Microscopio - Giugno 2011

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1 M croScopio M croScopio Mensile Medico Scientifico www.microscopionline.it Pubblicazione Mensile in abbonamento • Num. XV - Giugno 2011 ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA FARINGOTONSILLITE MEDICINA ESTETICA medicina del benessere PERCHÈ INVECCHIAMO?

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M croScopioMensile Medico Scientifico

www.microscopionline.it

Pubblicazione Mensile in abbonamento • Num. XV - Giugno 2011

ACUTA IN ETÀ PEDIATRICAFARINGOTONSILLITE

MEDICINA ESTETICAmedicina del benessere

PERCHÈ

INVECCHIAMO?

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FLASH

Ufficio stampa CnrSilvia MattoniCapo ufficio stampaMarco Ferrazzoli

notizia

Sono in grado di regolare la crescita indesiderata di nuovi vasi san-guigni, inibiscono la crescita tumorale, riescono a trattare con suc-cesso le patologie oculari e autoimmuni. A dimostrarne la validità una recente ricerca condotta dall’Ieos-Cnr di Napoli e Università di Salerno

farmaci ‘intelligentì riescono a trattare patologie tumorali, oculari (come retinopatia diabetica, retinopatia del nato pre-maturo, degenerazione della macula) e autoimmuni (artrite

reumatoide e psoriasi), bloccando in modo selettivo il meccani-smo molecolare della crescita anomala e incontrollata di nuovi vasi sanguigni, chiamato angiogenesi, senza attaccare in alcun modo quelli preesistenti. È quanto emerge dai risultati della ricer-ca ‘Genetic and pharmacological inactivation of cannabinoid CB1 receptor inhibits angiogenesis’ svolta presso i laboratori dell’Isti-tuto di endocrinologia e oncologia sperimentale del Consiglio nazionale delle ricerche (Ieos-Cnr) di Napoli e del dipartimento di Scienze farmaceutiche e biomediche dell’Università di Salerno, con la collaborazione dell’Università di Siena e dell’Università del New Mexico di Albuquerque (USA). Lo studio è stato pubblicato su Blood, giornale dell’American Society of Hematology. “Questi farmaci riescono a bloccare la crescita patologica di nuovi vasi sanguigni in modo mirato”, spiega Chiara Laezza dell’Ieos-Cnr di Napoli, “agendo sul principale recettore dei cannabinoidi CB1, coinvolto nella regolazione della proliferazione cellulare e quindi dell’angiogenesi”. Per confermare questa ipotesi, “il passo succes-sivo è stato quello di bloccare il recettore CB1, spegnendone il gene o impedendo il suo funzionamento mediante un farmaco antagonista, per vederne così gli effetti sulle varie tappe del pro-cesso angiogenetico in vitro e in modelli sperimentali animali”. Negli ultimi 15 anni, prosegue Maurizio Bifulco della facoltà di Far-macia dell’Università di Salerno, coordinatore dello studio, “sono stati sintetizzati diversi farmaci, come il Rimonabant, in grado di bloccare tale recettore, già sperimentati in trials clinici per com-battere l’obesità, ma tolti dal commercio per problemi a livello del sistema nervoso centrale”. Grazie a questo studio, “è stato possi-bile, attraverso la somministrazione del Rimonabant, prevenire il processo di angiogenesi atipica, bloccando proprio il recettore ed evitando il rischio di effetti collaterali”, continua Bifulco. “La ricerca dischiude quindi la possibilità di ‘recuperarè quei farmaci per po-terli utilizzare a favore di terapie mirate”. Anche se si tratta ancora di uno studio preclinico realizzato in modelli animali, tale scoperta aggiunge un nuovo tassello nella comprensione della biologia del sistema endocannabinoide.

Farmaci ‘intelligentì, terapia del futuro

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SOMMARIO

Direttore EditorialeAntonio Guerrieri

Direttore ResponsabileCaterina Guerrieri

Capo redattore e coordinatriceCinzia Mortolini

RedazioneStefania Legumi, Caterina Guerrieri, Francesco Fiumarella

CollaboratoriPaolo Nicoletti, Marco Nicoletti

Le opinioni espresse impegnano solo la responsabilità dei singoli autori. Tutto il materiale inviato, anche se non pubblicato, non sarà restituito e resterà di proprietà dell’editore.

PediatriaFaringotonsillite acuta in età pediatricapag. 6

AngiologiaGli edemi agli arti inferioripag. 8

Medicina EsteticaMedicina del Benessere pag. 11

MedicinaPerché invecchiamo?pag. 16

La complessità del rapporto tra gli esseri viventi e il climapag. 26

Progetto GraficoMarco Brugnoni - [email protected]

StampaProperzio s.r.l - Perugia

Si ringraziaDottor Danilo Vicedomini, Dottoressa Santina Cardillo, Dottor Maurizio Santoro, Dottoressa Olga Fraschini, Dottor Giuseppe Internullo, Dottor Alessandro D’Amuri, Capo Ufficio stampa CNR Marco Ferrazzoli, Dottor Nicola Cerbino responsabile Ufficio Stampa Università cattolica Sede di Roma e Policlinico universitario “Agostino Gemelli”

EditoreE.G.I s.r.l.Reg. Tribunale di PerugiaN. 12/2010 del 10/02/2010

Direzione e AmministrazioneE.G.I. s.r.l. Via Hanoi, 2 • 06023 Bastia Umbra (PG) Tel. 075.800.66.05 - Fax 075.800.42.70 [email protected]

Marketing & PubblicitàGuerrieri Antonio, Altea NatalinoTel. 075.800.53.89

Ricerca

Pubblicazione Mensile in abbonamento • Num. XV- Giugno 2011M croScopio

06Una mappa per la Sindrome di Down pag. 27

Autismo ormoni per socializzarepag. 28

Gocclespag. 29

Caso ClinicoCaso Clinico di Anatomia Patologicapag. 21

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Premesse. La disponibilità e diffusione di sem-pre nuove metodiche diagnostiche, fa sì che sempre più spesso il pe-diatra di famiglia possa avvalersi, nel corso della sua attività ambula-toriale, dell’utilizzo del cosiddetto “self-help” ovvero di test rapidi e di strumenti in grado di migliorare la propria accuratezza diagnostica ed appropriatezza prescrittiva, ri-solvendo in pochi minuti problemi che solo fino a pochi anni fa neces-sitavano dell’ausilio dell’ospedale, di laboratori esterni o di specialisti di branca, con conseguente miglio-ramento della qualità delle cure, maggiore soddisfazione da parte dei pazienti e riduzione della spesa sanitaria. Il numero delle condizioni cliniche che il pediatra di famiglia può gestire in maniera autonoma nel proprio ambulatorio dipende sia dagli strumenti tecnici disponibili che dalla sua capacità di dotarsi di competenze e modalità organizza-tive tali da consentirgli di sfruttare al meglio le proprie risorse tecniche e culturali. Nell’ambito del self-help in pediatria un ruolo di primo piano spetta al test rapido per la determi-nazione dell’antigene dello Strepto-cocco beta-emolitico di gruppo A (o S. pyogenes).

Aspetti epidemiologici e clinici.La faringotonsillite acuta rappresen-ta una delle patologie di più comune riscontro in età pediatrica: in oltre il 60% dei casi l’infezione è provoca-

ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA:FARINGOTONSILLITEself-help e percorso diagnostico nell’ambulatorio del pediatra di famiglia

ta da agenti virali, mentre le forme batteriche, quasi sempre sostenute dallo S. pyogenes, rappresentano circa il 35% dei casi. Le linee guida internazionali di riferimento (2, 4, 8) escludono la possibilità di porre una diagnosi differenziale fra una forma virale ed una streptococcica su base esclusivamente clinica, in quanto la sintomatologia non differisce in maniera significativa in relazione ai diversi agenti patogeni. Alcuni studi clinici (1, 3) che hanno quantificato il valore predittivo di alcuni sintomi e/o segni clinici associati a faringo-tonsillite sono giunti alla conclusio-ne che nessuno di essi è in grado di identificare od escludere con certez-za l’infezione streptococcica. Nume-rosi tentativi sono stati fatti nel cor-so degli anni per delineare un algo-ritmo clinico, vale a dire un insieme

di sintomi e/o segni clinici in grado di orientare il sospetto diagnosti-co verso lo S. pyogenes: lo score di McIsaac (6) risulta, in tal senso, quel-lo più estesamente studiato a livello internazionale e più largamente uti-lizzato in pediatria (Tabella 1).

Tabella 1. Score di McIsaac per il sospetto clinico di faringotonsillite streptococcica.

