Microscopio Gennaio 2011

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1 M croScopio Mensile Medico Scientifico FIBROMIOALGIA www.microscopionline.it A RTRITE P SORIASICA la FINE del SILENZIO INSUFFICIENZA M croScopio Pubblicazione Mensile in abbonamento • Num. X - Gennaio 2011 VENOSA

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M croScopioMensile Medico Scientifico

FIBROMIOALGIA

www.microscopionline.it

ARTRITE PSORIASICA

la FINE del SILENZIO

INSUFFICIENZA

M croScopioPubblicazione Mensile in abbonamento • Num. X - Gennaio 2011

VENOSA

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FLASH

Sara Nanni

Comunicazione e Relazioni con i Media

Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna

[email protected]

notizia

RICERCA MADE IN BO GUADAGNA LA COPERTINA DELLA RIVISTA INTERNAZIONALE DI PROTEOMICA

La Proteomica è lo studio delle proteine presenti nella cellula e si avvale di sofisticate piattaforme tecnologiche per arrivare a definire la “mappatura fenotipica”, cioè la conoscenza delle proteine coin-volte nei processi cellulari normali e patologici. Alcuni meccanismi finora ignoti di differenziamento delle cellule muscolo-scheletriche sono stati scoperti nello studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna Alberto Bavelloni e Manuela Piazzi e coordinato dal Prof. Lucio Cocco del Dipartimento di Anatomia Umana dell’Università di Bologna. “Negli ultimi due anni abbiamo lavorato come gruppo di ricerca articolato in tre laboratori – spie-gano i ricercatori del Rizzoli. – Dal 2008 infatti Bologna rappresen-ta uno dei cinque nodi italiani della Rete Nazionale per lo studio della Proteomica Umana. Il nostro Laboratorio di Biologia Cellulare Muscoloscheletrica, diretto dal Prof. Nadir Mario Maraldi, con il Di-partimento di Scienze Anatomiche Umane e Fisiopatologia dell’Ap-parato Locomotore dell’Università di Bologna e il Dipartimento di Anatomia e Istologia dell’Università di Modena sono impegnati in studi di Proteomica, sia in condizioni normali che patologiche, fi-nanziati dal FIRB, il Fondo per gli Investimenti nella Ricerca di Base, che ha istituito la Rete Nazionale di Proteomica in linea con il suo obiettivo di sostenere le attività mirate all’ampliamento delle cono-scenze scientifiche e tecniche con un occhio alla competitività inter-nazionale dell’Italia.” Un obiettivo importante raggiunto in questa fase dalla ricerca bolognese: “Molecular and Cellular Proteomics”, la rivista internazionale di riferimento del settore, le ha dedicato la co-pertina del numero di dicembre e l’editoriale sottolinea l’importan-za di questo studio, sia dal punto di vista della ricerca di base che delle possibili implicazioni terapeutiche, nel campo delle patologie associate al differenziamento muscolare.

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in tutta Italia

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SOMMARIO

Direttore EditorialeAntonio Guerrieri

Direttore ResponsabileCaterina Guerrieri

Capo redattore e coordinatriceCinzia Mortolini

RedazioneStefania Legumi, Caterina Guerrieri, Francesco Fiumarella

CollaboratoriPaolo Nicoletti, Marco Nicoletti Le opinioni espresse impegnano solo la responsabilità

dei singoli autori. Tutto il materiale inviato, anche se non pubblicato, non sarà restituito e resterà di proprietà dell’editore.

MedicinaFibromialgia

pag. 6

Insufficienza Venosa

pag. 7

OmotossicologiaArtrite Psoriasica

pag. 8

Ricerca OncopatologicaSCCApag. 12

inFormaEsistono dati sulla qualità degli ospedali?pag. 26

Il microscopio invertitopag. 28

Si ringraziaDottor Filippo Fantini, Dottor Bussetta Ernani, Dottor Raho Cosimo Antonio, Dottor Alessandro D’Amuri, Ufficio Stampa Istituto Ortopedico Rizzoli, Servizio Comunicazione e relazioni estere Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – IRCCS, Ufficio Stampa università di Milano-Bicocca, Az. Ospedaliera S. Giovanni Battista Torino, Ufficio Stampa Università Cattolica sede di Roma, Istituto nazionale Fisica Nucleare, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Klaus Davi & Co., Ufficio Stampa Istituto Scientifico Universitario San Raffaele, Ufficio Stampa Aragon, Fondazione Theodora Onlus

Progetto GraficoMarco Brugnoni - [email protected]

StampaProperzio s.r.l - PerugiaEditoreE.G.I s.r.l.Reg. Tribunale di PerugiaN. 12/2010 del 10/02/2010Direzione e AmministrazioneE.G.I. s.r.l. Via Hanoi, 2 • 06023 Bastia Umbra (PG) Tel. 075.800.66.05 - Fax 075.800.42.70 [email protected] & PubblicitàGuerrieri Antonio, Altea NatalinoTel. 075.800.53.89

Combattere l’obesitàarriva la chirurgia senza cicatricipag. 18Acido Ialuronicoè boom di fillerpag. 19

Influenza Socialeecco come impariamo dalle delusioni altruipag. 21

Un sorriso per i piccoli malati di cancrocon un semplice SMS è possibile aiutarli a sorriderepag. 23

Ricerca

Pubblicazione Mensile in abbonamento • Num. X - Gennaio 2011M croScopio

01“La fine del Silenzio”Tra 70 anni addio al linguaggio dei segnipag. 14

Leucemia mieloide cronicaun nuovo trattamento ne riduce la mortalitàpag. 14

SLAIdentificato nuovo genepag. 16

Laser FlameLa radiografia del futuropag. 17

Errata CorrigeNel numero IX della rivista Microscopio il contributo “Memorizzazione permanente…” la frase corretta a livello testuale è “un elenco di venti nomi: amo, ciambella, chitarra, lama, lava, picchio, puma, nemo, freccia, noce, re, mamma, fiamma, nuca, polizia, neve, frutta, bacchette di tamburo, jeep, mappa” . Segue poi la parola noce e non nome.

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FIBROMIALGIA

Dottor Fantini, quali sono i primi sintomi, come si manifesta?

Si manifesta con una dolorosi-tà diffusa associata a rigidità e astenia. I malati lamentano dolori (mi fa male dappertutto), non in-fluenzati dal carico o dal riposo.Dottore la Fibromialgia colpi-sce più che altro le donne?La prevalenza nella popolazione generale è tra il 3 eil 5% con una prevalenza per il sesso femminile in età compresa tra 25 e 50 anni (90%dei casi) tra gli adolescenti sono stati segnalati casi di fibro-mialgia (5%dei casi )

Per molto tempo Dottor Fanti-ni la Fibromialgia è stata con-siderata una patologia psicolo-gica, paragonata quasi ad una fase depressiva…L’eziopatogenesi non è chiara; tuttavia un sonno qualitativa-mente carente può sostenere la

Risponde il Dottor Filippo Fantini, Specialista Fisiatra, Specialista in Medicina Fisica e RiabilitazioneASL Frosinone

Che cos’è la sindrome Fibromialgica? Come si manifesta? Come si cura? “La sindrome Fibromialgica per definizione possiamo considerarla come un dolore cronico a carico di molteplici sedi dell’apparato muscolo scheletrico, principalmente a carico delle aree articolari e periartico-lari, dei muscoli, dei legamenti, delle inserzioni tendine e prominenze ossee. La sindrome Fibromialgica è caratterizzata da una spiccata do-lorosità che può essere evocata in specifici punti anatomici che vengono definiti “trigger points”, punti grilletto”.

sindrome fibromialgica. E’stato rilevato da molti studiosi un chia-ro stato depressivo. La possibili-tà che fattori psicologici svolga-no un ruolo eziologico in questa malattia è confermata dalla fre-

quente associazione con emicra-nia e il colon irritabile, sindromi funzionali che condividerebbero comuni meccanismi fisiopatolo-gici.

Le cure dottore possono essere integrate, proprio in presenza di questa incidenza psicologica da complessi vitaminici, Vale-riana, Melatonina?Ridurre la sintomatologia doloro-sa, correggere i disturbi del son-no, modificare il tono dell’umore costituiscono i principali obiettivi del trattamento.

Intervista a cura di C.M.

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Dottor Ernani Bussetta, si dice che 20 milioni di italiani soffre di varici e

capillari, più sono le donne, oggi anche i giovanissimi, oltre alla fa-miliarità quali altri fattori incre-mentano questa patologia?Esistono altri fattori di rischio oltre la familiarità, cito a titolo di esempio le abitudini alimentari (la stitichezza e il ridotto apporto di fibre e verdure nella dieta), l’attività lavorativa, l’uso

VENOSAINSUFFICIENZA

Intervista al Dottor Bussetta Ernani, Medico Chirurgo, Ematologo di Bari

di terapia (per le donne) con estro progestinici, l’obesità.

