Rivista Emergency Oggi Mese di Aprile 2009

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Anno XV n.4 Aprile 2009 Editore Key Communication sas Iscrizione Tribunale di Parma n. 32 del 08/08/1995 - Poste Italiane spa - Spedizione abb. postale 45% - DL 353/2003 (conv. in legge 27/02/04 n.46) Art. 1 comma 1 - DCB Roma 4,00 euro ISSN 1723-7033 Rivista tecnico scientifica riservata al personale specializzato. Non diffusa al pubblico. In caso di mancato recapito restituire PT Romanina per la restituzione previo add.to. Contiene IP HEMS 2009 17/18 Settembre Aeroporto Cinquale di Massa Editore Key Communication EMPOWERMENT in Pronto Soccorso in Pronto Soccorso L’operatore di centrale operativa 118 DISAGIO PSICOLOGICO e PROSPETTIVE D’INTERVENTO alcole sicurezza stradale alcole sicurezza stradale DATI PASSI 2008 DATI PASSI 2008

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EMPOWERMENT in Pronto Soccorsoin Pronto Soccorso

L’operatore di centrale operativa 118

DISAGIO PSICOLOGICO e PROSPETTIVE D’INTERVENTO

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EMERGENCY OGGIMensile di Emergenza Sanitaria

Direttore responsabileMarina Boldrini [email protected]: Key Communication sasP.za Badalocchio Sisto Rosa, 9\b 43100 Parma RedazioneVia Po, 10 - 00198 Roma tel +39 06 8535 5798 - fax +39 06 8535 [email protected] - www.emergencyoggi.it

HANNO COLLABORATO:M. Abu Takieh, F. Aguglia, C. Boccardo, E. Bologna, F.Cavicchi, M. Colzi, E. Contu, A.Coppola, D. Curcio, M. D’Innocenzo,A.De Luca, A. De Santis, S. Di Giambartolomeo, C. Gatti, G. Gianca-spro, E. Maffongelli, A. Ovani, A. Palma,N. Ramacciati, M.G. Scarpellini, M.Suppa,C. Vender

Divisione pubblicità [email protected] Po, 10 - 00198 Roma tel +39 06 8535 5798 - fax +39 06 8535 5606

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Norme editoriali:Verranno presi in considerazione solo articoli maipubblicati in precedenza e la richiesta di pubblicazio-ne implica la rinuncia a pubblicare lo stesso pressoaltre riviste. La responsabilità di quanto scritto è daattribuirsi agli autori dei singoli articoli. Tutti i diritti ri-servati. Per ulteriori informazioni:[email protected]

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Periodico associato USPI Unione Stampa Periodica Italiana

4L’OPERATORE DI C. O. 118 DISAGIO PSICOLOGICO E PROSPETTIVE D’INTERVENTO

ensile di emergenza sanitaria

A. De Santis, C. Gatti, A. De Luca, M. D’Innocenzo

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12ORGANIZZAZIONE IN TRIAGE

18EMPOWERMENT IN PRONTO SOCCORSO

N. Ramacciati

24118AIR:L’AEROAMBULANZA PER TUTTI

27ALCOL E SICUREZZA STRADALE

ANNO XV n. 4

A p r i l e 2 0 0 9

Autori Vari

C. Vender

LA CEFALEA IN PRONTO SOCCORSO

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Aprile 2009Eo 4

L’operatore di centrale operativa 118

DISAGIO PSICOLOGICO e PROSPETTIVE D’INTERVENTO

RiassuntoScopoLo studio, promosso dalla direzione strategicadell’ARES 118 del Lazio, approfondisce le prin-cipali manifestazioni di disagio emotivo e dicompromissione del benessere psicologicodegli operatori di centrale operativa, eviden-ziandone le possibili cause e gli elementi indi-viduali, relazionali ed organizzativi che sul di-sagio maggiormente incidono.Metodologia Osservazione delle dinamiche relazionali e del-le modalità comportamentali poste in esseredagli operatori della centrale operativa del 118di Roma e Provincia.Risultati e conclusioni Il Burn out si configura come modello psicopa-tologico dominante, nel quale convergono, or-ganizzandosi, gli elementi di disagio individua-ti nello studio. La specificità di tali elementi el’identificazione di fattori protettivi e precipi-tanti hanno consentito di ipotizzare ed avviarelinee d’intervento tese a favorire il benesserepsicofisico degli operatori.

AbstractAim This study researches in detail the principal mani-festations of emotional distress and of compromis-es to psychological well-being that can threatenemergency medical services (EMS) call center oper-ators, and highlights their possible causes. Weidentified the individual, interpersonal and organi-zational elements that influence the characteristicsobserved.Methods Observations of interpersonal dynamics and behav-iors of EMS call center operators of the city andcounty of Rome. Interviews of the operators regard-ed both the technical aspects as well as the emo-tional and personal implications of their work.Results and Conclusions Burn out was found to be the dominant psy-chopathology, into which all of the various ele-ments of distress converged. The specificity ofthese characteristics and the identification of pro-tective and precipitating factors allowed us to es-tablish interventions aimed at supporting the emo-tional well-being of the operators.

Antonio De Santis - Direttore Sanitario Azienda Regionale dell’Emergenza Sanitaria (ARES) 118 del LazioChiara Gatti - Psicologa, psicoterapeuta ARES118, LazioAssunta De Luca - Dirigente medico direzione sanitaria ARES118, LazioMarinella D’Innocenzo - Direttore Generale ARES118, Lazio

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1. INTRODUZIONENon esistono studi di rilevanza scientificache affrontino il tema dei disturbi emotivie psicologici degli operatori sanitari ad-detti a ricevere le richieste di soccorso nelsistema dell’emergenza territoriale. Unaletteratura piuttosto ampia ed accreditatariguarda invece l’impatto emotivo deglieventi critici sugli operatori del soccorsoimpegnati direttamente sul campo (DeFelice et al, 2003; Zuliani, 2007; Young etal, 2002), identificando il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) come la con-dizione patologica prevalente in cui questipossono incorrere.In tale contesto, viene definito “critico” unevento che ha un carattere violento,estremo, lesivo o rappresenta una minac-cia per l’integrità psicofisica, collocandosicompletamente al di fuori rispetto agli am-biti nei quali abitualmente si opera, e ren-dendo inadeguati o insufficienti i consuetimeccanismi di coping, ossia le strategiecognitive e comportamentali utilizzateabitualmente per affrontare le situazionistressanti (Mitchell, 1983). Si va incontroad un trauma quando l’assenza o l’inade-guatezza percepite o reali di risorse perfronteggiare l’evento critico annientano lapossibilità di integrarlo psichicamente, in-serendolo in una rete mnesica recupera-bile e verbalizzabile (Axia, 2006). Come accennato, il più noto disturbo psi-copatologico a carico degli operatori delsoccorso è il PTSD che prevede la com-presenza per almeno un mese, dopol’esposizione ad eventi traumatici rilevan-ti, di sintomi intrusivi (ricordi e sogni ricor-renti dell’evento), di evitamento (di attivi-tà, pensieri, sensazioni, luoghi e personeassociati al trauma), di percezione di di-stacco e estraneità dagli altri ed appiatti-mento affettivo e di aumento della reattivi-tà generale (disturbi del sonno, irritabilità,ipervigilanza e scoppi di collera), correlatia disagio clinicamente significativo e aduna menomazione del funzionamento so-ciale e lavorativo (DSM IV, 2002). Per “traumatizzazione vicaria” si intendeinvece una condizione di grave disagiopsicologico, che può arrivare ad assume-re caratteristiche sovrapponibili a quelledel PTSD, cui gli operatori del soccorso e,in generale, quanti si trovino coinvolti avario titolo nell’accaduto, possono andareincontro in seguito alla partecipazioneempatica, diretta o indiretta, alla sofferen-za delle vittime di un evento critico (Cusa-no et al 2005; Giannantonio et al, 2005;Blair et al, 1996; Filatondi, 2009).Più in generale, invece, il disturbo psico-logico maggiormente conosciuto a caricodi coloro che ricoprono una professione

d’aiuto, è il burn out che ha rilevanti con-seguenze sia personali sia per l’organiz-zazione in cui prestano servizio. Indicauno stato di esaurimento emotivo e corro-sione psicologica, conseguente al contat-to continuo con i bisogni degli utenti e coni limiti e l’inadeguatezza della struttura perla quale si lavora, può accompagnarsi adepersonalizzazione, cioè ad un senti-mento di estraneità dal proprio ruolo pro-fessionale, con comportamenti di disinte-resse e cinismo, e ad un vissuto di man-cata realizzazione professionale (Ma-slach, 1992; Pellegrino, 2007).Per quanto riguarda gli operatori addetti agestire al telefono la richiesta di soccorso,una esperienza statunitense, svolta suglioperatori del numero unico dell’emergen-za 911 (dispatchers), ha individuato duespecifiche tipologie di disturbi emotivi: lo“Stato di Allerta Cronico”, cioè la costantetensione cui il dispatcher è soggetto per ilfatto di non essere a conoscenza del con-tenuto delle telefonate in arrivo, e la“Phantom Dispatcher Syndrome”, checonsiste in un insieme di sentimenti di an-sia, inadeguatezza e solitudine determi-nati dal perfezionismo e dal bisogno esa-sperato di essere giudicati bene(http//www.headsets911.com). Le acqui-sizioni riguardo le peculiarità delle condi-zioni potenzialmente generatrici di stressper i dispatcher, hanno indotto l’Associa-tion of Public Safety Communications Of-ficials ad organizzare corsi di formazioneloro rivolti, finalizzati all’acquisizione dispecifiche tecniche di gestione dellostress (McAtamney,2009) ed a promuo-vere iniziative tese a migliorarne l’orga-nizzazione complessiva del lavoro.Quanto finora esposto rende evidentel’importanza di approfondire la natura e lecause del disagio psicologico degli opera-tori che gestiscono le richieste telefonichedi soccorso, al fine di realizzare interventivolti a ridurne l’entità e, conseguentemen-te, la ricaduta negativa sull’organizzazio-ne d’appartenenza.A tal proposito, la direzione strategica del-l’Azienda Regionale dell’Emergenza Sa-nitaria (ARES118) del Lazio, ha promos-so uno studio finalizzato ad acquisire ele-menti conoscitivi riguardo alle condizioniemotive in cui vertono gli operatori in unadelle centrali operative che operano sulterritorio regionale.

2. OBIETTIVIL’obiettivo dello studio è identificare glielementi relazionali e individuali nonchéstrutturali ed organizzativi, che incidononegativamente sul benessere psicologicoe sulle prestazioni lavorative degli opera-

tori di Centrali Operativa (CO), così dadefinire adeguati interventi migliorativi.

3. METODOLOGIANel Lazio sono presenti 5 CO, una perciascuna provincia (Roma, Frosinone, La-tina, Rieti, Viterbo), cui afferiscono lechiamate su base territoriale. La CO diRoma e provincia è stata scelta, per l’im-portanza rivestita, come luogo di svolgi-mento dello studio oggetto del presentelavoro: infatti serve da sola il 47% dellapopolazione residente nel Lazio e gesti-sce il 67% di tutte le chiamate di soccor-so che pervengono al numero unico“118”. Lo studio, di tipo qualitativo, si è basatosull’osservazione, durata circa un mese,delle attività e delle dinamiche relazionaliposte in essere dagli operatori della COsia nella fase di triage telefonico che inquella di dispatch.Gli operatori sono stati intervistati in meri-to ad aspetti tecnici e riguardo alle impli-cazioni emotive e personali del proprio la-voro. Gli elementi generatori di disagio,osservati e riferiti, sono stati trascritti incartaceo e rappresentati utilizzando il dia-gramma di Hishikawa o di “causa-effetto”.L’osservazione è stata effettuata da unapsicologa con l’esplicito mandato istitu-zionale di contribuire all’analisi organizza-tiva dei processi di triage telefonico e didispatch. Per quanto concerne il triage, gli operato-ri sono stati affiancati singolarmente all’in-terno dei box. Nel dispatch, invece, l’os-servazione è avvenuta nella sala radio,coinvolgendo 4 o 5 operatori alla volta.

