Periscopio 15 giugno 2009

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U n salto in alto per battere un record, l’asticella sistemata sul 45%, i muscoli caldi per la campagna elettorale e il fiato, quello sicuramente, che non manca mai. Campo di gara le ele- zioni europee ed amministrative. Berlusconi ha affrontato la prova più attesa: superare un risultato mai visto prima d’ora e lanciare la sua coalizione verso una mag- gioranza schiacciante in Italia. Tutti gli altri, i politici dell'oppo- sizione e del governo, con il fiato sospeso hanno atteso il risultato delle urne. Con le loro previsio- ni: se andiamo sotto il 26% sarà una disfatta hanno detto al Pd. Se andiamo sopra il 45% sarà un trionfo dichiarava il premier. Pronti, partenza, salto. Quell’asti- cella non è stata superata. Non è crollata, non è stata neppure sfiorata, ma non è stata una disfat- ta. Eppure il pre- mier ha subito la sconfitta, come un atleta che cadendo sul tappe- to ripensi con amarezza a tutta la preparazione spesa per quell’oc- casione. Berlusconi ha affrontato la campagna elettorale in condi- zioni difficilissime, tra scandali politici, forzature istituzionali e disastri economici. Voleva stra- vincere, non solo vincere. E ha trasformato questo voto euro- peo in un referendum sulla sua persona, e in questo ha perso. Ma i dati sono chiari. Il Pdl par- tiva dal 37,4% delle politiche 2008. In un anno e mezzo il partito del Presidente si accredita di un 35,3%: 2,1 punti in meno. Insomma, il centrode- stra mantiene più o meno le sue posizioni. Insieme alla Lega non arriva affatto allo storico Rubico- ne di ogni contesa elettorale re- pubblicana: il 50% dei voti. Ma il Carroccio è in crescita, dall’8,3 delle politiche al risultato a due cifre delle europee. E questo ri- sultato sposta gli equilibri nella maggioranza. Il centrosinistra registra una pre- vedibile sconfitta, ma evita la te- muta disfatta. Il Pd partiva dal 33,2% delle politiche, e arretra al 26,1% . È uno smottamento gra- ve, oggettivo. Ma non è una Ca- poretto, se si pensa che i sondag- gi dell'autunno, quando Veltroni gettò la spugna, davano i demo- cratici al 22%. Franceschini non può esultare. Ma può non dispe- rare. Il congresso di ottobre, in queste condizioni, non è ancora un allegro battesimo, ma non è più una cerimonia funebre. Qualcosa si può ancora costrui- re, tra i calcinacci e non tra le ma- cerie. Se a questo risultato si ag- giunge il bottino accumulato da Di Pietro, che veleggia al 8% ri- spetto al 4,4 delle politiche, e di Casini col 6,5% si ha la sensazio- ne che l’opposizione sia ancora in campo. Forse. ANNO VIII 177 PERISCOPIO PERISCOPIO Università degli Studi di Roma Tor Vergata - Ordine dei Giornalisti del Lazio - Quindicinale del Master in Giornalismo e Comunicazione Pubblica Redazione: Via Ridolfino Venuti, 87 - Roma 00162 - Tel./Fax 06.86391607 - www.periscopio.uniroma2.it Guerre Fredde Dalla Corea del Nord a Tienanmen l’Asia sotto i riflettori Morti sul lavoro Dormi ma senti frinire / remote / le rotative / rotanti nell’oscurità / per dare forma / all’aldiquà servizio a pag.3 P er esplorare le coste ita- liane Riccardo Carno- valini, fotografo della Spe- zia, conta soltanto sulle pro- prie gambe. 802 km a piedi in 42 giorni, da Roma, risa- lendo il Tirreno. Claudio Magris, scrittore e giornali- sta del Corriere, ci ha messo quattro anni per risalire il Danubio, lungo tutti i suoi 2860 km. Paolo Rumiz in bici è arrivato fino ad Istam- bul, mentre gli Appennini li ha attraversati tutti a bordo di una Topolino del ‘53 tar- gata 25457AN. La sua professione è quella del viag- giatore. Un viaggiatore col taccuino in tasca perché «l’andatura - sostiene - di- venta metrica, dunque nar- razione». Un viaggiatore lento, il triestino Rumiz. Che disdegna l’Alta Veloci- tà, gli aerei o le navi super veloci. I viaggi lenti sono una que- stione di imprevisti, di pae- saggi e di incontri. Perdersi nello spazio vero è un’espe- rienza fantastica. Ma è dif- ficile smarrirsi in autostra- da, a bordo di un aereo che non fa scali o seduti al tavo- lino di un Pendolino coi pol- pacci a ghiacciolo per via del- l’aria condizionata. In autostrada lo sai già: per chilometri vedrai sfilare solo grigi guardrail e moderni autogrill a soppalco sulle quattro corsie. Sull’Euro- star il paesaggio lo intravedi se sei attento, ma non lo sen- ti, chiuso ermeticamente in un tunnel di luci artificiali. Per non parlare dell’aereo che ti porta a destinazione così come sei partito, avendo annusato soltanto il profu- mo di panini di plastica o ri- schiato di congelare la punta del naso contro l’oblò per sbirciare il mondo di Lego sotto. Bisogna darsi del tem- po per vagare nello spazio e avere la pazienza di perder- si. Certo, non è facile: non siamo mai stati così reperi- bili come adesso. Telecamere e Gps ci rendono localizza- bili in ogni momento. Siamo affetti dall’ossessione di esse- re continuamente trovati, di comunicare imperterriti quello che stiamo facendo. Che la nostra sia solo pau- ra? Ci viene detto di non muoverci perché potremmo essere contagiati da un virus, o di non emigrare perché ver- remmo rispediti al mittente. E quando partiamo appro- diamo spesso in villaggi va- canza, simulacri di casa no- stra dove al ristorante servo- no cucina italiana, non biso- gna uscire perché tanto den- tro c’è tutto e neanche orga- nizzare escursioni perché son già tutte organizzate. È l’illusione di viaggiare, den- tro e fuori da spazi fotoco- pia. E a forza di incanala- re il nostro movimento fisico, il rischio è che si incanalino anche i nostri movimenti in- teriori, la nostra creatività. Da troppo tempo non conce- diamo a noi stessi il tempo di vagare per le nostre città senza una meta. Ecco cosa sono i viaggi di Carnovalini, Magris e Rumiz: un som- movimento della lentezza. S ono circa 55mila i romani che ogni anno si presentano al pronto soccorso con disfunzioni cardiache. Almeno 25mila di queste sono causate dal cosiddetto “stress da traffico”. Girare a Roma, con l’auto, il motorino o i mezzi pubblici può diventare un incubo. Per tutti i tipi di viaggiatori. I centauri sembrano avere vita facile, in verità sono le vitti- me reali delle strade capitoline. Le statistiche parlano di un morto al giorno sulle due ruote. Più sicura l’auto, ma con maggiori controindi- cazioni. Uno studio inglese commissionato da Direct Line ha, infatti, denunciato che a Roma i guidatori colpiti da stress da traffico manife- stano aumento del battito cardiaco, mal di testa e forte sudorazione del- le mani. Nei casi più gravi, si aggiungono confusione, senso di nausea, e crampi allo stomaco. Allora la bicicletta! Sì, la bicicletta non ha pro- blemi di parcheggio, è salutare e pulita. La mancanza di piste ciclabili, la rende però anche bersaglio delle auto e degli “scooteristi da Gp”. Poi, Roma non è Bologna: le distanze e i sali e scendi rischiano di ren- dere la bici solo un vezzo della domenica. Alla fine, il trasporto pub- blico sembra essere il modo più sicuro ed economico per circolare. Me- tro, tram e autobus saranno anche noiosi, ma per chi si sa armare di pa- zienza, sono una vera soluzione pro-sopravvivenza. E allora, forse, è il caso di rispolverare la vecchia massima “Meglio tradi che mai”. Il gran gusto di perdersi In Italia sono quasi il doppio degli omicidi Rinnovabili: tutta l’energia che conviene servizio pagg.4 e 5 servizio a pag. 6 15 GIUGNO 2009 Moto perpetua La generosa asticella che fa vincere tutti Servizio a pag. 3 di TIZIANA MIGLIATI di GRETA FILIPPINI di ALESSIO A VERSA Poesia Che fine hanno fatto le rime? Tra premi e piccole case editrici servizio a pag.2 Il Riformista Un giornalismo “vecchio stile” per battere la crisi servizio a pag.8 Inchiesta. La due ruote vince la gara nel traffico romano È il mezzo più fedele e più veloce (ma non sempre il più sicuro) Europee. Pdl e Pd, la gara delle cifre Nella maggioranza la Lega al 10%, nel centrosinistra Di Pietro all’8% Valerio Magrelli, 1999

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Periodico quindicinale della Scuola di Giornalismo dell'Università "Tor Vergata" di Roma

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Page 1: Periscopio 15 giugno 2009

Un salto in alto per battere unrecord, l’asticella sistemata

sul 45%, i muscoli caldi per lacampagna elettorale e il fiato,quello sicuramente, che nonmanca mai. Campo di gara le ele-zioni europee ed amministrative.Berlusconi ha affrontato la provapiù attesa: superare un risultatomai visto prima d’ora e lanciarela sua coalizione verso una mag-gioranza schiacciante in Italia.Tutti gli altri, i politici dell'oppo-sizione e del governo, con il fiatosospeso hanno atteso il risultatodelle urne. Con le loro previsio-ni: se andiamo sotto il 26% saràuna disfatta hanno detto al Pd.Se andiamo sopra il 45% sarà untrionfo dichiarava il premier.

Pronti, partenza,salto. Quell’asti-cella non è statasuperata. Non ècrollata, non èstata neppuresfiorata, ma nonè stata una disfat-ta. Eppure il pre-mier ha subito la sconfitta, comeun atleta che cadendo sul tappe-to ripensi con amarezza a tutta lapreparazione spesa per quell’oc-casione. Berlusconi ha affrontatola campagna elettorale in condi-zioni difficilissime, tra scandalipolitici, forzature istituzionali edisastri economici. Voleva stra-vincere, non solo vincere. E hatrasformato questo voto euro-peo in un referendum sulla suapersona, e in questo ha perso.

Ma i dati sonochiari. Il Pdl par-tiva dal 37,4%delle politiche2008. In un annoe mezzo il partitodel Presidente siaccredita di un35,3%: 2,1 punti

in meno. Insomma, il centrode-stra mantiene più o meno le sueposizioni. Insieme alla Lega nonarriva affatto allo storico Rubico-ne di ogni contesa elettorale re-pubblicana: il 50% dei voti. Ma ilCarroccio è in crescita, dall’8,3delle politiche al risultato a duecifre delle europee. E questo ri-sultato sposta gli equilibri nellamaggioranza.Il centrosinistra registra una pre-vedibile sconfitta, ma evita la te-

muta disfatta. Il Pd partiva dal33,2% delle politiche, e arretra al26,1% . È uno smottamento gra-ve, oggettivo. Ma non è una Ca-poretto, se si pensa che i sondag-gi dell'autunno, quando Veltronigettò la spugna, davano i demo-cratici al 22%. Franceschini nonpuò esultare. Ma può non dispe-rare. Il congresso di ottobre, inqueste condizioni, non è ancoraun allegro battesimo, ma non èpiù una cerimonia funebre.Qualcosa si può ancora costrui-re, tra i calcinacci e non tra le ma-cerie. Se a questo risultato si ag-giunge il bottino accumulato daDi Pietro, che veleggia al 8% ri-spetto al 4,4 delle politiche, e diCasini col 6,5% si ha la sensazio-ne che l’opposizione sia ancorain campo. Forse.

