei vinti”.

In verità il 25 aprile è la festa di tuttigli italiani, anche di quelli che per unadiversa lettura della storia si collocanoquanto meno border-line. Non dicoavversi o convertiti.Oggi sono pochissimi i sopravvissutidi Salò e della Resistenza. Chi è natoe vissuto nella Repubblica Italiananon può non riconoscersi in essa enella sua storia. Ma, come si hannoidee diverse su Crispi e Giolitti, Salan-dra e Sonnino, allo stesso modo è le-gittimo avere idee diverse suMussolini e il fascismo e dunqueanche sulla Liberazione, sulla finedella Monarchia, sui partiti politici etutto il resto. E’ un discorso meramente storiogra-fico, di analisi politica.Uno dei più sereni ed equilibrati re-duci di Salò, combattente fino all’ul-timo, oggi scomparso, CarloMazzantini, papà della scrittrice Mar-

garet, ha più volte ribadito nei suoilibri, senza nulla rinnegare, il concettoche la sconfitta del fascismo fu unbene, un esito da preferire ad una suavittoria, avvalorando implicitamente latesi secondo cui chi combatté perSalò era dalla parte sbagliata.Lasciamo stare le parti, giuste o sba-gliate. La storia – si sa – premia sem-pre chi vince e mortifica chi perde,non per un fatto di disonestà intellet-tuale da parte degli storici ma perchéhegelianamente ciò che accade hauna sua razionalità.Lo storico analizza l’accaduto, non ciòche poteva accadere. Pure coloro checombatterono dalla parte “sbagliata”si sono poi riconosciuti nell’Italiauscita dalla guerra; e lo hanno fattosenza riserve, ipotizzando un dopo-guerra fascista impreferibile rispettoal dopo - guerra democratico. Il ragionamento è stato semplice: ab-biamo combattuto per l’onore dell’Ita-lia, per dei valori nei quali credevamo;ora la partita è chiusa, viviamo con le-altà in questa Italia democratica. Sipotrebbe dire che i fascisti che com-batterono per il fascismo e perseroabbiano trovato proprio nella sconfittail vaccino immunizzante, facendo ilparagone tra l’Italia dell’anteguerra el’Italia del dopoguerra, con preferenzaper quest’ultima. Paradossalmente sono stati proprioalcuni che si sono riconosciuti dasempre nel 25 aprile e dunque nellaResistenza a non essere contentidell’Italia successiva. Le Brigate Rosse e le altre organizza-zioni terroristiche di sinistra degli anniSettanta e Ottanta, hanno sempre ri-badito il concetto secondo cui l’Italiarepubblicana, democristiana e dellesue varie combinazioni partitocrati-che, aveva tradito la Resistenza e chedunque bisognava riprendere le armiper concretizzare un’ipotesi politicache era nella prospettiva dei combat-tenti delle brigate partigiane di cifracomunista.

Oggi possiamo chiederci tutti che

cosa resta ancora delle posizioni va-riamente critiche del 25 aprile. E pos-siamo rispondere che non c’è piùniente di significativamente estraneoe men che meno ostile. Non ci sonopiù reduci salodiani, o per lo menosono talmente pochi da non costituireuna componente politica; stessa cosasi può dire dei reduci della guerra par-tigiana. Il 25 aprile è perciò una data fondantenella quale gli italiani si riconosconotutti, senza forzature né da una partené dall’altra. Si può essere più o menocontenti di quest’Italia, ma non si puòmettere in discussione il suo assettocostituzionale, le basi del suo essereuna delle più importanti nazioni nelmondo, una protagonista assolutadelle vicende mondiali. Certo, il modo in cui la storia delPaese evolve non trova tutti d’ac-cordo; ma questo è normale.Ci sono italiani che vorrebbero, senzaessere fascisti, che l’Italia si facessesentire di più in Europa e nel mondo.Ci sono altri italiani che, senza esserecomunisti, ritengono che l’Italia facciapoco nel processo di liberazione e difratellanza fra i popoli e gli individui. Ma nessuno in Italia ipotizza unPaese diverso da quello nato col 25aprile.Ci sono valori che reggono alle più ra-pide o lente trasformazioni. L’Italia dioggi è profondamente diversa daquella di settant’anni fa, perché di-versa è la realtà dell’Europa e delmondo; ma i principi fondanti dellasua Costituzione sono gli stessi.E’ per questa ragione che la domandase oggi il 25 aprile è la festa di tutti gliitaliani tradisce un’incertezza e qual-che dubbio, che certo non rafforzanola tenuta culturale e politica di questonostro Paese.Proprio il riconoscersi tutti nel 25aprile, perché non possiamo non rico-noscerci, è garanzia di libertà di leg-gere la storia juxta propria principia,per dirla con Telesio, e non alla Pansao alla Cazzullo.

settant’anni dopo

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0l’opinione

Ei cavalloni si alzano s’impennano si rincor-rono, s’infrangono furiosi sui fradici legnicarichi di umili cristi dal cuore fidente. Tra-balla il barcone e vacillano gli animi nellaprocella più cupa.

Non ci sono parole nella furia della tempesta, ci son soloocchi che fissano senza vedere, mani che stringono manisenza sapere e si avvinghiano al legno per non cadere, traspruzzi di lacrime salate e come il fiele di Cristo amare. Poi lo schianto di un’onda sommerge, sovrasta i cuori, ina-bissa le grida d’aiuto e annulla animi e affetti tra gorgoglii ef-fervescenti di terrore e di orrore sotto un cielo testimonesilente e impotente di quelle onde che abbracciano e accol-gono senza pietà gli spasimi di chi, pian piano si spegne. E alle croci invisibili, si aggiungono croci silenti che cullanodeluse chimere in una notte buia come il tormento di chi cer-cava un appiglio, aggrappato a quell’acqua salata che tra lemani scivola e annulla. Quante croci traballano su quel mare di notte senza nessunlumicino che prega e senza che il sole di giorno le illumini.Sono croci trasparenti, cristalline come l’acqua che ha som-merso tanti nomi non nomi di poveri cristi.

E noi chi siamo? Chi è l’uomo che inabissa altri uomini?Su quella sponda che invia, ci sono uomini che spingono,incalzano per un tornaconto spregevole; sulla sponda, chedall’altra parte riceve, altri uomini accolgono, ma tra tanti be-nefattori, purtroppo, ci son quelli che di altri tornaconti alli-gnano e s’impinguano.Già, siamo tutti uomini e brava gente, ma a guardare la tra-sparenza di quelle infinite croci che dondolano su un cimiterod’acqua, mi dico che, forse, tanto brava gente non siamo purricevendo e “aiutando”. C’è modo e modo di confortare e sostenere l’altra sponda,ci sono altri criteri di dare coraggio, ci sono altre bontà, altrecarità. Non basta salvare tra le onde e accogliere. Si puòanche farlo senza creare dissidi tra le genti delle duesponde!E mentre i politic-cristi “brava gente che non sa rinunziare aniente” si accapigliano e cercano gloria, le croci sul mare se-guitano a dondolare aggiungendo numero a invisibile nu-mero e l’abisso del mare senza fiatare, bravo mare! continuasilente a gonfiarsi di bravi cristi, di urla strazianti che si ag-grappano al nulla!

di Maria Grazia Presicce

corsivoPoveri cristi dal cuore fidente

“Sono stati proprio alcuni che si sono riconosciuti da sempre nel 25 aprile e dunque nella Resistenza

a non essere contenti dell’Italia successiva”

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Da tempo, l’associa-zione radicale LucaCoscioni e un grup-petto ristrettissimo dipolitici hanno avviatouna campagna ser-

rata per legalizzare la cannabis e per sti-molare il Parlamento a legiferaredoverosamente sul “fine vita”.Il senatore del Pd, Luigi Manconi, lamentache su certe questioni di enorme impor-tanza arrivino solo adesioni da sinistra. Effettivamente, la sinistra ha un Dna liber-tario ed è attenta particolarmente ai “nuovidiritti”. Purtuttavia, ci si attenderebbe chesu alcune tematiche di fondamentale rile-vanza ci sia una convergenza bipartisan,che vada oltre le “regole” stereotipate degliopposti schieramenti. Recentemente, sulCorriere della Sera, è intervenuto il sena-tore del Ncd, Maurizio Sacconi, già socia-lista, ex berlusconiano di ferro. Ha scritto ildevoto senatore: “È la sinistra priva di oriz-zonti identitari, che si è rivolta ad un pen-siero libertario lontano dalle sue radici edalla sua vocazione d’uguaglianza. Pen-siamo come difende il diritto al figlio”. E, inun moto d’entusiasmo, ha aggiunto: “Ladestra umanitaria e liberalpopolare è in-vece radicata nella tradizione nazionale enell’antropologia naturale. Questo ci portaa difendere una società orientata alla vita.A rispettare la dignità d’ogni persona e a ri-conoscere rilevanza pubblica alla famiglianaturale orientata alla procreazione”. L’an-tropologia naturale, a cui tiene Sacconi,l’abbiamo potuta a pieno “apprezzare”quando l’ex socialista craxiano è stato algoverno con Berlusconi. In compagniadell’indomita Roccella, di Gasparri e di altri,è stato l’autore d’una surreale “agendabioetica” di sapore acremente confessio-nale, che sembrava dettata passo passodalle alte gerarchie ecclesiastiche. In nomedella famiglia canonica, ritenuta ingiusta-mente minacciata, i politici di centrodestrasi opposero a qualsiasi normativa a favoredelle coppie di fatto omosessuali. Il Pdl, aun certo punto, si saldò intimamente con

l’inossidabile e trasversale “partito dellavita”, sponsorizzando battaglie assoluta-mente fondamentaliste.Ricordiamo, ad esempio, all’indomani delladipartita di Eluana Englaro, che il Senatovotò in maggioranza per affermare addirit-tura che l’alimentazione e l’idratazione for-zate dovessero essere ritenute sempre“sostentamento vitale irrinunciabile”. Quando sappiamo che le Società nazionalie internazionali di Nutrizione artificiale ri-tengono che esse debbano essere consi-derate vere e proprie terapie sanitarie,suscettibili all’occorrenza di essere inter-rotte. Il governo Berlusconi ebbe l’ardire difare approvare, in Senato, il ddl. Calabròsul testamento biologico. Un testo, appog-giato apertamente dall’Udc dei Casini(Pierferdinando e Carlo), chiaramente illi-berale, antiscientifico, forse anticostituzio-nale. Questa è la vita, che difende a spada trattail meraviglioso Sacconi? Dopo la triste legge 40 sulla fecondazioneassistita, che di fatto stabiliva il dominiodello Stato sul corpo della donna, un’altrastatica e impraticabile normativa sulle di-chiarazioni anticipate di trattamento distampo paternalistico stava per nascere.Fortunatamente, però, s’arenò per semprecome corpo morto nelle secche del Parla-mento. Ma come poteva un governo democratico(quello berlusconiano) confezionare unalegge “rigorosissima”, che disciplinava il“fine vita” come se fosse un tremendo giu-dizio di Dio, come se si trattasse d’una“zona di confine” standardizzata e stretta-mente definibile con una “formula matema-tica” valida per tutti i cittadini. “La destraumanitaria si rivela in tutti i comportamentiregolatori portatrice d’una visione fiduciosadell’uomo”, sostiene paradossalmenteSacconi. Una destra “tanto fiduciosa” nell’uomo enella laica scienza, che ha sempre imbri-gliato con normative inconcepibili le aspet-tative della donna e della ricerca scientifica.La famigerata legge 40 vietava l’eterologa