4. RISULTATI4.1 La Centrale OperativaLa CO di Roma e provincia serve unapopolazione di 2.500.000 cittadini resi-denti e un numero considerevole di nonresidenti (immigrati regolari ed irregolari,pendolari, studenti fuori sede, turisti). LaCO gestisce annualmente approssimati-vamente 900.000 chiamate, cui seguono250.000 interventi con mezzi di soccor-so. Il triage alla chiamata individua inmedia: 13% codici rossi, 64% codici gial-li, 23% codici bianchi e verdi. Presso la CO sono impiegati circa 70operatori, di cui la maggior parte è costi-tuita da infermieri, mentre circa un setti-mo da personale amministrativo. Tutti glioperatori alternativamente svolgono atti-vità di triage telefonico e di dispatch. Adogni turno di lavoro sono presenti diecioperatori, un capoturno ed un medico disala. La funzione prevalente della CO è quel-

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la di fornire una risposta alla chiamata disoccorso, riducendo al minimo i tempi diattesa, attraverso due distinte attivitàsvolte da operatori diversi: a) il triage te-lefonico, un’intervista breve e standar-dizzata che ha l’obiettivo di raccogliereuna serie di informazioni (condizioni cli-niche, luogo dell’accaduto, dinamica enumero delle persone coinvolte), checonsentono l’attribuzione di un codicecolore identificativo della criticità presun-ta dell’evento; b) il dispatch, che prevedel’individuazione del mezzo di soccorsopiù idoneo attraverso una rapida intera-zione con il sistema territoriale dell’emer-genza (postazioni e mezzi di soccorso).

4.2 Il disagio psicologico: elementi ri-levatiIl rapporto con l’utenzaNella fase di triage gli operatori gestisco-no quotidianamente un numero conside-revole di chiamate (circa il 60%) per lequali non risulta necessario l’invio di unmezzo di soccorso: richieste di visite me-diche a domicilio a causa dell’assenzadel medico di base o della mancata co-noscenza dei compiti di quest’ultimo,scherzi di vario genere, richieste di inter-venti a finalità sociale (senza fissa dimo-ra, ubriachi, tossicodipendenti, etc.) per iquali i richiedenti non sanno a chi rivol-gersi, richieste finalizzate ad istituzionidiverse (polizia, carabinieri, vigili del fuo-co, etc.). A ciò si aggiunge l’uso della linea diemergenza da parte degli operatori dellepostazioni territoriali ARES118, che tal-volta chiamano per informazioni di servi-zio non utilizzando la radio che a tal fineè loro assegnata.La comunicazione con gli utenti risulta avolte complessa e faticosa. Spesso lechiamate hanno un tono di pretesa ed iconsigli vengono interpretati come un’in-trusione. In relazione alle difficoltà oraesposte, gli operatori provano sentimentidi impotenza ed inutilità. Il disagio sperimentato genera in loroostilità nei confronti degli utenti, ma an-che del sistema che non mette in condi-zioni di rispondere adeguatamente alleeffettive urgenze, esponendo così al falli-mento professionale. Si sentono pocoapprezzati, esposti all’arbitrio altrui e nontutelati: l’interesse e la passione per ilproprio lavoro si affievoliscono e l’empa-tia verso gli utenti rischia di cedere il pas-so all’indifferenza.

La scelta del tipo d’interventoLa necessità di agire in tempi brevi el’esigenza di evitare il rischio di subireconseguenze legali determina la tenden-za ad inviare sempre l’ambulanza a chiinsistentemente la chiede, anche quandonon lo si reputa necessario. Ciò inducegli operatori del triage a pensare di svol-gere una professione da personale dicall-center: l’unica discrezionalità deci-sionale che si riconoscono è l’attribuzio-ne di un codice colore di priorità di inter-vento.La gestione del percorso assistenziale L’operatore addetto al triage telefonico sioccupa di un frammento dell’interventocomplessivo di soccorso e ciò può esse-re causa di stress emotivo. Può accade-re che si adoperi su una chiamata moltoimpegnativa, in termini di gestione opera-tiva ed emotiva (ad es. un codice rosso incui egli mantiene i familiari al telefono):tuttavia, una volta trasferito l’intervento aldispatch, formalmente egli non ne sa piùnulla. Ottenere delle informazioni sul se-guito della propria attività è interesseesclusivo ed occasionale dell’operatore.Sono rari i momenti formalizzati di con-fronto, condivisione e supervisione. Ciò,oltre a non consentire la percezione delproprio operato come importante ed utilealla gestione complessiva del pazientecritico, ne ostacola l’elaborazione emoti-va. La comunicazione con il territorio e gli en-ti esterniUna delle difficoltà principali riportata da-gli operatori di dispatch è il comunicarecon i colleghi delle postazioni territorialiper richiedere l’invio del mezzo sul luogodell’evento. Questa operazione può de-terminare lunghe trattative: ciò generastress nell’operatore prima e durante lachiamata. La scelta della postazione edel mezzo da inviare si basa su critericodificati in relazione alla sua vicinanzaal luogo dell’evento ed ai tempi previstiperché questo venga raggiunto. Talescelta è tuttavia talvolta condizionata daalcune disfunzioni organizzative, quali:prolungati blocchi delle ambulanze adopera dei pronto soccorso ospedalieri ela mancata trasmissione dell’orario di fi-ne intervento dai mezzi di soccorso, checontinuano così erroneamente a risulta-re non disponibili. Gli operatori delle postazioni, non cono-scendo a fondo le difficoltà che incontra-no i colleghi della CO, criticano alcune

loro scelte circa i mezzi da inviare e ri-tengono che essi non effettuino un filtroadeguato sulle chiamate in arrivo, disin-teressandosi delle ripercussioni delle lo-ro azioni su chi è impegnato direttamen-te nelle attività di soccorso. Gli operatoridel dispatch sono conseguentementeportati, quando richiedono l’invio delmezzo per un soccorso, ad adottarestrategie mirate a disporre il personaledelle postazioni in una condizione emoti-va favorevole alla trattativa.Si comprende quindi come l’attività di di-spatch richieda una buona dose di in-ventiva e flessibilità, in un contesto in cuisi deve agire in fretta e bene perché ilsoccorso sia efficace e non si corrano ri-schi legali, e come ciò possa facilmentedeterminare nell’operatore una condizio-ne emotiva di stress.Un’ulteriore causa di disagio è la comu-nicazione, a volte problematica, con isoggetti esterni istituzionali (polizia, ca-rabinieri, vigili del fuoco, polizia munici-pale, etc.), legata prevalentemente adincomprensioni sulle reciproche compe-tenze e sul linguaggio utilizzato.La comunicazione tra gli operatori di COIn relazione alle modalità con le qualivengono gestiti e codificati i soccorsi,emergono talvolta tra gli operatori deltriage e quelli del dispatch incomprensio-ni e malumori, che rendono difficoltosala comunicazione e possono essere cau-sa di disagio emotivo.L’ambiente di lavoroLe caratteristiche strutturali degli am-bienti di lavoro rappresentano senz’altroun elemento di disagio per gli operatoridi CO. La sala dove operano è priva di fi-nestre che consentano alla luce naturaledi filtrare ed è suddivisa in box che osta-colano la comunicazione, richiedendo lospostamento del personale da un am-biente all’altro e l’utilizzo di toni di vocepiuttosto elevati; a ciò si aggiunge l’ina-deguatezza degli spazi comuni dedicatialla socializzazione e l’assenza di unamensa dove poter consumare i pasti.L’organizzazione del lavoroLe turnazioni molto lunghe, a causa del-l’esiguità delle risorse umane a disposi-zione, e l’inadeguata regolamentazionedelle pause, alla cui gestione sono pre-posti i capiturno, costituiscono un’ulterio-re causa di disagio. I capiturno, inoltre,cui sono affidati sempre gli stessi teamdi persone, devono destreggiarsi conuna trama di relazioni e di prassi conso-

L’operatore di centrale operativa 118: DISAGIO PSICOLOGICO e PROSPETTIVE D’INTERVENTO

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lidate nel tempo e sulle quali è estrema-mente difficile influire.

4.3 Comportamenti e dinamiche os-servateLo stile ed i contenuti prevalenti degliscambi verbali e non verbali sono piut-tosto disimpegnati e la comunicazionesugli interventi in corso o effettuati èsporadica e frammentaria. Inoltre, la ca-renza di momenti formalizzati di con-fronto sulle procedure standardizzaterelative alla gestione dei soccorsi daseguire in centrale operativa, fa si chele informazioni vengano trasmesse uti-lizzando toni di voce piuttosto elevati espostandosi da un ambiente all’altro, la-sciando così scoperta la propria posta-zione. Più di frequente, sono gli opera-tori del triage a spostarsi nella zona di-spatch, allo scopo di scambiare com-menti e informazioni con chi sta gesten-do operativamente l’intervento avviato. L’insieme dei fattori precedentementeesposti induce gli operatori a solidariz-zare tra loro condividendo sentimentinegativi verso gli utenti, l’organizzazio-ne e i soggetti istituzionali esterni, vero-similmente per attenuare e rendere tol-lerabili emozioni altrimenti difficilmenteaccettabili.Va inoltre rilevato come, su queste di-namiche, incida probabilmente unacomponente di conformismo sociale:uniformarsi a codici non scritti di com-portamento consente di evitare l’ostra-cismo da parte del gruppo, che risulte-rebbe di complessa gestione emotiva. Aciò si aggiunge un atteggiamento di dif-fidenza nei confronti di ciò che esuladalla routine consolidata, anche nel ca-so di interventi volti ad apportare uncontributo migliorativo all’organizzazio-ne del lavoro.Vi sono poi un’insieme di comporta-menti che manifestano il bisogno diestraniarsi per sottolineare a se stessi eagli altri che il lavoro in cui si è impe-gnati non realizza le proprie aspirazionied è causa di frustrazioni dalle quali cisi vuole tutelare. E’ ipotizzabile chel’operatore percepisca una forte discre-panza tra ciò che ritiene dovrebbe com-portare la sua professione ed il propriovissuto lavorativo: lo stile tendenzial-mente trascurato dei rapporti e del mo-do di lavorare adottato da alcuni sem-bra espressione di un “lasciarsi andare”legato all’insoddisfazione per la propria

esperienza lavorativa. Dal disagio chene deriva originano verosimilmente isentimenti di ostilità sperimentati neiconfronti dell’Azienda.Al fine di rappresentare sinteticamentegli elementi di malessere emotivo os-servati e riferiti dagli operatori, è stataeseguita l’analisi causale mediante ildiagramma di Hishikawa o di “causa-ef-fetto”(Figura 1).

