Pierròt. Giugno 2011

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La rivista d'arte e cultura. Il blog su http://pierrotweb.wordpress.com

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Anno IV - Giugno 2011.Chiuso in redazione il 30 maggio 2011.

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Francesco Martinelli p. 15Abbandonati gli studi di Giurisprudenza decide di vocarsi all’arte. Dirige la Scuola delle Arti della Comuni-cazione ed è attore e regista del Teatro delle Molliche. Si è diplomato attore e specializzato in regia lirica. Ha scritto numerosi testi teatrali tutti rappresentati. Da 12 anni si dedica alla pedagogia teatrale nelle Scuole. E’ maestro perché ha fede.

La corrispondenza p. 16

Lucia Lazzeri p. 07Musicronista o musicista cronica, pianista e cantante, di teatro simpatizzante, curiosa e stravagante. Pre-caria insegnante ed artista errante.. E’ diplomata in Pianoforte, Canto, Didattica generale e del Pianoforte, laureata in Pianoforte indirizzo maestro di sala e palcoscenico e Canto ramo concertistico. Ha vinto nume-rosi concorsi internazionali e nazionali ed eseguito in I assoluta brani inediti in Italia e all’estero. Collabora con Lucio Dosso con il quale si è costituita in duo Canto e Chitarra. Affianca all’attività concertistica quella didattica, insegnando canto e pianoforte nelle scuole di Carrara, Massa e La Spezia.

Alessandro De Benedittis p. 13Dopo aver conseguito la maturità classica è studente di Lingue e Letterature straniere presso l’università di Bari. Si dedica all’arte non per ambizione o per noia, ma perché crede che solo quando ama, l’uomo possa aspirare alla bellezza.

Michele Pinto p. 11Laureato in giurisprudenza con una tesi sulla liberta’ d’espressione e la censura cinematografica e opera da 10 anni nel campo delle produzioni multimediali. Ha insegnato didattica dell’immagine in decine di scuole, collaborando visivamente a teatro passando attraverso il genere documentaristico, la musicarte-rapia e l’attivita’ di videojoker in discoteca continua la sua originale sperimentazione artistica.

Gruppo Operativo

Alessandro De Benedittis, Danilo MacinaFrancesco Martinelli

Graziani Arti Grafiche S.r.l.S.P. 231 km. 31,600 - 70033 Corato (Ba)www.graziani.it

Stampa digitale a cura di:

In copertina:

Alessandra Mazzilli p. 12Studentessa di lingue e letteratura straniera. Curiosa osservatrice e appassionata di arte, si è talvolta messa alla prova anche nella musica e nella pittura. Ha provato a meglio definirsi ma in fin dei conti si è rivelata un’incognita anche per se stessa. E in fondo le piace così.

Dario Aggioli p. 04Nato a Roma il 19 dicembre 1977, è laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo. Allievo di Cathy Marchand, Enrique Vargas e Claudio De Maglio. Assistente in Italia e allievo di Jean-Paul Denizon, attore e aiuto-regista storico di Peter Brook. Dal 2000 è autore e regista del Teatro Forsennato che basa il proprio lavoro sull’improvvisazione su canovaccio.  Ha ricevuto il “Premio Carola Fornasini per il Percorso Formativo” per il Laboratorio Teatrale Integrato presso l’Istituto D’arte Roma 2. Per le Edizioni Ubusettete, ha pubblica-to il libro di estetica teatrale Autore chi guarda - 500 domande sul teatro.

Chi Mente?Danilo Macina

Annika Strøhm p. 05Attrice e regista norvegese. Vive e lavora in Italia da 9 anni. Si è diplomata alla Nordic Theatre Academy del Prof. Jurij Alschitz e con lui ha lavorato in diversi spettacoli. Tra gli altri ha studiato/lavorato con J.P. Dénizon, A. Milenin, G. Borgia, G. Sneltvedt, T. Ludovico.Nel 2007 ha fondato l’associazione culturale Areté Ensemble insieme a Saba Salvemini.

Gino Moselli p. 08Il contributo poetico di un signore incontrato per caso.

Progetto grafico ed impaginazione

Danilo Macina

Massimo Betti Merlin e Lorena Senestro p. 01Era il 27 di dicembre, nel pieno del sopore natalizio, io stavo alla porta e Lorena andava in scena per la prima volta; vestiva i panni di diversi personaggi e introduceva numeri che non arrivavano mai perché, dei pochi artisti che avevano accettato di andare sul palco senza compenso, la gran parte erano ammalati. Sembrava un presagio negativo! Ma grazie al volantinaggio dei giorni precedenti e all’ingresso libero, assisteva un pubblico di 25 curiosi, perlopiù sconosciuti. Per noi era un successo e siamo andati avanti, nonostante tutto.

Valeria Ines Valentina Tamborra p. 10Allieva attrice della Scuola delle Arti della Comunicazione. Completati gli studi classici, è laureanda in Psicologia presso l’Università degli Studi di Bari. Appassionata di fotografia e grafica ha realizzato diverse mostre in cui, attraverso i propri lavori ha espresso fortemente la sua concezione programmatica di arte come atto intellettuale e concettuale che poco ha a che vedere con la spontaneità selvatica. Ogni sua pro-duzione creativa nasce dall’intento di sperimentare le linee di confine e le zone d’ombra della condizione umana in ogni sua estrema forma.

Alessia Vangi p. 09Laureata in lettere presso l’Università degli studi di Bari, curriculum “Cultura letteraria dell’età moderna e contemporanea”. Aspirazioni: fare del teatro il mio mestiere in qualunque forma o manifestazione: “ESSERCI”.

Emma Viviana Malerba p. 06Frequenta il secondo anno presso il Liceo Linguistico di Terlizzi. Fin troppo riflessiva, amante della danza, della scrittura e dei differenti usi e costumi del mondo, che vorrebbe visitare interamente. Ha sfiorato ap-pena la magia del teatro attraverso laboratori scolastici a scuola, ma vorrebbe avere il tempo di scrutare attentamente questo fantastico mondo.

Lavinia Capogna p. 04Frequenta l’ultimo anno del Liceo Scientifico. Crede nella Scienza priva di immediata concretezza. Spegne la luce per vedere le stelle.

Luana Lamparelli p. 02Dottoressa in Scienze dell’Educazione, Educatrice Professionale esperta in disturbi comportamentali e psichici. Opera sul territorio della provincia di Bari.

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Il confronto a spettacolo finito che all’ini-

zio ci spaventava perché memori della

logica ormai logora del forum, legato ad

un epoca e a una cultura che va rinnovata.

Invece è stato molto stimolante scoprire le

perplessità e le proposte del pubblico sul

nostro lavoro. Un’esperienza decisamente

educativa per i teatranti, perché ti obbliga

a riflettere sulla fruibilità dello spettacolo e

sull’importanza della comunicazione con

il pubblico. In quest’occasione Lorena ha

scoperto cose che non aveva mai raziona-

lizzato a proposito del suo percorso con

Leopardi: lo sguardo esterno di chi non ti

conosce è molto più acuto.

Davvero utile quindi, più di quanto potes-

simo immaginarci. Un modello di lavoro

vecchio ma assolutamente rinnovato in

questa formula.

Nel rituale del teatro il luogo ha un impor-

tanza oggi sottovalutata. Le sale teatrali di

una volta erano edifici decorati e dotati di

ampi spazi, arredati con una cura ricercata,

in certi casi ispirati al lusso, con foyer di

grande impatto per il pubblico. Oggi inve-

ce, che il teatro non è più in auge, dopo le

cosiddette cantine romane degli anni Set-

tanta, ci si imbatte sempre più in sale post

–industriali o luoghi intitolati all’essenziali-

tà e al risparmio e – perché no? – affacciati

direttamente sulla strada.

Niente di male, in Canada li chiamano

street-door theatre, me l’ha detto un cana-

dese. A volte si da un nome alle cose per

dare modo a tutti di riconoscerle. Credo

che Resistenze sia un’iniziativa avanzata

in questo senso, perché si preoccupa di

trovare un linguaggio nuovo e forme nuo-

ve per il teatro: nuove per questi tempi, ma

magari attinte dal passato, come il mece-

natismo, o il confronto tra artisti e pubblico

al termine dello spettacolo.

Incontro ogni giorno persone che venen-

do a trovarci a teatro scoprono il teatro

per la prima volta. Sembra incredibile, ma

è proprio così: la nostra compagnia, oltre

che agli spettacoli, lavora ormai da 6 anni

ad una stagione teatrale che si svolge in

una piccola sala di 50 posti, il Teatro della

Caduta, che - come il Teatro delle Molliche

- affaccia direttamente sulla strada.