ANNO VIII 177

PERISCOPIOPERISCOPIOUniversità degli Studi di Roma Tor Vergata - Ordine dei Giornalisti del Lazio - Quindicinale del Master in Giornalismo e Comunicazione Pubblica

Redazione: Via Ridolfino Venuti, 87 - Roma 00162 - Tel./Fax 06.86391607 - www.periscopio.uniroma2.it

Guerre Fredde Dalla Corea del Norda Tienanmenl’Asia sotto i riflettori

Morti sul lavoro

Dormi ma senti frinire / remote / le rotative / rotanti nell’oscurità / per dare forma / all’aldiquà

servizio a pag.3

Per esplorare le coste ita-liane Riccardo Carno-

valini, fotografo della Spe-zia, conta soltanto sulle pro-prie gambe. 802 km a piediin 42 giorni, da Roma, risa-lendo il Tirreno. ClaudioMagris, scrittore e giornali-sta del Corriere, ci ha messoquattro anni per risalire ilDanubio, lungo tutti i suoi2860 km. Paolo Rumiz inbici è arrivato fino ad Istam-bul, mentre gli Appennini liha attraversati tutti a bordodi una Topolino del ‘53 tar-gata 25457AN. La suaprofessione è quella del viag-giatore. Un viaggiatore coltaccuino in tasca perché«l’andatura - sostiene - di-venta metrica, dunque nar-razione». Un viaggiatorelento, il triestino Rumiz.Che disdegna l’Alta Veloci-tà, gli aerei o le navi superveloci.I viaggi lenti sono una que-stione di imprevisti, di pae-saggi e di incontri. Perdersinello spazio vero è un’espe-rienza fantastica. Ma è dif-ficile smarrirsi in autostra-da, a bordo di un aereo chenon fa scali o seduti al tavo-lino di un Pendolino coi pol-pacci a ghiacciolo per via del-l’aria condizionata. In autostrada lo sai già: perchilometri vedrai sfilare sologrigi guardrail e moderniautogrill a soppalco sullequattro corsie. Sull’Euro-star il paesaggio lo intravedise sei attento, ma non lo sen-ti, chiuso ermeticamente inun tunnel di luci artificiali.Per non parlare dell’aereo

che ti porta a destinazionecosì come sei partito, avendoannusato soltanto il profu-mo di panini di plastica o ri-schiato di congelare la puntadel naso contro l’oblò persbirciare il mondo di Legosotto. Bisogna darsi del tem-po per vagare nello spazio eavere la pazienza di perder-si. Certo, non è facile: nonsiamo mai stati così reperi-bili come adesso. Telecameree Gps ci rendono localizza-bili in ogni momento. Siamoaffetti dall’ossessione di esse-re continuamente trovati, dicomunicare imperterritiquello che stiamo facendo. Che la nostra sia solo pau-ra? Ci viene detto di nonmuoverci perché potremmoessere contagiati da un virus,o di non emigrare perché ver-remmo rispediti al mittente.E quando partiamo appro-diamo spesso in villaggi va-canza, simulacri di casa no-stra dove al ristorante servo-no cucina italiana, non biso-gna uscire perché tanto den-tro c’è tutto e neanche orga-nizzare escursioni perchéson già tutte organizzate. Èl’illusione di viaggiare, den-tro e fuori da spazi fotoco-pia. E a forza di incanala-re il nostro movimento fisico,il rischio è che si incanalinoanche i nostri movimenti in-teriori, la nostra creatività.Da troppo tempo non conce-diamo a noi stessi il tempodi vagare per le nostre cittàsenza una meta. Ecco cosasono i viaggi di Carnovalini,Magris e Rumiz: un som-movimento della lentezza.

Sono circa 55mila i romani che ogni anno si presentano al prontosoccorso con disfunzioni cardiache. Almeno 25mila di queste sono

causate dal cosiddetto “stress da traffico”. Girare a Roma, con l’auto, ilmotorino o i mezzi pubblici può diventare un incubo. Per tutti i tipi diviaggiatori. I centauri sembrano avere vita facile, in verità sono le vitti-me reali delle strade capitoline. Le statistiche parlano di un morto algiorno sulle due ruote. Più sicura l’auto, ma con maggiori controindi-cazioni. Uno studio inglese commissionato da Direct Line ha, infatti,denunciato che a Roma i guidatori colpiti da stress da traffico manife-

stano aumento del battito cardiaco, mal di testa e forte sudorazione del-le mani. Nei casi più gravi, si aggiungono confusione, senso di nausea,e crampi allo stomaco. Allora la bicicletta! Sì, la bicicletta non ha pro-blemi di parcheggio, è salutare e pulita. La mancanza di piste ciclabili,la rende però anche bersaglio delle auto e degli “scooteristi da Gp”.Poi, Roma non è Bologna: le distanze e i sali e scendi rischiano di ren-dere la bici solo un vezzo della domenica. Alla fine, il trasporto pub-blico sembra essere il modo più sicuro ed economico per circolare. Me-tro, tram e autobus saranno anche noiosi, ma per chi si sa armare di pa-zienza, sono una vera soluzione pro-sopravvivenza. E allora, forse, è ilcaso di rispolverare la vecchia massima “Meglio tradi che mai”.

Il gran gustodi perdersi

In Italia sonoquasi il doppiodegli omicidi

Rinnovabili:tutta l’energiache conviene

servizio pagg.4 e 5

servizio a pag. 6

15 GIUGNO 2009

Motoperpetua

La generosa asticellache fa vincere tutti

Servizio a pag. 3

di TIZIANA MIGLIATI

di GRETA FILIPPINI

di ALESSIO AVERSA

Poesia Che fine hanno fattole rime? Tra premie piccole case editrici

servizio a pag.2

Il Riformista Un giornalismo“vecchio stile”per battere la crisi

servizio a pag.8

Inchiesta. La due ruote vince la gara nel traffico romanoÈ il mezzo più fedele e più veloce (ma non sempre il più sicuro)

Europee. Pdl e Pd, la gara delle cifre

Nella maggioranzala Lega al 10%,nel centrosinistraDi Pietro all’8%

Valerio Magrelli, 1999

Page 2: Periscopio 15 giugno 2009

Una nuova Guerra Fredda. Il rischio c’è,dopo la sfida lanciata dalla Corea del

Nord alla comunità internazionale. Tutto èiniziato a fine maggio, con il nuovo test nu-cleare (ancora più potente di quello del2006) e il lancio di tre missili dalla gittata di130 chilometri. Non solo. Qualche giornodopo, il governo di Pyongyang aveva di-chiarato di non sentirsi più legato all’armi-stizio del ’53, suscitando la preoccupazionedegli storici firmatari. Infine, in questi gior-ni, l’annuncio di voler usare l’intero pluto-nio disponibile per fini militari, in rispostaalla mozione approvata dal Consiglio di si-curezza dell’Onu. Un inasprimento dellesanzioni, questo, che è stato voluto dagliUsa, appoggiato in primis dalla Corea delSud e dal Giappone, i più minacciati. E sta-volta sostenuto anche da Cina e Russia, fi-nora contrarie a misure punitive nei con-fronti del regime di Pyongyang. Il testo deldocumento prevede sanzioni più severe:embargo delle armi, con divieto di tutte leesportazioni di armi della Corea del Nord e

della maggior parte delle importazioni dimateriale bellico. Inoltre via libera alle ispe-zioni, da parte dei paesi membri dell’Onu, atutti i cargo nordcoreani. Disposizioni pe-santi, motivate dalla gravità della prospetti-va di un ricorso all’arma nucleare da partedella Corea del Nord. Una minaccia che, in-sieme alla riconferma di Ahmadinejad allapresidenza dell’Iran (anch’esso in corsa peril nucleare), pone una forte ipoteca sulla po-

litica del dialogo annunciata da Obama nelsuo discorso al Cairo.Inoltre l’investimento nordcoreano nel nu-cleare, supportato dal Pakistan da cui con-tinua ad arrivare tecnologia clandestina,non fa che accentuare le contraddizioni diun Paese ancora molto debole sia dal pun-to di vista economico che tecnologico. In-fine a complicare lo scenario, ci sono gli in-

teressi che in Nord Corea hanno sia la Ci-na che la Russia, la prima, principale forni-tore di gas ed energia, la seconda, legata aPyongyang, per motivi storici e in funzio-ne antiamericana.Una sfida aperta rivolta in primis all’am-ministrazione Obama, dato che, secondoquanto riferito dall’agenzia Itar – Tass, ilregime nordcoreano non esclude di effet-tuare altri test nucleari se gli Usa conti-nueranno nella loro politica di “intimida-zione e di isolamento”. E la risposta delpresidente americano non si è fatta atten-dere: «Si tratta di una grave minaccia perla pace e la sicurezza del mondo intero».Solo qualche giorno prima, il segretario distato Usa Hillary Clinton aveva ribadito lapossibilità che la Corea del Nord vengapresto reinserita nella lista dei cosiddetti“paesi canaglia”, sponsor del terrorismointernazionale.

di MARIA CHIARA CUGUSI

PERISCOPIO2

Correva l’anno 1989.L’anno in cui la Cina si è

macchiata del sangue di mi-gliaia di studenti e giovanioperai in piazza Tienanmen,che inseguivano un ideale didemocrazia, diventando lapiù grande minaccia per ilgoverno comunista di DengXiaoping. Due mesi di pro-teste e sciopero della fame, apartire da aprile, contro unacrisi economica che i politicicercavano di nascondere.Oggi, dopo venti anni, la ge-nerazione distudenti di allo-ra, è quella cheforma la classeimprenditorialedella Repubbli-ca Popolare,trasformata in un gigante ca-pitalista. Ma la vergogna, perla notte del 3 giugno rimane.Nessuno ha posato un fioresu luogo del massacro, lo hadeciso il governo. Ancoraoggi non si conosce il nume-ro e i nomi degli studenti chenon si arresero di fronte aicarri armati, andando incon-tro alla morte.«Tutto è perduto fuorchél’onore», scriveva BeppeSevergnini, inviato del Cor-riere della Sera, a poche oredal massacro. Il giornalista,appena rientrato da Pechi-no, parlava di una «tragediascampata», di giovani pron-ti a lasciare la piazza, scon-fitti dalla leadership politi-ca, che aveva preferito pro-clamare la legge marziale eimpiegare l’esercito, invecedi aprire al dialogo. Piazza

Tienanmen era diventata lacasa dei contestatori, sup-portati dal popolo, che por-tava loro il cibo. Una «deadella democrazia» fatta dicartapesta, simboleggiava ilmotivo della protesta. Equando gli stessi giovani sipreparavano a tornare a ca-sa, per lasciare il posto «allecure di spazzini e disinfe-statori», Deng prese la de-cisione di far avanzare l’e-sercito e di sparare suchiunque ostacolasse il per-corso verso la piazza.Poche decine di morti, se-

condo fonticinesi. Organiinternaziona-li, tuttavia,avevano par-lato subito dioltre tremila

vittime. Il 4 giugno scorso,solo i media internazionalihanno potuto ricordarel’anniverario di Piazza Tie-nanmen. Non senza osta-coli però. Alcuni canali co-me la Bbc o la nostra Rai1,infatti, sono stati oscuratidurante i collegamenti con icorrispondenti. I giornalistihanno descritto una piazzamilitarizzata, una Cina sem-pre più chiusa e lontana. Aigiovani è stato impedito persettimane di accedere a In-ternet. Intanto Pechino siprepara a celebrare, il pri-mo ottobre, il sessantesimoanniversario della nascitadel Partito Comunista cine-se. Un partito che si è spor-cato le mani del sangue distudenti e operai, di cui an-che solo la memoria fa an-cora paura.

