Mensile Valori n.86 2011

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valori Anno 11 numero 86. Febbraio 2011. € 4,00 Dossier > Non solo profitto dal cemento, il territorio cela altre ricchezze. Cerchiamole Ilvalore della terra Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R. LOU DEMATTEIS / REUTERS Finanza > La moneta di scambio per traffici illegali. Una finanza parallela di Stato Economia solidale > Greenpeace: neocon e multinazionali vanno alla guerra Internazionale > Reportage da Haiti. Un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita Fotoreportage > Patrimonio da salvare valori lancia una nuova inchiesta: Ingredienti made in Italy a rischio a pag.44

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Mensile di finanza etica, economia sociale e sostenibilità

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| editoriale |

Il valoredel territorio

di Giorgio Ferraresi

PROPORRE E SPERIMENTARE NUOVI PERCORSI di valorizzazione del territorio significa offrire un’alternativa alla crisi strutturale del modello di sviluppo dominante da più di due secoli: l’urbanesimoindustrialista e, poi, post-fordista, che ha un suo fondamento proprio nell’occupazione del territorio,nel consumo e nella distruzione del suo valore, endogeno e locale. Un modello dominato dalla ragione del produrre cose come merci, le cui funzioni e urbanizzazioni invadono il territorio,ridotto a piattaforma, puro spazio senza alcun valore che non sia la sua utilizzabilità per questiprocessi di mercificazione. Un valore, in sostanza, immobiliare.

Nel cuore di questo processo si è verificato un genocidio del mondo rurale: la fertilità complessadell’agricoltura che nutre e governa il territorio è stata ridotta ad agroindustria o a “funzione verde”.

Di fronte all’evidenza dell’insostenibilità di questo modello, ormai al collasso, non basta un “ambientalismo compassionevole”, che cerca solo di porre un limite allo sviluppo dato e indiscusso, di “misurarne il carico” o compensarlo con un po’ di verde. Serve una vera svoltaecologica, che proponga un progetto alternativo, che interpreti la questione ambientale come una questione territoriale complessiva, strutturale: ridare “valore proprio” al territorio.

Il “valore territoriale” emerge se il territorio esprime: una qualità locale, fondata sulla biodiversitàe sulla diversità culturale, sulle differenze (risorse, processi, beni “propri” e distintivi dei vari territori)e una qualità ambientale, quando il progetto ecologico mette al centro le ragioni dei viventi, l’uomoe le relazioni tra cultura e natura. Solo così il territorio è vivo ed è, in tutte le sue diverse qualità,“luogo di luoghi”, che ospita, esprime e nutre i “mondi della vita”.

È il “territorio dell’abitare”, così è definito dalle ricerche territorialiste: un “soggetto vivente”,complessa interazione di sistemi ambientali, insediativi e culturali/sociali, continuamente ridefinitadalla plurimillenaria opera dell’umanità.

Ciò rimette al centro e rinnova, innanzitutto, l’antico ruolo svolto nella storia dall’agricoltura:l’attività primaria, la prima e fondamentale opera di nutrire la vita e di (ri)generare il territorio:produrre cibo, materiali, energia, governare i cicli ambientali, mediante la trasformazione/domesticazione della natura. E che fonda anche le radici della città.

Si delinea in questi termini una sorta di “manifesto della terra”, che vale per la neo-ruralità in sé,ma anche come indirizzo generale per tutte le economie e gli assetti del territorio e della relazionecon l’urbano da rifondare. Tracce di un’altra forma di ricchezza e di civiltà che ha la sua radicenell’apertura di un nuovo ciclo di valorizzazione della qualità del territorio

Nel percorso di ricerca richiamato nel dossier di questo numero di Valori si esemplifica conchiarezza come, nelle esperienze considerate - in particolare nelle filiere della sovranità alimentare - si possa concretamente “produrre e scambiare valore territoriale”, nel caso studiato del Parco AgricoloSud Milano, ma anche nel contesto internazionale, europeo e non solo.

Questo insieme di operazioni di nuova alleanza (le filiere corte, i mercati contadini, i green public procurement per la ristorazione pubblica aggregata) mostrano come si possano mettere in discussione radicale le basi essenziali di ogni economia (valore paradigmatico appunto): la struttura e la qualità della domanda di beni territoriali, la natura e la modalità della produzione e le modalità dello scambio. E in questi processi il territorio ritorna a essere “bene comune”. .

L’AUTOREGiorgio Ferraresi. Nato a Milano nel 1937,già ordinario di Urbanisticae coordinatore di dottoratipresso il Politecnico di Milano. Ha condottoricerche in reti nazionali e internazionali sui temidell’abitare, del locale, del municipalismo e federalismo, del progettoecologico del territorio e della costruzione socialedel piano. Ha pubblicatonumerosi saggi e testi (i principali sui temi qui trattati si trovano citatinelle pagine del dossier di questo numero), prodottiper le ricerche della ScuolaTerritorialista, di cui ha coordinato da semprela sede milanese.