Per coinvolgere un pubblico davvero nuo-

vo l’ingresso agli spettacoli è gratuito la

prima volta. A chi ritorna una seconda vol-

ta viene chiesto di sostenere l’attività con

un contributo di 12€ che poi gli garantisce

l’ingresso gratuito per l’intera stagione. An-

che la nostra attività quindi fa leva sul me-

cenatismo del pubblico a cui si affiancano

i finanziamenti pubblici di cui godiamo da

qualche anno a questa parte. Questa for-

mula ha permesso a centinaia di artisti di

incontrare un pubblico multiforme, dove

gli addetti ai lavori e i teatranti costituisco-

no solo una minima parte.

In Piemonte, fatta eccezione per la nostra

realtà, non conosciamo altre esperienze di

mecenatismo.

Oggi, per riconquistare un pubblico che

comprenda tutti e non solo gli addetti ai

lavori, il teatro deve ritornare ad essere un

rituale collettivo in cui le persone si iden-

tificano, condiviso - e parlo anche dell’in-

trattenimento. Deve riconciliare il pubblico

Massimo Betti MerlinLorena Senestro

Esperienza davvero insolita la visita

a Corato per la rassegna Resistenze.

Insolita perché chi pratica il teatro non si

aspetta un pubblico così motivato, così

attento, così curioso.

Insolita per la proposta organizzativa del

mecenatismo, innovativa anche se mutua-

ta dal passato; e strategica per il contesto

non facile della provincia.

Quello che abbiamo trovato a Corato in-

fatti è un pubblico attento, proprio perché

sceglie di partecipare. Un pubblico con un

ruolo attivo, che offre molto a chi si esibi-

sce. Un pubblico di facce davvero svariate

e composto da persone di tutte le età.

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più, numero meno.

Frequento l’ultimo anno di asilo.

Ci impediscono di giocare in giardino. È

pericoloso!

E ci rido su… L’aria che respiriamo è la stes-

sa, che ci troviamo su un prato o al centro

di una strada.

CI HANNO IMPEDITO, ma io già voglio sco-

prire il perché dei divieti.

Così, mentre mamme e maestre parlano,

io e la mia migliore amica sfidiamo quel

divieto. E forse anche la sorte.

Sgattaioliamo fuori, facciamo il perimetro

del giardino trattenendo il fiato. Senza re-

spirare!

Per vedere chi ce la fa di più.

*****

Ho dieci anni. Ho il sussidiario. Lo sfoglio.

Mi blocco.

I miei occhi si fissano su corpi deformati,

con pelli squamose. Corpi a tratti scintillan-

ti, per i continui cambi di direzione delle

cicatrici.

Mi soffermo e mi chiedo perché. Senza

capire.

Mi viene in mente solo quella sofferenza.

Mi battono in testa lo sgomento, la non-

rassegnazione, la rabbia, l’impotenza che

quelle persone devono aver provato, e che

forse ancora provano.

Deve essere stato uno Tzunami emotivo,

dentro di loro.

Un tonfo sordo eppure carico di urla per-

petue.

I loro occhi sono puntati nel vuoto.

Forse il vuoto che hanno dentro.

Leggo una didascalia, leggo un nome:

Chernobyl.

Luana Lamparelli

Ho cinque anni. Forse ne ho già com-

piuti sei.

Non ricordo.

Potrei perfezionare questo ricordo… Cher-

nobyl, come semplicemente chiamiamo

quel disastro, è stato nell’85 o nell’86?

Basterebbe poco per perfezionare il ricor-

do. Poco quanto un click. Ma non lo farò.

Che importanza ha una data, un insieme

di numeri che comunque non cambierà il

corso della storia?

Chernobyl è stato! È accaduto. Numero

con l’essenza dell’esperienza teatrale .

Come quella di Resistenze, servono nuovi

modelli di coinvolgimento del pubblico

che rinnovino il ruolo dell’esperienza tea-

trale per le persone. Soprattutto più intel-

ligenti del banale sistema dei biglietti che

chiede allo spettatore di pagare in anticipo

per gli spettacoli, come fossero l’erogazio-

ne di un servizio di intrattenimento. E que-

sto abitua anche i teatranti a pretendere di

fare dell’attività artistica – che dovrebbe

essere un’attività d’eccezione – un sempli-

ce mestiere.

Al Teatro della Caduta gli artisti recuperano

un compenso al termine dello spettacolo:

il pubblico sceglie quanto e come sostene-

re l’artista.

A conclusioni di questa esperienza possia-

mo dire che è meglio lavorare in provincia,

fuori dall’attenzione dei media e della cri-

tica, ma con un pubblico curioso, pronto

a dare un valore – positivo o negativo che

sia – al tuo lavoro.

D’altra parte chi ufficialmente ha conferito

alla critica l’importanza esagerata che ha

oggi? Chi ha deciso che il teatro per esiste-

re debba far notizia?

Sulla base di queste riflessione la nostra

speranza è che continuino a nascere

ovunque spazi di dimensioni ridotte, con

costi ridotti, dove il teatro è ridotto alla sua

essenza, dove l’attore e il pubblico posso-

no entrare in simbiosi, come al Teatro delle

Molliche.

L’augurio che il teatro torni ad essere

un’esperienza a misura d’uomo, in grado

di coinvolgere le persone fuori dalla logica

superficiale dell’intrattenimento, colto o

popolare che sia.

Non era questa forse la natura del teatro?

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*****

Ho ventisette anni. Sei mesi fa mi sono lau-

reata. Lavoro.

Come sempre, ma con un’ansia in meno.

E non devo più sentirmi in colpa quando

esco con i miei amici, passeggio per stra-

da, dormo di più… perdo tempo… rubo

tempo…

Ho un dolore alla pancia. Anzi no: al basso

ventre!

Controlli. Ecografia. Un medico molto gio-

vane, io sono l’ultima paziente. Vorrà fare

colpo?, vorrà fare esperienza?, vorrà essere

gentile? … Ci sta provando!

“Hai una milza perfetta! Da manuale! Non

ne ho mai vista una così!.. Visto come so

guardarti bene dentro, io?” dice, sornione.

L’apparecchio sale sempre di più su, scorre

sulla mia carne.

“Hai mai fatto l’ecografia alla tiroide?”

“No”

NO. ED È L’INIZIO DI ALTRE VISITE.

****

Ho trentuno anni.

Tre lavori, una casa, un’auto, una vita che

mi piace, e poco meno di mezza tiroide.

Ah, dimenticavo! Ho anche una cicatrice a

metà collo, e una compressa da prendere

ogni mattina.

IO SONO STATA FORTUNATA!

Ho pianto, mi sono dannata, ho combattu-

to contro le paure, preso treni, fatto aghia-

spirati, ascoltato medici, consolato dentro

di me le loro preoccupazioni.

Carcinoma. Temevano.

Nodulo benigno. Era. Ed era anche la mia

tiroide. Che funzionava benissimo!

Io, nonostante tutto, mi sento fortunata.

Io sono stata fortunata!

Niente chemio, niente radio, niente iodio.

Terapia.

Ma solo per riprendermi dallo choc.

La migliore terapia è la vita.

Dopo Chernobyl, i casi di tumore alla tiroi-

de hanno avuto un’impennata incredibile.

Sono una conseguenza di quell’esplosione.

Conosco gente che è morta, di tumore alla

tiroide.

Tanta gente dice: la togli e la sostituisci con

una pilloletta.

Una pilloletta…

A distanza di quasi trent’anni!

E intanto… centrali nucleari si sono costru-

ite e si vogliono costruire.

E intanto… centrali nucleari scoppiano.

****

Ho viaggiato. Ho cullato dentro di me quel

nodulo che tanto preoccupava i medici.

Come fosse un bambino. Ho perso la mia

tiroide. Ho combattuto. Ho affrontato un

intervento e mille momenti di sconforto.

Mille, che son niente rispetto a quanto

vivono altre persone. Che hanno vissuto

quelle delle foto.

Mi ha resa più forte, questa esperienza.

Mi ha resa capace di cose che mai avrei

immaginato.

Mi ha resa più forte, Chernobyl.

Dicono, alcuni filosofi e sociologi, che ogni

individuo ripercorra le tappe del percorso

di tutta l’umanità, nel corso della sua cre-

scita.

Ma davvero l’umanità ha bisogno di altre

centrali nucleari scoppiate, per poter cre-

scere?

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mondo! Com’è piccolo l’uomo, com’è im-

potente! Come può un pianeta così grande

ospitare uomini così piccoli? Ma viviamo

davvero tutti su uno stesso pianeta? Se

sì perché non condividiamo le risorse,

perché distruggiamo, perché ci odiamo,

perché parliamo di stranieri?

L’educazione ambientale, i progetti, le

attività, le iniziative, le associazioni sono

mirate alle singole nazioni che non sono

altro che pianeti in un pianeta. Siamo

grandi isole circondate dallo stesso mare

che raggiunge ogni piccola insenatura. Ma

siamo fatti della stessa sostanza di cui è

fatta la terra ed essa soffre per la mancanza

dell’unico ospite degno della sua grandez-

za: l’umanità.