Senta Dottore che cosa bisogna fare praticamente per combattere l’insufficienza venosa o limitarla?Innanzi tutto fare la diagnosi. Una semplice raccolta anamnestica circa la familiarità, le abitudini alimenta-ri, l’attività lavorativa del soggetto da esaminare. La visita che dovrà seguire l’anamnesi è altrettanto im-portante. Una buona visita con op-portune manovre semeiologiche possono far sospettare la patologia

venosa (capillari e o varici). Ovvia-mente se vi è un fondato sospetto si può tranquillamente richiedere un esame strumentale (l’ecodoppler o ecocolordoppler) importante, che rivela la presenza di varici, inconti-nenza valvolare venosa o addirittura la presenza di trombi venosi. A que-sto proposito mi permetto di dire che talvolta vi è un abuso di richie-ste di questo esame. È importante e lo sottolineo l’anamnesi e la visita medica prima di richiedere esami strumentali. Successivamente, dopo la diagnosi si possono suggerire consigli per modificare, ad esempio, abitudini alimentari e stile di vita per ridurre la progressione della patolo-gia (combattere la stipsi, l’obesità la stazione eretta prolungata ecc.).

Prevenire con sostanze come Dio-smina, Centella, Vitamine può mi-gliorare la funzionalità venosa, l’elasticità?Sicuramente la diosmina, la centella, la troxuretina e la vitamina C posso-no sicuramente migliorare e rallen-tare la progressione della malattia. Da queste sostanze si possono trarre benefici.

Senta Dottore ma quando biso-gna intervenire chirurgicamente?Io sono contrario all’intervento chi-rurgico (mi riferisco alla safenecto-mia) fino quando le varici non crea-no ulcere da stasi o trombosi recidi-vanti, emorragie dolori ecc. e quindi sono più dannose (in questo stadio e stato) che utili. Attualmente le vene (le safene) sono utilizzate per i by pass ed è bene, quindi, preservare le vene e renderle efficienti finché è possibile. Quando, però, le vene sono inservibili per i motivi che ho spiegato sopra e minano la salute del paziente, allora si può pensare all’intervento chirurgico di asporta-zione delle safene “malate”. Intervista a cura di Cinzia Mortolini

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PATOLOGIE OSTEOARTICOARI:

INQUADRAMENTO OMOTOSSICOLOGICOARTRITE PSORIASICA

L’AP è un’artropatia infiammatoria associata a psoriasi, si tratta di un’artrite cronica che fa parte delle spondiloartrosi sieronegative, la presenza di AP nei pazienti con psoriasi varia a seconda che le casistiche vengano raccolte in ambienti ambulatoriali o ospedalieri. Nel pri-mo caso è indicata intorno al 5-6 % mentre nel secondo arriverebbe anche al 30 %. La spiega-zione della discrepanza sta nel fatto che di so-lito i pazienti con psoriasi ospedalizzati sono quelli con lesioni cutanee più gravi e in questi l’artrite appare più frequente. Su un terreno geneticamente predisponente varie condi-zioni e vari agenti possono scatenare l’insor-genza dell’AP, tra questi ricordiamo i traumi fisici e psichici, le cure dimagranti l’assunzione di farmaci e le infezioni. Alcuni assegnano agli agenti microbici un ruolo eziologico molto im-portante tanto da includere l’AP nel gruppo delle artriti reattive. In effetti la coltura del-le lesioni cutanee dimostra spesso ceppi di streptococco e di stafilococco e spesso l’AP insorge dopo un’angina streptococcica.

Quadro clinico:

L’AP è caratterizzata dall’associazione di pso-riasi e artrite,l’esordio è compreso tra i 20 e i 50 anni. Nella maggioranza dei casi l’affezione cutanea precede l’AP mentre nel 15 % dei casi l’esordio può essere contemporaneo; esiste una minoranza di casi in cui l’artrite precede la psoriasi anche di anni. L’AP colpisce prevalentemente ginocchia, piedi, mani e più raramente le vertebre, coinvolge generalmente non più di quattro articolazioni, il decorso è variabile con forme lievi e forme erosive a rapida pro-gressione, i pazienti affetti da AP in genere lamentano meno dolore e meno limitazioni rispetto ai pazienti affetti da AR. Le indagini di laboratorio sono poco specifiche, esse dimostrano l’aumento degli indici di flogosi sebbene in molti casi inferiori a quanto ci si aspetterebbe rispetto al quadro clinico, infatti in circa il 20 % dei casi la Ves e la Pcr possono essere nella norma soprattutto nell’esordio. Si possono trovare alterazioni dei parametri del colesterolo, trigliceridi, acidi urici e della sideremia.

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Terapia omotossicologica:

Danni enzimatici a destra della tavola delle omotossicosi: fase di impregnazione. dopo la valutazione della tavola delle omotossicosi e seguita la progessione della malattia è necessario considerare le differenti cause della vicaria-zione progressiva (spostamento della malatti a destra della tavola), riconducibili a: disturbi nelle funzioni di difesa dell’organismo eccesso di agenti tossici che attaccano un terreno già gravemente sovraccarico da altre noxe, blocchi di sistemi enzimatici provocati da terapie soppressive ed essenziali per la disintossicazione. Per lo stimolo dei sistemi di difesa dell’organismo è utile ricorrere ad Echinacea compositum S e Forte, tale formulazione sfrutta infatti l’azione di stimolo delle difese antinfettive attraverso l’attivazione dei linfociti B e la conseguente produzione di gammaglo-buline, e giunge ad una progressiva sostituzione dei farmaci antireumatici utilizzati quali Ciclosporina - Leflunomide-Methotrexate - Sulfasalazina ecc. Il secondo momento causa di vicariazioni progressive è l’invasione massiva di agenti patogeni, si giova dell’utilizzo dei cosiddetti Nosodi, trattasi di preparazioni ottenute con procedimenti ome-opatici a partire da sostanze patologiche organiche con tecniche tali da rendere le stesse assolutamente non infettive e non virulente e rappresentano un modo eccellente per eliminare tossine depositate nel mesenchima_vicariazione regressiva (spostamento della malattia a sinistra della tavola) quali Polyarthritis Nosode, Psorinohell, Tubercolinum Importante è anche l’uso di drenanti mesenchimali per una buona disintossicazione del terreno Galium Hell - Coen-zime compositum - Ubichinon compositum rispettivamente per il ripristino della pervietà funzionale di scambio della matrice, per il ripristino dei sistemi enzimatici alterati e la riattivazione della respirazione cellulare. Per l’importante ruolo di stimolatore delle funzione epatiche è utile impiegare Hepeel cpr, e considerando la localizzazione dell’AP a destra della tavola delle omotossicosi è utile aggiungere Cartilago suis injeel ed una serie di rimedi specifici per la patologia in atto e le manifestazioni algiche: Cartilago suis injeel - Zeel T - Arnica compositum Hell - Brionia Hell alternato con Rhus Tox homaccord.

E’ anche importante l’utilizzo di Oligoelementi (associazione di rame oro e argento) vista la particolare indicazione per i reumatismi infiammatori.

Dott. Raho Cosimo Antonio medico chirurgo diplomato in EAV - Omeopatia Omotossicologia e Discipline integrate, perfezionato in Kinesiologia [email protected]

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Introduzione

Lo Squamous Cell Carcinoma Antigen (SCCA) è una proteina ad alto peso molecolare (45 KDa), codificata da due geni altamente omogenei, SCCA1 e SCCA2, localizzati sul locus 18q21.3 appartenenti alla superfamiglia delle serpine. Le serpine (serine proteinase inhibitors) sono inibitori di varie proteinasi seriniche che regolano diverse vie di trasduzione del segnale come: 1. riarrangiamento citoscheletrico, 2. adesione cellulare, 3. morte cellulare programmata e 4. pro-liferazione cellulare. SCCA è iperespressa in diverse neoplasie maligne di origine squamo-cellulare (carcinoma della cervice uterina, esofageo, polmonare, ecc...) e in tumori benigni di origine epiteliale.Recenti studi indicano che SCCA possa indurre una crescita tumorale attraverso l’inibizione dell’apoptosi e la derego-lazione della proliferazione cellulare. Il suo titolo si ritrova aumentato in clinica nelle reazioni flogistiche della cute (ec-zema, psoriasi e LES), nell’ARDS (adult respiratory distress syndrome), nella tubercolosi, nell’insufficienza renale; il tutto indicando un suo probabile coinvolgimento nell’immunosorveglianza durante i processi patologici cronici. Attualmen-te in medicina di laboratorio viene impiegato come marker sierologico per il carcinoma a cellule squamose della cer-vice uterina, marker per la valutazione degli effetti terapeutici e per il monitoraggio di eventuali recidive neoplastiche cervicali ed infine come marcatore sierologico e tissutale nelle patologie epatiche (epatiti, cirrosi ed epatocarcinoma).Nonostante i numerosi studi in passato volti a determinare il ruolo del dosaggio sierico dell’SCCA, sono stati ad oggi condotti soltanto pochi lavori sulla caratterizzazione dell’espressione cellulare e tissutale dell’SCCA in Anatomia pato-logica, mediante l’utilizzo delle reazioni immunocitoistochimiche. Non sono state ancora tuttavia perfettamente risolte le problematiche connesse alle procedure tecnico-operative necessarie per la determinazione dell’SCCA attraverso metodiche istopatologiche di routine. Scopo del nostro studio preliminare è quello di tentare di fornire una applicazione “originale” immunocitoistochimica dell’SCCA nelle lesioni squamose del carcinoma della cervice uterina.