McIsaac Score

temperatura >38°C 1 assenza di tosse 1adenopatia dolentelaterocervicale anteriore 1tumefazione o essudato tonsillare 1età 3-14 anni 1totale 0-5

Pediatria

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Dott. Danilo VicedominiPediatra di Famiglia A.S.L. Napoli 1 Centro – Distretto Sanitario 29

Si assegna un punto per ciascuna risposta positiva e si sommano tut-ti i punti ottenendo uno score finale che varia da 0 a 5. In caso di punteg-gio basso (0-1) è improbabile che ci sia un’infezione da S. pyogenes, vi-ceversa in caso di punteggio elevato (4-5) la diagnosi di faringotonsillite streptococcica è molto più probabi-le. Va però sottolineato che l’utilizzo dello score di McIsaac serve solo a quantificare il sospetto di infezione, ma non è dirimente ai fini diagno-stici (2): soltanto l’esecuzione di un tampone faringeo, correlato ad una ricerca immuno-enzimatica dello S. pyogenes, permette di porre una diagnosi differenziale certa.

Aspetti diagnostici. L’esame colturale da tampone farin-geo viene considerato ancora oggi il golden standard per la diagnosi di fa-ringotonsillite streptococcica, tutta-via, dal momento che esso necessita di almeno 24-48 ore di tempo prima di fornire il risultato, già a partire da-gli anni ’80 sono stati sviluppati dei test rapidi (RAD, rapid antigen de-tection test) in grado di identificare entro pochi minuti la presenza del-lo S. pyogenes. I test rapidi di prima generazione utilizzavano metodiche di agglutinazione su latex ed erano caratterizzati da una bassa sensibili-tà. I test attualmente più diffusi sono quelli di seconda generazione, che si basano su una metodica immuno-enzimatica (EIA, enzyme immunoas-say); essi sono di facile esecuzione, rapidi e sono dotati di sensibilità e specificità migliori rispetto a quelli di prima generazione. Poiché la mag-gior parte dei test attualmente uti-lizzati non raggiunge quasi mai una sensibilità superiore al 95% (2, 5), la letteratura internazionale (3, 4, 6, 7) è quasi unanimemente concorde nell’indicare l’esame colturale come test di conferma da eseguire sempre nei casi in cui, in presenza di un so-spetto clinico, il test rapido risulti ne-

gativo. Va però sottolineato che l’ac-curatezza diagnostica, oltre che dal tipo di test utilizzato, è influenzata dall’esperienza dell’operatore e dal grado di collaborazione da parte del bambino, dal momento che esso va eseguito strofinando energicamente il tampone sulle tonsille e sulla pare-te posteriore del faringe, senza toc-care la lingua.

Terapia. La pratica, purtroppo ancora diffusa, di trattare in maniera empirica con antibiotici le faringotonsilliti clinica-mente sospette di essere di origine streptococcica determina un inutile eccesso prescrittivo con conseguen-te incremento della spesa sanitaria ed aumento delle resistenze batte-riche. Poichè la faringotonsillite da S. Pyogenes è una patologia autoli-mitantesi ed anche senza alcun trat-tamento si osserva una risoluzione spontanea della sintomatologia, l’o-biettivo principale della terapia an-tibiotica resta la prevenzione delle complicanze suppurative (ascesso peritonsillare, ascesso retrofaringeo, otite, linfoadenite laterocervicale) e, soprattutto, della malattia reumati-ca: essa va pertanto riservata a quei bambini in cui il sospetto di infezio-ne da S. Pyogenes sia supportato da uno score clinico suggestivo, da un test rapido positivo ed eventual-mente, laddove necessario, da un esame colturale di conferma positi-vo. In tutti gli altri casi, in presenza di infezione virale, la terapia antibiotica non trova indicazione (2, 4, 8).

Conclusioni. Il progressivo accentuarsi del pro-blema inerente la sostenibilità eco-nomica del S.S.N., a fronte di cre-scenti esigenze di qualificazione dei servizi sanitari offerti, ha portato ne-gli ultimi anni ad una ristrutturazio-ne dei modelli organizzativi sanitari, con sempre maggiore valorizzazio-ne e rafforzamento del sistema delle

cure primarie. Questa necessità di ri-spondere in maniera più adeguata e moderna alla crescente domanda di salute fa sì che il self-help pediatrico rivesta oggi sempre più importanza nel percorso diagnostico-terapeu-tico del pediatra di famiglia, garan-tendo una maggiore efficacia ed ap-propriatezza della risposta sanitaria ed un migliore utilizzo delle risorse del sistema.

References1) Ebell MH, Smith MA, Barry HC, Ives K, Carey M. The rational clinical examination. Does this patient have strep throat? JAMA, 284: 2912-2918, 20002) Finnish Medical Society Duodecim. Tonsil-litis and pharyngitis in children. In: EMB Gui-delines. Evidence-Based Medicine. Helsinki, Finland: Duodecim Medical Publications Ltd. Oct 30, 20053) Gerber MA, Shulman ST. Rapid diagnosis of pharyngitis caused by group A streptococci. Clin Microbiol Rev, 17:571-580, 20044) CSI. Institute for Clinical Systems Improve-ment. Acute pharyngitis. Health care guideline. May 2005. Sixth edition5) Lin MH, Fong WK, Chang PF, Yen CW, Hung KL, Lin SJ. Predictive value of clinical features in differentiating group A beta hemolytic strepto-coccal pharyngitis in children. J Microbiol Im-munol Infect, 36:21-25, 20036) McIsaac WJ, Goel V, Low DE. The validi-ty of a sore throat score in family practice. CMAJ,163:811-815,20007) MHRA. Medicine and Healthcare products Regulatory Agency. Group A treptococcus rapid antigen detection test kits: a review of evaluation literature. Department of Health. Jan 20058) SIGN. Scottish Intercollegiate Guidelines Network. Management of sore throat and in-dication for tonsillectomy. A National Clinical Guideline. Edinburgh (Scotland), Scottish Inter-collegiate Guidelines Network (SIGN); January 1999. SIGN publication n. 34

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iverse patologie hanno un sintomo comune: gli edemi agli arti inferio-

ri. È importante quindi saper di-

RELAZIONI SU EDEMI FLEBOLOGICI, CARDIACI E INTERNISTICI

stinguere le varie cause di edemi, con una meticolosa anamnesi, con un accurata visita medica ed infine con accertamenti diagno-stici, per evitare ai pazienti inuti-li giri di ambulatori, lunghe liste di attesa, ed anche per ridur-re i costi della sanità pubblica. L’interesse per questa patologia dipende dal fatto che è molto diffusa, già nel 1994 si contava-

no nel mondo circa 140 milioni di persone che ne sono affetti, e la società italiana di linfoan-giologia calcola che solo in Italia si sviluppano circa 40.000 nuo-vi casi l’anno, di cui il 15% evol-ve verso le forme più avanzate. Ma cos’è l’edema e perché si forma? L’edema è un aumento di vo-lume del liquido interstizia-le contenente macromolecole.

GLI EDEMI AGLI ARTI INFERIORI

CAUSEe RIMEDI

Angiologia

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M croScopioSi forma perché si ha uno sbi-lanciamento tra pressione idro-statica e la pressione colloido-osmotica (forze di Sterling) che tendono a promuovere lo sposta-mento dei liquidi dai vasi verso lo spazio extracellulare e viceversa. La figura 1 schematizza perfetta-mente questo processo e mostra come un aumento della pressione idrostatica, rigonfia il vaso au-mentandone la porosità, aumen-tando quindi la fuoriuscita di li-quidi e proteine, depauperando cosi il sangue di proteine con conseguente riduzione della pres-sione osmotica, che esita in un minore riassorbimento di liquidi. L’edema può essere meccanico o a bassa portata quando vi è un ostacolo meccanico al deflusso linfatico, mantenendo una por-tata normale; l’edema dinami-co quando, con una capacità di deflusso normale, il carico linfa-tico è notevolmente aumenta-to superando la capacità totale del sistema circolatorio linfati-co. Questo avviene nell’insuffi-cienza venosa, nella cirrosi epa-tica, nell’insufficienza renale, nello scompenso cardiaco, nel-le alterazioni endocrinologiche. In questa trattazione mi li-miterò a parlare degli ede-mi linfatici, iniziando col dare brevi cenni di anatomia. I linfatici costituiscono una rete di vasi forniti di valvole direzio-nali, che corre parallela alla ve-nosa, che è deputata al drenag-gio di acqua e grosse molecole, costituite prevalentemente da proteine, dagli spazi interstizia-li dei vasi tenuti dall’organismo. La rete linfatica si estende con un circolo superficiale (soprafasciale) che drena cute e sottocute; un cir-colo profondo (sottofasciale) che drena muscoli, articolazioni, ten-dini; un circolo viscerale per gli organi interni addominali e tora-