di Marcello Buttazzo

(oggi non più, grazie all’intervento dellaConsulta); e, ancora attualmente, impedi-sce tassativamente la manipolazione dellecellule staminali embrionali, che secondola comunità scientifica internazionale rap-presentano la speranza, il presente e il fu-turo della medicina rigenerativa. “Destra fiduciosa nell’uomo”, ripete comeun mantra sbiadito l’ex ministro berlusco-niano Sacconi. Certo, tanto fiduciosa, chenel 2006 formulò l’incredibile legge Fini-Giovanardi sulle droghe (di recente dichia-rata, ovviamente, anticostituzionale), chestabiliva con un arbitrio scientifico e classi-ficatorio che tutte le droghe dovessero con-siderarsi pesanti.Una legge, evidentemente cara a Sacconi,che in questi anni ha contribuito a riempirefino all’inverosimile le celle dei già fatiscentipenitenziari. Serenamente, possiamo direche, dopo anni e anni di politiche proibizio-nistiche, i rappresentanti delle istituzioniavrebbero dovuto testimoniare il fallimentodel loro asfittico registro. Esistono droghe leggere e droghe pesanti:ognuna ha il suo ordine sistemico, la suamodalità d’azione, i suoi livelli di pernicio-sità. Non sono servite alla crescita civile delPaese la semplificazione e la faciloneriad’un passato governo Berlusconi, che, perobbedire ad una sottocultura securitaria, hainventato di sana pianta nuovi reati e nuoviinfidi “criminali”. Tanti anni fa, vinse il refe-rendum portato avanti dai Radicali sulla de-penalizzazione delle droghe leggere: ma èstato clamorosamente disatteso da unaclasse politica parlamentare sprovveduta. Anni fa, qualche politico della “destra uma-nitaria” addirittura avrebbe voluto sotto-porre obbligatoriamente gli studenti, iragazzi e le ragazze, al test anti-droga. Chedire? Se deputati della Repubblica sono at-traversati da crisi esistenziali e sono invena di mostrare al popolo italiano le lorofenomenali virtù morali, si sottoponganoloro al test volontario o anche coatto anti-droga.

La destrae i nuovi diritti

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0contemporanea

In diverse parti del mondo, da tempo, sulle coppiedi fatto sono state formulate adeguate normative.L’Italia su tale questione è fanalino di coda in Eu-ropa. In un tempo che è quello che è, che comun-que vuole eguaglianza e pari opportunità, èlegittimo appellarsi strettamente alla legge naturale

per affermare che solo le unioni fra uomo e donna debbano es-sere considerate lecite? Ma cosa c’è di più umano e naturaledell’amore, della comprensione, del reciproco rispetto, indipen-dentemente dall’appartenenza di genere? Ma cosa c’è di piùbello d’un diffuso sentimento fra esseri umani, che si amanoalla luce del sole e si riconoscono in un sistema di diritti e do-veri? Dovremmo cercare di oltrepassare e sconfiggere ognipossibile discriminazione. Dispiace che, da noi, non si riesca aproteggere opportunamente le coppie di fatto e non si riescaad addivenire ad una necessaria legge contro l’omofobia. A di-verse latitudini, la discussione è fervente. Tempo fa, la filosofastatunitense Martha Nussbaum si schierò a favore anche delmatrimonio omosessuale e definì come un “privilegio” quelloeterosessuale. Questa asserzione secca e radicale fece indi-gnare il bioeticista Francesco D’Agostino, che rivelò come “lalegislazione moderna in tema di diritto di famiglia tende a mo-strare un volto di assoluto rigore, soprattutto quando il matri-monio va in crisi e bisogna regolare le micidiali pendenze

economiche e sociali che nascono dal divorzio”. Effettivamente,un vincolo governato da un sistema stringente di diritti e doverinon può essere assimilato a un privilegio. Ciononostante, c’ èqualcuno, però, che è addirittura convinto che “ciò che gli omo-sessuali richiedono non è di poter godere di vantaggi e utili so-ciali, cioè d’una serie di ipotetici privilegi oggi negati, ma di unostatuto simbolico”. Però i cittadini omosessuali non chiedonoallo Stato solo un riconoscimento simbolico: essi rivendicanogli stessi diritti e doveri dei cittadini eterosessuali. Chiedonosemplicemente di essere tutelati secondo giuste leggi, chie-dono di non venir discriminati. Il professore D’Agostino è cate-gorico: “Nessuno vuol sostenere che ciò che manca al rapportofra omosessuali sia l’autenticità dei sentimenti: ciò che glimanca è un’obiettiva rilevanza sociale e generazionale”. Ma l’uomo e la donna, indipendentemente dall’appartenenza di ge-nere, vivono rapporti umani e relazionali, per le strade, negli uf-fici, nelle scuole, nelle fabbriche. Tutti siamo soggetti sociali, ecome tali abbiamo manifesta rilevanza. Inoltre, in alcune con-trade del mondo, gli omosessuali possono regolarmente adot-tare bambini o procreare mediante le tecniche di fecondazioneassistita, e quindi di fatto possono perpetrare la specie in unabbraccio generazionale.

di Marcello Buttazzo

Sull’omosessualità

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Sergio Torsello era unbell’uomo: lunghi capellineri raccolti in una codada cavallo e rughe ap-pena accennate a sol-care la sua faccia da

indiano salentino. Soprattutto era unuomo bello: buono, profondamente al-truista, umile e disponibile con tutti.Sergio Torsello era un valente studiosodi tradizioni popolari, uno dei più prepa-rati, competenti, appassionati. Amavavisceralmente questa nostra terra di cuiricercava usi, costumi, storie; come unmonaco cercantino, andava racco-gliendo tutto ciò che venisse pubblicatoanche di minore, di minimo.Lo conoscevo da tanti anni, impossibilenon volergli bene, ci stimavamo. Tantee di altissimo livello erano le sue colla-borazioni. Vastissima la sua produzione,invidiabile il suo curriculum.Leggeva “S/Pagine”, che io gli inviavoogni domenica per email. Non era su fa-cebook. Il tempo a disposizione, quandoci si incontrava, sempre poco, perchélui era uno di quelli con cui si potevapassare le notti a parlare di tutto, fravino e sigarette.Può sembrare un’immagine troppo let-teraria, ma era davvero così. I suoi studisalentini non avevano nulla di agiogra-fico o campanilistico. La sua analisi erasupportata da un metodo solidissimoperché severo e scientifico. Nei suoi la-vori, il Salento diventava una piazza glo-bale, uno scenario ampio, la storialocale si intrecciava con quella nazio-nale e mondiale. Sergio era un intellet-tuale militante e chiunque lo conosca sache non abuso di questa definizione.Era di sinistra? Forse, ma a livelloideale, nemmeno ideologico. Giornalistapubblicista, vantava pubblicazioni sullepiù prestigiose riviste salentine e nazio-nali.

Non voglio scrivere un pezzo encomia-stico, celebrativo. Quando ci si trovanell’immediatezza di un’emozione (l’im-provvisa dipartita di Sergio ha lasciatosgomenti tutti), in genere non si scrive.C’è bisogno di lasciare sedimentaredentro un evento che ci ha colpito pro-fondamente, un abrupto, un fatto tragicoo lieto, prima di poterne fare trattazione.Aveva prodotto per me una bellissimapostfazione per un mio vecchio libro.Avevo scritto per lui diverse brevi recen-sioni dei suoi. Aveva avuto per me bel-lissime parole in alcune presentazioni,in qualche posto del Salento. Lo avevo chiamato a parlare di tradi-zioni popolari anche nel mio paese, Ruf-fano, dove , insieme ad altri amici (GigiChiriatti, Ada Metafune e Biagio Panico)aveva tenuto una seguita conferenza.Mi aveva chiesto di portarlo da ungrande vecchio della cultura salentina,Aldo de Bernart, e insieme, io e lui, se-duti di fronte a de Bernart nel salottodella sua casa aristocratica nel centro diRuffano, sembravamo due scolaretti,spauriti al primo giorno di scuola.Stessa situazione, a parti inverse, adAlessano, dove fu lui ad accompa-gnarmi a casa di Antonio Caloro, unaltro senatore delle lettere salentine.A me viene facile portare in omaggio achiunque una copia dei miei libercoli,avendone ancora degli scatoloni pieni.Lui invece non aveva nessuna copia deisuoi libri, andati tutti venduti anche nellesuccessive ristampe. Sicché a volte sitrovava nella curiosa necessità di do-versi fermare in una libreria ed acqui-stare una copia per recarla in omaggioa qualcuno. Fece così pure con me e io risi molto.“Ma come?”, gli chiesi, “almeno, inquanto autore del libro, hai preteso unosconto dal libraio?” “No”, rispose, “eperché mai, mica gli ho detto di essere

l’autore!”. Il libro era “La tela infinita”.“Ad uno che si occupa di bibliografie do-vrebbe far piacere avere un libro chetratta proprio di bibliografie (sul taranti-smo mediterraneo dal 1945 al 2006)”.Fu un complimento bellissimo per me,una dedica non scritta pari ad una pro-mozione sul campo. Diceva di appro-vare l’operazione di cui io mi ero fattoportatore, ossia quella di pubblicare iprofili dei personaggi illustri viventi diTerra d’Otranto. Anche lui lo faceva ognitanto con i grandi studiosi. “Echec-cazzo”, mi confortava, “non bisognamica aspettare che un personaggio diquesti sia deceduto per tributargli il giu-sto riconoscimento. Quando si tratta distudiosi di chiara fama, va benissimo,anzi è opera meritoria, anzi è proprio undovere divulgare il loro curriculum.Bravo, fai bene, fregatene di quelli chehanno qualcosa da ridire. Se devi fer-marti e rimettere tutto in discussione adogni critica che ricevi, non scrivi più.Non puoi aspirare al consenso univer-sale” . E io provavo un senso di rivalsapensando a certe serpi che striscianonel sottobosco dell’ambiente culturalesalentino. L’ironia della sorte è che, pro-prio animato da queste intenzioni tantevolte condivise con lui, avevo comin-ciato a raccogliere i suoi materiali conl’intenzione di tracciare un suo profilobio-bibliografico. Quando lo avrei pubblicato non so, e lastoria che sto raccontando non lo dice.Qualche volta lo andavo a trovare al Co-mune di Alessano, dove lavorava. Tirava fuori il suo pacchetto di sigarette,me ne offriva una, e si iniziava a parlaredi tutto. Lui era un vulcano in eruzione,una fucina di idee, un ribollire di inizia-tive, ma non sbandierava niente, avevamolto più interesse a sapere di te che adirti di sé.“Ecco i pezzi da novanta” , scherzavo

Per Sergiodi Paolo Vincenti

“Oh, Sergio non ho tempo di scriverti, ma d'altra parte non ti ho scritto mai, oh, sì, di cose qui ne succedono, ma ci illudiamo d'inventarle noi: siamo un passaggio di allodole: con un colpo andiamo giù; mentre cerchiamo di scegliere se volare a nord o a sud... e gli anni indietro, e gli anni Sergio, e quando c'eri tu... “