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONIDa quanto emerso durante l’osserva-zione si evince come il disagio psicolo-gico diffuso tra gli operatori di CO con-figuri un unico modello psicopatologicodominante, riconducibile alla sindromedi burn out, in cui convergono, organiz-zandosi, talune manifestazioni di sinto-matologia ansiosa e depressiva. Se ilburn out risulta la patologia lavorativaprevalente, ciò non esclude la compre-senza di altre forme di sofferenza psico-logica, che sono tuttavia riconducibili adun unico quadro psicopatologico, cosic-ché appare particolarmente complesso– e forse di dubbia utilità - stabilire “co-sa preesiste a cosa”. Non sembra inol-tre di secondaria importanza l’influenzadel contesto sociale sullo sviluppo delleproblematiche psicologiche: le dinami-che di gruppo fungono infatti da cataliz-zatore di disturbi più indeterminati o diminore entità.Un aspetto da rilevare è la notevole ca-pacità di tutto il personale della CO diadattarsi a condizioni strutturali ed or-ganizzative disagevoli, colmando even-tuali carenze attraverso il ricorso aduna buona dose di creatività, abilità diproblem solving (Spagnulo, 2004; Gattiet al, 2008), disponibilità individuale ecooperazione. Inoltre, va segnalato co-me elemento positivo la volontà manife-stata dagli operatori di confrontarsi, col-laborare ed esprimere la proprie rifles-sioni in merito a ciò che si potrebbe fa-re per migliorare l’organizzazione dellavoro.E’ ipotizzabile che la presenza o l’as-senza di alcune caratteristiche indivi-duali possa agevolare (fattori di rischio)o contrastare (fattori protettivi) il burnout negli operatori.Fattori protettiviUna visione obiettiva delle potenzialitàe dei limiti del proprio lavoro; una stabi-lità emotiva di base; una situazioneeconomica sufficientemente positiva;

un contesto familiare che offra un so-stegno affettivo; interessi al di fuori del-l’ambiente lavorativo; competenze pro-fessionali e comunicative specifiche peril lavoro svolto; una precedente espe-rienza lavorativa; il sentirsi parte inte-grante di un’organizzazione che haun’importante finalità sociale; l’averpreso servizio al 118 da poco tempo.Fattori di rischioUna forte idealizzazione del proprioruolo professionale ed aspettative ec-cessive agli inizi del percorso lavorati-vo; un atteggiamento perfezionisticoche conduce a considerare come inac-cettabile sbagliare; preesistenti disturbipsicologici; conflittualità familiari; diffi-coltà economiche (possono spingere asostenere pesanti carichi di lavoro); as-senza di interessi al di fuori del lavoro;assenza di precedenti esperienze lavo-rative; eccessiva identificazione con ilproprio ruolo professionale; carenza dicompetenze professionali specifiche;assenza di un vissuto positivo di identi-tà aziendale.Approfondire gli elementi di disagioemotivo degli operatori di CO ed indivi-duare iniziative tese a tutelarne l’equili-brio psicofisico costituisce, quindi,un’esigenza prioritaria e indifferibile,anche in ragione dell’importanza delruolo da questi ricoperto all’interno del-l’Azienda e della rilevanza sociale diquest’ultima.Il burn out ha pesanti implicazioni nonsolo per chi ne è direttamente colpitoma anche per l’organizzazione nellaquale presta servizio, essendo causa dimaggiore vulnerabilità alle malattie, diassenteismo dal lavoro, di compromis-sione dell’efficienza lavorativa (Favret-to, 1994; Del Rio, 1990; Maslach et al,2000). Il burn out può inoltre generareun dispendioso contenzioso esterno, trachi ne è colpito e gli utenti ed i soggettiistituzionali con i quali intrattiene rap-porti di lavoro, ed interno, tra questi edi propri colleghi e/o superiori.Occuparsi di tali temi consente quindi direalizzare un reale vantaggio in terminidi recupero di efficacia e di efficienza,di risparmio economico, nonché di valo-rizzazione dell’immagine pubblica del-l’Azienda.Quanto finora esposto ha permesso diipotizzare degli interventi, descritti nellatabella 1, volti a tutelare l’equilibrio psi-cofisico degli operatori (Zani et al,

OPERATORS AT THE REGIONAL EMERGENCY MEDICAL SERVICES CALL CENTER IN LATIUM, ITALY: PSYCHOLOGICAL DISTRESS AND PROSPECTS FOR INTERVENTION

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2001), riducendo il rischio di burn out,attraverso l’incremento del senso di ap-partenenza all’Azienda, dello spirito dicorpo e delle competenze professionali.Rispetto alle iniziative delineate la dire-zione aziendale dell’ARES118 sta pro-cedendo già su alcuni fronti:a) incremento del senso di appartenen-za all’Azienda:coinvolgimento nella rivisitazione deiprocessi organizzativi aziendali di per-sonale collocato a vari livelli di respon-sabilità;b) incremento dello spirito di corpo edelle competenze:introduzione di una nuova metodologiadi lavoro attraverso la realizzazione diriunioni di revisione dei casi per proto-colli e procedure su patologie specifi-che, coinvolgendo sia il personale dellaCO che il personale delle postazioni; c) incremento delle competenze profes-sionali:implementazione di corsi sulle compe-tenze comunicative efficaci e sulla cor-retta registrazione dei dati nella cartellaelettronica; d) tutela del benessere psicofisico deglioperatori:avvio della ristrutturazione della CO coneliminazione dei box e creazione di unambiente open-space illuminato dallaluce solare;individuazione, all’interno della CO, diun ambiente comune confortevole confinalità ricreative;e) tutela del benessere psicologico:potenziamento dell’ambulatorio di psi-cologia clinica con finalità di consulen-za e supporto.Agli interventi avviati, costantementemonitorati, farà seguito l’implementa-zione di altre iniziative, confidando chel’insieme dei cambiamenti introdotticonduca ad una ricaduta positiva sulbenessere emotivo e conseguentemen-te sulla professionalità lavorativa delpersonale sanitario interessato.

Tabella 1: Interventi finalizzati ad incrementare il benessere emotivo

1 - Intervento breve (20-40 minuti), da realizzarsi su-bito dopo il verificarsi di un evento critico, volto a ri-durne la portata patogena su quanti vi siano stati di-rettamente o indirettamente esposti. Non richiede lapresenza di un esperto e viene realizzato general-mente su un gruppo di dimensioni modeste. Si basaprincipalmente sulla condivisione di informazioni visi-ve, uditive, olfattive relative ai fatti vissuti che ne per-mette una rielaborazione emotiva collettiva.2 - Intervento che, pur avendo analoghe finalità, ap-pare maggiormente strutturato rispetto al precedente.Viene realizzato in gruppo, richiede diverse ore e ne-cessita della presenza di un esperto. Può essere ripe-tuto nel tempo e va realizzato a distanza dall’eventocritico. Vengono condivisi oltre ai ricordi dei fatti an-che i pensieri, le emozioni e le sensazioni a questi le-gate.

Figura 1: Diagramma di Hishikawa: analisi delle cause del malessere emotivo degli operatori di centrale operativa

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Bibliografia

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La cefalea occupa il primo posto fra tut-te le sindromi dolorose; I’80% della popo-lazione lamenta almeno una volta in unanno questo disturbo. Vi sono molte for-me o tipi di cefalea Una prima importantediscriminazione deve essere fatta fra ce-falee sintomatiche di una malattia sistemi-ca o cerebrale (esempio: cefalea in corsodi febbre alta; cefalea da tumore cerebra-le) e cefalee primarie, le quali sono con-temporaneamente il sintomo e la malattia.La cefalea è un’evenienza estremamentecomune nel Pronto Soccorso, riguardan-do circa il 1–4,5% di tutte le visite. Nono-stante siano più di 300 le condizioni medi-che che possono causare cefalea, fortu-natamente la maggior parte delle cefaleesono benigne. Dal momento che la cefa-lea può essere un sintomo di gravi malat-tie, è importante un approccio ordinatonella diagnosi differenziale. In PS, quan-do si valuta un paziente con cefalea, il pri-mo passo consiste nell’identificare o

escludere una cefalea secondaria sullabase della storia clinica e dell’esameobiettivo generale e neurologico.Abbiamo voluto valutare l’accesso per ilsintomo “cefalea “ presso il nostro ProntoSoccorso in un periodo di undici mesi(1.1.2008 al 1.11.2008) In tale periodo abbiamo visitato 737 pa-zienti ( pari al 2,81 % dei visitati nei Boxdell’area medica) La distribuzione tra isessi è stata nel 64% di femmine e 36%di maschi (fig 1)Il tempo di permanenza in Pronto Soccor-so è stato di 6 ore e 35 minuti in media.L’età media è stata di 42, 46 anni in tota-le. La diagnosi di dimissione dei pazien-ti con cefalea è stata del 61% per cefaleaprimaria e 39% per la secondaria. (fig. 2)Nella terapia della cefalea primaria ab-biamo utilizzato soprattutto farmaci antin-fiammatori non steroidei nel 31% dei casiversus 25% dei casi della cefalea secon-daria, la metoclopramide nel 7% dei casi

versus il 5% dei casi della cefalea secon-daria, le benzodiazepine nell’8% dei casiversus il 5% dei casi della cefalea secon-daria , il protettore della mucosa gastricanel 30% dei casi versus il 22% dei casi; laterapia corticosteroidea è stata sommini-strata nell’1% dei casi versus il 2 % deicasi della cefalea secondaria (fig 3)I pazienti ricoverati sono stati il 18.6% :inviati in Neurochirurgia nel 4,4% , inNeurologia nel 46,8%, in Reparto di Me-dicina nel 24,8%, in Reparto di MalattieInfettive nel 0,7%, in Reparto di Medicinad’Urgenza nel 12,4%, in Stroke Unit nel9,5% Sono stati inviati a domicilio il65,3% dei pazienti.(Fig. 4)Abbiamo voluto esaminare quanto la sta-gionalità potesse influenzare gli accessial Pronto Soccorso per il sintomo cefaleae i grafici seguenti mostrano come i me-si di marzo e maggio ed ottobre siano imesi di maggior affluenza. (fig.5)Questo è stato già rilevato da uno studiocondotto su oltre 7000 pazienti e pubbli-cato sulla rivista Neurology da KennethMukamal del Beth Israel Deaconess Me-dical Center di Boston, Usa. Con la pri-mavera in arrivo alcuni potrebbero paga-re lo scotto del tepore del sole, infatti ilcaldo favorisce l’emicrania tra le personeche soffrono di questa malattia: il rischiodi avere un attacco sale del 7,5% per ogniaumento di temperatura di cinque gradi.Questa ricerca evidenzia l’ennesimo fat-tore scatenante dell’emicrania che si vaad aggiungere a quelli già noti come certicibi, ma non deve indurre, avvertono ineurologi, chi soffre del disturbo ad utiliz-zare le previsioni meteo per prendere pre-ventivamente farmaci contro il mal di te-sta.Concludendo dal nostro studio epidemio-logico retrospettivo, osservazionale, a

M.Suppa, E. Maffongelli, D. Curcio, M.G. Scarpellini, M. Colzi, A.Coppola, G. Giancaspro, C. Boccardo,F.Cavicchi, A. Ovani, M. Abu Takieh,A.Palma, E. Contu, S. Di Giambartolomeo, E. Bologna,F. AgugliaDipartimento Emergenza AccettazioneAzienda Policlinico Umberto I - Roma

La CEFALEAin Pronto Soccorso

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Bibliografia consultata:

“Le cefalee” Editore Springer Milano.Cap 25 pag285-292Benjamin W. Friedman, MD, MS; Daniel Serrano, MA;Michael Reed, PhD; Merle Diamond, MD; Richard B.Lipton, MD “Use of the Emergency Department forSevere Headache. A Population-Based Study”Headache 2009;49:21-30D.Grimaldi, S.Cevoli, P.Cortelli “Headache in theEmergency Department.How to handle the problem?”Neurol Sci 2008;29:S103-S106Diagnosing headache in the emergency department:what is moreimportant? Being right, or not beingwrong? European Journal of Neurology 2008, 15:1257–125Gary M. Owens, “Migraine in the Managed Care En-vironment” care protocols recognize the use of Am JManag Care. 2005;11:S68-S71J. B. Toledo, M. Riverol, E. Martínez-Vila, P. Irimia“ Cefalea en urgencias” An. Sist. Sanit. Navar. 2008;31 (Supl. 1): 75-85.Jonathan A. Edlow, Jonathan A.Edlow;Peter D.Pana-gos; Steven A. Godwin;Tamara L.Thomas; WyattW.Decker “Clinical Policy: Critical Issues in the Eval-uation and Management of Adult Patients Presentingto the Emergency Department With Acute Headache”Ann Emerg Med. 2008;52:407-436.Lawrence D. Goldberg, “The Cost of Migraine and ItsTreatment” Am J Manag Care. 2005;11:S62-S67P.Cortelli,D.Grimaldi,P.Guaraldi,G.Perillo,S.Cevoli,G.Pierangeli,F.Nonino “Raccomandazioni per lagestione delle cefalee non relate a trauma cranico nelcontesto del Pronto soccorso” Neurol Sci 2005;26:S411-S414

causa della variabilità dei sintomi e deisegni che caratterizzano il quadro clinicodella cefalea differenziare le comuni ce-falee non traumatiche primarie da formeorganiche più rare è per il medico di Pron-to Soccorso difficile e particolarmente nelsetting assistenziale dell’emergenza, do-ve il tempo a disposizione è poco e le ri-sorse sono spesso soprautilizzate. Sa-rebbe utile avere in Emergenza a dispo-sizione un algoritmo a cui fare riferimen-to.