Qui fa troppo caldo, il pianeta scotta un po’,

potreste abbassare la temperatura?

Qui c’è troppo gas, il pianeta ha la tosse,

potreste spegnere le macchine per un po’?

Qui non riusciamo a vedere bene le stelle,

dove sta andando il nostro pianeta? Potre-

ste ridurre la luce?

Si è liberi quando si ha la possibilità di

scegliere, si è uomini quando ci si sente

umanità. L’uomo è la fine del pianeta, gli

uomini sono la sua salvezza. Vedo una

sedicente comunità scientifica incapace di

farsi capire da tutti, un’informazione cata-

strofista e una politica negazionista. Siamo

lontani da un sistema di uomini in armonia

con il sistema Terra. Avviciniamoci gli uni

con gli altri per avvicinarci al pianeta.

Lavinia Capogna

Ci sono uomini che soffrono e vivono

su un pianeta che soffre. Se tutti

quanti soffrissimo, smetteremmo di farlo

perché condividendo la stessa sofferenza,

non ci sentiremmo soli. Allora non tutti

soffrono.

Ma viviamo tutti sullo stesso pianeta che

soffre. Riuscite a sentirlo? Riuscite a veder-

lo?

Come si fa a sentire un intero pianeta? E a

vederlo?

Di certo non possiamo fare il giro del

Dario Aggioli A chi parla il critico? Se lo domanda? Lo sa?

Si domanda a chi parla l’artista?

Interessa al critico, se l’artista si domanda a

chi vuole parlare?

A chi potrebbe parlare un critico? A chi

parla ora?

A che serve la critica se nessuno l’ascolta?

Se parlo di te senza conoscerti, ho diritto di

dire qualcosa?

Se parlo di te senza conoscerti, so quel che

dico?

Se parlo di te e ti dico che ne so più di te su

te, che dico?

Che domanda devo porti per capire chi

sei?

Se parlo di ciò che dici tu, io che domande

devo farti per capirti?

Mi interessa capirti, se devo parlare di te?

Mi interessa capirti, se voglio parlare di

quello che dici?

Mi interessa parlare di te o mi interessa

parlare di me parlando di te?

Sono io che guardo e poi dico che vedo,

quando parlo di te?

Sei tu che parli e io ti ascolto e poi riferisco?

Il critico gioca al telefono senza fili?

Cosa è la critica?

Cosa è un giudizio?

Il giudizio è personale? La critica lo è?

Qual è il ruolo della critica nei confronti

dell’artista?

Qual è il ruolo della critica nei confronti

dello spettatore?

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del lavoro così come è! Con i suoi scambi,

i suoi intrighi, i suoi giochi, i suoi paradossi

e finalmente mettere da parte tutta la mia

retorica, retorica che non fu mia, ma di

adolescente! Ogni giorno alzarmi e telefo-

nare, vendere, contattare, spedire, creare,

produrre, inventare, promuovere il mio

lavoro- quello che io faccio QUI IN QUESTI

ANNI DELLA MIA VITA! Vendere senza ver-

gogna! Sporcarmi le mani con piacere per

dare ciò che ho, ciò che sono! Mio padre

aveva ragione, fin dall’inizio!

E CON IL DENARO CREARE! CHE A QUESTO

IL DENARO FU FATTO! CREARE! Creare ciò

che di bello c’è in me! SI GRAZIE AL DENA-

RO! E con questo denaro coltivarmi come

si coltiva un campo per farlo crescere

rigoglioso per allargarlo, espanderlo con

i prodotti migliori che l’uomo ha inventa-

to! Creare, Produrre, Vendere, Coltivarsi e

Creare di nuovo! E con il denaro costruire

ancora e costruire la mia vita e il mondo

così come lo desidero! Mio padre aveva

ragione, fin dal principio!

Comprendere che se il mio prodotto non

vende è evidente che non piace (e forse

non piace a me per primo)! Cambiarlo e

riprovare! Il mondo, checchè se ne dica

vuole ciò che è Bello! E lo sa riconoscere!

Provare e riprovare fino a che so costruire

qualcosa che piace a me ed agli altri! Se

non piace comprendere che non sono gli

altri a essere fuori rotta, ma IO! Vivere il

lavoro come strumento per stare con gli

altri in pace, come strumento per dare ciò

che ho! Ciò che creo! Finalmente adulto in

mondo di adulti! Io attore, io produttore, io

creatore nella realtà delle cose!

Basta piagnistei di bimbi offesi! Basta

nascondersi dietro il gioco delle incom-

prensioni, delle accuse al mondo basso

e meschino. Basta puntare il dito su un

essere umano che fa di tutto per fare del

suo meglio. Basta lamentarsi. Basta giocare

agli offesi! Basta Vergognarsi della propria

incapacità scaricandola sugli altri e sulla

loro cattiveria. Basta fare i BAMBINI! Basta

denunciare - con qualsiasi scusa - un mon-

do che fa del suo meglio. BASTA!

E’ Tempo di rimboccarsi le mani e costruire

il mondo come lo sogniamo. Uscire allo

scoperto e lavorare. Lavorare come tutti.

Sudati, sporchi, con le mani sudice. BASTA

NASCONDERSI! E’ TEMPO DI COMINCIARE

A COSTRUIRE! E’ se non siamo sufficienti, se

non siamo capaci di farlo. AMMETTERLO E

NON PIU’ PUNTARE IL DITO SE NON SU SE

STESSI! ACCETTARE TUTTO E TUTTI! (Che

proprio noi per primi siamo i più difficili da

mandar giù) E’ ORA DI CAMBIARE! ORA DI

LAVORARE! RINGRAZIAMO IL LAVORO, IL

DENARO CHE CI DANNO LA POSSIBILITA’ DI

CAMBIARE TUTTO QUELLO CHE CI CIRCON-

DA! A PARTIRE DALLE NOSTRE VITE! BASTA

CON LE PIPPE! Lavorare per costruire assie-

me- con i mezzi che il mondo ci offre- la

realtà in cui amiamo vivere!

AL LAVORO!

La gioia del lavoro! Poter andare ogni

giorno al lavoro! Guadagnare i sol-

di per vivere e vivere bene! Dare la mia

mano d’opera a tutti così che tutti possano

servirsene! Lavorare! Costruire il proprio

mestiere. Costruirlo in modo tale che più

persone lo sentano necessario! Come il

pane, una casa, un mezzo per muoversi…

Condividere con quante più persone pos-

sibili i risultati del mio lavoro! Lavorare da

solo e con gli altri! Come se lavorassi con

me! Costruire una grande fabbrica di cose

belle che mi piacciono e che piacciono!

Prendere un bello stipendio e vendere le

mie opere, venderle a tutti! Ed avere così

tanti soldi da poterle regalare a chi non se

le può permettere! Finalmente lavorare per

vivere godendo! Mio padre aveva ragione,

fin dall’inizio!

Pensare all’interesse! Mio e di tutti! Incon-

trare quante più persone per poter dare

ciò che costruisco! Darlo in cambio di ciò

che hanno… Costruire una rete, una rete

di relazioni tra persone, per promuovere

ciò che produco…con il mio sudore, il mio

piacere, il mio amore! Giocare al gioco del

lavoro con il sorriso! Godere del mondo

Annika StrøhmSaba Salvemini

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poi ti fermi. Ti fermi sempre, prima o poi.

Tu ti fermi ma il tempo continua a correre,

la terra a girare. Il sangue circola nelle tue

vene come prima. Cos’è cambiato? Non lo

sai, ma vorresti rimanere fermo. Ti piace

stare fermo. Incroci le braccia e vedi la

gente muoversi, ridere, parlare, scherzare.

Sei seduto con i pop corn in mano e ti godi

lo spettacolo. E’ la tua vita, ma continua se-

condo ciò che fanno gli altri. Il tempo scor-

re… sei proprio sicuro di voler abbandona-

re questi secondi che passano osservando

una vita non tua, leggendo scritti non tuoi?

Almeno pensi, almeno i pensieri sono tuoi.

Decidi di alzarti. La coda di paglia è un po’

scomoda quando sei seduto. Che fai? Vor-

resti cambiare. Esci, incontri gente che ti

parla e tu l’ascolti, l’ascolti e le rispondi, e

fra botta e risposta crei un’amicizia. Sai che

con quella persona puoi parlare. Una cer-

tezza in più nella tua vita… Tic tac. Vorresti

di nuovo fermarti. Ritornare a pensare.

Pensare a cosa? Pensare non è una buona

medicina per il tempo che invecchia. Corri!

La terra grida! Vuole attirare la tua attenzio-

ne! Viaggi, scopri nuovi posti, nuove perso-

ne.. Ti dimentichi di pensare perché la tua

voglia di vivere e scoprire ha sopraffatto la

noia. Pensi perché ti annoi. Non affievolire

le tue emozioni, continua a correre, danza

col tempo! Sfidalo nella corsa! Solo se avrai

vinto potrai considerarti stanco.

