Rivista Incontri - Mese Di Febbraio 2013

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Fondato nel 1948 Sped. in abb. postale comma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P. NOSTALGIA DI PRIMAVERA FATEMI VEDERE I CAVALLI LETTERA DI UNA MADRE INDIA: 55-1-13 Anno 65° n. 2 marzo 2013 Benedici Signore Signore, ancora per un anno dammi la tua benedizione e abbi pazienza con me. Benedici le mie mani che sappiano accarezzare. Benedici i miei occhi perché guardino per vedere. Benedici le mie orecchie perché siano sempre aperte per chi ha bisogno. Signore benedici la mia bocca perché parli sempre a difesa dei poveri. Signore benedici il mio cuore che sia generoso nel perdonare. Benedicimi o Signore perché tu possa disporre di me con tutto quello che ho e con tutto quello che da te ho ricevuto. Le campane della Pasqua, che suonano a festa, portino gioia e speranza NOSTALGIA DI PRIMAVERA FATEMI VEDERE I CAVALLI LETTERA DI UNA MADRE INDIA: 55-1-13

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Rivista Incontri - Mese Di Febbraio 2013

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Fondato nel 1948Sped. in abb. postalecomma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P.

NOSTALGIA DI PRIMAVERAFATEMI VEDERE I CAVALLILETTERA DI UNA MADRE

INDIA: 55-1-13

Anno 65° n. 2 marzo 2013

Benedici SignoreSignore, ancora per un anno dammi la tua benedizione e abbi pazienza con me.Benedici le mie mani che sappiano accarezzare.Benedici i miei occhi perché guardino per vedere.Benedici le mie orecchie perché siano sempre aperte per chi ha bisogno.Signore benedici la mia bocca perché parli sempre a difesa dei poveri.Signore benedici il mio cuore che sia generoso nel perdonare.Benedicimi o Signore perché tu possa disporre di me con tutto quello che ho e con tutto quello che da te ho ricevuto.

Le campane della Pasqua,che suonano a festa,portino gioiae speranza

NOSTALGIA DI PRIMAVERAFATEMI VEDERE I CAVALLILETTERA DI UNA MADRE

INDIA: 55-1-13

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Periodico della Famiglia Cottolenghina e degli ex Allievi e Amici della Piccola Casa

n. 2 marzo 2013Periodico quadrimestraleSped. in abb. postaleComma 20 lett. C art. 2 Legge 662/96 Reg. Trib. Torino n. 2202 del 19/11/71

Indirizzo: Via Cottolengo 1410152 Torino - Tel. 011 52.25.111C.C. post. N. 19331107

Direzione IncontriCottolengo Torino

Direttore OnorarioDon Carlo Carlevaris

Direttore responsabileDon Roberto Provera

AmministrazioneAvv. Dante Notaristefano

Segreteria di redazionenuovo indirizzo [email protected]

RedazioneSalvatore AcquasMario Carissoni

Collaboratori

Mauro CarossoFr. Beppe GaidoNadia Monari

Progetto grafico

Salvatore Acquas

Stampa

Tipografia Gravinese Corso Vigevano 46 - TorinoTel. 011 28.07.88

La Redazione ringrazia gli autoridegli articoli, particolarmente quelliche non è riuscita a contattare.

SommarioIl punto 3Don Roberto Provera

Via crucis 4-5Redazione

Una pazza idea a Manta, Ecuador! 6-7Alberto e Marco

Nostalgia di Primavera 8-9Mario Carissoni

Fatemi vedere i cavalli 10-11Dario Maurizio

L’amore di Cristo ci sprona 12-13Luca e Matteo

Come un avvoltoio sulla preda 14-17 Fr. Beppe Gaido

Notizie dai fratelli 18-19Padre Lino Piano - Fr. Maurizio - I fratelli di Tachina

India: 55-1-13 20-23Don Roberto Provera

Le tre case 24-25 P. Bartolomeo Milone

Lettera di un madre al figlio disabile 26-27Redazione

Una mensa sfama trenta poveri che vivono in città 28-29Mauro Torselli

La visita del Ministro alla scuola Cottolengo 30Redazione

La festa della famiglia 31 Avv. Dante Notaristefano

Benedici Signore 32 Redazione

Incontri è consultabile su:www.cottolengo.org entrate a cuore aperto

http://chaariahospital.blogspot.com/Questa rivista è ad uso interno della Piccola Casa Cottolengo

Insieme... è bello... è possibile

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il puntodi Don Roberto Provera

Cari Amici, permettetemi una confidenza personale: a me la matematica piace,benché i miei meccanismi intellettuali, data l’età, siano un po’ logori; ma nontemo di ammettere, e lo faccio con assoluta sicurezza, che odio un’operazione: la

divisione.Ovviamente qui non è in gioco l’aritmetica, ma il Diavolo, parola greca che significail Divisore, colui che separa ciò che è unito e poi getta i brandelli di qua e di là.Sì, la divisione è diabolica, non divina.Qualunque divisione. Politica (tanti partiti quante teste), economica (innumerevoliteorie, proposte, misure), internazionale, ecclesiale, intracomunitaria (anche nellecomunità religiose).Qual è la radice della divisione? L’egoismo, l’egocentrismo e tutti gli altri ego.Dove conduce la divisione? Alla rovina. “Nessuna città o famiglia divisa in se stessapotrà restare in piedi” (Mt 12,25).Esistono rimedi? Umani no, divini sì. Lui, Gesù, il Signore, ha abbattuto il muro di

separazione che divideva, ha fatto ditanti una cosa sola, un solo corpo. Ciò significa che superare la divisione èpossibile. Grazie a Lui e con Lui siamoresi capaci di passare dall’io al noi, da unpiccolo noi a un grande noi.La salvezza degli individui e delle istitu-zioni a qualunque li vello non sta nelladivisione, ma nell’unità, nella comunione. Crediamoci. E impegniamoci con tutte le no stre forzeper essere artefici di pace, di unità, dicomunione.Buona Pasqua a tutti voi, care Amiche ecari Amici.

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Ho fatto la Via Crucis ma il mio animoè inquieto; è lo stesso verbo che housato “fare” la Via Crucis ad apparir-

mi in tutta la sua improprietà. Fare la ViaCrucis? No, non è possibile… c’è qual-cun altro che ha fatto e fa ogni giorno pernoi la Via Crucis. Allora, quale verbousare? Forse il verbo “partecipare”,oppure “seguire” la Via Crucis? Vengo scosso dalla grande ipocrisia concui viviamo le nostre pratiche religiose,dall’indifferenza, dalla partecipazione

puramente emotiva. Davanti a noi la più grande tragedia della storia dell’umanità… è il Dio Uomo cheè processato, condannato, ucciso… e il mesto corteo che porta al Calvario non va seguito stando affac-ciati alla finestra; è necessario essere lì sulla strada, confondendosi tra i personaggi presen ti. Per sonag-gi di un dramma cui non possiamo restare indifferenti perché l’Uomo portato a morire sulla Croce saràil Risorto che ci donerà la salvezza. Confonderci tra la folla rendendoci con to di quanto in ognuno deiprotagonisti di quel dramma si ritrovino i nostri comportamenti, il nostro modo di vedere le cose, ilnostro essere. È in noi Pilato, e noi, con i nostri continui dubbi, è in Pilato che continua a chiedere aGesù: “Tu sei Re?”. E nella sua e nostra incapacità di scelte coraggiose si lavò e si lava le mani… Sonoanche tra la folla che, di fronte al bivio, urla un “Barabba libero!”, scegliendo la logica del mondo e nonquella dell’Amore. Quanti soldati ieri ed oggi continuano a flagellare Gesù, a mettergli la corona di spine, aderiderlo… Massacri, infamie, stupri sono sotto i nostri occhi. Eppure anche allora vi era una folla silen-ziosa che non interveniva. Quel giorno, maledetto e benedetto, qualcuno caricò del la Croce la vittimainnocente… quel Gesù che non disdegnò di cadere ben tre volte per dimostrare agli uomini che ancheun Dio, nella Sua umanità, può cadere sotto il peso della sofferenza.

