Paridea 2 Giugno 2009

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n° 2 - Giugno 2009

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Periodico della Consigliera di Parità della Provincia di Massa-Carrara di informazione, divulgazione e approfondimento sulle tematiche di genere, anche con funzione di aggiornamento normativo e giuridico

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n° 2 - Giugno 2009

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Paridea

Rivista trimestrale della Consigliera di ParitàProvincia di Massa-Carrara

N. 2 Giugno 2009Registrazione del Tribunale di Massa-Carrara n° 397 del 22/2/2008Edito dalla Provincia di Massa-Carrara

Direttore responsabileGiuliano Bianchi

Comitato di RedazioneLuisa Del Mancino, Francesca Frediani, Annalia Mattei

Hanno collaborato a questo numeroSusanna Bigi, Sara Bonni, Barbara Dell’Amico, Sara Lavorini, Annalia Mattei, Andrea Spini, Ilaria Tarabella

Grafica e impaginazioneDigit srl

Le illustrazioni di questo numero sono di Annalia Mattei e le foto provengono dall’archivio personale della famiglia Mattei

In copertina: “La forza della cultura” di Babak

StampaStamperia dell’ Amministrazione Provinciale

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Editoriale

Crisi, economia e vita. Generi e generazioni

Da Biancaneve a cenerentola, tra Monica, Hillary, Eva e le altre...

Rete di Lenford: l’Avvocatura per i diritti LGBT

Tecnologie e donne: prospettive di carriera

Sanità e quota rosa

La parità e la differenza

Discriminazioni e mobbing di genere: la tutela offerta dall’applicazione del Codice di Pari Opportunità nel Processo Civile

La Consigliera di Parità: chi è e cosa fa

Si segnala che

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OMMARIOS

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Quando la storia non insegna...o meglio, quando un popolo non vuol imparare, anche il miglior maestro nulla può fare...Certi recenti sviluppi della contemporanea nostra società – definirla civiltà comincia ad essermi difficile – stanno incrinando anche il mio proverbiale ottimismo...Non voglio entrare nelle polemiche gossippate o nelle paparazzate polemiche che stanno talmente sotto gli occhi di tutti da rendere quasi impossibile ignorarle. Non è il mio ruolo come “authority”, mi si passi

il paragone che, forse forzato, spiega però ampiamente l’agire di chi come me ha questo incarico. Non spetta a me giudicare, a me spetta difendere un principio – la pari dignità, da cui la pari

opportunità, fra i generi – quando tale principio viene leso. E mai avrei creduto, dopo anni di lotte e di battaglie combattute senza grossi spargimenti di sangue - di sangue effettivo, quello rosso, che scorre, che gocciola, che viene versato - ma non per questo meno cruente perchè fatte spesso contro muri di gomma, e la gomma si sa, lascia ferite molto gravi e profonde, a volte inguaribili, che però si nascondono allo sguardo. Dopo anni passati “a far passare” il concetto che “diverso” non significa “inferiore”, che le

donne sanno pensare – e diavolo, lo sanno fare pure molto bene! – che la società della video-comunicazione, della televisione, del cinema, della pubblicità, della moda , e quanto altro, riuscisse ad azzerare nel giro di appena un decennio quasi tutto quanto di buono era stato fatto... Non c’è nulla di male nel voler partecipare attivamente al mondo pseudo- dorato, molto pseudo e poco, pochissimo dorato meglio, all’industria dell’immagine...diventa un male quando ciò viene visto come la chance a cui affidare la propria vita, come se al di fuori non esistesse altro, a cui sacrificare tutto, per cui stravolgere il proprio fisico, la propria anima... per cui vendere l’uno e l’altra, quando non li si svende... Questo per me è sconvolgente. Vedere come siamo tornate ad essere considerate l’optional di lusso – ma non sempre di lusso, a volte solo l’optional – di qualcosa o di qualcuno. Più sconvolgente ancora notare come questo accade non solo nell’assordante silenzio dei nostri concittadini, ma anche nella più raggelante, tranquilla, silenziosa accettazione delle nostre giovani leve, donne, ragazze, che tacciono davanti alla riduzione dell’immagine della donna appunto ad un immagine non solo vuota, ma anche strapazzata, calpestata, svilita... Sperare in un futuro per tutte migliore, a questo punto diventa difficile.

Annalia MatteiConsigliera di Parità Provincia di Massa-Carrara

Editoriale

Donnemoderne

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Mi sia consentito iniziare questo intervento – di cui vi ringrazio per l’invito - con alcuni brevi flash della mia storia universitaria che, per quanto possa in prima battuta apparire paradossale – essendo un individuo appartenente al genere maschile -, può introdurre al tema del convegno. In questo momento ricopro (del tutto casualmente) il ruolo di Direttore del mio Dipartimento di appartenenza (Dipartimento di Studi Sociali – Facoltà di Scienze della Formazione): non credo che il caso mi farà svolgere anche quello di Preside di Facoltà e di Rettore. Per una ragione molto semplice: la mia carriera universitaria, in realtà, è stata una “non carriera”, nel senso che – per mia incomprensione delle logiche di funzionamento del mondo accademico – la potrei descrivere come un mix di “caso e necessità”. Ma non voglio intrattenervi sulle mie avventure di “comico spaventato guerriero”, se non per segnalarvi il fatto che – a differenza di quasi (?) tutti i miei colleghi, non provengo da nessuna delle classi sociali che hanno fornito la “classe dirigente” del Paese : sono, infatti, figlio di operai. Certo, della marxiana “classe universale” che liberando se stessa avrebbe liberato tutti…Non è andata esattamente così, anche se – ed io ne sono la testimonianza vivente – il sistema di democrazia capitalistica ha permesso, in congiunture diverse, una mobilità sociale che per il nostro Paese era semplicemente inimmaginabile prima della conclusione della seconda guerra mondiale. Nessun regalo, beninteso: il Paese “nuovo”, della industrializzazione e del boom economico degli anni a cavallo fra i ’50 e i ’60 del secolo scorso, dell’affermazione dell’uguaglianza di genere, del futuro “aperto”, furono il frutto dei dolori immensi di una

Crisi, economia e vita. Generi e generazioni

Andrea Spini *

Intervento del Professor Andrea Spini estratto dal Convegno “Maternità in tempo di crisi.Donne tra culla e lavoro” (Marina di Massa 10 marzo 2009)

intera popolazione, e delle tragedie di quelle minoranze che seppero declinare il “no” al nazifascismo prima con la lotta armata, poi scrivendo una Costituzione fondata sul lavoro come valore universale per l’affermazione della dignità dell’uomo. Comunque, ritornando alla mia microstoria: mio padre è nato nel 1910, mia madre nel 1915, io sono nato nel 1946, in sostanza mi hanno fatto - come si diceva allora – “da vecchi”. Faccio parte della generazione del primo dopoguerra, cioè appartengo alla famosa (o famigerata?) generazione del ‘68. In quell’anno ,infatti, ero al terzo anno di Università, pertanto sono un esemplare tipico di quella generazione ed in tutti i sensi: dal sognare un mondo diverso al cercare di farlo insieme agli operai. Gli studenti ottennero l’università “di massa”, gli operai lo Statuto dei Lavoratori,dopo l’autunno caldo del 1969, e di cancelli di fabbrica picchettati da “studenti e operai uniti nella lotta”. Ma, viene da domandarsi, a distanza di 40 anni, quanti studenti “militarono” realmente nelle diverse espressioni in cui si manifestò la galassia degli studenti? Non tutti gli studenti, infatti, condivisero il sogno, anzi: si tratta di una mitologia creata per autolegittimarsi come forza politica, quando si trattava di una schiacciante minoranza, come poi si incaricherà di dimostrare se non la storia, almeno la cronaca. Ma tutto questo che c’entra con il tema del convegno? Apparentemente nulla, in realtà tutto, perché è in quegli anni, e in quei contesti di conflittualità sociale endemica che la questione del genere iniziò progressivamente ad imporsi, per poi esplodere negli anni ’70, in forme e con contenuti, tuttavia, assai diversi da quelli espressi dalle tradizionali associazioni femminili.Ciò che allora emerse, con tutta la sua

carica rivoluzionaria, era oltre le rivendicazioni di UDI e di CIF, il fatto che non era possibile ricondurle ai due grandi partiti di massa (PCI e DC). Il movimento delle donne pose problemi che mettevano in discussione lo stesso concetto di parità di diritti che pure, e nonostante la Costituzione, stentava a tradursi nei contratti di lavoro, e soprattutto nella cultura “vissuta” degli italiani. Insieme alla parità dei diritti si poneva, infatti, il tema della differenza di genere, fino ad investire direttamente lo stesso concetto di genere. Ed insieme ad esso gli elementi costitutivi del nostro sistema di welfare ancora riconducibili alla figura del “maschio percettore di reddito”.Dalle “compagne” di Università della mia generazione alle ragazze dei girotondi degli anni ’70, passando attraverso la diffusione della pillola antifecondativa, i referendum sul divorzio e sull’aborto, la legge sul nuovo diritto di famiglia (1975) non sancì soltanto la rottura definitiva del tradizionale paradigma familistico, ma anche dell’immagine che la donna aveva di se stessa. Iniziò allora quel lungo, frammentato percorso, che giunge fino ad oggi, consegnandoci ad un paradigma delle relazioni di genere ancora da definire, per la complessità con la quale si configura il mondo pot-