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LETTERE, CONTRIBUTI, ABBONAMENTI, PROMOZIONECOMUNICAZIONE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Copernico 1, 20125 Milano

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| sommario |

valoriIl 13 novembre scorso centinaia di persone da tutto il mondo si sonoradunate su un’isola della barrieracorallina del Belize e hanno formatouna scritta, “the end?”, la fine, per denunciare la distruzione di patrimonio ambientale e perchiedere all’umanità di riscoprirel’armonia con la natura.Belize, 2010LO

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febbraio 2011mensilewww.valori.itanno 11 numero 86Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Copernico, 1 - 20125 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci,FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba CislNazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba CislBrianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani,Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative,Rodrigo Vergara, Circom soc. coop., Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazionePaolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava,Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva,Sergio Slavazzadirezione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciGiuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzonedirettore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Copernico, 1 - 20125 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini,Francesco Carcano, Matteo Cavallito, CorradoFontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino,Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Jason Nardiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona Corvaia([email protected])fotografieEdouard Bailby, Rhett Butler, Niamh Burke, ManricoDell’Agnola, Yvon Fruneau, Georges Malempré, Varda Polak, Michel Ravassard, Karen Stoltz, Claude Van Engeland (Unesco), Lou Dematteis (Reuters)stampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)abbonamento annuale ˜ 10 numeriEuro 35,00 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 45,00 ˜ enti pubblici, aziendeEuro 60,00 ˜ sostenitoreabbonamento biennale ˜ 20 numeriEuro 65,00 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 85,00 ˜ enti pubblici, aziendecome abbonarsiI carta di credito

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È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricercheeseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamentedisponibile ad adempiere ai propri doveri.

Il Forest Stewardship Council (Fsc) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.

globalvision 7

fotoreportage. Patrimonio da salvare 8

dossier. Il valore della terra 16Oltre il profitto, i molti modi per dare valore alla terra 18Italia, una Repubblica fondata sull’edilizia 20Ferraresi: “Eccellenze agricole, contro la speculazione” 22Dal Canada all’Olanda: idee salva-suolo 23Parco Sud Milano: valori verdi alla riscossa 24Pisa, parola d’ordine: compartecipazione 26

finanzaetica 28La finanza parallela dello Stato o, meglio, degli Stati 30Arner. La banca dei numeri uno, dove si mettono i soldi di famiglia 32Ville ad Antigua: Berlusconi socio dell’operazione 34Tra accuse e scandali il microcredito alla resa dei conti (anteprima) 35Finanza etica è: lavoro e inclusione sociale 36L’Europa dei buoni progetti in un atlante 37

islamfinanzasocietà 41

economiasolidale 42Inchiesta/prima puntata. Viaggio nel mondo dell’olio d’oliva. Una bottiglia insostenibile 44Uliveti millenari: un patrimonio a rischio 48Greenpeace/1. Neocon all’attacco: “Nemici dei poveri e dei consumatori” 50Greenpeace/2. La strana battaglia tra i paladini dei boschi 50

bancor 55

internazionale 56Haiti: un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita 58Dopo Cancún: il conto salato del clima rovente 62Un tribunale internazionale per i crimini ambientali 64Nel piccolo Benin la tratta degli schiavi esiste ancora 65

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Quanto manca per uscire dalla crisi?

Riconversione economica| globalvision |

di Alberto Berrini

PER I PAESI EMERGENTI la crisi non è stata che una breve parentesi di un trend sostanzialmente ininterrottodi sviluppo. Il mondo sviluppato, invece, si interroga su quando uscirà dalla crisi e, più precisamente,sul tempo necessario per riportare il Prodotto interno lordo ai livelli pre-crisi. Secondo il “XV RapportoEinaudi”, redatto dal Professor Deaglio, gli Stati Uniti raggiungeranno tale livello a fine 2011. Per Italia,Spagna e Giappone, che presentano i risultati più sfavorevoli tra le nazioni più significative, bisogneràaspettare il 2015. Tutti gli altri Paesi si collocano tra il 2012 e il 2014.

Nel mondo sviluppato non c’è stato, dunque, “l’elastico di Friedman”, ossia un rapido rimbalzodopo la caduta del 2008-2009 e, dunque, un altrettanto rapido recupero del trend pre-crisi. La speranza è di recuperare la velocità di crescita precedente alla crisi, ma rimane “la cicatricepermanente” del tempo perduto.

Il pericolo più grave è il “modello Giappone”: ossia un calo permanente della velocità di crescita.È il rischio che corre l’Italia, peraltro già presente ben prima della crisi. Come afferma Deaglio, infatti, il declino italiano, ossia lo stato di semistagnazione della nostra economia, inizia almeno dal 1995.

La crescita europea nel 2011 si attesterà attorno al 2%, ma si tratta di un dato medio. La Germaniacontinuerà a marciare al 3% mentre l’Italia si manterrà all’1% circa, che è stato anche il risultato del 2010, un dato che non consente alcun miglioramento sul versante occupazionale. Con la crisi,

dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010, il numero di occupati in Italia è diminuito di 540.000 unità, senza contare le ore di cassaintegrazione (Cig), che hanno un impatto pari a 480.000 unità di lavoro.

Con la crescita stimata secondo il Rapporto del Centro StudiConfindustria (dicembre 2010), “il numero delle persone occupatecontinuerà a diminuire nel 2011. Il tasso di disoccupazione toccherà il 9% nel quarto trimestre 2011 e inizierà a scendere molto gradualmente

solo nel corso del 2012. Il numero dei disoccupati è a ottobre 2010 di 2.167.000, più del doppio rispettoad aprile 2007”. Questo dato è ulteriormente aggravato dal fatto che l’Italia detiene, tra i Paesi ricchi, il primato per quanto riguarda la disoccupazione giovanile.