Piazza Tienanmenvent’anni dopo

Censure e controllila capitale

ignora l’anniversario

Così Pechino contrasterà gli Usa

Il ventennale della repressio-ne di piazza Tienanmen, la

crisi economica e i nuovi rap-porti con Mosca. La Cina at-traverso le parole di StefanoTrincia, giornalista specializza-to in russo e cecoslovacco, ol-tre vent’anni negli Stati Unitidurante i quali ha collaboratocon Rai e Panorama prima didiventare corrispondente per ilMessaggero. Quotidiano per ilquale guida, dal 2005, la reda-zione di esteri.Quali sono le relazioni traPechino e Mosca per il con-trollo delle risorse economi-che e naturali?«La Cina sta gestendo i rap-porti con la Russia in funzioneantiamericana. Con Mosca hauna storia molto travagliata,che risale ai tempi dell’impero

sovietico, macon Putin haun interesse incomune: con-trastare Was-hington attra-verso una co-operazione po-litica, economi-ca e militaresempre piùstretta. Nell’O-ceano Pacifico,di recente, sonogià state svolte manovre mili-tari congiunte».A vent’anni dalla repressio-ne di piazza Tienanmen, laminaccia più pericolosa perla Cina è interna o esterna?«Senza dubbio interna. Pechi-no non ha nemici esterni chepossano insediarne il predomi-nio. La Cina è un paese im-menso, con aree enormi anco-

ra radicatenel Me-dioevo euna popo-l a z i o n ea g r i c o l ache vive incondizionidi grandepovertà. Ilpericolo,per la lea-dership ci-nese, è le-

gato alla difficoltà di conciliarelibertà politica e libertà econo-mica. Sviluppo economico ca-pitalistico e panorama politicoautoritario e centralizzato».In che termini la crisi eco-nomica ha toccato la Cina?«La crisi ha colpito in manieramolto seria. La Cina è la fab-brica dei beni di consumo ditutto il mondo. Intere regioni

impegnate nella produzione dimerci per l’Occidente, hannorisentito pesantemente dellacrisi Usa. Tutto ciò, però,emerge appena nei media ci-nesi, schiacciati dal controllodel regime».In Mongolia i democraticihanno vinto le presidenzia-li. Cosa cambierà per Pechi-no dopo la battuta d’arrestodei comunisti di Ulan Ba-tor?«Realismo e pragmatismo so-no cardini della politica esteracinese. Pechino è disposta atrattare con tutti per difenderei propri interessi. Anche con laMongolia troverà un accordoper l’accesso alle risorse natu-rali: dei sommovimenti politicidei paesi confinanti, a Pechinointeressa poco. A meno chenon tocchino direttamente i lo-ro interessi economici».

Nel Pacifico una nuova cooperazione economica e militare con Mosca

La minaccia del regime: «Il plutonio

anche per scopi militari»

Corea del Sud e Giappone sono idue paesi che più temono l’a-

vanzamento del programma nuclea-re da parte della Corea del Nord.L’asse anti - Pyong-yang, apparentemen-te compatto, rivela inrealtà complesse sfac-cettature e delicatiequilibri che rischia-no seriamente di sal-tare. In attesa della disposizioneOnu che condannerà i test nuclearinordcoreani, effettuati in violazionedella risoluzione 1718, occorre te-nere ben presenti le ripercussioniche questa tensione nell’area asiaticasta creando alla politica estera diSeul e Tokyo.

La Corea del Sud, continuamenterassicurata dal governo statunitense,ha cercato di reagire alla spinta nu-cleare del vicino aderendo alla Proli-feration security initiative (Psi), un grup-po di 94 nazioni guidato dagli Stati

Uniti che ha però ilsolo scopo di “conte-nere” la proliferazio-ne atomica. Di fatto ilpaese, in piena reces-sione, è diviso al suointerno tra una ten-

denza intransigente dell’attuale go-verno del presidente Lee e un’éliteeconomica che non intende inter-rompere gli scambi con il Nord néfermare la produzione industrialecongiunta.La penisola coreana, contesa per se-coli da Cina e Giappone, è ancora

oggi testimonianza vivente dellaGuerra Fredda. Dall’armistizio fir-mato nel 1953, non esiste un docu-mento che sancisca la pace reale odefinisca in qualche modo i rappor-ti tra le due Coree. In ogni caso, do-po gli anni di aperturaal Nord con la “suns-hine policy” dell’expresidente sudcorea-no Kim Dae Jung,proseguita da RohMoo Hyun, la situa-zione tra Pyongyang e Seul sembrabloccata.Il Giappone, dal canto suo, temefortemente un potenziamento nu-cleare del vicino comunista, trovan-dosi inoltre limitato su due fronti.Da un lato c’è l’impossibilità delpaese di attrezzarsi adeguatamente

dal punto di vista militare (dopo laseconda guerra mondiale, al gover-no nipponico è consentito solo l’uti-lizzo interno di forze di autodifesa);dall’altro una paralisi istituzionale staconducendo il Giappone ad un iso-

lamento internaziona-le e ad una perdita dipotere diplomatico,dimostrata dal ruolomarginale assunto neinegoziati sul nuclearein nord Corea. Il go-

verno di Tokyo vuole infine che aPyongyang si faccia chiarezza sui ra-pimenti di 18 cittadini giapponesi,avvenuti negli anni ’70 e ’80. Diffici-le prevedere gli scenari futuri: in Co-rea del Sud e Giappone si parla sem-pre più di accelerare il riarmo, comese la diplomazia stesse già fallendo.

Il regime coreano fa paura a Tokyo e Seul

di TIZIANA GUERRISI

Sconfitti i comunistialle presidenziali.

A guidare il paese,ricco di risorse naturalie da sempre nell’area

d’influenza cineseè Tsakhiagin Elbegdorj

uomo forte del partito democratico

Gli interessi economici dividono la Corea del Sud. Il Giappone schiacciato dalla crisi istituzionale

MONGOLIA

Dopo la distensioneora è il gelo

tra le due Coree

Asia. La Corea del Nord corre verso il nucleare e l’apertura di Obama per ora cade nel vuoto

di ARIANNA PESCINI

PERISCOPIOnumero 177 registrazione

del Tribunale di Roma n. 395/98

Direttore responsabileGuido Alferj

Comitato di direzioneAngelo G. Sabatini (condirettore), Bruno Tucci,Gino Falleri, Filippo Anastasi, Claudio Rizza,

Ignazio Ingrao, Daniele Mastrogiacomo,Federica Sciarelli, Maria Francesca Genco,

Franco RosatiRedazione

Martina Albertazzi, Roberto Anselmi, Aida Antonelli, Valentina Antonioli, Alessio Aversa,Flora Balestra, Maurizio Biuso, Alessia Candito,

Francesco Colussi, Ilaria Costantini, Maria ChiaraCugusi, Emiliano Dario Esposito, Greta Filippini,Gianluca Galotta, Tiziana Guerrisi, Filomena LaTorre, Giuliana Lucia, Tiziana Migliati, Claudia

Moretta, Arianna Pescini, Francesca Pintor, Ales-sandro Proietti, Paolo Ribichini, Cristoforo Spi-nella, Andrea Tornese, Emilio Fabio Torsello, Si-

rio Valent, Federica VeneziaGrafica e impaginazione a cura della Redazione

TipografiaGRUPPO COLACRESI &C.Via Tazio Nuvolari, 3 e 16 - 00011 Tivoli Terme (Roma)

Responsabile del trattamento dati(D.Lgs. 30-6 2003, n.196), Guido Alferj

di MARTINA ALBERTAZZI

Nel sud-est asiaticosi attende

il parere dell’Onu

Pyongyangsfida tutti

Per la prima volta proteste da Russia e Cina

Page 3: Periscopio 15 giugno 2009

Diciotto minuti tagliando ilcentro storico e zigza-

gando nel traffico. Non c’èdubbio: dal Policlinico al Mini-stero dell'Istruzione il motori-no è il mezzo più veloce. Pri-ma un tratto del Muro Tortofino a Porta Pia e poi la svoltaverso Largo di Santa Susanna.All’altezza del semaforo le sca-le della chiesa invase dai turistiin cerca di foto, catturati dallestatue che sorvegliano la cintadel centro storico segnata daivarchi della ZTL.Su via Venti Settembre mac-chine blu, vetture dell’esercitoe del corpo diplomatico aspet-tano in fila che si aprano leporte dei ministeri e dei palaz-zi istituzionali. La polizia sor-veglia il traffico lento mentregli autisti si accodano lungo imarciapiedi in doppia fila. Duecorazzieri a cavallo fanno l’an-datura fino a scomparire oltrele porte del Quirinale. Al se-maforo che immette su viaQuattro Novembre gli auto-bus che scendono da via Na-zionale e i taxi si dirigono ver-so piazza Venezia, l’unico in-crocio ancora governato da unuomo in guanti bianchi e rottodai turisti che passano in filasulle strisce. In motorino siguadagna presto la pole posi-tion davanti al vigile che bene-

volo fa cenno di passare velo-ci, ed ecco l’Altare della Patria,il Campidoglio, e poi nel traffi-co sul Lungo Tevere versoLargo Arenula e il Ponte Gari-baldi. La statua del Belli segnal’inizio di viale Trastevere con isuoi semafori e la corsia prefe-renziale che non permette sor-passi alle due ruote fermate daicordoli e dai binari del tram.Eccolo, imponente, il Ministe-ro dell’Istruzione.

Tic-tac. È partito il tempo.Saluto i miei colleghi e par-

to con la mia utilitaria, direzio-ne viale Trastevere.Dalla fermata metro Policlinicopercorro via Regina Elena. Al-l’incrocio giro a destra. Vialedell’Università è un po’ intasato,colpevole un piccolo cantieresul ciglio della strada. Al sema-foro, però, le macchine si dis-

perdono. Primo ostacolo. Nonpossiamo addentrarci tropponel centro di Roma perché mol-te zone sono a traffico limitatoe se non vogliamo rischiare unabella multa, noi automobilisti,dobbiamo prenderla alla larga.Quindi al verde subito a destra,direzione Muro Torto.Secondo ostacolo: la tempera-tura che può raggiungere unamacchina sotto il sole cocente.Siamo fortunati. A quest’ora l’a-ria che entra dal finestrino è an-cora fresca e tutto fila liscio finoa piazzale Flaminio. Ma nonsiamo ancora arrivati.Terzo ostacolo, ovviamente, iltraffico. Su Lungotevere, in de-terminati orari, infatti, si passa-no le ore e i romani doc lo san-no bene. Ma, magia delle magie,alle 10.15 siamo ormai fuoridell’ora del famoso “passod'uomo”. La città è tranquilla.Molti sono già in ufficio e lestrade sono facilmente percor-ribili.Finalmente raggiungiamo il mi-nistero dell’Istruzione. Con 28minuti conquistiamo la secondaposizione, sorpassati dal moto-rino.Certo se a questo aggiungiamola routine “stesso tragitto casa-lavoro ogni mattina”, il trafficodi punta, la fretta, il parcheggioimpossibile, la nostra traversatapanoramica non risulterebbecosì attraente e romantica.

Pronti, partenza, via! Inizia la gara, dallafermata metro Policlinico fino al ministe-

ro dell'Istruzione in viale Trastevere. In bici,in macchina, in motorino, con i mezzi pubbli-ci, metro compresa. Quattro temerari redatto-ri di Periscopio hanno voluto scoprire qualefosse il mezzo più veloce per muoversi in unacittà come Roma. Alle 10.05 di un normale martedì di lavoroscatta il cronometro. I fantastici quattro si di-vidono, ognuno per la sua strada. Non è unascelta. I diversi mezzi, infatti, non permettono

di calcolare il tempo sul medesimo tragitto. Maanche questo fa parte del gioco. Tutto calcola-to. Quindi in marcia, verso il ministero. Chiper il centro, chi per il Muro Torto e chi sottoterra. E il vincitore? Al primo posto il motorino, se-

guito dall’auto, dalla bicicletta e, solo per ulti-mi -ahimè- da metro e autobus.Una vera competizione conclusasi a favore dei“comodoni” che hanno il privilegio di contaresu un mezzo motorizzato. L’orario però, puravendo salvato i nostri redattori da ore di traf-fico sotto il sole cocente, non ha reso molto ono-re alla caotica circolazione nella Capitale.Fatto sta che il mezzo pubblico rimane in ul-tima posizione. Vediamo percorso per percorso cosa hannocombinato i nostri inviati speciali.

PERISCOPIO 3

18’ 00’’

MOTORINO

Si viaggia discretamentema che noia le attese. È

questa l’impressione dopoaver percorso, in una matti-nata feriale, il tragitto Poli-clinico-Ministero dell’Istru-zione a bordo dei mezzipubblici. Ci sono voluti 46minuti, di cui venti di attesa,per completare il “GranPremio del Traffico”. Il viaalle 10.05 dalla fermata Po-liclinico della metro B. Sullabanchina molta genteaspetta uno dei treni cheviaggiano nella pancia dellacittà eterna. L’attesa, sei mi-nuti, è piuttosto lunga perun servizio ad alta frequen-za come la metropolitana.E infatti la banchina è affol-lata: giovani, immigrati, tu-risti, religiosi. Pochi gli an-ziani, forse per loro la me-tro non è un mezzo molto

agevole. Il treno è pieno,molta la gente in piedi. Allafermata di Termini i vagonisi svuotano. Ma è solo un’il-lusione di qualche istante:immediatamente salgonotantissime persone e si tor-na a stare stretti. Il viaggioin metro termina alla fer-mata Circo Massimo, dopocinque tratti percorsi in ot-to minuti. Si torna in super-ficie ed ecco, a cinquantametri dall’uscita della me-tro, la fermata dell'autobusnumero 3. Manca la pensili-na e il sole cocente si fasentire. L’autobus arriva,stracolmo, dopo 14 lunghiminuti di attesa. Rispetto al-la metro qui ci sono anchemolti anziani, per loro l’au-tobus è un mezzo sicura-mente più comodo. Il tem-po di percorrenza è abba-stanza buono: sette ferma-te, in 13 minuti, anche gra-zie alle corsie preferenzialidi viale Aventino e via Mar-morata. Una nota positiva èsicuramente il rispetto degliautomobilisti delle corsiepreferenziali. Dopo 46 mi-nuti ecco la bandiera a scac-chi.