cici; con il sistema delle perforanti che collega la circolazione linfa-tica superficiale con la profonda. La linfa viene convogliata nel dot-to toracico, che è il vaso linfatico più grosso, per essere riversata nel sistema venoso nell’angolo for-mato dalle confluenze della giu-gulare con la succlavia di sinistra. Il sistema linfatico è importante perché assicura la stabilità e la ri-pulitura dell’ambiente extracellu-lare dei tessuti, è parte essenziale degli apparati difensivi dell’intero organismo, è un sistema vasale esclusivamente di raccolta di li-quido circolante: la linfa. Opera in parallelo alle sezioni venose del circolo sanguigno sistemico. I capillari linfatici sono presen-ti in quasi tutti gli organi tran-ne l’encefalo, originano a fondo cieco negli spazi interstiziali. La progressione della linfa non è do-vuta ad un gradiente pressorio

lungo l’albero vasale, ma all’atti-vità contrattile ritmica automati-ca della muscolatura vasale che, grazie alla presenza delle valvole, determina un ciclico pompaggio della linfa verso i vasi più grandi. Oltre alla “peristalsi” vasale, qual-siasi fattore esterno che comprima in modo intermittente i vasi linfa-tici può avere un effetto di pompa. I linfedemi rappresentano una patologia cronica localizzata pre-valentemente agli arti inferiori, ha un elevato contenuto proteico, ha una evoluzione ingravescente verso la fibrosi per aumento del contenuto proteico e riduzione dell’attività macrofagica, e mol-to spesso è causa di impotenza funzionale e problemi psichici. Secondo Kiumonth si distingue un linfedema primario per displasie linfatiche congenite dei vasi, dei linfonodi e di entrambi (con nata-li se presenti alla nascita, precoci

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M croScopioprima dei 25 anni, tardive dopo i 25 anni); da un linfedema secondario dovuto a ostruzioni linfatiche se-condarie a diversi agenti causali. Le anomalie linfatiche compren-dono nel 70% dei casi le ipopla-sie, nel 15% le aplasie, ricordiamo che un’aplasia totale è incom-patibile con la vita, le iperplasie o le varicosità linfatiche nel 15% I linfedemi secondari possono avere per causa l’invasione neo-plastica all’interno del vaso e/o la compressione estrinseca; una linfagite ostruttiva da filariosi, TBC, lue, ecc; una linfoangiopatia degenerativa, una linfoangiopatia post traumatica; le adenopatie, la mancanza di movimento “ede-ma da disuso” come nell’ictus, per cause iatrogene come dopo mastectomia e/o post attinica. La stadiazione CEAP-L (Clinical Ethiological Anatomical Phisio-pathological-Lynphatic) si basa su criteri clinici: entità dell’e-dema, andamento clinico del-la malattia durante l’arco della giornata e col variare del de-cubito, numero ed entità delle complicanze linfangitiche, con-sistenza dell’edema e alterazioni cutanee correlate alla malattia. Il I stadio è diviso in Ia: asinto-matico, pazienti a rischio per fa-miliaritò, perché già sottoposti a intervento chirurgico a terapia radiante, ecc. In Ib: lieve ede-ma reversibile con la posizio-ne declive e col riposo notturno Stadio II: edema persisten-te che regredisce solo par-zialmente col riposo nottur-no e con la posizione declive. Stadio III: edema persistente che non regredisce spontaneamente con la posizione declive, ed è in-grsvescente, può evolvere verso linfangiti erisipeloidi.Stadio IV: fibro-linfedema con verrucosi linfostatica iniziale e con arto a colonna.

Dottoressa Santina CardilloAngiologo Ospedale Acireale

Stadio V: elefantiasi con grave deformazione dell’arto, pachi der-mite sclero-indurativa e verrucosi linfostatica marcata ed estesa.Per la diagnosi è sufficiente l’a-namnesi e l’esame obiettivo. Può essere complicata quando si sovrappongono altre patologie quali l’obesità, l’insufficienza ve-nosa, un trauma più o meno evi-dente, infezioni. Bisogna esclu-dere gli edemi di altra natura. Il linfedema è sempre asimme-trico nei due arti; è in genere di colorito biancastro, a volte rico-perto da cute lucida; è di consi-stenza duro-parenchimatosa; può esservi un afovea fugace; non è dolente; vi è un approfondi-mento delle pliche naturali della pelle a livello delle articolazioni; vi possono essere distrofie un-gueali e alterato trofismo cuta-neo; il termo tatto è negativo; positività del segno di Stemmer (mancato pinza mento cutaneo alla base del II dito del piede). Tra gli esami strumentali la lin-goscintigrafia è quelo di prima scelta per confermare la natura linfostatica, per l’individualizza-zione delle cause (ostacolo o re-flusso), per valutarne l’estensione, la componente maggiore o mino-re del circolo linfatico profondo rispetto al superficiale, lo stato delle stazioni linfonodali, con-sente di individuare la linfostasi dello stadio Ia, non ancora cli-nicamente manifesta, ruolo fon-damentale nella prevenzione del linfedema secondario. Non è una tecnica invasiva, è ripetibile, ed è eseguibile anche nel neonato. La TAC, la RMN, l’ecogarfia sono utili per lo studio degli edemi se-condari, specialmente quelli di natura neoplastica.L’ecodoppler è utile nella diagno-si differenziale con i flebedemi. Di utilità limitata il laser doppler e la linfografia indiretta. L’esame

bioptico è necessario in caso di sospetta neoplasia linfatica ma-ligna (linfomi).Lo studio genetico ha recentemente evidenziato una associazione tra linfedema e alte-razioni cromosomiche, sperando che in un futuro prossimo pos-sa esserci di maggiore aiuto per la classificazione delle sindromi linfo-angio-displasiche familiari e per altre alterazioni congenite dismorfogenetiche caratterizzate da linfedema, linfangectasie e lin-fangiomatosi.La terapia si avvale dell’associa-zione di linfodrenaggio (manuale e meccanico), bendaggio, terapia medica, ginnastica e terapia chi-rurgica. Il linfodrenaggio manuale ha maggiore influenza sulla quo-ta proteica della linfa, riducendo di fatto la componente fibrotica che caratterizza il linfedema cro-nico. Il linfodrenaggio meccani-co sfrutta i sistemi pneumatici alternati che incrementando la pressione sulla cute in modo se-quenziale, potenziano la spinta centripeta della linfa verso i vasi di maggior calibro. L’azione prin-cipale è sulla componente liquida dell’edema. Al linfodrenaggio va seguita sempre una valida ela-stocompressione graduata (40-50 mmHg). Al linfodrenaggio e all’elastocompressione si posso-no associare la terapia medica a base di benzopironi o flavonoidi e la ginnastica per ativare la pom-pa muscolare. La microchirurgia linfatica può essere derivativa, eseguendo un’anastomosi con la vena satellite principale, o rico-struttiva by-passando l’ostacolo con segmenti autologhi linfatici o venosi. Importantissima la cura della pelle soprattutto per evitare la sovrapposizione di infezioni.

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he cos’è la medicina este-tica Dottor Maurizio San-toro?

La medicina estetica aiuta a miglio-rarci, a migliorare l’aspetto esterio-re senza esagerare. Migliorarsi è importante per presentarsi meglio agli altri e per sentirsi meglio con se stessi. In questi ultimi tempi si parla di medicina estetica come medicina del ben-essere, un benessere psi-

cofisico che si deve accompagna-re anche all’aspetto. Così come ci prendiamo cura della nostra salute dobbiamo prenderci cura della no-stra pelle, della presenza eventuale di rughe che ci possono disturbare, dobbiamo cercare di dimagrire lo-calmente, seguendo un determi-nato regime alimentare. Nell’ambi-to della medicina del benessere e nell’ambito del controllo normale

della persona ci deve essere anche la medicina estetica come com-pletamento. Questa branca della medicina ci può aiutare a senti-re un po’ meno i segni del tempo. Che differenza c’è dottore tra medicina estetica e chirurgia estetica?Partiamo da una doverosa premes-sa: la chirurgia plastica e la chirurgia estetica sono branche specialistiche

MED CINA DEL BENESSERE

MED

ICIN

AESTETICA

I nuovi approcci terapeutici, le nuove tecniche della medicina del benessere, per un giusto equilibrio psicofisico, per un cor-retto stile di vita grazie alla professionalità del Dottor Maurizio Santoro specializzato in Dietologia e Medicina Estetica