Alla base di tutto ciò c’è un Paese che non cresce. La previsione (1%) per il 2011 è una stima al ribasso rispetto alle precedenti. Secondo il Centro Studi Confindustria “l’Italia delude. La frenataestiva e autunnale è stata decisamente più netta dell’attesa e il 2010 si chiude con produzioneindustriale e Pil stagnanti”.

È opinione di Deaglio che il problema principale è la produttività, che è ferma da quindici anni“perché è mancata la politica industriale e il Paese ha abbandonato le attività a maggiore innovazione,come elettronica, telefonia, chimica, farmaceutica. Quindi la crisi ha sostanzialmente colpito un Paesegià in gravi difficoltà”.

In definitiva il Rapporto Einaudi mostra ciò che è ampiamente noto: la crisi italiana era ed è strutturale. È, dunque, indispensabile che il rigore sui conti pubblici (di cui “tanto si vanta” l’attuale Esecutivo) si accompagni a politiche per la crescita. Viceversa il declino è inevitabile. Non è più il tempo di aggiustamenti: è necessaria una grande “riconversione” economica del Paese. .

L’Italia potrebbe tornarea livelli di Pil pre-crisinel 2015. Il +1% attesoper il 2011 non fasperare nulla di buonosul fronte occupazione

valoriAnno 11 numero 86. Febbraio 2011.€ 4,00

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valorilancia una nuova inchiesta:

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(Uzbekistan). Attorno alla piazza, le imponenti Madrassecostruite tra il XV e il XVII secolo e caratterizzate dalle celebri cupole azzurre di lapislazzulo. A lato: tre immagini del sito Inca di Machu Picchu(Peru). La crescita del turismo (da 800mila a 2 milioni di presenze annue) e il boom di hotel e ristoranti nel vicino paese di Aguas Calientes creano pressionisugli argini del fiume Urubamba, aumentando il rischio di erosione.

> Patrimonioda salvare

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confronto il celebre Tafazzi, felice e sorridente mentre si infliggeva bottigliate nelleparti basse, era un dilettante. È come se giocassimo a pallavolo con un bel vasoetrusco, o usassimo un quadro di Van Gogh per il tiro-a-segno, o rompessimo una sediaLuigi XIV per ravvivare il fuoco nel caminetto. Gesti da folli. Eppure è quello che, tuttiinsieme, facciamo alle meraviglie ereditate da Madre Natura e dai nostri avi. Sulle loro spalle dovremmo camminare per crescere. La realtà dice il contrario. Racconta di una serie di “Patrimoni dell’Umanità” in grande sofferenza. Se non in vero pericolo.L’Unesco, l’organismo dell’Onu che conferisce il famoso riconoscimento, è talmentepreoccupata da avere una sorta di “black list” dei siti che rischiano di vedersi privaredell’agognato titolo perché maltrattati dall’incuria umana.

Nessuna latitudine è risparmiata: si va dalla barriera corallina del Belize, minacciatadall’eccessivo sfruttamento delle coste, all’antica capitale dello Yemen, Zabid, in cui il 40% degli edifici storici è stato raso al suolo. Dal Buddha di Leshan, che ha resistito oltre12 secoli, ma nulla può davanti al super inquinamento che soffoca la città cinese, al Los Katios Park in Colombia, punta di diamante per la sua diversità biologica ma vittima del commercio illegale di legno. Nemmeno la vecchia Europa è immune: Sivigliaè osservata speciale per il progetto di un grattacielo di 178 metri, finanziato dal BancoCajasol, che snaturerebbe il suo skyline. Idem Istanbul, a causa degli abbattimenti delle case nei quartieri Sulukule e Tarlatasi, decisi per far posto ad abitazioni di lusso. E Dresda ha già perso il marchio Unesco per un ponte sull’Elba che ha deturpato la bellezzadella valle. Tanti luoghi mozzafiato. Messi in pericolo da un unico, ottuso, predatore: l’homo (non) sapiens. Che disbosca, inquina, cementifica, depreda gli ecosistemi.

L’Italia in quella lista della vergogna per fortuna non è (ancora?) menzionata. Ma il fattonon dovrebbe sollevarci più di tanto. Perché, comunque, molti dei gioielli che il mondo ci invidia sono in grande affanno. Vittime di una gestione miope del territorio. «Su tutti, ci preoccupa la situazione dei centri storici che soffocano sotto smog, asfalto e cemento»,denuncia Giovanni Puglisi, rettore della Iulm e presidente della Commissione italiana per l’Unesco. «Napoli, ma anche Firenze, Roma, Palermo sono sorvegliate speciali. Ma siamo preoccupati anche per la costiera Amalfitana, in cui ci sono 25 mila abitanti e 27 mila richieste di condono. Per le edificazioni senza sosta alle Cinque Terre. E per la Val di Noto, tra Siracusa e Augusta, minacciata dai progetti di trivellazioni petrolifere».

Scelte inconcepibili. Anche dal punto di vista del ritorno economico per la collettività:un rapporto dell’Unesco di Parigi ha quantificato in un +20/30% l’aumento di introitilegato alla possibilità di potersi fregiare del titolo di “patrimonio dell’Umanità”.

