Paridea 1 Marzo 2008

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Consigliera di Parità Massa Carrara ari ea P d Numero 1 - Marzo 2008

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Primo numero della rivista trimestrale della Consigliera di Parità della Provincia di Massa-Carrara

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Consigliera di Parità Massa Carrara

ari eaP dNumero 1 - Marzo 2008

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ParideaRivista trimestraledella Consigliera di Parità Provincia di Massa Carrara

N. 1 Marzo 2008 Registrazione presso il Tribunale di Massa Carrara n° 397 del 22/2/2008

Edito dalla Provincia di Massa-Carrara

Direttore responsabileGiuliano Bianchi

Comitato di RedazioneLuisa Del Mancino, Francesca Frediani, Annalia Mattei

Hanno collaborato a questo numeroAnna Annunziata, Nadia Bellè, Riccarda Bezzi, Irene Biemmi, Rossano Bisciglia, Sara Bonni, Annalisa Campolongo, Elena Emma Cordoni, Sabina Ferraris, Carla Gassani, Annalia Mattei, Francesca Pelaia, Rossana Tognoni.

Le illustrazioni di questo numero sono di Annalia Mattei e le foto provengono dall’archivio personale della famiglia Mattei.

Grafica, impaginazione e illustrazioniThetis srl

StampaThetis presso Tipografia Avenza Grafica

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Sommario

Editoriale 4

Norme contro la violenza di genere. L’impegno della Regione Toscana 5 Uno virgola due. Qualche parola su un film documentario 6 Le violenze cambiano: necessità di nuove strategie 8

Gli uomini con le donne. La campagna del fiocco bianco 9

…ma violenza rima ancora con ignoranza? 10

Le donne e la violenza 12

La violenza non ha né cultura né religione né nazionalità. Ha solo un sesso 13

Ma la conciliazione….è veramente possibile? 14

Le donne e il sommerso 16

La parità tra donne e uomini 17

Politiche educative, diritti delle donne e pari opportunità. Teorie e pratiche della differenza di genere . 19

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Il primo numero della rivista Paridea esce in concomitanza della giornata dell’otto marzo, Festa delle Donne.Non per caso… ed una riflessione sul tema, a questo punto è d’obbligo. Come Consigliera di Parità riconosco l’importanza storica che questa ricorrenza riveste, ricordo la motivazione della sua istituzione, apprezzo le riflessioni che induce, ma come donna… Ebbene, vorrei che mi fossero riconosciute come Festa della donna anche le restanti 364 giornate… o 365, se capita, come in questo caso.Perché questo significherebbe finalmente il raggiungimento del traguardo della parità…della parità effettiva, quella calata nel quotidiano, quella di chi fa davvero la spesa (senza leggere la lista preparata da “altre” ) di chi lava il nonno ( se non ti puoi permettere la badante), di chi stira le camicie (e naturalmente non sei single), o porta il bambino a danza e la figliola a kick boxing… Traguardo non facile...Ma siamo donne, il possibile lo facciamo sempre, l’impossibile spessissimo, per i miracoli… l’attrezzatura è già arrivata, mancano solo le istruzioni per l’uso. Però abbiamo un sacco di fantasia, e quindi non disperiamo.E poi, ad essere sinceramene obbiettiva, siamo donne, è vero, ma non siamo solamente donne.Per fortuna qualcosa – qualcuno – si muove: in questo otto marzo voglio presentare una iniziativa chiamata la “campagna del fiocco bianco”, contro la violenza alle donne, in casa, fra compagni di vita, all’esterno della famiglia, all’interno dei luoghi di lavoro.Si testimonia la propria adesione indossando sul vestiario un fiocco, ovviamente, bianco. L’iniziativa è nata in Canada, anni fa, dopo una di quelle stragi a cui l’America ci ha purtroppo abituato: un pazzo che imbraccia un’arma da fuoco ed usa i malcapitati li vicino come bersagli. Solo che in questo particolare caso, le vittime erano – quattordici – solo ed esclusivamente donne. All’indomani di questo fatto, un gruppo – udite! Udite! – un gruppo di uomini ha iniziato una riflessione seria su un particolare che fino ad allora era sfuggito ai più: finchè sull’argomento “ violenza sulle donne” a parlare sono le donne, e solo le donne, dandosi il dato ampiamente certificato che a commettere tali violenze sono gli uomini – almeno nel 99 % dei casi – è ovvio che poco si può modificare.Ed allora questi uomini hanno deciso di iniziare una campagna di sensibilizzazione diretta agli appartenenti al loro stesso genere mirata ad un maggiore rispetto dell’altra metà del cielo. Ed ecco che la campagna, di nazione in nazione, è giunta anche qui.Voi che leggete, parlatene. Diffondete il messaggio. Dite agli uomini che altri uomini si impegnano “volontariamente” e “molto seriamente” a rispettare le donne. Non perché obbligati. Per libera scelta, perché la loro crescita come essere umani li porta semplicemente a rispettare altri esseri umani, non importa di che genere.Diceva Socrate (almeno spero fosse lui... non ricordo molto bene il titolare del diritto d’autore) se – quando – vuoi muovere il mondo, inizia con lo spostare te stesso.Bene, abbiamo iniziato.Per adesso non siamo molti, ma ho fiducia che cresceremo.Che la cultura del rispetto della vita e delle forme in cui la vita si esprime, perché in fondo solo di questo si tratta, che questa cultura, dicevo diventerà di molti, moltissimi, di tutti.

Questo è il mio augurio… non solo alle donne, ma all’umanità tutta, non solo per oggi.Buona Festa!... Buona Vita!

Annalia Mattei Consigliera di Parità

Numero UnoEditoriale..o quasi

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Il 14 Novembre 2007, il Consiglio Regionale della Toscana, ha approvato all’unanimità (54 voti a favore su 54 votanti), la legge contro la violenza di genere. Un esito ottenuto grazie al lavoro collegiale e trasversale delle consigliere di maggioranza e di opposizione.Una buona legge, un segnale forte che il consiglio ha dato alla società toscana di fronte ad un fenomeno grave e preoccupante.Sono quasi 7 milioni in Italia le donne tra i 16 e i 17 anni che hanno subito forme di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. 72500 donne toscane hanno testimoniato di essere state oggetto di violenza fisica e sessuale, tra il gennaio 2005 e l’ottobre 2006. In Europa la violenza è la prima causa di morte per le donne tra i sedici e i cinquant’anni.I dati ci dicono che la violenza avviene prevalentemente all’interno dalla famiglia, proprio il luogo dove si cerca sicurezza, rifugio. Una violenza che ha un aspetto abitudinario, nascosto e privato, che si fa fatica a stanare e che le donne stesse hanno difficoltà a portare alla luce.Questo però non vuol dire che la violenza sia un problema che riguarda solo la sfera privata, la violenza, infatti, è determinata da diversi fattori che agiscono in un’ampia gamma di contesti sociali, culturali ed economici, ed è una delle forme peggiori di discriminazione.Una dimensione sociale della violenza che attiene a profonde cause culturali,

Norme contro la violenza di genere. L’impegno della Regione ToscanaAnna Annunziata*

ai modelli del rapporto tra i generi, tra le persone, la violenza è un modo per riappropriarsi di un ruolo gerarchicamente dominante giocato sul corpo delle donne.La proposta di legge parla di violenza di genere perché include ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro una persona in ragione della propria identità di genere o orientamento sessuale, pur sapendo che nella maggior parte dei casi sono le donne le principali vittime di violenza.La violenza di genere è inquadrata dalla legge in modo integrale e multidisciplinare, iniziando dal processo di socializzazione, di educazione, di sensibilizzazione e di intervento nell’ambito educativo (pensiamo all’attività da fare nelle scuole), proseguendo verso la formazione professionale e specifica per gli operatori socio-sanitari, le forze dell’ordine e gli operatori di giustizia.La novità della legge consiste nel creare una rete tra tutti i soggetti che a vario titolo si occupano di violenza (così coma da art.3 co 1) e, attraverso l’adozione di linee guida e di indirizzo ai territori da parte della Regione, si favorisce l’adozione di procedure omogenee su tutti i territori. Sono le Province a promuovere un coordinamento tra i soggetti della rete. La legge non definisce modelli organizzativi specifici proprio per lasciare l’autonomia organizzativa ai singoli coordinamenti (in alcuni casi saranno i comuni a coordinare, in altri le province), ma è certo che la rete viene attivata, in tutta la sua multidisciplinarietà, anche se la vittima si rivolge ad uno solo dei soggetti della rete.È prevista la presa in carico della vittima che riceverà adeguato soccorso presso le strutture ospedaliere o le Asl, l’intervento dei servizi sociali,

l’accoglienza, il sostegno e la protezione presso i centri antiviolenza o le case rifugio.Azioni quindi che intervengono a 360°, mettendo le donne al centro di “una rete di protezione” estesa e o maglie fitte.In questi anni, a livello locale, sono nate le importanti esperienze dei centri antiviolenza, attraverso una collaborazione forte tra istituzioni, enti locali, associazioni di donne.In Toscana, l’importante esperienza delle associazioni di donne che gestiscono i centri antiviolenza, e spesso anche le case rifugio, è stata determinante per sviluppare culturalmente una consapevolezza sulle cause e le conseguenze della violenza, accrescendo capacità nell’accoglienza concreta di tante donne, donne con minori, grazie al lavoro e alle competenze delle operatrici dei centri, psicologhe, assistenti sociali, psicoanaliste, avvocate, insegnanti e magistrati. Il fatto che sempre più donne si rivolgono ai centri, significa che sono un importante e privilegiato strumento di acquisizione di cittadinanza, oltre la possibilità di porre fine a situazioni di violenza e sopraffazione, iniziare quel percorso di riconquista della stima di sé e della fiducia nel mondo che consente di ricostruirsi una vita.Particolarmente importante è l’istituzione all’interno dell’osservatorio sociale, di una apposita sezione per monitorare la violenza di genere che insieme alla clausula valutativa consentirà al consiglio e alle commissioni competenti un costante monitoraggio del lavoro. Infine i finanziamenti regionali alla legge fanno riferimento a quanto già previsto, per le singole azioni, nel PISR e L. 41/2005; nel piano sanitario e L40/2005 nella L38/2001 ma abbiamo chiesto alla Giunta di trovare ulteriori risorse e prevedere dal 2008 un apposito aggiuntivo capitolo di bilancio relativo all’attuazione della legge.Con grande soddisfazione abbiamo salutato l’approvazione della legge, ma sappiamo bene che non è sufficiente una legge, per eliminare un fenomeno come la violenza di genere per questo è indispensabile che all’ impegno per una piena attuazione della legge contemporaneamente vi sia la diffusione di una cultura del rispetto tra i generi e dell’inviolabilità del corpo femminile.