Mi rivedo, rabbrividendo, nel gesto di appoggiarela croce sulle spalle di qualcuno più debole, unacroce che oggi può assumere molte forme… ma,perché tremiamo al pensiero di appoggiare lacroce sulle spalle di Gesù e contemporaneamen-te la scarichiamo sulle spalle del fratello? LaMamma, silenziosa anche nella sofferenza piùgrande, si avvicina ad accarezzare il volto delFiglio… la stessa Santa carezza della povera infeli-ce verso il figlio moribondo per fame, freddo oviolenza. Un uomo, il Cireneo, si carica sulle spal-le la Croce per alleggerirne il peso a Gesù… evedo le folle di profughi terrorizzati, affannati chebussano alle nostre porte. E tu, Simone di Cirene,dove sei? Immagino di prendere la Tua Croce esento tutto il suo peso; eppure è la “Tua” Croce,non la mia. Io la porto solo per un breve tratto distrada eppure anche solo per questo breve trattosento il tanfo di morte che è com pagna di tantidiseredati; forse questo breve aiuto giustificherà ilben più mio durevole benessere, la mia agiatezza,la mia sa lu te? Simone tu sei tra i tanti volontariche sono là a dare una mano… Tra la folla avanzauna donna, la Veronica, che offre un sollievosenza speranza asciugando il volto di Gesù…sudore, lacrime e sangue lasceranno un’improntaindelebile del Volto Santo, dono immenso,ricompensa di un atto di amore. E le mani dellaVeronica possono essere le nostre mani , il suotelo il nostro cuore, quando ci accostiamo agliammalati senza speranza cui possiamo offriresolo il calore di una mano o il conforto di unapreghiera sussurrata insie me. Nel nostro cuorerimarrà l’impronta del volto di Gesù. VedoGesù che è spogliato delle vesti e rifiuto diimmedesimarmi nell’atto di farlo ma riaffioranoalla mente le immagini di folle di uomini edonne derubati di tutto, anche della di -gnità… Gesù inchiodato sulla Croce… commer-cio di organi, fosse comuni… Ormai Gesù haiscelto di morire, noi abbiamo fatto la nostraparte, tutto quanto hai detto stando lì in altosulla Croce sono parole e atti di un Dio. Tumuori in croce e questo non voglio accettarloperché so bene chi ti ha condannato, chi ti ha

frustato, chi ti ha inchiodato sul legno. Allorafurono in pochi ma oggi sono in molti a volertiseppellire, in molti cerchiamo di rotolare la gros-sa pietra sul sepolcro. Sei scomodo perché ilTuo messaggio è scomodo, perché guardarti incroce ci riporta al nostro modo di vivere. Eppureho visto come oggi possiamo svolgere il nostroruolo avendo come riferimento sempre e soloTe. Ho capito che il messaggio che proviene dallaVia della Croce non è un messaggio di condannaper i nostri errori ma bensì un’incitazione versoquell’Amore di cui la Tua Croce è la bandiera. Tu, morendo come Uomo, ci hai donato comemamma la Tua Mamma, hai perdonato i ladro-ni ed i tuoi carnefici e dall’alto della Croceproiet ti su di noi la luce della Resurrezione. Ciguida a guardare verso l’Alto e noi , come il cen-turione, possiamo solo dire: “Quest’Uomo èveramente il Figlio di Dio!”

ViaCrucisSei scomodo perché

il Tuo messaggio è scomodo,

perché guardarti in croce

ci riporta al nostro modo

di vivere.

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spiritualità

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Un’idea quella di Suor Mary in Manta.Un’idea martellante, che con un grande“salto” di fede e l’aiuto della Provvidenza è

diventata realtà: una Fondazione sanitaria inuno dei barrios più poveri di Manta, “LosGeranios”. Guardate le case: poco più chebaracche, qualcuna con un muro, tutte con untetto di lamiera, la maggior parte delle famiglieche vive in condizioni di estrema povertà. Proprio pensando a queste famiglie, ai loroanziani e ai malati che non hanno possibilità dicurarsi, gli ultimi tra gli ultimi, Suor Mary, conl’aiuto delle altre Suore della missione (SuorVenus e Suor Donata) hanno creato questo“miracolo” di Provvidenza. Suor Mary è un’in-fermiera, l’unica infermiera della Fondazione,che si è improvvisata “tuttofare” in una struttu-ra complessa e completa, che ospita circa 50 tramalati terminali e anziani indigenti. Un solomedico: il dottor Cristhian, giovane e molto bril-lante, che presta anch’egli servizio nellaFondazione come medico tuttofare, gestendoanche situazioni di emergenza: è proprio questolo scenario che noi, Marco e Alberto, volontari

trattenere, ma ancora una volta traspare la con-sapevolezza che essi, almeno, hanno riconqui-stato la dignità di esseri umani.Aveva ragione, Suor Mary, in quella sua“pazza” idea, che giorno per giorno, anche tramille difficoltà, prende forma, vive e cresce!Aveva ragione, e noi volontari ne siamo testimo-ni oculari: una testimonianza che non possiamotenere per noi, una testimonianza, speriamo“con tagiosa”, di coraggio, di amore per ilSignore declinato nella cura della vita e dellapersona umana, perché “il Signore non dimen-tica nulla di ciò che è fatto nella persona deipoveri” (San G.B. Cottolengo).

cottolenghini in missione, abbiamo trovato arri-vando qui a Manta in quel 19 Novembre.Entriamo in quella che sembra un’oasi nel deser-to (è questa l’impressione che si ha arrivando a“Los Geranios”) e siamo immediatamente cata-pultati in mezzo a un’emergenza medica: Marco,assistente sanitario, si mette subito a disposizionedel dottore per aiutarlo a curare una signora conun grave edema polmonare, preparandola perun elettrocardiogramma ... eh sì, anche questa èun’emergenza qui, perché la maggior parte delpersonale è composto di figure equiparabili allenostre OSS, senza una competenza infermieristi-ca specifica, e Suor Mary fa quello che può, inca-strando le sue molteplici attività ... Qui la Provvidenza dà sempre una mano, e uti-lizzando i suoi semi si ottengono sempre buonifrutti: tanti aiuti da benefattori di ogni dove,molti dall’Italia, altri dalla popolazione localeche comunque è molto sensibile a queste opere.Ad esempio, ci racconta Suor Mary, il capanno-ne delle attività ricreative per i pazienti, intera-mente finanziato da una famiglia del posto conun lascito, è stato costruito in tempi brevissimi

Una “pazza”

idea

a Manta, Ecuador

Una“pazza”

idea

testimonianze

di Alberto e Marco (volontari del Cottolengo di Manta, Ecuador)

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(circa tre mesi) anche grazie all’in-tervento volontario di architetti eingegneri che hanno permesso dicontenere i costi di realizzazione,altrimenti proibitivi. Ancora unavolta, le persone giuste al momen-to giusto!Quante volte la parola “provvi-denza” è stata pronunciata equante volte qui, in quest’angolodi terra dimenticato, essa si realiz-za nelle sue opere: assistenza aimalati, certo, ma anche lavoro perla gente del luogo, la possibilitàper loro di crescere anche comepersone, maturare un rapportocon i malati che inevitabilmente “condiziona”,in senso positivo, la vita quotidiana nelle lorofamiglie. Un’opera missionaria a 360 gradi, che coinvol-ge gli aspetti sanitari, umani e cristiani: cammi-nando per i padiglioni della Fondazione (dovenon manca una cappella per pregare e per lamessa del giovedì) s’incontra la serenità sul voltodi persone che ora non si sentono più sole,uomini e donne (finalmente! Senza alcun’altraetichetta) che si illuminano quando ricevono iltuo buenos dias!, regalandoti sorrisi disarmanti. Certo, c’è anche tanta sofferenza nelle cameredei malati terminali, le lacrime non si riescono a

a Manta, Ecuador

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Una pioggerellina, fine e delicata, pian pianoha sciolto le poche tracce rimaste dell’ulti-ma neve che l’inverno ci ha donato; genna-

io è passato, poi febbraio scorre via rapido, eccomarzo e nell’aria i primi segni di primavera.Giornate con più ore di luce, aria tiepida,azzurro e festa in cielo, risveglio nella natura ein tutti, il desiderio di scuotersi, respirare a pienipolmoni l’aria fresca e stimolante di giornateinebrianti. Voglia di andare, di cercare una ven-tata di libertà, di mettersi quasi in competizionecon uccelli che volano felici. Giorni in cui desi-deri fuggire dalla città, perché qui vedi la natu-ra mortificata, ben che ti vada trovi erbe deltipo coraggioso, che si accontentano di un semeportato dal vento, di qualche granello di terra,che va a posarsi tra intonaci scrostati o negliinterstizi dei muri e rivendicando il loro dirittoalla vita, germinano piccoli poveri fiori, che