Tic.

Tac.

Emma Viviana Malerba

Tic tac. Tic tac.

E’ l’irrefrenabile rumore del tempo

che passa, lo senti? Tic tac. Non ti dà fasti-

dio? Non credi che quel ticchettio possa

stordirti così tanto da renderti incapace

di svolgere qualsiasi altra azione? Potresti

diventarne schiavo. Schiavo del tempo. Tic

tac. Il tempo fugge, fugge e non si ferma

mai. Afferralo.

Stai sprecando minuti della tua vita a

leggere qualcosa che riguarda il tempo.

Potresti fare qualcosa di più utile in questo

momento, lo sai? Hai idea di cosa potresti

fare adesso? Guardati intorno. La tua pre-

senza è indispensabile? Se sei fermo in

silenzio, se non agisci, se sei inerte solo per

qualche minuto… qualcuno potrebbe mai

accorgersene? Eppure hai passato del tem-

po fermo, ma quell’organo sempre in azio-

ne, che fastidio. Il tuo cervello non si ferma

mai, ne sei cosciente? Vorresti non pensa-

re, ammettilo. Vorresti spegnere il cervello

e distenderti su di un bel prato verde, con

una canzone rilassante nelle orecchie.

E’ impossibile, lo sai anche tu. E allora? Ti

alzi in piedi, cammini avanti e indietro e

Il tempo - Francesca De Chirico

Piccola osservatrice e amante dell'arte, ha scoperto una nuova dimensione grazie al mondo del teatro e della fotografia. Ha frequentato i laboratori teatrali presso il Liceo Linguistico di Terlizzi. Riporta su carta ogni minima parte di questo mondo un po' troppo complicato attraverso l'arte del disegno, dote che ha sempre coltivato con passione.

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Quell’antico tronco d’albero che si vede

ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco,

morto, corroso e ormai quasi informe, te-

nuto su da un muricciolo dentro il quale

è stato murato acciocché non cada o non

possa farsene legna da ardere, si chiama

la quercia del Tasso perché, come avverte

una lapide, Torquato Tasso andava a seder-

visi sotto quand’essa era frondosa. Anche

a quei tempi la chiamavano così. Fin qui

niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono

le guide. Meno noto è che poco lungi da

essa, c’era, ai tempi del grande e infelice

poeta, un’altra quercia fra le cui radici abi-

tava uno di quegli animaletti del genere

dei plantigradi, detti tassi. Un caso. Ma a

cagione di esso si parlava della quercia del

Tasso con la “t” maiuscola e della quercia

del tasso con la “t” minuscola. In verità c’era

anche un tasso nella quercia del Tasso e

questo animaletto, per distinguerlo dall’al-

tro, lo chiamavano il tasso della quercia del

Tasso.[…] Poi c’era la guercia del Tasso: una

poverina con un occhio storto, che s’era de-

dicata al poeta e perciò era detta la guercia

del Tasso della quercia, per distinguerla da

un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso

dell’olmo (perché c’era un grande anta-

gonismo fra i due). Ella andava a sedersi

sotto una quercia poco distante da quella

del suo principale e perciò detta la quercia

della guercia del Tasso; mentre quella del

Tasso era detta la quercia del Tasso della

guercia: qualche volta si vide anche la

guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.

[…] Quanto al piccolo tasso di Bernardo,

questi lo volle con sé, quindi da allora

l’animaletto fu indicato da alcuni come il

tasso del Tasso del tasso barbasso, per di-

stinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; e

da altri come il tasso del tasso barbasso del

Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso

del Tasso. Il comune di Roma voleva che i

due poeti pagassero qualcosa per la sosta

delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile

stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del

tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso

del tasso barbasso del Tasso.

Anche nelle parole c’è una connotazione

musicale, che si ricollega ad un’esperienza

preverbale: il fonosimbolismo. La parola

jour ha una vocale scura (la u) mentre nuit

l’ha chiara (la i); il significato di quest’ul-

timo tuttavia ci rimanda all’ oscurità, alla

pace notturna. Nella pubblicità spesso si

gioca sul diverso significato che assume

un testo a seconda del contesto: La poesia

di G. Ungaretti Mattina che inizia con i versi:

m’illumino d’immenso è presente in tutti i

testi delle antologie, ma in un cartello pub-

blicitario diventa lo slogan per dei fari anti-

nebbia. Il testo è autonomo, ma il contesto

influenza molto. R. Queneau, sulle possibi-

lità retoriche della lingua francese (a mio

avviso particolarmente duttile e adatta

soprattutto per i giochi di parole, poiché

sono frequenti parole dallo stesso suono,

ma scritte diversamente e con diversi si-

gnificati) ci ha fatto addirittura un libro- ca-

polavoro, da cui ho estratto:Onomatopées.

I caratteri eloquenti, utilizzati dai disegna-

tori di fumetti, a seconda della loro posi-

zione nella pagina e della loro grandezza.

suggeriscono il modo di utilizzare i tratti

prosodici della voce. Una personale e re-

cente esperienza mi sottolinea la stretta

“La musica del linguaggio” è un saggio suddiviso in tre pubblicazioni che troverete su Pierrot rispettivamente suddivise in tre numeri. Questa è l’ultima pubblicazione dal titolo “La lingua delle parole”.

Alcuni esempi di giochi linguistici che

si possono esprimere con la voce,

vero e proprio strumento musicale, che

contiene in sé i tratti prosodici comuni

anche alla musica: altezza (seppur ridot-

ta rispetto alla voce cantata), intensità,

timbro, velocità, durata, modo di attacco.

Una maniera di usare le potenzialità della

lingua, in modo sottile e molto ironico gio-

cando sull’ambiguità del significato e sulla

similitudine fonica di parole uguali ma di

diverso significato è quello del racconto La

quercia del tasso di Achille Campanile:

Lucia Lazzeri

Page 10: Pierròt. Giugno 2011

AnnoIV 06/2011

p.08 pierròt

Gino Moselli No ‘a ciorta che spisso è ‘a morte,

che fosse stata doce si era ‘e subbeto,

ma ‘a stò affruntanno a corpo ,a corpo,

è assaie amara,fratò,è ‘na tortura.

Pe’ me che amaie ‘a vita intensamente,

interresannome a tutto in ogni mumento,

scrutanno i grandi misteri della natura,

per esplorare il mondo e vincere ‘a paura.

Di una vecchiaia di dolore pregna,

che mi consuma ma non mi arrendo,

quando lenisce la malinconia mi prende,

pe’ ‘nu poco’e pace vò ai ricordi belli.

Vinco lo strazio di un fisico ormai in tilt,

mi godo la venerazione di chi ho attorno,

di chi è contento che sono ancora qui,

e m’incita a combattere ogni giorno.

Ma rassegnato alfine ,essa venga,

con nostalgia lascerò le cose care,

quelle che furono il mio diletto,

da me verso l’eterno saran’ dirette.

Ricordando mio fratello AntonioSperanza cchiù nun tengo pe’ ‘ sta vita,

‘iuta bbna ma alla fine m’ha tradito,

me mancano ‘e forza pe’ ‘sta malatia,

dura prova che m’ha mannato Ddio.

alleanza tra musica e parola. In occasione

di Entriamo nella casa della Musica per lo

spettacolo:“Filastrocche per suonare…

filastrocche per imitare…con il pianoforte!

ho avuto l’opportunità di verificare ancor

più che parola e musica sono sorelle. Le

filastrocche di Corinne Albaut mi hanno

consentito di utilizzare tutta la tavolozza

dei tratti intonativi che in questo caso sono

stati enfatizzati per consentire una mag-

gior comprensibilità del testo, non troppo

facile per i bambini di prima elementare ai

quali era rivolto. E ancora una volta i tratti

sovrasegmentali hanno veicolato un mes-

saggio semantico laddove la parola non

poteva arrivare. E’ venuta fuori una vera e

propria partitura vocale, con i tratti intona-

tivi e gli accenti tonici delle parole segnati

alla stessa stregua dei tratti prosodici. Nella

mia esperienza di insegnante, soprattutto

con gruppi numerosi, quali quelli di una

scolaresca, ho spesso notato quanto man-

chi una vera e propria “educazione” alla

voce. Dalla realtà sonora che ci circonda

provengono stimoli sonori sempre più

numerosi e pressanti: gli apparecchi per

ascoltare musica sempre più vicini agli or-

gani uditivi di un organismo in formazione

quale quello dei ragazzini e adolescenti.

Si tratta di una vera e propria saturazione

uditiva che si ripercuote anche a livello

vocale. I ragazzi in età scolare, soprattutto

adolescenti, in concomitanza con questo

delicato periodo della loro vita, abusano

della voce. La voce espressiva è un bel libro

di Carlo Delfrati che esamina la voce, le

sue potenzialità e come poterla utilizzarla

al meglio, facendo in qualche modo un

discorso estetico, utile per noi futuri inse-

gnanti di musica. Se è vero che la musica

può sviluppare ed affinare il gusto, quale

miglior strumento che quello che abbiamo

sempre con noi, cartina di tornasole dei

nostri stati d’animo? La voce parlata a livel-

lo didattico è strumento di comunicazione

tra il docente ed il discente, ma allo stesso

tempo veicola significati ed emozioni.