Materiali e metodi

Abbiamo analizzato trenta (30) campioni di citologia cervico-vaginale su strato sottile mediante L.B. (liquid-based) system ThinPrep® PapTest (Hologic-Cytyc). Ogni preparato è stato scelto in base alla propria diagnosi. I campioni istologici (bioptici) sono stati ottenuti da quarantasette (47) lesioni squamose cervicali uterine (pre-neoplastiche e neoplastiche), selezionati in maniera random dai files del nostro Laboratorio; fissati in formalina tamponata al 10%, inclusi in paraffina, allestite sezioni seriate di 5µm (micron) e infine colorati con le metodiche di routine con ematossi-lina/eosina (E/E). Sono state successivamente effettuate le valutazioni speciali immunocitoistochimiche con i seguenti anticorpi: SCCA, Ki-67, CK AE1/AE3 e p53.I campioni citologici ed istologici sono stati sottoposti a reazione immuncitoistochimica mediante l’utilizzo dell’immu-nocoloratore automatico “Bond Max by Vision Biosystem”. Per quanto riguarda la procedura dei preparati citologici non sono state eseguite la deparaffinazione ed il trattamento con il “Bond enzyme pre-treatment kit”. L’espressione di entrambe le isoforme dell’SCCA è stata valutata mediante riconoscimento con anticorpo oligoclonale (Hepa-Ab, XEPTAGEN, Italy). I vetrini sono stati valutati indipendentemente (a doppio ceco) da due patologi (DA e SS). Risultati

Abbiamo osservato una diversa intensità della immunocolorazione per l’SCCA (staining intensity) a livello dei target points nucleari e citoplasmatici, apparentemente non correlati. I pattern di colorazione 1,2 e 3 rappresentano rispet-

SCCA UN “ANTICO” NUOVO MARKER PER IL CARCINOMA A CELLULE SQUAMOSE DELLA CERVICE UTERINA. STUDIO PRELIMINARE IMMUNOCITOISTOCHIMICO

Alessandro D’Amuri, F. Floccari, E. Villani, S. A. SenatoreU.O.C. Anatomia Patologica Ospedale “Sacro Cuore di Gesù” P.O. Gallipoli ASL LECCE; Gallipoli (LE) Italia

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M croScopiotivamente l’intensità bassa/media/forte nucleare. I diversi pattern di intensità di colorazione citoplasmatica sono stati classificati come basso/medio/forte e marcato (pattern 4 esclusivo del citoplasma) (fig. 1-2-3-4-5). Ki-67 (indice proliferativo) è apparso fortemente diffuso nei nuclei delle cellule reattive (fig. 6-7).

Discussione

I nostri risultati preliminari suggeriscono l’importanza di valutare l’espres-sione immunocitoistochimica dell’SCCA cellulare e tissutale per identificare le differenti tipologie morfo-funzionali delle lesioni squamose della cervice uterina. Questa metodologia può essere d’aiuto nel migliorare la diagnosi delle lesioni pre-neoplastiche e neoplastiche delle cervice uterina attraverso l’osservazione di differenti patterns di immunocolorazione correlati con un appropriato score diagnostico (score 1 carcinoma squamoso ben differenzia-to, score 2 moderatamente differenziato ed infine score 3 nello scarsamente differenziato).Inoltre si potrebbe determinare un valore predittivo reale di rischio di pro-gressione dall’epitelio normale squamoso versus displasia versus carcinoma e dal carcinoma versus recidiva versus metastasi; attraverso le possibili correla-zioni con applicazioni presenti e future in patologia quali: l’analisi dei pattern di espressione dell’SCCA2 e dell’E-caderina nelle lesioni neoplastiche primiti-ve della cervice uterina come nuovi markers predittivi delle metastasi linfono-dali; e mediante lo studio real-time PCR del rapporto mRNA di SCCA2/SCCA1 aumentato nei processi di carcinogenesi cervicali con aumentato rischio di recidive anche in early-stage.

Conclusioni

Questo studio insieme ad altri potrebbe fornire una possibile interpretazione sul meccanismo tra l’adesione cellulare ed il comportamento maligno delle cellule tumorali attraverso la correlazione dei dosaggi sierologici in medici-na di laboratorio, le reazioni immunocitoistochimiche in Anatomia patologica e le metodiche biomolecolari in patologia molecolare per quanto concerne l’espressione dell’SCCA nelle lesioni squamose del carcinoma delle cervice uterina.

Bibliografia: 1. Murakami A. et al. Relationship between decreased expression of squamous cell

carcinoma antigen 2 and E-cadherin in primary cervical cancer lesions an lymph node metastasis.

Oncol Rep 19: 99-104. 2008.

2. Hsu K. F. et al. Increased expression level of squamous cell carcinoma antigen 2 and 1 ratio is

associated with poor prognosis in early-stage uterine cervical cancer. Int J Gynecol Cancer 17: 174-

181. 2007.

3. Giannelli G. et al. New frontiers in biomarkers for hepatocellular carcinoma. Digestive and Liver

Disease 38: 854-859. 2006.

Contributo originale di ricerca oncopatologica riguardante uno studio preliminare sull’e-

spressione di un marcatore tumorale per il carcinoma della cervice uterina come applica-

zione in immunoistochimica in Anatomia patologica.

Alessandro D’Amuri - Medico-chirurgo - specialista in Anatomia patologica

Dirigente Medico U.O.C. Anatomia patologica P.O. Gallipoli ASL LECCE

Fig. 1: SCCA Pattern 1

Fig. 2: SCCA Pattern 2/3

Fig. 3: SCCA Pattern 3 and 3/4

Fig. 5: SCCA Pattern 3/4

Fig. 6: Ki-67

Fig. 7: Ki-67

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T ra 70 anni il linguaggio dei segni potrà essere solo un ricordo grazie agli impian-ti cocleari, che donano l’udito ai bambini

nati sordi consentendo loro di imparare a parla-re in tempi brevissimi. Tali interventi sono ormai prassi comune all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che, con la sua esperienza trentennale nella microchirurgia dell’orecchio (sono oltre tremila gli interventi eseguiti), si pone come Centro d’eccel-lenza per il trattamento della sordità in età pedia-trica. Il ricorso agli impianti cocleari getta così un ponte tra due epoche: quella di un mondo senza

suoni né parole, delle scuole speciali e dell’isola-mento - in cui l’unico contatto con la realtà pote-va essere una protesi acustica - e quella attuale, dove il bambino, grazie al recupero dell’udito, può imparare a parlare senza ulteriori handicap e può esprimersi attraverso tutti gli strumenti della co-municazione. Ma l’attività chirurgica da sola non basta. Per raggiungere l’obiettivo è di fondamen-tale rilevanza l’approccio multidisciplinare. Presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è attivo un team di esperti (otorinolaringoiatri, audiologi, au-dioprotesisti, logopedisti, neuropsichiatri, psicolo-gi) in grado di compiere diagnosi neonatali pre-coci e di adottare entro il primo anno di vita del bambino sordo tutte le strategie efficaci ad una comunicazione uditivo-verbale e di seguirlo in tut-to il percorso riabilitativo: un’alleanza tra famiglie e medici contro la condanna del silenzio.