Canzone per Sergio - Roberto Vecchioni

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quando lui arrivava in un posto e Sergiosorrideva sornione e non rispondeva.Mi riferivo al suo incarico, certo gravosoma anche di grande visibilità mediatica,di direttore artistico della Notte della Ta-ranta. Una grande intrapresa, il concer-tone di agosto di Melpignano. Non gli homai chiesto di farmi entrare nel back-stage, di avere i pass per poter assi-stere più comodamente al concerto.Non volevo metterlo in imbarazzo, afronte delle tantissime richieste dellastessa natura che dovevano pervenirgli.Negli ultimi anni era sempre più obe-rato. Una volta gli chiesi di presentare ilmio ultimo libro in qualche data promo-

zionale, mi rispose che non poteva.Glielo chiesi un’altra volta. Provò ad in-castrare gli impegni ma non ci riuscì.Glielo chiesi una terza volta: impossi-bile, ogni data che gli proponessi di lì atre mesi risultava per lui occupata.Ci rimasi male, me la presi molto. Nonlo cercai più per un po’. Lui ogni tantomi scriveva ed io gli rispondevo laco-nico, freddo, distaccato, volevo farglielapesare. Ero e sono un idiota, natural-mente. Poi, un giorno, leggendo un suobellissimo pezzo sul “Quotidiano di Pu-glia”, abbandonai il disappunto, lo chia-mai e ci rincontrammo. D’altra parte, io ero un signor nessuno

qualunque e lui uno studioso di caraturanazionale, chiaro che dovesse esseremolto più impegnato di me. Ora Sergio non c’è più. Se ne è andatoin un giorno di sole, quando tutto uno sipuò aspettare tranne che una ferale no-tizia come questa.Quando tutto uno può immaginare, inuna giornata di sole spalancato e di lu-certole impiccate al primo caldo tiepido,meno che un brivido di gelo, uno spro-fondo di voragine che si apra sotto ipiedi. Eppure, Sergio se ne è andato inun giorno così. Se c’è un senso a que-sto, è troppo presto per capirlo.

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0la fotografia

(a favore della campagna di sensibilizzazione contro l’eradicazione degli alberi di ulivo)“IL CORPO E L’ALBERO”Progetto di Massimiliano Manieri Fotografia di Pablo Peron

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0mms-arte

L’amicizia, freccia d’amoreA

ncora parole e immagini dallaterza edizione del progettoArt-icoliamo Senza Barriere,vincitore del bando di con-corso Guardo, Penso,Scrivo... Senza Barriere, in-

detto dall'Istituto Comprensivo Leonardo da

Vinci di Cavallino-Castromediano. Il progetto èinteramente finanziato dal Comune di Cavallino.Come nelle precedenti edizioni, sono coinvoltele classi terze della scuola primaria. Tutti i bam-bini guidati dall'esperta e promotrice del pro-getto Monica Marzano, tramite le loro immaginie poesie, raccontano esperienze dirette e indi-

rette sul mondo della Solidarietà, dell'Amiciziadella Tollerenza e della Fratellanza narrando diun mondo in cui è estremamente indispensabileabbattere ogni forma di barriera materiale ementale che possa pregiudicare l'attuazione ditali civici e sociali propositi.

Questa volta la piccolapoetessa Benedetta hapreferito dedicare un suopensiero all'amicizia, uti-lizzando versi liberi e in-

cantevoli nella loro semplicità...Benedetta vede l'amicizia come una frec-

cia d'amore che ha quasi il magico po-tere di colpire contemporaneamente piùbersagli, perché all'amicizia non si devedare un limite... In amicizia si può sba-gliare ma quando si è animati dalla sin-cerità e dalla bontà, basta saper chiederescusa e quella stretta di mano suggellerá

per sempre questo sentimento.La piccola Lucrezia ha voluto dare impor-tanza a questa catena di mani amiche"per sempre" perché la freccia d'amoreha bersagliato tutti i cuori con un solocolpo creando un girotondo di felicità.

La parola "speciale" sceltadagli alunni della terza Adella scuola primaria diCavallino è AMICIZIA. Ilpiccolo Gabriele dà una

serie di definizioni sull'amicizia, utiliz-zando la tecnica dell'acrostico, frasi checantano di gioia, di armonia, di affetto,di unione e dell'azzeramento totale dei

litigi inutili che fanno dell'amicizia quelsentimento vero e sincero che perduranel tempo, una sorta di esperienza, giu-stamente, indimenticabile. La piccola Giulia è stata rapita dallafrase "Amicizia è... Cuscini che volano!" E chi, infatti almeno una volta nella vitanon si è beccato una bella cuscinata daun suo amico o viceversa non abbia lan-

ciato un cuscino in faccia all'amico, sca-tenando quella allegra e amichevoleguerra di cuscini?Nel disegno coloratissimo quei cusciniappaiono coriandoli che leggeri volanoin aria per planare soffici sui sorrisi di-vertiti di chi difficilmente potrà dimenti-care quei momenti di spensieratezza.

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Chi ricorda il famoso spotdella Levis degli anni Ot-tanta, saprà che l’autore diquella straordinaria can-zone, “When a man lovesa woman”, era Percy

Sledge, scomparso da pochi giorni all’età di74 anni. La canzone era del 1966 ma pre-sto diventata un classico, evergreen. Così,chi ha letto il bellissimo libro “Memoria delfuoco”, ha appreso in questi giorni dellascomparsa del suo autore, l’uruguayanoEduardo Galeano, che gli amanti del calcioconosceranno anche per un’altra famosaopera, "Splendori e miserie del gioco delcalcio" del 1997.Ma perché scrivo queste note? Non mi ap-passionano i necrologi. Lo faccio solo peraffermare, una volta di più, il grande valoredella memoria. Nessuno può negare chePercy Sledge sia stato un grande cantante,nessuno che Galeano sia stato un enormescrittore.

In questi giorni è tornato di attualità il mas-sacro degli Armeni compiuto dai Turchi nel1915. La strage di questo popolo è statacommemorata il 24 aprile. Così nessunopuò negare che quello sia stato un “genoci-dio”. Il genocidio degli Armeni, operato dal-l’esercito turco, è una triste pagina di storiadel Novecento e si configura come unasorta di terribile preludio allo sterminio degliebrei da parte dei nazisti. Nelle persecu-zioni, persero la vita moltissimi poveri ar-meni, anche se le cifre esatte non sonoconosciute e anzi sono materia di scontrofra gli studiosi. Fra la cifra di un milione e mezzo di cui par-lano gli Armeni e i cinquecentomila dichiaratidal governo turco, la verità dovrebbe starenel mezzo, dunque si potrebbe parlare di ot-tocentomila morti. In realtà gli Armeni erano perseguitati giàdall’Impero ottomano nell’Ottocento. Ma nelperiodo immediatamente precedente laPrima Guerra Mondiale, precisamente nel-

l’aprile del 1915, iniziò una lenta ma decisaoppressione, prima nei confronti degli intel-lettuali armeni, che vennero deportati inAnatolia e massacrati, poi, la persecuzionesi allargò a tutta la popolazione, da sempremal tollerata dai Turchi.Vennero chiuse scuole, chiese, e i sacerdotimassacrati all’interno di esse. Si iniziaronocosì delle deportazioni, chiamate “marcedella morte”, in cui persero la vita, per famee stenti, o perché fucilati, una larga partedella popolazione armena.I soldati dell’esercito oppressore e principaliresponsabili delle fucilazioni, erano cono-sciuti come “Giovani Turchi”: essi avevanopreso il potere nel 1909 ed erano giovani in-dipendentisti e rivoluzionari che contesta-vano il vecchio regime ottomano e che,sebbene liberali e costituzionali, finirono peressere sommersi dal caos che imperver-sava nella nazione in quella temperie storicae per macchiarsi anche di orrendi delitti. (Ilfatto che un gruppo di dissidenti interni al-l’attuale Partito Democratico italiano abbiaadottato questo nome, non fa certo onorealla stessa corrente di partito). Il governo turco non ha mai riconosciuto laresponsabilità di quella strage ed essa èsempre stata una delle maggiori cause ditensione fra la Turchia e l’Europa. In parti-colare, la questione armena, oltre ad essereal centro di un lungo e infuocato dibattito po-litico e ideologico, ha portato molti europei,contrari all’ingresso della nazione turcanell’UE, a sostenere la tesi dell’incandidabi-lità. Bisogna dire infatti che pure gli studiosisi sono divisi in riferimento al genocidio. Gli storici turchi sono totalmente negazioni-sti, e addirittura ad Ankara viene punito conil carcere chiunque affermi l’esistenza delgenocidio. Gli studiosi della comunità inter-nazionale invece sostengono con forzal’atrocità e la programmatica persecuzioneoperata ai danni del popolo armeno. Recen-temente il dibattito si è riacceso in occasionedi alcune dichiarazioni del Papa FrancescoI che ha parlato esplicitamente di “genoci-

dio”. Il Papa ha sostenuto una inequivoca-bile verità, chiedendo di pregare per i tanticristiani armeni trucidati. In occasione delcentenario del massacro, questo fatto di-venta di tutta evidenza. Le reazioni del go-verno turco sono state immediate e violente.Un durissimo attacco del Presidente Erdo-gan ha messo a repentaglio le relazioni in-ternazionali fra il Vaticano e la Turchia. Mal’uscita di Papa Francesco ha colpito nelsegno, andando a toccare una ferita aperta,una piaga ancora purulenta. In questo, Ber-goglio è stato in continuità con il suo prede-cessore Giovanni Paolo II che pure parlò digenocidio quando, nel 2001, firmò una di-chiarazione congiunta con il Patriarca Kare-kin II.I debiti con la storia vanno saldati e alla me-moria riconosciuto il grande valore che essaha per i popoli e per le generazioni avvenire.Le ritorsioni della Turchia non tarderanno einfatti Erdogan ha già dichiarato che sa-ranno espulsi 100.000 armeni. “Ha ferito lanostra società”, ha affermato l’ambasciatorepresso il Vaticano, Adnan Sezgin, costrettoprontamente a tornare in patria; “un attaccovergognoso” lo ha definito Erdogan, “av-verto il Papa di non ripetere questo errore,e lo condanno”. Lo sceriffo turco lancial’anatema sul vicario di Pietro. Anche Anto-nio Gramsci l’11 marzo del 1916, su “IlGrido del popolo” dedicò un articolo al ge-nocidio. Era, il suo, un monito affinchè quanto suc-cesso in Armenia non cadesse nell’oblio.“L’indifferenza è figlia dell’ignoranza”, diceGramsci. Nei campi di sterminio, venne at-tuata una operazione di pulizia etnica, inquanto gli armeni erano considerati dei sov-versivi poiché di religione cristiana e di etniadiversa, dunque difficilmente omologabilinello stato ottomano, a fatica “gestibili”. Illoro sterminio venne programmato dai Gio-vani Turchi con furore nazionalista. Nel loroprogetto panturco, non vi poteva essereposto per culture e lingue diverse, quindianche per i Greci e per i Curdi. Il massacro