nessuno mai degnerà di uno sguardo generoso. Allora via, verso le belle colline di cui tantoricco è il Piemonte; ma non nei luoghi osannatiormai un po’ in tutto il mondo dai cultori delbuon vino e della buona tavola, ma là dove lavita agreste sta spegnendosi pian piano, inghiot-tita dalla voracità dei nemici di una natura sem-plice e rispettata. Ci arrampichiamo per sentie-ri sassosi, calpestando tracce lasciate dal passag-gio di carri agricoli e da vecchi scassati trattori;felici, pieni di ansiosa curiosità, sussultando aogni piccolo fruscio, provocato da piccole inno-centi lucertole, che sbucano tra le erbette appe-na spuntate, per andarsi a crogiolare nel teporedei primi raggi di sole, che filtra tra un ramo el’altro di alberi, che si stanno vestendo delprimo verde: pruni, cespugli di more, robinie,ciliegi selvatici; un tesoro di ricchezza naturale!Parallelamente al sentiero, scorre un piccolo rio,

che sta smaltendo l’acqua dell’ultima neve espo-sta al sole; lungo i suoi margini, la dove il mantoverde ha coperto la terra, ecco che d’improvvisoappaiono macchie gialle di sorridenti primule;più nascoste e meno esposte ecco le violette,delicate, profumo accattivante e malizioso; diffi-cilmente sfuggiranno alle seppur delicate mani-ne di vezzose fanciulle, che ne faranno mazzetti,da serbare con cura, per le mamme, o per posar-li nelle mani dell’amato per dare vita ad unprimo piccolo anello, di una catena che li uniràper tutta la vita. Proseguiamo pian piano e arriviamo dinanzivecchie mura che circondano e proteggono unavecchia tenuta. Dietro un cancello arrugginito, s’intravedonouna vetusta villa e poco più lontani dei cascina-li, apparentemente abbandonati, protetti dasgangherati in parte imponenti portoni di legnoche portano i segni del tempo. Osiamo entrare eimprovvisamente ci appaiono dei tesori: giardiniluminosi, orti, fazzoletti di terra, protetti da stec-cati e muriccioli per separarne le proprietà, chenascondono sotto la terra ben curata, essenzerigogliose in attesa di esplodere in tutta la lororicchezza, così da soddisfare le necessità alimen-tari degli abitanti e sempre più sovente, anchequelle di chi ha lasciato la casa paterna, attrattodalla città. In questi recinti antichi, ci sono ben protetti deigerani, i fiori dei poveri, in vasi di terracotta e invecchie scatole di conserva, allineati lungo muridove il glicine è in attesa di fioritura.Proseguendo oltre la tenuta, c’è quanto rimanedi un vecchio glorioso bosco; il suolo è ormaiinvaso dalle graminacee, cespugli di biancospinoche hanno appena accennato alla fioritura,qualche lauro ceraso, caprifoglio e tanta edera,che cerca sopravvivenza arrampicandosi lungo itronchi di alberi già in parte rinsecchiti, perdecretarne la fine. Non c’è solitudine o tristezza, tutto è pieno divita, senti animali che si rincorrono tra i cespu-gli, uccelli che passano cinguettando da un

ramo all’altro, il soffio di un venticello che godedella sua libertà, tutto il respiro della creazioneantica. Proseguendo, arriviamo di fronte ad unapiccola edicola, sberciata ma con la sua cornicemuraria ben dipinta, bianca e azzurra e dentro,una piccola statuetta della Vergine di Fatima. Ci fermiamo e a bassa voce, in questa pacemeravigliosa, diamo inizio alla recita del Ro -sario; scorrono le Ave Maria e raggiungono ilpiccolo rio lasciato a valle, che se ne fa tesoro ele porterà verso spazi dell’infinito. Intanto arrivano due giovani, con loro le violet-te appena raccolte, nelle mani del giovane chele aveva ricevute. Si fermano e si guardanonegli occhi con incantevole purezza; si eranoappena donati il loro primo anello e fatta unaprima silenziosa promessa; ma non hanno dub -bi, stendono le loro giovani mani verso l’edico-la e le violette si posano ai piedi della Ma -donnina che li guarda sorridente. Donerà loro anelli ben più profumati e preziosi,li serberà nel suo cuore!

spiritualità

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Nostalgia diPrimaveraTorniamo felici, il mondo rinasce ed è sempre più bello, si rinnova e tutto quello che contiene, trova sempre nuova vita!

di Mario Carissoni

Nostalgia diPrimavera

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Dopo più di vent’anni di servizio in diversiambiti della Piccola Casa mi capita, neimiei momenti di riflessione “consuntiva”,

di sentirmi anche un po’ orgoglioso di apparte-nere in qualche modo, alla meravigliosa realtàCottolenghina.In questa piccola città nella città, dove il verbo“amare” viene coniugato in ogni manifestazio-ne possibile che esprima dedizione, servizio,sacrificio, fatica, e tanta, tanta dolcezza versotutti i Figli di un Santo che ha saputo precorre-re in maniera originale e carismatica, la stradadella carità e della promozione umana.Tuttavia, sembra impossibile ancora nei giorninostri, non mancano a volte ragioni di stuporequando dialogando con occasionali interlocuto-ri ai quali riferisco, con malcelata fierezza, delmio servizio di volontariato “nel Cottolengo”,di suscitare meraviglia condita da curiosi atteg-giamenti di ritrosia.“Come, al Cottolengo?” e poi di seguito: “Che

bravo, io non me la sentirei, sei coraggioso!” evia di queste affermazioni insolite. Quando chiedo ragioni di tale stupore, ottengoper risposta una sorta di pantomima con laquale cercano di fare “la domanda”; la voce siabbassa per il falso pudore e dopo un leggerobalbettio: “Ma è vero che al Cottolengo ci sonoancora quelli… ma sì, quelli… brutti… sa, quel-li un poco… come dire… anormali… un po’persone e un po’… come dire… animali…magari con teste piccole o enormi… magari unpo’ “da cavallo”… ecco che l’hanno detta, “ladomanda”.Ho provato a valutare con sufficiente carità lepersone da cui provengono i “drammatici” in -terrogativi: spesso rappresentanti di un cetomedio che dovrebbe esprimere un sufficientelivello di cultura e di informazione. Dopo un primo istante durante il quale devoreprimere sentimenti non del tutto pacifici versol’interlocutore, mi controllo e rispondo che sì,

certo che ci sono e che anzi, il mio servizio èproprio quello di preoccuparmi che non man-chino mai biada, fieno e paglia per l’alimenta-zione e per la pulizia delle “stalle” .Mi accorgo dal cambiamento di faccia, di averprovocato controversi stati d’animo: prima lostupore verso la quasi conferma dell’esistenzadegli “innominabili”, poi si fa’ strada la convin-zione che li sto prendendo, un po’ tanto, in giro,malgrado abbia cercatodi rispondere loro il piùseriamente possibile.Anzi, per rincarare ladose, con un po’ di cini-smo calato sul disagiodella poveretta (sì, per-ché il più delle voltesono donne) la informoche da qualche tempo sidiscute di mettere “fuo -ri” dalla Piccola Ca sa,una più esauriente car-tella tipo “piccola fatto-ria del Cottolengo”(fuori, ho detto, pensan-do tra me e me, perché

si sappia dove si trovano glianimali)…A questo punto capisco cheil gioco, non voluto ma pro-vocato dall’incredibile igno-ranza che impedisce alleleggende metropolitane dimorire dignitosamente, èstato sufficiente per far capi-re l’assurdità di tale mentali-tà che rimane poveramenteattaccata ai pregiudizi, e ai“si dice” e quasi alle paureche nel tempo passato (?)hanno caratterizzato ”ilCottolengo”, come “luo godove ci vuole coraggio aentrare”, dove basta dire“cottolengo” per divulgare

tutto il peggiore possibile della condizioneumana.Recuperato il dialogo corretto e più caritatevole,cerco di far capire che è proprio vero, che perentrare come si deve, al Cottolengo, ci vuolecoraggio, sì ma “dell’Amore”.

Le porte sono aperte, chi ha il coraggio venga,ma senza “sella” sulla testa: condivideremo labiada della fraternità e l’erba della speranza…!