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moderno. Nell’ultimo quindicennio, infatti, le trasformazioni radicali indotte dai processi di globalizzazione hanno prodotto una fenomenologia sociale non facilmente definibile quando la si affronti dal punto di vista del genere. Non siamo di fronte, infatti, ad una “occidentalizzazione del mondo”, ossia ad una diffusione su scala planetaria, mediante le nuove tecnologie mass-mediatiche, dei modelli di comportamento e degli stili di vita delle appartenenti al genere femminile dei Paesi più avanzati, ma ad un mosaico dominato dalla differenza e dalla contaminazione. O, più esattamente, dalle diverse traduzioni che di quei modelli si sono operate (e continuano ad operarsi) nei diversi contesti politici, economici e socio-culturali.Ciò che emerge, in altri termini, è un sistema di combinazioni identitarie in cui sono coinvolte tutte le donne. Per quanto ci riguarda, una delle questioni pratico-teoriche più rilevanti, perché direttamente legata al diritto al lavoro, è stata (e rimane, per la sua diretta relazione con il sistema di welfare) quella definita da Laura Balbo della “doppia presenza”. A questo proposito, se mi consentite, riprendo per un attimo il filo della memoria personale con un altro flash.Mia madre ha sempre lavorato – dall’età di 10 anni, per l’esattezza, quando mia nonna, con grande dolore suo e grande felicità di mia madre che ha sempre odiato i libri, la collocò come baby sitter presso una famiglia di grandi proprietari terrieri – e, dal momento del matrimonio, ha sempre diviso il suo tempo tra fabbrica e “servizi di cura” ai componenti la famiglia (figlio, marito, genitori, anziani).Dunque: produzione – riproduzione – cura, ciclo continuo integrato delle funzioni fondamentali della società. Mia madre non se ne è mai lamentata, ma forse perché aveva, come si dice degli attori, le phisique du role. Solo una volta ebbe a lamentarsi: quando fu concessa la pensione alle casalinghe. A suo avviso, si trattava di una ingiustizia nei confronti delle lavoratrici. che, come lei, avevano espletato anche la funzione di casalinghe. Troppo facile per me, allora, tacciarla di

“reazionarismo”; impossibile, oggi che non c’è più, riconoscergli l’intuizione del problema fondamentale del lavoro femminile. Ma non inutile, questo ultimo flash di memoria personale, perché ci permette di riprendere con maggiore cogenza i temi che sopra ho segnalato, relativi alla traduzione del modello di identità femminile “omologato” nell’attuale sistema globale del consumo. Che non riguarda solo donne appartenenti ad altre culture, ma le stesse donne del I mondo (per usare una espressione ormai – giustamente – abbandonata nel linguaggio scientifico), identificato con l’Occidente. Occultare questi processi di traduzione dietro quelle che rischiano di configurarsi come interessate astrazioni di identità etniche o culturali o, peggio ancora, di genere, significa condannarci – almeno a mio avviso – a non comprendere le dinamiche culturali e di potere all’interno dello stesso genere. Detto brutalmente: le donne non sono socialmente tutte uguali. Quando si parla di genere dobbiamo, cioè, tenere presente che in ogni momento storico, in ogni segmento della società, in qualunque tipo di società, le problematiche di genere cambiano a seconda dello status o classe sociale di appartenenza. Un conto è essere una baronessa un altro è essere la contadina della baronessa; tutte e due sono donne ma la loro esperienza di vita, il loro orizzonte di futuro, la loro costruzione identitaria è radicalmente diversa. I fenomeni con i quali oggi ci confrontiamo, anziché smentire, sembra confermino questa affermazione. Se evitiamo di rifugiarci nelle diverse ideologie prodotte nel tempo della “morte delle ideologie”, non è difficile descrivere (ed interpretare) la partecipazione alle selezioni per “velina” come traduzione individuale di modelli costruiti dal sistema mass-mediatico. Più difficile da accettare è che il senso e il significato di questa traduzione è molto diverso per una ragazza che non dispone della cultura e del “capitale sociale”(Coleman) adeguato, da un’altra, invece, che, per status sociale appartiene già al mondo nel quale l’altra vuole entrare. Mentre per la prima si

tratta di un investimento “totale”, per la seconda rientra nel range di possibilità a lei ascritto. Ambedue possono esser collocate all’interno di un mercato del lavoro fondato sulla flessibilità, ma mentre per la prima si traduce quasi costantemente in precarietà, con i correlati esistenziali di incertezza e di insicurezza, per la seconda “flessibilità” può significare soltanto pluralità di esperienze di vita. Ancora diverso, e assi più complesso, il caso delle donne migranti e di quelle collocate nei diversi contesti socio-culturali del pianeta, sul quale, per ovvi motivi di tempo, non posso intrattenermi. Una notazione, tuttavia, credo necessaria a questo proposito. Troppo spesso si identifica, anche nella migliore letteratura scientifica, il processo di integrazione sociale solo come quell’insieme di azioni che il Paese ospitante e il migrante devono realizzare per giungere ad un “contratto di convivenza” soddisfacente per entrambi. Altrettanto spesso ci si dimentica dell’asimmetria di potere fra migrante e istituzioni, come anche – e a mio avviso si tratta di dimenticanza ancora più rilevante – del tipo di integrazione sociale delle donne nei propri contesti di appartenenza, dove si riproducono esattamente gli stessi problemi che abbiamo rilevato nel caso delle “veline”. In altri termini, che si tratti dell’Iran o del Bangladesh, della Svezia o della Spagna, il tipo di integrazione sociale delle donne è funzione delle variabili socio-economiche e politico-culturali che definiscono il loro tasso di libertà individuale e di opportunità di accesso al mercato del lavoro che, sottolineo, è sempre relativo anche alla stratificazione sociale esistente.Ma, per concludere, ritorniamo nel nostro Paese e ad alcuni dati che fotografano la posizione della donna nel contesto al quale appartengo. Secondo le ultime rilevazioni statistiche (Alma Laurea 2008), nell’ambito universitario oggi le donne sono più immatricolate degli uomini, anche se maggiormente nelle facoltà umanistiche, mentre in quelle scientifiche – ad esempio fisica, ingegneria – si trovano in minor numero (circa il 17% degli immatricolati). Fa eccezione la facoltà di Medicina di Firenze, in cui le

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donne superano il numero dei colleghi maschi, con conseguente, anche se incomprensibile (?), preoccupazione delle autorità accademiche.Un’ altra facoltà in cui le donne sono iscritte in misura maggiore è quella di Chimica, forse perché si tratta di mettere insieme gli elementi che sono i costitutivi della vita e chi meglio di una donna può mettere insieme gli elementi ed è affascinata da questi? Oggi in Italia su 77 Università ci sono soltanto 4 donne Rettore. A Firenze, restringendo il campo, le donne Presidi di Facoltà sono soltanto tre. Se consideriamo i Professori universitari ordinari, tra donne e uomini il numero raggiunge i 17.957. Orbene, di questi solo il 16% è costituito da donne. Perché accade questo? Perché fare carriera universitaria significa attendere – mediamente - i 35 anni per diventare ricercatore o ricercatrice. A quel punto la donna deve scegliere se fare carriera o fare anche altre cose. Perché se vuole fare altre cose (che so: metter su una convivenza o un matrimonio, fare dei figli, impegnarsi socialmente, …) deve dimenticarsi della carriera, perché, come si dice negli USA, “o pubblichi o muori”. Ma per pubblicare bisogna stare in Università, andare in Biblioteca, frequentare Convegni, e non c’è tempo per fare la mamma e neanche per fare la moglie o la compagna. Ci sono perciò meno opportunità per le donne. E per gli uomini? Per le nuove generazioni – qualcuna dirà: finalmente! - le cose non cambiano, anche se – a onor del vero - sembra ancora possibile per un maschio trovare una donna disposta a fare da supporter alla sua carriera (il contrario non risulta, anzi: all’origine di molte separazioni sembra essere proprio la carriera della moglie/compagna).Comunque, per gli individui della mia generazione è stato diverso. Nel “mitico” ‘68 all’Università ci si conosceva tutti; nell’università di massa questo è impossibile. Ma, soprattutto, c’era quasi una perfetta corrispondenza biunivoca fra corso di studi e