Tanti piccoli Tafazzi, appunto. Per la serie: continuiamo così, facciamoci del male...Emanuele Isonio

foto di Unesco

La barriera corallina del Belize, i centri storici di Zabid, Siviglia e Istanbul, il Buddha di Leshan.Ma anche la Val di Noto, le Cinque Terre, la Costiera amalfitana. Lo sviluppo basato solo su ricchezza economica ed edilizia mette in crisi parchi, città d’arte, luoghi storici. L’Unescolancia l’allarme. E minaccia di privare molti siti del marchio di “Patrimonio dell’Umanità”.

> Patrimonioda salvare

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Sopra: i giardini dell’Alcazar di Siviglia. La città spagnola rischia di perdere il marchio Unesco per il progetto di una Torre di 178 metri che sconvolgerebbe lo skyline cittadino.Nella pagina a fianco (dall’alto in senso orario): la foresta pluviale di Atsinanana in Madagascar, in pericolo per il trafficoillegale di legname; la città di Dresda (Germania), che ha persoil marchio Unesco per un ponte a quattro corsie sulla valledell’Elba; le cascate di Iguazu, esempio positivo, perché il progetto di una strada in mezzo al parco è stato sostituito da un trenino meno impattante; la Cupola della Roccia chedomina su Gerusalemme, altra città “stressata” dal cemento.

> Patrimonioda salvare

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Lo spettacolo mozzafiato del Lastoi del Formin e della Croda da Lago, nelle Dolomiti ampezzane. La catena montuosa è stata inserita nel 2009 fra i Patrimoni dell’Umanità Unesco. Ambientalisti e amanti della montagna sperano che talericonoscimento aiuti a frenare la costruzione di alberghi, appartamenti e opere urbanistiche di dubbia utilità, come la tangenziale in progetto a Cortina d’Ampezzo.

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> Patrimonioda salvare

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Sopra: il Colosseo a Roma è ormai ridotto a enorme rotatoriaall’ingresso del centro storico. L’Unesco ha denunciato piùvolte i danni di traffico, smog e cemento nelle città d’arte. Nella pagina a fianco (dall’alto in senso orario): Vernazza,alle Cinque Terre, altro territorio sotto pressione per l’edificazione selvaggia; Ponte Vecchio a Firenze; il tempio dorico di Giunone nella Valle dei Templi di Agrigento, attorno alla quale si continua a costruire senza sosta; le suggestive torri di San Gimignano.L’incremento di presenze turistiche “mordi e fuggi” è stato tale da far temere per la tutela del borgo stesso.

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Il consumo di suolo senza freniimpone un cambio di rotta per

arginare lo strapotere dell’edilizia. Gli esempi positivi, in Italia e nel mondo, non mancano.

Ma serve il coraggio di seguirli

a cura di Paola Baiocchi, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Elisabetta Tramonto

A Nord-Est di Cuzco (Perù) si trova la valle di Pisac, considerata sacra dagli Inca e

discretamente conservata. Sorte peggiore è capitata a Cuzco e a Machu Picchu,

assediate dai crescenti flussi turistici edall’urbanizzazione selvaggia.

Pisac, 1999

Oltre il profitto, i molti modi per dare valore alla terra >18Italia, una Repubblica fondata sull’edilizia>20Eccellenze agricole contro la speculazione >22Dal Canada all’Olanda, idee salva-suolo >23Parco Sud Milano, valori verdi alla riscossa >24Pisa, parola d’ordine: compartecipazione >26

Terra & profittiUna diga

controil cemento

dossier

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come il Parco della Valle del Ticino). «Siamostati eletti sulla base di un programma chepermette solo la riqualificazione degli edifi-ci esistenti e delle aree industriali dismesse»,racconta il sindaco, Domenico Finiguerra.«Approvare il Piano ci ha però costretto a ri-nunciare ai soldi degli oneri di urbanizza-zione (vedi ). Abbiamo alzato un po’ letasse e tagliato all’osso le spese comunali».Nessuno staff per la giunta, niente ufficiostampa né auto blu (solo una vecchia Pan-da), emolumenti ridotti al minimo per sin-daco (500 euro) e assessori (70 euro). Il Pia-no ha funzionato: il consumo di territorio èstato fermato. Il sindaco “visionario” e la suagiunta “rosso-verde” sono stati rieletti, inun’area in cui, alle Politiche, Lega e Pdl su-

BOX

perano il 60%. Cassinetta è ormai un faroper gli altri Comuni che si battono contro lacementificazione selvaggia.

C’era una volta il BelpaeseL’ottimismo, si sa, a volte è questione di pro-spettive. Per questo abbiamo deciso di apri-re il primo dossier del 2011 di Valori con unabuona notizia, che porta però con sé una do-manda: non è che per vincere la battagliacontro il cemento serve un modo nuovo dicalcolare il valore di un territorio? «Finora –spiega Antonello Boatti, urbanista al Politec-nico di Milano - il valore di un’area è statolegato al profitto che il suo proprietario puòtrarne. Ed è chiaro che, se quello economicoè l’unico parametro, il valore di un terreno èoggi dettato dall’edilizia». Ma questo criterioha prodotto un paradosso agghiacciante:più il Belpaese ha lasciato spazio al cemento,più i proprietari delle aree rese edificabilihanno fatto soldi a palate. Le conseguenzesono sotto gli occhi di tutti, ma pochi ne co-noscono la reale entità: dal 1950 gli ettari disuolo libero sono scesi da 30 milioni a 17,8(tanto per avere un’idea: l’Italia del Nord mi-sura 12 milioni di ettari). Una valanga diasfalto e cemento che, con il tempo, è anchecresciuta: dal 1990 al 2005, rivela uno studiodel Comitato per la Bellezza basato su datiIstat, si sono persi sotto al cemento 3,6 mi-

lioni di ettari di territorio. Inpratica: Lazio, Abruzzo e Umbriamessi insieme. «Con i ritmi e con i mec-canismi perversi attuali, altri cinquant’annie avremo coperto tutta l’Italia di cemento edi asfalto», denuncia Vittorio Emiliani, pre-sidente del Comitato per la Bellezza.