Fatemivederei cavalli

Il coraggio dell’Amore

di Dario Maurizio

testimonianze

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testimonianze

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Charitas Crhisti urget nos (L’amore diCristo ci sprona), 2 Cor. 5,14. Questa è lafrase che ha accompagnato noi, seminari-

sti di prima e seconda teologia, nella nostraesperienza alla Piccola Casa della DivinaProv videnza di Torino, conosciuta dai più conil nome di Cottolengo. Per dieci intensi giorni,dal 4 al 14 settembre, con il nostro vicediretto-re don Gianbattista, abbiamo condiviso pre-ghiera e servizio con i volontari (tra cui unaltro gruppo di seminaristi) e le suore presentinella struttura. Una delle cose che più colpiscono coloro chearrivano al Cottolengo è la campana, chescandisce con i suoi rintocchi ogni quartod’ora della giornata (iniziando dalle cinque delmattino) e ogni ora intona il Te Deum perricordare che ogni momento del giorno èdono del Signore e guidato dalla SuaProvvidenza. E anche noi elevavamo come le

note delle campane, la nostra lode a Cristo,affidandogli la nostra giornata di mattino eriponendo nella Sue mani il nostro vissuto nellapreghiera serale. Proprio nella preghiera, io,Luca (seminarista in teologia) ho vissuto inmodo profondo e autentico un aspetto dellavita del cristiano: la Carità, il servizio caritate-vole non mi ha distratto dalla preghiera, anzi èstata proprio la preghiera a darmi ogni giornola forza di vivere appieno il servizio senzarisparmiarmi, ma donando tutte me stesso. Lapreghiera è stata un elemento fondamentale diquesta esperienza che mi ha accompagnatodall’inizio alla fine.“Ogni volta che avete fatto queste cose a unosolo di questi miei fratelli più piccoli, l’avetefatto a me”. (Mt.25,40) Sono state queste paro-le che mi hanno accompagnato durante tutto ilperiodo di servizio vissuto presso la PiccolaCasa, e proprio con questa consapevolezza ho

cercato di farmi il più possibile strumentonelle mani del Signore, affinché potessi diven-tare testimone vivo del suo grande amore; piùio cercavo di essere testimone vivo,più il Signore parlava al mio cuoreattraverso le persone affidatemi. Mi è difficile (quasi impossibile) espri-mere quanto lo sguardo di personeche non parlano e spesso non vedonomi ha dato e trasmesso. Il servizio richiestoci non comportavauna formazione infermieristica, piut-tosto una grande umanità, c’era chie-sto di far compagnia ai malati, aiutar-li a mangiare e animare un po’ le lorogiornate rendendole più allegre. Stare con loro, un piccolo servizio chevissuto con fede e amore suscita gran-de gioia in tutti, sia chi riceve questeattenzioni, sia chi le offre. Si arrivavaa sera distrutti, ma io provavo una

L’amoredi Cristoci sprona

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di Luca e Matteo

Il mettersi al servizio dell’ultimo, del malato, di chida solo non può nulla, come ha fatto Gesù, miha aperto gli occhi e mi ha dato nuova forza edentusiasmo per continuare il mio personale cam-mino di conversione e di abban dono nelle suemani paterne.

grande gioia e un forte entusia-smo ad impegnarmi sempre dipiù, a mettere nelle mani delSignore la giornata successiva, adonare tutto il mio tempo a quel-le persone alle quali mi ero affe-zionato e nel volto delle qualivedevo il volto di Cristo soffe -rente.L’esperienza presso la Piccolacasa della Divina Provvidenza vis-suta quest’estate mi ha scosso dal-l’interno, la sua intensità ha susci-tato in me molte domande sullavita e sul mio modo di vivere que-sto grande dono che Dio ci hafatto, inoltre ha rafforzato in mela fede e lo spirito di dedizione. Il mettersi al servizio dell’ultimo,del malato, di chi da solo non puònulla, come ha fatto Gesù, mi haaperto gli occhi e mi ha dato

nuova forza ed entusiasmo per continuare ilmio personale cammino di conversione e diabbandono nelle sue mani paterne.

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accompagnatrice. Al piccolo non posso direniente, perché non è in grado neppure di capiredove si trova. Penso tra me e me: non è che nonlo vogliamo ricoverare dai Buoni figli, ma civuole anche un po’ di protocollo. Se ora bastaabbandonare un handicappato in ospedale per-ché automaticamente passi poi nel gruppo deinostri deboli mentali, sono davvero fregati: nonbisogna assolutamente creare dei precedenti,altrimenti in un mese ci riempiamo fin sopra itetti. M’inerpico su per il sentiero facendo unafatica immane. Mi tornano alla mente momentidella mia gioventù, quando, zaino in spalla, sca-lavo il Monviso o il Chaberton... allora mi pesa-va di meno; ora ho il fiatone e le gambe mi tre-mano. Alla mia destra la collina continua a sali-re, tra macchie di boscaglia, campi coltivati emodeste abitazioni di legno con il tetto in lamie-ra. Alla mia sinistra c’è un dirupo appena crea-to dalle recenti precipitazioni. In fondo ad unpiccolo canyon un torrente stagionale scorreimpetuoso con le sue acque di color marronescuro. La vista è bellissima e si perde verso l’oriz-zonte in colline che s’inseguono all’infinito. Oraè tutto verdissimo e la vita è rigogliosa. Riga -gnoli d’acqua scorrono giù per i campi in disce-sa, quasi come arterie e vene che portano nuovavita alle zolle appena rivoltate e ormai popolatedai virgulti dei nuovi raccolti.Arriviamo in vista di una casa in condizioni discre-te. “Dovrebbe essere qui”,dico a Gatwiri. “Vedi chepoi non stavano così male;non erano così poveri!”.Invece, una vecchietta cidice che dobbiamo conti-nuare un po’, accerchiarel’appezzamento dellamagione che si trova difronte ai nostri occhi, e poiscendere a mezza costasulla collina. “Ancora unpiccolo sforzo”, mi dicoansimando. Ciò che vera-mente mi toglie il respiro

testimonianze

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Da più di tre mesi abbiamo un piccolopaziente di dieci anni circa, abbandonatonel reparto pediatrico. È handicappato

mentale grave. Non cammina, ed è totalmenteincontinente. Ci era stato portato dai parentiper un ciclo di fisioterapia. Avevano promessoche sarebbero venuti a vederlo regolarmente,ma poi, subito dopo il ricovero, sono scompar-si tutti quanti. Qualche volta vedevamo deibambini piccoli che passavano fugacementedurante l’orario di visita; se provavamo a chie-dere loro notizie dei genitori, ci ripetevanosempre la stessa cantilena: “Atakuja kesho”(cioè: verrà domani).Ora però il vaso è colmo. Dopo tre mesi mi sentoin cuore il diritto di richiamare loro il dovere del-l’onestà, e, senza neppure rendermi conto appie-no, mi rivesto di stucchevole paternalismo.Decido di portare a casa il paziente, che, in effet-ti, non sta assumendo alcuna terapia: semplice-mente ogni giorno fa la fisioterapia.

non è l’ultima discesa, anche se ripida; è invecequello che mi trovo davanti: una capanna di fangocon il tetto di paglia. Nessun pavimento, se non lanuda terra. Ad accoglierci una donna giovane maemaciata, dagli abiti logori e stracciati.Appena mi vede, accenna un sorriso imbaraz-zato. Non ci aspettava. È tutta sporca e non hanulla da offrirci. È, infatti, appena tornata dallashamba (il campo). Mi dice di lasciare il bambi-no sotto una pianta di mango carica di fruttigrossi e rubicondi, e poi inizia a inzaffirarsi perprepararci qualcosa.“Gatwiri, dille di non preoccuparsi perché nonprendiamo nulla! Chiedile solo se posso vederel’interno della capanna”.Passano alcuni minuti che a me sembrano eter-ni. Guardo la collina in silenzio; vedo un fal-chetto che volteggia leggero senza muovere leali di un millimetro... probabilmente aspettauna preda ignara, per poi piombarsi su di lei inpicchiata. M’identifico un po’ con quel rapace eprovo una morsa allo stomaco.Gatwiri mi chiama dopo un attimo: “Ha dettoche siamo i benvenuti”.Entro abbassando leggermente la testa per nonpicchiare sullo stipite della porta. Ce’ una solastanza, con pavimento in terra battuta e tetto dipaglia. La camera è divisa in due parti da unatenda, che comunque lascia intravvedere unpovero giaciglio dietro di essa. Al centro un

Mi faccio accompagnare da Gatwiri, durante lapausa pranzo, sperando di fare molto in fretta:infatti, casa sua non è distante più di due chilo-metri. Prendiamo l’ambulanza e ci incamminia-mo. La strada è asciutta, nonostante ci sianograndi pozzanghere, in seguito all’acquazzonedella notte scorsa.Raggiungiamo in fretta il torrente Mariara, al dilà di Chaaria market. Attraversiamo il pontesenza problema, ma subito dopo ci rendiamoconto che parte della strada è crollata a causa diuno smottamento: non ci rimane che proseguirea piedi.“ Quanto mancherà?”, chiedo a Gatwiri. “Circaun chilometro, ma la strada è in salita”. Decidodi parcheggiare l’ambulanza, e di prendere il pic-colo sulle spalle. Il sole è ora caldissimo, e imme-diatamente goccioloni di sudore cominciano asbocciare dalla mia fronte e a calarmi inesorabi-li sugli occhi. “Il dado è tratto. Si continua”,ripeto a me stesso prima ancora che alla mia

di Fr. Beppe Gaido

Come un avvoltoio sulla predaIo non sono mai in grado di giudicare gli altri, e tutte le volte che tento di farlo, sbaglio rovinosamente. Il compito del missionario poi è quello di mettersi a servizio della gente, senza insegnare niente, senza giudicare, senza umiliare.