Medicina

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M croScopioche vengono studiate all’università, con un preciso iter ed una succes-siva specializzazione. La Medicina estetica invece, purtroppo non ha una sua specializzazione, nè è ri-conosciuta a livello universitario. Noi medici estetici praticamente dobbiamo accontentarci di master universitari per migliorare la nostra professionalità. In buona sostan-za, siamo degli esperti, non degli specializzati, senza voler assoluta-mente sminuire la nostra categoria. Personalmente, pratico la Medicina estetica da 25 anni. La differenza sostanziale tra Medicina estetica e Chirurgia estetica possiamo sinte-tizzarla in questo modo - Dove il medico non può più intervenire ini-zia il chirurgo. Se abbiamo un vol-to particolarmente invecchiato e la medicina ha raggiunto i suoi limiti bisogna per forza intervenire con un lifting. Se una donna ha avuto molte gravidanze ed ha un addome particolarmente pendulo va indiriz-zata verso la Chirurgia estetica in cliniche specializzate e medici alta-mente specializzati. Noi ci troviamo a curare spesso delle situazioni che sono mediche, curiamo un viso dove non ci sono forti cadute del tessuto, nella regione perioculare interve-niamo con il filler ma se ci rendia-mo conto che il solco sotto oculare è particolarmente sceso ci vuole un intervento di Blefaroplastica. Pos-siamo dire che dove finisce il medi-co estetico inizia il chirurgo plastico. Quali sono i nuovi approcci tera-peutici Dottore?Ci sono due o tre novità molto im-portanti. Dal 2010 c’è un nuovo si-stema nell’apportare la sostanza che maggiormente utilizziamo sul viso per curare le rughe, l’acido ialuroni-co che prima veniva apportato con degli aghi; con questo sistema, per trattare più zone del viso bisogna-va effettuare molte, molte punture, con consequenziali fastidio e dolore per il paziente, nonostante l’uso di-

creme estetiche. La novità del 2010 è l’utilizzo di alcune microcanule, ci serviamo di una piccola guida con l’ago, che, poi, si toglie, inserendo una microcanula che distribuisce l’acido ialuronico su varie zone del viso utilizzando un solo foro di en-trata. La miscrocanula è smussa, non è tagliente, si può girare nelle varie zone del viso riempendo con l’aci-do ialuronico in maniera molto più efficiente dell’ago stesso. Con que-sta nuova metodologia è cambiato proprio il modo di curare le rughe, non si tende più a curare la ruga in sé e per sé, ma si cerca di dare vo-lume al viso, essendosi appurato, invero, che il processo di invecchia-mento interessa l’epidermide, il der-ma, ma anche il tessuto superficiale. Con queste canule, si lavora proprio nel distretto del tessuto adiposo superficiale del viso introducendo l’acido ialuronico a tutto spessore rinvigorendo il volto con un aspetto molto più naturale. Spesso dalle pa-zienti ci facciamo portare foto di 10 anni prima, con questo trattamento full face otteniamo veramente un lifting medico. Questa tecnica vie-ne chiamata Lifting medico o Soft Restoration del viso. L’associazione di questa nuova metodica con il botulino ad esempio riesce a dare

una correzione full face, con risul-tati sulle rughe del 60% - 70%. Una correzione ottimale. Una seconda modifica importante di questi ulti-mi anni è stato l’utilizzo di aghi per I n t r a - lipoterapia. Esisteva un si-

stema per curare il grasso localizzato -un procedi-

mento chiamato Mesote-rapia- utilizzando degli aghi

molto, molto piccoli che veni-vano iniettati sulla zona del pan-nicolo adiposo; il farmaco veniva

iniettato attraverso aghi di circa 4 millimetri, ma il risultato non era particolarmente soddisfa-

cente perché si apportavano dei miglioramenti alla circolazio-ne, alla lipolisi, secondo un criterio probabilistico, ma non di possibi-lità scientifica. Con l’avvento della nuova tecnica, invece, la Introlipo-terapia, attraverso due piccolissimi fori il farmaco viene iniettato diret-tamente, con una microcanula, sul tessuto adiposo. Con un protocollo particolare, utilizzando l’apparec-chiatura di cavitazione subito dopo l’intervento, seguendo un partico-lare schema di tipo alimentare si ottengono risultati particolarmente gratificanti sulle adiposità. Novità significative interessano anche la cellulite. Il primum movens nella cellulite risiede nel sottolineare che è una malattia, una malattia del si-stema venoso microcircolatorio e va trattata come trattiamo l’insuf-ficienza venosa, l’ipertensione ar-teriosa e altre patologie. È un pro-blema del microcircolo con trasfor-mazione del grasso localizzato che diviene sempre più duro. Orbene, oltre ad effettuare trattamenti di linfodrenaggio in maniera massiva, alcune relazioni di colleghi consi-gliavano, nel passato, di effettuare il drenaggio linfatico anche per 4-5 ore al giorno; oggi abbiamo delle cure che ci permettono di curare meglio questa patologia, chiamata in gergo Pannicolopatia edemo fi-

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bro sclerotica, riguardante il tessuto adiposo che segue una evoluzione dell’edema del tessuto fino a for-mare micronoduli poi macronoduli. Essa viene curata con terapie come cavitazione, linfodrenaggio, mas-saggio connettivale, endermologia o LPG e, come ultimo arrivato, le onde d’urto che sono onde acu-stiche, agiscono scompaginando il collagene e riformando nuovo collagene sotto pelle. Anche se ci fossero delle grosse problematiche

prima di arrivare all’intervento chi-rurgico di Lipoaspirazione

si può intervenire con delle tecni-che microchi-rurgiche come

la Lipocavitazione ultrasonica fatta con la

sonda e la Laserlipolisi, tcniche che permettono di sciogliere il grasso localmente.Dottor Santoro il trattamen-

to dietologico è parte inte-grante della medicina estetica?Il trattamento dietologico fa par-te di qualsiasi trattamento di me-dicina estetica sia per riportare la persona ad una situazione di normopeso sia per ridistribuire in maniera salutare le porzioni du-rante la giornata. Bisogna tene-

re presente che nelle ore serali il nostro metabolismo è predisposto all’anazione anabolica e non cata-bolica. Quello che noi cerchiamo di far capire ai nostri pazienti è di rispettare, dunque, il crono-meta-bolismo. Il nostro corpo dall’inizio della giornata fino alle 15.00, alle 16.00 del pomeriggio è portato a catabolizzare Quello che mangiamo lo consumiamo nella prima parte della giornata. Se noi mangiamo di più dopo le 15.00 e nelle ore sera-li facilmente ingrassiamo. Bisogna, in sostanza, riabilitare la colazione, gli spuntini, il pranzo e diminuire la cena. Con questa semplice ridistri-buzione qualitativa degli alimenti il paziente inizia a dimagrire. Per quanto riguarda il rapporto alimen-tazione/Medicina estetica bisogna dire che chi non fuma, non abusa di alcolici, dell’esposizione al sole, di lampade solari, segue un ritmo corretto del sonno, e si alimenta di frutta e verdura in abbondanza, carni bianche, pesce, insomma, chi segue un corretto stile di vita, in-vecchia meglio. L’alimentazione è un punto fondamentale, diciamo che l’alimentazione va posta sempre in

primo piano. Per contrastare i segni dell’età si possono integrare antios-sidanti, prodotti cosmetici buoni, fortemente idratanti per la pelle e/o utilizzare concentrazioni di acido glicolico del 7-10% in nanotecnolo-gia, cioè in microdosi che possono facilmente attraversare la barriera cutanea agendo così in profondità. Molti cosmetici oggi sono diventati nanotecnologici, abbiamo anche i peeling nanotecnologici che ci pos-sono aiutare senza effetti collatera-li. Di certo, non possiamo curare le nostre rughe continuando a man-giare male, a fumare...senza miglio-rare, insomma, il nostro stile di vita. Integratori, vitamine C, E, ci pos-sono aiutare Dottore?Sì, anche se sono già contenute negli alimenti. Bisogna comunque mangiare verdura, frutta e legumi, rispettare la nostra Dieta Mediter-ranea. I legumi ci danno un’ottima quota proteica, tante fibre, sono carboidrati complessi che ci aiuta-no nella prevenzione del diabete, dell’arteriosclerosi, della sindrome metabolica. Le proteine vegetali da noi sono poco utilizzate a differenza dei paesi orientali. Le proteine della soia ad esempio sono molto ricche di proteine e specialmente nei sog-getti anziani hanno la funzione di mantenere un’efficienza psicofisica con un costo bassissimo. Utilizzare solo olio extra vergine di oliva, pane e pasta integrali, proteine animali e prodotti caseari sempre in giu-ste dosi e magari aggiungere ogni tanto piccole dosi di cioccolato fon-dente contenente il 75% di cacao, ha una forte azione antiossidante. Anche se ha un forte apporto calo-rico ci protegge, infatti, dai radicali liberi.