occupazione professionale.Ora, indipendentemente dalle lamentazioni sul “tempo che fu”(spesso, per non dire sempre, si tratta solo di un modo per rifiutare il naturale processo di invecchiamento), che l’apertura dell’ Università costituisca un doveroso ampliamento dei diritti di cittadinanza, non c’è dubbio; ma altrettanto indubbiamente la forma assunta dall’università di massa non garantisce più una automatica mobilità sociale. Nonostante tutto (come attesta anche il costante monitoraggio di Alma Laurea), il momento dell’accesso al lavoro diviene sempre di più momento di selezione ed i criteri sono dettati

unicamente dalle logiche del mercato. E il mercato del lavoro è radicalmente cambiato negli ultimi trenta anni; il corso di studi universitario non garantisce più – da solo – nessun “salto di classe”. E, ancora oggi, per il genere femminile – sia per l’ingresso che per la progressione di carriera – si riproducono gli stessi handicap che abbiamo già avuto modo di rilevare in

ambito accademico. Per una donna, cioè, si ripropongono le stesse domande – indipendentemente dal tipo di occupazione – sui costi della carriera: “a cosa sono disposta a rinunciare per avere successo nel lavoro?” o, detto in altri termini, “è possibile conciliare rapporti affettivi strutturati con la carriera?” La risposta – dal mio punto di vista – non può che esser condizionale: sarebbe positiva se lo welfare state italiano fosse diversamente strutturato.Uno dei più interessanti studiosi di sistemi di protezione sociale (Esping-Andersen) ha mostrato in maniera, a mio avviso convincente, che i più

efficienti sistemi di welfare (che identifica con quelli scandinavi, in particolare quello svedese) sono quelli dove più diffuso è il lavoro femminile. Se – argomenta Esping-Andersen - le donne lavorassero tutte, o la maggior parte di esse, aumenterebbe il PIL. E, conseguentemente, la massa finanziaria per il prelievo fiscale crescerebbe proporzionalmente, e con esso la disponibilità per la fornitura di servizi sociali per l’infanzia (e non solo). Fondamentali, dal nostro punto di vista, appaiono i servizi per l’infanzia. Senza una rete che garantisca alle donne la quantità di tempo necessario per il lavoro e la carriera appare, infatti, semplicemente impensabile un “pari diritto” al lavoro fra i generi. La Regione Toscana – e non da oggi – in realtà, è andata oltre l’argomentazione di Esping-Andersen: non solo si è impegnata nel potenziamento della rete di servizi per l’infanzia, ma anche nell’assicurarne la qualità in

termini di offerta educativa. Può sembrare – e di fatto lo è – inutile questa specificazione nei confronti dei servizi per l’infanzia dei Paesi scandinavi, ma non lo è più quando, invece, si pensi al nostro Paese. Che anche a questo proposito rivela la sua natura di democrazia incompiuta. Ancora oggi, infatti, siamo di fronte ad un paesaggio socio-economico ed istituzionale a “macchia di leopardo”, in

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cui a Regioni, come quelle del Centro-Nord, impegnate nella discussione sui migliori standard di welfare locale, si contrappongono Regioni in cui l’occupazione femminile e i servizi per l’infanzia rimangono affidati a ciò che di volta in volta la classe dirigente di turno reputa funzionale al consenso elettorale.In realtà, come dovrebbe essere noto, i servizi per l’infanzia non sono soltanto i luoghi protetti per donne che lavorano, ma contesti educativi in cui hanno luogo i processi di socializzazione competente necessari per entrare da cittadini e non da sudditi (Zincone) nella “società della conoscenza”. Per questo il genere non riguarda soltanto il femminile ma anche il maschile, perché si tratta di due costrutti storico-sociali irriducibili alla differenziazione dei caratteri sessuali secondari. La natura dispone solo la nostra funzione riproduttiva, ma non il suo esercizio; tantomeno le relazioni tra i sessi. Quest’ultime possono cambiare, anche se non è facile, né immediato. Nonostante (o forse anche grazie a) “S.C.U.M.”(Society For Cutting Up Men) di Valerie Solanas e alla ricerca artistica de “le nemesiache”, non si tratta di liberare la donna, ma di liberare uomini e donne dalla loro appartenenza di genere.Una delle migliori studiose italiane, Silvia Gherardi (ma anche Simonetta Piccone Stella, Laura Balbo, Chiara Saraceno) affrontando la tematica della differenza fra i generi, concludeva – ormai più di dieci anni or sono – suggerendo che per fare in modo che la diversità non significhi ineguaglianza,

* Direttore del Dipartimento di Studi Sociali, Professore Associato di Sociologia Generale dell’Università degli Studi di Firenze

occorreva ridefinirne i rapporti ma ciò, a suo avviso, sarebbe stato possibile solo riorganizzando il modo di produzione e di riproduzione della vita, ossia il mondo del lavoro. Nella crisi attuale se non si affrontano questi problemi - ad esempio il potenziamento delle strutture per l’infanzia - non solo i tradizionali rapporti di generi sono destinati a riprodursi, ma a riprodursi in forme talmente subdole e raffinate da sfuggire alla nostra (dis)attenzione quotidiana. Un’ultima battuta. Nove anni fa ho organizzato all’Università otto seminari coinvolgendo donne di successo, tra cui la Salomon (allora incinta del quinto figlio), invitandole a portare la loro testimonianza di donne di successo. Cosa emerse da quegli incontri?La domanda che ponevo loro era: “esiste un management femminile diverso da quello maschile?” Emerse un aspetto drammatico dalla testimonianza di una donna manager che raccontò che in una certa data, per mantenersi al top della carriera, avrebbe dovuto partecipare ad un appuntamento negli USA. Per rispettare quella data raccontò di essere stata costretta a partorire con il cesareo i cui punti di sutura sarebbero stati tolti successivamente a New York: non poteva assolutamente permettersi di mancare quell’appuntamento di lavoro.È possibile un altro modo di vivere la maternità? E’ possibile, cioè, essere madre e top manager senza ridurre la nascita del proprio figlio ad un gap per la propria realizzazione professionale? Che ne è, oggi, della scelta di una maternità libera e consapevole – come

suonava la giusta rivendicazione dei movimenti femministi? Dolorosamente, nelle testimonianze delle giovani donne che si raccolgono sul tema, è divenuta solo un’espressione da irridere, tristemente, di fronte alle sempre maggiori difficoltà di collocarsi nel mercato del lavoro.Del resto, è sufficiente uno sguardo al tasso di natalità: negli ultimi due anni in Toscana è aumentato grazie alla presenza di donne immigrate, mentre la nostra regione è seconda solo alla Liguria per tasso di invecchiamento. Siamo pertanto, con la Liguria, tra le regioni più vecchie d’Italia. Queste tendenze possono essere invertite solamente affrontando il problema della precarietà del lavoro in una società destinata ad essere sempre più multiculturale, non certo affidandosi alla “mano invisibile” del mercato o a politiche di welfare discriminatorie nei confronti delle diverse appartenenze etnico-nazionali. Forse, come suggeriva ancora Gherardi, introdurre la tematica della cittadinanza all’interno delle organizzazioni del lavoro potrebbe essere l’inizio per una decostruzione del genere ed una nuova configurazione dei rapporti fra individui sessualmente differenziati. Forse, chissà: certo è che non si sarebbe oggi arrivati a parlare di tutto questo se non ci fossero stati i girotondi delle “streghe”. Grazie.

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Da Biancaneve a cenerentola,tra Monica, Hillary, Eva e le altre...