Altri parametri oltre alla rendita«Risolvere questo paradosso è d’importanzacruciale per fermare lo scempio», denunciaBoatti. «Finché si continuerà a calcolare ilvalore del territorio in base al profitto ga-rantito dall’edificazione, non si potrà farnulla». Gli speculatori continueranno a gua-dagnare e la collettività continuerà a spen-

dere soldi per i danni che il con-sumo di suolo produce: danniambientali (ecosistemi danneg-

giati, calamità naturali, inquina-mento), sociali (peggioramento dei livelli divivibilità di città e paesi) e, ovviamente, sa-nitari. Da qui, l’esigenza di individuare altriparametri di calcolo. Gli economisti ecolo-gici lo dicono da tempo: «È ora di fare un di-scorso analogo a quanto si fece a suo tempocriticando il Pil», commenta Andrea Masul-lo, docente di Sostenibilità all’università diCamerino. «Quell’indicatore calcola la ric-chezza senza considerare molti fattori cru-ciali per la vita umana. Il valore del territo-rio basato solo sul profitto non considera igravi danni provocati alla collettività, che si

vede privata dei prodotti non monetizzabiligarantiti dalla Terra. Non si rispetta la pecu-liarità che ogni terreno possiede e si apre lastrada a disastri naturali piccoli e grandi.Perché si finisce per costruire sui crinali deivulcani, sulla aree di esondazione di un fiu-me, al posto di un bosco che preserva unapaese da una valanga».

La parola d’ordine quindi è: studiareogni territorio. «Dobbiamo domandarci:come si è formato? Quali servizi ecosistemi-ci assolve?» spiega Masullo. «Solo così pos-siamo internalizzare i costi naturali e uma-ni di un progetto, partendo dal calcolo deldanno potenziale a cui ci si espone sfrut-tando un’area. Diffondiamo questo princi-pio, facciamo pagare i costi agli ideatori delprogetto e vedremo che nella maggior par-te dei terreni non è conveniente costruire.Automaticamente ci si orienterebbe verso learee meno problematiche e verso metodi disfruttamento più sostenibili».

Strumenti poco notiL’idea di internalizzare i costi trova consen-si anche tra gli urbanisti, che però riman-gono scettici sulla reale applicabilità deinuovi metodi di valutazione: «In teoria, ilprincipio è giusto, ma, nella pratica, stabi-lire l’impatto ecologico di un’opera è mol-to complicato», commenta Boatti. «I costi

Oltre il profittoI molti modiper dare valorealla terra

La cementificazioneavanza incontrollata.Per fermarla, inizia a diffondersi l’idea di far pagare a chi sfrutta un’area i danni prodotti agli ecosistemi

di Emanuele Isonio

n mezzo al paese scorre il Naviglio Grande, che ha garantito per

secoli i collegamenti con Milano. Lungo i suoi argini: Villa Bira-

go-Clari-Monzini, Palazzo Mantegazza, l’eleganza neoclassica di Villa

Trivulzio, Villa Grosso Pambieri, Villa Frotta-Eusebio con i suoi moti-

vi floreali. Molti comuni italiani possono vantare piccole o grandi

gemme. Ma quelle del borgo milanese di Cassinetta di Lugagnano so-

no diventate famose grazie al modo scelto dalla giunta cittadina, per

tutelarle: stop al consumo di territorio, stop alle pressioni degli spe-

culatori (molto forti in un’area fertile e, tutto sommato, incontaminata

I

I BUCHI DI BILANCIO SI TAPPANO COL CEMENTOTERRENI LIBERI CONSUMATIFRA IL 1990 E IL 2005

2001: LA LEGGE FINANZIARIA INTRODUCE una norma sciagurata per la tenutadel territorio italiano. Ha, infatti, permesso ai Comuni italiani di impiegare comespesa corrente, e non più solo come spesa per investimenti, gli oneri di urbanizzazione (i contributi dovuti ai Comuni da chi realizza interventi di costruzioneedilizia, usati per dotare il territorio di servizi adeguati). Un cambio radicale rispettoa quanto previsto dalla precedente legge Bucalossi. Un acceleratore per un circolovizioso: «Da quel momento - spiega Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la Bellezza - gli enti locali hanno avuto tutto l’interesse a permettere nuovecostruzioni, anche se inutili». «L’uso degli oneri di urbanizzazione per coprire i buchidi bilancio è una delle scelte più scandalose e folli avvenute in Italia. Ha riempito il Paese di alloggi, uffici e magazzini inutili. E ha reso i Comuni complici deipalazzinari», tuona l’urbanista Edoardo Salzano. «Servono piani urbanistici seri chestabiliscano quali opere sono necessarie», aggiunge Antonello Boatti. Contrario a questa norma anche il coordinatore dell’Associazione Comuni Virtuosi, MarcoBoschini: «I Comuni si sentono ricchi grazie agli oneri di urbanizzazione. Ma è unafalsa ricchezza, che sposta avanti nel tempo il problema dei bilanci. Anche perché,prima o poi, il territorio si esaurirà. L’unica strada percorribile è la loro eliminazione.Vanno invece diffuse pratiche virtuose di riduzione degli sprechi, per smentire chi li ritiene indispensabili per i bilanci comunali». Una notizia positiva sembravaessere contenuta nell’ultimo decreto Milleproroghe, che non estendeva la normatanto contestata. Ma l’illusione è durata poche ore. Alla vigilia di Natale, attraversoun emendamento del governo, tutto è tornato nella (grigia) normalità. Em. Is.