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù - IRCCSServizio Comunicazione e Relazioni esterneResponsabile: Marco MagheriE mail: [email protected]

al Bambino Gesù la chirurgia di ultima generazione che dona l’udito“LA FINE DEL SILENZIO”

TRA 70 ANNI ADDIO AL LINGUAGGIO DEI SEGNI

I l trattamento a base di Bosutinib, condotto su 502 pazienti in tutto il mondo, incrementa la crescita di midollo sano e riduce le cellule

leucemiche residue. Lo studio è stato coordinato dall’Università di Milano-Bicocca. Arrivano nuo-vi e incoraggianti risultati nel trattamento della leucemia mieloide cronica. I risultati di una nuova terapia, basata su una molecola denominata Bo-sutinib, sono stati presentati nel corso del mee-ting della Società Americana di Ematologia (ASH)

LEUCEMIA MIELOIDE CRONICAun nuovo trattamento riduce la mortalità e rallenta la progressione della malattia

in corso a Orlando (USA). Lo studio è stato coordi-nato da un gruppo di ricerca italiano che fa capo al dipartimento di Medicina clinica e prevenzio-ne dell’Università di Milano-Bicocca e all’Unità di Ematologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza.

I risultatiLa ricerca ha arruolato 502 pazienti in tutto il mon-do, con un follow up di 14 mesi ed è consistita in un confronto terapeutico tra Bosutinib e Imatinib,

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il farmaco attualmente più utilizzato per contra-stare la leucemia mieloide cronica. «I risultati - ha spiegato Carlo Gambacorti Passerini, professore associato di Medicina Interna presso la facoltà di Medicina dell›Università di Milano Bicocca e re-sponsabile del gruppo di ricerca - sono stati ancor più sorprendenti se si considera che Imatinib ha un›efficacia molto elevata ed era difficile spera-re di individuare una molecola che riuscisse a mi-gliorare la performance». La ricrescita del midollo osseo normale si è verificata nel 79 per cento dei pazienti trattati con bosutinib contro il 75 per cen-to di quelli trattati con imatinib. Inoltre, bosutinib ha ottenuto una diminuzione più profonda del numero di cellule leucemiche residue, con quasi metá (47 per cento) dei pazienti trattati che han-no ottenuto una risposta molecolare maggiore (che significa la presenza di meno di una cellula leucemica su mille), rispetto a solo un terzo (32 per cento) dei pazienti trattati con imatinib. An-cora più significativo il dato sui pazienti morti a causa della leucemia, che sono passati dal 4 per cento (imatinib) al 1 per cento (bosutinib), ed in quelli in cui la malattia è progredita, ridottisi dal 10 per cento (imatinib) al 2.8 per cento (bosuti-nib). «Questi dati fanno sperare che, data la più profonda diminuzione delle cellule leucemiche residue ottenuta con bosutinib, si possa giungere alla completa eradicazione della malattia e quin-di alla sospensione della terapia in una frazione

consistente di pazienti, cosa che invece non è pos-sibile con imatinib. È comunque prematuro dire se bosutinib soppianterà imatinib nella terapia di prima linea della malattia. Sono necessari dati di follow-up più lunghi e soprattutto una valutazione molto attenta del rapporto tra costi e benefici», ha concluso Gambacorti-Passerini.La leucemia mie-loide cronica è un tumore del sangue alla cui ori-gine sembra esserci la «traslocazione» reciproca di segmenti di DNA tra i cromosomi 9 e 22, con for-mazione del cosiddetto cromosoma Philadelphia (Ph), corrispondente ad un cromosoma 22 in cui si è creato il gene di fusione BCR-ABL. In Italia le persone colpite sono circa 15 mila con mille nuovi casi all›anno (da 1 a 2 persone colpite ogni anno su 100 mila abitanti). Carlo Gambacorti Passerini è professore associato di Medicina Interna pres-so l›Università di Milano Bicocca, conduce attività clinica nell›Unità di Ematologia dell›Ospedale San Gerardo di Monza, diretta dal prof. Enrico Pogliani, ed è responsabile dell’ Unità di Ricerca Clinica del-lo stesso Ospedale. Le sue ricerche sono finanzia-te in parte dall›Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e dalla Fondazione CARIPLO.

Ufficio StampaUniversità di Milano-BicoccaLuigi Di Pace [email protected]@unimib.it

E ’ stato identificato per la prima volta un nuovo gene che causa la SLA (Sclerosi Late-rale Amiotrofica). Il gene si chiama VCP (Va-

losin Containing Protein) e si trova nel Cromosoma 9. La scoperta è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Neuron e verrà presentata in anteprima in questi giorni durante il Congresso mondiale sulla SLA che si tiene ad Orlando (USA). Gli autori di questa eccezionale scoperta, finanzia-ta tra gli altri anche dalla FIGC (Federazione Italia-na Giuoco Calcio), dalla Fondazione Vialli e Mauro

IDENTIFICATO PER LA PRIMA VOLTA UN NUOVO GENE CHE CAUSA LA SLA

e dal Ministero della Salute, sono quattro centri: il Centro SLA del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e dell’Ospedale Molinette di Torino (coordinato dal professor Adriano Chiò), il Laboratorio di Neurogenetica dell’NIH di Bethe-da - USA (coordinato dal professor Bryan Traynor), il Centro SLA dell’ospedale universitario di Mode-na (coordinato dalla dottoressa Jessica Mandrio-li) ed il laboratorio di genetica molecolare dell’a-zienda ospedaliera OIRM Sant’Anna (diretto dalla dottoressa Gabriella Restagno). Lo studio è stato

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possibile anche grazie al consorzio ITALSGEN, che riunisce 14 centri universitari ed ospedalieri italiani che si sono uniti per la lotta contro la SLA. Questa scoperta è stata possibile grazie all’uso della nuo-va e rivoluzionaria tecnica degli Esomi, grazie alla quale è possibile sequenziare tutta quella parte del DNA che codifica per le proteine. Questa tec-nica è stata utilizzata per la prima volta negli studi sulla SLA. Il nuovo gene era già noto quale causa un’altra malattia neurologica (la demenza fron-totemporale associata a miosite a corpi inclusi e malattia di Paget), ma soprattutto, oltre ad essere la causa del Morbo di Lou Gehrig (denominazio-

ne ormai diventata famosa in campo sportivo), è il primo gene scoperto che interferisce con il pro-cesso di accumulo di proteine anormali nelle cellu-le nervose. Infatti i motoneuroni nella SLA muoio-no per accumulo di tali proteine aberranti. La sco-perta di questo nuovo gene rappresenta pertanto una svolta fondamentale per la comprensione di questa terribile patologia ed offre prospettive per l’identificazione di terapie per il suo trattamento.

Az. Ospedaliera S.Giovanni Battista di TorinoL’Addetto StampaPierpaolo Berra

S i inaugura oggi presso i Laboratori Nazio-nali di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare il laser FLAME (Frascati La-

ser for Acceleration and Multidisciplinary Experi-ments). Nella sua “classe” è il laser di più alta potenza che sia mai stato istallato. FLAME può fornire impulsi della durata di 20 femtosecondi da 300TeraWatt, alla cadenza di 10Herz. Nel progetto è coinvolto anche l’Istituto Naziona-le di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ino-Cnr) di Pisa che partecipa con le sue compe-tenze sui laser di altissima potenza per la produ-

LASER FLAME E ELETTRONI PER LA RADIOGRAFIA DEL FUTURO

zione di plasma (gas ionizzati).Con FLAME l’INFN intende sviluppare nuove tec-niche di accelerazione che consentano di ridurre drasticamente dimensioni e costi degli accelera-tori (come quello del CERN), rendendone più faci-le l’impiego a fini di ricerca, medici ed applicativi. Le particelle vengono accelerate dall’onda laser come un surf sull’onda del mare.La sincronizzazione del laser FLAME con un acce-leratore di elettroni lineare (Sparc) già operante, rende il laboratorio che si inaugura a Frascati uni-co, questo accoppiamento permette di realizzare una sorgente di raggi X monocromatici per appli-cazioni in diagnostica medica, fisica dei materiali, ultra-fast science ed altro ancora. “Flame - come spiega il dottor Andrea Vacchi della giunta dell’INFN - permette l’incontro tra fasci di elettroni di altissima qualità prodotti dalla macchi-na Sparc, con il fascio laser ad altissima potenza di FLAME. Da questo incontro tecnologico ne esce una sorgente di impulsi di raggi X di un colore solo e di cui si può scegliere il colore secondo la ne-cessità. Questo è di grande utilità nella diagnosi medica per arrivare, in futuro, a radiografie più in-telligenti che diano immagini di maggiore qualità con dosi inferiori.”“FLAME - continua Andrea Vacchi - costituisce an-che lo strumento centrale del progetto strategico

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dell’INFN PLASMONX (Plasma Acceleration and Monochromatic X ray production), che ha pro-iettato l’Italia nel progetto Europeo ELI (Extreme Light Infrastructure) di cui anticipa le principali tematiche con un vantaggio di circa dieci anni. Si tratta di una soluzione avveniristica, unica in Eu-ropa, che potrà portare alla realizzazione di ra-diografie più nitide “intelligenti” e a dosaggio in-feriore, oltre che a nuovi acceleratori di particelle

molto più compatti.”Romeo Bassolicapo ufficio stampaIstituto Nazionale Fisica Nucleare