*Consigliera Regionale della Toscana

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Uno virgola due...qualche parola su un film documentario..Annalia Mattei*

Non so quante/i di voi l’hanno visto, non so quante/i di voi lo vedranno…Ma lo consiglio a tutte/i…Che siate giovani, vecchie/i, studentesse/denti, lavoratrici/tori, persino imprenditrici (anche se non siete tante già di vostro) o imprenditori (ecco, voi siete di più) guardatelo. O se non riuscirete a vederlo, cercatevi un computer, che tanto uno in giro si trova, ed andate a cercare il suo sito su Internet. Tanto per incominciare, perché è un bel lavoro, dal punto di vista artistico. Poi perché l’ha diretto una donna (una delle pochissime registe della nostra fabbrica dei sogni, televisione o cinema che sia).Infine perché tratta di un argomento tanto scottante quanto importante: la maternità. E qui il discorso comincia a farsi interessante: poiché il taglio dell’opera (difficile da definire: ha più contenuti di un normale film – la vita che c’è dentro non è da sceneggiatura, è quella vera- ma è meno didascalica di un documentario – e la noia è sicuramente ridotta – ma i dati che riporta sono certificati, come quelli di Super Quark… il termine docu-film forse sarebbe adatto, è pure in bianco e nero, ma come neologismo è altamente cacofonico e decisamente riduttivo) il taglio dell’opera, dicevamo mette in correlazione due dati, ovvi, ma sui quali il legislatore (scusate l’inciso, ma

non so se in Italia la specie, già in via di estinzione, sia ancora esistente) pare non abbia mai provveduto a fare “seria” riflessione.Anche perché da una riflessione anche breve, ma “seria”, seguirebbero a ruota delle conclusioni, anche queste ovvie, per la quali la nostra cosiddetta società “civile” si ostina a mostrarsi non pronta. Uno virgola due infatti, è il tasso di natalità italiana; ossia le donne italiane mettono al mondo uno virgole due figli cadauna. Un figlio e un quinto…Se volessimo immaginarcelo, un figlio ed un pezzetto… Il pezzetto, sceglietevelo pure da soli… D’accordo, sono le storture della statistica… ricordate il discorso del pollo.. due al tavolino, uno se magna l’intera bestia, l’altro sta a guarda’ con l’acquolina in bocca ed i crampi allo stomaco, ma statisticamente hanno mangiato mezzo pollo per uno.La statistica è così..La statistica, uno virgola due, tradotta, significa che in Italia ci sono molte donne che fanno un figlio, alcune che ne fanno due, pochissime che ne fanno tre.Le pazze, o le straricche, entrambe le categorie comunque statisticamente irrilevanti per esiguità di numero, ne fanno quattro.Alcune non ne fanno proprio.Alcune, come Silvia Ferreri , la regista, fanno i documentari.Altre, neppure quello.A prescindere dalla considerazione che, dato il numero degli esseri umani presenti sul pianeta, comunque eccessivo, il controllo delle nascite non è di per sé una brutta cosa, e che certamente la razza umana non corre il rischio di estinzione (semmai il contrario, è il pianeta che rischia di scoppiare sotto il nostro peso) se la razza è al sicuro, il nostro paese invece no.Stiamo invecchiando. Tutti noi, giorno

per giorno,e lo sappiamo – e per quanto di “invecchiamento lento” ma molto, molto lento, invecchiare vogliamo tutti, l’alternativa finora non è delle migliori – ma quella che invecchia troppo e senza possibile ricorso al lifting, è la nostra popolazione . Montaione, paesino della provincia toscana, dove gli over 60 sono il 25% degli abitanti, su consiglio di un geriatra ha impostato tutti gli interventi comunali per facilitare la vita alla popolazione anziana. Montaione d’ Argento , lo chiamano.Lodevole iniziativa, però se riflettiamo: tutti gli over 65 sono fuori dal processo produttivo ( non saltate sulle sedie, non intendo parlare di pensioni, scalette ed ascensori vari, non è il mio ruolo, ed il mio fegato ha già qualche problemino così) e se siamo tutti più vicini agli anta che non agli enta… il PIL che fine fa?Ci vogliono i giovani, i quali come sappiamo non li porta la cicogna. E’ probabile che fra un po’ invece che sotto i cavoli nascano sotto qualche vetrino o provetta gigante, ma finora, con qualche aggiustamento e qualche modifica al vecchio ma divertente procedimento, chi fa i bambini sono ancora le donne. Non sappiamo per quanto, ma finora è ancora così.Ecco dove nasce il problema: le donne in età fertile, sono donne… giovani.Ossia sono i “giovani” di cui si parlava qualche riga fa , sono parte di quel processo produttivo che regge il paese.Non sono proprio riconosciute e non hanno proprio lo stesso status – diritti compresi – dei loro colleghi maschietti, ma sono anche loro parte del processo produttivo. Anzi, ne sono una bella fetta. Se lavorano (che siano libere professioniste o lavoratrici dipendenti) generano costi e producono ricchezza; la ricchezza compensa sempre i costi, anzi a volte – sempre – li remunera pure.

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MOBBING

Il mobbing è, nell’accezione più

comune in Italia, un insieme di

comportamenti violenti (abusi

psicologici, angherie, vessazioni,

demansionamento, umiliazioni,

maldicenze, etc…) perpetrate

da parte di superiori e/o colleghi

nei confronti di un lavoratore,

prolungato nel tempo e lesivo della

dignità personale e professionale

nonché della salute fisica dello

stesso. I singoli atteggiamenti

molesti (o emulativi) non

raggiungono necessariamente la

soglia del reato né debbono essere

di per sé illegittimi, ma nell’insieme

producono danneggiamenti

plurioffensivi anche gravi con

conseguenze sul patrimonio

della vittima, la sua salute, la sua

esistenza.

Tutto bene, quindi; fin qui va bene per tutti: il paese ha i giovani che producono, gli imprenditori hanno i loro guadagni, i lavoratori i loro stipendi… etc. Il denaro, come il letame, viene sparso e produce i suoi frutti. L’economia gira….Ma se qualcuno – qualcuna – si ferma?Per quanto naturale, il processo riproduttivo è un processo delicato.Ci sono montagne di cose che possono andare male durante una gravidanza.La maternità richiede protezione. Tranne casi fortunati, non si concilia bene col lavoro.Ed è qui che casca l’asino; è qui che il legislatore, il popolo italiano, la società italiana che dir si voglia inciampa e crolla (... l’accostamento all’asino, ripeto, l’accostamento all’asino, e non me ne voglia il simpatico animale, ahimè, è assolutamente NON casuale). Nel momento in cui una donna smette di generare ricchezza immediatamente tangibile (leggi: profitto e denaro sonante) per prendersi il tempo per generare una diversa ricchezza non immediatamente tangibile (leggi: a parte lo splendore che deriva da “un uomo nuovo nato al mondo” – citando il Vangelo – e la meraviglia del miracolo della vita in quanto tale, i figli non sono solo pezz ‘e core, sono una risorsa sociale, sono i ricambi necessari al sopracitato processo produttivo!!!) la donna in questione diventa un mero costo.E come tale, viene percepita … non da tutti, per fortuna, ma da moltissimi.E nei moltissimi, rientra la quasi totalità dei datori di lavoro. Che non possono – non potrebbero – licenziare una donna perché madre, ma hanno mezzi più che sufficienti per farle capire che non è consigliabile ripetere l’esperienza.E’ vero, si chiamerebbe mobbing.

Discriminazione sul luogo di lavoro.Sarebbe anche legalmente sanzionato. Se fosse denunciato, se ci fosse sufficiente fiducia nella giustizia in Italia.E se l’Italia fosse un paese più evoluto, il costo della maternità – dalla culla alla scuola – sarebbe un costo socialmente ridistribuito, perché la ricchezza che ne deriva, è una ricchezza socialmente ridistribuita.Sia che mio figlio si chiami Mario Bianchi, o Paolo Rossi, o Giovanni Verdi, o si chiami Rita Levi Montalcino o Carlo Rubia, mio figlio è un “prodotto socialmente utile”. Che spali immondizia o progetti una nuova stazione orbitale, porta un passo più avanti (o indietro… ma questa è un’altra storia) questa società. Male che vada, mi permette di pagare la pensione minima ad un vecchietto di Montaione… insomma, non tutta, ma quasi…Invece il costo della maternità è ancora un costo individualmente sostenuto: dalla madre, dai genitori insieme, dal singolo datore di lavoro. La società sta a guardare, e se interviene, lo fa con scarsa convinzione e risultati scarsi.Ho fiducia però che le cose cambino. Sono un’ ottimista di fondo (che diamine, sono iscritta alla Lav ed al WWF, e guardate anche che gatt… oppss, patata bollente mi sono andata a cercare) sì, credo che le cose cambieranno.In fondo qualche individuo di buona volontà c’è. Anzi. Sono molti di più di quelli che crediamo.Nel frattempo, pensate un poco a quel “un figlio ed un pezzetto”.Il fatto che iniziate a rifletterci, è già una buona cosa.

* Consigliera di Parità

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Le violenze cambiano: necessità di nuove strategieOnorevole Elena Emma Cordoni*

Non sono mai finiti, in Italia, i soprusi consumati tra le mura domestiche verso donne ancora troppo spesso incapaci di liberarsi dell’idea che quanto accade rientri in una sfera di disgrazie private e non di violazione sistematica dei loro diritti e delle leggi dello stato.