Dottor Maurizio Santoro via Astenolfi - Cave dei Tirreniwww.santoromaurizio.itintervista a cura di Cinzia Mortolini

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capsulegel

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spingendolo a ricercare la giovinezza con tutte le sue forze. Comprendere le cause dell’invecchiamento puo’ essere un primo significativo passo per trovare il modo di rallentarlo. Negli anni sessanta il biologo americano Leonard Hayflick scoprì che cellule messe in un terreno di cultura si riproducono un numero limitato di volte. Questo numero si abbassa se le cellule vengono prele-vate da individui adulti, in maniera inversamente propor-zionale all’età del donatore, mentre si innalza se il pre-lievo proviene da embrioni. La teoria di Hayflick viene avvalorata dalla più moderna teoria delle telomerasi. I telomeri sono lunghe porzioni di DNA che si trovano alle estremità dei cromosomi. A ogni replicazione cellulare si perde un frammento di telomero, che quindi progressi-vamente si accorcia. quandi i telomeri diventano troppo corti viene bloccata ogni ulteriore replicazione cellulare e la cellula muore (apoptosi). Per fortuna possediamo una proteina telomerasi il cui compito è quello di riallungare

PERCHÈ

INVECCHIAMO?

questa domanda ha interessato l’uomo fin dall’alba dei tempi

i telomeri. La teoria di Hayflick e quella della telomerasi aprono il campo alle teorie genetiche. queste ultime so-stengono che ai fini dell’invecchiamento esistono geni vantaggiosi e geni svantaggiosi. attivare i primi e inibire i secondi sarebbe l’obiettivo da perseguire. il professor Giuseppe Pelicci durante una ricerca sul cancro ha sco-perto un gene che controlla una proteina p66 che a sua volta governa la risposta cellulare allo stress ossidativo. Esistono geni responsabili della produzione di proteine che se attivati rallentano l’invecchiamento. Due marker dell’invecchiamento sono i radicali liberi e gli AGEs (pro-dotti finali della glicazione cioè del legame tra glucidi e proteine). I radicali liberi vengono dosati con un prelie-vo di sangue , sono molecole cui manca un elettrone: per colmare questa lacuna possono rubarlo a moleco-le quali DNA, proteine, grassi danneggiandoli. I radicali più pericolosi sono quelli dell’ossigeno, che si formano nei mitocondri (queste centraline sono presenti dentro le cellule e producono energia). La dieta con poche ca-lorie attiva le sirtuine proteine preziose che accrescono la resistenza allo stress.. Perchè invecchiamo? Perche le nostre ghiandole endocrine producono pochi ormoni, diminuzione rapida o lenta degli ormoni cio’ porta ad un cambiamento del ritmo circadiano (del nostro orolo-gio biologico che si inverte). Cosa fare per ritardare l’in-vecchiamento? adottare stili di vita sani, evitare squilibri ormonali con ormoni naturali, esercizio fisico che attiva i geni, impiego di antiossidanti (resveratrolo, coenzima Q10, picnogenolo,...)che appaiono ottime terapie per la longevità

Dott.ssa Olga Fraschini Specialista in medicina antiaging

Specialista in urologia

Medicina

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M croScopio

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RIZOARTROSIla mia esperienza chirurgica con l’artroplastica di sospensione secondo Ceruso

’artrosi della trapezio meta-carpale, detta rizoartrosi, è un’affezione molto frequente

e rappresenta da sola circa il 10 % di tutte le localizzazioni artrosiche. L’analisi della letteratura riguardante il trattamento chirurgico per l’artrosi trapeziometacarpale ha evidenzia-to la possibilità di utilizzo di diverse tecniche. Nel periodo 2002 al 2009 ho eseguito nei casi di rizoartrosi allo stadio 3 e 4 della classificazio-ne di Brunelli l’intervento di trape-ziectomia con artroplastica di so-spensione che Ceruso ha derivato dalla metodica descritta da Weilby. Questa artroplastica si differenzia da quella descritta da Weilby , tra l’altro per l’utilizzazione dei tendini Abduttore Lungo del Pollice (APL) e Flessore Radiale del Carpo (FCR) in maniera invertita, analogamente a quanto riportato anche da altri Au-tori. Ho sottoposto al trattamento chirurgico 60 mani, tutti i pazienti operati erano affetti da artrosi tra-peziometacarpale. Tutti erano stati sottoposti precedentemente a tera-pia conservativa e senza usare infil-trazioni di cortisone. l’età media al momento dell’intervento era di 65 anni (range da 48 a 75). Il quadro radiografico dei casi trattati metteva in evidenza la riduzione e scomparsa della rima articolare, la sublussazio-ne del 1° metacarpo, la presenza di geodi, osteofiti. Tutti i pazienti han-no spontaneamente richiesto di es-

sere sottoposte ad intervento dopo aver provato per almeno 6 mesi cure mediche, cure fisioterapiche ed orte-si su misura senza averne tratto be-neficio e sono state adeguatamente informate sull’evoluzione del tratta-mento e sui postumi che sarebbero comparsi dopo l’intervento e della loro evoluzione. Ho quantificato i risultati del trattamento chirurgico valutando la riduzione dei sintomi preoperatori. Ho considerato il dolo-re come parametro importante per-ché tutti i pazienti hanno riferito che il dolore era scomparso dopo l’inter-vento sia a riposo che nelle attività leggere.Tutti potevano addurre il pollice contro il secondo metacarpo e in tutti dopo 6 mesi si riscontrava la possibilità di addurre il polpastrel-lo del pollice sulla 5^ metacarpofa-langea. Solo in un caso si è avuto un neuroma in sede della cicatrice, la cui sintomatologia è regredita par-zialmente con il tempo, associando cure fisioterapiche e massaggi di scollamento della cicatrice. Non si sono avute cicatrici cheloidee. Dagli esami radiografici a distanza di tem-po di un anno dall’intervento si è ri-scontrato che la distanza tra scafoide e base del 1° metacarpo non è dimi-nuita durante il periodo di controllo. Non ho avuto quadri di tendinosi a carico del FRC né a carico della par-te rimasta integra dell’ALP. In nessun caso si è riscontrato una eclatante ri-duzione della lunghezza del pollice.

Circa il gradimento dell’intervento è stato da tutti ben accettato. Non vi sono state lamentele circa l’aspetto estetico e tutti i pazienti sono stati in grado di riprendere le attività quo-tidiane di lavoro e non. La ripresa funzionale con relativo ritorno alle attività quotidiane in media è stato di 4 mesi dall’intervento con periodo variabile da soggetto a soggetto da 3 a 8 mesi. I risultati nel complesso sono stati decisamente buoni, solo una paziente si è lamentata per un lungo tempo a causa di un sub-strato emotivo piuttosto labile con crisi di ansia e paura al dolore con il movimento del dito operato. Ho sempre fatto precedere l’intervento dal trattamento conservativo, che consideriamo il trattamento elettivo. La tecnica chirurgica si è dimostrata di rispondere in pieno ai parametri di riferimento scelti, di fatti, l’esecu-zione è sufficientemente semplice, i tempi di contenzione sono stati molto contenuti, come descritti dallo stesso Ceruso. I rischi di complicanze sono stati ridotti e i costi dell’inter-vento sono molto bassi. L’intervento ha fornito al 1° metacarpo la stabi-lità necessaria a sviluppare la forza richiesta sia nella presa laterale sia nella presa pulpo-pulpare che nella presa di forza. Si è avuto un progres-sivo recupero della forza nel corso dei mesi senza che vi siano mai stati problemi con la stabilità del pollice, per cui sostenere che la trapeziecto-

Chirurgia della mano

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M croScopiomia è utile per eliminare il dolore ma che causa perdita della forza è indicativo della limitazione di alcune tecniche chirurgiche che agiscono sulla eliminazione del conflitto arti-colare e non agiscono sulla stabilità.Vorrei sottolineare che tutti i pa-zienti prima dell’intervento erano impediti a svolgere le comuni atti-vità quotidiane come usa una tron-chesina per le unghie, girare le chiavi nella serratura, sollevare una botti-glia o un bicchiere, attività che dopo l’intervento ogni paziente è stato in grado di rifare senza dolore.

Foto 1

Foto 2

Foto 3

Foto 1 quadro radiografico della

trapeziometacarpica,sono pre-senti segni di sublussazione,

danno articolare tra metacarpo e trapezio,geodi, notare la distanza tra la base del 1° e 2° metacarpo.

Foto 2 quadro comparativo preoperato-

rio tra mano sx e dx.

Foto 3quadro clinico post-operatorio della mano sx con motilità so-

vrapponibile alla dx.