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testimonianze

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Mi viene da piangere. Mi sento uno stupido, epoi dico a Gatwiri: “Torniamo in ospedale”.“E lui lo lasciamo qua?”“Certo che no! Aiutami a rimettermelo sullespalle. Lo teniamo in ospedale finché si farà unposto dai Buoni Figli. Dì alla madre che non sipreoccupi, e che venga a trovarlo tranquillamen-te, perché un buon samaritano lo troveremo sen-z’altro”.A questo punto la mamma rimane paralizzataper un momento; non fiata e guarda a terra per-ché non sostiene il mio sguardo. È chiaramente commossa ma nonsa cosa dire. Mi aiuta a caricarmi il piccolosulle spalle e poi mi accompagnamentre, ansimando, riprendo lasalita verso l’ambu lanza.Sono stato veramente stupido. Ho voluto dare una lezione, einvece ancora una volta ne horicevuta una dura come una fru-stata.Io non sono mai in grado di giu -dicare gli altri, e tutte le volte chetento di farlo, sbaglio rovinosa-mente. Il compito del missionario poi èquello di mettersi a servizio della

gente, senza insegnare niente, senzagiudicare, senza umiliare.Ho fatto un altro errore madornale, maso che è sbagliando che s’impara e sicresce. Mi sono preso un pugno nello stomacoche mi fa ancora male, ma voglioaccettare gli insegnamenti che Dio miha dato oggi attraverso questa donnaminuta e illetterata che ancora mi cam-mina a fianco e accarezza ripetutamen-te il suo Njiru.Mi guardo attorno: la natura selvaggia,il solleone, il caldo tremendo mi ripor-tano a pensare a quanto dura è la vita

dei poveri. Noi che abbiamo la corrente elettrica, l’automo-bile e il telefonino, non possiamo neppure imma-ginare cosa si gnifichi essere vedova, con tre bam-bini piccoli, in una capanna di fango e paglia, acercare tutti i giorni qualcosa da mettere sultavolo dei tuoi pargoletti.Che il Signore perdoni la mia superficialità e miaiuti a calarmi profondamente nella vita deipoveri, per imparare a capirli, a giustificarli e adamarli ogni giorno di più.

tavolo e due sedie. Sulla mensa un pentolone conun po’ di ugnali (polenta) ancora fumante.“ Dove dormirebbe il bambino?”.La mamma indica alcuni cartoni in un angolodel pavimento, e sussurra con voce tremante: “Èlà che dormiva prima che lo portassimo in ospe-dale. Non ho alternative!”“Dove è tuo marito?”“È morto in un incidente alla cava delle pietreormai 4 anni fa. Era pagato a giornata, per cuinon portava a casa molti soldi. Non siamo mairiusciti a costruire una nuova abitazione dilegno. Lui, Njiru, è il nostro primogenito. È natocosì per un travaglio prolungato a domicilio.Non avevamo soldi per andare in ospedale a par-torire. Anche le altre due bambine più piccolesono nate qui in questa capanna. Nor malmentesono le donne del villaggio che vengono ad aiu-tarmi, quando iniziano le contra zioni: sonomolto buone, ma non sono dei medici e a voltele cose possono anche non andare per il meglio.Quando mio marito è mancato, ero incinta dellapiù piccola. Ti ho portato Njiru in ospedale per-ché non ce la faccio più a seguirlo. Sta diventan-do pesante, e non riesco più a caricarmelo sullaschiena mentre vado nei campi a lavorare, oquando mi reco al mercato a vendere il mango.Lasciarlo a casa da solo è anche un problema:una volta ha avuto le convulsioni, e la sera l’ho

creduto quasi morto nella sua urina enelle bave che ancora uscivano dalle suelabbra.Te l’ho portato e poi sono sparita perchénon ho soldi per pagare l’ospedale: comeavrei fatto a chiederti di ricoverarlo daiBuoni Figli, quando non riuscivo neppu-re a coprire le spese delle me dicine chegià gli avevate somministrato.Non ho veramente trovato la forza divenire a parlarti. Però mandavo le bam-bine, e sapevo che Njiru era accudito estava bene. Ora, se me lo lasci a casa,non so davvero che cosa farò. Noi riu-sciamo a mangiare solo perché mi pren-dono nei campi a giornata. Mi pagano

100 scellini il giorno. Se lui è a casa, non potròcerto fare la bracciante nella shamba di qualchepadrone... ” Poi un silenzio imbarazzante cala tra di noi. Solo le due bimbe continuano a essere contente edivertite dal fatto di vedere un bianco nella lorocapanna. Corrono avanti e indietro a piedi nudi,e si ripetono l’un l’altra: “Mzungu, Mzungu”.Gatwiri non parla. Io guardo il soffitto di paglia,e, attraverso la porta aperta, riesco a scorgere ilbimbo handicappato sotto l’albero di mango. Inun brevissimo flash back mi torna in mente l’av-voltoio che plana nel cielo pronto a colpire.

testimonianze

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Notizie dai

fratelli

notizie

1918

Redazione

Padre Lino Piano

Ringraziamo riconoscenti P. Lino Piano peressere stato con noi il giorno 10 Settembredurante la sua visita in Ecuador.

Si è familiarmente intrattenuto con noi, ascol-tando i nostri problemi, le nostre aspirazioni, lenostre paure e le nostre speranze. Dopo una visi-ta all’Asilo e un saluto agli ospiti si è fermato apranzo con noi. Grazie caro Padre Lino per latua paterna attenzione e per le tue parole.Un grazie va anche all’amico e volontario Luigiche accompagnava il Padre e un augurio specia-le al “nuovo missionario” Don Emilio che iniziala sua avventura missionaria in terra ecuatoria-na. Domenica scorsa ha già celebrato la SantaMessa all’Asilo per gli anziani.

Ti siamo vicini, carissimo don Emilio perchèsappiamo che gli inizi non sono mai facili e sappiche quando vuoi riposarti un po’ qui a Tachinac’è sempre un posto per te, perchè sappiamo chela Parrocchia di Santa Marianita è una grandeParrocchia cittadina e  non è una realtà facile,con tanto lavoro da svolgere.

I Fratelli di Tachina

Un grazie ai fratelli

Vogliamo ringraziare di cuore i confratelliche in questi ultimi mesi sono venuti qui aTachina. Anzitutto fr. Albert che è stato con

noi tre mesi. Ci ha aiutato molto, soprattutto adassistere e medicare i più gravi. Tutte le mattinelavava e medicava Julio Cesar con pazienza eamore encomiabili.  Grazie carissimo fratelloper questa bella testimonianza. Stai sicuro chedal Paradiso Julio Cesar non mancherà d’inter-cedere per te. Dal 16 al 23 Luglio abbiamoaccolto fra noi il nostro Superiore Generale, fra-tel Giuseppe Meneghini. Con lui abbiamo con-diviso dei bei momenti di dialogo e fraternità:abbiamo parlato delle nostre gioie e dei nostriproblemi, del difficile momento economico chestiamo passando e della nostra intenzione dicontinuare a servire i più poveri, quelli che lealtre Istutuzioni rifiutano perchè troppo poverio ammalati. Anche a te carissimo fratelGiuseppe il nostro grazie per il tuo ascolto,  latua comprensione e il tuo amore di padre. Inquesti mesi abbiamo qui fra noi fr. Simon, unaltro fratello in formazione che è arrivato con fr.Giuseppe e si fermerà fino a metà Ottobre.Anche fr. Simon sta vivendo una “full immer-sion” in questa realtà ecuatoriana.Per noi  cheviviamo qui è sempre una gioia poter accoglie-re questi nostri fratelli più giovani. Ci portanoun’ondata di sano entusiasmo e ci spronano adessere sempre più autentici servi dei poveri.