Fig. 1

Fig. 2 Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5

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La mission del triage è quella di im-pegnarsi a rispondere alla doman-da di salute dei cittadini garanten-

do la presa in carico. La risposta offertaviene data con tempestività e nel rispettodelle priorità di salute dei cittadini.La vision del triage è quella di risponderea tutti i bisogni acuti di salute della popo-lazione, garantendo il corretto percorsoassistenziale o di cura. L’organizzazione del triage è finalizzata agarantire servizi sanitari equi, efficaci,appropriati con l’adozione di procedureche garantiscano l’esecuzione di inter-venti sanitari a tutela dei diritti di salute.Obiettivi del triage sono: assicurareun’immediata assistenza al malato inemergenza; indirizzare a visita medica ipazienti secondo codice di priorità; iden-tificare le priorità e l’area più appropriataper il trattamento; smistare i pazienti nonurgenti; ridurre i tempi di attesa; ridurre lostato d’ansia; migliorare le prestazionisanitarie del PS; valutare periodicamentele condizioni del paziente in attesa; forni-re informazioni sanitarie al paziente e al-la famiglia; mantenere l’efficacia com-plessiva della struttura di PS. (Gai,2000).Occorre precisare che il triage non riduceeffettivamente i tempi di attesa di tutti ipazienti, ma privilegia i pazienti più criticia svantaggio dei pazienti meno critici chepossono attendere tempi maggiori.Il dipartimento di emergenza e accetta-zione è il modello organizzativo multidi-sciplinare che comporta l’integrazionefunzionale delle divisioni e servizi sanita-ri atti ad affrontare i problemi diagnosticie terapeutici dei cittadini in situazioni diemergenza e/o urgenza sanitaria.

Il dipartimento di emergenza e accetta-zione (D.E.A.) costituisce il collegamentofunzionale nell’ambito del bacino di uten-za e nel territorio di competenza tra i pre-sidi territoriali ed i servizi e le divisionidell’ospedale di riferimento comunqueimpegnati nell’urgenza (Scelsi, 2008).Gli ospedali, sede di dipartimento diemergenza, al fine di rispondere al con-cetto essenziale della gradualità delle cu-re, sono individuati secondo i requisitiprevisti dal parere tecnico del ConsiglioSuperiore di Sanità in rapporto alla tipologia dei servizi ospeda-lieri erogati, al bacino di utenza, alla pre-senza di servizi territoriali, ai criteri di ac-cesso alle strutture ed alla viabilità ed al-la situazione oro-geografica del territorio.Il D.E.A. deve istituzionalmente garantireil massimo livello di assistenza possibilein relazione alle risorse secondo standardprefissati; consentire gli opportuni colle-gamenti tecnico-organizzativi dei presidisanitari deputati all’urgenza, situati nelterritorio di riferimento; razionalizzare lerisorse disponibili secondo una logicaprogrammatoria; perseguire un ottimalerapporto costi – benefici, per assicurareadeguati livelli di assistenza fin dal primointervento, anche mediante protocolli dia-gnostico – terapeutici opportunamenteverificati ed aggiornati; consentire, conopportuna programmazione, il più alto li-vello di addestramento del personale;perseguire l’umanizzazione dei rapportitra utenti e personale sanitario; introdurreil metodo della verifica della qualità dellecure prestate con opportuno sistema diaccreditamento dei servizi e di riscontrotecnico-organizzativo e culturale nel suointerno; contribuire alla educazione sani-

taria dei cittadini per un corretto uso delsistema delle emergenze sanitarie. Un’altra variabile importante nella costitu-zione di un triage all’interno di un prontosoccorso è il numero di infermieri addettia questa funzione nell’arco delle 24 ore,con possibilità di utilizzare personale am-ministrativo per il disbrigo delle attività diregistrazione dei pazienti, risposta ai faxrichiesta posti letto o personale infermieri-stico delle sale per aiutare il triagista nel-l’espletamento dei primi trattamenti e in-dagini (esecuzione di elettrocardiogram-ma, immobilizzazione arti con sospettefratture ecc.). La formazione del personale è la variabi-le che deve più di tutti sensibilizzare le di-rezioni ospedaliere. Effettuare corsi ditriage, aumentare le conoscenze del per-sonale triagista, formare nuovi infermierialla funzione di triage sono gli aspetti sa-lienti per effettuare un triage corretto.Vengono individuati varie tipologie orga-nizzative di triage: il triage non infermieri-stico, di bancone, difasico, clinico o glo-bale, spot-check triage e il triage out.I sistemi di triage sopra menzionati si dif-feriscono per vari aspetti: nelle categoriedi triage, nell’organico, nella documenta-zione richiesta, nella valutazione e rivalu-tazione del paziente e nell’inizio del tratta-mento e delle indagini diagnostiche.

IL MODELLO TRIAGE DELLA TOSCANALa Regione Toscana, attraverso un grup-po di studio incaricato e dedicato ha svi-luppato un sistema triage see and treat. Ilmodello è stato deliberato dalla Regionetoscana (delibera n. 958) e pubblicato sulB.U.R. Toscana del 2 gennaio 2008.

Cristian Vender - Infermiere DEA - PS, Ospedale San Camillo, Roma. Coordinatore BLSD - IRC - CdF Upter Sport, Roma

Organizzazione in TRIAGE

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Il “see and treat” è un modello di rispo-sta assistenziale alle urgenze minori chesta avendo rapidissima ed ampia diffu-sione nel Servizio Sanitario Inglese e cherisulta particolarmente efficace nel conte-nimento delle attese. Dal consueto triagescaturiscono due accessi distinti, uno peri casi più gravi ed uno per le urgenze mi-nori cui appartiene il see and treat pro-priamente detto.Il sistema adottato è situato di solito al-l’ingresso del pronto soccorso e ha in do-tazione personale proprio. Chi accede aquesto sistema viene accolto dal primooperatore disponibile (medico o infermie-re) il quale effettua triage fino alla codifi-ca.I pazienti ammessi a questo sistema so-no quelli inglobati in una casistica sele-zionata per appropriatezza.Una prima distinzione, prima del triagestesso, viene effettuata in casi urgenti,non urgenti e urgenze minori con la com-pleta presa in carico del paziente da par-te del primo operatore disponibile (infer-miere o medico). I vantaggi di questo sistema sono la ridu-zione dell’attesa in pronto soccorso, unuso razionale dei servizi di urgenza, unaumento della qualità percepita e la pos-sibilità di fare audit clinici per discuteredei casi più interessanti.Tra gli svantaggi elenchiamo l’elementodella visita del paziente in ordine di arrivoe non in base alla priorità clinica e il ritor-no al triage tradizionale quando l’afflussodei pazienti supera le risorse umane di-sponibili.La Regione Toscana, nelle linee di mi-glioramento dei pronto soccorsi, ha pro-mosso negli ultimi anni, importanti inter-venti per i cosidetti codici minori, che so-no quelli che vanno ad incrementare l’af-flusso di utenti nei pronto soccorsi dellaregione. L’autonomia professionale dell’infermierenel percorso see and treat trova terrenonella identificazione delle patologie chepossono essere trattate in maniera auto-noma in un contesto legislativo comun-que propositivo. Formazione e organiz-zazione rimangono i due elementi persviluppare questa tipologia di triage utiliz-zando personale infermieristico compe-tente. In ambito formativo il corso strutturatoper infermiere certificato in interventi diprimo soccorso ha la durata di 350 orecon formazione in aula e sul campo e ilconseguimento della certificazione si haal sostenimento di un’ esame finale checonsiste in prova pratica orale su situa-zioni clinico/assistenziali attribuibili al see

and treat. La definizione delle patologie appropriateal trattamento nell’area see and treat vie-ne elaborato dal gruppo di lavoro tosca-no in cinque gradi di severità delle emer-genze. I gradi di severità derivano dallagravità clinica e dal prevedibile uso di ri-sorse dei servizi di pronto soccorso.

IL MODELLO TRIAGE DEL PIEMONTELa Regione Piemonte ha elaborato lineeguida regionali condivise e validate sullamodalità del triage dopo uno studio del2003 promosso dall’ Agenzia Regionaleper i Servizi Sanitari della regione d’inte-sa con la Direzione Programmazione At-tività Sanitarie dell’Assessorato Regiona-le alla Sanità.L’indagine ha evidenziato una situazionein linea con gli attuali provvedimenti dilegge e un modello triage che rispondevaa criteri di scientificità disponibili in lette-ratura. In sintesi le varie strutture ospe-daliere della Regione, partendo da unprincipi comuni, effettuano il triage conuna pluralità di modalità e con estremaeterogeneicità. Visionati i risultati dellaricerca, è stato attivato un gruppo di la-voro composto da tutti i referenti infer-mieristici di triage dei pronto soccorsipiemontesi che hanno provveduto allastesura di linnee di indirizzo regionaliper definire criteri organizzativi comunie gestire le singole realtà locali nell’or-ganizzazione dei sistemi di triage.Il documento redatto ha lo scopo di fareun triage che risponda ai requisiti nor-mativi e abbia una base scientifica vali-da. Le linee di indirizzo sono state successi-vamente recepite dall’ assessorato re-gionale alla sanità e dopo un iter buro-cratico sono state approvate e quindipubblicate sul B.U.R. Piemonte n.20 del19 maggio 2005.E’ da annotare che è la prima volta cheun provvedimento amministrativo vieneredatto con la consulenza di soli profes-sionisti infermieri.Il punto essenziale di queste linee guidaè quello di raccomandare l’attivazione disistemi di triage in tutti i pronto soccorsiregionali, anche quelli con accessi infe-riori a 25.000 l’anno (contrariamente al-la normativa nazionale che indica il nu-mero di 25.000 accessi la base per atti-vare il triage). Il modello di riferimento è il triage globa-le fondato su una presa in carico delsoggetto in maniera olistica. I codici co-lore stabiliti per definire le priorità sonoquattro, fondati sulla stabilità delle fun-zioni vitali e sul rischio evolutivo della si-

tuazione. La rivalutazione è parte inte-grante del processo di triage e viene ri-marcata nelle linee guida approvate, in-dicando i tempi massimi di rivalutazione. La documentazione di triage è parte in-tegrante della documentazione sanitariadel paziente e deve essere compilatacon tutta cura. I protocolli di triage chevengono elaborati necessitano di unaperiodica revisione.Altro aspetto del provvedimento è la di-sponibilità di risorse materiali, tecnologi-che ed umane. La funzione di triage de-ve essere svolta a rotazione da tutti gliinfermieri appartenenti all’organico dipronto soccorso in possesso dei requisi-ti e della formazione specifica.La formazione e i sistemi di verifica so-no ulteriori pilastri del sistema triage.Per quanto riguarda la formazione spe-cifica al triage, dopo la definizione deirequisiti necessari per potervi accedere,vengono individuati due livelli: viene de-finito un percorso abilitante che si com-pone di un corso teorico di almeno 24ore residenziali nel quale si devono trat-tare argomenti riguardanti la metodolo-gia di valutazione del triage, gli aspetticlinici delle principali patologie che af-fluiscono al pronto soccorso, gli aspettirelazionali, gli ambiti di responsabilitàdel triagista, i protocolli e le modalitàoperative specifiche della struttura. Successivamente, superato il corso, èprevisto un periodo di affiancamentocon un collega esperto di triage cheavrà il compito di abilitare l’infermiere al-la funzione di triage. (Marchisio, 2005).La formazione permanente viene svilup-pata non solo con incontri tematici di ap-profondimento clinico o metodologicoma anche con audit clinici su casi e inci-denti critici nell’ottica del risk manage-ment e della riduzione della possibilitàd’errore.La valutazione a livello regionale avvie-ne con una metodologia condivisa daiprofessionisti e che prende in conside-razione gli aspetti strutturali, la gestionedei processi, l’organizzazione delle atti-vità e le performance professionali.L’intero sistema di valutazione si fondasull’individuazione di setting critici su cuivengono effettuati interventi correttivi odi rinforzo. Il sistema triage Piemonte, risulta esse-re ad oggi, il sistema che valorizza laprofessione infermieristica nell’aspettodi autonomia e responsabilità, con un si-stema legislativo regionale che confer-ma l’importanza e riconosce il professio-nista infermiere come l’unico operatoreidoneo a fare triage intra ospedaliero.