Annalia Mattei*

Avete visto bene, e non si tratta di un “orrore di stampa”. La “c”di cenerentola – come si nota, insisto – è volutamente scritta in “minuscolo”. Se avrete la gentile pazienza per continuare a leggere, capirete anche perché. Le favole mi sono sempre piaciute. Come tutte le persone fantasiose, adoro il mondo del fantastico e dell’immaginario,e non c’è nulla di più affascinante e misterioso di un incipit tipo “c’era una volta, tanto tempo fa..” che apre sipari immensi su universi mistici e magici, che si tratti di uno scarno e graffiante racconto di Fedro o di Esopo o di un classico dei fratelli Grimm. E pur conoscendole a memoria, nonostante il mio amore ed il mio rispetto per i libri, nella mia biblioteca ci sono raccolte di favole a cui ho distrutto pagine e copertine...Però, adesso, certe favole non mi piacciono più. Biancaneve, cenerentola, Aurora, e molte altre, hanno tutte qualche grosso problema esistenziale, per quanto figlie di re: spesso sono orfane (se non lo sono davvero, vivono come se lo fossero), spesso vivono al di sotto del loro status sociale, al di sotto di quello che effettivamente meritano, sono sempre “buone figliole” ed angeli del focolare, focolare che però spesso è la fonte dei loro maggiori problemi, con una matrigna cattiva, o con una strega cattiva, che complica ulteriormente la loro vita già complicata. Ah, naturalmente sono tutte bellissime. Anche Pelle d’Asino, una tipa decisamente tosta, al di sotto della sporca pelle d’asino è bellissima, e nonostante sia la guardiana delle oche – o dei maiali a

seconda delle versioni – è una cuoca sopraffina. Tutte loro, Raperonzolo compresa, così intraprendente da cogliere l’unica occasione, per quanto fuori dall’ordinario per raggiungere il suo scopo, una volta lanciato il cuore oltre l’ostacolo, “vivono felici e contente” proseguendo la loro vita finalmente ricondotta nel giusto binario. Come? Come superano tentativi di omicidio, sequestri, cambi di identità, false accuse, prigionia e lavori forzati? Certamente non da sole. In fondo sono donne, giovani, fragili donne...Che magari,invece, da sole puliscono un intero castello, cucinano pasti luculliani con nulla, accudiscono alle bestie ed all’orto, lavando lenzuola, stirando camicie e cantando come angeli nel frattempo, tutto in un giorno...ma sempre fragili sono...Quindi devono poter contare sulle capacità di qualcun altro: le loro non bastano. Ci vuole il “principe azzurro”- qualche volta non potrebbe essere, che so,magari un mercante verdolino o arancione ? no, non viene bene.. – lui, sì, lui può, lui ha le capacità per sconfiggere i draghi. E finchè si tratta di combattere, lo potrei anche capire, sforzandomi, ma perché il risveglio, il riscatto di una donna deve per forza passare tramite l’intervento di un uomo? E perché questo uomo interviene? Perché viene colpito al cuore dalla loro bellezza che è sempre fantastica e perfetta (come ci riescano con tutto quello che hanno da fare, senza elettrodomestici e sostegno della medicina estetica, questa sì che è magia). Che siano anche ottime amministratrici – come avrà fatto

cenerentola a mettere insieme pranzo e cena con una matrigna che non le dava una lira? – o intraprendenti, curiose ed intelligenti come la sorella degli undici principi cigni, l’unica in grado di trovare la soluzione al difficile problema del loro ritorno ad un aspetto umano, è sempre la loro avvenenza ad essere il volano del cambiamento.Quale cambiamento, poi ? In realtà la loro bellezza e l’amore (!?) di un uomo sono il mezzo che ristabilisce lo status quo: la protagonista, finalmente, vive la condizione alla quale era stata destinata alla nascita. La guardiana dei porci, nata figlia di un re, ritorna alla sua origine, chiudendo il cerchio: moglie e madre di re. Sempre la “qualcosa” di “qualcun altro”, come se stessa è ben poco...Le protagoniste delle favole – quelle nate nella Vecchia Europa Mediterranea , per lo meno – rispondono tutte ad uno stereotipo ben preciso, quindi: la donna ha valore in quanto optional a volte di lusso, a volte neppure questo, di qualcun altro. A cui deve dar lustro, quindi essere giovane e bella, e magari anche ricca. Se non è giovane e bella, non è più la fata, ma la strega, non è più la madre, ma la matrigna cattiva. E tutte le favole si fermano non quando si sconfigge il cattivo – che è solo il pretesto- ma quando si ufficializza l’unione, perché la donna da sola non può esistere a lungo, se lo facesse, sarebbe troppo dirompente.. E dopo vissero tutti felici e contenti. Le favole, queste favole, rivedute e corrette magari da Disney – se non ci fosse Romeo “er meiio der Colosseo”, gli Aristogatti sarebbero ancora spersi nella campagna

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francese – sono state raccontate a generazioni di bambine e bambini. Non c’è da stupirci se poi è nata Barbie. Bionda, occhi azzurri, angelica, perfetta. Così bella che ha la Ferrari, la 500 ultimo modello, è stata una delle prime ad avere la Jacuzzi... vestita con i vestiti griffati anche quando fa finta di fare i lavori di casa, con tutti gli elettrodomestici ad hoc. Però anche se porta i tallieur – griffati anche loro, anche se fra i suoi molti capi di vestiario ci sono anche camici e abiti da ufficio- in realtà lei rende al meglio quando si infila gli abiti da ballo, o le minigonne per lo shopping. Ultimamente, anche lei ha però cominciato a girellare fra le favole, bionda com’è….eccola interpretare magnificamente la donzella in pericolo... fra incantesimi del lago e orchi vari.. e del resto lei il fidanzato precofenzionato pronto a tirarla fuori da tutti i guai c’è l’ha già. Ma lo stereotipo, Barbie, Biancaneve o cenerentola - come lo volete chiamare - è sempre quello: la

bella nei guai non ne può uscire da sola, e quando finalmente viene tratta in salvo da un bel Principe, ovviamente colpito dalla sua angelica bellezza – le sue qualità non servono - la favola termina con l’ovvia conclusione: il matrimonio. Punto. Sul “vissero tutti felici e contenti” cala il sipario, la curiosità termina, anche perchè spiegare “come” vivere felici e contenti non è compito facile e chiunque sia un poco esperto della vita reale, sa che la realtà è fatta di molti aspetti, alcuni spiacevoli e la felicità più che uno stato è un’utopia. Le utopie sono molto belle, a volte rendono sopportabili condizioni molto dure. Utopia e speranza sono molto simili, fanno superare ostacoli incredibili. Perchè quindi non mi piacciono più certe favole? Perchè trasmettono stereotipi culturali che non ci portano a crescere. Le favole di Fedro, di Esopo, erano insegnamenti per vivere consapevoli. Attenti alla serpe in seno, a credere al riflesso nel lago e perciò perdere l’osso che si ha.

Cosa ci insegna cenerentola? A cosa ci porta la bella addormentata nel bosco? L’una per svegliarsi ha bisogno del bacio – per poi riaddormentarsi in un sogno diverso, quante di noi l’hanno imitata? Non era stato Guida a baciare Gesù per sancire un tradimento dell’Amore Vero?! cenerentola per emanciparsi da una situazione intollerabile deve solo recarsi ad un ballo vestita da sogno, dove la sua grazia - con la sua bellezza, le sue enormi capacità di sopravvivenza sepolte sotto i guanti..mi sa che la

fata le aveva fatto anche il manicure – la conducono ad un avvenire radioso: diventare la moglie del Principe. Non vi ricorda nulla? Mentre strepitiamo che le donne non hanno la possibilità di sedersi in luoghi di comando -le eccezioni sono ammesse e statisticamente irrilevanti - con molta indifferenza permettiamo che certe radicate idee che cerchiamo di combattere cacciandole dalla finestra, peraltro stretta, rientrino indisturbate da portoni inconsapevolmente spalancati. I bambini sono il nostro futuro, ma sono anche un enorme bacino di “piccoli consumatori” testardi. Sono quello che sarà la nostra società fra qualche anno, il mercato dell’immagine l’ha perfettamente capito. Basta vedere cosa propina loro. Anche le moderne Winx – fate dagli enormi poteri, belle come poche – combattono il male ma dietro l’angolo ci sono sempre gli Specialisti – i loro ragazzi – pronti ad intervenire in

“D” di Ilaria Tarabella (olio su tela)

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caso di guai. E le Winx, Barbie, le Principesse della Disney, hanno un mercato di gadget a molte cifre, in barba alla crisi, perchè il cucciolo di casa sa come sfruttare i lati deboli dei genitori, come il latente senso di colpa per doverli lasciare soli per molte ore, magari davanti alla TV. Vengono educati con Amici, Xfactor, Academy... (che sarebbero anche tollerabili) e gli oceanici casting per la scelta delle nuove veline. Hillary Rodham Clinton ha fatto una corsa- e partiva pure avvantaggiata - sempre in salita, e non è arrivata al supremo premio, che stavolta, acc.. , non era un matrimonio…( che sia per questo che non c’è riuscita? Una cosa è occupare il secondo trono – quello più piccolo, quello della regina – una cosa volere per sè lo scranno più grande) Monica Lewinsky ha conquistato con molto meno una imperitura notorietà...Sono cresciuta, e preferisco Eva Kant che una certa dignità di compagna di vita nel tempo se l’è conquistata.. Anzi, lei la conosciamo “dopo” l’incontro fatale -bionda lo è anche lei però ha gli occhi verdi, e del resto neppure Diabolik è un mingherlino rachitico, rari esempi di bellezza ed intelligenza uniti nel mondo dell’apparenza, e come riesca a vivere felice, accoppiata ed inseguita ci viene spesso mostrato. Pestarle i piedi, da parte del compagno, genera conseguenze spiacevoli e persino il Re del Terrore preferisce trattarla col rispetto che merita. Del resto sono insieme da anni e sono cresciuti insieme.E le inventrici autrici della storia erano donne ed il loro esempio viene seguito anche ora che ci hanno lasciato.Inventare nuove favole, nuove eroine da presentare per presentarci ai nostri figli è possibile basta voler fare la fatica di non seguire quanto di precofenzionato – nell’immaginario come nel cibo- ci viene servito.