Page 11: Pierròt. Giugno 2011

06/2011 AnnoIV

pierròt p.09

Adesso puntiamo su un altro mezzo di co-

municazione. Preso il nostro caffè, pagato il

conto, ci dirigiamo in un internet point, an-

siosi di sapere se il premier ne ha combinata

un’altra delle sue in un momento storico

così delicato e se davvero la minaccia del

nucleare sia un pericolo imminente.

L’internet point è un luogo strano. L’atmo-

sfera è surrealmente piatta. I soggetti che

puoi trovarvi sono vari. Li guardi concentrati

dinanzi ad un video di you tube, preoccupa-

ti per l’andamento imprevisto di una con-

versazione in chat, impegnati comunque in

un qualche attività che richiede un qualche

attenzione. Regna uno strano silenzio inter-

rotto dal rumore meccanico dei clic della

tastiera. Leggiamo le notizie, combattiamo

con i link automatici che automaticamente

si aprono appunto. Ma no vogliamo leggere

le notizie, non ci interessa se abbiamo la

possibilità di vincere un milione di euro ri-

spondendo a questa domanda :’ Chi è la mo-

glie di Totti?’ Che poi lo sappiamo che è Illary

Blasi ma poco me ce importa sinceramente.

Questa passeggiata e questa sosta in questo

luogo di triste silenzio stanno avendo effetti

imprevisti. Meglio tornare a casa, meglio

andare a pranzare che si sta aprendo anche

lo stomaco.

Nel percorso al contrario tutto si ripresenta

immutato. Anzi no. Al posto della zelante

testimone di Geova che voleva esortarmi

a leggere la Bibbia c’è un ragazzino. Può

avere al massimo quattordici o quindici

anni. Senza che l’abbia chiesto ci regala una

copia omaggio del giornale della mia città.

Molto gentile da parte sua però potrebbe

anche chiederci se ne abbimo bisogno,se

lo vogliamo. ’ Ma è gratis!’ sembrano sugge-

rirmi i suoi occhi innocenti. Cosa possiamo

voler di più? Non abbiamo voglia di far que-

stioni ma ci basta uno sguardo superficiale

per constatare che quel foglio di carta si

spaccia come informatore degli eventi del-

la nostra città, ma non è altro che un mini

cartellone pubblicitario pieghevole stra-

finanziato da sponsors appunto. E quante

foto e quante immagini!

Ma dove è finita la parola stampata?Quella

classica insomma? Ci poniamo queste stra-

ne domande nel tragitto verso casa.

Cari lettori anche questa passeggiata è

un’immagine della mia mente. Quanto è

suggestivo parlare per immagini. E’ quella

grande possibilità che il linguaggio umano

e la parola ci donano incondizionatamente.

Tutti possono parlare per immagini, espri-

mere il carattere poetico di una cosa della

realtà attraverso metafore e similitudini.

L’unico accorgimento è quello di saper sve-

lare i tranelli che l’immagine può causare

confondendo il lettore e deviandolo ineso-

rabilmente.

Il potere dell’immagine è indiscutibile oggi.

Ma quel che deriva è anche l’immagine del

potere. Il potere mediatico che sopprime

la parola e la scrittura. Un uso della parola

obiettivo accompagnato ad immagini vi-

vide ed etiche presuppone la necessità del

recupero della comunicazione vera, non

opaca o filtrata da chi gestisce, a proprio uso

e consumo, i media.

Sarà mai possibile il ritorno alla Parola?

Sarà auspicabile una passeggiata priva del

bombardamento quotidiano a cui siamo

sottoposti?

Basta fare una passeggiata per rendersi

conto del bombardamento di immagi-

ni nella società contemporanea. Chiusa la

porta di casa, dinanzi al portone, ci troviamo

di fronte, su un cartellone pubblicitario, una

bella ragazza in biancheria intima che con

il suo sguardo intrigante invita noi tutti a

guardarla estasiati. Vicino a lei c’è un sim-

patico omone dalle folte sopracciglia che ci

esorta a votare la causa del sì perché, grazie

a Dio, l’acqua è un bene comune.

Proseguendo la passeggiata per raggiun-

gere un qualsiasi luogo non è improbabile

che qualcuno ci consegni riviste religiose i

cui titoli sembrano ricordarci taluni slogan

pubblicitari-politici ma anche certi rimpro-

veri genitoriali. Frasi come ‘Svegliatevi il

regno dell’aldilà è vicino’ possono corredare

la nostra frenetica giornata. A questi poi

chiaramente si aggiungono la miriade di

carta pubblicitaria che in modalità differenti

ci viene imposta. Supponiamo che la pas-

seggiata prenda una svolta. Immaginiamo

di avere voglia di un caffè, di quelli piacevoli

che solo la tranquilla frenesia di un luogo di

aggregazione sociale come il bar può darti.

In alcuni bar si ha la possibilità di leggere i

quotidiani nazionali. Non si rimane indif-

ferenti al fatto che la dopo poche pagine,

ad intervalli ripetuti e regolari, ci sia una

profusione di immagini, pubblicitarie e non,

che quasi ci fanno dimenticare l’istanza pri-

maria del giornale stesso: leggere le notizie,

informarsi. Ma dove sono le informazioni

accidenti! Ci sono ma sono opache, non

circolano liberamente.

Alessia Vangi

Page 12: Pierròt. Giugno 2011

AnnoIV 06/2011

p.10 pierròt

classico, allo stesso modo di cominciare a

scrivere... perché per scrivere ci vuole co-

raggio, perché la vita ti scorre nelle vene,

la respiri al posto dell’ossigeno e si riversa

sul foglio, nera, inevitabile, sporca, profana

come l’inchiostro e tu non puoi sfuggirle in

alcun modo.

La stessa vertigine che coglie l’attore pri-

ma di entrare in scena.

Bisogna avere coraggio per vivere e in sce-

na la vita si amplifica all’infinito, si estende

alla vita d’un’umanità la cui grandezza

comporta un peso inumano per un solo

uomo, un solo, semplice, uomo.

Bisogna essere sconfinati, enormi, bisogna

avere profondi vuoti ricolmi d’esistenza

in se stessi per poter contenere una tale

archeologia umana, una tale classicità

esistenziale per potersi ricolmare di un così

solenne, millenario, monumentale pensie-

ro, per poter sentire l’urgenza, la necessità

esistenziale di comunicare la propria uma-

nità all’umanità ch’è fuori di noi.

Recitare è donare se stessi, denudarsi

profondamente e donare tutta la propria

coscienza, donare le proprie miserie allo

stesso modo dell’eccellenza del proprio

intelletto con sfrontato pudore.

Bisogna saper AMARE per essere in grado

di donare autenticamente ed incondizio-

natamente. Bisogna essere un pò folli ed

un pò sovrumani per concepire una tal sor-

ta d’Amore incondizionato, un dono tale

che svuota la mente e, al contempo, però,

t’arricchisce l’esistenza d’una preziosità

immane, sconfinata, che trova spazio solo

in una mente che sa essere vuota e piena

insieme, come un bicchiere traboccante,

ma dal quale l’acqua non trabocca mai

nonostante si continui ripetutamente a

riempirlo.

Il paradosso della nostra esistenza è che

tante volte, nel corso degli anni, accettia-

mo la vita e ci lasciamo violentare da essa

senza tirarci indietro, senza preservare

nulla di noi stessi... semplicemente saltia-

mo nel vuoto... tante, innumerevoli volte:

in questa incondizionata accettazione

della vita ricade anche, tuttavia, la consa-

pevolezza di una conseguente, inevitabile

morte.

Molti pensano che per vivere sia neces-

sario morire un pò, tagliare via pezzi di

se stessi, per potersi adattare, per poter

andare avanti, fancedo propria la filosofia

del <<si muore un pò per poter vivere>>.

Ma, per me, la vita e la morte non è così

che stanno insieme, come se la vita fosse

sottomessa alla morte; esse fanno l’amo-

re insieme, l’una accanto all’altra in uno

scambievole rapporto d’amore a volte

docle, a volte violento, ma sempre per

mano esse corrono attraverso gli anni d’un

uomo. L’attore non uccide parte di sè per

vivere in scena, egli è vivo, è pienamente

ed incondizionatamente vivo, in scena

porta tutto il vuoto ricolmo d’esistenza

ch’è in lui, egli è vivo e morto insieme, così

come lo sono io che ora consumo le mie

dita su questo foglio... ho affrontato la ver-

tigine e con eroico coraggio ho cominciato

a scrivere, a vivere, ed ora, inevitabilmente,

muoio, perché non si può sfuggire mai alla

fine, allo stesso modo dell’inizio.