Capo Ufficio Stampa - Marco FerrazzoliConsiglio Nazionale delle Ricercheweb: www.stampa.cnr.itwww.almanacco.rm.cnr.it

L ’obesità può essere sconfitta grazie a un intervento mininvasivo di laparoscopia, che non lascia cicatrici perché si esegue attra-

verso una sola incisione fatta all’altezza dell’om-belico, un taglietto di soli 20 millimetri; l’inter-vento dura meno di due ore e offre al paziente la possibilità di riprendersi nel giro di poco tempo. Si chiama SILS (Single Incision Laparoscopic Sur-gery), ed è la tecnica “collaudata” con successo dal dottor Roberto Tacchino, responsabile dell’Ambu-latorio di Chirurgia dell’Obesità presso il Policlini-co Gemelli di Roma. La laparoscopia con singola incisione è stata adottata dal dottor Tacchino dal 2008 e solo nel 2010 sono oltre 100 i pazienti ope-rati con questa tecnica. L’intervento attraverso la SILS è più vantaggioso rispetto alla chirurgia ba-

COMBATTERE L’OBESITÀBASTA UN TAGLIETTO VICINO L’OMBELICO

ARRIVA LA CHIRURGIA SENZA CICATRICI PER

È possibile grazie a una nuova tec-nica di laparoscopia, la SILS: a Roma presso il Policlinico Gemelli, il dottor Roberto Tacchino, respon-sabile dell’Ambulatorio di Chirurgia dell’Obesità, l’ha adottata con suc-cesso dal 2008. Oltre 100 i pazienti operati con la SILS solo nel 2010

riatrica tradizionale, non solo per il paziente ma anche per il chirurgo, spiega il dottor Tacchino in uno studio da poco pubblicato sulla rivista “Obe-sity Surgery”, in cui è riportato l’esito positivo dell’applicazione della SILS su 16 pazienti. Operare in laparoscopia, infatti, spiega il dottor Tacchino, significa per il chirurgo avere una visibilità miglio-re del “campo operatorio” e quindi operare una dissezione più precisa, con minor rischio compli-canze. L’obesità colpisce in Italia un individuo su 10 e il problema è destinato a crescere perché sta “contagiando” sempre più anche i bambini: stan-do ai dati del Rapporto dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica, infatti, il 24% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni è in sovrappeso, il 12% è obeso, per un totale di 138 mila bambini “over-

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size”. Oggi in Italia si esegue già qualcosa come 5000-6000 interventi di chirurgia bariatrica ogni anno. La SISL è già stata promossa per efficacia e sicurezza, sottolinea il dottor Tacchino, in quanto è già usata ampiamente da alcuni anni in interventi di altro tipo, come la colecistectomia, la prosta-tectomia e la chirurgia oncologica colorettale. Ri-spetto alla laparoscopia tradizionale, che richiede solitamente fino a 8 punti d’accesso per inserire gli strumenti operatori, con la SISL è necessario fare una singola incisione addominale dove vengono inseriti una telecamera e due strumenti operatori; ciò riduce considerevolmente la perdita di sangue e il rischio di possibili ernie nei punti di accesso. Inoltre riduce il dolore post-operatorio, poiché l’incisione avviene nell’ombelico che è una zona poco ricca di centri nervosi e quindi poco sensibi-le, spiega il dottor Tacchino. La SISL, che permet-

te un dimagrimento medio di 50 chili, aumenta il grado di soddisfazione del paziente perché non lascia alcuna cicatrice, precisa il dottor Tacchino. Nella laparoscopia tradizionale, infatti, si devono eseguire da un minimo di 3-4 taglietti a un massi-mo di 7-8; alla base del successo della SISL ci sono dei principi operatori nuovi e in più la disponibilità di strumenti più sottili e flessibili nonché teleca-mere articolabili. “È la priva volta che è praticabi-le una chirurgia senza cicatrici visibili”, dichiara il dottor Tacchino, la SISL è dunque un grande passo avanti nella chirurgia laparoscopica.

Dr. Nicola CerbinoResponsabile Ufficio Stampa Università Cattolica Sede di Roma e Policlinico universitario “Agostino Gemelli” www.rm.unicatt.it - www.policlinicogemelli.it

I nnocui per l’organismo essendo biodegrada-bili e quindi perfettamente riassorbibili senza effetti collaterali, ma in grado di contrastare

con efficacia i segni dell’invecchiamento, riem-piendo i solchi e rimodellando labbra e zigomi. Sono i filler all’acido ialuronico, sempre più richie-sti anche in Italia. “I filler – spiega Egidio Riggio, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, e microchirurgia presso l’Istituto Nazio-nale Tumori di Milano – sono materiali iniettabili, biocompatibili, inerti, biodegradabili, che non ri-lasciano nel tempo sostanze tossiche per i tessuti organici”. La loro diffusione è ormai un fenomeno affermato a livello mondiale, che non riguarda sol-

CHIRURGIA ESTETICABOOM DI FILLER ALL’ACIDO IALURONICO

Sempre più diffusi anche tra gli uomini. L’offerta è vastissima, ma è necessario guardare alla qualità. Egidio Riggio: “difficile per il paziente districarsi tra centinaia di proposte”

tanto le donne. Sempre più uomini infatti ricorro-no ai filler per apparire più giovani. In Spagna il 12,3% dei pazienti che si sottopone ai interventi estetici è costituito da uomini e, tra gli under 40, l’80% chiede trattamenti di acido ialuroinico. Stan-do a quanto riporta il quotidiano El Mundo si cal-cola che un uomo su 100 si sia sottoposto a que-sto genere di infiltrazione. Anche negli Stati Uniti, sebbene siano in lieve calo (-3%) gli uomini che lo scorso anno si sono sottoposti a operazioni esteti-che, il ricorso ai filler è aumentato dell’11% stando a quanto riferisce il Wall Street Journal. L’offerta è vastissima, con centinaia di formulazioni e deno-minazioni diverse in funzione del tipo molecolare, dell’applicazione clinica, dell’azienda produttrice e del costo. Proprio a causa dell’elevato numero di filler all’acido ialuronico, non è facile per il pazien-te percepire le differenze tra un prodotto e l’altro. “Esistono prodotti di elevata qualità, con puri-ficazioni maggiori e maggiore sicurezza nella preparazione industriale (agenti reticolanti poco tossici, minori concentrazione di derivati proteici, minimi tassi di endotossine), e prodotti di minore

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e diversa qualità – avverte Riggio - . Proprio per questo potrebbe essere fuorviante credere che l’effetto dell’acido ialuronico sia sempre uguale. E spesso un costo troppo basso del trattamento può nascondere l’impiego di acidi ialuronici di scarsa qualità. Spetta al medico trovare i prodotti migliori da abbinare per raggiungere la massima efficacia in ogni paziente.” Proprio per questa ra-gione, anche per questo genere di trattamenti, è fondamentale rivolgersi a un professionista quali-ficato. “Una raccomandazione basilare ma molto importante – spiega Riggio - è quella di affidarsi esclusivamente a tre categorie mediche per que-sto genere di operazioni: chirurghi plastici, medici estetici o dermatologi, in quanto posseggono una specializzazione pluriennale nella cura dei difetti cutanei e operano esclusivamente in ambulatori e studi medici.” Vista la grande richiesta e diffusio-ne di questi trattamenti, infatti, si stanno svilup-pando soluzioni “fai da te” e dal costo limitato che non offrono le garanzie più basilari per la tutela della salute, oltre che viaggi appositamente orga-nizzati con iniezione filler inclusa o veri e propri

party all’insegna dell’iniezione di bellezza, come documentato da una recente inchiesta del quoti-diano tedesco Rheinische Post. Importante quindi guardare alla qualità. La ricerca è infatti in costan-te evoluzione e sono continue le introduzioni di nuove formulazioni innovative che offrono miglio-ri risultati, con caratteristiche uniche come la per-meanza tissutale. “Questo filler – spiega Riggio - si diffonde nei tessuti dermici non soltanto solle-vando il derma, come fanno tutti gli altri filler, ma penetrando in modo omogeneo e capillare negli spazi interstiziali del derma, offrendo un effetto più bello e naturale”. Altra innovazione recentis-sima riguarda un altro prodotto perfettamente ri-assorbibile, con elevati standard qualitativi a base di microsfere policaprolactone e idrogel di sodio carbossi-metilcellulosa, con una formulazione dif-ferenziata che ne espande la durata temporale fra 1 anno e 3 anni con modalità prefissate.