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IL MODELLO TRIAGE DEL LAZIOIl modello triage del Lazio, prevede l’ela-borazione di un manuale pratico sull’usodel triage nelle strutture d’emergenza delLazio per adeguare e uniformare i modelliorganizzativi ospedalieri ai riferimenti nor-mativi in materia di triage. La necessità di avere un modello triagenasce già da una delibera regionale del 22dicembre 1998: Attivazione del SistemaInformativo Emergenza Sanitaria, integra-zione del Sistema Ospedaliero. Questadelibera afferma l’obbligatorietà della tra-smissione alla Regione di dati relativi al-l’attività di pronto soccorso, sia ammini-strativa che clinica e per la prima volta ap-pare la codifica di Triage.Tra il 1999 e il 2000, tramite l’Agenzia diSanità Pubblica (A.S.P.) parte il sistemaG.I.P.S.E. (gestione informazioni prontosoccorso ed emergenza) con due scher-mate dedicate al triage.Successivamente nell’agosto 2000, la de-libera regionale 1915 afferma che le remu-nerazioni delle prestazioni di pronto soc-corso devono essere definite in base alcodice colore di priorità assegnato dall’in-fermiere di triage.Nel piano sanitario regionale 2002-2004,si legge che l’applicazione sistematica deltriage è il modello d’indirizzo e selezionedel paziente e sono previsti incentivi allaintroduzione del triage in tutte le strutturedi emergenza utilizzando anche la levadella remunerazione.La conclusione di uno studio effettuato su-gli aspetti clinico - assistenziali del triagenel Lazio, effettuato per conto dell’ A.S.P.Lazio nel novembre del 2000, evidenziavala mancata attivazione del triage in trestrutture del Lazio con oltre 25.000 acces-si l’anno; un triage attivo h 12 in dueD.E.A. di I livello e 4 P.S.; un utilizzo deltriage di bancone nel 64% delle strutture;

percorsi formativi disomogenei, l’assenzadi protocolli validati dal dirigente del servi-zio nel 43% dei casi, l’inadeguatezzastrutturale nel 21% e l’impiego di persona-le con anzianità inferiore allo standard nel26%.Le proposte fatte furono la costituzione diun gruppo di lavoro interprofessionale peruniformare i percorsi formativi ed organiz-zativi - gestionali, inserire il triage nella va-lutazione dell’accreditamento istituzionale,promuovere il processo di MiglioramentoContinuo della Qualità con integrazionefra triage intra ed extra ospedaliero. (Pro-getto Formazione Triage modello Lazio,2002)Il gruppo di lavoro interprofessionale (amaggioranza medico) si organizzò in unacollaborazione con la Società Italiana Me-dici Emergenza Urgenza, nell’elaborazio-ne di un manuale di triage, l’elaborazionedi una nuova scheda triage e un riconosci-mento del triage nel piano formativo regio-nale.Nel Gennaio 2007, in collaborazione con ilMinistero della Salute e la Regione Ligu-ria, l’A.S.P. Lazio partecipa al ProgettoMattoni sulla definizione del sistema di va-lutazione dei pazienti (triage P.S. e 118).

Il progetto “Mattoni del S.S.N.”Dal 2002 è in corso la progettazione e im-plementazione di un nuovo sistema infor-mativo sanitario il cui obiettivo è di costrui-re strumenti di misura del bilanciamentotra qualità e costi.Per avere informazioni corrette e chiare equindi prendere decisioni efficaci, efficien-ti ed appropriate è necessario una inter-connessione di dati ad ogni livello di go-verno: nazionale, regionale, provinciale eaziendale.La nascita quindi di un vero e proprio pro-gramma in cui sono coinvolte direttamen-te le Regioni organizzate in 15 gruppi diprogetto su alcuni obiettivi sanitari.L’obiettivo Pronto soccorso e Sistema 118fa parte dei 15 gruppi di progetto.Il progetto Pronto soccorso e sistema 118,nasce dall’importanza di ricorrere ad unefficace processo di valutazione dei pa-zienti con la necessità di razionalizzareed ottimizzare l’intervento medico e didisporre un sistema sufficientementeflessibile, in grado di rendere ed assicu-rare una adeguata selezione dei pazien-ti in attesa in relazione all’urgenza del-l’assistenza necessaria. Il documento, si propone quindi di indivi-duare un modello di triage ospedaliero epre - ospedaliero ed un sistema di codi-fica uniforma utilizzabile a livello nazio-nale.Pronto Soccorso - Ex Osp.S.Giacomo - Roma

IL MODELLO TRIAGEBRITANNICO

Il sistema inglese di triage ha avuto isuoi inizi alla metà degli anni ’80 pren-dendo spunto da alcuni sistemi di sele-zione e valutazione dei pazienti adotta-ti negli Stati Uniti.Il sistema variava da ospedale ad ospe-dale non esistendo una uniformità dicomportamento. Grazie alla Carta deidiritti del paziente (1992), si stabilì chetutti i pazienti venivano accolti e triagia-ti entro cinque minuti dall’arrivo in P.S.La valutazione sulla porta del processodi triage che conosciamo oggi, prendequindi il sopravvento con non pochi pro-blemi sul mantenimento degli standarddi qualità. Dal 1997 grazie ad un grup-po di operatori sanitari, prese piede ilsistema tutt’oggi adottato in tutto il Re-gno Unito: Il Manchester Triage Sy-stem. Dal sintomo principale si segueuna flow chart con elementi decisionalifino ad arrivare alla codifica di prioritàdel paziente.Questo sistema universale e standar-dizzato permette anche di avere datistatistici più accurati e soprattutto è uti-le per “parlare la stessa lingua” e defini-re quindi le criticità e le eccellenze. Re-centemente in Inghilterra vengono de-terminati anche i tempi massimi di per-manenza del soggetto all’interno dei Di-partimenti d’emergenza complice un in-cremento degli accessi nei pronto soc-corsi (Neil, 1999).

IL MODELLO TRIAGECANADESE

Il triage in Canada si sviluppa attraver-so una Canadian Triage Acuity Scaleper standardizzare il triage a livello na-zionale. Il riferimento è il triage austra-liano (NTS) da cui è partito il progettoper il sistema di triage canadese. Il mo-dello di riferimento nazionale fu pubbli-cato alla fine del 1999. Successivamen-te sono state presentate le linee guidaspecifiche per l’emergenza pediatrica.In sostituzione dei codici colore abbia-mo cinque livelli di priorità: livello 2emergenza, livello 3 urgenza, livello 4urgenze minori, livello 5 prestazioni am-bulatoriali. Importante è stato lo stabili-re il tempo entro il quale il paziente de-ve essere visitato. La scala utilizzata tratutti i sistemi menzionati è forse quellache più risponde alle necessità dei pa-zienti e ha trovato un accordo tra i diffe-

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renti professionisti (Ospina, 2006).

IL MODELLO TRIAGENEGLI STATI UNITI

Il modello adottato negli Stati Uniti è frai più significativi ed ha sviluppato il si-stema di triage in molte nazioni tra cui ilnostro paese.Esiste un sistema di triage eterogeneosia nei metodi che nei sistemi di valuta-zione e quindi di codifica.Il triage globale rappresenta il 65% disistema di triage utilizzato e ancora unavolta è l’infermiere a svolgere questafunzione nell’89% dei casi (EmergencyNurses Association, 2001). Nella stessaricerca si evince che nei 2/3 dei prontosoccorsi americani è stato utilizzato ilsistema a tre livelli di priorità: emergen-za, urgenza, non urgenza.

IL MODELLO TRIAGEOLANDESE

E’ un sistema univoco e integrato di tria-ge. Ovunque il paziente si presenti con lasua richiesta di prestazione sanitaria ur-gente, verrà valutato secondo un unico si-stema di triage e protocolli che garanti-scono la qualità della prestazione.

In pratica, il paziente giusto riceve curegiuste, per motivi giusti, nel posto giustoin un percorso e dal professionista giustoe soprattutto in tempi rapidi. Le risorsevengono utilizzate in modo ottimale e illinguaggio è uniforme e chiaro per i pro-fessionisti e utenti. Il sistema di triageadottato è il Nederlands Triage Syste-em (Feller, 2008).

IL MODELLO TRIAGEAUSTRALIANO

Il sistema di triage australiano è ca-ratterizzato dalla stima dell’urgenzaclinica su cinque livelli. Il sistema uti-lizzato è l’ Australian Triage Scale,utilizzata anche dai canadesi in unaprima stesura del modello di triagenazionale.Il triage si basa su una valutazioneiniziale per determinare quanti minutiil paziente può attendere le cure daparte del medico. Per ogni livello è in-dicato il tempo massimo che il pazien-te può trascorrere senza cure medi-che. Vengono indicate le condizionisintomatologiche e assegnato il codi-ce di priorità.

Cnv ambulance (2006, aprile). Nederland triage systemop komst. http://cnvambulancezorg.web-log.nl/cnvam-bulancezorg/2006/04/nederlands_tria.html.

4. URGENTIECLASSIFICATIEcategorie urgentie klinische prioriteitU 1 levensbedreigend onmiddellijkU 2 spoed zo snel mogelijkU 3 dringend snelU 4 niet-dringenden geen tijdsdruk,

wel dezelfde dagU 5 advies volgende werkdag

Bullard, MJ. (2008, Marzo). Revisions tot he Cana-dian Emergency Department Triage and Acuity Sca-le adult guidelines. CJEM-JCMU 10 (2), 136-142.

Level I ResuscitationLevel II EmergentLevel III UrgentLevel IV Less UrgentLevel V Non Urgent

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L’incarico ad un nuovo coordinatoredi unità, o struttura, non rappresen-ta solo un semplice avvicendamen-

to, ma un fattore di cambiamento e nova-zione, foriero di aspettative e timori.Condividere subito con chiarezza, qualestile gestionale si intende adottare, qualiobiettivi fissare e quali modalità per rag-giungerli, è una valida strategia di approc-cio. Per questo l’incontro di presentazionedel nuovo coordinatore, da parte del re-sponsabile medico della Struttura di Pron-to Soccorso e del responsabile infermieri-stico del Dipartimento di Emergenza, èun’occasione ottima per precisare subito,e sinteticamente, sia la mission infermie-ristica e assistenziale, che la vision del-l’infermiere coordinatore. In questo casola prima è stata imperniata sulla “centrali-tà della persona assistita, a cui garantiretanto l’attenzione ed il rispetto, quanto lamigliore qualità assistenziale”, la secondasul principio di “capitalizzare la risorsaumana” tanto in termini di valorizzazione,quanto di ricerca continua delle miglioricondizioni di lavoro, come: sicurezza eclima lavorativo, opportunità e crescitaprofessionale, gratificazione e soddisfa-zione personale.Dichiarata la “filosofia” ovvero il “modellogestionale” (management) 1 che oriente-rà le scelte e gli interventi organizzativi, sipassa alle fasi dell’analisi, della determi-

nazione degli obiettivi di breve e mediotermine, della partecipazione, dell’adozio-ne degli interventi e della verifica dei risul-tati raggiunti. 2

Un coordinamento che intende investiresulla “risorsa umana” e stimolare un per-corso di crescita può utilmente seguire al-cuni “passaggi” per conoscere i fattori diinput, delineare alcuni output ed attivare inecessari processi di attuazione e di veri-fica dei risultati raggiunti:• iniziare a conoscere le risorse umane

coordinate;• analizzare il modello organizzativo del

servizio;• identificarne i problemi principali;• adottare gli interventi correttivi;• attivare percorsi di miglioramento conti-

nuo della qualità;• valorizzare il capitale umano.Tra i possibili approcci organizzativi, inquesto caso è stato scelto quello del-l’empowerment, che prevede sia il coin-volgimento consuntivo, che quello orga-nizzativo del personale, infermieri eoperatori socio sanitari. 3