C’è un istante, che precede il momento

in cui la penna si posa sul foglio bian-

co e comincia a sporcarlo di pensieri, in

cui essi si affollano alla soglia della mente;

ciascuno reclama attenzione e importanza,

ciascuno vorrebbe essere quello con cui

cominciare a sporcare il foglio, ciascuno

urla le proprie ragioni... ed è proprio così

che accade che un solo istante comincia

ad espandersi indefinitamente fino ad

ore intere, è così che accade che la penna

rimane sospesa a meno di mezzo centime-

tro dal foglio come un funambolo sospeso

sull’abisso.

Quale cosa migliore, allora, per eludere

la vertigine causata dal salto nel vuoto

che è cominciare a scrivere, rompere il

silenzio, sporcare di nero il bianco, se non

cominciare a raccontare quanto è difficile

attraversare quel frammento di vita che si

interpone tra il nulla e la vita, tra il silenzio

ed il lirismo d’un’emozione, tra il bianco

verginale di un foglio ed il nero profano

dell’inchiostro, tra la terra sotto i piedi ed

un cieco salto nel vuoto.

Cominciare a scrivere è un salto nel vuo-

to e quel momento di sospensione della

penna a pochi millimetri dal foglio procura

vertigine. Quella è, per me, la vertigine

della vita perché imparare a vivere è un

processo lento e travagliato, ma COMIN-

CIARE a vivere davvero è degno d’un eroe

Valeria Tamborra

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06/2011 AnnoIV

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Michele Pinto

L’ALBERO DELLA VITA (1999)

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AnnoIV 06/2011

p.12 pierròt

addosso a quarantanni e cercherai di stac-

cartelo male di dosso con uno psicologo”.

In realtà non ho mai messo in dubbio den-

tro di me la piacevolezza e l’utilità dell’atto

del pensare, ma pur potendo apparire

come la posizione più ovvia del mondo,

vedendo in realtà intorno a me esempi di

invito al riposo mentale frequentissimi e

diffusissimi, tanto da diventare proverbiali

ho provato a riflettere sulla riflessione stes-

sa, sperando di non apparire eccessiva-

mente retorica. Come avviene a volte nelle

dimostrazioni matematiche sono partita

dalla posizione opposta alla mia ovvero

all’idea che per assurdo fosse più utile non

pensare. Ma anche il non pensiero totale è

difficile! Quindi bisogna andare per gradi.

Situazione 1: un uomo si trova davanti a

una scelta importante, che lo tedia, il p e n

s i e r o di quella scelta lo mette in difficoltà,

lo stressa, gli toglie energie. Restando eter-

namente indeciso sceglie di cavarsi fuori di

quella situazione: decide di non pensarci.

Ed ecco la prima deduzione evidente: pen-

sare richiede energia, impegno e scelta.

La sua testa apparentemente libera allora

si fa posto per pensare a qualcos’altro. Ma

presto o tardi anche su quel qualcos’altro

nascerà un bivio, una situazione che richie-

derà una scelta. Ed ecco il secondo passag-

gio: la parte più difficile del pensiero è la

scelta. Mettiamo che scelga a caso perché

è necessario che scelga. Ed ecco il terzo

passaggio: la parte più difficile della scelta

è la coscienza nella scelta. Questa è una

situazione. Ma immaginiamo che invece

l’uomo abbia continuato a vedere un pen-

siero e ad evitarlo. Ecco quello che sarebbe

successo: il primo passaggio si sarebbe ri-

petuto all’infinito andando da un pensiero

più grande ad uno sempre più piccolo fino

a diventare invisibili. Ma il nostro cervello

è portato a non essere abituato a restare

vuoto, quindi si abbasserà la nostra qualità

di pensiero, ma il pensiero resterà e dun-

que la fatica del pensiero resterà. Dunque

l’impegno profuso nel pensare resta lo

stesso. Pensare è necessario perché ci sal-

va dal diventare progressivamente tanto

piccoli da scomparire. Pensare s a l v a. E

contemporaneamente quindi non pensare

è anche qualitativamente sconveniente.

Scusate la matematica, la noia e il rischio

grosso di cadere nella retorica, ma ho

tentato in questa maniera di essere com-

prensibile a molti. Evviva il pensiero, evviva

il voto, evviva la partecipazione. E ora sce-

gliete pure di girare questa noiosa pagina.

[ATTENZIONE, ATTENZIONE, ATTENZIONE.

Quello che state per leggere è ad alto ri-

schio di noia. Io vi ho avvisati.]

A breve tutti gli italiani saranno

chiamati al referendum. Sono una

giovane elettrice e pur non essendo que-

sto il primo referendum a cui partecipo,

essendo ancora una delle prime torno a

pormi delle domande. Wikipedia dice “La

parola referendum riprende il gerundio la-

tino del verbo refero, “riferisco””. “Riferire” e

non “dire” o “dichiarare”. Riferire fa pensare

a qualcosa che prevede un gesto prece-

dente, la comunicazione di una decisione

derivata da un pensare che c’è già stato. Il

referendum richiede di pensare e scegliere.

Scrivere un articolo per Pierròt richiede di

pensare e scegliere. A meno che uno non

faccia tutto a casaccio è ovvio, ma avrei

grossi dubbi sulla ragionevolezza di un

comportamento simile. Dubbi. “pensare

è giusto, pensare è necessario, pensare è

bello”; mi sono accorta che sembravano

frasi uscite fuori da uno di quei cartoni

animati ipnotico/dittatoriali per bambini,

di quelli che hanno la filosofia del “so che

a quest’età tutto quello che senti non te

lo stacchi più di dosso quindi prendi que-

sto e ficcatelo nella testa per il resto della

tua vita finché non ti ricorderai di averlo

Alessandra Mazzilli

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06/2011 AnnoIV

pierròt p.13

In quest’epoca confusa e consumata,

anarchica e sanguinaria, nauseante e mi-

sera, sento nell’aria il suono di un immenso

sbadiglio, il sordo suono di un noia che

impera nella vita quotidiana, quella fatta

dalle ore della giornata, quella che pensia-

mo più banale. Sento sulla mia pelle e sulla

pelle delle persone che incontro con cui

parlo o che semplicemente vedo esistere,

i segni profondi visibilissimi al mio sguardo

di un’educazione disastrosa per una nobile

crescita umana e intellettuale di questa

società. Segni, o meglio ferite, che oltre ad

avvertire dentro di me nel mio esistere in-

dividuale sento pulsare in modo doloroso

nell’esistere sociale.

Ciò che mi sembra di osservare è un asso-

luta involuzione dell’essere umano verso

una specie di forma primordiale di essere

che credo sia in effetti il concretizzarsi nel-

la vita del nulla esistenziale. Tante, troppe

volte mi è capitato di vedere non uomini

ma cadaveri viventi, esseri umani dimenti-

chi di essere umani, corpi denudati di ogni

virtù, nobiltà. Ma penso che questo vuoto

esistenziale, che credo colpisca buona

parte della società di cui faccio parte, e che

ha creato e crea uomini che vivono senza

mete precise, senza obbiettivi, passioni

vere, patite, senza vero dolore o gioia, nella

più totale incertezza di qualsiasi atto, gesto

emozione, anche quello più umano(una

specie di desolante dimenticanza del

vivere), sia da cercare nell’educazione di

una società imborghesita su quasi tutti i

livelli(materiale e spirituale) che negli anni

passati ha goduto di ricchezza e opulenza

e che nella ricchezza e nell’opulenza ha

posto i suoi valori più autentici, e che ha

cresciuto i propri figli, conseguentemente,

secondo la legge del vizio. Ed è questo che

io più di ogni altra cosa detesto e non sop-

porto: vedere e sentirmi parte di una larga

generazione di viziati.

Il vizio credo sia il male peggiore per ogni

società, il male che la può portare alla più

assoluta rovina da tutti i punti di vista (

sia etico e morale che prettamente fisico,

corporale) poiché esso perpetuandosi

nel tempo genera nell’essere umano un

fortissimo senso di disorientamento e di

alienazione rispetto a se stesso. Quando

fin dall’infanzia ogni capriccio è accon-

tentato senza troppo sforzo, un uomo col

passar del tempo perderà il senso del suo

reale volere, perdendo di vista se stesso e

il mondo. Quando è abituato ad ottenere

senza fatica, sia in senso materiale che in

quello psicologico, un uomo non è edu-

cato a dare l’effettivo valore alle cose alle

situazioni e soprattutto alle scelte, non si

relaziona con esse rispetto alle sue reali

esigenze, le quali si dimenticano, e che non

si ha più la possibilità di conoscere. Inoltre

un aspetto fondamentale dell’educazione

del vizio credo sia il fatto che essa stessa

si sia sviluppata nella sua massima forma

proprio nell’affermazione più assoluta del-

la società del consumismo.