METRO E BUS

Due considerazioni. Laprima è che non si

può non scendere dalla sel-la. La seconda è che si de-vono compiere delle infra-zioni. Pedalare a Roma nonè semplice. Dalla metro Po-liclinico a Trastevere sono30 minuti, comprensivi dipit-stop dal meccanico pergonfiare le gomme (gratis).Trenta minuti di viabilità in-sidiosa. Il percorso, innan-zitutto, deve essere sceltoaccuratamente bilanciandouna minor ripidezza dellacarreggiata con una mag-gior sicurezza sulle dueruote. Passare per PortaPia, attraversando veloce-mente la rotonda senza in-castrarsi nei binari del tram,zigzagando tra le macchinein coda. Da lì a Piazza Ve-nezia è tutta in discesa. Conla dovuta attenzione a nonfarsi scappare il manubrioper una delle tante buche, isanpietrini sono un tocca-sana per rassodare glutei ebraccia. Da Largo Argenti-na, però, la situazione sicomplica. Il Lungotevere èuna via ad alta percorrenza,dunque bisogna tagliare dal

Ghetto. Attraversamentipedonali percorsi con i pie-di a terra e la bici in mano,sensi imboccati al contrarioe piccole distanze coperteandando su e giù dai mar-ciapiedi. Il ciclista non con-ta granché sulle strade diRoma. Ma sono in tantiquelli che non rinuncianoad usare le due ruote. Incentro, capita spesso di in-contrare un prete su unavecchia Graziella, una ra-gazza su una mountain bi-ke, un uomo in giacca e cra-vatta che per salvaguardarel’orlo dei pantaloni dai rag-gi delle ruote, li infilza neicalzini. A destinazione, ilproblema parcheggio nonc'è. Un catenaccio robustoe un palo ben fissato, in at-tesa della pedalata di ritor-no.

BICICLETTA

E la moto batte tuttiL’inchiesta-percorsoper testare i tempi del vivere romano

Romaa due ruoteuna passione da record

Chi va piano nonva lontano

La pedalatatorna di moda

di TIZIANA MIGLIATI di FLORA BALESTRA

La comoditàche aiuta a non fartardi, a volte! 27’ 48’’

AUTOMOBILE5.7 milioni

Spostamenti giornalieridi cui con mezzi privati 54%

con autobus, metro, tram 28%a piedi 19%

2.5 milioniVeicoli circolanti

di cui autovetture 75.7%motocicli 15.1%

autocarri e altri veicoli 8.7%autobus 0.3%

926Veicoli/1000 abitanti

5000 KmStrade comunali

di GIANLUCA GALOTTA

New York Times del 26 mar-zo. Titolo, “Students give

up wheels for their own twofeet”. Tradotto, gli studenti ri-nunciano alle due ruote a favoredei due piedi. Il giornale dellaGrande Mela parla del Piedibusitaliano. L’iniziativa che partedalla Danimarca e fa riscoprire lasana abitudine dell’andare ascuola a piedi. Il Piedibus fun-ziona come un vero autobus,con tanto di itinerario, orari efermate prestabiliti. Ogni matti-na due adulti, genitori o parentivolontari (i nonni sono i più get-tonati), indossano pettorine

fluorescenti e si dividono duefunzioni, quell’autista e quelladel controllore. I bambini si fan-no trovare alla fermata per loropiù comoda e in gruppo si avvia-no alla scuola. I Piedibus in ser-vizio nella penisola sono tanti: inEmilia Romagna, Friuli, Lom-bardia, Sardegna, Toscana e Ve-neto. A Roma il progetto si chia-ma “Scuolabus a piedi” ed è par-tito nel 2005. Gli itinerari nellaCapitale si snodano, secondo leesigenze delle scuole nei varimunicipi, anche per 2-2,5 km,per un totale di 30-40 minuti apiedi. Contro l’obesità, a favore

di GRETA FILIPPINI

Piedibus,ed è successo per una vecchiae sana abitudine

30’ 00’’46’ 00’’

L’avventura di quattro redattori nella Capitale del traffico

Page 4: Periscopio 15 giugno 2009

Il 26 maggio a Sarroch, 35 km adovest di Cagliari, tre operai hanno

perso la vita in una delle raffinerie piùgrandi d’Europa, la Saras dei fratelliMoratti. Il più giovane, Luigi Solinas,aveva solo 25 anni: insieme a lui sonomorti Daniele Melis, di 27, e BrunoMuntoni, 52, padre di quattro figli.Tutti e tre lavoravano per una dittad’appalto, la Comesa Srl, che gestiva lamanutenzione degli impianti. Doveva-no pulire una cisterna della raffineriadestinata a contenere gasolio. Il primoa entrare nel serbatoio è stato Solinas,senza maschera di proiezione. L’uomosi è sentito subito male. Gli altri lo han-no seguito nel tentativo di salvarlo, manon c’è stato nulla da fare. Sono cadu-ti ad uno uno, uccisi dalle esalazionitossiche.Ora le inchieste della magistratura edell’azienda, dovranno dare risposta al-le domande lasciate aperte dal tragicoincidente. Si tratta di capire, infatti, se ilserbatoio fosse stato sottoposto allanecessaria bonifica con l'azoto, che neavrebbe dovuto garantire la cosiddetta“abitabilità”, e chi avrebbe dovuto vi-gilare sullo svolgimento della manu-tenzione. Secondo una prima ipotesi,Solinas, sarebbe entrato nella cisternasenza il necessario permesso di lavoro.La bonifica, secondo i vertici dell’a-zienda, sarebbe stata conclusa solo ilgiorno dopo la tragedia. Una fatale im-prudenza, dunque, dovuta forse allafretta o all’assenza di segnali di divieto.Secondo i sindacati gli operai erano co-

stretti a turini massacranti per conclu-dere i lavori il prima possibile. Una pri-ma risposta potrebbe arrivare dai risul-tati dell’autopsia eseguita sui corpi del-le vittime: le analisi del sangue stabili-ranno, infatti, se l’insufficienza respira-toria che ha provocato la morte dei treoperai è stata causata dall’anidride sol-

forosa, ancora presente nel serbatoio,o dall’azoto usato per la bonifica..Intanto l’impianto è stato sequestrato.Quattro persone sono state iscritte nelregistro degli indagati per omicidiocolposo plurimo, tra cui Guido Gros-so, direttore dello stabilimento, il caposquadra Giannino Melis, il capocantie-

re Vincenzo Meloni e il direttore Fran-cesco Ledda. I magistrati stanno lavo-rando anche sull’inchiesta avviata agennaio dopo la visione del documen-tario Oil, del regista Massimiliano Maz-zotta, che denuncia i rischi per la salu-te e il presunto inquinamento causatidalla Saras.

PERISCOPIO4

Si continua a morire sul lavoro. Larecente tragedia negli impianti di

raffineria della Saras mostra quantoancora il fenomeno sia lontano dal-l’essere risolto. Intanto i sindacaticontinuano a protestare chiedendol’applicazione di una normativa rigo-rosa ed efficace che riduca effetiva-mente gli infortuni e i rischi per la sa-lute e la sicurezza dei lavoratori.«Più morti sul lavoro che omicidi».Aveva sentenziato il Censis (Centrostudi investimenti sociali) analizzan-do le morti sul lavoro nel 2007.«1.170 operai - afferma la nota - han-no perso la vita. I decessi sul lavorosono quasi il doppio degli assassinati,ma le autorità si concentrano più sul-la criminalità».Le cose sono andate un po’ meglionel 2008, ma i numeri continuano co-munque a preoccupare.Secondo le stime dell’Inail (Istitutonazionale per l’assicurazione controgli infortuni sul lavoro), si è passati a1.140 morti, con un calo del 4,1% de-gli incidenti e del 5,6% dei decessi.L’Italia è comunque il paese europeodove si muore di più sul lavoro, qua-si il doppio della Francia e il 30% inpiù rispetto a Spagna e Germania. Ilnumero di morti sul lavoro nel no-stro paese, anche se in calo rispettoagli anni scorsi, è diminuito menoche nel resto d’Europa. L’ultimo epi-sodio è stato registrato a Bari dove haperso la vita un operaio navale di

Molfetta, Donato Pansini, a causa diun’esplosione verificatasi nel cantierein cui stava lavorando. L’uomo, tra-sferito d’urgenza all’ospedale Carda-relli di Napoli, è deceduto a causadelle gravissime ustioni riportate per

il 90% del corpo.Secondo alcuni risultati resi notinel secondo rapporto sulla “Tutelae condizione delle vittime del lavo-ro tra leggi inapplicate e diritti ne-gati”, presentato dall’Anmil, negli

ultimi dieci2004, la pervoro si è25,49%.Mediamenteuropei la f

Sì al testo unicosulla sicurezza

Troppe morti sCensis, nel nostro paese più decessi in fabbrica e in ca

di FRANCESCA PINTOR

Molfetta 3 marzo 2008, cinque morti alla “Truck center”.Sulla scia dell’ennesimo incidente ad aprile 2008 viene

approvato il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, Tusl. Undecreto teso ad armonizzare le leggi vigenti ed estendere san-zioni e disposizioni a tutti i settori e tipologie di rischio e dilavoratori. Un’esigenza sottolineata anche dalla Relazione fina-le della Commissione d’inchiesta del Senato sugli infortuni sullavoro, dalla quale emergevano alcune criticità: mancato coor-dinamento dei soggetti competenti in materia, binomio sicu-rezza-prevenzione e sommerso-infortuni.Per il datore di lavoro che non rispetta le norme del Tusl è pre-visto l’arresto fino a 18 mesi e una sanzione amministrativa fi-no a 24mila. In caso di incidenti con feriti/morti con colpadell’azienda scatta la sospensione dell’attività e sanzioni fino a1.500.000 euro e l’interdizione alla collaborazione con la pub-blica amministrazione. Tra gli interventi più importanti: obbli-go del datore di lavoro alla formazione, informazione e adde-stramento del lavoratore; responsabilità dell’appaltatore in me-rito agli infortuni dei lavoratori delle ditte appaltatrici; esten-sione delle tutele ai lavoratori flessibili; istituzione dei rappre-sentanti dei lavoratori per la sicurezza eletti in ciascuna azienda in-dipendentemente dal numero di dipendenti.Non sono mancate le polemiche. Per la Cgil è una modificanon necessaria che fa venire meno la certezza della norma. Piùdura la reazione di Di Pietro che ha parlato di «licenza di uc-cidere», perché «si restringe l’intervento degli ispettori del la-voro e si indeboliscono le sanzioni per gli imprenditori chenon applicano la disciplina sulla prevenzione». Mentre per l’al-lora presidente di Confindustria, Luca Cordero di Monteze-molo, «le pene non salvano una vita».