Amor armenoMAMMA LI TURCHI! (MEMENTO )

di Paolo Vincenti

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della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

venne stabilito ed attuato con una mobilita-zione massiccia dell’esercito e con i conse-guenti delitti di torture, stupri, umiliazioni diogni genere, islamizzazione forzata dei cri-stiani armeni e loro seppellimento nellefosse comuni. L’obiettivo degli ottomani erala cancellazione della comunità armenacome soggetto storico, culturale e soprat-tutto politico. I loro beni e le loro terre ven-nero sequestrate, le donne superstiti almassacro inviate negli harem e cancellataanche scientemente la loro memoria.Il genocidio armeno fu riconosciuto, nel1985, dalla sottocommissione dei dirittiumani dell’Onu, e nel 1987 dal Parlamentoeuropeo. I Paesi che riconoscono il genoci-dio sono 20, tra cui l’Italia, dopo una risolu-zione votata dalla Camera nel novembre2000. Una interessante posizione di media-zione fra le due tesi contrapposte è soste-nuta sull’ “Internazionale” di aprile 2015 dalreporter Gwinne Dyer , il quale, dopo averesaminato moltissimi documenti, affermache la verità non sta tutta da una parte o dal-l’altra. “L’impero ottomano” sostiene Dyer, “nel novembre del 1914 era incautamenteentrato nella prima guerra mondiale a fiancodella Germania. L’esercito turco aveva marciato verso estper attaccare la Russia, allora alleata diRegno Unito e Francia. Quell’armata fu an-nientata in mezzo alla neve vicino alla cittàdi Kars e i turchi furono presi dal panico.Per un errore strategico i russi non contrat-taccarono subito, ma se avessero deciso difarlo ai turchi non sarebbe rimasto quasiniente per fermarli. I turchi si sforzarono dimettere insieme una qualche forma di lineadifensiva, ma alle loro spalle, nell’Anatoliaorientale, c’erano dei cristiani armeni che daqualche decennio stavano lottando per l’in-dipendenza dall’impero ottomano. Varigruppi di rivoluzionari armeni avevano presocontatto con Mosca, offrendosi di provocaredelle rivolte alle spalle dell’esercito turco nelmomento in cui le truppe russe fossero ar-rivate in Anatolia. Quando ricevettero la no-

tizia che l’esercito turco era in rotta, alcunidi loro pensarono che i russi stessero arri-vando e agirono prima del tempo. Analogamente i rivoluzionari armeni delsud, vicino alla costa mediterranea, eranoin contatto con il comando britannico inEgitto e avevano promesso di scatenareun’insurrezione in coincidenza con gli sbar-chi britannici previsti nella costa meridionaledella Turchia, vicino ad Adana. All’ultimomomento Londra decise di spostare l’inva-sione molto più a ovest, ma anche in questocaso alcuni rivoluzionari armeni non ricevet-tero il messaggio e scatenarono comunquela ribellione. Il governo turco andò nel pa-nico. Se i russi fossero penetrati nell’Anato-lia orientale, tutti i territori arabi dell’imperosarebbero stati tagliati fuori. Per questo or-dinarono la deportazione di tutti gli armeninell’est della Siria, attraverso le montagne,d’inverno e a piedi, dato che non c’era an-cora una ferrovia. E poiché non c’erano sol-dati regolari disponibili, furono soprattutto lemilizie curde a scortare gli armeni versosud.Molti miliziani curdi approfittarono dell’occa-sione per violentare, rapinare e uccidere. Lamancanza di cibo e il clima fecero il resto,provocando la morte di quasi la metà deideportati. Per quanto non sia chiaro fino ache punto il governo turco fosse informatodi questa tragedia, di certo non fece nullaper fermarla. Altri armeni morirono a causadel clima torrido e delle malattie nei campiin cui furono ammassati in Siria. Fu un ge-nocidio commesso attraverso il panico, l’in-competenza e l’incuria deliberata, ma nonpuò essere paragonato a quanto successeagli ebrei europei”. Questa posizione diDyer è certamente controcorrente e si pre-sta a feroci critiche sia da una parte chedall’altra.Il Segretario dell’Onu Ban Ki Moon ha defi-nito il massacro degli armeni “crimineatroce”, mentre il Presidente degli Stati UnitiObama ha parlato prudentemente di “mas-sacro” per non compromettere i delicati rap-

porti con lo stato turco. Ma un conto è la di-plomazia e un conto la verità storica. Lastampa mondiale non è d’accordo con Dyere continua a parlare di “genocidio”.In Turchia la situazione è davvero esplosiva.Fuori da ogni ipocrisia linguistica ed acco-modamento, quella di Erdogan è una ditta-tura. I diritti umani sono spesso calpestaticome Amnesty International denuncia daanni. Ci sono movimenti di protesta violenti,come quello dei nazionalisti curdi e inoltreuna guerra non dichiarata con la Siria. Ag-giungiamo l’annosa questione di Cipro cheda tempo immemore divide la Turchia dallaGrecia sul possesso di quell’isola. Con tuttoquesto, e anche con altro, si vorrebbe farentrare Ankara nell’Ue, cioè un paese a li-bertà controllata, un regime, in un consessodemocratico come l’Unione Europea. È unmodo per tenerla a bada, qualcuno dice, percontrollarla. Mah!Sono tre milioni gli abitanti dell’Armenia maquesto popolo, quasi come quello ebreo, hasubito negli anni una enorme diaspora. Se-condo le fonti ufficiali, gli armeni nel mondosono circa 8,5 milioni, dei quali la maggioreconcentrazione si trova in Russia e in Usa,con 1 milione in entrambi i paesi. In Italia, ri-siedono stabilmente 2000 armeni. Il silenzioa volte può essere davvero assordante. Iospero che, a cento anni dal massacro delpopolo armeno, almeno nel nostro paese sipossano debitamente ricordare quel sacri-ficio e commemorare le vittime. Cento annidi oblio sono davvero troppi. La ragione ela pietà umana dovrebbero andare al di làdella fede religiosa e portare anche il go-verno turco a fare un mea culpa, chiudendoi conti con il passato. Del resto, basta ascol-tare le musiche tradizionali armene, come ame è capitato qualche giorno fa attraversola radio che commemorava l’olocausto, percommuoversi al suono del duduk, il tipicostrumento musicale armeno, e della vocesgraziata ma toccante dei loro canti di do-lore.

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spagine

Incontrocondi Ilaria Seclì

Iancu. Iancu. Marcinelle. Nero. Piazze. Luce. Accecante-assoluto. Vuoto. Assenza. Carcere. Antonio detto Nino.Gramsci. Le miniere della storia. Di carbone, di prigione.Miniera voci buio, memorie ossidate, ingrate. Ingratopaese distratto falso. La globalizzazione stermina. Ster-mina memoria e calma, pazienza e ricordo, fatti di odorie nomi, sapori, suoni. Fatti dei padri. Globale europeo oc-cidentale. Veloce veloce rumore valanga di cose e fatti di-stratti. Distratti. Il cuore stordisce e dice no. Gli occhi pure. È di pace e silenzio che siamo orfani. Distorie. Ladri. Ladri. Qualcuno veglia. Tanti ulivi, tanti Get-semani. Li illumina e li fa parlare. Fabrizio Saccomanno.Creatura che sa, vigile. Attenzione e cura.Mogli figlie sorelle gridano con voce che non sa arrivareal buio del mondo, caverna di noi stessi, miniera, Ade. Tiaspetto fuori, esci. Esci! Ti voglio vivo, esci! Anche scuroscuro di carbone, anche ferito. Pochissimi ce la fanno.Esilii. Emigranti. Migranti. Naufraghi. Mare che non sei piùmare. Non è la legge dei grandi numeri. Darwiniana leggedei primi mondi contro i terzi, i quarti. Ultimi. Padron ‘Ntonilo stato ti ruba i più giovani. Perverso stato delle cose.Lunga trama della storia che cuce i vinti di sempre. Vinti.Cuore del nostro cuore. Il diritto è dovere di prostrarsi. Allastoria, al nord, al potente. Non ci sono paragoni possibilicol mondo animale. Cattiveria e sfruttamento non sonocontemplati negli altri mammiferi. La loro è legge di ne-cessità. Il nostro un affare squallido. Affare di Stati. Lì siferma, Fabrizio col suo teatro. Promette ai titani di questotempo di non dimenticare. E non lo fa. Ricorda. Tra-smette. Evoca. Ripete le loro parole. Lettere a Tatiana, aGiulio, a Delio. Lettere a Giulia.Antonio Gramsci detto

Nino. Altro nato a sproposito, imperdonabile. Figlio di unpaese bello e ingrato.Lo fa con imponente umiltà, come lo facevano le nonneai bordi della via. Gli occhi non avevano ancora occhi persmartphone. Altre prigioni, altre prigionie.Rose parate e spine. Iancu. Rose parate e spine.Quellapiazza del mondo.Memoria e voci. Infanzia. E cattiveriadi provincia quasi santa. Forza purissima innocente, de-terminazione. Quel libero arbitrio che il paese non per-dona. Rosa parata ianca. Iancu che acceca e uccide.Corali solitudini.Infelicità spietate. Quanto venne raccolto, è nelle ceste. Fa’ che io ancorami pieghi dalla vetta, fa’ ch’io veda la prima nevicata.Per sempre vagando con cuore affamato. Per la vita dabere fino alla feccia.Non si dà pace, Fabrizio. Ulisse del terzo millennio. Nonse ne danno i suoi occhi cosmici, catino espanso umanis-simo, compassionevole, a misura di strazio e bellezza.Forza e miseria umana. Sua grandezza. Non si dà pace.La misura di una voce è stretta. Averne mille per dissep-pellire canti, incanti, disperazioni, grazia. Storie. Millecorpi, mani. Il coro eterno e lungo, bava dei millenni cheregistra umori, prodigi, orrori. La fine del tempo umano è la fine dei racconti tra genera-zioni. Il padre al figlio, il nonno al nipote. Orfani. Di storie.Di umanità. Fabrizio, tu ereditie incarni un dire di aedo ebardo. Testimoni e presti voce sguardo cuore. Perfezione.Dono che non si misura. Racconta ancora, Fabrizio. Rac-conta sempre. Ripopola di sedie i bordi delle strade. Rifaisilenzio. Ti ascoltiamo.

Gramsci

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i resti di Bisanzio

spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0

Tuo bianco di banda e gi-glio. Gioia. Mandorlo diGiappone. In the mood forlove con i capelli raccoltiraccolti e l’onda dei mon-soni. La vita ci accompa-

gna allegra mentre la bendiamo con unprosecco. È contenta. Miglior sorte la sua.Pensa, un inglese la darebbe al suo om-brello, e non è cavalleresco, e nemmeno di-vertente.Tanto poi parliamo sempre di lei, sorellasposa nemica complice. Strega, fata. Quellatrappola preferita, monella, ferita.Da lì la conta più riuscita a nascondino.