L’ultima indagine sulla criminalità in Italia ha evidenziato che anche se le donne che hanno subito violenza considerano solitamente più gravi, in sé, le violenze sessuali perpetrate da un partner, tendono a non classificarle come reato: quasi una donna su due ha interiorizzato a tal punto lo scollamento tra il proprio dolore e i propri diritti da vivere questo tipo di tragedia individuale come socialmente irrilevante. Sono queste le donne più esposte a subire nelle forme più gravi le conseguenze della violenza, la perdita di autostima, la depressione, gli attacchi d’ansia, l’autolesionismo, così come sono quelle che più spesso non trovano la forza di accettare che le cose non cambieranno, di parlarne con qualcuno o di andarsene definitivamente da casa.Per loro è vitale che la società e lo Stato, dalla TV alla polizia, dalla scuola agli operatori sanitari, dalla magistratura agli operatori sociali, le aiutino a sottrarsi all’invisibilità e all’impotenza. Perché se le vittime di violenze domestiche continuano a rivolgersi pochissimo ai servizi antiviolenza o alle forze dell’ordine, ciò accade anche perché i primi sono pochi e le seconde, quasi in un caso su due, non procedono se l’aggressore è di famiglia sia per carenze legislative sia per un dato culturale.Ma nuove e preoccupanti forme di violenza contro le donne si stanno evidenziando nel nostro Paese assieme al sopravvivere delle forme più tradizionali di violenze maschili. Tra le vittime di stupro, per esempio, sono in crescita le giovani e giovanissime abusate da ragazzi o fidanzati respinti. Fino a 24 anni sono minacciate soprattutto quelle che vivono all’interno di gruppi che normalmente abusano di alcolici ed ammettono come normali dinamiche

relazionali di tipo aggressivo: anche per loro è spesso difficile riconoscere lo stupro come un reato, perché fanno fatica a vedersi diverse dai propri coetanei e tendono a riconoscersi nei modelli generazionali violenti di cui poi sono vittime. Tra i 25 e i 34 anni, invece, le più esposte sono le donne di status sociale più elevato, imprenditrici, libere professioniste, dirigenti, lavoratrici autonome: donne forti, che vengono aggredite da partner insoddisfatti o abbandonati, che non sanno accettarne le decisioni e che agiscono con l’obiettivo di umiliarle e rimetterle al loro posto.Un’altra forma di violenza in crescita è quella omofobica, spesso di gruppo e “politicamente” ispirata, che tende a manifestarsi proprio nei luoghi e nelle città culturalmente più aperti. Infine, nella nuova società multietnica, dobbiamo attrezzarci a far fronte alla violenza contro le donne mascherata da cultura esotica. Segregazione e violenze in famiglia, matrimoni precoci e combinati, delitti d’onore sono forme di oppressione che hanno attraversato e attraversano anche la nostra cultura e spesso anche istituzioni come la Corte di Cassazione ne rivela il permanere di una condivisione culturale. Queste forme nuove di violenza attraversano tutta l’Europa ed altri Paesi hanno deciso di affrontarle come vere e proprie emergenze nazionali, riconoscendovi un pericoloso sussulto di resistenza alla diffusione tra le donne di stili di vita sempre più autonomi, che minaccia direttamente l’evoluzione del nostro modello di civiltà. Il Consiglio d’Europa, nel 2002, ha sottolineato l’importanza “di riconoscere che la violenza maschile contro le donne costituisce un importante problema strutturale della società, fondato su impari rapporti di potere fra le donne e gli uomini”, proponendo l’adozione di piani nazionali contro la violenza nei confronti delle donne, come quello recentemente elaborato dal Governo uscente.Ma il nostro Paese è in grave ritardo, culturale e politico. Ne è stata fin troppo chiara espressione il dibattito (peraltro subito spento) che ha accompagnato prima la presentazione del Piano e poi il voto degli stralci che avevano tentato di

anticiparne alcune parti.Se i tempi ormai sembrano maturi per un riconoscimento bipartisan del reato di stalking, (molestie persistenti) abbiamo dovuto ascoltare dalle destre in Parlamento perplessità sul perseguimento delle violenze motivate da ragioni di orientamento sessuale in nome della difesa della libertà di opinione, arcaiche difese della famiglia dall’intrusione dello Stato e, in generale, una pericolosa sottovalutazione del fenomeno, trattato come emergenza criminale cui rispondere, al solito, con l’inasprimento delle pene. Da noi, una donna su due è vittima di una o più molestie a sfondo sessuale nell’arco della vita; un omicidio su quattro avviene tra le mura domestiche; ogni tre morti violente una riguarda donne uccise dal marito, dal convivente o dal fidanzato e oltre il 90 per cento delle vittime di violenza o di molestie non denuncia il fatto. Tuttavia, c’è ancora chi rifiuta di riconoscere che c’è qualcosa di profondamente sbagliato dentro la nostra cultura della famiglia e del rapporto di genere, qualcosa che continua ad alimentare forme vecchie e nuove di svalorizzazione del corpo e della libertà femminile, da combattere con ogni mezzo e su tutti i piani. Eppure, fino alla caduta del Governo Berlusconi, nessuno ha pensato a dare attuazione alla raccomandazione europea o almeno ad aprire il confronto su questi temi.Zapatero, in Spagna, ha investito 250 milioni di euro per il suo piano contro la violenza di genere, investendo non solo sui servizi integrati a sostegno delle vittime, ma sulle campagne di sensibilizzazione, sull’adeguamento dei Tribunali e sulle facilitazioni per quante hanno bisogno di casa e lavoro per liberarsi davvero della soggezione maschile. L’Austria, dal ’97, ha lavorato sul fronte della formazione della polizia, dei giudici e dei medici, sui programmi di trattamento rieducativo per gli uomini violenti e sulla reale efficacia dei provvedimenti di allontanamento dei coniugi. Basterebbe copiare, ma bisogna volerlo.

* Presidente Commissione Bicamerale di controllo Enti Previdenziali e Presidente Commissione esaminatrice Premio 60° anniversario del voto alle donne

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Gli uomini con le donne. La campagna del fiocco biancoRossano Bisciglia*

Assistiamo quotidianamente alla violenza esercitata da uomini sulle donne,con dati allarmanti anche nei cosiddetti paesi “evoluti” dell’occidente.Violenze che vanno dalle forme più barbare

dell’omicidio e dello stupro, delle percosse, alle costrizioni e alla negazione della libertà negli ambiti familiari, sino alle manifestazioni di disprezzo del corpo femminile.Ricerche del Consiglio d’Europa annoverano l’aggressività maschile come una delle principali cause di morte violenta per le donne. Tale violenza viene consumata soprattutto fra le mura domestiche.Emerge quindi l’esigenza di una nuova capacità da parte degli uomini di riflessione, di autocoscienza sulle dinamiche, sulla natura umana e sulle relazioni con le donne e forse anche con gli altri uomini.È giunto il momento di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte dell’universo maschile.In questi anni non sono mancati singoli uomini o gruppi di uomini che hanno cercato di riflettere sull’implicazioni di alcuni sistemi, uno su tutti quello patriarcale, ma oggi è necessario un salto di qualità, una presa di coscienza collettiva, che parta e si diffonda nelle famiglie, nella scuola, nei luoghi della politica, dell’informazione e del lavoro.Esempio concreto dell’azione di uomini contro la violenza alle donne è rappresentato dalla Campagna del Fiocco Bianco che da oltre 15 anni in tutto il mondo da voce a molti uomini che si impegnano perché altri uomini possano apprendere nuovi stili di comportamento basati su relazioni paritarie fra i due sessi.L’iniziativa nasce nel 1991 in Canada a seguito di un inquietante fatto di cronaca che ha visto la strage di 14 studentesse per mano di un uomo spinto da motivazioni misogine.In seguito a questo episodio, un gruppo di uomini ha deciso che era arrivato il momento di assumersi la responsabilità di

esortare gli uomini a parlare di violenza contro le donne, a prendere le proprie iniziative e a muoversi in maniera attiva. La Campagna presente ormai in più di 50 paesi nel mondo, rappresenta un impegno personale a non commettere mai, ne a giustificare o a rimanere in silenzio di fronte ad atti di violenza commessi contro le donne. Tutto questo viene rappresentato da un fiocco bianco che è indossato da quegli uomini che guardano ad un futuro dove non c’è posto per la violenza sulle donne.La Campagna si basa sulla convinzione che le persone debbano assumersi la responsabilità di agire, e che ogni realtà locale conosca cosa sia in grado di raggiungere le persone nel proprio territorio.In molti paesi si lavora attraverso attività formative dirette, in altri si utilizzano messaggi diffusi dai media al fine di promuovere relazioni positive e paritarie.In altri paesi si produce materiale da impiegare nei posti di lavoro e diversi ambiti sociali.La campagna ogni anno parte il 25 Novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, e si protrae fino alla prima settimana di dicembre. La Campagna approda in Italia promossa dall’Associazione Artemisia di Firenze nel 2006.Lo slogan “Uomini con le donne, contro la violenza alle donne” ha caratterizzato la prima campagna che nel giro di poche settimane ha raggiunto e coinvolto più di 40 città, più di 120 enti pubblici e privati e coinvolto più di 700 ragazzi delle scuole medie superiori attraverso attività di sensibilizzazione.Nel maggio del 2007 si è svolto un seminario di formazione per gli operatori che lavorano con i ragazzi delle scuole medie superiori sulla formazione contro la violenza alle donne. Il seminario è stato condotto da Michael Kaufman (Uno dei co-Fondatori della Campagna) e da Alessandra Pauncz (Responsabile Nazionale della Campagna in Italia).Alla campagna hanno aderito tra gli altri: F.C Inter con un messaggio del vice allenatore Sinisa Mihajlovic, A.C Milan con

una lettera di sensibilizzazione scritta dal capitano Paolo Maldini e rivolta a tutti i tifosi, Lega Basket Serie A e molti personaggi del mondo dello spettacolo.Lo slogan della Campagna informativa del 2007 si è invece concentrata sul rispetto nelle relazioni affettive e recita: “La vera forza è nel rispetto. Quando io voglio e lei No, io dico ok”.Nello specifico a Firenze è stata organizzata dall’Associazione Artemisia una serata che ha visto coinvolto gran parte del mondo dello sport toscano. Durante la serata, svolta al Viper Theatre di Firenze e presentata con simpatia dall’attrice Anna Meacci, sono stati messi all’asta i gadget autografati dei giocatori. La somma ricavata è stata devoluta alla Campagna del Fiocco Bianco. In quest’ultima campagna grazie al sito internet www.fioccobianco.it i gruppi locali ed i singoli individui sono stati esortati a organizzare incontri, mostre, manifestazioni e altre iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica alla violenza contro le donne.È disponibile inoltre sia in formato cartaceo sia sul sito www.fioccobianco.it la traduzione di un manuale della Campagna del Fiocco Bianco canadese con esercizi per lavorare con i ragazzi sul tema della violenza, dell’uguaglianza di genere e sulle relazioni affettive.Chi lavora sulla campagna e per la campagna crede fermamente che questa rappresenti un valido contributo per far cessare la violenza sulle donne.Crede in un cambiamento legislativo caratterizzato da leggi più adeguate per la tutela delle donne e pene più forti per questo genere di violenza. Crede in un futuro in cui ci sia un cambiamento di rotta da parte degli uomini, un cambiamento fondato sul rispetto della libertà e della dignità della donna.A questo proposito torna in mente una frase di Charles Darwin che recita:Non è la specie più forte a sopravvivere, ne la più intelligente, ma quella più pronta al cambiamento.