Thyssen, manager alla sbarra

«All’inizio si trattava di un incen-dio piccolo, proprio sotto la

macchina spianatrice, sul pavimentointriso di olio». Racconta al processo,la voce rotta, lo sguardo perso, Anto-nio Boccuzzi. «Provai a usare il mioestintore, ma era vuoto». Torino, 6dicembre 2007. All’acciaieriaThyssenKrupp, sulla linea 5 la squadraè al lavoro da quasi 12 ore. Lo stabili-mento è in via di smantellamento. Invista della dismissione, manutenzione

e sicurezza sono trascurate. I lavora-tori, costretti a turni massacranti.Duecento operai fanno quello che fi-no a pochi mesi prima facevano in385. «Ci fu un’esplosione sorda. Le fi-amme diventarono enormi: unagrossa mano di fuoco, un’onda anom-ala che inghiottì i ragazzi». Di quellasquadra Antonio Boccuzzi è l’unicosopravvissuto, l’unico che può raccon-tare ai giudici cosa sia successo quellanotte. Il primo a morire è AntonioSchiavone. La sua battaglia per la vitaè durata solo poche ore. Nei giorniseguenti, tra il 7 e il 30 dicembre, loseguiranno gli altri sei. Roberto Scola,Angelo Laurino e Bruno Santino. Nelgiorno del funerale della quinta vitti-ma, Rocco Marzo, arriva la notizia deldecesso di Rosario Rodinò. GiuseppeDe Masi muore dopo quasi un mesedi agonia e un rosario di inutili inter-venti chirurgici. Mentre la magistratu-ra muove i primi passi, la multi-nazionale tenta di coprire le falle a liv-ello di sicurezza. L’inchiesta, avviatadal procuratore aggiunto Raffaele

Guariniello procede con celerità. Pocopiù di un anno dopo, il 17 dicembre2008, il gup di Torino Francesco Gi-anfrotta, legge quella sarà definita una“sentenza storica”: il primo rinvio agiudizio per omicidio doloso in un ca-so di infortunio sul lavoro.Sul banco degli imputati, sei dirigentidella Thyssen accusati di omicidiocolposo con colpa cosciente. Fra loro,l’amministratore delegato, Herald Es-penhahn, che dovrà rispondere anchedi omicidio volontario con doloeventuale e incendio doloso. Per ilpm Guariniello, Espenhahn e i suoierano al corrente dei rischi concretiper la salute degli operai e non hannomosso un dito per prevenire gli inci-denti. «Li hanno ammazzati loro edevono andare in galera», ha mor-morato Rosina De Masi, la mammadi una delle sette vittime al terminedella prima udienza. «Mi spiace so-lo - aggiunge la donna - che proba-bilmente non avranno l’ergastolo.Io invece mio figlio non lo rivedròmai più».

di GIULIANA LUCIA

Non c’è solo chi disattende i re-golamenti. Fra le aziende ci

sono anche quelle che si impeg-nano a seguire tutte le indicazioniche detta la legge in fatto di si-curezza sul lavoro.Il Great Place to Work Institute Italia,incentivando le aziende a migliorareda questo punto di vista, premiacon un’annuale classifica chi harispettato le regole. L’indagine diquest’anno ha premiato la Fater.L’industria, che si occupa della pro-duzione di articoli igienici per notimarchi come Lines, Tampax e Pam-pers, è l’azienda italiana dove si la-vora meglio, assicurano gli espertidel Work Institute.Sono cento le aziende esaminate.La selezione è stata fatta in base al-la qualità delle pratiche organizza-tive di ognuna mediante un ques-tionario di “rilevazione dellapercezione”, distribuito ai dipen-denti. Al secondo posto della clas-sifica si trova la Microsoft Italia,seguita dalla Coca-Cola Italia, alterzo, dalla Cisco Systems Italy, alquarto.«Il merito va alla nostra filosofia -ha detto il Direttore Generale del-la Fater, Roberto Marinucci, sod-disfatto per il primo posto rag-giunto dalla sua azienda - chemette al centro di tutto i dipen-denti, sempre coinvolti negli obiet-tivi aziendali, i consumatori, a cuichiediamo sempre riscontri condomande su come cambiano i lorogusti».

Un premioa chi tutela

m.b.

di MAURIZIO BIUSO

di ALESSIA CANDITO

Saras, prosegue l’inchiesta sull’incidenteI magistrati stavano già indagando da mesi, dopo la denuncia di un documentario

Situazione drammatica: perdono la vita, ogni anno, più di

Lo stabilimento Thyssen di Torino

Page 5: Periscopio 15 giugno 2009

Lazio, da gennaio già 21 vittime

PERISCOPIO 5

Lavoro nero. Al buio della legge, dal di-ritto, dal fisco, spesso del più ovvio ri-

spetto dell’umanità. Ed il primato è tuttonostro: al primo posto tra i paesi dell’Euro-pa occidentale, secondo un’indagine di Eu-robarometro dello scorso anno, c’è propriol’Italia, con una percentuale di compensi“fuori busta” intorno ai sette punti. Lavoroprivato, imprese di pulizia, pizzerie, risto-ranti, alberghi, aziende fornitrici di servizi,addirittura associazioni onlus: le prestazionilavorative non regolarizzate sono in ognisettore produttivo.Parossistico il caso delle imprese edili. Sonooltre cinquemila le aziende del settore chenegli ultimi tre anni hanno eseguito lavori di

ristrutturazione dichiarando al fisco zeroreddito e zero dipendenti. Nessun miracolo,si tratta di una vera e propria frode: attornoa queste attività ruota un’ampia fascia di la-voro nero. Solo di recente la Guardia di Fi-nanza ha scoperto, nell’ambito di una se-rie di controlli effettuati in tutto il territo-rio nazionale, circa 10 mila posizioni lavo-rative irregolari.Molti italiani, tra le vittime del lavoro ne-ro. Disoccupati, studenti, lavoratori auto-nomi persino professionisti. Il fenomenoè più diffuso tra gli uomini. Sempre se-condo Eurobarometro, il 6% della popola-zione maschile riconosce infatti di aversvolto lavoro irregolare negli ultimi 12mesi, mentre in quella femminile la per-centuale si attesta al 3%.

Ma il vero problema riguarda i lavoratori innero extracomunitari, che essi siano in rego-la o meno con il permesso di soggiorno.Non è raro che svolgano, infatti, lavori peri-colosi, in condizioni lontane dai canoni di si-curezza stabiliti dalla legge.Certo, per Ismu, Iniziative e Studi sulla MultiEtnicità, il rapporto tra operai stranieri e in-cidenti sul lavoro che li vedono coinvolti ènella norma, ma mancano attendibili stimesu quanto resta sommerso. Ed una praticadiffusa, riguardante i clandestini vittime deicantieri in cui lavorano in nero, non accennaad essere accantonata: la loro regolare con-trattualizzazione il giorno stesso dell'inciden-te fatale, quasi una grottesca fortuna rispettoa chi, fra loro, perde la vita e scompare nelnulla, come non fosse mai esistito.

i anni, tra il 1995 e ilcentuale di morti sul la- abbassata solo del

e invece negli altri paesiflessione è stata pari al

29,41%. In Germania la riduzioneha quasi toccato la metà (-48,3%) ein Spagna il 33,64%.Secondo la Fillea Cgil sarebbero aRoma e nel Lazio quasi 100 i mor-ti sul lavoro negli ultimi 5 anni.

Si chiamava Victor Ariton, 51 anni, romeno,ed è volato giù da un palazzo in costruzio-

ne, in un cantiere di Roma il nove giugno. È luil’ultima vittima sul lavoro tra gli edili nella re-gione. Ventuno, le morti bianche nel Lazio dalprimo gennaio 2009 ad oggi. A censirle è An-mil, associazione nazionale mutilati ed invalididel lavoro. La provincia di Roma quella in cui siè registrato il maggior numero di decessi: diecidall’inizio dell’anno, sette nella sola Capitale.Il mese più straziante è stato marzo, in cui seilavoratori hanno perso la vita. La maggioran-

za delle vittime, stando ai resoconti dell’An-mil, è composta da italiani. Oltre alle diecimorti bianche in provincia di Roma, l’asso-ciazione ne rileva quattro a Viterbo, altrettan-te a Latina e tre a Frosinone. Cinque sono sta-te le vittime di cadute da tetti, scale o impalca-ture in cantieri.Nei luoghi di lavoro si continuano a registra-re oggettivi e inaccettabili ritardi nell'attuazio-ne del Testo Unico sulla sicurezza; e, a peg-giorare la situazione si profilano le ipotesi disnaturamento e depotenziamento del quadronormativo e sanzionatorio che potrebberorendere la messa in sicurezza solo un mirag-

gio. «Ci chiediamo - ha dichiarato in merito ilsegretario generale Flai Cgil, Stefania Crogi -quanto sangue dovrà ancora essere versatoperché lavorare in sicurezza diventi un dirittoconsolidato per i lavoratori. È il momento didire basta con gli incidenti sul lavoro e dichiedere agli imprenditori per quale ragionenon fanno nulla per stroncare questa piaga.Quello che si dovrebbe fare per arginare il fe-nomeno degli incidenti e delle morti biancheè scritto nero su bianco. Basterebbe che fos-se applicato anziché ostinarsi a chiedere unarivisitazione delle legislazione in materia di si-curezza».

Incidenti sul lavoro, nuove norme sulla si-curezza e garanzie per i lavoratori stranie-

ri. Sandro Grugnetti, segretario generale del-la Fillea-Cgil di Roma, intervistato da Peri-scopio, offre un quadro esaustivo sulladrammatica vicenda delle morti bianche nel-la Capitale.Norme sulla sicurezza, quali sono state lenovità e l’atteggiamento del Governo?Il Testo Unico, che raccoglie le leggi, sia la626 che la 494 (direttiva cantieri), approvatolo scorso anno ad aprile, è stato depotenzia-to da questo governo. Al testo è stata tolta laparte che noi del sindacato ritenevamo piùconsistente. Nel precedente testo c’era unmodello sanzionatorio molto pesante. Que-sto governo ha diminuito la responsabilitàdel committente e dell'impresa sui subappal-ti.Problema dei lavoratori stranieri. Qual èla situazione nei cantieri del Lazio?Con la nuova norma è obbligatorio fare ilcorso sulla sicurezza prima dell'assunzione.Sono 16 le ore in tutto. Negli enti bilateralidel settore delle costruzioni i corsi di sicu-rezza vengono fatti gratuitamente per tuttele aziende che rispettano la regolare contri-buzione. Molte volte gli operai immigrati la-vorano a nero ed i controlli delle Asl ci sonouna volta ogni 25 anni. In Italia, poi, non c’è

una cultura della sicurezza. A Roma ci sonosu 60mila lavoratori regolari, 30mila sonostranieri e di questi 25mila sono rumeni. Ilnumero degli ispettori è insufficiente, ancheperché devono essere controllati anche glialtri settori. Fino a poco tempo fa erano so-lo 12 gli ispettori per tutta la provincia di Ro-ma.Com’è strutturata la figura dei rappre-sentanti dei lavoratori per la sicurezzaterritoriale?Noi del sindacato abbiamo istituito gli Rlst, irappresentanti dei lavoratori per la sicurezzaterritoriale, mettendoli nei diversi cantieri eda disposizione delle imprese. Non tutte però,e sono circa il 91% con meno di dieci di-pendenti a Roma, ne usufruiscono sceglien-do di continuare a stare ai margini della le-galità.Il settore dell’edilizia paga un pesante tri-buto rispetto agli altri settori, è alto il nu-mero dei decessi anche rispetto al passato?Sono tanti, troppi rispetto agli altri compar-timenti. Guardando le cifre degli anni scorsi,oggi nel 2009 si può vedere come i numeristiano tornando a livelli preoccupanti. Siamoalla fine del primo semestre e già i morti nelLazio, nel settore dell'edilizia, sono otto. Nel2008 il totale fu di dieci deceduti. Dal 1990al 2000 il numero è stato controllato e dal2001 c’è stata un’impennata di infortunimortali.

Grugnetti: «Nei cantieri non si fanno controlli»

senza coloreantiere che omicidi. In Europa non è così

di ALESSANDRO PROIETTI

In Italia, dove il lavoro è più nerodi EMILIANO DARIO ESPOSITO

di VALENTINA ANTONIOLI

Donne einfortuni

Le parole sono importanti, ed il vero nome delle mor-ti bianche è, spesso, “omicidio volontario con dolo

eventuale”: quello dell’accusa per cui verrà giudicatoHarald Espenhahn, Amministratore Delegato diThyssen. Il quotidiano online Articolo21 ha dato il via aduna campagna perché non si usi più questo termine im-prorio. «Non c’è alcunché di bianco, di candido, in quellemorti. Quelli sul lavoro sono morti in modo violento etragico. E non sono tragiche fatalità», scrive StefanoCorradino. Un vero e proprio appello, cui hanno ader-ito, fra i tanti, Paolo Serventi Longhi, il direttore diRainews24 Corradino Mineo, Roberto Natale, il diret-tore del Tg3 Antonio Di Bella, la televisione online delPd YouDem.