Il consumismo è la negazione di qualsiasi

valore che ci rende umani, di qualsiasi

sincera aspirazione a un modo di vive-

re nobile, vero, autentico. Il mondo del

AlessandroDe Benedittis

Page 16: Pierròt. Giugno 2011

AnnoIV 06/2011

p.14 pierròt

consumismo, dal quale diversi anni fa

alcuni grandi intellettuali ci hanno messo

in guardia e che hanno duramente criti-

cato come nuovo fascismo o nuovo tota-

litarismo, penso abbia incontrato quelle

necessità benpensanti e borghesi di edu-

care intere generazione allo stare bene,

sempre, rifiutando ogni tipo di sofferenza

o di disgrazia, come se fossero condizioni

di un male morale, secondo le regole del

capriccio e del vizio; e penso che questo

incontro abbia creato un circolo vizioso,

nel senso che l’una cosa abbia nutrito e

accresciuto l’altra a vicenda fino al punto

che vizio e consumismo abbiano consu-

mato, prosciugato anima e corpo di intere

generazioni che ora costituiscono questa

società. Il rimedio più efficace a questa

sensazione di vuoto e di noia profonda è

offerto dal mondo dell’emotività, la quale

è più facile a essere stimolata e sfruttata.

Al senso di vacuità esistenziale si cerca

si sfuggire cercando l’emotività (che è

più facile a essere stimolata e sfruttata),

ma non quella autentica, vissuta, ma un’

emotività placida e mediocre, come quella

offerta dai programmi televisivi, un’emoti-

vità adrenalinica e virtuale come quella dei

videogiochi ( coi quali i bambini e ragazzi

di oggi crescono) e poi c’è un’emotività

violenta e consumata che è quella di “sesso

droga e rock’n roll”, che non è slogan ma

è concretamente un sistema di valori ai

quali ci si ispira anche quotidianamente.

A ciò si aggiunge il sempre più dominante

e diffuso social – network, il quale presen-

tandosi sempre come qualcosa di nuovo e

irrinunciabile o come mezzo che ci aiuta

nei nostri problemi relazionali, sociali,

esistenziali ecc…, assorbe la vita dell’indi-

viduo facendo in modo che egli viva in una

società virtuale. Il che, attraverso la novità

dei sistemi di comunicazione che ad esso

sono propri e che dominano nella loro as-

soluta sterilità, sfruttando quella necessità

di emozione, di adrenalina, trasformano

persino l’emotività in una specie di formali-

tà sociale, e rendendo la vita una specie di

gioco divertente che alla vita strappa ogni

più alto valore. Ciò può solo, attraverso

un’azione che definisco corrosiva, portare

gli uomini a diventare automi in ogni sen-

so.

A tutto questo credo che possiamo tutta-

via ancora trovare rimedio, credo che pos-

siamo fuggire da un futuro che si presenta

come un presente sempre più buio. Che

avvenga per noia o per stanchezza, per

rabbia o per disperazione, forse avverrà

che troveremo la forza e rifiuteremo di

essere viziati e consumisti, automi e nulla

più, per riappropriarci di noi stessi, ed è

quello che io cerco ogni giorno di fare.

Tuttavia se questo non avviene, accadrà

invece, e non vi sono altre alternative, che

il nostro vuoto esistenziale troverà sfogo

solo nella violenza.

Sento che c’è carenza di vita

dentro l’uomo, oggi, al vizio assuefatto,

che è invisibile veleno; vinto

troverà la forza, la purezza, l’atto,

per voltarsi da prono a supino,

per poi elevarsi, come l’Uomo antico ha fatto,

e aver negli occhi una scintilla di divino?

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06/2011 AnnoIV

pierròt p.15

Francesco Martinelli

credono nel riscatto con la cospirazione.

Non parlino i giovani che continuano ad

affollare come tante pecore i provini dei

reality, che non vogliono bambini pur de-

dicandosi ai bambini, che sono interpreti

della realtà “internandosi” insistentemen-

te, credono nell’amicizia ma si accoppiano

come pachidermi tramite i social network.

Non parlino i giovani che sprecano il loro

tempo a parlare ai vecchi. C’è lontano un

bagliore di luce che indica la strada della

speranza! Solo per i fanciulli vale la pena

vivere e morire. Tutte le volte che li guardo

negli occhi questi piccoli uomini, forte è la

voglia di dire: “non diventate porci tra i por-

ci, non lo fate”. Ma come posso parlare di

male, libidine, cupidigia, avarizia, ignavia,

cattiveria, prepotenza… ad un Angelo?

E voi quando sarete pronti? Cosa aspetta

l’esercito del bene a muoversi dai quattro

angoli del mondo e avanzare? Una spada

per mille serpenti. Il tempo passa e gli An-

geli cresceranno, e allora chi avrà parlato

loro e come l’ha fatto? Ho paura che i vostri

padri non vi guardino negli occhi e non vi

parlino del male. Ho paura delle madri che

vi accudiscono cullandovi con il seme della

discordia. Ho paura che i vostri insegnanti

siano mantidi religiose. Ho paura che chi vi

catechizzi non ha mai conosciuto Gesù. Ho

paura che chi vi fa giocare vi induca in ten-

tazione e vi renda stupidi e isterici come

lo è il beffardo giocatore. Ho paura che la

televisione vi trastulli in nequizie. Ho paura

che ciò che guardate sia troppo grigio. Ho

paura che il mare non vi parli e il cielo non

vi tocchi. Ho paura che le uniche stelle da

voi ammirate siano quelle dei biscotti. Ho

paura che il teatro, la danza, la musica, lo

sport vi anestetizzino. E allora quando

tutto questo sarà compiuto aprirete i vostri

forzieri di catene e metalli ed inizierete a

distruggere. Distruggerete senza memoria

di amore. Anche Lucifero era Angelo, il

più bello, ma poi è diventato il mittente di

ogni nefandezza. Una farfalla un giorno mi

raccontò che non basta volare per essere

farfalla, anche le mosche e i pipistrelli e gli

avvoltoi volano eppure il sole non fa splen-

dere i loro colori. Non si vola perché si è nati

per volare, lei tempo addietro era stata un

bruco strisciante e peloso. Mi raccontò che

non basta saper volare per dimenticarsi la

morte, lei ben lo sapeva, infatti non fece in

tempo a posarsi su tutti i fiori del giardino

che, fissa sul tronco di un pino, stese al sole

il suo lenzuolo colorato e come un Cristo

sulla croce, in silenzio e triste, morì senza

sbattere le ali. Le formiche trovarono il suo

corpo e prima di farlo rinsecchire con gran-

de fatiche lo trasportarono sotto terra e di

lei si cibarono per lunghi inverni ma mai

dissero ai lori piccoli: “questa che mangiate

era una farfalla che con tanta fatica imparò

a volare splendidamente, ma la morte ben

presto la strappò al giardino”. Mai nessuno

raccontò la storia della farfalla, perché

chi non sapeva non poteva parlare e chi

sapeva non ne volle parlare. Io racconto a

voi quanto so della farfalla mentre le avide

formiche continuano il loro pasto ipocrita.

Non riesco più a parlare di colore, di po-

esia e le note s’incantano. Partecipo

al declino di tante vite. C’è chi vuole salvare

e cambiare il mondo. Bene si faccia avanti.

Ma non parlatemi dei giovani. Non inneg-

giate alle loro assurde ed inutili rivoluzioni.

Loro non vogliono cambiare il mondo ma

risolvere i propri problemi. Troveranno le

soluzioni ripetendo gli stessi errori, ricrean-

do nuove forme di sistema. Puntano sul si-

stema, diverso ma uguale a quello che c’era

prima. Con questa strategia si è uccisa ogni

comunità frantumandola e riducendola ad

opportunistica ideologia. Non parlatemi di

giovani che mai hanno trovato la forza di

negarsi all’errore, sono loro che dovrebbe-

ro conoscere amore e virtù e non lo fanno.

Non parlatemi di giovani che continuano

ad arruolarsi e destreggiare armi per tro-

vare un lavoro non precario. Non parlatemi

di giovani che sperano di sostituire i vecchi

per trasformare l’insana eredità ricevuta

in ulteriore vantaggio. Non parlatemi di

giovani che con ingenua meschinità e

inconsapevole ipocrisia affermano il pro-

prio ego cospargendosi il capo di alloro e

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AnnoIV 06/2011

p.16 pierròt

La corrispondenza

Al Sindaco,Sig. Luigi PerroneCOMUNE DI CORATO

Dopo aver appreso dalla Sua comunicazione che non è possibile assicurare nessun contributo economico alla undicesima edizione della Rassegna di Teatro Studentesco “Città del Dolmen”, in assenza di approvazione del bilancio di previsione, e che, qualora ci fosse sarebbe comunque inferiore a quello dello scorso anno; La informo che la manifestazione non può essere svolta.