Dottor Giuseppe InternulloSpecialista in Chirurgia della Mano, Università di ModenaCentro Studi Patologie della Mano, Catania

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E. coliCellula

uroepiteliale

Proantocianidine

Attività antiadesivaantibatterica

cistexxCAPSULE BUSTINE

Proantocianidinetipo A

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Introduzione

Il carcinoma mucinoso (MC) det-to anche “mucoso” o “colloide” è un istotipo speciale dei carcino-mi mammari duttali invasivi. Si suddivide in due forme “puro” e “misto”: la prima contiene sola-mente la morfologia del carcino-ma mucinoso tipico; la seconda forma “mista” presenta una quo-ta rappresentativa di carcinoma duttale infiltrante. Alcuni autori suddividono le componenti del carcinoma mucinoso sulla base del contenuto di muco, sul pat-tern di accrescimento epiteliale e in due aspetti peculiari defi-niti di tipo A (il tumore contiene dal 60 al 90% di muco) e il tipo

di tipo puro a differenziazione neuroendocrina

Alessandro D’Amuri, Federica Floccari, Erminia Villani, Silvano A. Senatore. U.O.C. Anatomia Patologica Ospedale “Sacro Cuore di Gesù” P.O. Gallipoli ASL LECCE; Gallipoli (LE), Italia

B (33-75% di muco). Diversi MC mostrano una differenziazione neuroendocrina, il cui significato biologico tuttora è di incerto si-gnificato.Il carcinoma mucinoso con o senza differenziazione neuroen-docrina colpisce più frequente-mente donne in età media o più avanzata, ed aumenta in modo proporzionale nelle donne in epoca post-menopausale. Clini-camente i sintomi e i segni ap-prezabili si presentano con una massa palpabile mammaria ed a volte con un sanguinamento del capezzolo. L’outcome nella valu-tazione diagnostico-prognostica del MC pone delle difficoltà cau-sa il periodo ristretto del follow-

up dovuto all’età avanzata delle pazienti, che il più delle volte giungono a morte per cause non correlate alla neoplasia. La mag-gior parte delle pazienti non pre-sentano recidive locali nè delle metastasi a distanza, così come l’infiltrazione dei linfonodi del cavo ascellare è rara. Caso clinico

Una donna di anni 82 con una storia anamnestica negativa per malattie, mostrava clinicamente e radiologicamente, una massa palpabile localizzata nella regio-ne retroareolare della mammella destra. La paziente venne sot-toposta ad intervento chirurgi-

Descrizione di un caso e breve revisione della letteratura

CARCINOMA MUCINOSODELLA MAMMELLA

Caso clinico di anatomia patologica

E. coliCellula

uroepiteliale

Proantocianidine

Attività antiadesivaantibatterica

cistexxCAPSULE BUSTINE

Proantocianidinetipo A

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Fig. 1 : E & E Fig. 2 : E & E

Fig. 3 : Grimelius Fig. 4 : NSE

Fig. 5 : SYN Fig. 6 : CGA

Fig. 7 : Estrogeni Fig. 8 : Progesterone

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M croScopioco di mastectomia radicale con svuotamento dei linfonodi del cavo ascellare. All’esame macro-scopico il pezzo operatorio co-stituito dalla mammella destra, si presentava con una retrazione del capezzolo, cute discromica e con una normale ghiandola areolare. Il restante parenchima mammario aveva degli aspetti francamente lipomatosi. In cor-rispondenza della regiore retro-areolare, al taglio, si osservava una lesione nodulariforme delle dimensioni di 4x4x2 cm, di con-sistenza elastica, circoscritta, di colore bianco-giallastro, con aree frammiste di colore bruna-stro ed aree di aspetto gelatino-so.Una volta rimosso il pezzo chi-rurgico si fissava in formalina tamponata al 10%, sezionato ed incluso in paraffina. Si otteneva-no delle sezioni seriate al micro-tomo di uno spessore di 5 micron successivamente colorate rou-tinariamente con ematossilina-eosina (E/E) e istochimicamente con la colorazione speciale di Grimelius per argirofilia. Vennero eseguite delle indagini immunoi-stochimiche con i seguenti anti-corpi: enolasi neuronale specifi-ca (NSE), cromogranina-A (CGA), sinaptofisina (SYN), neurofila-menti (NF), recettori per estro-geni (ER) e progesterone (PgR), c-erbB2 (HER2) e ki-67 (MIB-1). Microscopicamente all’E/E (Fig. 1-2) si osservavano piccoli clu-ster di cellule tumorali con ab-bondante accumulo di muco ex-tracellulare (65% circa); le cellule erano di piccole-medie dimen-sioni con aspetto trabecolare e nastriforme, i nuclei uniformi ed il citoplasma eosinofilo e fi-nemente granulare. I diciannove (19) linfonodi ascellari repertati erano tutti negativi per meta-stasi. Le colorazioni immunoisto-

chimiche erano positive per NSE (Fig. 4), SYN (Fig. 5), CGA (Fig. 6) e NF; con una marcata espressio-ne istochimica per la colorazione di Grimelius (cellule argiorofile) (Fig. 3). Inoltre le cellule tumora-li presentavano una intensa po-sitività nucleare per i recettori estroprogestinici (90% circa) (Fig. 7-8), una moderata ed incomple-ta positività di membrana per il c-erbB2 (HER2 + + - 15% circa) e un basso indice proliferativo (Ki-67 < del 10% circa). Fu posta la diagnosi di carcinoma mucinoso di tipo puro (variante ipercellula-re) della mammella con differen-ziazione neuroendocrina.

Discussione e Conclusioni

Il carcinoma mucinoso della mammella è una neoplasia con una buona prognosi che si pre-senta solitamente nelle donne in età avanzata; il più delle volte si associa ad una differenziazione neuroendocrina. La differenzia-zione neuroendocrina in Lette-ratura è stata per lungo tempo descritta, ma il suo significato biologico è ancora sconosciuto. I criteri istopatologici per effet-tuare una diagnosi di differenzia-zione neuroendorina si basano sulle valutazioni immunoistochi-miche dei markers neuroendo-crini, istochimiche con la colora-zione di Grimelius per le cellule argirofile ed infine con la micro-scopia elettronica (TEM). Alcuni Autori considerano suf-ficienti per la diagnosi l’espres-sione immunoistochimica di tutti e tre i seguenti markers neuro-endocrini come la CGA, la SYN ed NSE; altri invece descrivono la positività di almeno due dei sopracitati marcatori. Si associa quasi sempre un’alta espressione immunoistochimica dei recetto-ri estro-progestinici, una bassa

espressione dell’oncoproteina c-erbB2 (HER2) con un basso in-dice proliferativo espresso con il Ki-67.Nel nostro caso descritto, gli aspetti clinicopatologici sono si-mili a quelli riportati nella Lette-ratura scientifica, ed includono la presenza di cluster di cellule tumorali di grado moderato, con accumulo di abbondante muco extracellulare. I nostri studi isto-chimici (positività per Grimelius) e gli aspetti immunoistochimici (positività per CGA, SYN, NSE, NF; alta espressione dei recettori ER e PgR e bassa espressione di c-erbB2 e ki-67) supportano for-temente la nostra diagnosi.Questo tipo di neoplasia si è pre-sentato in una donna anziana ed i linfonodi del cavo ascellare sono tutti negativi per metastasi, così come riportato negli studi precedenti.

Bibliografia

1. Kato N. et al. Mucinous carci-noma of the breast: a multiface-ted study with special reference to histogenesis and neuroendocrine differentiation. Pathol Int 1999; 49: 947-955.2. Nakagawa H. et al. Mucinous carcinoma of the breast with neu-roendocrine differentiation. Pa-thol Int 2000; 50: 644-648.3. Tsa GMK. et al. Neuroendo-crine diffrentiation in pure type mammary mucinouis carcinoma is associated with favorable histo-logic and immunohistochemical parameters. Mod Pathol 2004; 17: 568-572.