Klaus Davi & Co. Paolo Steila - email [email protected] Bono - - email [email protected]

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D escritti per la prima volta i meccanismi cerebrali per mezzo dei quali le emozio-ni che provano gli altri, di fronte all’esito

delle loro scelte, influenzano anche le nostre de-cisioni successive. Specifiche aree del nostro “cer-vello sociale” si attivano, “specchiandosi” nell’e-sperienza degli altri, proprio come se imparassimo per esperienza in prima persona. E’ questo il risul-tato di un studio appena pubblicato sulla rivista Neuroimage da un gruppo di ricerca interdisci-plinare dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano impegnato in un ampio progetto di neu-roscienze della decisione sotto la guida del CRESA (Centro di Ricerca in Epistemologia Sperimentale e Applicata) e il CNC (Centro di Neuroscienze Co-gnitive) – diretti rispettivamente da Matteo Mot-terlini e Stefano Cappa. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), lo studio ha esami-nato gli effetti delle emozioni di rimpianto e di sollievo associate agli esiti della scelta (tra diverse

ECCO COME IMPARIAMO DALLE

DELUSIONI ALTRUISCOPERTI I NEURONI DELL'INFLUENZA SOCIALE

lotterie in cui si poteva vincere o perdere denaro), quando le cose sarebbero potute andare diver-samente da come sono andate se solo avessimo preso una decisione differente. In un precedente lavoro, Nicola Canessa e Matteo Motterlini (et. al.) avevano già descritto un meccanismo a specchio per tali emozioni, mostrando che la corteccia or-bitofrontale, la corteccia del cingolo anteriore e l’ippocampo, associati all’esperienza di rimpianto, sono attivate anche quando si osservano gli esiti delle decisioni di un’altra persona. Proprio come davanti a uno specchio, il nostro “cervello socia-le” reagisce empaticamente di fronte al rimpianto altrui. Il nuovo studio estende tale risultato, po-nendo tale meccanismo di risonanza empatica al centro delle modalità di apprendimento sociale attraverso l’interazione con gli altri. Non solo le emozioni di rimpianto (e sollievo) vissute in prima persona, ma anche quelle vissute dagli altri e nelle quali ci “specchiamo”, influenzano la nostra scel-

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ta successiva. Nella specificità dell’esperimento a essere influenzata è la nostra propensione a ri-schiare, che diminuisce dopo aver osservato l’altro provare rimpianto per avere perso denaro a cau-sa di una scelta azzardata, e aumenta dopo aver osservato l’altro provare rimpianto per una scelta conservativa. Un classico fenomeno di “influenza sociale” - spiega Canessa - che viene per la prima volta tracciato con precisione in termini di attiva-zioni neurali e che agisce in maniera specifica per i diversi tipi di apprendimento: “Quando dagli altri impariamo a rischiare di più, infatti, lo facciamo mediante il nucleo caudato e la corteccia parie-tale posteriore (coinvolti in elaborazioni “fredde e razionali” relative ai possibili esiti delle scelte, per esempio in termini di valore atteso). Quando, al contrario, dagli altri siamo influenzati a rischia-re di meno o a non rischiare affatto lo facciamo mediante la corteccia orbitofrontale e l’amigdala (che attribuiscono un valore emotivo negativo al rimpianto anticipato) e, degno di nota, la cortec-cia somatosensoriale e la materia grigia periac-queduttale (strutture coinvolte, rispettivamente, nei meccanismi di percezione e modulazione del dolore – il dolore per le conseguenze di una de-cisione troppo rischiosa)” La comprensione dei meccanismi neurobiologici dell’influenza sociale sulle decisioni economiche in condizioni di rischio – spiega Motterlini - promette di rendere conto di fenomeni che riguardano i mercati finanziari come l’ “effetto gregge” e le “bolle speculative”. “Questo modello di apprendimento attraverso le decisio-ni altrui si applica infatti anche in borsa, proprio attraverso il meccanismo che vi consente di impa-rare da scenari ipotetici facendovi sentire tutta la

spiacevole differenza tra il guadagno presente e il guadagno che sarebbe potuto essere. Quanto maggiore questa distanza, tanto maggiore il rim-pianto, e tanto più fortemente influenzata sarà la scelta di investimento successiva, che si “adatterà” in questo specifico senso al flusso e riflusso del mercato. I mercati salgono e compriamo perché non possiamo rimpiangere di esserne stati fuo-ri. La bolla scoppia e corriamo a vendere, perché non possiamo rimpiangere di esserne stati den-tro. Un effetto rafforzato dal fatto - documentato qui per la prima volta a livello di correlati neurali - che quando prendiamo decisioni di investimento il confronto non è solo con quanto avremmo po-tuto guadagnare (o perdere) noi stessi, ma anche con quanto stanno guadagnando (o perdendo) gli altri ai quali ci rapportiamo”. Un ultimo dato: gli stessi ricercatori di questo studio avevano già mostrato che il rimpianto altrui “risuona” in manie-ra più forte nel cervello femminile. Ora sappiamo anche che, in maniera proporzionale al loro livello di empatia, le donne “apprendono socialmente” meglio degli uomini, soprattutto quando si tratta di rischiare di meno.

Per informazioni:Ufficio stampa Istituto Scientifico Universitario San Raffaele - e-mail: [email protected]

STUDIO PUBBLICATO SU NEUROIMAGEA neuroimaging study of decisional interactive-learning, NeuroImage (2010), doi: 10.1016/j.neu-roimage.2010.11.065 Canessa Nicola, Motterlini Matteo, Alemanno Federica, Perani Daniela, Cappa Stefano F., Learning from other people’s experience.

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D onare un sorriso, un momento di allegria e di gioco ai bambini malati di cancro ricoverati negli ospedali di tutta Italia. È

questo lo scopo che si prefigge “Un sorriso per i piccoli malati di cancro”, il progetto grazie al quale Fondazione Theodora vuole garantire la visita dei Dottor Sogni agli oltre 8.000 bambini ricoverati in ospedale e che affrontano, ogni giorno, la lunga e difficile battaglia contro questa terribile malat-tia.Per sostenere il progetto, dal 10 al 30 genna-io 2011 sarà possibile inviare un SMS al numero 45502 da tutti i cellulari personali Tim, Vodafone, Wind, 3 e CoopVoce o chiamare lo stesso numero da rete fissa Telecom Italia e Fastweb per donare

PICCOLI MALATI di CANCRO”

SORRISO“un

per i

Con un semplice SMS è possibile aiuta-re Fondazione Theodora a garan-tire la visita dei Dottor Sogni a oltre 8.000 bambini ricoverati in ospedale

2 euro e regalare così un sorriso a un piccolo paziente. Attraverso le loro visite stanza per stanza i Dottor Sogni, clown professio-nisti specificatamente formati, offrono ai piccoli pazienti e alle loro famiglie un prezioso aiuto per affrontare la difficile pro-va del ricovero. Grazie a questo progetto, in particolare, i Dottor Sogni potranno continuare a re-galare sorrisi ai bambini ricove-rati in 6 presidi onco-ematologici pediatrici, con un ampio bacino di utenza a livello regionale e na-

zionale, diffusi su tutto il territorio italiano, ovvero l’Istituto dei Tumori a Milano, l’Ospedale Santobo-no-Pausilipon a Napoli, l’Ospedale Infantile Regi-na Margherita a Torino, l’Istituto Giannina Gaslini a Genova, il Policlinico Umberto I a Roma e l’Ospe-dale San Gerardo a Monza. I fondi raccolti, oltre a finanziare le visite dei Dottor Sogni, serviranno a realizzare i corsi di formazione continua attraverso seminari di aggiornamento organizzati da Fonda-zione Theodora, il counceling psicologico periodi-co e la sterilizzazione delle attrezzature dei Dottor Sogni: camici, giocattoli, strumenti adatti al gioco con il bambino in ospedale. Fondazione Theodo-ra può contare per questa campagna sul prezioso appoggio degli storici testimonial Serena Autieri e Kledi Kadiu (disponibili a interviste).

Ufficio Stampa AragornMarcella Ubezio, Silvia [email protected];[email protected]

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F ondazione Theodora Onlus è l’emanazione italiana della fondazione di diritto svizzero, la Fonda-tion Théodora. La sua mission è quella di offrire, a titolo assolutamente gratuito, a tutti gli ospe-dali e i reparti pediatrici, la professionalità e l’entusiasmo dei Dottor Sogni, portando ai bambini

ricoverati in ospedale momenti di spensieratezza e alleviando le loro sofferenze attraverso un’attività artistica, giocosa e divertente. In Italia Fondazione Theodora Onlus inizia la sua attività nel 1995: oggi è presente in 15 ospedali in 11 città italiane con 29 clown e porta ogni anno il sorriso ad oltre 35.000 bambini. Theodora cura la selezione dei Dottor Sogni, finanzia la loro formazione iniziale, i seminari di aggiornamento, il counceling psicologico costante, ne organizza l’attività, assicurando l’alto livello qualitativo delle visite e li retribuisce, in modo da permettere che la loro attività risulti completamente gratuita per le strutture ospedaliere e, naturalmente, per le famiglie dei piccoli pazienti.