* Campagna “Fiocco Bianco” - Associazione Artemisia

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...ma violenza rima ancora con ignoranza?Rossana Tognoni*

La violenza che può quotidianamente colpire le donne nel luogo che per loro dovrebbe essere a regola il più sicuro, cioè la propria casa, è un fenomeno sul quale è facile trarre spesso conclusioni semplici quanto superficiali e ingannevoli.A questo proposito, si può tentare un piccolo accorgimento lessicale. Nell’affrontare l’argomento è normale dire, come anch’io ho appena fatto, che la violenza colpisce le donne. Credo che questo approccio alla violenza contro le donne sia fuorviante ed errato. Dicendo cioè che la violenza colpisce le donne, non viene considerato l’attore principale, l’uomo (e l’ambiente costruito a sua immagine) che, per questa involontaria negligenza del senso comune, viene liberato da ulteriori responsabilità. Quando parliamo di violenza alle donne, proviamo a ricordarci che ci sono uomini e ambienti che fanno violenza verso donne. E ciò accade almeno in una casa italiana su dieci. La ricerca dell’ISTAT, redatta nel febbraio 2007 (su dati raccolti l’anno

precedente), ha la capacità di smentire l’immaginario collettivo fatto di questi banali stereotipi che gravitano attorno al fenomeno. E’ la prima volta che l’ISTAT decide di effettuare una ricerca completamente dedicata al fenomeno della violenza fisica e sessuale alle donne. Elemento questo rappresentativo di come, anche in tempi di formale emancipazione femminile, la violenza sia una modalità di relazione tutt’altro che superata.Apprezzabile il fatto che l’ISTAT prenda in esame il problema. Occorre tuttavia non dimenticare che il 93% delle violenze compiute in famiglia rimane comunque sommerso. I dati ISTAT sono una stima del fenomeno, cioè la proiezione dei dati rilevati a campione. E’ possibile che anche nella ricerca si nasconda una buona dose di non dichiarato: i questionari sono stati svolti per via telefonica, chiamando a casa i soggetti selezionati. Ma come può una donna vittima di violenza da parte del partner, parlarne apertamente al telefono se magari il partner stesso si trova in

prossimità dell’apparecchio e la paura di ripercussioni è più che giustificata?Pur se non esaustiva, la ricerca fornisce alcuni dati significativi che ci permettono di trarre importanti conclusioni.Tra le donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni, si stima che 6 milioni 743 mila donne, circa il 32% del totale, abbia subito nel corso della vita almeno una violenza fisica o sessuale.7 milioni 134 mila donne invece hanno subito almeno una violenza psicologica. Con violenza psicologica è intesa una macro area di azioni,in cui possiamo riconoscere varie forme come l’isolamento, il controllo, la violenza economica, la svalorizzazione, le intimidazioni.E’ molto significativo che il 14,3% delle donne ha dichiarato di aver subito violenza da parte di un partner o di un ex partner. In sintesi, quindi, se prendiamo un gruppo di 10 donne, almeno una di loro è stata vittima di una qualche forma di mortificazione da parte dell’oggetto del suo amore.Ma chi sono queste donne che subiscono violenza? E come sono gli uomini che la mettono in atto?Le donne che hanno subito violenza domestica nel corso della vita sono soprattutto separate o divorziate (45,6%), seguite dalle nubili (17,8%), dalle coniugate (10,4%) e dalle vedove (9,8).Emergono tassi più elevati di vittimizzazione tra le donne di età compresa tra 25-34 anni.Le dirigenti, le imprenditrici e libere professioniste, le donne in cerca di occupazione, le studentesse, donne in altra occupazione, le impiegate sono i gruppi lavorativi più a rischio. Da ciò si può dedurre che una delle categorie presumibilmente in posizione di maggior pericolo, come quella delle casalinghe, non risulta in realtà tra i

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gruppi che maggiormente subiscono violenza. Il numero espresso delle violenze a danno delle imprenditrici e libere professioniste supera quello delle donne in cerca di occupazione .Le donne che dichiarano di aver subito violenza nel corso della vita da parte del partner attuale o di un ex partner, hanno un livello di istruzione abbastanza elevato: sono più laureate che diplomate, più diplomate che con un titolo di studio inferiore.Forse, con un grado di istruzione più elevato, può essere maggiore nella donna una capacità di riconoscere una violenza quand’è ella in prima persona a subirla, ma ciò non cambia il fatto che dalla statistica risulta che su 100 donne laureate, quasi 19, circa2 su 10, abbiano subito violenza, da un partner e che circa 9, quasi 1 su 10, la subiscano dall’attuale partner.Ammettendo che le donne delle classi svantaggiate non confessino la violenza subita, il dato rileva comunque l’alta percentuale di violenza subita anche da donne le cui formazione e posizione professionale sono tutt’altro che di basso livello. Impossibile quindi imputare la violenza all’ignoranza.Come già segnalato, le differenze di rischio di vittimizzazione vanno considerate con cautela perché possono anche nascondere diverse propensioni delle donne a parlare della violenza subita. Per quel che riguarda le caratteristiche dei partner violenti, dall’indagine emerge una omogeneità nel livello di istruzione e nella posizione professionale dei partner:l’appartenenza sociale non sembra essere un fattore tale da determinare un trend nella violenza intrafamiliare Dalla statistica emerge che il livello di istruzione dei partner è piuttosto uniforme, ovvero circa 7 uomini su 100, per ogni livello di istruzione, dalla licenza elementare alla laurea, è violento verso la donna.Rispetto alla condizione professionale, i tassi di partner violenti sono pressoché omogenei, oscillando tra circa 6 uomini su 100 per quelli in cerca di occupazione e 8,5 sempre su 100 soggetti, nel gruppo imprenditori, dirigenti, liberi professionisti.Se inseriamo il fenomeno nel contesto italiano contemporaneo, il primo luogo comune che risulterà sfatato sarà quello di credere che il fenomeno interessi alcune classi sociali in modo particolare. Ritenere che le famiglie meno abbienti, sia economicamente che relativamente

a possibilità culturali, siano quelle in cui maggiormente si verificano episodi violenti non corrisponde a ciò che i dati riportano.Se la statistica ISTAT rileva una certa riluttanza nelle donne delle classi meno agiate a rispondere fedelmente ai questionari posti loro sull’argomento, nel timore di possibili ritorsioni da parte del partner, i dati dei Centri donna e delle associazioni attive sul campo, sottolineano invece una tendenza omogenea delle donne a rivolgersi ai servizi.Gli uomini usano violenza sulle donne a loro più vicine, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, tanto da poter arrivare a concludere che quello della violenza sia un fenomeno trasversale, indipendente dallo strato sociale e dalla cultura, che saranno pur fattori influenti, ma non in grado di condizionare significativamente il trend.Trasversalità dunque. Un fenomeno macroscopico, correlato più al genere, unica vera differenza ascrittiva dell’essere umano, che non all’appartenenza sociale. Il livello di cultura e la mansione professionale della donna, che potrebbero essere tra gli strumenti sulla strada verso una vera emancipazione femminile, possono, come boomerang, ritorcersi letteralmente contro le donne stesse.Forse non basta un riconoscimento formale da parte delle istituzioni della parità di accesso agli ambienti del sistema sociale, ma accanto a questa vera e propria acquisizione di diritti comuni ai due sessi, è necessario un lavoro a livello della più piccola cellula del sistema, cioè la famiglia.Ridefinirne i ruoli all’interno, al fine che l’uomo non si senta sminuito dalle capacità femminili che si manifestano anche all’esterno del focolare. Se le donne hanno accesso a buona parte di quegli ambienti sociali e lavorativi che fino a poco temo fa erano prerogativa maschile, non è avvenuto il passaggio inverso. Gli uomini cioè non hanno preso confidenza con il lavoro di cura, del focolare e della prole, ad esempio, che rimane assoluta prerogativa femminile, paralizzando i possibili interscambi di ruoli a 360 gradi.Partire magari dall’educazione. Recentemente ho letto una ricerca realizzata su libri impiegati nelle scuole primarie .Il quadro che emerge è un mondo della letteratura stereotipata per l’infanzia

che associa l’uomo a concetti quali forza, coraggio, eroismo, mentre alla donna prerogative quali debolezza, pianto, tenerezza. Come possono i bambini crescere pensando che le donne possano avere nella vita le loro stesse opportunità quando essi ricevono doni come macchine, trenini, robot mentre per le bimbe l’ultimo ritrovato per le recenti festività è stato quello del carrello per le pulizie in formato ridotto?Qui non si tratta di giochi che formino a ruoli educativi primari, come possono essere bambole e bebè, piccole palestre per la futura genitorialità, ma di vere e proprie nicchie professionali esclusive delle donne che vengono apprese fin dall’infanzia.Personalmente io credo che le fonti di informazione entrino direttamente nelle case e nelle teste delle persone, e questo, oggi più di ieri accade continuamente. La violenza messa in atto nel passato anche a causa dell’ignoranza, non è stata cancellata dalla forma di cultura pop che entra ogni giorno nelle case italiane. La televisione, come gli altri media, dal cinema alle riviste, ripropone gli stessi schemi che non aiutano a cambiare la mentalità e a superare la violenza come modalità di relazione all’interno di un rapporto in anche affettivo. Credo quindi che, per migliorare le condizioni delle donne e ridurre le violenze che gli uomini a loro più cari mettono in atto, si debba lavorare ad ogni livello della società.Istituzionalmente, garantire una parità non competitiva agli accessi pubblici ed un passaggio di informazioni che educhino alla possibilità di pensare ruoli differenti tali da conciliare la multidimensionalità della vita moderna, fuori e dentro casa, per entrambi i sessi.Educare all’apprendimento di schemi di relazione innovativi fin dalla tenera età. Portare le donne che subiscono la violenza a denunciarla, consapevoli della tutela sociale di cui possono godere con questo loro atto di coraggio.Aiutare gli uomini a pensare modi diversi di vivere la relazione, perché la parità entri realmente a far parte del bagaglio culturale quotidiano.Da dove cominciare per fare tutto questo?Proprio da noi.Diceva Gandhi “ Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”.Buon lavoro a tutti.