*Consigliera di Parità Provincia di Massa - Carrara

Rete di Lenford:

l’Avvocatura per i diritti LGBT

Contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone LGBT e promuoverne lo studio, la conoscenza e la difesa tra tutti gli operatori del diritto, sollecitando il mondo giudiziario verso il rispetto della diversità: questa la finalità dell’ Associazione Avvocatura per i diritti LGBT, costituitasi a Firenze alla fine del 2007 e dotata di un Comitato Scientifico, presieduto dal Professore Stefano Rodotà, di cui fanno parte il Professore Vittorio Lingiardi, associato dell’Università Roma 3, Francesco Bilotta, Docente dell’Università di Udine, l’Avvocato Silvia Borelli, ricercatrice dell’Università di Ferrara, Marica Moscati, “Teaching assistant” della School of Oriental and African Studies di Londra, Alexander Schuster, assegnista di ricerca presso l’Università di Trento e docente a contratto presso l’Accademia Europea di Bolzano, Giuseppe Polizzi, dottorando di ricerca dell’Università di Pavia.

I soci di Avvocatura sono avvocate, avvocati e praticanti iscritti nei relativi albi professionali di varie regioni italiane. Alcuni di loro svolgono attività di ricerca in istituti universitari ed esteri. Tutti sono uniti dal comune intento di assicurare tutela alle persone omosessuali, bisessuali, transessuali e transgender che necessitino di assistenza legale. Al fine di realizzare i suoi scopi l’associazione ha organizzato o collaborato ad eventi formativi patrocinati da enti pubblici ed, in alcuni casi, accreditati da Ordini Professionali. Attualmente presso la propria sede di Firenze sta istituendo un Centro di Studi e Documentazione per la tutela giuridica dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere che rappresenti il punto di riferimento per istituzioni pubbliche e private per reperire materiale, nonché informazioni e ricevere formazione sui temi LGBT. L’attività svolta dall’associazione è documentata sul sito www.retelenford.it..

Per informazioni e contatti: sede operativa:Associazione Avvocatura per i diritti LGBT Via Il Prato 66, Firenze 50123 - Info: 339.61.97.316 mail: [email protected] www.retelenford.it

Susanna Bigi *

* Avvocato LGBT

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La proporzione delle laureate nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT-Information and Communication Technology) in Europa è in calo, soprattutto in confronto ad altre regioni del mondo. Per incoraggiare le donne a intraprendere una carriera nel settore delle ICT, la Commissione Eu-ropea ha avviato due anni fa un progetto pilota di “job shadowing”per stimolare l’interesse tra le giovani donne che devono ancora prendere una decisione sul loro futuro professionale. Il progetto offre, ad alcune giovani, la possibilità di affiancare una professionista affermata nel settore delle ICT durante una tipica giornata di lavoro.Nel 2007 in occasione della giornata internazionale della donna a Bruxelles, Viviane Reding, Commissario europeo per la società dell’informazione e i media, ha dichiarato: “Se un numero maggiore di donne intraprendesse la car-

riera professionale nelle ICT, ciò costituirebbe un fattore di cambiamento e un considerevole incen-tivo per questo settore economico fondamen-tale in Europa. Con la carenza di personale qualificato che si profila nel settore delle ICT, dobbiamo incoraggiare un numero maggiore di donne a intraprendere studi e carriera profes-sionale in questo settore in modo da incrementare le capacità occupazionali e sfruttare il potenziale creativo delle donne. È inaccettabile che in Europa vi sia una carenza di personale qualificato in questo settore. Se non si troverà un rimedio, la scarsità di ingegneri e

informatici contribuirà al rallentamento della crescita economica europea favo-rendo invece lo sviluppo della concor-renza asiatica ”. Ma per arrivare ad un incremento delle donne nel settore ICT è necessario che si superino quegli stereotipi generati da una società prevalentemente maschilista e machista, che dipingono la carriera nelle ICT come troppo tecnica, dura e noiosa per una donna. Si deve dunque incorag-giare le donne ad affermarsi in questo ambito innovativo e complesso.Il settore delle ICT contribuisce per il 5,3% al PIL dell’UE e per il 4% all’oc-cupazione. Continua a registrare una crescita superiore alla media ed è tuttora il settore europeo più innovativo e ad alta intensità di ricerca. Tuttavia, entro il 2010 il settore registrerà un deficit di 300.000 figure professionali qualificate. L’Europa ha quindi bisogno di un mag-

gior numero di professionisti, in questo settore, per mantenere e sviluppare una buona competitività. Benché il numero dei laureati in scienze informatiche nel territorio dell’UE-27 sia cresciuto del 133% dal 1998 al 2004, oggigiorno l’Europa è arretrata rispetto alle altre regioni del mondo. Nel 1998 i laureati in informatica erano il 2,3% di tutti i laureati nell’UE-27 e tale proporzione è passata al 4% nel 2004, ma negli USA i laureati del settore sono passati dal 2,3% al 5% e nella Corea del Sud dall1% al 6%. Le statistiche relative alle donne laureate sono ancora meno incoraggianti. Le laureate in informatica sono passate dal 25% nel 1998 al 22% nel 2006. In altre regioni del mondo la presenza femminile in questo campo è maggiore: Canada (27%), USA (28%), Corea del Sud (38%). La percentuale di donne che lavorano nel settore delle ICT varia ampiamente da uno Stato membro all’altro, andando dal 6% nel Lussem-burgo al 41% in Lituania. Tuttavia molte delle studentesse che intraprendono una carriera nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione la interrompono per dedicarsi ad altri campi. Inoltre, poche donne raggiungo-no posizioni di alta dirigenza, soprat-tutto nel settore delle ICT. Circa il 66% delle società di telecomunicazioni non ha rappresentanti femminili nel Consi-glio di Amministrazione. Inoltre, in 14 tra le principali società delle ICT, meno del 10% dei membri del Consiglio di Amministrazione sono donne e nelle te-lecomunicazioni tale percentuale scende ad appena 6% (dati percentuali forniti dalla Commissione Europea al 2008). Per questo motivo, la Commissione sta cercando di incoraggiare le donne ad intraprendere una carriera nell’industria delle ICT e di stimolare l’interesse tra le giovani studentesse che devono ancora prendere le prime decisioni per il loro

Tecnologie e donne:prospettive di carriera

Ilaria Tarabella*“TURANDOT-L’INCOMPLETA” di Ilaria Tarabella (olio su tela)

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futuro professionale. Il risultato sarà una forza lavoro più ampia, diversificata e creativa. Sono in corso delle iniziative volte a dimostrare alle donne che un lavoro nelle ICT può essere stimolante, gratificante e divertente così come a superare immagini negative e stereotipi, ma per far ciò c’è bisogno del sostegno delle imprese e di altre parti interessate. È per questo che la Commissione ha avviato il progetto pilota di “job sha-dowing”, al quale hanno preso parte cin-que delle maggiori società tecnologiche (BT, Cisco Systems, Infineon Techno-logies, Motorola e Nokia) assieme alla Commissione Europea stessa.Obiettivo ancora più importante è quello che Viviane Reding si è proposta in questo 2009 ,insieme all’industria, e cioè promuovere un “Codice europeo di buone pratiche per le donne nel settore delle ICT”. Grazie a questo Codice si auspica di eliminare il fenomeno del graduale abbandono delle carriere scien-tifiche da parte delle donne e di sfatare alcuni stereotipi di genere riguardanti questo settore.Già cinque grandi compagnie europee e multinazionali del settore dell’in-formazione e delle telecomunicazioni (ALCATEL-LUCENT, IMEC, ORAN-GE-FRANCE TELECOM GROUP, MICROSOFT e MOTOROLA) hanno firmato il Codice di buone pratiche per le donne nel settore delle ICT. Questo impegno ha lo scopo non solo di rendere appetibile il settore delle alte tecnologie a studentesse, ma anche di promuovere e mantenere i posti di lavoro attualmente occupati dalle donne in questo settore, attraverso iniziative come:- creazione di laboratori o club informa-tici per donne- programmi di tutoraggio durante il congedo per maternità- aiuto concreto per conciliare la vita lavorativa con gli impegni familiari- forum e reti sulle tecnologie dell’in-formazione e delle comunicazioni per le donne, che aiutano nella ricerca di lavoro, offrono consulenza e tutoraggio- fissazione di obiettivi per le assunzioni e le promozioni di personale femminile a tutti i livelli.