Per ulteriori info: www.theodora.it

CHI È FONDAZIONE THEODORA ONLUS

I Dottor Sogni sono artisti professionisti (attori di teatro, teatro di strada, mimi...) che vengono for-mati per lavorare in ambito ospedaliero pediatrico. I Dottor Sogni lavorano sulle emozioni, si pren-dono cura della parte sana del bambino, facendo visita stanza per stanza ai pazienti che spesso

affrontano un ricovero lungo e difficile, offrendo loro e alla famiglia un sostegno concreto.

Contatti di Fondazione Theodora OnlusValentina Musci - Responsabile Comunicazione e Ufficio [email protected] - www.theodora.it

CHI SONO I DOTTOR SOGNI

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Form

a

S ul numero di “Focus” di aprile 2010 è stato dato ampio spa-zio ad una serie di dati sulla

qualità degli ospedali. Sull’argomen-to della valutazione delle strutture ospedaliere, gli Anglo-sassoni han-no cominciato molto prima di noi, ricostruendo criteri e casistiche tali da consentire al cittadino, volta per volta e navigando su appositi siti in-ternet, di scegliere soltanto i medici più bravi. Per fare un esempio, l’in-glese John Smith potrebbe scegliere il miglior ospedale cardiologico di Londra, dopo averne riscontrato su appositi siti web le connotazioni di eccellenza, e potrebbe scegliere il chirurgo migliore per la propria ope-razione ad una valvola cardiaca. In Italia sarà mai possibile disporre di simili possibilità? Sul punto, va subito sottolineato che l’Istituto Superiore della Sanità di Roma-Viale Regina Elena è stato assai meritevole nel raccogliere i pri-mi dati, sia sulla mortalità nei centri ospedalieri, sia sugli ospedali con un basso tasso di mortalità. Ed è pertan-to auspicabile che lo stesso Istituto venga, in un prossimo futuro, mes-so (giuridicamente parlando) nelle condizioni di apprestare un sistema organico di dati, tali da permetterci le stesse possibilità dei cittadini in-glesi in ordine alla scelta ragionata delle strutture sanitarie. Prima però di parlare dell’Istituto Superiore di Sanità italiano, apriamo una paren-

ESISTONO DATI SULLA QUALITÀ DEGLI OSPEDALI?

Può essere ipotizzabile che un cittadino scelga l’ospedale con i “medici più bravi “? O la struttura ospedaliera il cui “curriculum“ contenga i dati più “tranquillizzanti“? Parliamo di un lontano futuro remoto, o il futuro potrebbe essere addirittura ora?

di Marco e Paolo Nicoletti

tesi su una vicenda del passato. Nel 1988, Steve Bolsin, anestesista dell’e-tà di 36 anni, arrivò al Royal Infirma-ry di Bristol, e potè subito constata-re che in quella struttura vi era una mortalità pediatrica molto elevata, e che i bambini ivi operati morivano con molta più frequenza che altrove nel Regno Unito. Solo otto anni più tardi, nel 1996, l’opinione pubblica venne smossa da un documentario televisivo, e nel 1999 il Governo In-glese aprì un’inchiesta governativa.

Nel 2005, in seguito allo scandalo di Bristol, furono messi in rete tutti i dati di mortalità delle cardiochirur-gie britanniche. Quattro anni dopo, le statistiche mostravano che la mortalità per la chirurgia coronari-ca della Gran Bretagna si era ridotta del 21%. Per quanto riguardava, pe-raltro, gli interventi di sostituzione della valvola aortica negli anni che vanno dal 2005 al 2009, i predetti in-terventi effettuati in Gran Bretagna videro la percentuale di mortalità

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ridotta addirittura di un terzo. E que-sto nonostante l’età dei pazienti e la complessità degli interventi chirur-gici fossero nel frattempo aumenta-te. Questo sembrerebbe essere una prova dell’effetto positivo della tra-sparenza su questa branca della chi-rurgia . In Gran Bretagna si era fatto un largo uso, nei siti internet e per la valutazione delle strutture sanita-rie, del criterio della “qualità clinica “. Torniamo ora in ambito italiano. Nel-la Sanità Pubblica, la “ qualità clinica “ corrisponde alla salute dei pazienti: una clinica è tanto più pregevole ed efficiente quanto maggiormente ot-tiene e tutela la salute dei pazienti. Ma la qualità clinica in Italia è poco misurata o, se i dati ci sono, sono a volte nascosti come i segreti di Stato. Andiamo ora alla fine del 2001, anno in cui il Ministero della Sanità italia-no aveva avviato un programma di “valutazione degli esiti“, affidandone il coordinamento all’Istituto Supe-riore di Sanità “. La prima indagine di tal fatta venne chiamata “Progetto Bpac“. Tale progetto monitorava la mortalità a 30 giorni degli interven-ti di by-pass aorto-coronarico nelle varie cardio-chirurgie italiane. Ven-nero, a tal proposito, considerate 88 strutture sanitarie, ed in ognuna di esse venne adottato un criterio di

statistica assai scrupoloso ed obietti-vo: ogni dato venne adattato in base all’entità del rischio, e cioè ricorretto in modo da tener conto di tutte le variabili che potevano influenzare il risultato. Tra queste variabili, ven-ne ovviamente considerata l’età, il sesso, le malattie concomitanti del paziente, la gravità del paziente stesso, nonché ogni altra difficoltà del caso in questione. Di queste 88 strutture, che erano state oggetto iniziale del censimento, ne vennero prese in considerazione ben 64, e la relativa mortalità media risultò del 2,6%, ovverosia ai livelli della me-dia internazionale. Tuttavia, il range di mortalità andava dal minimo del 0,26% del centro migliore al massi-mo dell’8,76% del centro con risultati peggiori. Cosa volevano dire questi risultati ? Rispetto ad una mortalità nazionale pari ad uno, una mortalità dell’8, 76% equivale ad un aumen-to di mortalità del 7,76% superiore rispetto alla media. I migliori centri risultarono essere i piccoli ospedali di provincia, sconosciuti ai più, come il Santa Croce e Carle di Cuneo, o il Civile di Legnano, o l’Ospedale San-ta Chiara di Trento o il Nuovo Polo Cardiologico Ospedale Gattinara di Trieste, e l’Esperia Hospital di Mode-na. Invece, altre grandi strutture, an-

che a livello di Policlinici, mostrarono inaspettate percentuali di mortalità elevata. Lo studio dell’ISS (Istituto Superiore della Sanità) evidenziava quindi preoccupanti differenze tra le prestazioni offerte dai vari centri. Sul BEN (Bollettino Epidemiologico Na-zionale) così commentavano i ricer-catori, rilevando che l’esistenza di un così ampio campo di variazione sta-tistica, obiettivato su quelli che era-no i criteri oggettivi di rilevazione, giustificava e giustifica la necessità di individuare sistemi di valutazione comparativa degli esiti. Tali sistemi potranno risultare utili sia alle sin-gole strutture ospedaliere, per indi-viduare settori che richiedano mag-gior attenzione, che ai cittadini per garantire un elevato standard qua-litativo di assistenza. L’analisi, che per ora riguarda solo alcune strut-ture, potrebbe essere estesa a tutte ed essere aggiornata puntualmente anno per anno .Invitiamo i lettori alla lettura dei siti:-bpac.iss -epicentro.iss.it/ben/2005/aprile .Infine va ricordato che, nel mese di Dicembre 2010, la Regione Lazio è tutt’ora l’unica Regione che mette in internet i dati di ogni ospedale, sul sito 151.1.149,72 /vislazio /vis_index.phppaginaMenuMattoni.

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Fo

rma

S ebbene il termine: “invertito” susciti nella nostra immagina-zione degli esempi non pret-

tamente scientifici, tuttavia questo aggettivo, applicato al microscopio, identifica uno strumento validissimo per osservare in tutti i loro detta-gli delle cellule ancora vive, oppure tenute artificialmente in vita. Mol-ti Studiosi sanno dell’esistenza di questo tipo di microscopio, ma ben pochi sanno come funziona. I due elementi che immediatamente col-piscono la nostra attenzione sono i seguenti: la sorgente di luce si trova in alto anziché in basso, e di conse-guenza gli obiettivi sono rivolti verso l’ alto. E’ proprio tutto il contrario di quello che succede nel microscopio normale. Ma perché è fatto così? Nella Scienza c’è sempre un motivo preciso. Nel microscopio normale la fonte di illuminazione si trova nella parte inferiore dello strumento, ed al di sotto del tavolino portavetrini

il MICROSCOPIOINVERTITO

Il microscopio invertito permette l’osservazione di cellule vive, isola-te oppure in coltura. Il limite del mi-croscopio normale è costituito dallo spessore ristretto che deve avere, per esempio il vetrino coprioggetti. Tale limite viene superato dal microscopio invertito. È l’ ideale per le cellule in coltura.