* Laureata in Servizio Sociale

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Le donne e la violenzaSabina Ferraris*

Nonostante il progresso in ogni campo, nella società contemporanea le donne sono ancora oggetto di discriminazione. La particolare complessità della violenza di genere sta nella varietà delle sue manifestazioni, nei livelli di vulnerabilità della donna e nella diversità territoriale e sociale in cui si esprime. In particolare, l’ancestrale cultura che ha da sempre contrapposto la superiorità del maschile alla debolezza del femminile in ogni ambito del vivere sociale, si riscontra ancora oggi in alcune realtà: è un dato di fatto che in molte aziende private le donne percepiscono un salario inferiore del 15/20 per cento rispetto agli uomini, o che nel Parlamento Italiano la rappresentanza femminile sia esigua. Altrettanto, è appurato che le vittime di violenza domestica, di molestie, di violenza sessuale, sono per la stragrande maggioranza ancora donne.Fortunatamente, oggi le donne sono più consapevoli di loro stesse, delle loro capacità. Attualmente molte donne occupano importanti posizioni lavorative in ambito pubblico e privato, prima di esclusiva prerogativa maschile, riuscendo così a far meglio sentire la loro voce nella società, che sta ponendo sempre maggiore attenzione verso il problema della discriminazione di genere. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli culturali duri da abbattere. Oltretutto, le forme di violenza di genere sono molteplici e non tutte ascrivibili in tipologie precise: in alcuni casi, il vuoto normativo è tuttora presente. Basti pensare a come la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione di massa abbia consentito lo svilupparsi di altrettante nuove forme di violenza, di cui frequentemente rimangono vittime le donne: si pensi alla diffusione

via Internet di filmati osceni con ignare protagoniste, o alle molestie via cellulare con messaggi sms o telefonate, che terrorizzano la malcapitata minandone la tranquillità, fino a comprometterne la salute fisica e mentale (c.d. “stalking”, altrove già disciplinato e in Italia oggetto di ripetuti dibattiti parlamentari ed extraparlamentari).In base alla mia esperienza lavorativa, posso affermare che in questi casi le donne hanno bisogno di essere prima di tutto ascoltate: la loro paura è quella di essere mal giudicate, addirittura di essere additate come “provocatrici”, come se alla genesi del problema ci fosse un loro comportamento “sbagliato”. Spesso si sono presentate nella Caserma dove lavoro delle donne, vittime di casi come quelli sopra descritti, le quali chiedevano appositamente di parlare con me perché, essendo anch’io una donna, oltre che un Maresciallo dei Carabinieri, riuscivano più facilmente a superare l’iniziale imbarazzo di denunciare i soprusi subiti. Ricordo chiaramente il volto sgomento di molte di loro, lo sguardo basso e pieno di interrogativi, come se non fossero ancora sicure che ribellarsi agli abusi era un loro diritto.Mi rendo conto che per aiutare queste persone spesso sole ed emarginate, anche la sensibilità e l’esperienza dei miei colleghi uomini diventa fondamentale: la sinergia delle nostre opinioni è la chiave per comprendere molte situazioni che, se esaminate sotto un punto di vista esclusivamente maschile o femminile, rimarrebbero incomplete. La collaborazione tra tutti noi si rivela così veramente proficua, riuscendo ad interpretare meglio delle problematiche che, altrimenti, sarebbero davvero di difficile soluzione. Nel reparto dove lavoro si

è creata una forte intesa, basata sulla collaborazione e sul rispetto, che ci consente di sfruttare appieno le risorse individuali di ognuno, grazie alle quali abbiamo potuto soccorrere le vittime della violenza di genere che si sono rivolte a noi. Tutto ciò mi rende fiera della divisa che indosso e mi dà uno stimolo fortissimo per continuare a ben operare. Pertanto, io credo che la cooperazione e il confronto continuo tra persone differenti, sulla base del rispetto reciproco, sia il più efficace strumento con cui cercare di superare gli episodi di violenza di genere che persistono nel mondo moderno. Soltanto la conoscenza dell’altro porta alla comprensione e all’accettazione della diversità, di qualunque tipo essa sia.Più in generale, ritengo che solo con lo sviluppo di un programma di sensibilizzazione e informazione a tutti i livelli della società, si può far fronte alla complessità del fenomeno. Per questo, credo che la Legge Regionale n. 59 del 16.11.2007 - “Norme contro la violenza di genere”, abbia inquadrato chiaramente la necessità di coinvolgere soggetti pubblici e privati (quali ad esempio servizi sanitari, servizi sociali, forze dell’ordine, servizi educativi, consulenti legali e psicologici...) al fine di elaborare obiettivi, strategie e metodologie di lavoro condivise per la prevenzione della violenza di genere e la tutela delle vittime di abusi.Sono consapevole che il percorso è ancora lungo da fare, ma soltanto se tutti prenderemo coscienza di quanto ciò sia necessario, potremo aspirare ad una società più giusta e più libera.

* Maresciallo dei Carabinieri

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La violenza non ha né cultura né religione né nazionalità. Ha solo un sessoAnnalisa Campolongo*

Questo è uno degli striscioni sfilato durante la manifestazione contro la violenza sulle donne avvenuta a Roma a fine novembre. Condensa in poche parole un concetto di trasversalità del fenomeno che emerge dai dati Istat del Viminale. Questi dati ci dicono che in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica e sessuale. La violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro o degli incidenti stradali. E non sempre la violenza sulle donne assume la forma fisica. Spesso viene esercitata in modo più sottile, astuto, perverso, ma non per questo è meno avvilente o umiliante. Ogni giorno nel nostro civile paese sette donne sono prese a botte o sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi o forme persecutorie.

“L’assassino non bussa, ha le chiavi di casa” con questo altro striscione le donne ricordano che più del 62 percento viene maltrattata dal partner o comunque da una persona conosciuta e la percentuale cresce al 69,7 % nei casi di stupro. Il pericolo non è lo sconosciuto, magari straniero o il drogato, che incontriamo per strada. Le donne sono vittime di una violenza “inattesa” che arriva dalle persone che amano e troppo spesso da chi ha promesso di “amarle, onorarle e rispettarle”.Ultimo dato: il 96% delle donne non denuncia la violenza subita. Ahimè, è un dato tutte le donne sono in grado di comprendere.

Contromisure? Non è un esempio edificante quel comune del nord che non essendo in grado di difendere le donne dalla violenza di un quartiere particolarmente a rischio di stupro ha deciso di provvedere con un risarcimento, una cifra diversa in base all’età. Bene, è come se le compagnie aeree rinunciassero a tutti i controlli, alle regole rigidissime sui bagagli e

alle perquisizioni limitandosi a fissare un risarcimento per le vittime che disgraziatamente rimangono coinvolte in atti di terrorismo. Inaudito? A quanto pare no. Sul sito internet di quel comune si poteva scaricare il modulo per chiedere il risarcimento….Le donne chiedono che si faccia qualcosa.Azzardo un altro paragone ancora in campo di terrorismo (il numero delle vittime mi suggerisce paragoni ancora più apocalittici). L’11 settembre Bush non ha certo pensato che il problema stesse nelle torri che erano un facile bersaglio, ha armato un esercito e l’ha mandato a sterminare i terroristi, le vittime, reali e potenziali, non sono scese in piazza per esortare una soluzione, una nuova legge, un aiuto.

L’accettazione e la tolleranza di questi fenomeni è diffusa, radicata in ogni parte del mondo, esiste in ogni società, cultura, religione. Però, la mia impressione è che finora il problema venga trattato come fosse della singola donna. Le donne stringono i denti e tentano di arrangiarsi, resistono, qualcuna si “rompe”.Quando si rompe fisicamente la società si accorge di quanto ha subito meravigliandosi che non abbia reagito, denunciato, chiesto aiuto, e quando invece è lei che si “rompe le scatole” e finalmente chiede aiuto la sua vita diventa ancor più difficile.

I livelli su cui intervenire sono tanti, anzi, direi che il livello è “globale”. Lo è geograficamente e culturalmente. Cosa immagino? Lista dei desideri:a ogni donna va insegnato un modo per capire la differenza tra chi le chiede (e offre) amore e chi invece pretende la sua sottomissionefar capire ad ogni uomo che vi sono modi più dignitosi di reagire al disagio, allo stress o al rifiutoquando una donna parla, intorno a lei deve ergersi un muro di protezione,

comprensione, ascolto, solidarietà, perché arrivare a parlare con qualcuno (centro di accoglienza, telefono rosa o forze dell’ordine) già le è costato tanta fatica e coraggio. Serve saper gestire il “primo intervento” che è troppo delicato e decisivol’uomo violento perde ogni dirittoche sia considerata bestemmia il proverbio “tra moglie e marito non mettere dito”.che il fenomeno diventi “emergenza” al pari delle stragi del sabato sera, dei morti di mafia, degli incidenti sul lavoro, del bullismo.

E i maschi? Fateli venir fuori e che dicano qualcosa!! Ce ne sono di veramente speciali, di quelli che si sforzano di capire e che addirittura ci riescono.Diversamente dal luogo comune che vuole le donne a sostenere, accogliere ed accompagnare le vittime nella loro battaglia, ritengo che la presenza maschile possa essere fondamentale. La solidarietà dei propri simili è insufficiente, come un “negro” che trova comprensione in un altro “negro” (sì, sono fissata con i paragoni). Ma è quando al proprio fianco si fa sentire alta e sicura la voce dell’altra parte che le cose cominciano davvero a cambiare.

Non pensate che la violenza sulle donne è un problema delle donne. Il vero problema è degli uomini.

* Laureanda in Scienza e Tecniche di psicologia cognitiva applicata dell’Università degli Studi di Trento

Coordinatrice comunicazione via Internet dell’Ufficio Stampa della Provincia Autonoma di TrentoTel. Ufficio 0461-494632

[email protected]

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La legge 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”, approvata l’8 marzo del 2000, rappresenta una tappa fondamentale nel nostro paese sul tema della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Questa legge affronta in modo positivo l’equilibrio tra i diversi tempi della nostra vita: il tempo di lavoro, il tempo per la cura, il tempo per la formazione, il tempo per sé e per le relazioni sociali, i tempi delle città. Nello specifico prevede l’estensione del diritto a fruire dei congedi parentali, in particolare per i padri nell’ottica di una maggiore condivisione di responsabilità, l’istituzione dei congedi formativi e per la formazione continua, il coordinamento dei tempi delle città, la promozione delle banche del tempo, il sostegno alle azioni positive per la flessibilità di orario. E sono proprio le misure a favore delle imprese a sostegno della flessibilità di orario previste dall’articolo 9 – recentemente modificato dalla legge 296/06 - che rappresentano il contributo più innovativo della norma. Diverse sono le tipologie di progetti finanziabili: dalla sperimentazione di azioni positive per la flessibilità di orario (lettera a), a favore di lavoratori e lavoratrici (ad esempio telelavoro, part time reversibile, banca delle ore), a progetti di formazione (lettera b), volti a favorire il reinserimento del lavoratore o della

lavoratrice dopo un periodo di congedo (di maternità, parentale…); sino ad arrivare alla possibilità di sostituzione dell’ imprenditore/trice (lettera c), ad esempio a seguito dell’evento maternità, con altro imprenditore/trice. A queste tre tipologie originariamente previste dall’articolo 9, la legge del 2006 ha aggiunto un’altra azione (lettera d) che finanzia interventi per favorire la sostituzione, l’articolazione della prestazione lavorativa e la formazione di lavoratori/trici con figli minori, figli disabili, oppure con anziani non autosufficienti a carico. Delle opportunità offerte dalla normativa ne parliamo con la dottoressa Francesca Pelaia del Ministero per la Famiglia.