Quanta fatica essere donna e quanta strada abbiamo fatto per far sentire la nostra voce…siamo pas-sate da angelo del focolare a mogli e madri indipendenti, da analfabete a presidenti di nazioni…ma questi sono solo due piccoli esempi della stragrande evoluzione che le donne, con fatica, impegno e tanto sacrificio sono riuscite a compiere.La donna è stata capace di un’ evoluzione davvero sorprendente e soprattutto ha percorso una strada in continua ascesa…Ci sono purtroppo degli ambienti di lavoro, dove la quota rosa anche nel terzo millennio fa molta fatica ad affermarsi…Provate ad immaginare quale…Eb-bene si! Trattasi di un settore che a tutti noi interessa: dai neonati agli adolescenti, dagli adulti agli anziani…quello…della sanità!Buona sanità, cattiva sanità, priva-tizzazione ecc…sono gli argomenti più trattati dai giornali quando parlano del campo assistenziale.Ma come è la situazione delle don-ne in questi ambienti?Fino a poco tempo fa, se avevate delle domande astratte su tale quesito…adesso ci sono dati certi e concreti…infatti, mi sono incaricata personalmente nel mese di aprile/maggio 2009 di fare un sondaggio all’Ospedale Universita-rio di Pisa Santa Chiara, all’interno di due reparti scelti a campione, la clinica odontoiatrica e la clini-ca medica (reparto di medicina interna).Tale quesito si proponeva di porre tre domande alle dirette

*Esperta di Pari Opportunità del Centro per l’Impiego della Provincia di Massa Carrara

interessate,che hanno così com-mentato e risposto…TENETEVI FORTI!Pensi che il fatto di essere don-na, ti abbia penalizzato nella tua carriera?Ebbene, su un campione di 50 in-tervistate, 45 hanno risposto: SI’.Di queste, la cui maggioranza è medico, hanno affermato che hanno dovuto lottare e dimo-strare molto più degli uomini il loro grado di preparazione sia dal punto di vista teorico che pratico! Alcune specializzazioni, in parti-colare la chirurgia e la medicina interna “vanta” di questo prima-to…Nell’odontoiatria si stanno raggiungendo buoni risultati. Non parliamo però del fatto di diven-tare primario…troppe sarebbero le nostre responsabilità!!!! Così commentano i nostri colleghi uomini…Risposte più positive, però, si sono avute dalle professioniste sanitarie (igieniste dentali, fisioterapiste, infermiere….) che dichiarano di non avere mai subito atteggiamenti discriminatori…almeno nell’am-biente di lavoro…solo alcune avances, commentano in modo sarcastico…Ti senti tutelata nei tuoi diritti di lavoratrice, mamma e moglie? L’80% ha risposto NO! Troppe sono le ore di lavoro, so-prattutto durante la specializzazio-ne! Se hai dei figli poi…non par-liamo del momento in cui abbiamo dovuto dire ai nostri professori: dobbiamo entrare in maternità o

Sanitàe quota rosa

Sara Lavorini*

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possiamo uscire un’ora prima per prendere il piccolo che esce da scuola…i loro sguardi parlavano da soli!Credi di aver rinunciato a qualcosa (es. Famiglia,maternità ecc…) per mantenere il tuo lavoro?E qui si apre una nuova parente-si…sono ormai molte le donne che per scelta o per “sfortuna”si trovano a vivere in una condizione sociale, oggi, molto diffusa: essere single.Infatti, non avere un marito o dei figli a cui pensare, ha permesso loro di dedicarsi con totale passio-ne al lavoro…senza dover tralascia-re nulla…Diversa è la situazione per chi ha qualcuno che le aspetta a casa…Palestra, amiche e tempo

libero dopo il lavoro sono davve-ro quasi impossibili da ritaglia-re…Quando accade, ci sentiamo le più felici di questo mondo! Il fatto che alle madri di famiglia oltre al periodo della maternità non sia concesso il part-time, ci costringe per forza a rinunciare al tempo li-bero…prenotiamo settimane prima l’appuntamento dalla parrucchie-ra…solo se chiamiamo nonna e …..”puoi tenerci il bebè?”Ebbene,questa è la situazione delle nostre dottoresse…Sì, c’è tanta strada da fare…ma po-che sono ormai le donne che hanno ancora voglia di fare sentire a tutte orecchie la propria voce. Non sappiamo a chi rivolgerci, nessuno ci ascolta o fa davvero qualcosa per

noi! Sarebbe stupendo aprire all’in-terno di grandi strutture pubbliche – ad esempio un ospedale - un asilo dove poter lasciare i nostri figli senza dover per forza scappare da una parte all’altra della città per recuperarlo a fine giornata! Porterebbe anche nuovi posti di la-voro!!!!!!!! La donna, così, si con-centrerebbe di più sul suo lavoro, senza doversi preoccupare di dove lasciare il proprio figlio…..Ma coraggio….non demoralizzia-moci! Un tempo era impensabile solo essere visitati da un medico del sesso “debole”…!

*Studentessa dell’ Università di Pisa Corso di Laurea Igiene Dentale

“TEMPI” di Babak

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La parità e la differenza

Sara Bonni *

Quando si parla di diritti umani in generale ci si riferisce ai diritti di uo-mini e donne, ma è diffusa la necessità di riferirsi ai diritti delle donne, intesi come diritti specifici: questa necessità discende, oltre che dal riconoscimento della loro differenza (inseparabile dal riconoscimento del loro diritto all’ugua-glianza), anche da altri tipi di considera-zioni. A partire dalla Dichiarazione Uni-versale dei diritti dell’Uomo del 1948 e fino al “recente” Protocollo aggiuntivo alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, 1979), i diritti delle donne sono stati oggetto di un lento processo di espansione e ridefinizione. La riflessione e le strategie politiche che hanno riguardato le donne si sono mosse prevalentemente attorno ad alcuni concetti fondamentali: uguaglianza, pari opportunità, genere, differenza. Il tema dell’uguaglianza viene affrontato per la prima vota a livello internazionale nel 1975, nel corso della Prima Conferenza delle Donne, tenutasi a Città del Messi-co, in cui viene proclamato che la donna è “soggetto di diritti” esattamente come l’uomo e che la sua dignità come essere umano è pari a quella dell’uomo. Questo primo riconoscimento sul piano formale e giuridico nel mondo occi-dentale non incontra molti ostacoli, ma la sua traduzione in politiche coerenti con questi principi, con la conseguente trasformazione degli apparati legisla-tivi, è ben altra cosa. Trascorreranno ancora venti anni di discussioni, ricerche e battaglie prima che questi concetti siano abbastanza “maturi” per diven-tare il motivo conduttore della Quarta Conferenza delle Donne di Pechino (1995), da cui prenderanno slancio per diffondersi più ampiamente. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta la definizione e le strategie di pari opportunità prendono corpo nel contesto anglosassone, sulla base dell’evidente considerazione che

l’uguaglianza formale non assicura alle donne l’uguaglianza reale. Inizialmen-te la necessità appare quindi quella di smantellare gli ostacoli alla piena uguaglianza attraverso interventi mirati a creare condizioni di pari opportunità (azioni positive), anche con qualche forzatura (vedi le “quote di garanzia” nel lavoro, nella politica, etc...), o più semplicemente denunciando le pratiche più evidenti di disuguaglianza e/o di-scriminazione e penalizzandole. Queste attività ebbero buoni risultati, tanto che

vennero prese a modello per lo sviluppo di alcune tra le strategie portanti nelle politiche europee di miglioramento (in particolare, a partire dall’Agenda di Lisbona in poi), che ricaddero/conta-giarono a cascata le politiche nazionali,

regionali e locali degli Stati membri alla Comunità Europea: vennero così istituti i Ministeri per le Pari Opportunità, oltre che i vari Comitati e le varie Commis-sioni che si occupano di parità, o meglio di pari opportunità.Le pari opportunità sono chiaramente un obiettivo necessario, ma troppo spesso ancora non sufficiente alla condi-zione di uguaglianza che ci si pone come meta, anche perché costruita secondo un modello improntato al maschile: le strategie relative alle pari opportunità innescano nuove riflessioni e spesso mettono in luce una visione pragmatica dell’uguaglianza, a volte omologante e svuotata di elementi peculiari. Di fronte a politiche esclusivamente emancipative o di rincorsa a conquistare quello che gli uomini già possiedono, ci si rende conto del loro limite e del fatto che bisogna cambiare il senso che si dà alle politiche di pari opportunità: piuttosto che avere come riferimento una improbabile ugua-glianza tra i generi, sarebbe auspicabile che venisse cambiato il loro senso, e le si andasse a configurare come politiche costruite a partire dalla differenza tra uomini e donne. Il concetto di genere si sviluppa da una parte per superare gli stereotipi delle identità sessuali (per coglierne, al di là dei dati fisiologici e naturali fissi e immutabili, il carattere di produzione storica legata al mutare delle organizzazioni sociali e delle culture) e dall’altra per tener conto e interpretare il dato esistenziale ineludibile rappresen-tato dalla dualità dell’esperienza umana, che da sempre vede l’intreccio e la com-plementarietà dei due generi. La realtà sociale, la storia sociale dell’umanità è doppia, ed è sessuata: è solo la colloca-zione del potere, da sempre saldamente in mano agli uomini, che ha deformato questa visione della realtà. Questo nuo-vo punto di vista sul genere ha permesso di focalizzare meglio la condizione e i diritti della donna, e conseguentemente anche gli obiettivi delle politiche “per