“c’è infatti un bel condensatore che raccoglie i raggi luminosi e li invia in direzione del vetrino da osservare. Il limite di questo tipo di microscopio è costituito dagli spessori, intenden-do con questa parola lo spessore complessivo del vetrino portaoggetti e del vetrino coprioggetti. Che cosa voglio dire ? Mi spiego subito. Faccia-mo un esempio con le cellule del san-gue. Prendo un vetrino portaoggetti. Ci metto sopra una goccia di sangue. Poi vi metto sopra due gocce di epa-rina sodica. Infine vi metto sopra, senza sigillare con il balsamo del Ca-nadà, il vetrino coprioggetti. Osservo allora le cellule del sangue. Lo potrò fare anche per un paio di giorni. Poi, però, non potendo somministrare agevolmente a queste cellule delle sostanze nutritizie, come dei granelli-ni di zucchero, anche se esse non co-agulano, moriranno per mancanza di nutrimento. In realtà c’è il sistema di prolungare queste osservazioni oltre

un paio di giorni. Mi sono pregiato di illustrarlo nel libro: “Aggiornamen-ti in Vitaminologia”, Borgia Editore, Roma, 2008. La prefazione è del Professor Alberto Fidanza. Il libro è una mia modesta monografia, e vi illustro il metodo del-la finestra di batiscafo. Questo meto-do apparrà banale, una volta spiegato, come l’ uovo di Colombo. Faccio però notare che intanto l’ uovo di Colombo rimaneva dritto sul tavolo, una volta schiacciata di proposito la punta dell’ uovo stesso. Io in fondo ho fatto la medesima cosa. Tra il vetrino portaog-getti ed il vetrino coprioggetti ho inse-rito (cinque anni fa, nel 2005) quattro microsferule di vetro. In particolare, avevo inserito due microsferule da tre millimetri di diametro, e altre due da appena due millimetri. Con questo semplicissimo sistema ho potuto stu-diare i fenomeni di immunoaderenza nei linfociti. Infatti potevo sommini-strare alle cellule del sangue (con delle

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M croScopiomicropinze) dei granellini di zucchero, che servivano a tenerle in vita. Ci vuo-le un minimo di perizia, perchè nell’ abbassare l’ obiettivo da 100 X (mille ingrandimenti) al fine di ottenere la messa a fuoco, bisogna farlo lenta-mente e senza alcuna fretta. Altrimenti si rischia di frantumare la parte supe-riore della finestra di batiscafo. Simile infatti ad una finestrella di batiscafo è il pertugio che si viene a creare per le nostre osservazioni. Con il microsco-pio invertito non serve invece alcuna particolare esperienza. E non solo pos-siamo osservare agevolmente le cellu-le in coltura, ma anche effettuare delle micromanipolazioni cellulari, ed osser-varne i risultati. Devo premettere che in quest’ ultimo tipo di microscopio, di-sponendo l’obiettivo sotto il prepara-to, è possibile usare ( invece del vetrino portaoggetti ) una celletta con il fondo trasparente, che può contenere diver-si millilitri di campione liquido. Ecco come mai l’osservazione di cellule del sangue, tanto per ritornare al nostro esempio, può essere prolungata ben oltre i due giorni di cui parlavamo pri-ma. Tra le micromanipolazioni cellulari che vorrei sottoporre all’ attenzione, perchè sono agevolmente osservabili con un microscopio invertito, vi sono anche quelle inerenti l’ oocita di Xeno-pus, per osservarne i frammenti di RNA messaggero, al fine di studiare il recet-tore per l’ acetilcolina. I recettori sono delle molecole sulle superfici cellulari che inviano e ricevono segnali. In parti-colare è interessante, sulla membrana cellulare, sempre studiando l’ oocita di Xenopus, il recettore per l’acetilcolina. Perchè stò presentando un insieme di micromanipolazioni connesse all’ oo-cita di Xenopus? Perchè gli studi su animali spesso precedono gli studi su soggetti umani. In questo caso, visto che l’ obiettivo è raggiungere maggio-ri dettagli sul recettore dell’ acetilcoli-na, una volta completati gli studi sull’ oocita di Xenopus, cominceranno de-gli studi su membrane cellulari umane, per vedere quali sono gli elementi in

comune, e quali dettagli invece non collimano. Ma prima di descrivere queste micromanipolazioni mi sembra giusto (partendo in modo banale, dall’ inizio ) precisare che lo Xenopus è una rana, e precisamente il tipo di rana che più frequentemente viene impiegata nei laboratori inglesi ed americani per gli studi sui recettori. E’ una rana dagli occhi alquanto sporgenti. E veniamo alle micromanipolazioni sull’ oocita di Xenopus. Il microscopio invertito è proprio l’ ideale (oltre naturalmente al microscopio elettronico) per osservar-le. Il recettore per l’ acetilcolina (neuro-mediatore ) all’ inizio dell’ esperimento non c’ è sulla membrana cellulare dell’ oocita di questa rana. L’ esperimento porterà alla formazione di diversi re-cettori sulla membrana cellulare dell’ oocita stesso. Per semplificare ancora il concetto di recettore utilizziamo i ter-mini di canale ionico. Infatti è un vero e proprio canale, che all’ occorrenza si apre e si chiude, lasciando passare o meno determinati ioni. Si parte da al-cune osservazioni in vitro. Tutte queste fasi al microscopio invertito si osser-vano nitidamente, e con precisione. O almeno, se vogliamo essere precisi, vediamo bene gli effetti macroscopici di esse. Si comincia dal porre in vitro alcune particelle di cDNA, e precisa-mente il cDNA che serve per ottene-re il recettore per acetilcolina. Con la sigla “cDNA” si intende il DNA com-plementare. E’ sempre bene evitare le sigle intraducibili per la maggioranza degli studiosi. E poiché il DNA com-plementare è un altro concetto molto poco diffuso, trovo giusto precisare un attimo che il cDNA è un DNA di sintesi biochimica. Siccome la biologia mole-colare è un bellissimo universo, è pure giusto mettere a fuoco il concetto che nel DNA complementare le due eliche vengono sintetizzate in due passaggi. Tutti sanno che il DNA ha due eliche, le quali si intrecciano fra di loro. Bene. Nel DNA complementare la pri-ma elica viene prodotta utilizzando un singolo filamento, che si chiama RNA

messaggero. Si chiama così perchè in-via messaggi entro ed al di fuori della cellula. Tale filamento singolo serve come uno stampo. Ottenuta la prima elica, bisogna formare la seconda, che infatti viene sintetizzata a partire dalla prima elica prodotta. Ma continuiamo queste micromanipolazioni, con uno sguardo veloce, simile alla rapidità che avrebbe un volatile. Come prima fase di questo esperimento si fa ottene-re da questo cDNA (sempre in vitro ) un filamento singolo, e non doppio: l’ RNA messaggero. Poi si effettua una microiniezione sulla membrana cellu-lare dell’ oocita di Xenopus, e si fanno penetrare all’ interno dell’ oocita tutti questi filamenti singoli di RNA mes-saggero. Ognuno di essi è come un’ elica singola. A questo punto il nucleo della cellula di Xenopus (è un’ oocita) si comincia a chiedere: “Cosa ne faccio di queste informazioni ? Proviamo a montarle.“ E comincia dunque, in se-guito alla decisione presa dal nucleo cellulare, la sintesi proteica e l’ assem-blaggio. Pezzo per pezzo viene mon-tato sulla superficie cellulare dell’ oo-cita di Xenopus il canale ionico per l’ acetilcolina. E poi ne vengono montati, come in una catena di montaggio, di-versi esemplari, di questi canali ionici. Alla fine di questo esperimento la su-perficie cellulare dell’ oocita della rana ne è cosparsa. Grazie al microscopio invertito si possono seguire con niti-dezza tutti i risultati di queste micro-manipolazioni cellulari. Ma c’ è anche un altro aspetto affascinante, negli studi eseguiti con il microscopio inver-tito: è perfetto per l’ osservazione, con relative micromanipolazioni, del plancton oceanico. Le cellule del plan-cton potranno essere educate, perfe-zionate, in modo da costituire una più abbondante fonte di nutrimento per alcuni pesci che, altrimenti, si potreb-bero estinguere. Dottor Marco Nicoletti Dermatologo - Tor Vergata - Roma

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