Sperare ci prenda e sfuggirla anche, perquei brividi strani.Sequestri e abbandoni. Sequestri e abban-doni. Tu irrompi sempre senza anticipo, noncome le rondini. Dal 10 al 18 del terzo mese,e non si scappa. No, tu no. Arrivi come iltuono di Vivaldi o con un secco colpo di fiati.Poi dobbiamo tracannare veloce veloce. Lacasa le cose il lavoro i resti di Bisanzio. Edarci e dirci, in un attimo l’oceano nel sec-chiello. E no che non la facciamo penetrarenella nostra vita… E no che non scriviamose poi tutto si dilegua… E sì che questa lucee la paura. Ma è questo il gioco, è chiaro.Apparire scomparire. Il tempo di una conta

alla corteccia, di una corsa, mosca cieca,l’intemporale tempo dei millenni, delle cose.Date eterne le mai del tutto nate. O nate intutto e infinite. I resti di Bisanzio. Taniche ebenzina, le camerette intatte, si sfrena fuoril’impagliato dentro. I pranzi muti come i santi nei graffiti. Tuttofatto salvo, così scomposto e oro. Dato almondo ma per sbaglio.È altro il regno destinato. Ma è questol’esatto spazio. Vedi in quanti siamo? Pro-prio tanti anche se dispersi. Un esercito di santi. Noi e le nostre collaninedi perle colorate e la neve sui ciliegi.Assalti. Assalti. Tanti.

la città e le “cose”

Lo re, le gioie

di Ilaria Seclì

Un’immagine posterizzata da I resti di Bisanzio, film di Carlo Michele Schirinzi

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"Eh Eh! Heu! Heu! Canga, bafio tè! Canga, mouné de lé! Canga, do ki la! Canga li!

spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0storie e storia

L’eco della rivolta degli schiavi neri di Haiti,una rivoluzione dimenticata, che portò nel1804 alla fondazione della prima repubblicanera del pianeta è stata vastissima. Anchein letteratura e filosofia possiamo trovare im-portanti riferimenti alla rivoluzione haitiana.

Nel 1855 Melville scrive Benito Cereno sullo sfondo la ribel-lione dei neri del centroamerica; le celebri pagine sulla dia-lettica servo-padrone della Fenomenologia dello Spirito(1807), secondo Susan Buck-Morss, hanno come palinsestoi fatti di Haiti, Hegel, infatti, ne poteva leggere sulla rivistastorico-politica “Minerva”, già nota al filosofo tedesco daglianni del suo soggiorno a Berna. Ma anche Manzoni, in con-tatto con la Société des amisdes Noirs, rivela qualche legamecon Haiti. In una delle varianti della Pentecoste, edita nel1822, leggiamo "del bellico/ coltivator d’Haiti/ fido agli eterniriti/canta, disciolti il piè". Nella redazione finale i versi che sirichiamavano alla lotta per la libertà degli haitiani s’inabis-sano per lasciare spazio a una notazione da Lonely Planetcome "l’irta Haiti" e così i lettori della versione ultima, scriveràFortini in un tesissimo saggio del 1973, "non hanno mai sa-puto che cosa stesse dietro quel nome di libertà".Ogni discorso sulla rivoluzione di Haiti però non può prescin-dere da un classico come I giacobini neri di Cyril Lionel Ro-bert James, uscito nel 1938, e che Derive Approdi adessoristampa con l’introduzione di Sandro Chignola.

Haiti è la colonia più ricca e redditizia dell’emisfero occiden-tale: 500.000 schiavi al servizio di circa 40.000 proprietari dipiantagioni lavorano in condizioni disumane per la maggiorgloria della Francia. Nel 1789 la rivoluzione dissolve l’ancienrégime e nel 1791 anche le Antille francesi entrano in subbu-glio, si ribellano e iniziano una guerra di liberazione. Un paiodate decisive: l’instabile abolizione della schiavitù nel 1794da parte della Convezione Nazionale e il 1804, anno dell’in-dipendenza dalla Francia. Il voodoo s’incrocia con la Marsi-gliese: "Eh Eh! Heu! Heu! Canga, bafio tè! Canga, mouné delé! Canga, do ki la! Canga li! Giuriamo di distruggere i bianchie tutto ciò che posseggono; moriremo piuttosto che infran-gere questo voto". Commenta James: "i coloni ben conoscevano questo cantoe si sforzarono di reprimerlo insieme al culto Voodoo al qualesi ricollegava. Inutilmente. Per duecento anni gli schiavi into-narono quell’inno nelle loro adunanze, così come gli ebrei aBabilonia cantavano di Sion".Cyril Lionel Robert James (scomparso nel 1989), storico di

Trinidad, esperto di cricket, militante terzomondista, roman-ziere, traccia il grande affresco di una rivoluzione dai trattiprometeici, che affrontò in sequenza Napoleone e il suo ten-tativo di ripristinare la schiavitù nel 1801, l’Inghilterra e laSpagna, e che si presentò, in seguito, come un modello pertutti i movimenti anticoloniali a venire. "Gli schiavi distrussero metodicamente e instancabilmente.Come i contadini della jacquerie o della sommossa dei Lud-disti essi cercavano la propria salvezza nel modo più ovvio,cioè con la distruzione di ciò che sapevano essere la causadelle loro sofferenze e se distrussero tanto fu perché avevanotanto sofferto".La violenza rivoluzionaria che attraverserà l’isola per più diun decennio inquietò i bianchi perché capovolgeva l’immagi-nario coloniale dello schiavo nero buono remissivo, ubbi-diente o, che è l’opposto speculare, del nero subumano,crudele e logicamente incapace; tuttavia essa non rimase allivello di una sanguinosa insorgenza o di una violenta ordaliacontro i bianchi (come quella vista nel Django Unchained diTarantino). La rivoluzione haitiana, infatti, non fu solo l’inau-dita attualizzazione di una potenzialità eversiva da parte diuna popolazione oppressa ma anche l’edificazione di unnuovo ordine sociale che realizzava, al di là dell’Atlantico, ivalori universali della Rivoluzione Francese. Descrivendo la complessa stratificazione sociale di Haiti, di-visa tra proprietari e manovalanza bianca, mulatti, neri affran-cati e la moltitudine degli schiavi, James mostra comenell’isola, e come in ogni meccanismo rivoluzionario, si ge-nerò ben presto una durissima polarizzazione tra padroni eschiavi (una sorta di proletariato coloniale), interpretata dal-l’autore come un moderno scontro di classe non riconducibileesclusivamente a una dialettica razziale tra bianchi e neri.Il marxista James, che non dimentica il ruolo della personalitànella storia, esalta, non senza rilevarne importanti contraddi-zioni, la personalità e la politica di Toussaint L’Ouverture, ilnero libero che dal caos haitiano "avrebbe gettato le basi diuno stato negro che perdura ancora oggi", ma ad essere en-fatizzata è soprattutto la capacità di Toussaint di rappresen-tare i bisogni e le aspirazioni della grande massa deglischiavi.Maddison Smart Bell nella sua biografia, uscita nel 2007,parla di catalytic role di Touissant in grado di mettere la Fran-cia di fronte ai limiti dell’universalismo della libertà e dei dirittilimitati all’Europa: "capo di una massa arretrata e ignorante,egli fu comunque all’avanguardia del grande movimento sto-rico del suo tempo. I neri stavano facendo la loro parte nella

di Sebastiano Leotta

La rivolta degli schiavi neri di Haiti,una rivoluzione dimenticata

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distruzione del feudalesimo europeo iniziata con la Rivolu-zione Francese, e libertà e uguaglianza, le parole d’ordinedella rivoluzione, significano molto più per loro che per qual-siasi francese"James, ma si ricordi Black Reconstruction di W.E. du Boisdel 1935, inaugura conI giacobini neri la messa in crisi dellastoriografia eurocentrica fondata su una visione geometricatra periferia e centro e su una visone gerarchica tra cuoredella storia universale e marginalità subalterna, e fa di unacolonia dell’Atlantico la punta più avanzata delle idee illumi-niste, più della stessa Francia, tanto che lo stesso storico diràin seguito che nessuna storia occidentale può escludere dalproprio racconto la storia delle Antille Francesi e del loro for-midabile appropriarsi dei principi rivoluzionari.Diversamente da V.S. Naipaul, premio Nobel nel 2001 e mag-

gior scrittore di Trinidad, per il quale nelle Indie occidentalinon è mai stato creato niente di interessante, per James, chenon cadrà mai in una sorta di etnocentrismo alla rovescia,Haiti ha una storia e la deve a figure come Toussaint, HenryChristophe, Jean-Jacques Dessalines. Dirà James in unaconversazione del 1986:"Mi ero stancato di leggere che gli indo-occidentali erano op-pressi, che eravamo neri e miserabili, che eravamo stati de-portati dall’Africa, che vivevamo lì e che eravamo sfruttati, edissi – lo dissi quando vivevo ancora nei Caraibi – mi sonostancato di tutto questo. Ci deve essere qualcosa sugli indo-occidentali a parte essere sfruttati. E allora mi sono detto,devo scrivere la storia della rivoluzione di Haiti".

http://www.unipd.it

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Marco, io trovosorpassato il di-lemma che tuesponi nel gestoartistico dal titolo“1938 / 2014”

(nella mostra Ipotesi, Palazzo VernazzaCatromediano, dal 28 marzo al 15 aprile2015, a cura di Lorenzo Madaro). L’inat-tualità, però, nel distacco, dona prospet-tive che aggiungono contributi inaspettatialle pratiche attuali. Tu ti muovi (anche seun’opera è troppo poco per dirlo) sul cri-nale tra parola e immagine (mi viene dadirti: sei un ibrido). E costruisci prove chepossono anche essere un depistaggio.

DEL FIUTO NON POSSO FARE A MENO, IL FIUTO NON BASTAIl tuo gesto, di primo acchito, era statomuto per me. La tua trappola (costruitaad arte) è un cortocircuito. Hai provocatoun corto circuito e ora esibisci una speciedi enigma della Sfinge. Un libro aperto èappeso come un quadro, una serie di 10pellicole autosviluppanti polaroid sono di-sposte sul tavolo di fronte.

QUEL CHE SI VEDE È QUEL CHE È?La tua installazione è fatta di due inver-sioni (così a me sembra). Il libro aperto,che dovrebbe stare sul tavolo o tra lemani, è appeso alla parete. Le pellicolepolaroid vergini (mai impressionate), leimmagini potenziali (i quadri che dovreb-bero stare sulla parete), sono sul tavolo.Le due inversioni del gesto mostrano unavalenza sia in atto che in potenza. A untempo, l’una parla e l’altra tace. A untempo, sono due eclissi parziali, in cui lafonte di luce e lo schermo si alternano iruoli.Poiché le cose non stanno al loro posto,anche le funzioni sono capovolte (il capo-volgimento scaturisce dalla semplice de-localizzazione). L’immagine scura è la

didascalia del libro aperto e appeso comeun quadro. Le due pagine del libro apertoe appeso alla parete sono un’immagine (icui segni sono le parole).

IL COLLEZIONISTA DI RELIQUIEIl titolo, “1938/2014”, intanto. La primadata (1938) è quella della pubblicazionedel libro che tu esponi, La nausea di JeanPaul Sartre; e anche la data del lancio delmiglioramento delle Polaroid (nate circadieci anni prima) che conquistò il mer-cato. La seconda data (2014), è quelladella composizione del tuo gesto artistico.Perché le hai accentate? Più che mar-care, come fanno gli storici, un’epoca,credo che tu abbia voluto indicare un arcodi tempo, un’ellissi. In questo intervallo,per esempio, le Polaroid sono nate emorte. E neanche il libro cartaceo, chenel 1938 godeva buona salute, ora statanto bene. Tu li richiami (indicando ladata di nascita) e li esponi come reliquie.Un’ellissi e due reliquie (di carta). Reliquiaed ellissi, funghi inattesi (del sottoboscodella lingua), li raccolgo.