Fr. Maurizio

Lettera da Tachina

Con riconoscenza vogliamo ringraziare Pier luigi eDina per il loro servizio svolto qui a Tachina dal20 Settembre al 10 Ottobre.

Davvero sono stati preziosi e dei grandi amici. Umilie lavoratori.Pierluigi e Dina sono dei “vecchi” volontari delnostro Cottolengo di Cuneo e per questo... siamoandati al sicuro.I nostri ospiti hanno goduto della loro presenza e delloro servizio e tutti i giorni ci chiedono di loro.Inutile dire che li aspettiamo ancora qui fra noi.Un grazie particolare a Fratel Simon che è stato connoi tre mesi e che ha svolto un ottimo servizio, inse-rendosi bene nella nostra piccola Comunità e neinostri ritmi di vita e lavoro, non sempre facili per ungiovane in formazione. Davvero ha passato laprova.... ottimamente!Per tutti e tre è assicurata la nostra preghiera e quel-la dei nostri ospiti.

I fratelli di Tachina

Notizie dai

fratelli

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55.

VAYALIPARAMBIL FRIBIN da sabato 19gen naio 2013 è il cinquantacinquesimo sa -cerdote cottolenghino vivente. Insieme a donGiampiero ho avuto la gioia di prendere partedi persona alla Messa di ordinazione nella chie-sa parrocchiale di Santa Filomena a Koonam -mavu (poco distante da North Paravoor, doveha sede la comunità dei sacerdoti cottolenghiniintitolata alla Madonna del Rosario e il Cot -tolengo Seminary).Alle ore 10 è iniziata la Messa presieduta dal -l’Arcivescovo di Verapoly, Sua Grazia FrancisKallarackal, che abbiamo accolto in un puntopoco distante dalla chiesa, dove l’abbiamo ac -compagnato preceduti da un corteo di motoci-clette con la bandiera del Vaticano. Sull’autocon noi era salito don Fribin, che ci aveva atte-

so a casa sua per una breve preghiera.Bellissima e spaziosa la chiesa con gli addobbifloreali allestiti da alcune Suore cottolenghinevenute apposta da Cochin, e ampio il presbite-rio. Una ventina i sacerdoti concelebranti, fracui don Rexon e don Lijen, sacerdoti cottolen-ghini residenti presso la chiesa succursale diThannikuzhi (Paliyode). La liturgia, molto senti-ta dall’Arcivescovo e partecipata dai fedeli, eraspesso accompagnata da canto e da musica. Aquanto don Shony mi ha riferito, l’Arcivescovonell’omelia in lingua malayalam, fra l’altro, hadefinito i cottolenghini come la mano paterna eamorosa di Dio verso i poveri. I riti propri del-l’ordinazione si sono succeduti regolarmente,compresa l’imposizione delle mani da parte ditutti i concelebranti. Particolarmente graziose leotto bambine, che hanno espresso con delicatigesti delle mani, recanti lampade, fiori e incensi,

l’adorazione al Per ipsum. Il papà e special-mente la mamma di don Fribin, in prima fila,erano visibilmente commossi. Conclusasi lacelebrazione sono state scattate molto fotoricordo, dapprima con l’Arcivescovo e poi con itanti presenti, fra cui la tante Suore cottolen-ghine, provenienti da tutte comunità presenti inIndia, e i Fratelli cottolenghini. A questo punto la commozione ha lasciato ilposto alla gioia, che è continuata durante ilpranzo offerto a tutti.Domenica 20 gennaio don Fribin ha celebratola Messa di ringraziamento in lingua malaya-lam nella medesima chiesa. Don Jobin lo assi-steva, don Shony, don Taj, don Giampiero, unaltro sacerdote indiano ed io abbiamo concele-brato con cuore colmo di gioia riconoscente.Deo gratias.

1.

Altro evento straordinario per la Piccola Casa.Giovedì 17 gennaio, 185° anniversario della fon-dazione della Piccola Casa della DivinaProvvidenza, alle ore 15,30 ha avuto inizio lacerimonia di inaugurazione del COTTOLEN-GO SOCIAL SERVICE CENTRE a NorthParavoor. Questa iniziativa è espressione dellaCottolengo Educational & Charitable Society(C.E.C.S.), il cui presidente è don Taj, il superio-re della comunità “Madonna del Rosario”, e ilcui economo è don Shony, rettore del Cot -tolengo Seminary. Le attività già in atto delCECS sono: un laboratorio informatico perragazzi e ragazze diversamente abili – e poveri –e la preparazione, il doposcuola gratuito (tuition)per bambini e bambine – poveri – delle famiglie

India: 55 -1-13

Non si tratta di una combinazione fortunata da giocare al Lotto, ma sicuramente di una serie vincente nel mondo cottolenghino.

di don Roberto Provera

voci dall’India

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13.

Numero fortunato? Speriamo. Intanto ringra-ziamo la Divina Provvidenza che ha chiamatotredici simpatici – tutti – giovani a far parte delCottolengo Seminary. 7 stanno per il terminareil primo anno (o initiation), 2 la I classe di studisuperiori (corrispondente alla nostra I liceo), 3 laII classe e 1 il II anno di filosofia. Sono tuttiragazzi vivaci, allegri, ma anche disciplinati egentili. Il clima del Seminario è sereno, gioioso.Alla domenica partecipano alla Messa in par-rocchia alle 6,30 e due a turno collaborano adistribuire il cibo all’ospedale a mezzogiorno.Congratulazioni vivissime al Rettore don Shony,e al Vice-Rettore don Jobin.Abbiamo avuto due bellissime occasioni distare un po’ più a lungo con questi cari ragaz-

zi. Don Shony aveva programmato pervenerdì 25 gennaio la visita alla St. Mary’sSyro-Ma labar Catholic Church, a Bhara -nanga namuna (distretto di Kottayam),dove è sepolta la prima Santa Indiana,una Suora Clarissa Fran cescana, Sant’Al -fonsa dell’Immacolata Con cezione (1910-1946), beatificata nel 1986 e canonizzatanel 2008. Il luogo, pur molto frequentatodai fedeli, è silenzioso e favorisce la pre-ghiera (altre informazioni si possono tro-vare al sito alphonsa.net). Molto gentil-mente la mamma di don Shony ci ha ospi-tato per il pranzo a casa sua.La seconda gradita occasione di stare coni seminaristi l’abbiamo avuta sabato 26.

Don Fribin presiede la sua prima Messa – inlingua inglese – nel Cottolengo Seminary; loassiste don Jobin, concelebriamo don Taj, donShony, don Giampiero ed io; la Messa è anima-ta da canti in lingua inglese con accompagna-mento musicale. Segue una speciale cena offer-ta a tutti i partecipanti (circa una sessantina,compresi alcuni “Buoni Figli” dei CottolengoBrothers di Paravoor).

Best wishes to all of you, dear Seminarians and espe-

cially to my bodyguards…

Per concludere una massima di Sant’Alfonsaabbastanza cottolenghina: To holiness through

lowliness.

voci dall’India

vicine, la distribuzione gratuita di cibo per ilpranzo della domenica ai malati dell’ospedalecivile di N. Paravoor. Si prevedono nuove atti-vità occupazionali per ragazzi e ragazze diffe-rentemente abili nel locale oggi inaugurato.Dopo il taglio del nastro e la benedizione dellocale, impartita dal Vicario generale della dio-cesi di Kottapuram, mons. Domenic Pinheiro,si sono alternati vari oratori. Don Shony harivolto a tutti un cordiale benvenuto; io ho illu-strato l’importanza del 17 gennaio per laPiccola Casa; don Chacko Puthenpurackal,biblista, ha presentato il primo libro di donShony dal titolo “A living Exegesis: The cha-rism of the Founders and the inculturation ofthe consecrated life”: è la prima pubblicazionedella nuovissima Casa editrice“Cotto lengo Pu bli cations”. Sisono poi succeduti altri oratori,uomini e donne della politica, undottore hindu, che a quanto midicono ha elogiato l’opera carita-tiva del Cottolengo. DonGiampiero ha inauguratol’“Education Fund” a favore diragazzi e ragazze in situazione dibisogno. Un senatore del Kerala,membro della Camera alta, haavviato il nuovo sito “www.cot-tolengoindia.org”, dove si posso-no vedere anche tutte le fotogra-fie e i filmati relativi all’evento emolto altro. Don Xavier, il parro-

co della chiesa di s. G. B. Cot tolengo a N. Pa ra -voor, ha concluso questa parte culturale delmeeting, ringraziando tutti gli intervenuti.Dopo un’opportuna distribuzione di cibo aipresenti, è iniziata la parte ricreativa dell’even-to con danze, recite, scenette, eseguite daragazzi, ragazze e personale del CECS.Meravigliosa la grazia delle danze, assordantela musica, scatenati i balli moderni… Termineore 20,30. Un doveroso ringraziamento a donTaj, che si è prodigato infaticabilmente perquesto evento, e ai ragazzi del Seminario, cheguidati da don Jobin, Vice-rettore, hanno pre-stato con generosità la loro opera per la prepa-razione dell’evento (e poi anche per spreparareil tutto). Deo gratias.