LINK UTILI

www.stopalconsumoditerritorio.itwww.comunivirtuosi.org www.eddyburg.it

IN PERCENTUALE SULLA SUPERFICIE REGIONALEIl consumo medio annuo di terreno raggiunge,mediamente, i 244.202 ettari.

2,9%

22,1%

45,5%

Prov. Bolzano

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21,2%

Sardegna

18,9%

Lazio

18,4%

Piemonte

Lombardia

Abruzzo

17,6%

Molise

17,1%

Italia

16,4%

Puglia

15,7%

Toscana

15,1%

Campania

14,4%

Friuli V.G.

12,3%

Veneto

11,8%

Marche

10,2%

Umbria

26,1%

Calabria

Liguria

9,3%

Val d’Aosta

4,9%

Basilicata

22%

Sicilia

18,2%

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SPAGNA, ESEMPIO DA SEGUIRE

USO DEL SUOLO PER INTERESSE GENERALEe per rendere effettivo il diritto alla casa.Contrasto allo sfruttamento del territorio per fini speculativi. Diritto della collettività a ottenere parte delle plusvalenze derivantidalle opere urbane. Principi sacrosanti, che in Spagna sono stati trasformati in normacostituzionale. L’articolo 47 della Costituzioneintrodotta nel 1978 recita infatti: “Tutti gli Spagnoli hanno il diritto di godere di unaabitazione degna e adeguata. I pubblici poteripromuoveranno le condizioni necessarie e stabiliranno norme idonee per rendereeffettivo questo diritto, regolando l’utilizzazionedel suolo conformemente all’interesse generaleper impedire la speculazione. La comunitàparteciperà della plusvalenza prodotta dagli interventi urbanistici degli enti pubblici”.

E se noi riprendessimo l’idea, unendolamagari al divieto di condoni edilizi, nell’articolo9 che “tutela il paesaggio e il patrimoniostorico e artistico della Nazione”?

L’ESTIMO: VALUTARE LA TERRA. CON UN OCCHIO AL “POSSIBILE”

UN LAVORO MOLTO COMPLESSO e una disciplina assai cambiata nel corso del tempo:l’estimo rurale ha un ruolo essenziale per quantificare il valore di un terreno agricolo. «Un tempo», afferma Vittorio Gallerani, docente di Estimo rurale all’università di Bologna «per definire il valore economico di un terreno era sufficiente la competenza di un agronomo in grado di valutare l’influenza dei fattori naturali (altitudine, inclinazione,struttura fisico-chimica e idrogeologica) e strutturali (facilità d’accesso, ampiezza, viabilità aziendale, sistemazioni dei terreni ecc.) sul reddito e quindi sul valore».

«Oggi è soprattutto la possibilità di usi diversi da quello agricolo che incide sul valoredi un terreno», spiega Gallerani. «A parità di caratteristiche naturali e strutturali, la sempliceaspettativa di poter usare la terra per costruirci, per fare un campo sportivo, per ospitareuna strada o un parcheggio, o per un impianto energetico fotovoltaico o eolico, fa salire il prezzo dell’area. Il proprietario è spinto a percorrere strade diverse per ricavare dal proprio pezzo di terra la soddisfazione economica che l’agricoltura non è più in grado di procurargli. Spesso più della realtà è l’immaginazione che determina il valore della terrae quindi l’estimatore deve fare i conti anche con il mondo del “possibile”». Em. Is.

ecologici e umani non sono internalizzabi-li - aggiunge l’urbanista Edoardo Salzano,ideatore del sito Eddyburg.it - perché nonsono legati a una singola opera, ma all’in-sieme delle scelte fatte su un territorio. E poinon c’è terreno che non offra un servizio.L’unica via di salvaguardia è un’attenta pia-nificazione, oggi ostacolata dalla spinta al-l’appropriazione della rendita urbana. Unaspinta che può essere fermata solo ricono-scendo che il valore di un territorio non ap-partiene al privato che ne detiene la pro-prietà, ma alla collettività che, nel tempo,lo ha reso economicamente appetibile».

Ma lo scetticismo degli urbanisti è re-spinto dagli esperti di calcolo dei serviziecosistemici: «Ormai - spiega Masullo - co-nosciamo tutti i parametri per conteggiare idanni derivanti dalla perdita di un servizioofferto dall’ambiente. È di questo che si oc-cupa l’economia ecologica». Semmai il pro-blema può essere un altro: l’aumento impe-tuoso della popolazione mondiale, cherischia di rendere sempre più complicatopreservare i territori dallo sfruttamento. Maqui si aprirebbe il tema, spinosissimo, dellaquestione demografica. Ed è tutta un’altrastoria. Tutto un altro dossier. .

che un altro dato: quando, dopo il 2006, la“bolla” si è in parte attenuata, le transazionisono calate del 33%, ma i prezzi solo del 9%.«Questo avviene – osserva Roberto Camagni,ordinario di Economia urbana al Politecnicodi Milano – perché, prima, gli immobiliaristihanno potuto contare su enormi extra-pro-fitti e ora hanno scelto di non ridurre i prez-zi, in attesa di tempi migliori».