Alessandro D’AmuriMedico-chirurgo specialista in Anatomia Patologica Dirigente Medico U.O.C. Anatomia Patologica P.O. Gallipoli ASL LE

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a complessità del rapporto tra gli esseri viventi ed il cli-ma è un interrogativo, in gran

parte, irrisolto dalla ricerca scientifi-ca. Interrogativo che supera, molto spesso, il semplice nesso di causalità. La natura, ha la plasticità degli orga-nismi viventi e concorre a definire il senso biologico, la risonanza biolo-gico-umorale e per intera l’identità dell’uomo, specularmente, l’uomo è intessuto e interagisce con essa.Le alterazioni climatiche hanno avu-to da sempre un ruolo di estrema importanza nella storia dell’uomo. Tra il XV° e il XIX° secolo, a causa di frequenti eruzioni vulcaniche, l’Euro-pa e il Nord-America attraversarono un periodo di piccola glaciazione con fenomeni di carestia e urbanizzazio-ne che causarono lo sviluppo di fo-colai epidemici. Oggi, nell’impreve-dibilità climatica nella quale il nostro pianeta sembra inabissarsi, si ag-giunge l’opera devastatrice dell’uo-mo. Uno sfruttamento indiscrimina-to delle risorse della Terra mette a dura prova i meccanismi di soprav-vivenza della natura e la possibilità, di quest’ultima, di ristabilire un effi-cace equilibrio rigenerando quanto, irrimediabilmente, perduto o par-zialmente danneggiato. Un modello di sviluppo che ha alterato il fragile equilibrio climatico favorendo even-

ti meteorologici estremi. Dall’inizio del ‘900, le temperature del pianeta sono aumentate. Sono gli anni dell’ Effetto serra o Effetto coperta, una sorta di febbre maligna che minaccia la Terra e la nostra salute. Le conti-nue e rapide variazioni della tem-peratura vengono bilanciate, entro certi limiti, dai sistemi omeostatici dell’organismo attraverso meccani-smi fisici deputati a regolarne pro-duzione e dispersione. Si perde calo-re, soprattutto, con la sudorazione e la respirazione. Un ruolo di estrema importanza è rappresentato, anche, dal tasso di umidità atmosferica : ad ogni aumento dell’umidità relativa corrisponde, in caso di innalzamen-to della temperatura, una riduzione dell’efficienza nel nostro sistema di termoregolazione e della capacità di dispersione del calore con aumento conseguente della temperatura cor-porea. L’età più vulnerabile al colpo di calore è quella infantile e la ter-za età penalizzata, molto spesso, da malattie preesistenti e invalidanti. È invalso l’uso, nel linguaggio corren-te, di parlare di “Ondata di calore”. Una terminologia che esprime forza e imprevedibilità in un fenomeno che causa difficoltà di adeguamen-to dei meccanismi di acclimatazione dell’ organismo. Le prime ondate di calore sono le più pericolose per

un maggior rischio di mortalità. La prudenza non è mai eccessiva… È importante evitare che i bambini giochino nelle ore più calde della giornata. La stessa raccomandazio-ne vale per gli sportivi. È consigliabi-le idratarsi in maniera adeguata con acqua e consumare frutta e verdura ricche di sali minerali. Indossare abiti di lino e cotone che sono per natura traspiranti e prediligere luoghi fre-schi e ventilati, possibilmente, lon-tani dall’inquinamento delle grandi metropoli. In caso di malore, di pelle secca e arrossata, confusione menta-le e collasso, intervenire rinfrescan-do, sventagliando e sorvegliando la corretta funzionalità degli organi vitali del soggetto interessato e con-siderando che nessun trattamento dovrà ritardare il trasferimento dello stesso in Ospedale. Un’ ultima racco-mandazione è sulle partenze intelli-genti e di non lasciare i bambini in macchina ma portarli, sempre, con sé. Sono consigli semplici, attuabili con un minimo di attenzione per un estate serena.

CLIMAed iltra gli ESSERI VIVENTI

COMPLESSITÀlaRAPPORTOdel

Dott. Corrado CasoSpecialista in Idroclimatologia Medica e clinica Termale

Medicina e Clinica termale

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ttenuto dall’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli, grazie a un’innovativa tecnologia, il profilo completo dei geni

alterati nei pazienti affetti da questa patologia. Si è non solo confermato che i geni del cromoso-ma 21 sono responsabili della malattia, ma che è la loro interazione con altri geni a determinare le alterazioni patologiche. Grazie all’impiego di una tecnologia e di un protocollo innovativi l’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” (Igb) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha ottenuto un profilo completo dei geni alterati nei pazienti con Sindrome di Down, scoprendo che è l’interazione dei geni presenti sul cromosoma 21 con altri geni a determinarne le alterazioni pa-tologiche. Lo studio, pubblicato sulla rivista PLos ONE, è stato coordinato da Alfredo Ciccodicola e condotto da Valerio Costa, ricercatori dell’Igb-Cnr di Napoli. I pazienti affetti da sindrome di Down, come è noto, presentano un cromosoma 21 in tri-plice copia rispetto alle due copie degli individui normali. Da anni gli studiosi lavorano però per comprendere quali sono i geni responsabili delle manifestazioni cliniche della sindrome e per mi-gliorare le condizioni e l’aspettativa di vita nei pa-zienti. “Costruire una ‘mappà accurata dei geni al-terati degli individui malati è il primo passo verso la cura”, spiega Ciccodicola. “Avere la possibilità di studiarne la sequenza può fornire una più accurata rappresentazione, ad alta definizione, di come la patologia nasce ed evolve”. Questo è ora possibile grazie al ‘sequenziamento di nuova generazionè (next generation sequencing), realizzato con l’in-novativa tecnologia - di cui esistono pochi esem-plari in Italia e due al Cnr - che consente di otte-nere in tempi molto brevi un quadro più completo e dettagliato delle malattie genetiche. “Si tratta di una procedura di ‘sequenziamento massivo’ (deep sequencing) su larga scala che richiede una stretta interazione tra competenze avanzate di biologia molecolare e di bioinformatica”, sottolinea Cic-codicola. “Un software ricostruisce una ‘mappà ad alta risoluzione componendo milioni di piccoli

UNA MAPPA PER LASINDROME DI DOWN

frammenti. Una procedura impensabile fino a po-chi anni fa, poiché richiedeva anni di lavoro e in-vestimenti molto ingenti”. L’analisi bioinformatica è stata sviluppata in collaborazione con Claudia Angelini, ricercatrice presso la sezione napoletana dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mau-ro Picone”. “Grazie a questa innovativa tecnologia siamo riusciti a comprendere che non solo i geni presenti sul cromosoma 21 sono responsabili della malattia”, spiega Valerio Costa, primo autore dello studio, “ma è la loro interazione con altri geni a determinare le alterazioni patologiche della sin-drome”. Inoltre, “questa metodica, unita all’utilizzo di un nuovo protocollo sperimentale nella prepa-razione dei campioni da sequenziare, ha reso pos-sibile l’identificazione di forme alternative di alcu-ni geni presenti esclusivamente nelle cellule dei pazienti”, aggiunge Costa, “e ha consentito, per la prima volta, di analizzare piccole molecole di RNA che interagiscono con i geni regolandone la loro espressione”. La mappa d’espressione ad alta ri-soluzione ottenuta dai ricercatori napoletani, co-stituisce una base per future applicazioni cliniche, volte a migliorare la qualità di vita dei pazienti, e rappresenta un valido modello per l’analisi di al-tre malattie genetiche, come recentemente dimo-strato per l’Alzheimer e per diversi tipi di tumore. L’istituto Igb-Cnr è da anni all’avanguardia nella genomica e genetica umana e il gruppo di ricerca del prof. Ciccodicola ha partecipato al sequenzia-mento del Genoma Umano. L’Istituto si è dotato della piattaforma per il sequenziamento di nuova generazione, grazie ad un finanziamento Cnr/Miur per il Mezzogiorno, del Dipartimento Scienze della Vita. Lo studio è stato possibile grazie al sostegno di: Regione Campania, European Cooperation in the field of Scientific and Technical Research “Next Generation Sequencing Data Analysis Network”, Progetto di rilevante interesse nazionale (Prin).