voci dall’India

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C’era una volta un uomo piccolo come lapunta di un ago. Anzi, più piccolo ancora.Era piccolo, ma aveva una voglia matta di

crescere. Pensa, dopo 15 giorni da quandoaveva cominciato a vivere era già 125mila voltepiù grande. Incredibile. Eppure era vero!L’uomo abitava in una casa fatta apposta perlui. Una casa strana che girava per la città, cor-reva, si piegava anche fino a terra; di notte, poi,

si coricava e al mattino si alzava. La casa era bella e tiepida, ma aveva un grossodifetto; era tutta buia come un sacco chiuso. Làdentro non potevi vedere proprio niente; né for-miche, né cavalli, né automobili.“Basta, disse, finalmente un giorno l’uomo,dopo nove mesi passati nel sacco, basta, vogliouscire, voglio uscire…”. Si mise a spingere,spingere… ed eccolo fuori dal sacco!“Oh, finalmente posso correre, giocare, fare ilbagno, nuotare… Altro che la casa di prima!Questa si che è stupenda; qui c’è il sole, ci sonole piante, i fiori, la neve… ”.Per ottant’anni l’uomo, tutte le mattina, allarga-va le braccia e diceva sempre: “Che bella que-sta terra!”. Era felice e contento.

Però un giorno cominciò a diventar triste.Vedeva che il sole tramontava e veniva la notte;le piante perdevano le foglie e diventavano co -me scheletri; i fiori diventavano fieno e la neve,fango. Allora si mise a sognare un’altra casadove vi fossero sempre gli alberi verdi, i fiorirossi, la neve bianca e il sole splendente.Mentre stava pensando, morì. Tutti si misero a piangere.

Lui invece, pensa un po’, rideva. Vien voglia dinon credere, eppure lui rideva, rideva…Sfido io! Appena morto, gli si spalancarono leporte di una casa dove c’erano cose che non tipuoi immaginare. Un Papà buono che più buononon si può, lo abbracciò, una mamma bella chepiù bella non si può, una vera meraviglia, lobaciò. Lo baciò e lo prese per mano: “Vieni agiocare con noi! Vedi, qui tutto è nuovo; la terraè nuova, le stelle sono nuove. Vieni!”.L’uomo non capiva più niente.“Ma non sono morto, io?”“No, no, gli gridarono milioni di bocche; seivivo, vivo per sempre!”.Pazzo di gioia, l’uomo si mise a correre, a farcapriole nei prati che non finivano mai, sotto ilsole che non tramontava mai, in mezzo ai fioriche non appassivano mai. “Qui son proprio acasa mia, gridava; a casa mia!”.Cosi finisce la storia delle tre case. Storia vera;storia mia e storia tua. Storia di tutti gli uominiche camminano su questa terra e di tanto intanto guardano il cielo.

(trovato in una chiesa di montagna)

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una storia veraLe tre case

Storia vera; storia mia e storia tua. Storia di tutti gli uomini

che camminano su questa terra e di tanto in tanto guardano il cielo.

di P. Bartolomeo Milone

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testimonianze

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Sei nato a mezzogiorno di un venerdì. Senza grandi clamori, alla svelta,senza farmi soffrire troppo. Avevi gli occhi chiusi, la lingua penzoloni, ti guardai e pensai: “Com’è brutto!”, ma non ebbi il coraggio di dirlo e dissi: Com’è piccino! Le cose, col tempo non miglioravano. Tutti sapevano, intorno a noi, meno tuo padre ed io. Ci mandarono da un medico famoso. Quando tomai a casa, ti rimisi nella culla, ti guardai e pregai: “Signore, Dio da, Dio toglie: riprenditeloora: “A che serve la sua vita inutile?”. Perdonami figlio mio. Ti chiesi perdono allora, e ti chiedo perdono ora, è inutile la tua vita?Imparai che eri un figlio come gli altri, solo con problemi diversi.Quando dicesti “mamma”, piansi di gioia, anche se avevi tre anni. Quando,malfermo sulle gambe, mi corresti incontro, spalancai le braccia e fuifelice, anche se avevi più di quattro anni. E m’insegnasti la pazienza.Quando in quell’epoca, nessuno ti voleva, né la scuola né la società,imparò a essere umile, sorridente, gentile perché qualcuno ti facesseuna carezza. E m’insegnasti l’umiltà. Quando la gente cominciò ad accorgersi di te e di quelli come te, cominciai a combattere, e lottoancora, perché tu fossi accettato. E m’insegnasti a lottare. Quando infine le altre madri sognavano per i loro figli il primo posto nella scuola, nella carriera, nella società, io mi accontentavo dei tuoiprimi progressi. E m’insegnasti a desiderare per i miei figli la felicità,non la ricchezza, né il successo.

Lettera di una madreal figlio disabile

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E quando venne la zia ad abitare accanto a noi, inasprita dalle sue disgrazie, con un carattere impossibile e insopportabile, sola per il vuotoche tutti i parenti le avevano creato intorno e incapace di star sola,ancora una volta la tua vita si mostrò non utile ma necessaria: per ventidue anni le facesti compagnia, giorno dopo giorno, sopportando il suodispotismo, a volte la sua prepotenza, volendole bene, addolcendo i suoimomenti tristi, facendola sorridere per le tue uscite paradossali. Per ventidue anni desti uno scopo alla sua vita, un ritmo alle sue giornate, un perché ai suoi gesti. Inutile la tua vita? Quando lei morì, ti riavemmo tutto per noi. Tuo padre ed io, con la maturità, avevamo conosciuto una tenerezza nuova, un’intesa mai raggiunta prima, e tutti e tre passammo l’ultima vacanza felice all’isolad’Elba, la più bella di tutta la nostra vita. Poi la malattia, la morte di tuo padre. Quando tornai disperata dal camposanto, trovai di nuovo te, a casa, tu che non sapevi niente, checapivi poco, ma che “sentivi” per quella misteriosa sensibilità che hai,che qualcosa di terribile era successo. E per te ho ricominciato prima a sopravvivere, poi, sia pure in tono minore, a vivere: per te ho ricominciato a lavorare, a lottare. Tu sei la mia compagnia: se ho ancora una carezza, se qualcuno ancora mi abbraccia, se qualcuno ancora mi ricorda che il bisogno di t enerezza non ha età, lo devo a te. Se riesco ancora a dare felicità a qualcuno, questo sei tu, cui basta tanto, poco per essere felice. Inutile la tua vita?.

La tua mamma.

Lettera di una madreal figlio disabile

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Nella Piccola Casa di Pisa nessuno dimen-tica le parole del Fondatore che scrivevadella sua opera come una cosa “nata per

dare gloria a Dio” attraverso azioni autenti-camente uma ne, quali sono l’essere casa eluogo di accoglienza e riferimento delle per-sone in stato di bisogno.Ecco allora l’altro servizio del Cottolengo perla comunità: la mensa dei poveri; vi si accededalla porta più piccola, ma non meno impor-tante e funziona ogni giorno in collaborazio-ne con la Caritas diocesana, che si occupagestire la buona mensa attraverso il proprioCentro di Ascolto. La mensa distribuisce soloil pranzo ed è per un numero massimo ditrenta persone. I pasti sono preparati dallacucina interna della Piccola Casa, distribuitiin vassoi personalizzati da volontari che sialternano, in numero di quattro al giorno, la

settimana comprese le domeniche e le altrefestività. La mensa del Cottolengo provvede apreparare anche una decina di cestini per chi,e ve ne sono sempre, non si è rivolto al Centrodi Ascolto Caritas per le più diverse motiva-zioni, ma bussa ugualmente alla porta incerca di un pasto, che probabilmente, saràl’unico della giornata.È suor Elena Catte la coordinatrice dellamensa dei poveri del Cottolengo. Si presentacon la sua persona minuta, dice di essereanziana ma ti sorprende per l’energia con cuidirige il servizio: assegna i compiti ai volonta-ri per lo sporzionamento, accoglie le personenei locali, e invita con ogni delicatezza allapreghiera del “Padre Nostro” prima di inizia-re il pranzo ma precisa che si può semplice-mente stare in silenzio, rispettando chi è dialtra fede o di nessuna fede, perché ormai,

anche nell’ambito del servizio come la mensadei poveri, ci si confronta con la diversitàdelle fedi e della cultura. Diversità checompor tano di porre attenzione al tipo dicibo di stribuito, per rispettare pienamente,dice suor Elena, le tradizioni delle personecui è of ferto.Fra queste persone vedi volti che non ti aspet-ti: volti di donne e uomini giovani, non glianziani poveri o i “barboni” che si potrebbeimmaginare come utenti unici di questamensa.Suor Elena è una responsabile della Caritas,ogni giorno anch’essa impegnata a controlla-re i buoni di accesso alla mensa, tracciano ilprofilo di questi “utenti”: persone senza fissadimora; che hanno perso momentaneamenteil lavoro; in maggioranza stranieri, comunita-ri e no; gli italiani in numero via via crescen-ti: donne dell’Est europeo che hanno perso il