250milagli infortuni delle donne

(il 27,5%)

100i casi mortali

88,6%le donne infortunate

tra gli addettiai servizi domestici

73,5%tra gli operatori di sanità

53,3%tra gli occupati

nella ristorazione

(Dati Inail 2007)

e.d.e.

«Ma non chiamatelemorti bianche»

mille operai. Continuano le proteste sindacali

Operai extracomunitari al lavoro in un cantiere edile

Senza contratto, senza diritti: i pericoli dell’occupazione irregolare

Page 6: Periscopio 15 giugno 2009

Eravamo abituati ai cartelli deicomuni denuclearizzati, chissà

se oltre ad un “benvenuto” prestoleggeremo anche “deolicizzato”.Perché quando si parla di questioneeolica, in Sicilia si risponde che le al-tissime pale mettono “il paesaggiosotto attacco”. Così come in Moli-se, dove la Sopraintendenza per ibeni paesaggistici e la Regione han-no bloccato il progetto di un im-pianto eolico “off-shore”, a 5 migliadalla costa di Termoli. Stessa linea,stesso ‘no’, a Gela per una centralenel Mediterraneo. E ultimo, in ordi-ne di tempo, il comune di Volterrache nei giorni scorsi ha approvato ilnuovo regolamento urbanistico chevieta l’istallazione in tutto il territo-rio comunale, borgo e colline tosca-ne, di impianti eolici standard e li-mita l’uso dei pannelli solari.Non si tratta però di un no alle ener-gie rinnovabili, ma ai moderni e gi-ganteschi mulini a vento: contro gliambientalisti che sostengono la dif-fusione delle energie rinnovabili, al-tri ambientalisti, quelli che portanoavanti la tutela del paesaggio. Da unlato, quindi, Legambiente che giudi-ca immotivato ed ideologico “ilpunto di vista paesaggistico”, dal-

l’altro le associazioni locali perples-se per “la sregolata proliferazionedegli impianti eolici”.A sostenere la causa anti-eolico Vit-torio Sgarbi, sindaco di Salemi (Tp),che in occasione del G8 sull’Am-biente che si è svolto in Sicilia adaprile ha usato parole forti rivol-gendo un appello ai grandi affinchénon chiudano “gli occhi davanti al-lo stupro della Sicilia e del suo pae-saggio”. Il critico d'arte sostieneinoltre che “in nome di una finzio-ne legata all’energia pulita” si favo-risce “l’azione della mafia”.Al fianco della Sicilia si è schieratoanche l’ex presidente della Repubbli-ca francese Valery Giscard d’Estaignche partecipando ad un convegno aPalermo ha detto che “il paesaggioeuropeo e siciliano sono gravementeminacciati dalle pale eoliche”.La convinzione è che a fronte di unguadagno energetico minimo, siproducono gravi danni già durantel’istallazione degli impianti. Gli or-ganizzatori della conferenza “Pae-saggio sotto attacco. La questioneeolica” parlando di “innegabilesproporzione tra il grave danno am-bientale causato dalle selve degli ae-rogeneratori e il loro contributo, deltutto marginale, alla soluzione delproblema energetico”.

Atomi che si arricchiscono,paesi che s’impoveriscono.

Mentre la corsa all’atomo ri-prende in Italia, la convenienzaeconomica dell’energia nuclea-re viene messa in discussionedai cervelloni del Mit di Boston.Proprio le considerazioni diprofitto e perdita, per una vol-ta, fanno preferire la scelta ver-de. Al confronto con le altrefonti energetiche, il nuclearecomincia a costare troppo. Unostudio del Mit, il centro di ri-cerca scientifica più avanzatodegli Stati Uniti, rileva che il co-sto di una nuova struttura è au-mentato al ritmo del 15 per cen-to negli ultimi anni: per fare unesempio, dal 2003 il costo del-l’energia nucleare è raddoppia-to, da 2.000 a 4.000 dollari perogni megawatt prodotto. Un’a-nalisi a dir poco sottovalutata,qui da noi, dove c’è chi sostie-ne che il rapporto costo-presta-zioni dell’energia nucleare è ilmigliore.A preferire le energie pulitesembra ora essere il mercatostesso. Oltre il 40 percento del-

la nuova potenza installata a li-vello globale nel corso del 2008riguarda le fonti rinnovabili, co-me anche la metà degli investi-menti complessivi in energia.I paesi emergenti, per anni ne-mici del protocollo di Kyoto edelle intese restrittive in temiambientali, hanno investitoconsiderevolmente in impiantifotovoltaici, soprattutto percontrastare gli effetti della crisi

economica nell’edilizia. Così laCina ha incrementato del 17 percento l’investimento in pannel-li solari, concedendo sgravi fi-scali alle nuove costruzioni“verdi”; l’India allarga il pro-prio parco fotovoltaico al ritmodel 12 percento e l’Africa al 10percento.In Italia il mercato va nella stes-sa direzione, mentre il governocavalca la scelta nucleare. L’af-

fare delle energie rinnovabili siallarga rapidamente, grazie almiglioramento delle tecnologiee all’abbassamento dei costi diimpianto. Il fotovoltaico è cre-sciuto del 412 per cento tra il2007 e il 2008, grazie anche aifinanziamenti europei. Un rit-mo incredibile, che già da alcu-ni anni sta diffondendo in Eu-ropa la nuova alternativa ener-getica. Ma è il vento la rivela-zione dell’anno scorso, con unincremento di un terzo dellapotenza prodotta da mulini eturbine. Ben 1000 megawattnuovi di zecca, sui circa 3700già operativi; praticamente lastessa energia prodotta da unacentrale nucleare. Anche a li-vello internazionale, si tratta diun ottimo risultato: il nostropaese è ora il terzo produttoreeuropeo di energia eolica, e alsesto posto su scala mondiale.Ma l’Italia sembra preferire didiventare il decimo o dodicesi-mo produttore mondiale dienergia nucleare, perdendol’occasione che il mercato stes-so gli sta offrendo. Un’occasio-ne di fare energia bene e conmeno costi.

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Le energie rinnovabili funzionano e crescono del 40 per cento l’anno. Ma in Italia si parla solo di nucleare

Atomo? Meglio l’alternativa

Italiani risparmiatori?No, se parliamo di con-

sumi energetici. In fattodi buone pratiche per ri-durre gli sprechi domesti-ci, il 39 per cento delle no-stre famiglie può essereconsiderata “energivora”,cioè poco attenta al ri-sparmio di acqua, gas eelettricità, e ancor menodisposta a rinunciare al-l’auto a favore dei mezzipubblici. A rivelarloun’indagine condotta nel2008 dal centro di ricercaSynovat per Enel, che haanche evidenziato comesiano proprio i più giova-ni i meno informati sullepossibilità di risparmiareenergia (e soldi) grazie apiccoli accorgimenti quo-tidiani. Come installarelampadine a basso consu-mo e frangigetto ai rubi-netti; acquistare elettro-domestici di ultima gene-razione e spegnerli quan-do non vengono utilizza-ti; mantenere una tempe-ratura interna non supe-riore a 6 -7 gradi di diffe-renza rispetto all’esterno.Piccolezze? No, se si con-sidera che il 40 per centodelle emissioni di gas ser-ra deriva proprio dai con-sumi domestici.Anche se male informatee talvolta poco sensibili aitemi ambientali, dal 1990sono state comunque lefamiglie ad assicurare al-l’Italia i migliori risultati infatto di efficienza energe-tica.Stando al bilancio stilato

lo scorso anno da Enea, ilcomparto residenziale haregistrato una riduzionedei consumi dello 0,7 percento (contro una mediaeuropea dello 1,7), facen-do molto meglio sia diquello dei trasporti (-0,3 per cento), che diquello industriale, che hamacinato crescenti quan-tità di energia al ritmo del-lo 0,3 per cento l’anno.Grazie al bonus fiscale in-trodotto con la Finanzia-ria di due anni fa, tra il2007 e il 2008, oltre230mila interventi hannomigliorato l’efficienzaenergetica delle abitazio-ni, con una divisione fifty-fifty dei costi tra Stato eprivati. Un trend positivoche l’incombere della cri-si economica potrebbeora arrestare, in assenzadi politiche di rilanciopensate anche in funzio-ne dell’ambiente.I segnali che arrivano dal-l’Italia non sono rassicu-ranti. Unica eccezione nelmercato europeo, il no-stro paese ha rimandato, adata da destinarsi, il divie-to di vendita per lampadi-ne ad incandescenza edelettrodomestici inqui-nanti, che dal 1 settembresarebbero dovute usciredefinitivamente dal com-mercio. «Un colpo bassoalla riduzione di Co2» de-nuncia il WWf. Che cal-cola: «cambiando 5 lam-padine da 100W a incan-descenza con altrettante abasso consumo, in un an-no si risparmiano 175 kgdi CO2». Pari a 53 euro.

PERISCOPIO

Eolico,quellidel no

Cittadini e Sindaciprotestano in difesa

del paesaggio

POLEMICHE

Di energie rinnovabili siparla fin dal lontano

1973, anno in cui si verificòla prima crisi petrolifera.L’innovazione, la tecnologiae la sensibilizzazione dell’o-pinione pubblica hanno re-so le energie rinnovabili untema di attualità e crescente interes-se, una garanzia per allentare quelrapporto di dipendenza creatosi conil petrolio e con il gas.L’Italia già all’inizio del XX° secolo siè distinta per lo sfruttamento di unparticolare tipo di fonte energetica,cioè quella derivante dal calore natu-rale della Terra. Il nostro paese è in-fatti il secondo produttore al mondo,dopo gli Stati Uniti, di energia elet-trica geotermica. Parliamo per esem-pio dei soffioni boraciferi, presentisoprattutto in Toscana, dove si con-ta il maggior numero di centrali geo-termoelettriche, anche se la ricerca dizone adatte prosegue da diversi annianche in Lazio e Campania.

Era il 1904 quando a Larderello, inprovincia di Pisa, si iniziò a sfruttareper la prima volta la forza dei gas evapori provenienti dal sottosuolo adaltissime temperature per produrreenergia elettrica. Il paesino si trovanella “Valle del Diavolo”, così chia-mata proprio a causa del suo paesag-gio caratterizzato dalla presenza disoffioni boraciferi, con le loro carat-teristiche colonne di vapori bianchi.Il flusso di vapore proveniente dalsottosuolo produce una forza tale dafar muovere una turbina, così l’ener-gia meccanica sprigionata viene poitrasformata in elettricità.L’Enel ha promosso negli anni cam-pagne di energia geotermica, sul ter-

ritorio nazionale e non solo.Nel 2007, l’azienda ha sigla-to un accordo sulla geoter-mia con la regione Toscana,che prevede lo stanziamen-to di 650 milioni di euro e lemigliori tecnologie per fi-nanziare lo sviluppo soste-nibile della “coltivazione”geotermica, la valorizzazio-

ne dei territori che ospitano i giaci-menti e la tutela dell’ambiente e del-la popolazione residente.Che il geotermico possa rappresen-tare un valido contributo alla ricon-versione del sistema energetico è evi-dente, ma recenti esperienze invitanoalla cautela sulla scelta delle modali-tà. Gli scavi, le trivellazioni possonoinfatti causare scosse sismiche. Infi-ne la principale barriera allo sviluppodella geotermia è di fatto la sensibili-tà maturata dalle comunità locali sul-le questioni di impatto ambientale,che è legato sia agli effetti tossici, inrelazione ai fluidi portati in superfi-cie, che agli effetti di tipo geofisico egeologico.

L’energia sotto i nostri piedi

Luce, acqua e gas non bastano mai

di ILARIA COSTANTINI

di SIRIO VALENT

di ANDREA TORNESE

di FRANCESCO COLUSSI

Un impianto eolico “off-shore”

Giornata del RisparmioEnergetico. Da 5 anniCaterpillar, noto program-ma di Radio2, chiede agliascoltatori di spegnere leluci e gli apparecchi elettri-ci per 24 ore. Quest’annola giornata designata è sta-ta il 13 febbraio, ed ha con-tagiato milioni di personein una grande festa “ver-de”. I monumenti di mol-te città italiane ed europeehanno spento fari e luci innome del risparmio e del-l’ambiente. In foto, luci dicandela al Campidoglio.