Capo Ufficio Stampa CNRMarco Ferrazzoli

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imostrato il ruolo di ossitocina e vaso-pressina per il controllo dei disturbi del comportamento sociale e cognitivo in un

modello animale per l’autismo. La ricerca, frutto di una collaborazione tra Cnr, Università Statale, Bicocca, Politecnico di Milano, Università dell’In-subria e con il supporto della Fondazione Cariplo, apre nuove prospettive terapeutiche per i disturbi pervasivi dello sviluppo. Negli ultimi anni è emerso il ruolo fondamentale che ossitocina (Ot) e vaso-pressina (Avp) hanno nel regolare vari aspetti del comportamento sociale, suggerendo un loro pos-sibile impiego in disturbi dello spettro autistico. Una ricerca condotta dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano, in collaborazione con le università di Mi-lano - Statale, Bicocca e Politecnico - dell’Insubria e quella giapponese di Tohoku, evidenzia che gli ormoni Ot e Avp mostrano un’elevata capacità diinfluire positivamente, su difetti sia di socialità sia di flessibilità cognitiva, in individui adulti, cioè ter-mine dopo il completamento dello sviluppo del sistema nervoso. Finanziato sul bando ‘Ricerca Medicà della Fondazione Cariplo, lo studio è stato

ORMONI PER SOCIALIZZAREAUTISMO

pubblicato sulla rivista Biologi-cal Psychiatry, che ha dedicato la copertina alla ricerca. “Per mettere a punto e validare un possibile approccio terapeuti-co per i disturbi dello spettro autistico, abbiamo condotto un’approfondita caratterizza-zione di modelli murini (topi geneticamente modificati) pri-vi del recettore dell’Ot nel si-stema nervoso centrale”, dice Bice Chini dell’In-Cnr, coordi-natrice della ricerca. “In man-canza di tale recettore, questi animali mostrano alterazioni

della memoria sociale e ridotta flessibilità cogniti-va, riproducendo quindi il nucleo centrale della sin-tomatologia autistica, che consiste in deficit delle interazioni sociali, anomalie della comunicazione, rigidità cognitiva e interessi ristretti”. I dati dei ri-cercatori “hanno evidenziato che gli animali non familiarizzano con altri soggetti della stessa specie e, soprattutto, non sono in grado di distinguere un topolino già incontrato da uno nuovo”, spiega Mariaelvina Sala dell’Università Statale di Milano. “Inoltre, presentano deficit molto caratteristici di flessibilità cognitiva: sono capaci di apprendere un compito in maniera molto efficiente, ma una volta appreso non sono in grado di abbandonarlo per acquisirne uno nuovo al cambiare delle condizio-ni ambientali, dimostrando una peculiare rigidità cognitiva. Abbiamo notato anche che gli anima-li sono più aggressivi e, se trattati con dosi nor-malmente inefficaci di agenti farmacologici con-vulsivanti, rispondono con crisi di tipo epilettico, manifestazioni queste frequentemente associate alla sintomatologia autistica, che indicano un au-mento della loro eccitabilità cerebrale di base”. Lo studio ha evidenziato che la somministrazione di

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Ot ed Avp è in grado di ripristinare tutti i deficit riscontrati anche in giovani animali adulti. “Questa capacità è di grande rilevanza perché indica che il sistema Ot/Avp è altamente plastico e capace di modulare l’attività di processi cognitivi complessi anche dopo il completamento dello sviluppo del sistema nervoso”, prosegue Marco Parenti dell’u-niversità Bicocca di Milano. “I nostri dati indicano che tale capacità risiede nella proprietà dei due neuro peptidi di intervenire nei processi cellulari coinvolti nella definizione dello sviluppo in sen-so inibitorio o eccitatorio di determinate sinapsi e quindi nel determinare l’equilibrio eccitazione/inibizione neuronale,fondamentale per il corretto funzionamento del cervello”. Un’ulteriore confer-ma dell’aumentata eccitabilità cerebrale è stata

Ufficio Stampa Cnr: Anna Capasso, Capo Ufficio Stampa: Marco Ferrazzoli

ottenuta dall’analisi delle registrazioni elettroen-cefalografiche degli animali, effettuata grazie a un software messo a punto dal Dipartimento di Bio-ingegneria del Politecnico di Milano. “I risultati del nostro studio”, conclude Bice Chini, “sono impor-tanti perché, dimostrando che deficit comporta-mentali e cognitivi legati a un’alterazione dell’ecci-tabilità neuronale in età evolutiva possono essere modulati in età adulta dai due Ot ed Avp, preludo-no a potenziali nuovi approcci terapeutici basati sull’uso di queste molecole”.

i chiama GOCCLES lo strumento diagno-stico progettato e realizzato dall’equipe dell’Unità Operativa di Chirurgia Maxillo-

facciale del Complesso Integrato Columbus – Uni-versità Cattolica di Roma, diretta dal prof. Sandro Pelo. Progettato e realizzato da un team dell’U-nità di Chirurgia Maxillo-facciale dell’Università Cattolica di Roma un dispositivo medico, a forma di occhiali, in grado di identificare lesioni tumo-rali precoci della mucosa orale e di indicarne con precisione i margini. Lo strumento diagnostico, ideato e brevettato dall’équipe dell’Unità Opera-tiva di Chirurgia Maxillo-facciale del Complesso Integrato Columbus - Policlinico Gemelli diretta dal prof. Sandro Pelo ha richiesto due anni di stu-dio nell’ambito di un progetto di ricerca, coordi-nato dai dottori Alessandro Moro e Francesco Di

GOCCLESSpeciali occhiali, made in Cattolica, scovano lesioni tumorali precoci della mucosa orale

Nardo, sulla prevenzione del carcinoma del cavo orale, malattia che ogni anno in Italia causa circa 3.000 decessi. Questa patologia è troppo spesso trascurata anche dagli stessi pazienti i quali, in ol-tre il 60% dei casi, vengono osservati solo quan-do la malattia è già negli stadi più avanzati e le chance di sopravvivenza a cinque anni sono pur-troppo inferiori al 30%. Il dispositivo si presenta come un comune paio di occhiali ed è uno stru-mento di facile impiego, semplice, leggero, poco ingombrante chiamato GOCCLES (Glasses for Oral Cancer - Curing Light Exposed - Screening). “Men-tre la visualizzazione del cavo orale a occhio nudo può far emergere solo una piccola frazione delle caratteristiche spettrali che differenziano il tessuto sano da quello malato – spiega il chirurgo maxillo-facciale della Cattolica Sandro Pelo - le metodi-

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che ottiche basate sull’au-tofluorescenza dei tessuti hanno migliorato la nostra capacità di individuare le-sioni cancerose in stadio precoce nel cavo orale. Il dispositivo, infatti, funzio-na sfruttando la luce delle lampade fotopolimerizzanti presenti in ogni studio den-tistico, emettendo una luce compresa in un intervallo di lunghezze d’onda da circa 400 a 500 nanometri (nm), provocando il fenomeno dell’autofluorescenza sul-la mucosa del cavo orale. Indossando gli occhia-li GOCCLES è possibile osservare la riduzione di autofluorescenza provocata dalle cellule tumorali o displasiche grazie a un filtro ottico molto selet-tivo, che permette di evidenziare i tessuti malati o in procinto di ammalarsi”. “Per ora lo strumento è stato impiegato nell’arco di 12 mesi su 32 pazienti appartenenti a gruppi ‘a rischio’, cioè su sogget-ti affetti da displasie e lesioni croniche o prece-dentemente trattati per carcinoma del cavo orale, forti fumatori e bevitori, pazienti in età avanzata”, aggiunge Francesco Di Nardo, autore di una tesi sperimentale sulla prevenzione del cancro ora-le all’origine del brevetto. “Ogni paziente è stato sottoposto a ispezione tradizionale del cavo orale, seguita da esame dell’autofluorescenza effettuato mediante il nostro dispositivo. Dei 13 risultati po-sitivi 12 erano veri positivi, come confermato dalla biopsia. Dei 12 veri positivi 3 avevano lesioni com-pletamente invisibili a occhio nudo e 9 avevano lesioni che a occhio nudo apparivano più picco-le della loro reale estensione”. “I pazienti risultati positivi all’autofluorescenza vengono seguiti nel tempo e indirizzati verso l’esame bioptico. Infat-ti ogni lesione del cavo orale che non regredisce spontaneamente entro tre settimane è conside-rata potenzialmente maligna e richiede la biopsia per escludere o confermare la presenza di displa-sia o carcinoma”, prosegue Di Nardo. In anamne-si devono essere individuati eventuali fattori di rischio; all’esame obiettivo devono essere rilevati

colore, aspetto, margini e consistenza della lesio-ne, presenza di dolore o parestesie. “Ogni lesione positiva va poi confermata da biopsia incisionale o escissionale a seconda dei casi, che fornisce in-formazioni sulla natura della lesione e sulla pre-senza di displasia”. “La tecnologia e i principi fisici alla base del dispositivo medico da noi brevetta-to erano noti da diversi anni – conclude il dottor Alessandro Moro - ma i nostri occhiali, grazie a una innovazione brevettata con il supporto del Servizio Ricerca dell’Università Cattolica di Roma, abbattono enormemente i costi della prevenzio-ne, rendendo l’esame della mucosa orale più ac-cessibile ai professionisti del settore a beneficio dei pazienti”. Si stima infatti che il costo di un paio di occhiali GOCCLES dovrebbe aggirarsi intorno ai 1000 euro. Strumenti simili presenti sul merca-to, che sfruttano lo stesso principio, ma dotati di fonte di illuminazione propria e da diverso filtro ottico, hanno costi cinque volte maggiori.

Dr. Nicola CerbinoResponsabile Ufficio StampaUniversità Cattolica Sede di Romae Policlinico universitario “Agostino Gemelli”

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