Ci potrebbe fornire alcuni dati sul numero di progetti presentati, sulla tipologia, sullo stato di avanzamento delle istruttorie?Intanto una precisazione doverosa: la gestione da parte del Dipartimento per le politiche della famiglia è iniziata a partire dai progetti presentati dalla scadenza di febbraio 2007. Per quelli precedenti, invece, non solo la fase di valutazione, ma anche la gestione amministrativa continua a far capo al Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Nel 2007 sono stati presentati 232 progetti in tutto: 90 alla scadenza di febbraio, 76 a giugno e 66 ad ottobre. Attualmente dei progetti di febbraio è stata completata la fase di valutazione, con l’approvazione della graduatoria da parte del Ministro Bindi che ha firmato due decreti, il primo il 7 agosto 2007, per i progetti di lettera C, e il secondo il 7 dicembre 2007, per tutte le altre tipologie di progetti. Vorrei chiarire che la pubblicazione della graduatoria è avvenuta in due tranches per cercare di attenuare i disagi per l’utenza derivanti dai tempi necessari a realizzare in concreto il passaggio di competenze previsto sulla carta dal legislatore. Le somme necessarie al finanziamento dei progetti approvati sono già state

impegnate e, non appena riceveremo la documentazione completa da parte dei soggetti proponenti, provvederemo alla liquidazione dell’anticipo, pari al 25% dell’importo totale da finanziare. In relazione a questa scadenza sono stati approvati, totalmente o parzialmente, 50 progetti (dei 90 presentati), con un tasso di successo medio pari al 55,5% (dato risultante però da valori molto differenti: si passa infatti da un tasso di successo del 100% per i progetti di lettera B ad un tasso del 33% per quelli di lettera C). La Commissione è ora impegnata nella valutazione dei progetti presentati a giugno, che dovrebbe essere ultimata per la fine del mese di febbraio. Spero di non essere troppo ottimista nel prevedere che, in assenza di contraccolpi su questa struttura a seguito della crisi di Governo, entro il mese di maggio dovrebbe essere completata anche la valutazione dei progetti di ottobre. Sarebbe davvero un bel risultato perché vorrebbe dire recuperare completamente il ritardo accumulato a seguito del trasferimento delle competenze. Quanto alla tipologia di progetti presentati sinora, su 232 progetti 89 sono di lettera C, 48 di lettera A, 14 di lettera B, 15 di lettera D, 66, infine, sono i progetti integrati, vale a dire articolati su diverse tipologie di azione (per lo più si tratta di progetti che integrano azioni di lettera A e di lettera B).

Quali sono secondo lei i principali punti di debolezza che emergono dalla lettura dei progetti presentati?Rispondere a questa domanda non è semplice. Come ho già accennato, infatti, il tasso di successo è molto diverso a seconda della tipologia di progetti esaminati. Volendo individuare, però, degli elementi di debolezza comuni ai progetti non finanziati si può sicuramente richiamare l’attenzione dei proponenti sulla chiarezza, la logicità e la congruenza degli interventi proposti. Spesso nei progetti manca una chiara identificazione dei destinatari (effettivi

Ma la conciliazione ……è veramente possibile?intervista alla dott.ssa Francesca Pelaia Dirigente Ufficio II presso il Ministero della Famiglia*

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e potenziali – categorie tra le quali spesso si fa confusione) ed un’adeguata descrizione delle relative esigenze di conciliazione. Alle volte, poi, gli interventi previsti risultano confusi nella loro articolazione, costringendo la Commissione a lunghe discussioni in merito all’azione proposta. Un difetto abbastanza comune è quello di imputare nel piano finanziario voci di costo non descritte - o non adeguatamente descritte - all’interno del progetto: il che espone inevitabilmente il progetto presentato a tagli delle relative voci di costo. Sempre che non sia messa in discussione la stessa logica dell’intervento, nel qual caso l’intero progetto verrà respinto.Ancora, molti progetti risultano decisamente sovrastimati nei costi, in termini assoluti o, più spesso, rispetto al numero di destinatari individuati (anche da questo punto di vista è evidente che solo un’esatta identificazione dei destinatari consente di valutare la congruità economica delle azioni proposte), senza che la spesa preventivata sia supportata da sufficienti elementi giustificativi (es. produzione di più preventivi da cui sia possibile desumere che vi sia stata una minima attenzione a ricercare sul mercato il servizio più conveniente). Da questo punto di vista mi sembra necessaria una precisazione con riferimento, in particolare, ai progetti di lettera C, che come sottolineavo hanno il più basso tasso di successo tra le diverse tipologie presentate. La ratio di questa misura è sostanzialmente di sostegno al reddito dell’imprenditore o del lavoratore autonomo o del libero professionista a fronte di un evento nascita che spesso incide negativamente sull’attività lavorativa. Questo però non vuol dire che si possano imputare al progetto costi equivalenti al volume d’affari pregresso. La nuova guida alla progettazione (avviso di finanziamento e documento sui costi ammissibili) relativa al 2008 ha chiarito che, per i progetti di lettera C, l’importo massimo imputabile al progetto sarà di 35.000 euro, ma che, in ogni caso sarà necessario giustificare la somma richiesta con idonei documenti di supporto (es: dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, studio di settore si riferimento, ecc.).Un’ultima indicazione, infine, ma non certo per ordine di importanza, riguarda il requisito dell’innovatività. Non sono finanziabili azioni che siano in qualunque modo già previste e garantite dalla legge (o dal CCNL applicabile in azienda). In altre parole, ad esempio, non si può presentare un progetto per la sostituzione della lavoratrice che stia fruendo del congedo di maternità (o parentale), perché è la stessa legge a tutelare la relativa esigenza di

conciliazione. Su questo punto, spero che l’avviso di finanziamento sia servito a fare un po’ di chiarezza: la legge 53 si propone di finanziare azioni ulteriori rispetto alla disciplina vigente. Questo aspetto è particolarmente importante per quanto riguarda l’apporto dei sindacati, che dovrebbero evidenziare nell’accordo gli elementi di innovatività presenti nel progetto (evidentemente rispetto alla disciplina contrattuale applicabile in azienda).

Quali sono gli elementi che dovrebbero essere valorizzati maggiormente nei progetti e che potrebbero migliorare le loro chance di essere approvati?Su questo rimanderei al punto precedente, ricordando, però, che gli elementi su cui la Commissione basa i suoi giudizi sono, come chiarito nella nuova guida alla progettazione l’innovatività, su cui non tornerei; la concretezza, vale a dire la capacità del progetto di rispondere ad esigenze concrete di soggetti ben determinati; l’efficacia, intesa come la capacità del progetto di raggiungere gli obiettivi prefissati . Risultano, poi, rilevanti gli aspetti legati all’economicità del progetto, che fa riferimento al rapporto tra costi e benefici dell’azione proposta; alla sua sostenibilità nel tempo, alla trasferibilità ad altre aziende e alla idoneità a favorire la diffusione di una cultura della conciliazione su più vasta scala (mainstreaming).

Ci potrebbe dire qualcosa sulle prospettive future dell’ex articolo 9?In linea di massima posso dire che in questo breve periodo di tempo all’interno del Dipartimento per le politiche della famiglia abbiamo cercato di migliorare lo strumento, facendo tesoro delle indicazioni che ci sono venute da più parti: in primo luogo dal Ministero del lavoro, che per anni ha amministrato la misura, ma anche dalle parti sociali e dal territorio, coinvolti in un processo di consultazione dal Ministro Bindi a partire dal mese di maggio 2007. Abbiamo condensato il frutto di tante riflessioni in una proposta che, approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 16 novembre, è stata presentata alle Camere dalle quali avrebbe dovuto essere approvata, all’interno del collegato alla finanziaria. Purtroppo, questo iter non si è perfezionato: la norma è stata stralciata per essere esaminata separatamente a gennaio, ma nel frattempo è intervenuta la crisi di Governo, per cui al momento non vi è alcuno spazio per un esame da parte del Parlamento. La finanziaria per il 2008 contiene, peraltro, una delega a rafforzare gli istituti previsti dall’art. 9 della legge 53/2000, delega

il cui esercizio consentirebbe forse di riproporre la norma da noi ideata. Potrebbe essere una bella opportunità, soprattutto perché quella disposizione mirava, tra l’altro, ad attivare reti virtuose tra pubblico e privato e a valorizzare la necessità di un raccordo con il tema dei tempi delle città. Ma anche a promuovere progetti che, oltre a strumenti di flessibilità oraria del lavoro, sperimentassero nuovi sistemi di valutazione della prestazione lavorativa, finalizzati a premiare il merito e la capacità di raggiungere risultati, più che la presenza fisica sul luogo di lavoro. Insomma, di lavoro se ne è fatto tanto. Speriamo solo che con la crisi di Governo tutto questo non sia destinato a rimanere un libro dei sogni. Sarebbe un peccato. Ma secondo lei la conciliazione è veramente possibile?A certe condizioni sì. Se guardiamo all’esperienza di altri Paesi abbiamo sicuramente molta strada da fare. Eppure proprio quelle realtà dimostrano che la conciliazione non solo è possibile, ma anche necessaria. Nei Paesi del Nord Europa a fronte di tassi di occupazione e di attività femminile decisamente più alti dei nostri, troviamo anche un’inversione dell’andamento del tasso di natalità. Come dire: le donne non solo lavorano di più, ma fanno anche più figli di noi. Mi sembra che questo risultato sia frutto di un’azione di governo che ha portato ad affrontare certi nodi con molto anticipo, oltre che di un retaggio culturale sicuramente più aperto del nostro ai temi della condivisione delle responsabilità di cura tra uomo e donna. Una nuova cultura si afferma con il tempo e con un impegno costante all’attuazione delle misure esistenti, ma anche con l’ideazione di nuove strategie che consentano di realizzare la conciliazione in modo permanente e strutturato all’interno di un sistema. Credo che sia importante promuovere misure che non costringano le donne dentro modelli lavorativi strettamente maschili, ma che aprano nuove possibilità e nuovi scenari in cui le esigenze di ciascuno di noi di vivere anche al di fuori di ambiti lavorativi trovino spazio. Nel 2000 la stessa parola conciliazione era una novità assoluta. Chissà che tra qualche anno anche questa idea non appaia poi così visionaria e che non ci sia più l’abitudine, tutta italiana, di convocare riunioni oltre le 17.00, perché tutti, e non solo le donne, hanno una famiglia di cui occuparsi e di cui volersi occupare.