Una mensa che“sfama” trenta poveri

che vivono in città

di Mauro Torselli

notizie dal Cottolengo di Pisa

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lavoro come badanti o che sono appena arri-vate e lo stanno cercando; alcuni alle spallecrisi famigliari ed economiche capaci di scon-volgere la vita; tutte persone cui è offerto unpunto di ancoraggio dalla Caritas diocesana eun’accoglienza fraterna e un pasto caldo in unambiente ordinato nella mensa della PiccolaCasa.Nel cuore di Pisa, nel quartiere Sant’Antonio,continua, dunque e si attualizza una storia ini-ziata nel 1832 a Torino, che si riversa per lecontrade d’Italia e nel mondo secondo i cari-smi di San Giuseppe Cottolengo che, an cheoggi, ci parlerebbe della Piccola Casa e dellasua sempre viva presenza di servizio e acco-glienza in dipendenza del motto che egli stes-so aveva scelto “Caritas Christi Urget Nos” (2Cor. 5,14).È la Carità di Cristo che ci spinge incontroall’uomo di ogni tempo e di ogni terra.

Una mensa che“sfama” trenta poveri

che vivono in città

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notizie

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Domenica 9 dicembre 2012, come nei program-mi ormai consolidati della nostra Asso -ciazione, si è svolta alla Piccola Casa la tradi-

zionale Festa della Famiglia. Nel salone sotto laChiesa Madre la partecipazione è stata abbastanzasoddisfacente: c’era il gruppetto dei fedelissimi, etra loro ovviamente anche la Vice Presidente AnnaTeresa e, come sempre, la “diversamente giovane”Olga Lugnani con Cesira Magni.Il clima però non era dei migliori e sicuramentemeno gioioso del solito per le notizie piuttosto allar-manti sulle condizioni di salute del nostro insostitui-bile Tesoriere Beppe Mattiotto, costretto a letto nellacasa di Luino dopo un delicato ricovero ospedaliero.Per ragioni di sa lute mancava anche il presenzialistaTarcisio Di Gleria, indispensabile collaboratore pertutte le più svariate esigenze. L’organizzazione erastata quindi completamente curata – con puntualirisultati, bisogna riconoscere – dalla “cubia d’ fer”Franco Rosso e Tommaso Stringa. A risollevarel’animo dei presenti giungeva Padre FrancescoGemello, le cui condizioni di salute – residuo dellapermanenza in Kenia – sembravano in effettimigliorate e veniva accolto da tutti con il solitocaloroso ed affettuoso applauso, memori della ripe-tutamente dimostrata vicinanza alla Associazioneprima come Padre della Piccola Casa e poi comeAssistente Ecclesiastico. Non riusciva invece adessere tra noi Don Carlo Carlevaris, Direttore ono-rario di “Incontri”, il periodico di cui si finiva perdiscutere registrando con piacere l’unanimeapprezzamento non solo per la gradevole vestetipografica, ma soprattutto per i contenuti in lineacon i tempi, tanto che ci scappava anche un giudi-

zio ampiamente positivo per il Direttore responsa-bile Don Roberto Provera e, ovviamente, per gli in -faticabili componenti della Redazione Sal vatoreAcquas e Mario Carissoni.Allo scambio degli auguri gli animi sembravanoabbastanza rasserenarsi e la tradizionale fetta dipanettone, i cioccolatini e il bicchiere di spumantenon risultavano indifferenti, anche se continuavaabbastanza accesa la discussione sulla data del pros-simo convegno annuale che, tenuto conto anchedelle varie feste liturgiche dei mesi di maggio e giu-gno, a fronte di varie proposte, veniva poi fissata perdomenica 9 giugno 2013, come in altra parte delgiornale è ricordato. Il Presidente manifestava poi il suo rincrescimentoperché nel convegno del 10 giugno 2012 non si erapotuto provvedere – come ipotizzato fin dal dicem-bre 2011 – al rinnovo degli organi statutari del -l’Associazione, da tempo scaduti, per assoluta e pre-occupante mancanza di candidati. Il coro dei pre-senti proponeva comunque insistentemente di prose-guire con l’attuale dirigenza, confidando che laDivina Prov vi denza avrebbe poi finito per ritrovare esuggerire la soluzione idonea ad assicurare un futuroalla nostra Associazione. Resta in ogni caso la spe-ranza che il prossimo convegno del 9 giugno registriuna crescente partecipazione nella consapevolezzache l’importanza di quel momento nella vita dell’As -sociazione ci sproni ad essere presenti per quellabenefica pausa di riflessione necessaria a ricaricarcidello speciale Spirito Cottolenghino che deve costan-temente caratterizzare la nostra vita quotidiana.In tal senso rivolgo a tutti un caloroso appello!

Dante Notaristefano

Eccoci pronti a parlarvi della straordinariamattinata del 17 dicembre, durante laquale si è svolta la visita del Ministro

della Pubblica Istruzione Francesco Profumo.Tutta la scuola lo attendeva in teatro: bambi-ni, insegnanti, segretarie, assistenti… tutti.Ovviamente noi della redazione eravamo inprima fila, pronti ad annotarci tutto. IlMinistro è stato accolto dagli applausi di tutti.Subito abbiamo cantanto l’Inno Nazionale equello della Scuola “The world in union”, ementre lo cantavamo scorrevano le immaginidi un video che raccontava proprio la nostrascuola. Poi alcuni degli alunni delle elementa-ri e medie hanno improvvisato un Consigliodei Ministri ‘straordinario’, al quale è statoinvitato a partecipare anche il Ministro. Icompagni della scenetta sono stati bravissimi,si vede che frequentano il laboratorio di tea-

tro! Stefano che interpretava il PresidenteMonti era perfetto! Il Ministro è stato moltodisponibile e ha riposto con interesse e moltaironia alle domande che alcuni ragazzi glihanno posto, più o meno serie. Purtroppo lavisita è stata meno lunga del previsto, manonostante fosse in ritardo Profumo ha impie-gato almeno 15 minuti per abbandonare ilteatro perché ha voluto salutare tutti, propriotutti! Era davvero disponibile. Per la primavolta nella storia un Ministro ha visitato unascuola paritaria, e ha scelto proprio noi lascuola del Cottolengo!

La visita del Ministro alla Scuola Cottolengo

a cura della Redazione

La visita del Ministro alla Scuola Cottolengo

La Festa della Famiglia

CONVEGNO ANNUALE DELL’ASSOCIAZIONE EX ALLIEVI E AMICI DEL COTTOLENGO - 9 giungo 2013Programma: ore 10: ritrovo, ricevimento e saluti (cortile davanti alla Chiesetta “Casa di Dio”, via S. Pietro in Voncoli 9).Ore 11: Santa Messa celebrata da Padre Lino Piano. Ore 11,45: Assemblea, relazione del Presidente e conseguentediscussione. Ore 13: Pranzo sociale. Attenzione: è indispensabile che gli ex allievi ed amici intenzionati a partecipare al pranzo facciano pervenire la loro pre-notazione entro il 6 giugno alternativamente a: Dante Notaristefano, via Crimea 6, 10133 Torino, tel. 011/6608499 -Anna Teresa Costamagna, via Garibaldi 48/A 12068 Narzole, tel. 0173/77092 - Franco Rosso, via Castelgomberto 40,10136 Torino, tel. 011/3115581. La conoscenza anticipata del numero dei partecipanti consentirà una migliore organizzazione e un risparmio di spesa.La quota pranzo è stabilita in € 20,00.