NON FACCIO QUELLO CHE TU VUOIMi alzo, mi vesto / è solo un pretesto / perfar di due pagine / un mio manifesto. (Qui ho variato una poesia di Anna Ca-scella; la pesco dalla memoria; l’originaleriporta righe al posto di pagine.)Le due pagine de La nausea, che tu haiattaccato alla parete, sono un manifesto.Le due pagine, esibite come manifesto,sono isolate. Non c’è il prima, non c’è ildopo. Hai prelevato un frammento (il piùdenso di significato? per te, forse). Coltuo gesto chiedi allo spettatore di nonguardare soltanto, ma anche di leggere(tra il tavolo e la parete c’è spazio suffi-ciente per collocarsi a debita distanza dallibro e leggere). Posso guardare senzaleggere (guardare senza leggere nulla, èpossibile?). Oppure, posso guardare e

leggere. Il tuo è un invito, non un obbligo(non puoi obbligarmi).(La tua è un’opera visiva, verbale overbo-visuale?)

LA LETTERA NON È NASCOSTA Cedo (posso non tenere conto del sensoletterale?) e leggo le due pagine (le uni-che). Qui (ma, ripeto, non sappiamo nél’antefatto né l’epilogo) è messo in scena,dalla voce narrante, il dilemma: o si viveo si racconta (e la “o” è un aut). Gli attimifuggitivi dell’esperienza sono nel flussoindifferenziato dei giorni (senza capo nécoda), ed è solo il racconto che li strappada lì. È solo il racconto che dà loro la pa-tina dell’avventura (e li rende così memo-rabili). Il racconto e l’avventura spezzanole catene della monotonia (questa è l’im-magine che espongono le due paginestampate?).E le polaroid, allora, che non sono stateimpressionate? La luce non le ha fecon-date e non mostrano alcuna immagine(non raccontano alcuna avventura). Sonobuie, sono nere. Sono ancora vive? Perle polaroid, vivere equivale a essere im-pressionate. E quando sono impressio-nate, fanno nascere un’immagine (unadelle forme dell’umano raccontare).Quando l’immagine (una sola) si è cristal-lizzata, la polaroid non può raccontareun’altra avventura. Si può dire chemuore, dando alla luce un raccontosenza parole. Il suo è una specie di sa-crificio (un parto mortale). Il libro alla parete sembra fornire le parolealle immagini latenti (le possibilità di av-venture, in primis artistiche) sul tavolo.Forse non è azzardato sostenere, qui,che le parole (programmatiche?) prece-dono i racconti visivi. Io, qui, distinguo una specie di connubiotra parole (datate) e immagini (non an-cora nate). I medium del connubio sonodifferenti, ma sembrano potersi aggan-

e il messaggioIl medium

di Massimo Grecuccio

spagine

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della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0

lettera aperta a Marco Vitale

ciare. I due sono vivi in territori ben distintie tuttavia confinanti. E ci sono continueviolazioni degli spazi, incursioni che vivi-ficano (alla lettera: che concimano)ognuna delle due terre alternativamenteviolate.

L’ELLISSI, LA RELIQUIA, L’AMULETO,LA SCARAMANZIA L’ellissi temporale del tuo gesto solleva ladomanda sul ciclo di vita del senso.Quanto dura il senso? Il senso ha la sca-denza? Il senso è legato al medium (ilmedium è il messaggio). Ma anche: Ilmedium e il messaggio. Se il medium nonscompare del tutto (se anche permanesolo come traccia mnestica), neanche il

senso si azzera del tutto. Il gesto che fu,però, con la perdita progressiva delsenso, diventa una reliquia. La metamor-fosi dell’atto artistico in reliquia docu-menta la riduzione continua di senso (finoall’azzeramento?).

Marco, il tuo gesto (ora, lo percepisco) èanche sia un amuleto (dovrebbe allonta-nare la paura della pagina bianca) cheuna scaramanzia (un atto di scongiuroverso l’essere muto). Il tuo lavoro, così,ha una valenza autobiografica. È singo-lare, e degno di nota, che il tuo rituale

scaramantico sia all’inizio della tua car-riera artistica. L’arte, in molti la vogliono,

chi può possederla per intero? L’arte

chiede continua dedizione (un lavoro diquotidiano artigianato, in cui si può insi-nuare l’ispirazione). Una dedizione chepuò essere scelta di vita, da essa nonseparata. Una dedizione-humus in cuicoltivare avventure (racconti) memora-

bili da condividere.Massimo Grecuccio

Marco Vitale studia pittura all’Accademia diBelle Arti di Lecce (ma non dipinge con pennellie colori). È vicino alla laurea. Sta ultimando latesi, dal titolo “L’impulso Autobiografico”, dovetratta l’uso dell’archivio e il legame di questo conl’autobiografia nelle pratiche contemporanee(questo lavoro di tesi è ispirato dal lavoro criticodi Hal Foster, in particolare dal lavoro di questisull’impulso archivistico).

Sul crinale tra parola e immagine, “1938/2014”una “Ipotesi” proposte da Lorenzo Madaro nella mostra tenuta a Palazzo Vernazzadal 28 marzo al 15 aprile u.s. per CreArt - Giornata Europea della creatività

Le polaroid di “1938 / 2014”

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0l’arte di costruire la città

Sono recentemente apparse sul web una serie dimolto criticate immagini relative al cortile del ca-stello di Corigliano d'Otranto (Lecce). Nel reso-conto filmato fatto da un privato cittadino quelloche colpisce è il vedere le mura storiche del ca-stello bucate in modo “singolare” da tubature,

probabilmente quelle dell'antincendio. La singolarità sta nelfatto che questi buchi e tubi sembrerebbero essere collocatiprescindendo dal valore storico dell'edifico. La vicenda ponea tutti una serie di domande che si sono raccolte e rigirate alresponsabile della locale Soprintendenza ai Beni Architettonicie Paesaggistici, architetto Francesco Canestrini. Il restauro diun edificio storico (tanto più quando si tratta di un'opera pub-blica) - se vogliamo attestarci a quello che è un principio ormaiacquisito in modo diffuso riassumibile tanto nel motto “La cul-tura che vince” quanto nelle linee guida fornite e sollecitate,seppur nel suo pur breve mandato, dal Ministro Massimo Bray- è questione di natura culturale che riguarda lo status di “cit-tadini” e ad essa nessuno dovrebbe sottrarsi. Discutere pub-blicamente aiuta tutti, cittadini e tecnici, a capire di più, acontrollare meglio nonché ad elaborare linee guida di inter-vento comuni e condivise che evitino il ripetersi di casi simili aquello di Corigliano. Aprire i cantieri di restauro è un bene; agevolare gli studi sto-rici, soprattutto quando la Soprintendenza non può farli è unbene; impedire, ostacolare le ricerche sugli edifici storici, sem-pre da parte di qualche architetto della Soprintendenza (ed èaccaduto proprio a Lecce almeno un caso paradossale e cla-moroso che riguarda proprio il palazzo storico che ospita laSoprintendenza oggi in corso di restauro) è cosa contro-naturache si traduce sempre in un pessimo intervento di restauro.1) E' prassi della Soprintendenza nominare un suo responsa-bile interno destinato a seguire ogni progetto di restauro. Sa-rebbe estremamente importante per tutti sapere in mododiretto perché questo architetto della Soprintendenza potrebbe

avere autorizzato la realizzazione di impianti che, sintetizzandoil pensiero di molti, sembrerebbero “devastanti”. Si potrebbe sapere il nome dell'architetto che ha seguito perconto della stessa Soprintendenza da Lei diretta questi lavoridi restauro?2) Per realizzare un impianto, tanto più se in edificio storico, ènecessario preparare disegni di progetto i quali devono esseredepositati presso la Soprintendenza competente in questocaso quella di Lecce. Se tali disegni sono stati effettivamenteconsegnati ed approvati dall'architetto incaricato di controllareil progetto di restauro si pone evidentemente un problema ge-nerale serio e non indifferente visto che il risultato finale apparemolto discutibile. Può dirci se questi disegni sono in Soprin-tendenza?3) Se tali elaborati grafici non sono stati presentati in Soprin-tendenza e quest'ultima è all'oscuro delle modalità con cui èstato realizzato l'impianto nasce un altro problema ovveroquello della vigilanza cui è tenuta la stessa Soprintendenzasugli interventi di restauro. Sono stati eseguiti controlli? E sesì perché non si è ancora rimediato a quella che sembra unascarsa attenzione storica degli “impiantisti” nell'eseguire i la-vori?4) Nell'ipotesi peggiore, ovvero quella che l'architetto della So-printendenza abbia approvato “questi impianti” oppure nonabbia vigilato mentre gli stessi venivano eseguiti in modo cosicome oggi si vedono, che certezza abbiamo che si non ripetalo stesso errore? Quali lavori di restauro questo architetto dellaSoprintendenza sta seguendo adesso?

La risposta del Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesag-gistici, architetto Francesco Canestrini: “Stiamo facendo i ne-cessari accertamenti su quanto autorizzato. In seguito adapposito urgente sopralluogo si chiariranno le questioni e siprenderanno le decisioni in merito”.

Tu... tu... tubiamo?Il Castello di Corigliano fra tubi e restauri

di Fabio A. Grasso

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0in agenda

1° maggio

Foto di Vincenzo Finamora Foto vincitrice della III edizionedel concorso fotografico“Uno scatto per il primo maggio”