* a cura di Carla Gassani Referente di Genere

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Le repubbliche e le società contemporanee si dichiarano fondate sul lavoro, presentando questo dato come naturale, certo e immutabile, sino a fare del diritto al lavoro, il diritto per il cittadino di realizzare la propria piena umanità. Su questo mito, vero e proprio incantesimo dei tempi moderni, si sono costruite ideologie e teorie, riflessioni e azioni politiche, tutte crollate di fronte al rarefarsi del lavoro e alla crisi dell’occupazione. Solo da due secoli apparteniamo a società fondate sul lavoro e ciò significa che il lavoro, se da una parte è divento il principale mezzo di acquisizione del reddito, che consente agli individui di vivere, dall’altra è divenuto un rapporto sociale fondamentale. Mauss parlerebbe di “fattore sociale totale”, così come per Smith l’economia, si presenta nel XVIII secolo, come una risposta filosofica al problema della nascita e della conservazione della società. Ed è in un sistema così complesso, quanto primordiale, che si inserisce anche il tema dell’emersione al lavoro e in particolare l’emersione femminile. Cioè quali azioni occorre mettere in atto per fare emergere e ufficializzare, al

Le donne e il sommersoNadia Bellè*

contempo dotandolo di riconoscimento economico e sociale e di tutte le necessarie tutele, il lavoro irregolare - cioè poco o per nulla dichiarato - delle donne, è parte decisiva di una battaglia generale di emancipazione della donna che, nonostante le tante sollecitazioni del nostro tempo - riguardo al lavoro, la famiglia, l’educazione, la cultura ecc. Tale battaglia, che rientra in un processo di democratizzazione delle nostre società potrebbe sprigionare grandi energie benefiche soprattutto per una civiltà ad un più elevato saggio di civilizzazione e di sviluppo, intendendo non solo la crescita materiale dell’economia, a cui aspiriamo. Il lavoro sommerso rappresenta attualmente un argomento e un problema di notevole importanza. Anzittutto, va precisato che ciò che viene definito come lavoro sommerso è parte della più ampia categoria dell’economia sommersa: questa, almeno in prima approssimazione, riguarda tutte le attività economiche che sfuggono all’applicazione delle regole istituzionali ad esse formalmente destinate nonché all’osservazione statistica.A favore del sommerso gioca la miscela di elementi presenti nel contesto globale in cui si svolge l’attività. Elementi di tipo culturale, economico e sociale. Culturale, lo scarso senso civico e il minore senso di responsabilità del singolo per la collettività, economico, la prevalenza di piccole attività autonome e d’impresa che possono facilmente occultarsi e sociali, condizioni di disagio o di povertà, e quindi bisogno, che spingono alla ricerca di qualsiasi mezzo di sopravvivenza.La fenomenologia del lavoro sommerso è poliedrica, i soggetti impiegati hanno caratteristiche diverse che ne influenzano la disponibilità all’occupazione irregolare o regolare. Secondo i dati ISTAT , i doppiolavoristi sono la categoria più ampia del lavoro non regolare in termini di posizioni lavorative, ma non di unità di lavoro.

Tuttavia è difficile sceverare i casi di doppio lavoro del tutto irregolari, in quanto i dati a disposizione comprendono anche posizioni lavorative regolari. Ciò non toglie che l’incidenza dei lavori irregolari è estremamente alta e determina una sottrazione di risorse fiscali e contributive. La stessa Commissione europea, colloca al primo posto i doppiolavoristi, al secondo parla di “persone economicamente inattive” (studenti, casalinghe e prepensionati) e al terzo i disoccupati e i cittadini dei paesi terzi. La disponibilità al lavoro sommerso dei soggetti appartenenti alle tre categorie, varia in funzione della condizione di partenza. I doppiolavoristi, nella maggior parte dei casi, approfittano delle garanzie e delle reti di conoscenza offerte dalla loro occupazione principale regolare, per poter incrementare il proprio reddito attraverso un’occupazione sommersa e non hanno ovviamente nessuna aspirazione alla regolarizzazione del rapporto, ma anzi quella contraria di occultare il reddito prodotto. Le persone “economicamente inattive” hanno in genere una disponibilità parziale al lavoro, a seguito della contemporanea presenza di altri impegni: per gli studenti lo studio, per le donne i carichi familiari. Per i prepensionati o pensionati, spesso la scelta del sommerso è obbligata. Gli immigrati sono la categoria più debole dei lavoratori del sommerso, debolezza che gli deriva proprio dalla loro clandestinità. Ovviamente è banale che sottolinei il fatto che un’alta percentuale di soggetti afferenti alle categorie sopra descritte è donna. Il dibattito sul lavoro sommerso ha origini negli anni ’70, quando il nostro Paese viene coinvolto in processi di ristrutturazione industriale che, accanto alla profonda riorganizzazione del tessuto produttivo e della struttura del mercato del lavoro, producono la crescita delle dimensioni della cosiddetta economia informale.Le cause dello sviluppo del sommerso

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vengono individuate nella fase di recessione dell’economia italiana che, comportando la fuoriuscita dal mercato ufficiale delle forze di lavoro, ha favorito l’insorgere di occupazioni “alternative”, nonché nell’esigenza delle imprese di rendere meno rigida la struttura occupazionale attraverso soluzioni più flessibili sottratte alla rilevazione statistica. Ed ancora, nel maggiore potere contrattuale del sindacato che, grazie all’affermarsi di regole più garantiste per i lavoratori, ha richiesto, con forza, la riduzione degli orari, l’abolizione del cottimo e il ridimensionamento dei ritmi di lavoro. Negli anni ’80 - con l’alta inflazione, l’aumento del debito pubblico e la crescita occupazionale prodotta dall’espansione del settore terziario - il fenomeno dell’economia sommersa rimane in ombra, svolgendo il ruolo di ammortizzatore di costo e di produttore di flessibilità.Agli inizi degli anni ’90, contestualmente al processo di convergenza con i parametri di Maastricht, il sommerso acquista vitalità nel dibattito politico ed economico.L’Istat ha cercato di effettuare una ricostruzione delle unità di lavoro regolari e non regolari dal 1992 al 2003, con riferimento al lavoro dipendente e indipendente, facendo riferimento a trenta settori di attività economica. Il concetto di lavoro regolare e non regolare è strettamente connesso a quello di attività produttive osservabili e non osservabili comprese nei confini della produzione del sistema di contabilità nazionale.Il processo di assimilazione della donna nel mercato del lavoro, nel quale non è mai mancata la sua presenza, anche se favorisce trasformazioni importanti nella relazione di genere, si è andato e va tutt’oggi sviluppandosi in condizioni di disuguaglianza. Gran parte delle occupazioni che svolgono le donne nel mercato del lavoro sono maggiormente invisibili, forse perché molti settori rappresentano un prolungamento delle attività che svolgono in famiglia, delineando settori lavorativi ampiamente femminilizzati e sottovalutati. Le donne nel mercato del lavoro sono interessate maggiormente degli uomini da ostacoli invisibili, da processi di deregolamentazione e forme di lavoro atipico. In Italia il fenomeno dell’irregolarità è sempre stato associato a quella condizione di vitalità non ordinata, di anomia creativa che caratterizza ogni fase nascente di sviluppo industriale e che certamente ha contribuito in passato ad imprimere un accelerazione significativa ai processi di sviluppo economico locale. Oggi invece il sommerso è fuoriuscito dai settori

produttivi tradizionali e coinvolge segmenti marginali o marginalizzati dal mercato del lavoro ufficiale. Le indagini dimostrano che negli ultimi anni si è ridotta l’economia in nero ma rischia di aumentare l’opacità delle forme di lavoro ambigue e semi sommerse che coinvolgono soprattutto le fasce più deboli del mercato del lavoro. Proprio per le caratteristiche sopra descritte, si osserva che la maggiore debolezza delle donne sul mercato del lavoro e le loro esigenze di conciliazione dei tempi le costringono ad accettare un’occupazione parzialmente o del tutto irregolare. Per affrontare i problemi legati al lavoro irregolare servono non solo politiche di accompagnamento per le aziende ma anche politiche culturali, sociali e di sostegno alle famiglie perché il sommerso va spesso di pari passo con la marginalità sociale e la mancata valorizzazione delle professionalità esistenti. Se da un lato i costi “privati” del sommerso possono essere considerati minimi, non così si può dire dei costi “sociali”. La mia esperienza e la mia formazione di marxiana memoria, mi portano a pensare che i mutamenti del lavoro producono esiti proporzionali alle risorse di cui le persone dispongono, e le donne da sempre si sono trovate a vivere un imperfetta cittadinanza. Imperfetta cittadinanza, amplificata oggi dal sommerso lavorativo che conduce inesorabilmente verso una vulnerabilità occupazionale e di conseguenza sociale. Il fenomeno del sommerso di per sé già difficile da analizzare per la sua parziale acquisizione dei dati, diventa ancora più “nodo gordiano”quando parliamo di dati al femminile. Rilevazioni spesso assenti ed incomplete che evidenziano l’invisibilità delle donne che vivono l’instabilità del lavoro. Donne che provengono direttamente dal XX secolo, caratterizzato da “promozione sociale e dal riscatto del bisogno, dall’incivilimento materiale e dall’anomia spirituale, da raffinatezze per cani e gatti e da stragi per uomini e donne”.

* Consulente di materia presso il Dipartimento di Studi Sociali dell’Università di Firenze

La Commissione Europea delinea le nuove sfide e orientamenti strategici

Nella recente relazione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, la Commissione Europea è tornata ad esaminare la situazione della parità tra uomini e donne.La relazione del gennaio 2008 è la quinta relazione annuale sulla parità tra uomini e donne, realizzata in collaborazione con gli Stati membri, ed è la prima dell’Europa allargata a 27 membri, quindi importante da un punto di vista comparativo relativamente ai nuovi ingressi ed alla situazione dei nuovi stati membri in materia di parità.La relazione evidenzia progressi incontestabili da un punto di vista quantitativo, ma indica come rimangano da affrontare nodi importanti sul piano qualitativo per sostenere ulteriormente la parità tra uomini e donne, valore fondamentale della Unione Europea.E’ questo il messaggio principale della relazione.Questi invece i dati che emergono dalla studio condotto:Il lavoro femminile ha rappresentato il principale fattore di crescita dell’occupazione nella UE per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona per la crescita e l’occupazione.Tra il 2000 ed il 2006 il numero delle persone occupate nella UE a 27 è salito di c.a. 12 milioni di unità, di cui oltre 7,5 sono donne.Il tasso di occupazione femminile ha registrato una crescita costante ogni anno, fino a raggiungere il 57,2% nel 2006 (3,5 punti in più rispetto al 2000), mentre quello maschile nel medesimo periodo è aumentato di meno di un punto percentuale.Parallelamente il tasso di disoccupazione femminile ha raggiunto il suo livello più basso da dieci anni, attestandosi al 9%.Questa evoluzione positiva ha consentito una sensibile riduzione del divario del tasso di occupazione tra donne e uomini, sceso dal 17,1% del 2000 al

La parità tradonne e uominiRiccarda Bezzi*

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14,4 % del 2006.Ma nonostante questi incontestabili progressi sul piano quantitativo, molti aspetti della qualità del lavoro delle donne restano critici:Il divario della retribuzione tra uomini e donne si è attestato al 15% dal 2003, scendendo solo di un punto dal 2000, senza progressi successivi.La segregazione settoriale e professionale basata sul genere non è diminuita, ed anzi,in alcuni paesi è addirittura aumentata, ad indicare che le donne entrate nel mercato del lavoro sono state impiegate in settori e professioni dove si riscontrava già una forte presenza femminile. La disoccupazione di lunga durata è molto più frequente tra le donne (4,5%) che tra gli uomini (3,5%).Le carriere professionali più brevi, più lente e meno remunerative delle donne incidono sul loro rischio di povertà, in particolare nella fascia di età oltre 65 anni (21% , con un dato di 5 punti in più rispetto agli uomini).La presenza di donne dirigenti nelle imprese è ferma al 33% e progredisce lentamente anche in campo politico: solo il 23% dei parlamentari nazionali e il 33% di eurodeputati sono donne.La conciliazione della vita professionale e privata e la non adeguatezza delle misure ad oggi adottate comportano il permanere di divari tra donne ed uomini. Ne è testimonianza il drastico calo del tasso di occupazione delle donne con figli piccoli a carico (-13,6 punti in media) mentre quello degli uomini aumenta (!). Il tasso di occupazione delle donne con figli a carico è del 62,4% contro il 91,4% degli uomini, con uno scarto quindi di 29 punti percentuali, dato sconcertante e che deve far riflettere.