Ma un altro fattore spinge il nostro terri-torio fra le braccia dei costruttori anziché deicontadini: il prezzo della terra, infatti, neglistessi anni, è rimasto – al netto dell’inflazio-ne – sostanzialmente fermo (vedi ). «Ilprezzo della terra – spiega Andrea Povellato,ricercatore dell’Istituto nazionale di econo-mia agraria – cresce solo dove è usato per col-ture pregiate e circoscritte geograficamente(nei vigneti di Valdobbiadene vale fino a 500mila euro a ettaro, contro i mille dei pascolicalabri); dove l’economia locale è più dina-mica; dove c’è potenzialità edificatoria». Inpratica: la sola possibilità di poterlo usare percostruirci, fa crescere il suo valore. «Questo èdovuto – prosegue Povellato – a una renditaagricola che, ad eccezione delle aree di eccel-lenza, è molto bassa. Un incentivo a usi di-versi dalle coltivazioni. Come l’edilizia, maanche pannelli solari, pale eoliche e, ultima-mente, le colture per biogas».

GRAFICO

Se a tutto questo si aggiungono pubbli-ci poteri che poco arginano le speculazio-ni, il quadro è completo: «lo strapotere del-l’edilizia è agevolato da una politica disostanziale laissaiz-faire che ha smantellatoil sistema di pianificazione urbana e ha fat-to un grosso regalo agli operatori», denun-cia Camagni. «Il settore immobiliare va in-vece governato».

In tal senso, è impietoso il confronto traMonaco e Milano. Nella capitale bavarese, siconcedono i diritti di costruzione solo incambio di una cifra pari al 30% del valore deltrasformato: se si costruisce per un miliardo,al Comune vanno 300 milioni. «I negoziato-ri tedeschi sono dei veri mastini. Così facen-do hanno soldi non solo per le urbanizza-zioni, la manutenzione e il verde pubblico.Ma anche per l’housing sociale. Ai poveridanno case a un terzo dei valori di mercato.Alle giovani coppie a 2/3 del valore».

A Milano, la percentuale di introiti per ilComune crolla a un misero 8% (vedi ).«Una cifra inadatta anche per le più basilariopere di urbanizzazione. Così facendo, gliimmobiliaristi si arricchiscono e alla colletti-vità restano le briciole». I servizi si paganocon le casse pubbliche. Ai poveri e ai giovanirimane un territorio depredato e un sogno diuna casa, che rischia di rimanere tale. .

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I LIBEREREMO MAI del giogo dell’edilizia? A leg-gere i dati del mercato immobiliare, qualchedubbio è lecito. Il decennio 1996-2006 sarà ri-cordato come quello della grande fiammatadei prezzi: in Italia sono saliti (al netto del-l’inflazione) del 35%, nelle grandi città del55,6%. Boom anche per le transazioni: +57%.Prima di allora, solo tra l’85 e il ’92 si era re-gistrata un’impennata simile. Nello stesso pe-riodo, però, i costi di costruzione sono addi-rittura scesi, grazie alla bassa inflazione e allacrescente manodopera straniera. Una mannadal cielo per gli immobiliaristi, che spiega an-

Italia, una Repubblicafondata sull’ediliziadi Emanuele Isonio CPrezzi immobiliari cresciuti del 35% in un decennio. Le rendite agricole non reggono il confronto.

MILANO E MONACO A CONFRONTOVALORE DEI SUOLI (IN %)

INDICE DEI TERRENI AGRICOLI IN ITALIA(2000=100)

IL PREZZO DELLA TERRA AD USO AGRICOLO1992-2009

TASSO DI CRESCITA DELLE TRANSAZIONI E DEI PREZZI IMMOBILIARI(DEFLAZIONATI):1996-2006Prezzi grandi città + 55,6%Prezzi media italiana + 35,0%

1997-2006Transazioni + 57,0%

2006-2009Andamento dei prezzi, Italia: – 9%Transazioni, Italia – 33,4%

Nord Est 33,3

Totale 17,5

Centro 12,4

Sud 11,4Isole 9,3

1,1Opereaggiuntive

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37,8

7,1Oneridi legge

9,2Cessionesuperfici3,9Opere diurbanizz.6,2Servizipubblici18,5Edilizia sociale

Variazione 1992-2009Media nazionale +59%Tasso di inflazione +56%

84,9Ricavatod’impresa

39,2Ricavatod’impresa

6,9Valoreinizialeterreno

23Valoreinizialeterreno

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LAVORI IN CORSO NASCE LA SOCIETÀ DEI TERRITORIALISTI

ALLA METÀ DEL 2010 un nutrito gruppo di docenti di diverse discipline, provenienti da numerose università italiane, hanno proposto la costituzione della “Società deiterritorialisti”. Un’associazione - coordinata principalmente da Alberto Magnaghi, docentedi Pianificazione territoriale presso la facoltà di Architettura dell’università di Firenze - cheha, fin dall’inizio, suscitato un vivo interesse nel mondo accademico. Il principale obiettivodei “territorialisti” è alimentare il dibattito per la fondazione di un corpus multidisciplinaredelle arti e delle scienze del territorio, mirato ad assumere la valorizzazione dei luoghicome fondamento della conoscenza e dell’azione di istituzioni e imprese. In concreto ciò si tradurrà nell’indicazione di linee guida per le politiche di governo del territorio, nella promozione di scuole, dipartimenti, dottorati e master nelle università italiane,nonché di strutture di carattere culturale e scientifico anche al di fuori degli atenei.www.societadeiterritorialisti.it