Venerdì 1 maggio, a Mar-tano, località Kurumuny (in-gresso con tessera sociale5 euro) si terrà la "Festa delPrimo Maggio a Kurumuny"appuntamento tradizionale

organizzato dall'omonima casa editrice in col-laborazione con l’Associazione Ambrò e con ilpatrocino del Comune di Martano. La quattor-dicesima edizione è dedicata alla memoriadell’amico, collaboratore e operatore culturaleSergio Torsello, recentemente scomparso.Giornalista, saggista, appassionato studioso distoria locale, della cultura orale e delle tradi-zioni popolari con i suoi miti e riti sociali, reli-giosi e musicali, attento e scrupoloso avevasempre il polso della situazione culturale so-ciale e politica del Salento, con lo sguardosempre rivolto al panorama nazionale e inter-nazionale.Al Primo Maggio a Kurumuny si celebra il la-voro, che dovrebbe essere la festa di tutti per-ché “un uomo che vuol lavorare e non trovalavoro è forse lo spettacolo più triste che l’ine-guaglianza della fortuna possa offrire sullaterra” (T. Carlyle). Una lunga giornata che co-mincerà con le prime luci del mattino e prose-guirà fino al tramonto, tra musica, arte,solidarietà, libri, vino, pane e carne arrosto. Sindalla prima edizione, l’intento è stato quello dilegare la memoria a un avvenimento che pre-senta tutti i requisiti di una grande festa popo-lare per celebrare la fatica quotidiana deilavoratori. Festa del lavoro e dei lavoratori chenaturalmente si apre sino a comprendere iltema della multiculturalità, dei diritti dell'altro ela necessità della salvaguardia delle radici. Daqui sono passate migliaia di persone e centi-naia di musicisti, scrittori, danzatori e danza-trici, cantanti, intellettuali, politici e il premioNobel per la Pace Rigoberta Menchú.Il pranzo è autogestito dai singoli partecipantimentre l’organizzazione offre vino (finché cen'è) e pane e mette a disposizione di tutti bra-cieri per gli arrosti.Tra i partecipanti quest'anno il Circolo Mando-linistico di San Vito dei Normanni che si pro-pone di tutelare l’antica tradizione musicaledella terra di San Vito dei Nomanni (BR) attra-verso la reinterpretazione di brani popolari, conparticolare attenzione all’impiego del mando-lino e della chitarra; Melegari & i suoi compariun viaggio nella musica di tradizione orale delSalento, un omaggio alla memoria degli Ucci,personalità emblematiche del mondo popo-lare, testimoni e “alberi di canto” della culturacontadina. Si esibiranno con pizziche pizziche,“canzoni di festa”, stornelli, ballate, tarantelle,uno spettacolo frutto del rapporto personalecon i cantori e musicisti di Cutrofiano, oltrechédi un attento ascolto delle ricerche sul camporealizzate da Luigi Chiriatti; Antonio Marotta

napoletano, musicista, cantante e suonatoredi tammorra, ideatore di spettacoli di teatro-musica ispirati alle tradizioni popolari cam-pane, eseguirà un repertorio di canti di lotta edi lavoro della sua terra; La Rocha band natanella primavera del 2011 con l’idea di mettereinsieme diverse esperienze musicali, dal rockal punk, dal reggae alla patchanka, alla musicapopolare, cercando di avere rispetto nella me-scolanza dei diversi generi; dj set di RickyRock conduttore della trasmissione Borderò suZeroWebRadio che proporrà pezzi pop e rockdegli anni 70/80/90.Anche per questa edizione Kurumuny proponel’iniziativa “Il peso della cultura: libri al chilo”. Inoccasione della festa del Primo Maggio saràpossibile acquistare una sporta di libri al chilo.Il peso dei libri è il simbolo della certezza fisicae materiale del peso della conoscenza e del-l’informazione, perché chi legge ha una marciain più, perché leggere rende liberi, perché i libridiventino compagni irrinunciabili. Nel corso della giornata si terrà una piazza te-matica aperta sul tema del disseccamento ra-pido degli ulivi. Ci sarà inoltre un puntoinformativo con distribuzione di materiale sul-l’argomento. Sono previsti i contributi delle as-sociazioni maggiormente impegnate sul tema:Forum ambiente e salute, Forum terzo settore,Agricoltura è salute, Coordinamento salentinosalviAmo gli ulivi, Consulta ambiente csv Sa-lento, Lilt, Arci territoriale Lecce, Coordina-mento per il territorio di San Pietro Vernotico,SOS Costa Salento, Mujmunè, Nuova Messa-pia, reAzione Castrì, Comitato ambiente sanoVeglie, Casa dei popoli Copertino.La foto del manifesto è di Vincenzo Finamora,vincitore della terza edizione del concorso"Uno scatto per il Primo Maggio". La giuriacomposta da Andrea Morgante, Lorenzo Ma-daro e Luigi Chiriatti, ha premiato il fotografocon la seguente motivazione "Lo scatto di Vin-cenzo Finamora rivela una stretta connessionecon i linguaggi della comunicazione visivadella contemporaneità, in particolare la streetart rinunciando, con coraggio, alla retoricadella fotografia che racconta il lavoro attra-verso la fatica umana. Colpisce inoltre l’ironiacon cui l’autore ha scelto di rappresentare ilmondo del lavoro e i suoi paradossi e il tempi-smo felice dello scatto." Le immagini più significative dei partecipanti alconcorso sono raccolte nel booklet sfogliabilequi.Kurumuny si trova nelle campagne di Martano(seguire le indicazioni presso tutti gli ingressidel paese), nei pressi dell'uscita per Castri-gnano de' Greci sulla SS16 Lecce-Maglie.

Per maggiori informazioniUff. +39 0832 801528 - Mob. +39 329 9886391

www.kurumuny.it • [email protected]: Kurumuny

a Kurumuny

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spagine

Èesistenza e resistenza la narrazione. Si trattadell’atto più felice che l’individuo possa com-piere nei confronti di se stesso e della pro-pria comunità di appartenenza, un attodovuto anche quando ciò che s’intende nar-rare non sembra avere contorni allegri, tut-

tavia, se attribuiamo credito alla nozione cassireriana di uomoquale “animale simbolico”, il raccontare e il raccontarsi, collo-cando il proprio Io in un contesto spazio-temporale ben defi-nito, costituiscono linfa vitale che ci consente non soltanto diriesaminare il nostro passato, bensì anche di comprendere leradici del presente e di progettare i sogni del futuro, ma – comescriveva Agostino – il passato non è più e il futuro deve ancoravenire, dunque solo il presente esiste: esso ha un’entità, com’èinscritto nel participio praesens il cui suffisso prae- è seguitoproprio dal sostantivo ens la cui traduzione è univoca: “ciò cheè”. Ora, se il presente è ciò che immediatamente è, anche ilpassato può tornare all’essere e l’unica strategia per ottenerequesto passaggio è la narrazione, vero luogo di presentifica-zione del passato, benché – secondo quanto insegnato dallascuola psicoanalitica freudiana – il passato non sia mai dav-vero morto: esso dimora sovente nell’abisso dell’inconscio che,liberandosi a volte dalle strette maglie della censura, riesce aprovocarne l’emersione. Jung è, invece, del parere che non lacensura di per sé, bensì la nostra attenzione, rigorosamenteselettiva, lasci in ombra determinati contenuti associati a com-plessi profondi o a costellazioni archetipiche irrisolte. Uno psicoanalista alle prime armi interpreterebbe, forse, i rac-conti di Rocco Boccadamo come un tentativo di riscatto dallamodesta vita di provincia che l’Autore ha condotto fino al ter-mine dell’adolescenza, ma sbaglierebbe il nostro psicoanalistaa pensarla in questo modo, poiché ciò che a tutta prima appareun morso al freno del passato è esattamente il contrario. Boc-cadamo ricorda la sua infanzia e adolescenza trascorse nelpiccolo, modesto borgo di Marittima non per compiacersi deisuccessi professionali e sociali ottenuti in seguito, bensì ten-tando di proporre al lettore un quadro veridico della vita deipiccoli ceti e contadini e manifatturieri che, pur vivendo conpoco, riuscivano a esprimere costantemente la loro creativitàe la gioia di esserci (l’heideggeriano Dasein) di stare al mondo. C’era davvero poco allora per molti, ma prevaleva il senso dicomunità che rendeva il borgo una grande famiglia come l’Au-tore scrive chiaramente nel racconto dedicato a Valeria e An-gelo, una modesta coppia di lavoratori che, al pari dei vicini,lasciavano la porta di casa aperta quasi a voler accogliere l’al-tro nella piena osservanza del rituale di ospitalità vissuto nel-l’antica Grecia e infranto da Paride che rapì la stupenda Elenaper portarla a Troia. I riferimenti mitologici, per il racconto diAngelo e Valeria, sono d’obbligo: questa donna che non hapotuto concepire un figlio e ora cuce la dota per la prole dellealtre compaesane ha in sé, pur nell’estrema semplicità con la

quale è tratteggiato il personaggio, qualcosa di ancestrale cherichiama due figure mitologiche: Penelope, moglie del viaggia-tore Ulisse, e Lucrezia, moglie di Collatino. Penelope rappre-senta la figura dell’attesa e del rimpianto che non può trovareargine quando si vede improvvisamente costretta a sposareuno dei Proci; Lucrezia rappresenta, invece, la figura della di-gnità: questa donna, violentata brutalmente dal figlio di Tarqui-nio il Superbo, è costretta a darsi la morte, non prima di averdenunciato al marito la vergogna che ha dovuto patire. Attesae dignità, dunque, sono i tratti peculiari del carattere di Valeria,benché occorra precisare che anche gli uomini, nei racconti diBoccadamo, siano parimenti capaci di attendere per anni unfiglio disperso in guerra o di mantenere la dignità nonostantemanchino i soldi per ricomprare un paio di scarpe. L’estremacuriosità del titolo di questo libro – Compare, mi vendi unascarpa? – meritoriamente edito da Capone, non è semplice-mente un paradosso, un motto di spirito, ma la simbolizzazionedella necessità. La trama del racconto che dà il titolo al volumeè semplice, ben costruita, perché Boccadamo ha uno stile cheè, nel medesimo tempo, fluido e ricercato quanto basta pernon cadere in un linguaggio arcaico che toglierebbe vitalità allenarrazioni. Un contadino accompagna in treno fino a Napoli il figlio chedeve arruolarsi. A bordo del treno che lo ricondurrà a Lecce, ilpadre del ragazzo tenta, esausto, di prender sonno e si slacciale pesanti scarpe di cuoio che gli servono per il lavoro ed,eventualmente, per le rare volte in cui si concede una passeg-giata. È il suo unico paio di scarpe e può considerarsi fortu-nato, perché la maggior parte dei contadini cammina a piediscalzi. Al risveglio, ancora a bordo del treno, il contadino si ac-corge di avere una scarpa sola. L’altra gli è stata sottratta enon c’è modo di riaverla. Si reca, allora, al mercato sperandodi trovare chi sia disposto a vendergli una scarpa sola. Nes-suno intende spaiare le scarpe in vendita e il protagonista ri-mane per lungo tempo “monco” di una scarpa. Un racconto,uno squarcio di vita – giacché è questo l’atteggiamento lette-rario di Boccadamo: non una scrittura di lungo respiro, masquarci brevi e incisivi, non la novella ma il quadro che l’Autoreritocca con abili pennellate stilistiche – uno squarcio di vita, sidiceva, che suscita ilarità e tristezza insieme. Perdere unascarpa può apparire agli occhi di un lettore contemporaneouna situazione limite fra divertissement letterario e anticodramma satiresco. Boccadamo, però, racconta la verità: unaverità dolce e amara al tempo stesso. Se è dolce questo padreche accompagna il figlio fino a Napoli per salutarlo prima chesia arruolato, è struggente la descrizione di quest’uomo chechiede di poter comprare una scarpa sola, perché, probabil-mente, non ha i soldi per comprarne un paio. Eppure, vi è lie-vità nel racconto, spira una calma olimpica che scaccia ognipatetismo. Rocco Boccadamo sembra dirci: “Un tempo eracosì, ma non angustiatevi troppo, perché alla povertà materiale

La narrazione di Rocco Boccadamo

di Eliana Forcignanò

dal resistere all’esistere

Venerdì 3 maggio, alle 19.30, sarà presentato a Marittima, nella sede dell’Associazione Culturale “Arch. Saverio Nuzzo, al n° 34 di Piazza Principe Umberto, il libro "Compare, mi vendi una scarpa? - Luoghi, vicende e volti di un cantastorie salentino”

di Rocco Boccadamo edito da Capone. Interverranno la scrittrice Giuliana Coppola, lo storico Salvatore Coppola e la poetessa ElianaForcignanò. Nel corso dell’incontro tre giovani marittimesi Giulia, Chiara e Lorenzo daranno voce ad alcuni brani del libro.