Sostanzialmente, dal quadro presentato, emerge che le politiche e le strategie per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona per l’occupazione delle donne hanno ottenuto i migliori risultati sotto l’aspetto della quantità a discapito di quello qualitativo.Pertanto la Commissione Europea ha provveduto a delineare sfide e orientamenti strategici per intervenire tempestivamente per ridurre il divario qualitativo, al fine di creare più posti di lavoro di qualità, tenendo conto del diverso impatto delle politiche dell’occupazione sulle donne e sugli uomini durante l’intero ciclo della vita.

Le sfide individuate dalla Commissione Europea nella relazione sono le seguenti:1. Posti di lavoro di qualità per favorire una pari indipendenza economica; 2. Servizi di qualità a sostegno della conciliazione; 3. Lotta contro gli stereotipi e sostegno alle

scelte individuali; 4. Attivazione di meccanismi istituzionali a sostengo degli impegni politici e per l’attuazione della legislazione.

La conciliazione tra vita professionale e privata rappresenta un elemento centrale della parità tra donne ed uomini, ed è un settore di azione prioritaria della Tabella di marcia adottata dalla Commissione Europea. La Commissione chiede di intensificare l’attuazione della conciliazione che dipende sia da un’organizzazione del lavoro moderna, in particolare attraverso modalità di lavoro e di congedo innovative e flessibili che stimolino una migliore suddivisione dei compiti familiari tra donne e uomini, sia dalla disponibilità di servizi accessibili e di qualità. L’orientamento strategico individuato è quello di proseguire a migliorare la disponibilità e l’accessibilità dei servizi di custodia e di assistenza per bambini e persone non autosufficienti, prestando particolare attenzione alla qualità dei servizi erogati, anche in relazione agli orari garantiti.

Ma il percorso per una maggiore e migliore parità non passa solo dalla conciliazione e la Commissione Europea, al fine di raggiungere la parità tra i sessi, sia in termini quantitativi che qualitativi, invita il Consiglio ad esortare urgentemente gli Stati membri a raccogliere le sfide sopra individuate, con imprescindibile collaborazione delle parti sociali e della società civile, prestando particolare attenzione alle seguenti priorità:aumento dell’occupazione delle donne, in termini quantitativi, qualitativi;integrazione di una prospettiva di genere in tutte le dimensioni della qualità del lavoro;sviluppo sia dell’offerta che della qualità dei servizi che permettono di conciliare vita professionale e vita privata, sia per uomini che per le donne;lotta contro gli stereotipi nella istruzione e occupazione e nei mass media, con coinvolgimento degli uomini nella promozione della parità;sviluppo di strumenti di valutazione di impatto delle politiche in una prospettiva di genere.

* Responsabile Servizio Sviluppo Economico e Politiche Comunitarie

Dove trovi la Consigliera e le Referenti di Genere:Ufficio della Consigliera di ParitàVia delle Carre, 55 – 54100 MassaTel 0585 816729Fax 0585 816685Cellulare di servizio della Consigliera: 334 8509699Apertura al pubblico: dal Lunedì al Venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00, sabato su appuntamentoE- mail: [email protected]

Per Informazioni puoi rivolgerti alle Referenti di Genere:c/o Ufficio della Consigliera di ParitàVia Delle Carre, 55 – 54100 MassaSara Bonni Tel 0585 816706 Carla Gassani Tel 0585 [email protected]

Sito internet:http://portale.provincia.ms.it/ istruzione formazione lavoro organi di concertazione consigliera di parità

Le Referenti di Genere

La Referente di Genere è una figura professionale istituita dal PIGI – Piano di Indirizzo Generale Integrato 2006 – 2010 della Regione Toscana al fine di favorire l’occupazione e l’occupabilità femminile nell’ambito del Sistema Provinciale per l’Impiego.Nello specifico la Referente di Genere fornisce un supporto tecnico alla Consigliera di Parità e all’Assessorato alle Politiche Attive del Lavoro, al fine di favorire l’attuazione delle politiche delle pari opportunità, promuovere azioni positive con particolare riferimento alla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, sviluppare un modello integrato di interventi di Politiche Attive del Lavoro.Le Referenti di Genere della Provincia di Massa Carrara sono Sara Bonni e Carla Gassani

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Il 22 febbraio scorso, presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Firenze, è stata inaugurata la prima edizione del Master in “Politiche educative, diritti delle donne e pari opportunità. Teorie e pratiche della differenza di genere”. Il Master si rivolge a giovani neolaureati e neolaureate, ad insegnanti, a personale che già opera in contesti pubblici e privati, interessati ad acquisire strumenti di tipo teorico abbinati a competenze tecniche per progettare e sviluppare interventi e politiche di valorizzazione delle differenze di genere. Il Master è stato voluto e progettato dalla Prof.ssa Simonetta Ulivieri, docente di Pedagogia generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione nonché esperta e studiosa dei problemi della soggettività femminile in relazione alla “pedagogia della differenza” (si vedano, tra gli altri, i testi da lei curati: “Educazione e ruolo femminile. La condizione delle donne in Italia dal dopoguerra ad oggi” e “Le bambine nella storia dell’educazione”). È proprio dall’ambito educativo che occorre partire per interrogarsi sui traguardi raggiunti nel percorso di emancipazione femminile ma anche sulle problematiche aperte che possono trovare origine nelle storiche discriminazioni in termini di accesso al “bene istruzione”. Nel corso degli ultimi decenni la condizione femminile nel nostro paese è profondamente mutata all’interno della famiglia, del contesto lavorativo, della società civile. Questo mutamento del ruolo della donna è stato supportato da importanti trasformazioni del costume educativo: superata la storica esclusione di donne e bambine dalla cultura ufficiale, dominante, maschile oggi si può dichiarare raggiunto l’obiettivo di

Politiche educative, diritti delle donne e pari opportunità. Teorie e pratiche della differenza di genereIrene Biemmi*

una parità nell’accesso all’istruzione da parte di bambini e bambine, ragazzi e ragazze. Questo processo di crescita è tuttavia accompagnato da una serie di aspetti problematici e spesso contraddittori che impediscono ancora oggi l’effettivo raggiungimento di una parità sostanziale tra uomo e donna. Una di queste contraddizioni si annida proprio all’interno dell’ambito scolastico e consiste in una mancata rispondenza tra i successi scolastici delle studentesse e il raggiungimento di posizioni lavorative adeguate al proprio profilo formativo. Partendo da queste premesse il Master si propone di esaminare le cause della discriminazione sessuale e, parallelamente, di delineare percorsi di empowerment femminile. Per realizzare un progetto così ambizioso si è puntato su un’analisi interdisciplinare che desse conto della complessità del fenomeno, toccando vari aspetti: pedagogico, sociologico, legislativo, massmediologico, storiografico. Il Master si prospetta un’occasione formativa interessante e “rara”, vista la scarsità di corsi dedicati alle questioni di genere nel panorama universitario italiano, che ci auguriamo possa dare un piccolo contributo alla diffusione del principio della parità e del valore della differenza di genere in ambito lavorativo così come nella vita privata e nelle relazioni con l’altro sesso.

* Ricercatrice di Pedagogia di genere e delle pari opportunità - Facoltà di Scienze della Formazione - Università degli Studi di Firenze

SI SEGNALA CHE…

Il 31 gennaio 2008 è stato approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche della Famiglia – Struttura di missione – l’avviso di finanziamento, relativo all’anno 2008, per progetti a valere sull’articolo 9 della legge 8 marzo 2000 n. 53, così come modificato dall’articolo 1, comma 1254, Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (finanziaria 2007) – presentazione delle domande per le scadenze: 11 febbraio, 10 giugno, 10 ottobre.Per gli allegati è possibile consultare il sito:http://www.politichefamiglia.it/documentazione/dossier/conciliazione-l-53/modulistica.aspx

La Consigliera di Parità della Provincia di Massa-Carrara ed il suo staff hanno condotto un’iniziativa mirata al coinvolgimento delle scuole al fine di organizzare una serie di incontri con le classi quarte e quinte dei vari istituti per sensibilizzare i giovani in merito alla “cultura di parità”.L’obiettivo del percorso è quello di riflettere con gli studenti e le studentesse delle classi IV e V sul concetto di pari opportunità, sulla presenza di stereotipi di genere nella società, favorendo anche una riflessione sulla cultura della differenza e sulla percezione che ognuno di noi possa essere artefice del cambiamento.E’ inoltre previsto un intervento della Consigliera di Parità che parlerà delle sue funzioni.Alla fine degli incontri si propone la proiezione di un film, in plenaria tra tutte le classi che saranno coinvolte nel percorso, cui far seguire un dibattito con gi studenti.Per informazioni rivolgersi alle referenti di genere.

In occasione della giornata dell’8 marzo 2008 il Comitato Pari Opportunità del Comune di Aulla inaugurerà la sede del Centro Donna. Nel prossimo numero della rivista si daranno maggiori dettagli sul Centro e la sua attività. Nel frattempo, per informazioni, è possibile rivolgersi a: Comitato d’Ente Pari Opportunità – Comune di Aulla – Palazzo comunale – 54011 AullaNumeri telefonici:centralino 0187/400111fax 0187/420706

Nel prossimo numero della rivista, in uscita a giugno, saranno riportati gli abstract degli interventi della giornata dell’8 marzo.

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Consigliera di Parità Massa Carrara

Ministero del Lavoroe della Previdenza Sociale

Ministero del Lavoroe della Previdenza Sociale

Provincia di Massa CarraraVia delle Carre, 55

54100 Massa

Tel. 0585 816729

[email protected]