M’Illumino di meno

Costano poco e promettono molto: così pannelli solari e mulini a vento rubano terreno alle fonti tradizionali

Geotermico, Italia seconda nel Mondo. Ma non mancano i rischi

Page 7: Periscopio 15 giugno 2009

Strana storia quella della poesia italiana in que-sto inizio di secolo. Marginalizzata, senza un

ruolo pubblico, senza spazi veri negli organi di in-formazione. Perfino le librerie, per molti aspetti ri-serve indiane di buona informazione e di un Pae-se che non si rassegna al quotidiano battage, reclu-dono i versi in mezzi scaffali incastrati tra le se-zione esoteria e quella dedicata al giardinaggio.Eppure, se di penne note ce ne sono sempremeno e vengono considerati autori contempo-

ranei arzillivecchietti sul-l’ottantina, dipoeti fai da tece ne sono amigliaia. Die-tro ognicommessa o

tassista si può nascondere un insospettato versi-ficatore. Si dice, infatti, e i dati degli osservatorisull’editoria lo confermano, che siano molti dipiù i libri scritti di quelli letti. Un esercito di au-tori che magari pubblicano pure (spesso, quasisempre, a loro spese), ma non leggono una rigadi quello che viene dato alle stampe da altri. Unmarasma di parole in rima, il cui valore letterariosupera a fatica quello delle filastrocche infantili.In effetti, la poesia, come fenomeno sociale, inItalia è morta da almeno un trentennio. Forsequalcosa di più. Finiti i tempi in cui erano i gior-nali a seguire i vaticini dei poeti (un esempio per

tutti: la terza pagina dei quotidiani creata per co-prire la prima di uno spettacolo teatrale scritto daquello che era allora il maitre a pensée del paese, unpoeta, Gabriele D’Annunzio), autori e popolohanno iniziato due strade parallele: la società dimassa non ha digerito i versi; mentre le scelteavanguardiste degli anni ‘60 e ‘70 hanno finito perspostare la poesia in un iperuranio irraggiungibilealla maggior parte dei lettori.Oggi, i poeti “giovani” (Valerio Magrelli, MaurizioCucchi, soloper citarnedue) sono glistessi “giova-ni” da alme-no un ven-tennio. E gliultimi vecchi,quelli che hanno vissuto le stagioni dell’avanguar-dia (Edoardo Sanguineti, Elio Pagliarani), quelliche sono stati indicati come eredi dai grandi mae-stri (Montale dichiarò che Andrea Zanzottoavrebbe potuto raccogliere la sua eredità: i risulta-ti poetici sono stati straordinari, ma il suo succes-so è lontanissimo da quello del Nobel ligure), in-sieme a quelli che hanno cercato di riallacciare i fi-li di un discorso poetico forse interrotto per sem-pre (Giovanni Giudici su tutti), muoiono uno do-po l’altro. E solo allora, senza richiami in prima, iquotidiani dedicano una pagina a questa creaturamorente che vive in pace, dimenticata.

PERISCOPIO 77

Versi diversi. Sempre meno gli autori veri, mentre per hobby scrivono in tanti. Troppi

Ma in provincia c’è una targa per tutti

Zeichen, un poeta che discende dall’uomo qualunqueValentino Zeichen, uno dei più raffinati

poeti contemporanei italiani, è nato a Fiu-me ma vive a Roma da ormai molti anni. E’ au-tore ironico, da sempre controcorrente e “irre-golare”. Ne abbiamo approfittato per porgli al-cune domande relative al ruolo della poesia nel-la società contemporanea, e non solo.Ci piacerebbe conoscere la sua opinione ri-guardo il rapporto musica/poesia. Penso aun pezzo di Luigi Tenco, “Mi sono innamo-rato di te”, vero e proprio testo musicato.“Lei ha citato un cantante che amo molto, di cuinon posso dire che sia un poeta, ma devo am-mettere che alcuni testi raggiungono l’intensitàdi alcuni scritti poetici. Tenco era un poeta ro-mantico, un cantautore. Il livello della poesiamusicata? La poesia è già una musica: certo, oc-

corre avere senso del ritmo, velocità, capirequanto sia importante investire con il propriosentimento la lingua per darle quel verso, quellaconformazione, che sia curvilinea, che non siasgradevole e stridente, non ritmica”.La figura del poeta “maledetto”: esiste an-cora, oppure chi aspira alla sua professioneè piuttosto una sorta di giornalista al deskin versione romantica?“La sua definizione è molto brillante, e sembraproprio che sia così. Quanto ai poeti di un tem-po, la maledizione era certamente legata ad unapovertà più radicale. Adesso non è più così! Uncerto romanticismo, una volta, era dovuto allamiseria calorica della società, che non potevapermettersi di nutrire tutti que-sti poeti”.Nuove tecnologie: cosa nepensa degli audiolibri? Pa-

re siano un valido sostituto del libro “diuna volta”.“Ne penso benissimo. Quante volte alla radioabbiamo ascoltato romanzi a puntate? E’ esatta-mente la stessa cosa, soltanto che questa ben no-ta attività oggi viene riciclata individualmente,perché abbiamo dei mezzi tecnologici che ci per-mettono di destinarla al singolo per registrazio-ne. E’ sempre un modo di leggere e di venderelibri, ma la fatica della lettura viene eliminata, siascolta; cambia senso, ma al cervello arriva lostesso contenuto. Forse non trasmetterà le stesseemozioni, o forse ne darà addirittura di più. Sequesta è una soluzione che aiuta a leggere e a ri-leggere il passato della letteratura, le grandi ope-

re, ben venga”.Una curiosità: quandocompone, solitamenteascolta musica?

“Io sono un pucciniano, ma amo molto ancheBach, quindi mi capita spesso di ascoltare le “Va-riazioni Goldberg”. Puccini è il mio musicistapreferito in senso assoluto, lo considero il piùgrande compositore del ventunesimo secolo”.Lei si è detto più volte apolitico, e dunquedi essere al di sopra di tali logiche. Mi chie-do se lei sia ateo, e se Dio sia da ricercarenella poesia, come io penso.“Io sono un credente intermittente. Sono ateo e,sostanzialmente, un qualunquista. Discendo dal-l’uomo qualunque, pochi problemi, cose troppograndi, non mi occupo della quotidianità. Pensoche coloro che si recano a votare debbano eleg-gere persone “nobili” e in grado di occuparsi del-lo Stato: un cittadino non dovrebbe essere co-stretto, tutti i giorni, a confrontarsi con quelloche avviene nella storia, dovrebbe pensare ai fat-ti propri, come accade nei paesi civili”.

E tra i versi vinconoanche i piccoli editori

La poesia è timida, a livello edito-riale. Anche se tutte le grandi ca-

se editrici comprendono al loro in-terno una moltitudine di titoli e pub-blicazioni di poeti di ieri e di oggi, so-no le ‘piccole’ a compiere un minu-zioso, silente e sapiente lavoro di ri-cerca; Milano è il tempio dell’edito-ria, si concentrano quasi tutte lì. Maanche Firenze e Roma, si difendonobene. Sono case editrici che resisto-no nel mare magnum dei colossi co-me Feltrinelli ed Einaudi – solo alcu-ne fra molte altre - , il cui lavoro si di-stingue per scelta e necessità.La Crocetti Editore – sede nel capo-luogo lombardo, fondata nel 1981 daNicola Crocetti, grecista e traduttore– all’universo poetico dedica ben tre-dici collane del suo catalogo, riccocosì di nomi nostrani e stranieri dispicco: Kavafis, Gibran, Rilke, Dic-kinson, Machado, Whitman, Valéry,Weil, Majakovskij, Verlaine, Mallar-mé, Rich; mentre tra gli italiani ci so-no Alda Merini, Franco Loi, Anto-

nella Anedda, Giovanni Raboni, MariaLuisa Spaziani, Antonio Porta, CesareViviani, Milo De Angelis, Aldo Nove.Anche la fiorentina Passigli Editori, na-ta anch’essa nei primi Ottanta, si di-stingue per qualità ed impegno cultura-le; basti pensare alla selezione di poetiitaliani nella collana che era curata daMario Luzi: Paola Lucarini, Paolo Ma-netti, Renato Minore, Maria Modesti,per citarne alcuni. L’elenco proseguecon Montague, de Quevedo, MiguelTorga, Georg Trakl.Catalogo d’eccellenza anche per la casaeditrice meneghina Scheiwiller, fondatanel 1977 da Vanni Scheiwiller, che ab-braccia la letteratura internazionale egrandi autori italiani: Eugenio Montale,Alda Merini, Giorgio de Chirico, MarioLuzi, Tonino Guerra, Corrado Govo-ni, Blaise Cendrars, João de Melo Ne-to, Guillaume Apollinaire, Ezra Pound,Wislawa Szymborska (Nobel 1996),Seamus Heaney (Nobel 1995), CzeslawMilosz (Nobel 1980), Gustaw Herling,Tadeusz Kantor, Harry Martinson(Nobel 1974), Anna Achmatova, Ed-gar Morin, Heiner Müller e molti altri.

Tanti. Per addetti ai lavori o per chi sicimenta per la prima volta con i ver-

si in rima. Forse troppi. I premi per lapoesia sono innumerevoli. E riuscire adorientarsi in questa infinità, non sempre èfacile. La voglia di “fare il punto” sullaproduzione poetica di casa nostra, esplo-de durante il periodo fascista. Al 1926 ri-sale la nascita del primo premio letterarioin Italia, il Bagutta, con una sezione dedi-cata alla poesia. Tre anni più tardi nasce ilpiù famoso Viareggio, anch’esso con unaparte dedicata intermente ai versi in rima.Alla sua festa di inaugurazione partecipaanche Luigi Pirandello, e nel lungo albod’oro figurano Primo Levi, LeonardoSciascia e Giorgio Bocca. Nel 1943 è Ga-leazzo Ciano ad assumerne la supervisio-ne, interrotto durante la seconda guerramondiale e rimesso in piedi nei primi an-ni post bellici. E per molti anni è al cen-tro di numerose polemiche, legate moltospesso al suo stesso fondatore LeonidaRèpaci. Nel 1946, ad esempio, la giuriadecide di dare il premio ad Umberto Sa-ba ma quando Rèpaci viene a sapere che

il poeta è stato informato prima dellapremiazione, la giuria viene riconvocatae viene premiato sia Saba che Silvio Mi-cheli. Un anno dopo, tutti erano convin-ti che avrebbe vinto Alberto Moravia,invece si decise per i Quaderni dal car-cere di Antonio Gramsci, anche se il re-golamento diceva che dovevano esserepremiati solamente autori viventi eGramsci era morto dieci anni prima.Ma nel corso del tempo la tecnologia èentrata con prepotenza anche nel mon-do dei poeti. Nel 1989 Filippo Canu, di-rettore del Dipartimento Scuola Edu-cazione, ad esempio, mandò in onda suRaiuno e Raidue un programma direttodal poeta e giornalista Claudio Angelinie ad ogni puntata venivano trasmesseinterviste, notizie, recensioni ed altriservizi a carattere non solo divulgativoma anche sperimentale e innovativo. Eper chi di poesia non ne vuole sentirparlare nemmeno in questo modo, arri-va in loro soccorso il premio Lauren-tum che ha una sezione dedicata esclu-sivamente alle poesie via sms. Massimo160 caratteri per esprimere tutto la pro-pria sensibilità poetica.

di CLAUDIA MORETTA di AIDA ANTONELLI

di FEDERICA VENEZIA

di ROBERTO ANSELMI

Da qualche anno si scrivono molti più libridi versi rispetto a quelli

che vengono letti

I poeti contemporaneisono spesso arzilli

vecchietti protagonisti di stagioni finite

Contrapposti come sfidantiin un dramma di astratte

[marionettei nostri spazzolini da dentisi sfiorano solleticandosile setole della stessa tinta fanno indistinti il mio dal tuo.Ne impugnerei uno a casoma ben altro imperativo che

[nonla prevenzione igienicami interdice dal farlo.Intendo prolungare l'attesaa un' ulteriore scadenza.Strofinandomi i dentimi tornano alla memoriai tuoi baci inizialiche sapevano di dentifricio;altrove, bacia la tua bocca

[puraaddentando altre labbra.