“PROGETTI DI VITA” di Babak

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Discriminazionie mobbing di genere:la tutela offerta dall’applicazione del Codice di Pari Opportunità nel Processo Civile

Si è tenuto, il 29 maggio 2009, il seminario di studi dal titolo “Discriminazioni e mobbing di genere: la tutela offerta dall’applicazione del Codice Pari Opportunità nel Processo Civile” organizzato dall’ufficio della Consigliera Provinciale di Parità in collabo-razione con l’Ordine degli Avvocati e con il patrocinio della Provincia di Massa-Carrara .Hanno partecipato come relatori il magistrato Fausto Nisticò - Consigliere della Corte D’Appello di Firenze, la Dottoressa Maria Luisa Vallauri - Ricercatrice di Diritto del Lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze, l’Avvocato Fabio Rusconi giuslavorista. Il seminario ha voluto approfondire il tema della discriminazione e del mobbing di genere in ambito lavorativo, alla luce del Decreto Legislativo del 11 aprile 2006 n.198 “Codice Pari Opportunità donna-uomo”. Cosa significa il termine mobbing?Il termine mobbing deriva dall’inglese to mob, che indica l’assalto di un branco, di un gruppo, nei confronti di un individuo. Inizialmente era riferito al genere animale, ma poi negli anni ottanta Leymann introdusse questo termine anche nella psicologia del lavoro, per definire i comportamenti di superiori gerarchici o colleghi, che sottopongono ad aggressioni, persecuzioni e comportamenti sgradevoli sistematici e persistenti, il sottopo-sto/collega lavoratore prendendolo di mira e portandolo ad un disagio psicologico volto a rendergli impossibile il proseguimento dell’attività lavorativa. La teoria di Leymann è stata accolta anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza 359/2003) che ha così elaborato per la prima volta una nozione di mobbing, sottolineando come il fenomeno derivi dall’etologia, ma che poi possa essere usato per spiegare il comporta-mento di chi con un insieme di atti persecutori e vessatori protratti nel tempo in modo sistematico, induca un lavoratore al licenziamento. Elementi fondamentali del mobbing sono: -l’intenzionalità dei comportamenti vessatori e persecutori volti ad emarginare il lavora-tore;-la reiterazione sistematica e continua del comportamento lesivo;-il voler provocare intenzionalmente e strategicamente al lavoratore un vero danno psico-logico che lo porti al licenziamento.Fra i diversi e i più comuni tipi di mobbing possiamo distinguere:Mobbing verticale (bossing) viene compiuto prevalentemente dai quadri o dai dirigenti dell’azienda con lo scopo preciso di indurre il dipendente, diventato scomodo, alle dimis-sioni, al riparo da proteste sindacali.Mobbing orizzontale è messo in pratica da colleghi, di pari grado, per emarginare qualcu-no che il gruppo non vuole. Mobbing strategico aziendale indica una serie di azioni usate dalle imprese per escludere un lavoratore per finalità quali: razionalizzazioni, fusioni, svecchiamento del personale ecc. I sistemi per provocare un ingiusto stress lavorativo possono essere molteplici: iso-lamento in uffici angusti, declassamento, scadenze impossibili, attacchi alla reputazione ecc..Mobbing verticale ascendente si ha quando un gruppo compatto di dipendenti boicotta o vittimizza con comportamenti vessatori il superiore mettendone in discussione l’autorità.In generale fra i comportamenti tipici cui è sottoposto il mobbizzato possiamo trovare: l’essere in ogni occasione attaccato dai colleghi o dai superiori, il subire maldicenze e umiliazioni, l’essere ignorato, non essere mai valorizzato, non essere chiamato ad inter-venire su argomenti di cui è competente, l’essere escluso da mezzi d’informazione come

Barbara Dell’Amico *

le donne”, spostando l’attenzione sugli aspetti qualitativi delle azioni da mettere in campo. Così, sono diventati oggetto di studi e di ricerche gli orientamenti educativi, i tempi di vita, le forme di flessibilità femminile, la valenza sociale del lavoro di cura, gli effetti diversi che i mutamenti sociali in corso compor-tano per le donne piuttosto che per gli uomini. E’ emerso un profilo di donna nuovo rispetto al passato, più libero dagli stereotipi di inizio secolo ma anche più complesso, caratterizzato preva-lentemente dal modello della doppia presenza, cioè della coesistenza di ruoli e funzioni fortemente divaricati: pubbli-co/privato, lavoro professionale/lavoro di cura, sociale/personale, etc... Il con-cetto di genere, inoltre, si porta dietro anche un altro concetto, ovvero quello di differenza: il pensiero occidentale non si è mai preoccupato infatti di affrontare in modo compiuto il tema della “duali-tà” umana, preferendo eleggere a model-lo universale interpretativo il pensiero maschile, privando la donna non solo del potere ma anche della coscienza di sé, della memoria di sé e del suo genere. La teoria della “differenza”, dunque, non è tanto un modo per rivendicare diritti o per giustificare una condizione di uguaglianza (parità) raggiunta almeno formalmente, ma è proprio l’affermazio-ne di una diversità su cui però c’è ancora tanto da scoprire. Anche perché, quando si pone il problema della dualità umana, non è più in discussione solo l’identità femminile ma anche quella maschile, e più in generale la pluralità di identità culturali presenti nell’umanità intera. Pa-rità e differenza sono quindi due termini destinati a coniugarsi: l’obiettivo per le donne non è, ma soprattutto non deve essere, una corsa sugli uomini e sui loro modelli, ma un’affermazione del loro essere donne come individui dotati di una loro specificità. La parità non deve essere una trattativa pubblica e/o privata con gli uomini ma il prodotto dell’accettazione reciproca della differenza di cui tutti noi siamo portatori, come uomini e come donne, o meglio come esseri umani, senza che il genere e/o altri fattori siano discrimi-nanti.

*Esperta di Pari Opportunità

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e-mail, telefonate. Non avere più collaboratori, subire discrimina-zioni nell’accesso alla carriera. Ogni sua lettera di protesta a questi comportamenti vessatori viene ignorata creando intorno a lui il vuoto.Il soggetto mobbizzato risulta così insofferente all’ambiente lavo-rativo e viene costretto a licenziarsi a causa di una latente patologia ansiosa-depressiva. A causa della mancanza di un’apposita legge che ne disciplini il fenomeno, la dottrina ha individuato una possibile tutela per il soggetto mobbizzato nell’ applicazione dell’art.2087 del Codice Civile, che obbliga il datore di lavoro a tutelare l’inte-grità fisica e la personalità morale del lavoratore (responsabilità contrattuale) e dell’art 2043 Codice Civile che stabilisce che qualunque fatto doloso o colpo-so che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto di risarcire il danno (responsabilità extracon-trattuale o aquiliana). Duplice è quindi la possibilità di tutela offerta dal codice civile, ma la scelta fra l’applicazione dell’uno e l’altro sistema di responsabilità dipenderà da una scelta di stra-tegia processuale poiché è vero che la responsabilità aquiliana si prescrive in cinque anni (mentre la responsabilità contrattuale in dieci anni) e il danneggiato deve dare la prova del fatto materiale, del nesso causale fra l’azione e l’illecito, del danno ingiusto, della colpevolezza dell’agente (mentre nella responsabilità contrattuale il mobbizzato è tenuto semplicemente a dimo-strare l’esistenza del contratto di lavoro e quindi che il datore è inadempiente) ma esperendo la responsabilità extracontrattuale i danni risarcibili sono tutti quelli che sono conseguenza della condotta diretta e indiretta dell’agente (mentre nella respon-sabilità contrattuale solo i danni prevedibili nel tempo in cui è sorta l’obbligazione) ecco perché la dottrina più innovativa prevede la possibilità di un concorso fra i due tipi di responsabilità in modo da sopperire alle lacune dell’esperimento dell’uno o dell’altro tipo di responsabilità.In mancanza di una tutela legislativa specifica, numerosissime sono state le sentenze della Corte di Cassazione che hanno tutelato il mobbizzato, ma il vuoto normativo ha creato numerose sentenze contrastanti che non sempre hanno creato precedenti concordi. È il Codice di Parità Opportunità uomo-donna che ha dato una prima regolamentazione legislativa del fenomeno del mobbing di genere in attuazione della Costituzione. All’art. 25 libro III titolo I capo I del Codice di Pari Opportunità si stabilisce che: “costituisce

discriminazione diretta e indiretta qualsiasi atto, patto o compor-tamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un compor-tamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti

essenziali allo svolgimento dell’at-tività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.”All’articolo 26 si prevede inoltre che: “sono considerate come discriminazioni anche le mole-stie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradan-te, umiliante o offensivo. Sono, altresì, considerate come discrimi-nazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di viola-re la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.”Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro, dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comporta-menti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trat-

tamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne. Il Codice Pari Opportunità, oltre a dare una chiara definizione legislativa e non più meramente dottrinale di mobbing di genere, rende possibile l’intervento nel Processo Civile della Consigliera di Parità, in modo da rafforzare la posizione del mobbizzato, e in più offrire i vantaggi processuali previsti nel caso di un suo intervento nel litisconsorzio.