Con la parola empowerment, gli anglo-sassoni indicano un’azione mirata a“rendere abili e capaci di” (letteralmenteil verbo to empower significa: “conferirepotere, concedere autorità” 4). Spesso ininfermieristica, così come in psicologia,si usa l’empowerment per aumentare le

capacità di una persona assistita, ovve-ro dei suoi familiari.5 Per esempio difronte al bisogno assistenziale (come lochiamerebbe V. Henderson), o all’ineffi-cace o disfunzionale risposta umana alproblema di salute (come direbbe, inve-ce, M. Gordon), manifestato dai genitoridi un neonato prematuro estremo rico-verato da dieci settimane in Terapia In-tensiva, ben descritto dalla diagnosi in-fermieristica di “Compromissione delruolo genitoriale, correlata a ospedaliz-zazione prolungata di neonato per pre-maturità”, tra gli interventi infermieristiciper perseguire alcuni possibili obiettiviassistenziali (Attaccamento genitore-bambino, Prestazioni di ruolo, Ruolo ge-nitoriale, Coping)6 figurano strategie in-fermieristiche - basate su un modello diempowerment - per aiutare i genitori adacquisire o accrescere comportamentidi ruolo, promuovere l’autodetermina-zione, stimolare le capacità di prenderedecisioni, favorire l’autoefficacia, ecc.7

Analogamente nel campo della scienzaorganizzativa l’empowerment viene uti-lizzato per favorire “una diffusa respon-sabilizzazione dei professionisti nellascelta delle modalità con le quali impo-stare il lavoro…, nel definire le strategiedi miglioramento della qualità delle loroprestazioni…, sprigionare le potenzialitàdi autoregolazione e di adattamento…”.8

Un nuovo incarico di coordinamento in unanuova struttura rappresenta per un infermierecoordinatore una nuova sfida da raccogliere,una nuova opportunità professionale, certa-mente una nuova stimolante occasione. Analo-gamente altrettante aspettative, così comepossibili “timori”, possono pervadere anche glioperatori della struttura interessata. Con que-sta consapevolezza, in occasione dell’avvicen-damento nel coordinamento del servizio diPronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera diPerugia, l’Autore, infermiere con decennaleesperienza clinica in infermieristica di Emer-genza (Pronto Soccorso e 118) e quinquenna-le esperienza gestionale in coordinamento diarea critica (T.I.N.-Terapia Intensiva Neonata-le), ha operato alcune precise scelte di approc-cio. Nel presente lavoro vengono presentate lestrategie gestionali adottate, la metodologiaoperativa utilizzata ed i primi risultati raggiunti.

EMPOWERMENT EMPOWERMENT in Pronto Soccorsoin Pronto Soccorso

Nicola RamacciatiInfermiere Coordinatore, S.C. di Pronto Soccorso –Accettazione – Osservazione Breve Intensiva, Azienda Ospedaliera di Perugia

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Materiali e metodiIl primo step operativo prevede l’ini-ziale “conoscenza” del capitaleumano del reparto. A tal fine è stataelaborata una “Scheda Personale:Infermieri-O.S.S.” utile alla ricogni-zione dei singoli profili professionalie personali, nonché dei livelli/per-corsi formativi inerenti gli ambitispecifici dell’infermieristica di emer-genza e pronto soccorso (Fig.1).La “Scheda Personale”, quale stru-mento conoscitivo, oltre ai dati utiliper descrivere la composizione ana-grafica del personale per sesso, etàe provenienza, fornisce informazioniutili a delinearne tanto il profilo pro-fessionale, come: il titolo di studio(formazione superiore di I o II grado,università); i titoli professionali dibase (diploma professionale, diplo-ma universitario, diploma di laurea)e quelli specialistici (master in areacritica, coordinamento, laurea magi-strale, altre lauree); la formazionepost-base in infermieristica di areacritica (BLS-D, P.-BLS, PHTC,ACLS, Triage, ecc.); i titoli di carrie-ra (anzianità lavorativa, anni di ser-vizio in PS/DEA) quanto il profilopersonale, come: il livello di motiva-zione a lavorare in P.S.; il livello digratificazione; i punti di “forza” ed ipunti di “debolezza” della propriapersonalità. Per favorire una descri-zione autentica del proprio profilo, èstata garantita a tutto il personale lamassima riservatezza sia nella fasedi somministrazione della scheda,che nella successiva analisi ed ar-chiviazione. L’Infermiere Coordina-tore ha, infatti, consegnato e ritiratosingolarmente e personalmente leschede, assicurato l’anonimato nel-la fase di presentazione dei risultati,garantito la custodia dei dati. Simul-taneamente è iniziata una cono-scenza “diretta” sia del personale,che delle problematiche principalidel servizio, attraverso una verifica“sul campo” nei vari ambiti operavidel servizio di Pronto Soccorso. Peralcuni giorni, infatti, l’Autore si è au-to-assegnato, nei diversi turni, ai va-ri compiti operativi del servizio: assi-stenza infermieristica nell’area inter-nistica, in quella traumatica, salaemergenze, triage, osservazionebreve intensiva. Esperire sul campoi problemi ed i carichi di lavoro, non-ché il “clima” di reparto è un validometodo per l’analisi personale delle“criticità” ed i “problemi” del servizio.

Un metodo necessario, ma non suf-ficiente, infatti, lo stile partecipativoprevisto nell’empowerment, richiedeil coinvolgimento diretto del perso-nale per: facilitare la “lettura” deiproblemi, suggerire le possibili “so-luzioni”, ma soprattutto, favorirel’“adesione” agli interventi correttiviprospettati. Per questo è stato con-segnato contestualmente alla“Scheda Personale”, anche un“Questionario sulle problematiche direparto”(Fig.2), che prevede tre dif-ferenziati gradi di analisi: a livello di servizioa livello di assistenza infermieristicaa livello personale.Ogni sanitario ha risposto indicandoin ordine di priorità decrescente: itre problemi principali del servizio, itre problemi principali infermieristici,i tre limiti personali incontrati più fre-quentemente nel proprio agire pro-fessionale. Le date di riconsegnadel questionario ed il relativo repor-ting sono state stabilite a 15 e 30giorni.Un’apposita riunione di reparto fis-sata ad un mese è servita sia per il“rapporto” sulle criticità emerse, siaper stabilire i primi interventi orga-nizzativi.Per rendere più “fruttuosa” possibilela riunione, è stata scelta la tecnicadel brainstorming per l’individuazio-ne delle soluzioni. L’infermiere coor-dinatore, in qualità di moderatoredella riunione, infatti, dopo aver bre-vemente illustrato i risultati emersidal “Questionario sulle problemati-che” aggregati per frequenza, ha in-dicato le tre criticità prioritarie sullequali concentrare l’attenzione ed in-vitato “tutti” i presenti a proporre leloro soluzioni.Al termine della “partecipata e con-vulsa” fase propositiva, sono stateselezionate le migliori soluzioni econcordata l’adozione operativa.Nella sintesi finale il coordinatore hafissato gli obiettivi e stabilito gli in-terventi operativi a breve e a mediotermine, concludendo ringraziandotutto il personale di assistenza, in-fermieri e O.S.S., sia per la disponi-bilità accordata, sia per la puntualitàe la precisione dimostrata - tantonella fase di indagine, che nel con-fronto diretto in riunione - sia per laspiccata capacità di analisi. Il “re-port finale” è stato inoltrato alla dire-zione infermieristica ed al responsa-bile del reparto.

Fig. 1 Scheda Personale Infermieri - OSS

Fig. 2 Questionario Problematiche di reparto

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DiscussioneLa forte esigenza manifestata, nelle diver-se occasioni di confronto, di miglioramen-to della qualità del “clima” lavorativo e lamarcata disponibilità di tutti ad intrapren-dere azioni per un miglioramento qualita-tivo nei propri e specifici ambiti di compe-tenza è un presupposto necessario, senon indispensabile, per avviare un per-corso di miglioramento della qualità e peraccrescere la “spinta motivazionale” e le“aspettative” del personale. Per questo ilpasso successivo nel processo di empo-werment è stato quello di proporre un pro-getto strutturato di Miglioramento Conti-nuo della Qualità (M.C.Q.) del ProntoSoccorso. Il progetto, che coinvolge tra-sversalmente tutto il personale di assi-stenza, si articola in cinque aree distinte:Organizzazione attività esterne, QualitàPercepita, Qualità dell’Assistenza, Docu-mentazione, Logistica-manutenzione. Perogni area è stata prevista la costituzionedi un gruppo di lavoro che si occupa del-lo sviluppo di alcuni specifici progetti.La proposta è stata accolta positivamentee tramite apposita scheda è stata raccol-ta l’indicazione del gruppo di lavoro scel-

to da parte di ogni operatore assistenzia-le del Pronto Soccorso. (Tab. I) Dopo lacostituzione dei gruppi di lavoro è statachiesta la disponibilità, tramite libera can-didatura, a svolgere il ruolo di “facilitatore”di progetto, quale punto di riferimento e diraccordo con l’infermiere coordinatore,che svolge per ogni area, oltre alla funzio-ne di facilitatore, anche quella di “supervi-sore”. Per valorizzare la “risorsa umana”del P.S., la possibilità di presentarsi è sta-ta offerta a tutto il personale di assisten-za, ma sono stati comunque esortati i col-leghi con percorsi di formazione superio-re (master e laurea magistrale) a “riversa-re” ed “a mettere a disposizione” del re-parto le competenze acquisite. (Tab. II)Durante un’apposita riunione, i parteci-panti hanno espresso e accolto le diversedisponibilità Nelle settimane successiveogni facilitatore ha coinvolto i colleghi delprogetto nelle diverse fasi realizzative,senza mai trascurate il momento dellapartecipazione trasversale a tutti i colleghidel Pronto Soccorso. Questo, se da un la-to ha consentito e consente di coinvolge-re tutto il personale e trasferire comples-sivamente i risultati ottenuti, è utile per

creare un clima di “emulazione” tra i varigruppi. Fondamentale in queste fasi è ilruolo dell’infermiere coordinatore, che investe di supervisore deve assolutamenteevitare che si scivoli nel possibile clima di“competizione”. I più moderni approcci almanagement gestionale muovono seriecritiche allo “spirito di competizione” an-cora oggi utilizzato in molti contesti azien-dali per agire sulla componente “motiva-zionale”, in quanto molto spesso mostra-no un effetto boomerang, che finisce per“demotivare” irrimediabilmente, chi nellacompetizione non riesce ad emergere inmaniera vincente. Pur evidenziando le di-verse capacità e considerando le varie“velocità” dei componenti del gruppo pro-fessionale, il bravo coordinatore, devepuntare alla crescita di tutta la compagineed innalzare il livello di risposta comples-sivo, tenendo “agganciati” anche chi sten-ta a tenere il passo con gli altri. Ad oggitutti i progetti sono in piena realizzazione.Nei mesi di aprile-maggio saranno effet-tuati i primi corsi pilota di primo soccorsoin alcune seconde classi di un istituto tec-nico-professionale di Perugia, gli istruttorisono i componenti del Progetto:

Tab. I Organigramma dei Progetti

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Area 1. Organizzazione attività esterne:a) Corsi sul primo soccorso nelle scuole.Il 29 maggio si svolgerà la prima edizionedel corso ECM: “Il Triage infermieristicoIntraospedaliero attuato attraverso l’anali-si del Processo Assistenziale” che vedeimpegnati nell’organizzazione e docenzagli infermieri del Progetto: Area 1. Orga-nizzazione attività esterne: b) Organizza-zione Convegni/Corsi. Il facilitatore delProgetto: Area 1. Organizzazione attività

esterne: c) Pubblicazioni scientifiche, ol-tre al presente lavoro, sta supervisionan-do la stesura degli elaborati per la pre-sentazione dei risultati di ricerca prodottiin alcuni dei progetti attivati, da proporread alcune riviste professionali a caratterelocale o nazionale. Il Progetto: Area 2.Qualità Percepita: a) Customer Service &Satisfaction ha terminando l’elaborazionedel questionario di gradimento per gliutenti ricoverati in Osservazione Breve e

per quelli del Pronto Soccorso ed attendel’approvazione dell’Ufficio Qualità-URPper avviare l’indagine. Il gruppo del Pro-getto: Area 2. Qualità Percepita: b) Acco-glienza e Fruibilità delle strutture, oltre adaver predisposto la nuova cartellonisticanei locali del P.S., sta provvedendo, tra-mite sponsorizzazione, al maxidisplay in-formativo installato nella sala di attesadell’area triage, che nel palinsesto previ-sto, oltre a brevi spot pubblicitari e allenews, fornirà istruzioni sul funzionamentodel pronto soccorso e brevi interventi, acura degli operatori del P.S., di educazio-ne sanitaria sul primo soccorso. Perquanto attiene l’Area 3. Qualità dell’Assi-stenza: a) Risk management, oltre allapartecipazione a specifici corsi ECM, inoccasione di un evento “near missing” do-po l’incident reporting è stato condotto unaudit coinvolgendo tutto il personale. Ilgruppo Area 3. Qualità dell’Assistenza: b)Rischio Occupazionale, dopo aver avvia-to alcuni interventi di “sensibilizzazione”sul rischio Infettivo aereo, percutaneo emucocutaneo, ha recentemente conclusouno specifico studio/testing sui Dispositividi Sicurezza, che ha visto impegnati inqualità di tester tutti gli infermieri del ser-vizio. Il Progetto Area 3. Qualità dell’Assi-stenza: c) Procedure Assistenziali è inpiena attività. L’Area 4. Documentazione:a) Modifiche/elaborazione schede infer-mieristiche ha prodotto già alcune nuoveschede ad uso interno e sta lavorando al-l’implementazione procedurale sotteso al-l’introduzione della nuova modulistica.Analogo discorso può essere fatto perl’Area 4. Documentazione: b) Progetto“Compromissione dell’integrità cutanea”,che tra l’altro, tramite donazione, ha ac-quisito una fotocamera digitale per corre-dare iconograficamente gli items raccoltinell’apposita scheda di raccolta dati ine-rente i pazienti trattati per le lesioni cuta-nee complicate. Il gruppo afferente al-l’Area 4. Documentazione: c) Formazio-ne/tutoraggio ha strutturato un corsoECM sulle tecniche di bendaggio sempli-ce, particolare e gessato, rivolto a tutti gliinfermieri del Pronto Soccorso, che pre-vede lezioni frontali, laboratori tecnico-pratici e formazione sul campo. Anche inquesto caso sono stati coinvolti, in vestedi docenti, alcuni infermieri esperti delservizio, con idoneo curriculum. I facilita-tori dell’Area 4. Documentazione d) Sche-da di Triage, sono stati inseriti in un pro-getto aziendale di “Miglioramento delladocumentazione assistenziale”, che tral’altro vede impegnati come discenti tuttigli infermieri del P.S. Infine i Progetti a)Riorganizzazione dei magazzini e b) Logi-

Tab. II Facilitatori di Progetto

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stica/manutenzione dell’ Area 5. Logistica/manutenzione so-no pienamente operativi, con i locali per lo stoccaggio deipresidi e materiali del pronto soccorso completamente riam-modernati, razionalizzati e facilmente fruibili.

ConclusioniLa risposta del personale è stata molto buona ed il clima la-vorativo è in progressivo miglioramento. Il primo obiettivo,quello di agire sull’attivazione delle “risorse personali” delcapitale umano/professionale del Pronto Soccorso è statoraggiunto, il secondo obiettivo quello che agisce sull’ambito“motivazionale” è stato ugualmente raggiunto e può essereincrementato se supportato da azioni di feedback positivo,incentivazioni, gratificazioni, coinvolgimento nelle scelte,ecc. 9, 10

Entrambi gli obiettivi sono comunque dinamici e prevedonoimplicitamente lo spostamento della linea del traguardosempre oltre quella di arrivo, in un costante rilancio di sfidee nuove mete.Con questo convincimento si stanno cercando supporter persostenere e stimolare il gruppo infermieristico/assistenzialedel Pronto Soccorso in questo percorso di miglioramento.Non solo per eventuali coperture finanziarie di alcuni proget-ti, ma soprattutto come partner di iniziative quali la formazio-ne/educazione sanitaria nelle scuole, l’accoglienza in Pron-to Soccorso, la qualità percepita, ecc. con il dichiarato inten-to di creare delle “sinergie” tra l’Azienda o eventuali sponsored i sanitari del nostro servizio, per perseguire quegli obiet-tivi di qualità delle cure, di qualità percepita, di umanizzazio-ne ed accoglienza che deve caratterizzare un servizio diPronto Soccorso. 11

RingraziamentiRingrazio il Prof. Fulvio Bussani, Responsabile della S.C. diPronto Soccorso – Accettazione – Osservazione Breve In-tensiva – C.O. 118 dell’Azienda Ospedaliera di Perugia ed ilDott. Mario Capruzzi per il supporto ed il sostegno fattivo atutti i progetti attivati, nonché alle altre iniziative poste in es-sere dall’Infermiere Coordinatore, tutti i dirigenti medici delP.S. Ringrazio la dirigente infermieristica Dott.ssa SerenaAgrestini ed il CPSE Mario Marinelli del Dipartimento delleProfessioni Sanitarie. Un grazie particolarissimo lo rivolgo atutte le infermiere e gli infermieri, le operatrici e gli operatorisocio sanitari che ho l’onere e, soprattutto, l’onore di coordi-nare. Sono loro il mio stimolo “motivazionale” e la mia “gra-tificazione” professionale.

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CONSIGLIO DIRETTIVO SOCIETÀ ITALIANA SISTEMI 118:PresidenteMario Costa RomaVice PresidentiFrancesco Enrichens TorinoCarlo Maria Mancini RietiCarlo Gentile CrotoneSegretarioFrancesco Bermano GenovaTesoriereStefano Ferlito Imperia

PRESIDENTE DEL CONGRESSOFulvio Bussani - Perugia

COMITATO ORGANIZZATIVOB. Abbamonte PerugiaP. Bietta PerugiaG. Bocciarelli PerugiaL. Cini PerugiaC. Condello PerugiaC. Fusaro PerugiaZ. Golabi PerugiaA. Lillacci PerugiaM. Margutti PerugiaD. Marzuola PerugiaA. Mesoraca PerugiaM.P. Telera Perugia

PER INFORMAZIONI:

Tel. 075/5730617

Fax 075/5730619

[email protected]

www.csccongressi.it

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Si è svolto presso l’Hangar 1 dell’Aeroporto ATA di MilanoLinate, l’incontro di presentazione ufficiale di 118AIR,l’unica società italiana di trasporto in aero ambulanza.

Cesare Cadeo ha introdotto l’incontro presentando l’Amministra-tore Delegato e Presidente di 118AIR Carlo Gioia.Gioia ha spiegato i motivi che lo hanno portato a fondare118AIR: “Ogni anno migliaia di italiani si ammalano quando so-no all’estero e chiedono di rientrare nel nostro Paese. In molticasi il trasporto può avvenire solamente in aeroambulanza, mamentre all’estero esistono società che svolgono questo servizio,in Italia mancavano. Per rispondere a questa esigenza ho fonda-to 118AIR. I voli in aeorambulanza hanno però un costo insostenibile e finoad oggi sono stati riservati a pochi. 118AIR li ha resi alla portatadi tutti grazie ad una carta che costa 118 euro all’anno. La no-stra Compagnia si è dotata delle migliori attrezzature a livello eu-ropeo e tutti gli aerei sono attrezzati per la telemedicina”.Successivamente è intervenuto Michele Quinto, Direttore Medi-co Gruppo Filo Diretto, che ha descritto l’operatività dei voli sa-nitari e la loro necessità in risposta al fenomeno del turismo dimassa. Quinto ha anche ricordato che oggi molte importantiCompagnie aeree rifiutano di accogliere a bordo i pazienti barel-lati, ed è quindi estremamente importante la presenza di socie-tà come 118AIR specializzate in questo servizio. Ha poi preso la parola il medico anestesista rianimatore MarcoLualdi, responsabile sanitario e formazione 118AIR che ha illu-strato la dotazione medica tecnologica presente a bordo degliaerei.Cesare Cadeo ha quindi dato la parola a Vincenzo Bosso che hasperimentato personalmente il servizio di 118AIR. Bosso era inUcraina e il 30 dicembre 2008 è stato colpito da dissecazionedell’aorta: una patologia grave che richiede un trattamento sani-tario immediato e intensivo. L’ospedale nel quale Bosso era sta-to ricoverato non disponeva delle strutture adeguate per effet-tuare la necessaria operazione chirugica, e così i parenti il gior-no successivo si sono rivolti a 118AIR. Alle 19.30 del 31 dicem-bre Bosso era già nella sala operatoria dell’Istituto San Raffaele

di Milano dove è stato sottoposto a un intervento che lo ha rista-bilito completamente. Gioia ha consegnato la tessera numero 1 di 118AIR CARD aChantal Borgonovo, moglie di Stefano Borgonovo, il popolarecalciatore affetto da SLA. 118AIR sostiene infatti l’attività dellaFondazione Borgonovo e ha avuto l’onore di trasportare in aeroambulanza lo sportivo per permettergli di partecipare a manife-stazioni pubbliche nonostante le sue gravi condizioni di salute.L’incontro è proseguito con la presentazione del commovente vi-deoclip “Ci parliamo da grandi” che Eros Ramazzotti ha volutodedicare a 118AIR. Il viaggio nella vita di una piccola ricoverataè descritto con le immagini degli aerei, delle operazioni di tra-sporto e dei medici al lavoro, mentre la musica di Ramazzotti da-va corpo alla speranza: “C'è un dolore che è un viaggio da fa-re… C'è un cammino che è l'unica scelta”. Una speranza che sitrasforma in solidarietà, e che apre a un nuovo viaggio.

L’AEROAMBULANZA per tutti

Page 25: Rivista Emergency Oggi  Mese di Aprile 2009

Aprile 2009 Eo 25www.emergencyoggi.it

118AIR è la prima ed unicasocietà italiana di aereoambulanze che effettuavoli nazionali e internazio-nali.118AIR garantisce il rien-tro di persone ammalate,qualsiasi sia la situazionesanitaria, da qualunqueluogo e in tempi rapidi.

La missione di 118AIRQuando una persona siammala all’estero o in unacittà italiana diversa daquella in cui abita, quandovuole tornare a casa o es-sere ricoverata in un altroospedale, può rendersi ne-cessario organizzare untrasporto aereo speciale.Questi trasferimenti hannodei costi estremamenteelevati quasi mai inferiori a10.000 euro, anche perquanto riguarda i voli na-zionali.118AIR ha reso alla porta-ta di tutti questi trasferi-menti aerei attraverso lasua 118AIR CARD, la tes-sera dal costo di 118 eurol’anno che garantisce diusufruire delle aeroambu-lanze di 118AIR.Chiunque può acquistarela 118AIR CARD: anchegli over 75. Ogni iscritto compila unascheda sanitaria on lineche è conservata in un ser-ver protetto e che può es-sere resa visibile ai mediciattraverso un codice alfa-numerico personale.

Viaggiare con 118AIR Per richiedere assistenzae organizzare il viaggio èattivo il numero verde800118247 o è possibileinviare un’email a [email protected] partenza avviene entrodue ore dalla conferma uf-ficiale della richiesta. An-che per quei Paesi dove èprevisto uno speciale per-messo di sorvolo o atter-raggio i tempi non supera-no mai 36 ore.Il viaggio avviene nellamassima sicurezza. A bor-do di ogni aereo è presen-te un’equipe medica checomprende sempre unmedico anestesista riani-matore e un infermiereALS-Advanced Life Sup-port.L’allestimento dell’aereo èparagonabile a un’unità diterapia intensiva ospeda-liera dotata di strumentiquali eco cardio color dop-pler portatile, monitor mul-tiparametrico per il monito-raggio costante delle fun-zioni vitali, defibrillatore,ventilatori polmonari, emo-gas analisi portatile ed at-trezzature speciali per lacircolazione extracorpo-rea. Ogni patologia parti-colare riceve assistenzaspecialistica personalizza-ta. Durante il volo un siste-ma di telemedicina con-sente all’equipe sanitariadi trasmettere tramite col-legamento satellitare i pa-

rametri del paziente al-l’ospedale di destinazione.