Spazzolini da dentidi Valentino Zeichen

Se in Italia c’è poca poesia

Ascolta l’intervista sul sito

Pochi i premi di prestigio

Page 8: Periscopio 15 giugno 2009

Da secondo a primo gior-nale. Non più solo una

testata di commenti e analisipolitiche ma un quotidianoche dia notizie, informi i letto-ri e accosti ai fatti anche rifles-sioni e corposi editoriali. Èquesta la nuova vocazione delRiformista che, dopo il pas-saggio da otto a 32 pagine esuccessivamente a 24, ha im-boccato la strada del quotidia-no “vecchia maniera” ma conun tocco di classe in più: di-menticare i pastoni politiciscritti sulla scorta delle dichia-razioni di agenzia.«La nostra capacità di veicola-re informazioni e contempo-raneamente di darne una vi-sione critica e meditata - rac-conta il vicedirettore, Stefano

Cappellini - è il passo in piùche vogliamo avere rispettoagli altri giornali». La sceltasembra aver premiato la dire-zione: i lettori sono triplicati,in tempo di crisiun dato nontroppo scontato.Al rilancio dellatestata hannofatto seguito an-che nuove as-sunzioni: da 13, igiornalisti inter-ni alla redazionesono diventatiuna ventina. A questi si ag-giungono i collaboratori, pre-senti in quasi tutti i principaliPaesi stranieri.Aumentate anche le sezioni ele rubriche del giornale: Inter-ni, Esteri, Politica, Cultura,Economia e Sport. Un dato

da sottolineare riguarda poi lanatura dei lettori: trasversali.«Ci siamo resi conto che mol-ti giovani si sono avvicinati alnostro giornale e non sono

tutti di sinistra»,ha commentatoCappellini. Co-me dire: un pun-to di vista in piùgiova anche alladestra.Ma il trucco so-no anche gli ar-gomenti sceltiper le aperture di

prima: «Cerchiamo di apriresempre con articoli diversi da-gli altri quotidiani - continuaCappellini - proprio per di-stinguerci e dare una nostraimpronta ai fatti». E sull’edito-re Angelucci conferma: nes-suna pressione sulla linea edi-

toriale. Anzi: «Abbiamo unacerta autonomia e soprattuttonon esiste alcuna interferenzacon Libero, l’altro giornale dicui è proprietario il nostro edi-tore e che è caratterizzato dauna visione politica differente,se non opposta, alla nostra».A far da cornice a computer egiornalisti, infine, la sede nuo-vissima del Riformista. Unaredazione che da qualche tem-po si è trasferita in via delleBotteghe Oscure, nella sedestorica del Pci e dell’Unità, apochi metri da via Caetani,dove venne ucciso l'ex segre-tario della Dc, Aldo Moro. Al-l’interno l’arredamento è so-brio, moderno ed essenziale,all’esterno diversi schermipresentano, già dalla sera, ilpdf del giornale che sarà inedicola il giorno successivo.

Stage o non stage, questoè il problema. Per i pra-

ticanti giornalisti inizia ilcalvario. Mesi e mesi ad at-tendere uno stage, che poia volte non arriva. Il nuovoquadro di indirizzi dellescuole di giornalismo vietagli stage durante il periodoestivo. Tuttavia, i giornalinon sono disposti a pren-dere giovani praticanti neimesi invernali. Marino Re-gini, direttore della scuoladella Statale di Milano - Ifg,Angelo Agostini dellaIulm, Ruggero Eugeni del-la Cattolica, Vera Schiavaz-zi di Torino, Ivano Pacca-

gnella diPa d o v a ,hanno fir-mato unal e t t e r anella qua-le chiedo-no modi-fiche alquadro diindirizzi.«Sarebbeauspicabile che tale divietovenisse revocato almenoper il mese di luglio», chie-dono i cinque direttori del-le scuole di giornalismo delcentro-nord al presidentedell’Ordine dei giornalistiLorenzo Del Boca e al se-

g r e t a r i oEnzo Ia-c o p i n o .Ma que-st ’u l t imonon sem-bra affattodisposto aprenderein conside-r a z i o n eq u e s t a

ipotesi. «È una richiestasurreale. La convenzione èstata firmata pochi mesi faed è impossibile discuterneora», spiega Iacopino. «Èbene sapere che se c’è chivorrebbe permettere glistage anche a luglio, ci sono

altri che preferirebbero vie-tarli anche a giugno e a set-tembre. Nei giornali, le as-senze per ferie vanno co-perte con l’organico nor-male, non con gli stagisti».Al segretario risponde Pac-cagnetta della scuola di Pa-dova: «Alcune testate cihanno chiuso le porte ed ilproblema è serio. Lo sareb-be ancora di più se il divie-to fosse ampliato comepensa Iacopino. Ovvio chela formazione è una cosa,le sostituzioni ferie un’altra.Ma la verità è che per im-parare a nuotare i ragazzidevono essere buttati in ac-qua».

Roma, Via delle BottegheOscure. Negli uffici un

tempo occupati del PartitoComunista ora si trova lanuova sede del Riformista,dopo “la rivoluzione” che haportato ad un ampliamentodella redazione. Una sede sto-rica per un quotidiano “giova-ne” che guardaa sinistra, piùprecisamente auna sinistra ri-formista. Ci ac-coglie il vicedi-rettore StefanoC a p p e l l i n i ,classe 1974, alRiformista findalla sua fon-dazione, che sioccupa in par-ticolare dellevicende della politica italiana.Prima di approdare al quoti-diano fondato da AntonioPolito ha lavorato per la Re-pubblica e per Liberazione.Attualmente collabora con ilprogramma di Canale5 Ma-trix.Cappellini, in che modo ilpassaggio da foglio d’opi-nione a quotidiano genera-lista ha influito sulle noti-zie pubblicate? «Anche do-po l’ampliamento della reda-zione continuiamo a predili-gere le notizie di approfondi-mento e di analisi politica. Ilnostro è un lettore già infor-mato che cerca un punto di

vista diverso da quello deglialtri quotidiani. Per questocerchiamo di dare sempre untaglio originale alle notizie. Ilrisultato è un giornale più ric-co che cerca di raccontare ilPaese».A quale tipo di lettore vi ri-volgete? «Il Riformista dedi-ca un’attenzione particolare

nel raccontarele trasforma-zioni del cen-trosinistra. Mail nostro è ungiornale tra-sversale seguitoda molti giova-ni, con simpatiedi centrode-stra».La sinistra ita-liana sta attra-versando una

grave crisi. Tra le cause siparla anche dell’incapacitàdi comunicare con i citta-dini. Si può dire lo stessodell’informazione “di sini-stra” giudicata troppo “in-tellettuale”? «Non credo sitratti solo di un problema dicomunicazione. Altrimentinegli ultimi anni avrebbesempre vinto il centrodestra.In realtà i cittadini votano inbase a ciò che vedono. Que-sto spiega, ad esempio, ilgrande successo della Lega. Èun partito sicuramente vicinoalla gente. I partiti di sinistrasembrano invece aver perso ilcontatto con il territorio».

Il giornale che batte la crisi

L’INTERVISTA

Cappellini: «Offriamoun punto di vista diverso»

Prosegue l’inchiesta nelle redazioniromane dei giornali e delle agenzie.

Come sono organizzate, chi le guida,quali sono le loro fonti, quali sono i

loro lettori.Un viaggio pieno di notizie.

E di sorprese...

Scuole, gli stage della discordia

Il Riformista. Più redattori e più pagine, Non più solo commenti

Redazione del Riformista

PERISCOPIO8

Il 23 ottobre 2002 nasce Il Rifor-mista, un quotidiano politico ba-

sato su dibattiti, avvenimenti, legis-lazioni ed attualità riguardanti lapolitica italiana, con particolare at-tenzione alla sinistra. Fondato daAntonio Polito, di proprietà dellaSocietà cooperativa Edizioni Rifor-miste, l’idea del nuovo giornale è diClaudio Velardi, ex consigliere poli-tico di Massimo D’Alema. L’accor-do con Emanuele Macaluso, che di-venta editorialista del quotidiano,dà una chiara impronta politica algiornale, legandolo “alle ragioni delSocialismo”.Nel 2006 ci sono una serie di cam-biamenti interni. Antonio Polito è

costretto ad abbandonare la caricadi direttore per impegni politici, di-viene senatore della Margherita.Claudio Velardi e Polito, decidono,infine, di vendere la testata agli An-gelucci, i quali offrono a PaoloFranchi la direzione del giornale. Inuovi editori puntualizzano che illoro impegno editoriale è di fare ungiornale slegato dai partiti e porta-tore di un riformismo ispirato allacultura e alla storia del socialismoitaliano e europeo.«Di sinistra (e non come la destradella sinistra, perché i riformisti, al-meno secondo me, non sono que-sto). E di frontiera, perché certezzenon ce ne sono più, e nemmeno ri-fugi sicuri dove attestarsi, e quindi

bisogna, anche a sinistra, mettere incircolo idee nuove, rischiare e ri-schiarsi». Così scrive Paolo Franchiquando lascia il Corriere della Sera,per assumere la direzione del Rifor-mista.In due anni Franchi si impegna afare un giornale di tendenza, ungiornale aperto alle idee, libero dicriticare e anticonformista, un gior-nale “programmaticamente scomo-do”. Fastidioso, in primo luogo, peri partiti e per i leader politici.Ma il 5 marzo 2006 il giornale vol-ta pagina di nuovo. Antonio Polito,il fondatore, è di nuovo direttoredel Riformista. Polito annuncia divoler dare una nuova spinta alla te-stata attraverso una serie di innova-

zioni: una grafica più vivace, l’ag-giunta di più pagine, più temi e piùnotizie. I suoi obiettivi: le riforme,il dare spazio ad un partito delle ri-forme; il clima per le riforme. «Ilpartito unico oggi c’è - sottolinea -

e si è battezzato nell’unico modopossibile: rompendo l’alleanza conla sinistra radicale. Ora bisogna so-lo che quel partito vada al governo,trovi il coraggio di pensare e di fa-re le riforme, e cambi l’Italia».

Un quotidiano “nuovo” per la sinistraLa storia di un gruppo che vuole cambiare il modo di fare politica

Cambio della guardia al timonedell’Ansa. La direzione dell’a-

genzia passa a Luigi Contu, ex capodella redazione interni della Repub-blica che andrà a sostituire Giampie-ro Gramaglia. Una scelta di rinnova-mento in cui si avverte l’improntainterventista del neopresidente Giu-lio Anselmi, subentrato a propriavolta ad una figura esterna al mondodel giornalismo, l’ambasciatore Bo-ris Banchieri. Come Anselmi, ancheContu torna a così varcare una so-glia ben nota: all’Ansa ha iniziatouna brillante carriera giornalisticache già nel ‘97 lo ha portato alla di-rezione della redazione politica del-l’agenzia, dove lo volle proprio l’al-lora presidente Giulio Anselmi. Se-guirono un incarico da vicedirettore

nell’era Magnaschi e la vicepresiden-za dell’Associazione Stampa parla-mentare. Infine il passaggio alla car-ta stampata, il salto spesso molto at-teso da chi lavora alla fonte della no-tizia. «La cosa speciale di lavorare inun’agenzia – confessa oggi Contu –è che sei al centro, in diretta, di tuttoquel che accade nel mondo». Un’e-sperienza che sembra essergli man-cata negli ultimi cinque anni all’inter-no del quotidiano di Ezio Mauro: «Igiornali devono fare le loro battaglie,ma capita che le notizie vengano unpo’ ‘tirate’, interpretate. Noi comun-que saremo in prima linea – pro-mette Contu – davanti alle porte, aicancelli, negli stadi, dappertutto. Peressere testimoni diretti ed informareil Paese».

PAOLO RIBICHINI

FILOMENA LA TORRE

Ansa: dietro Contul’ombra di Anselmi

di FRANCESCA PINTOR

EMILIO FABIO TORSELLO

i. c.

Lorenzo Del Boca, presidentedell’Ordine dei Giornalisti

«Molti lettorigiovani

anche quellinon schieratipoliticamente»

I master di giornalismo sul piede di guerra: ripristinate i tirocini estivi

Foto in pagina: E F. Torsello