* Laureanda in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa

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La Consigliera di Parità: chi è e cosa fa

È una figura istituzionale nominata dal Ministero del Lavoro, di concerto con il Ministro per le Pari Opportunità, su designazione della Provincia. La normativa prevede l’istituzione di una Consigliera effettiva e di una Consigliera supplente.Nella nostra provincia - con il decreto del 2 ottobre 2006 - sono state nominate Annalia Mattei, Consigliera effettiva e Francesca Frediani, Consigliera supplente

Quando rivolgersi alla ConsiglieraSe sei una donna o un uomo che ha subito o pensa di aver subito una discriminazione fondata sul sesso:- nell’accesso al lavoro e/o alla formazione professionale- nel livello di retribuzione- nello sviluppo di carriera- nel vivere serenamente la tua maternità e paternità nel lavoro

Se sei un ente pubblico e intendi:- costituire un Comitato d’Ente o Comitato Pari Opportunità- presentare il Piano di Azioni Positive- accedere a finanziamenti previsti dalla legge per promuovere azioni positive

Se sei un’azienda privata e vuoi ricevere informazioni per:- presentare progetti di riorganizzazione aziendale e/o di flessibilità- costituire un Comitato Pari Opportunità- accedere ai finanziamenti previsti dalla legge per promuovere azioni positive- redigere un Piano di Azioni Positive

La Consigliera riceve su appuntamentoPer fissare un appuntamento puoi o telefonare allo 0585/816706 - 672 o inviare una mail agli indirizzi: [email protected] oppure [email protected] anche inviare un fax al numero: 0585/816685

L’ Ufficio della Consigliera si trova presso:Assessorato alle Politiche del Lavoro - Istruzione - Formazione Professionale ed OrientamentoVia delle Carre, 55 – 54100 MassaTel 0585 816729Fax 0585 816685Cellulare 334 8509699E- mail: [email protected] internet: http://portale.provincia.ms.it/Apertura al pubblico: dal Lunedì al Venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00, sabato su appuntamento

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PROGETTI E INIZIATIVESi segnale che la Consigliera di Parità sta organizzando un evento AlterNativa che si terrà a Pontremoli l’11 ed il 12 settembre 2009 che coinvolgerà, in uno spazio espositivo, le imprese femminili e giovanili locali. Nel corso dell’iniziativa verranno realizzati alcuni seminari sul tema dell’imprenditoria e della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Il punto di partenza è la riflessione che la crisi economica attuale possa rappresentare un momento di cambiamento ed offrire nuove opportunità all’imprenditoria locale, sia per le donne che per i giovani, anche a seguito dell’evoluzione di nuovi modelli di lavoro e di consumo. Se sei un impresa, per partecipare all’iniziativa puoi mandare una mail a [email protected] o [email protected]

La Consigliera di Parità della Provincia di Massa-Carrara sta portando avanti un progetto dal titolo “Scuola: parità e lavoro” che prevede il coinvolgimento delle classi V delle Scuole Secondarie Superiori. L’obiettivo del percorso è quello di aprire una riflessione con gli studenti e le studentesse sulla presenza di stereotipi di genere nella società e sulla cultura della differenza, favorendo la consapevolezza che ognuno di noi può essere artefice del cambiamento. Alla fine degli incontri si prevede la proiezione di alcuni cortometraggi sul tema delle pari opportunità nel mondo del lavoro a cui seguirà un dibattito coordinato da un’animatrice esperta su questi temi.

È stato siglato un protocollo di intesa tra la Direzione Provinciale del lavoro di Massa-Carrara e la Consigliera Provinciale di Parità, al fine di favorire ogni iniziativa per la piena applicazione della normativa di pari opportunità tra uomo e donna per prevenire e rimuovere ogni forma di discriminazione fondata sul sesso nei luoghi di lavoro. In caso di richiesta, da parte della Consigliera Provinciale di Parità, di acquisizione di informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, o in caso di denunzia di situazioni di discriminazione, sarà cura della Direzione Provinciale del Lavoro esaminare tempestivamente le questioni sollevate all’interno dell’ordinaria programmazione dell’attività ispettiva. Nel corso del 2009 sarà istituito un tavolo tecnico con il compito di studiare e analizzare gli strumenti di parità in relazione alla realtà territoriale e le strategie da mettere in campo per contrastare qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta di genere nei luoghi di lavoro. Nel protocollo infine è previsto un monitoraggio che sarà portato avanti dalla Direzione Provinciale sulla base di un questionario da somministrare alle persone in sede di convalida delle dimissioni volontarie, le eventuali problematiche di conciliazione tra vita e lavoro e carichi familiari, l’effettiva volontarietà delle dimissioni e le eventuali forme di pressione da parte del datore di lavoro, con particolare riguardo alla donne entro il primo anno di vita dei figli.

Avviso pubblico per la costituzione di un elenco di esperte/i in Diritto del Lavoro e in Materia Antidiscriminatoria – Riapertura dei termini di presentazione delle domande per l’annualità 2009: dal 1° al 30 giugno e dal 1° al 31 dicembre 2009. L’avviso pubblico è finalizzato a costituire un elenco di Avvocate e Avvocati a supporto dell’ufficio della Consigliera di Parità, in esecuzione dell’articolo 36 del D. Lgs. 198/2006 “Legittimazione processuale”, che prevede la facoltà di ricorrere innanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al Tribunale Amministrativo territorialmente competente, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima. Le persone interessate possono presentare domanda su apposita modulistica scaricabile dal sito www.provincia.ms.it (Sezione Consigliera di Parità sotto la voce “Bandi e finanziamenti”).

Per informazioni e adesioni all’iniziativa rivolgersi a: 0585/816672-706, e-mail: [email protected]

SENTENZELe Molestie sul Lavoro sono un danno per la comunitàLa sentenza del 16 aprile 2009, della Suprema Corte di Cassazione, ha riaffermato la legittimità, già riconosciuta nel 2007 dal Tribunale di Torino, della Consigliera di Parità a costituirsi parte civile nei processi penali per fatti relativi a maltrattamenti sul lavoro. La sentenza, riconoscendo il ruolo fondamentale di Pubblico Ufficiale, a tutela delle lavoratrici sui luoghi di lavoro, rafforza l’attività della Consigliera di Parità nella ricerca e nello sviluppo di azioni di conciliazione dei tempi e dei modi di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori, allo scopo di affermare qualità e dignità del lavoro, contro ogni forma di violenza e molestia.La sentenza della Cassazione ha stabilito il diritto al risarcimento anche alla Consigliera di Parità in un processo per maltrattamenti e molestie ai danni di alcune lavoratrici e lavoratori. Insieme ai diritti e alla dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, viene infatti riconosciuto a pieno titolo il ruolo della Consigliera di Parità come organismo preposto alla tutela contro le discriminazioni di genere.

La violenza alle donne e le tradizioni culturali: nessuna attenuanteLa Corte di Cassazione ha sentenziato che in caso di violenza alle donne giustificate da tradizioni culturali che la discriminano, non ci sono attenuanti in caso di reato.Un cittadino marocchino fra il maggio e il settembre 2002 nella prov. di Lecco aveva sottoposto la moglie a continue violenze, sia la sentenza di primo grado che poi l’appello avevano tenuto conto, nella commisurazione della pena, delle tradizioni etico sociali di provenienza dei coniugi. La sentenza n. 22700 del 29 maggio 2009, della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, ha stabilito che “tutti coloro che cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello stato sono tenuti ad osservare la legge italiana”, indipendentemente dall’esistenza di diverse tradizioni etico sociali del paese di provenienza, in quanto, se discriminano la donna costituiscono reato.Ebbene con questa sentenza la Corte di Cassazione ha voluto ribadire il principio di uguaglianza morale fra i coniugi, di dignità della persona umana e il rispetto della garanzia dei diritti insopprimibili che spettano alle donne, inderogabili, in quanto garantite dagli art. 3 e 29 della Costituzione Italiana. si

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Page 20: Paridea 2 Giugno 2009

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