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0

in agenda - ammirato culture house

odierna che insiste in forme più larvali e subdole, era preferibilequella del Secondo dopoguerra in cui la speranza di un cam-biamento era all’ordine del giorno”. Oggi non speriamo più: ilpanorama di macerie è costantemente sotto i nostri occhi. Dalì dobbiamo trarre la forza per ricostruire, ma quando?Chiudo il mio intervento con una nota di colore suggeritami dalracconto Un matinée al Santa Lucia: dietro i due adolescentiprotagonisti che marinano la scuola per rifugiarsi in questo ci-nema, da qualche anno, purtroppo dismesso, c’è tutto il pro-fumo dell’amore in tenera età: le attenzioni, la voglia diun’innocente trasgressione, la leggerezza che solo quell’etàvissuta in quella particolare temperie storica potevano garan-tire. E poi, Lecce – secondo il racconto di Boccadamo – era

una città diversa: il Santa Lucia è chiuso da non molti anni, maconfesso che, pur avendolo vissuto poco per ragioni anagrafi-che, ogni volta che mi accade d’incrociarlo sulla mia strada,percepisco una stretta al cuore. Quante estati sono trascorsee quanto rimpiango le proiezioni all’aperto, i cineforum, le ras-segne! Chiudono i cinema, le biblioteche, i teatri. Chiudono.Ecco perché raccontare è resistere alla piattezza di una vitache ci vorrebbe consumatori felici e ordinati o macchine daguerra dietro a un computer. Di fronte a quest’alienazione, dobbiamo trovare non una formadi sopravvivenza, ma di esistenza: io credo, con l’amico RoccoBoccadamo, di averla individuata nel racconto. E voi?

in agenda

La campagna contadina in una foto di Antonio Chiarello e la copertina del libro

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spagine della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0in agenda - A 100 gallery

Il progetto It’s all aboutpaper a cura di Lorenzo Ma-daro propone negli spazidella A100 Gallery, piazzaAlighieri 100, a Galatina - 2maggio al 30 settembre

2015 - un focus dedicato a opere realiz-zate su carta, o con l’ausilio della carta,da una serie di artisti italiani e stranieri direspiro internazionale.In mostra ppere di Carla Accardi, KengiroAzuma, Giuseppe Capitano, Eva Caridi,Nicola Carrino, Giacinto Cerone, DanieleD’Acquisto, Fernando De Filippi, MicheleGuido, Alina Kalczyńska, Bogumil Ksia-zek, Giancarlo Moscara, Hidetoshi Naga-sawa, Giuseppe Negro, ChristosPallantzas, Guido Strazza e Costas Va-rotsos.

Supporto apparentemente secondario,proprio per via delle sue caratteristicheintrinseche, è da sempre il materiale concui gli artisti hanno saputo esprimereidee e progetti, studi e riflessioni, instau-rando un contatto diretto tra concetto ri-flessivo e opera compiuta. Le opere degliartisti in mostra appartengono a generidecisamente differenti tra loro: si va dalconcettuale al minimalismo, dal rigoreassoluto del disegno al calore mediterra-neo della pittura; dalla tenue leggerezzadell’acquerello alla forza espressiva dimateriali eterocliti come rame e ferro,carbone e legno.All’interno di sezioni specifiche il pubblicopotrà orientarsi su fronti diversi, che in-cludono anche l’installazione site-specifice il libro d’artista, la scultura e il video: lin-

guaggi eterogenei che consentiranno alvisitatore di scoprire un mondo sfaccet-tato, ampio e denso di piacevoli sor-prese. Opere ormai storiche – concepitenegli anni Sessanta – saranno affiancatea progetti inediti, concepiti apposita-mente per questo progetto ideato e coor-dinato da A100 Gallery che ha deciso dipuntare su maestri consolidati e giovaniproposte. A100 Gallery pubblicherà pros-simamente un libro di Lorenzo Madaro,con testi di Nunzia Perrone e Andrea Ziz-zari, dedicato agli artisti protagonisti dellamostra.

(La mostra sarà visitabile tutti i giorni dalmartedì al venerdì dalle 18 alle 21 e suappuntamento).

Un’opera di Nicola Carrino

Le mani alla cartaUna mostra alla A100 Gallery dedicato a opere realizzate su carta o con l’ausilio della carta a cura di Lorenzo Madaro

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spagine

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri

esce la domenica a cura di Mauro Marinoè realizzato nella sede

di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Leccecome supplemento a L’Osservatore in Cammino

iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Leccen.4 del 28 gennaio 2014

Spagine è stampato in fotocopia digitale a cura di Luca Laudisa Studio Fotografico San Cesario di Lecce

Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia2015 Artigiana - La casa degli autori*SpagineFondo Verri Edizioni

DamageGoodcon blisterZine

Un laboratorio sul libro d’artista al Fondo Verri Si chiama Soaproof la sezione di Washing byWatching dedicata ai progetti editoriali indi-pendenti. La rassegna incentrata sul video ela fotografia contemporanea, a cura dell’as-sociazione DamageGood, ampia i confini te-matici con un laboratorio sul libro fotografico

e d’artista tenuto dai NastyNasty, videoartisti ed editori in-dipendenti sotto il nome di blisterZine. Il laboratorio si aprealle 15.30 di venerdì 8 maggio, presso il Fondo Verri diLecce. Con NastyNasty, Emiliano Biondelli e Valentina Venturi,sperimentano e ricercano attraverso vari media e linguaggi,dal video all’editoria indipendente con il nome di blisterZine,più che una casa editrice, un progetto editoriale, davverounico nel panorama del self publishing italiano. Dalla pro-mozione della fotografia all’arte contemporanea, blisterZinelavora sulla promozione e produzione editoriale creando unavera e propria collezione di “oggetti d’arte” formato libro,molti dei quali realizzati a mano, numerati e prodotti in tira-tura limitata. La loro pratica legata all’autoproduzione saràapprofondita nel corso della sessione Soaproof, novità diquest’anno legata a Washing by Watching. con il laboratorioincentrato sul libro fotografico e d’artista che i due autori ter-ranno al Fondo Verri di Lecce. Durante il workshop teorico-pratico, Biondelli e Venturi parleranno del libro fotografico edel libro d’artista, mettendo in luce storia, differenze e puntiin comune. La loro disamina prenderà in esame artisti e re-altà editoriali eccellenti e di ricerca come Karma e MackBooks, senza sorvolare il settore main stream. Il laboratoriosarà anche occasione per entrare nel vivo del progetto libro,discutendo di finalità, scelta della struttura e ottimizzazionedel messaggio. In questa fase, i partecipanti sono infatti in-vitati a presentare i propri dummies (maquette), o progettieditoriali in forma di prototipo, per discutere insieme al duodi formati e taglio editoriale. Gli iscritti possono presentare ilmateriale sia in formato digitale che analogico. Il laboratorio, che avrà inizio alle 15.30 e durerà sino alle 20,sarà ospitato all’interno del Fondo Verri, associazione cul-turale da oltre trent’anni attiva nell’ambito dell’autoprodu-zione e della diffusione del libro d’artista, con attività comeil “Gran bazar dell’editoria”, Presidio del Libro, fondo lette-rario e “resistente” realtà culturale, in Santa Maria del Para-diso a Lecce.

Per partecipare al workshop l’iscrizione è obbligatoria.Posti limitati. Per informazioni e prenotazioni:

[email protected];oppure contattare il numero +39 3204567267.

Il laboratorio anticipa di qualche giorno l’incontro nella la-vanderia Jefferson di Lecce, dove l’appuntamento con i Na-styNasty è previsto per domenica 10, sempre alle 19. Inquesta location d’eccezione, lo screening riguarderà sia laloro produzione fotografica sia video, per approfondireanche metodi e pratiche messe in campo dal duo sul ver-sante della produzione artistica.

della domenica n°72 - 26 aprile 2015 - anno 3 n.0in agenda

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spaginearte

Massimo Pasca (Nardò - Lecce,1974) è pittore, illustra-tore, live painter tra i più attivi in Italia. Negli anni si è do-tato di uno stile in bilico tra pop art e fumetto, dal fortesapore surrealista che lo ha portato ad esporre in Italiae all’estero realizzando numerose performance di pitturadal vivo durante i concerti di gruppi come, Negrita, Martasui Tubi, Le luci della centrale elettrica, Joy Cut, Esque-lito, Andrea Mi, Finaz (Bandabardò). Tra i luoghi nei quali ha performato ci sono Il Macro diRoma, Mandela forum di Firenze ,Piper Club, Il Circolodegli artisti, il MAT, Link di Bologna, il Museo dell’Alto Ta-voliere di San Severo. Ha collaborato con i Negrita, rea-lizzando le illustrazioni del cd ”Helldorado” ed illustra perriviste come Il Mucchio, Collettivo Mensa, Todo Maga-zine, Lungarno, e l’etichetta discografica Alfa Romero ela marca d’abbigliamento Merry Autumn. Nel maggio 2011 la marca di borse di dischi Proel glicommissiona la decorazione di dieci borse per i miglioriDj’s europei di musica da club. Tra le ultime esposizionidi rilievo nel 2011 espone a Otranto nella mostra di Sal-vator Dali’dove in una area del Castello Aragoneseespone più di venti lavori di grandi dimensioni. Nel mesedi Ottobre 2012 esce il libro “ Keith Haring a Pisa” Cro-naca di un murales, per le edizioni ETS, nel libro ci sonoquattro pagine di intervista a Massimo Pasca conside-rato uno degli eredi del segno del pittore americano.Per maggiori info: www.massimopasca.it

Quando il segno suonaAlla Nero Gallery di Roma la personale di Massimo Pasca

della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0

La Nero Gallery di Roma ospita, dal 2 al 23 maggio2015, Over The Pop prima personale capitolina diMassimo Pasca. Over the Pop, curata da GiuseppeAmedeo Arnesano, è un’idea che racconta l’interes-sante ricerca condotta dal pittore pugliese per oltreventi anni di attività artistica.

La pittura di Massimo Pasca, che vive anche nel rinnovamento coltodel segno di Keith Haring, si esprime attraverso una singolare rappre-sentazione iconica fortemente Pop e impegnata. Over the Pop racco-glie una ragionata ed aggiornata selezione delle opere pittoriche eillustrative riunite nello spazio della giovane e intraprendente galleriadi Pigneto. Nel 2012 per le edizioni EST viene pubblicato il libro “Keith Haring aPisa”, Cronaca di un murales (introduzione di Omar Calabrese e inter-vista di Carlo Venturini) nel quale, dopo una lunga intervista dedicataa Massimo Pasca, il pittore salentino è considerato uno dei prosecutoristilistici del segno dell’artista americano. Le sperimentazioni di Pasca, vissute in maniera totale dalla musica allapittura, con l’esperienza decennale dei Working Vibes, le numerosecollaborazioni con i Negrità, (per i quali illustra l’album Helldorado) efino alle centinaia di live painting in tutta Italia, (dal Macro di Roma alFestival della Creatività di Firenze, passando per i maggiori club ita-liani), lo caratterizzano come uno dei protagonista più attivi della scenalive nazionale.Proprio in occasione Over the Pop Massimo Pasca, come un maestrodi cerimonie, si esibirà in uno “Spoken word”, una performance ritmicache coniuga il dub, la parola e la poesia.