I mezzi di 118AIR118AIR dispone di quattroaerei: i jet Learjet 35A eCessna Citation SII, i turboelica Beechcraft King Air200 e il Piper Cheyenne III.Per i trasporti a terra dal-l’aeroporto agli ospedali siutilizzano ambulanze o au-to mediche.

La storia di 118AIR118AIR è stata fondata nel2007 dal pilota d’aereiCarlo Gioia, che ne è Pre-sidente e AmministratoreDelegato. Il ComandanteGioia per diversi anni havolato sui Canadair, speri-mentando tutta la com-plessità dell’organizzazio-ne dei voli di emergenza. 118AIR nel 2008 ha effet-tuato oltre 180 missioni na-zionali ed internazionali. 118AIR opera in conven-zione con la FondazioneBorgonovo ed ha trasferitopiù volte Stefano Borgono-vo, oggi affetto da SLA.Con la presentazione di118AIR CARD il servizio diaeroambulanze oggi vienegarantito a tutti ad un prez-zo di 30 centesimi al giorno.

118AIR la nuova compagnia di AEROAMBULANZE

LA FLOTTA 118AIR

Learjet 35 AVelocità: 790 Km/hAutonomia: 3.500 KmAltitudine Max.: 14.000 mEquipaggio: 2 PilotiJet ideale per voli di medio-lungo raggio, è uno de-gli aerei più veloci della sua categoria. Può trasferire uno o due pazienti ed un eventualeaccompagnatore oltre allo staff sanitario.

Cessna Citation SIIVelocità: 715 Km/hAutonomia: 3.400 KmAltitudine Max.: 13.000 mEquipaggio: 2 PilotiJet ideale per voli a medio raggio, può trasferire fi-no a due pazienti di cui uno critico con necessità dicure intensive, un accompagnatore oltre allo staffsanitario.

Beechcraft King Air 200Velocità: 555 Km/hAutonomia: 1.650 Km Altitudine Max.: 10.000 mEquipaggio: 2 PilotiAereo a turbo elica, è in grado di atterrare su pistecorte. Può trasferire fino a due pazienti critici connecessita di cure intensive, due accompagnatori ol-tre allo staff sanitario.

Piper Cheyenne IIIVelocità: 530 Km/hAutonomia: 3000 KmAltitudine Max.: 9.700 mEquipaggio: 2 Piloti

Aereo a turbo elica ideale per i voli sanitari a cortoraggio. Può trasferire fino a due pazienti di cui uno criticocon necessità di cure intensive, un accompagnato-re oltre allo staff sanitario.

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integrano con il bracciale. Sopra di esse è posta una lunetta con incisa una scala

tachimetrica a scala 1000. Al di sotto di un vetro bombato antiurto è posto il qua-

drante nero con indici a bastone. Al loro esterno è posta una scala pulsometrica su

fondo rosso con base 15 e una respirometrica su fondo blu con base 15. Tre qua-

dranti supplementari indicano rispettivamente il contatore dei minuti, delle ore del

cronografo e dei secondi continui. Fra le ore 7 e 8 è posta poi la finestrella del da-

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Aprile 2009 Eo 27www.emergencyoggi.it

Ben il 12% degli italiani che consumanoalcolici si mette al volante dopo aver be-vuto, mettendo a rischio la sicurezza pro-pria e altrui. Non sono pochi i controlli del-le forze dell’ordine: più del 40% degli in-tervistati è stato fermato almeno una vol-ta nel corso dell’ultimo anno. L’etilotest,invece, si dimostra uno strumento ancorapoco utilizzato. I nuovi numeri del sistemadi sorveglianza PASSI (Progressi delleaziende sanitarie per la salute in Italia)propongono un approfondimento su alcole sicurezza stradale.Più di un italiano su dieci si mette alla gui-da dopo aver bevuto almeno due bicchie-

ri di vino o due lattine di birra: quantitàsufficienti per abbassare significativa-mente la soglia di sicurezza al volante.Anche se si tratta di un’abitudine diffusain tutto il paese, è netta la forbice tra norde sud: in Basilicata, per esempio, nellaprovincia di Matera questo valore scendeal 5%, mentre in Valle d’Aosta arriva al16%. Più in generale, poco meno di dueterzi della popolazione adulta tra 18 e 69anni consuma abitualmente alcolici.Analizzando per sesso, i consumi di alcolrisultano più diffusi tra gli uomini in tutte leRegioni che partecipano al sistema di sor-veglianza.

Per quanto riguarda i consumi a rischio, sidistinguono tre possibili comportamenti:• i forti bevitori (per gli uomini, chi beve

tutti i giorni più di tre unità alcoliche; perle donne più di due)

• chi beve fuori pasto• i bevitori binge (chi beve sei o più unità

di bevande alcoliche in un’unica occa-sione).

Complessivamente i consumatori a ri-schio sono il 16%; i bevitori a rischio pos-sono essere presenti in più di una delletre categorie di rischio (fuori pasto - binge- forte bevitore).I controlli sistematici delle forze dell’ordi-

alcol e sicurezza stradalei dati preliminari 2008 del sistema di sorveglianza passi

Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia

Nel 2006, il Ministero della Salute ha affidato al Centro Nazionale diEpidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’IstitutoSuperiore di Sanità il compito di sperimentare un sistema di sorve-glianza della popolazione adulta (Passi, Progressi delle aziende sani-tarie per la salute in Italia). L’obiettivo è stimare la frequenza e l’evo-luzione dei fattori di rischio per la salute, legati ai comportamenti in-dividuali, oltre alla diffusione delle misure di prevenzione. Tutte le 21Regioni o Province autonome hanno aderito al progetto. Da aprile

2007, è partita la rilevazione dei dati in 20 Regioni. Un campione diresidenti di età compresa tra 18 e 69 anni viene estratto con metodocasuale dagli elenchi delle anagrafi sanitarie. Personale delle Asl,specificamente formato, effettua interviste telefoniche (circa 25 almese) con un questionario standardizzato. I dati vengono poi trasmes-si in forma anonima via internet e registrati in un archivio unico nazio-nale. A marzo 2009, sono state caricate oltre 60 mila interviste.Per maggiori informazioni, visita il sito www.epicentro.iss.it/passi.

CHE COS’È IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA PASSI?

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Aprile 2009Eo 28

Guida sotto l’effetto dell’alcol tra chi riferisce di consumare bevande alcoli-che e di guidare auto o moto. Pool di Asl, Passi 2008 (%). Pool di Asl, Pas-si 2008* (%)

Persone che riferiscono un controllo da parte delle Forze dell’ordine. Pool di

Asl, Passi 2008 (%)

Persone che riferiscono l’effettuazione di un controllo con etilotest. Pool diAsl, Passi 2008 (%)

ne con etilotest, strumento efficace contro la guida in stato di eb-brezza, sono ancora poco diffusi e sembrano indirizzati più suigiovani, anche se il fenomeno riguarda tutte le classi di età.Sono alcuni dei primi dati che emergono dalle rilevazioni effet-tuate nel 2008 dal sistema di sorveglianza PASSI, promosso dalMinistero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e realiz-

CONSUMO ALCOLICO A RISCHIOultimi 30 giorni) Pool di Asl

2007 2008Forti bevitori 4% 4%Bevitori fuori pasto 8% 8%Bevitori binge 7% 7%Consumatori a rischio* 16% 16%

* Definito come forte bevitore e/o bevitore fuori pasto e/o bevitore binge.

PASSI Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia( )

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Aprile 2009 Eo 29www.emergencyoggi.it

zato dalle Regioni e Province autonomeitaliane con il coordinamento del Centronazionale di epidemiologia dell’Istituto su-periore di sanità. L’obiettivo è tenere sot-to osservazione l’evoluzione dei maggiorifattori di rischio per la salute della popola-zione italiana.

ETILOTEST E CONTROLLI DELLEFORZE DELL’ORDINEProprio per approfondire il problema degliincidenti stradali legato all’abuso di alcol emonitorare le attività di prevenzione chesvolgono sulle nostre strade le forze del-l’ordine, sette Regioni (Valle D’Aosta, Pro-vincia autonoma di Trento, Friuli-VeneziaGiulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscanae Lazio) hanno effettuato una rilevazioneancora più dettagliata.Il 42% dei circa 5.300 intervistati nel 2008dichiara di aver subito un controllo – daguidatore o da passeggero – nel corsodell’ultimo anno. Dal confronto tra quantoriferito dagli intervistati di queste sette re-

gioni, in Friuli-Venezia Giulia i controllisembrano più assidui (48% degli intervi-stati). Nel Lazio, invece, questa percen-tuale scende al 37%.Tuttavia, solo il 9% dei fermati riferisceche il guidatore è stato sottoposto ancheal “test del palloncino”: si tratta di menodell’1% di tutti gli intervistati. Il ricorso al-l’etilometro sembra più frequente tra i gio-vani (18-24 anni) e negli uomini. È quindiampio il margine di miglioramento percontrastare il fenomeno della guida sottol’effetto dell’alcol, incrementando l’uso diquesto strumento durante i controlli di rou-tine.Nella metà dei casi in cui è stato effettua-to un etilotest, il controllo è capitato unasola volta negli ultimi 12 mesi.È l’Emilia-Romagna (14%) la regione incui più spesso i fermati riferiscono l’effet-tuazione di un etilotest. Molto meno nelLazio, dove solo il 4% delle persone con-trollate dalle forze dell’ordine riferisce cheil guidatore è stato sottoposto a verificadel tasso di alcolemia.

I CONSUMI A RISCHIOIn generale, consumare alcolici è un’abitu-dine piuttosto diffusa in tutto il Paese.Considerando le persone che dichiaranodi aver bevuto nell’ultimo mese almeno unbicchiere (60%), è evidente il gradiente tranord e sud Italia: in Campania e in Sicilia,

per esempio, i consumi riferiti sono moltopiù contenuti (47% degli intervistati) ri-spetto al Friuli-Venezia Giulia (72%). Più preoccupanti i numeri sulle modalitàdi consumo. Secondo la fotografia scatta-ta dalle aziende sanitarie, infatti, quasi unitaliano su sei è un bevitore ad alto ri-schio: cioè beve fuori pasto, beve perubriacarsi (binge drinking) oppure dichia-ra consumi tali da classificarlo come unforte bevitore. Anche per queste catego-rie, si conferma lo stesso gradiente nord-sud osservato per i consumi generali. Idati del 2008 sono in linea con quelli giàrilevati nel 2007.Scendendo a un dettaglio regionale, in Al-to Adige si registra la percentuale più ele-vata di bevitori fuori pasto (24%) e di bin-ge drinker (14%), mentre provincia di Ma-tera e Campania presentano quello piùbasso per i consumatori fuori pasto (3%)e la Sicilia per i binge drinker (3%).I controlli sistematici con etilotest in tuttele classi di età costituiscono uno strumen-to di provata efficacia nella riduzione del-la mortalità per incidenti stradali. Dai datidella sorveglianza Passi, però, risultanoancora poco diffusi e sembrano indirizza-ti maggiormente verso i giovani. C’è quin-di un ampio margine di miglioramento,grazie a una maggiore diffusione di prati-che di prevenzione e contrasto già avviatenel nostro Paese.

POCO MENO DI DUE TERZIDELLA POPOLAZIONE TRA 18

E 69 ANNI DEL POOL DELLEASL CHE PARTECIPANO AL

SISTEMA PASSI CONSUMANO ABITUALMENTE ALCOLICI.

QUASI UN SESTO DI LORO PUÒESSERE CONSIDERATO UN

BEVITORE AD ALTO RISCHIO

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Page 30: Rivista Emergency Oggi  Mese di Aprile 2009

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zione Sanitaria org. DEU e sistemi 118●Organizzazione Sanitaria in Medicina di

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