Ricordando quanto dichiarato da Lei durante la precedente edizione, in cui è stata espressa la volontà di portare avanti il progetto; conoscendo il program-ma degli interventi culturali dell’Amministrazione comunale che presentava come priorità la Rassegna; ritengo quanto accaduto poco serio e responsabile.

Ho chiesto più volte un appuntamento per confrontarmi con Lei e trovare insieme una soluzione ai problemi, cercando una complicità necessaria per poter organizzare l’undicesima edizione, ma ha preferito non incontrarmi e rispondere alle mie richieste con una comunicazione incomprensibile.

Il mio ruolo di direttore artistico che ha condotto con esasperata passione la Rassegna di per dieci anni nel rispetto delle esigenze e degli entusiasmi delle Scuole, legittima le considerazioni che di seguito esprimo spinto da una evidente delusione.

Sembra essere giunta all’epilogo una manifestazione così longeva e apprezzata sia dalle Scuole partecipanti che non hanno mai fatto mancare la loro pre-senza e con grande dedizione e professionalità si sono dimostrate sempre all’altezza delle attese, sia dal pubblico che educato e informato opportunamente negli anni, seguiva con attenzione le esibizioni.

La Rassegna di Teatro Studentesco ha creato i necessari presupposti per far proliferare i laboratori teatrali nelle Scuole del territorio e incentivare a far bene, infatti, le Scuole partecipanti alla Rassegnasi aggiudicano premi nei prestigiosi Festival nazionali e internazionali di settore in tutta Italia; grazie alla Rassegna è nata una Compagnia di teatro studentesco a Corato, e ancora, la Rassegna ha educato al teatro un sempre più vasto pubblico critico e attento.

Perché, sig. Sindaco, questo brutto epilogo?

Con semplicità sconcertante mi ha comunicato che mancano le risorse.

Posso crederci?Come può una Amministrazione non dedicare risorse così irrisorie per una manifestazione così importante? Non ci sono risorse per rendere protagonisti più di 250 studenti di buona volontà che si confrontano in modo sano e si mostrano con passione, evidenziando i loro sforzi e la loro preparazione? E’ possibile dimenticare il valore pedagogico ed educativo del Teatro? Come può una Amministrazione dedicare tanta attenzione al Teatro con iniziative importanti: ristrutturazione del teatro comunale, ristrutturazione dell’ex liceo e probabile destinazione ad uso servizi di scenotecnica e costumi teatrali, ristrutturazione delle due palazzine di fronte al teatro comunale per offrire servizi teatrali, ristrutturazione e acquisto del Palazzo Gioia per un centro culturale, concessione di un edificio pubblico (ex Imbriani) ad un ente di formazione professionale nel campo teatrale; e non riuscire a garantire le risorse necessarie per l’unica coinvolgente manifestazione teatrale esistente sul territorio cittadino?

Incredibile!

Sa bene che la manifestazione, per la tipologia dell’attività e la natura dei partecipanti, è stata sempre e interamente finanziata dall’Amministrazione comu-nale. Davvero non è riuscito a garantire un contributo per un progetto così unico e importante?

Credere è difficile.

Forse se fossi Sindaco avrei inviato la stessa comunicazione e mi sarei comportato come Lei.

E chi ci crede!

Non so se è mai riuscito effettivamente a comprendere quanto fatto in dieci anni, ma spero che prima o poi si esprima in modo chiaro e onesto, del resto da massima Istituzione nel settore della Cultura (possedendo la delega assessorile), è Suo dovere esprimere considerazioni su quanto si fa e non si fa nella nostra città per la Cultura.

Per dieci anni ho lavorato umilmente e con fatica, mettendomi al servizio di studenti, docenti, presidi, gente squisita. Sono sicuro che la comunità lo riconoscerà (gli uomini non dimenticano del tutto!), e sono altrettanto sicuro che un buon Sindaco sa apprezzare il lavoro onesto di un artista in favore della propria Città, spero trovi il modo e il tempo per farmi giungere i Suoi apprezzamenti, nel rammarico del non essere riuscito a garantire la fattibilità e continuità del mio lavoro per la Città e per le Scuole.

Continuando a credere che quanto di buono è stato fatto torni ad essere fatto, porgo cordiali saluti.

Maestro Francesco MartinelliDirettore artistico della Rassegna di Teatro Studentesco

Sentiamo doveroso pubblicare e condividere con i lettori la presente lettera scritta dal maestro Francesco Martinelli ed indirizzata al sindaco del comune di Corato in data 8 giugno 2011.

Il giorno 11 giugno il Sindaco ha convocato il maestro Martinelli nel Suo ufficio per trovare una soluzione adeguata per realizzare la Rassegna. Dopo aver riconosciuto la validità del lavoro fatto per dieci edizioni si è impegnato, in sede di approvazione di bi-lancio, a far deliberare dalla Giunta un contributo economico sufficiente per garantire lo svolgimento dell'undicesima edizione.La Rassegna di Teatro Studentesco "Città del Dolmen" sembra essere salva se pur spostata a Settembre!

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la Bacheca

Link utili, corsi, spettacoli, concerti, mostre ed eventi di particolare interesse selezionati per voi.Articoli, recensioni, servizi fotografici, video e i numeri precedenti di “Pierròt “ da leggere direttamente sul vostro PC.

O.T. SCUOLA (Osservatorio Teatrale delle Scuole)

http://pierrotweb.wordpress.com il blog di Pierròt

PROGETTI DI EDUCAZIONE AMBIENTALEEsibizioni teatrali e attività rivolte alle Scuole Primarie e Secondarie di Secondo Grado, studiate dal Teatro delle Molliche per sensibilizzare i bambini e i ragazzi alle tematiche ambientali rappresentati presso il Parco Naturale Selva Reale di Ruvo di Puglia.Per informazioni e adesioni contattare 080.8971001

PROGETTI

LABORATORILaboratorio teatrale per bambini da 6 a 10 anni condotto da Mariangela Graziano presso la libreria Diderot di Andria.Per informazioni e adesioni contattare il 0883.550932

PROGETTO SCUOLA TEATRO

Diderot Via Lorenzo Bonomo, 27 - AndriaGuglielmi Via G. Bovio, 76 - AndriaOompa Loompa Via Cardinale Dell'Olio, 18 - BisceglieAmbarabacicicocò Via Monte Di Pietà, 55 - CoratoEdicolè Via Don Minzoni - Corato

Ritira la copia di Pierròt nelle seguenti librerie:

Il Ghigno Via Salepico, 47 - MolfettaL'Agorà Corso Cavour, 46 - Ruvo di PugliaLe città invisibili Largo La Ginestra, 14 - TerlizziLa Maria del Porto Via Statuti Marittimi, 42 - TraniMiranfù Via G.Bovio, 135 - Trani

Esibizioni finali degli allievi della Scuola delle Arti della Comunicazione del Tea-tro delle Molliche.

PROGRAMMA

22 maggio prima replica ore 19,00 / seconda replica ore 21,00NO PIGS – 2a lezionecon Graziana Bucci, Marilù Cavallo, Davide Labartino,Valeria Menduni, Dalila Morgese, Celeste Quercia,Federico Rutigliano

2 giugno ore 19,00Il principe Scontento - di Mariangela Grazianocon gli allievi della Teatroteca

4 giugno ore 19,00La pioggia e le foglie - di Alessandra Sciancaleporecon gli allievi del Corso Propedeutico di 1° livello

12 giugno ore 20,30Monologhi di Shakespearecon Monica Bisceglia, Benedetto Cassano,Domenico Dell’Olio, Lorenza Fabiano,Marianna Montingelli, Milena Napolitano,Noemi Quercia, Valeria Tamborra,Eleonora Tricarico

18 giugno ore 21,00Scene da Goldoni e Pirandellocon Giuseppe Cappelluti, Sara Fiore,Simonetta Guidotti, Irene Mintrone,Daniele Ventrella

19 giugno prima replica ore 18,30 / seconda replica ore 21,00Tartuffo di Molierecon Alessia Arcadite, Lavinia Capogna,Alessandro De Benedittis, Alessandro Maino,Stefan Victor Pirnus, Paolo Strippoli

Gli allievi dell’istituto Tecnico Commerciale “Tannoia” di Corato con l’esibizione “Il Teatro Comico” di Goldoni, partecipando al Festival di

Teatro Scolastico “Pulcinellamente” di Caserta si sono aggiudicati il Premio miglior attrice consegnato a Francesca Perrone e la Menzione

miglior spettacolo per partecipare al prestigioso Festival di Serra San Quirirco.

Alla Rasegna “Voce del Mediterraneo” di Bisceglie hanno ottenuto quattro nomination aggiudicandosi il Premio migliori costumi.

Gli allievi del Liceo delle Scienze Umane “T. Fiore” di Terlizzi hanno partecipato alla Rassegna Nazionale di Teatro Scolastico “Drama” di

Cassano Murge con lo spettacolo “Lisistrata” ottenendo il Premio miglior regia.

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Teatro delle Molliche