Valori correnti

Valori deflazionati

Nord Ovest 23,9

Prezzo medio di un terreno nel 2009: 18.000 euro ad ettaro

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PER APPROFONDIRE

“PRODURRE E SCAMBIARE VALORE TERRITORIALE” è il titolo di un ciclo di seminariorganizzati tra settembre e novembre 2010 dal laboratorio di Progettazione ecologica del territorio del Dipartimento di Architettura e pianificazione (Lpe/DiAp) del Politecnico di Milano, in collaborazione con il centro Design dei servizi (Des), dipartimento di Industrial Design, Arte, Comunicazione e Moda (Indaco) del Politecnico di Milano e con il Dipartimento di Produzione Vegetale (DiProVe) della Facoltà di Agrariadell’università degli Studi di Milano. Si possono scaricare i materiali dal sito produrreterritorio.wordpress.com

Quali attività producono e quali di-struggono valore?

Costruendo una distesa di villette in unosplendido paesaggio rurale, si pensa di ap-propriarsi del valore di quel territorio. Inrealtà lo si consuma, quel “bene comune”.Se, invece, in quello stesso paesaggio, adesempio coltivato a vite a ritocchino, si ri-lancia quella coltura secondo i caratteri deiluoghi, non solo si conserva, ma si riprodu-ce ricchezza: si crea nuovo valore aggiunto.Questo vale, in termini diversi, anche per lacittà, per il territorio costruito, quando si ri-nuncia all’espansione senza qualità e si ope-ra per la riqualificazione dei centri storici oper una relazione consapevole dello spaziourbano e il suo territorio.

Che ruolo ha l’agricoltura?È stata chiamata “attività primaria”, la piùimportante, quella fondatrice: che ha nutri-to e messo al mondo il territorio. Ma è statala prima vittima dello sviluppo. Dobbiamorimettere in moto questa basilare attività digenerazione di territorio e di ricchezza per lavita se vogliamo tracciare una strada per co-struire uno scenario alternativo, che non ri-guarda solo l’agricoltura.

Come può l’agricoltura competereeconomicamente con l’edilizia?

Valorizzando la qualità locale. Basta pensarealla Franciacorta degli spumanti o alla Lan-

ghe del Barolo. Questi territori competonocon la speculazione edilizia perché possie-dono un proprio valore maggiore e alterna-tivo. Si tratta allora di estendere, oltre questiluoghi eccellenti, la valorizzazione dellaqualità locale di altri territori rurali, organiz-zando un’economia di produzione e scam-bio del valore territoriale.

Esistono degli esempi concreti divalorizzazione possibile del terri-torio?

Un ottimo esempio è il Parco agricolo SudMilano. Ha una grande potenzialità che vaattivata da una vera valorizzazione dell’eco-nomia contadina per la sovranità alimenta-re, piuttosto che ridotta all’attuale debole di-fesa del parco come spazio verde. Unaricchezza in grado di competere con l’urba-nizzazione e riqualificare la stessa città.

Il territorio può essere consideratoun bene comune?

È il principale bene comune: beni materiali(terra, acqua, centri storici) e immateriali(saperi contadini e urbani, consapevolezzadegli abitanti) uniti nel corpo territoriale.Purché sia vivo, fruibile da tutti e riattivatoda una produzione appropriata e da unanuova domanda sociale. I campi coltivatisono un bene comune se producono beniecologici e di qualità e se vi si può accedere.Un patrimonio territoriale morto o rinchiu-so in un recinto non è più un bene comune.E non conta molto se sia pubblico o privato:deve essere “comune”.

La speranza per il futuro è che un interomodello territoriale segua sempre di più que-sta strada: creare ricchezza dal territorio. .

«Eccellenze agricolecontro la speculazione»di Elisabetta Tramonto

G. Ferraresi A. Rossi Il parco come cura ecoltura del territorio.Un percorso diricerca sull’ipotesidel parco agricoloGrafo Editore, 1993

LIBRI

G. Ferraresi Produrre e scambiare valoreterritoriale: dallacittà diffusa alloscenario di formaurbis et agri Alinea, 2009

A. Magnaghi Il territoriodell’abitare Franco Angeli, 1990

A. MagnaghiIl progetto localeBollati Boringhieri,2000

G. DematteisF. GovernaTerritorialità,sviluppo locale,sostenibilità: il modello Slot Franco Angeli,2005

G. Ferraresi con F. Coviello Neoagricoltura e nuovi stili di vita:scenari di ricostruzioneterritoriale Urbanistica, n.132

A. Calori Coltivare la città.Giro del mondo in dieci progetti di filiera corta Altreconomia-Terredi Mezzo, 2009

E. OstromGovernare i benicollettiviMarsilio, 2006

M. Hardt A. Negri Comune: oltreil privato e il pubblico Rizzoli Editore,2010

S. Agostini D. Bertoni Per un’altracampagna.Riflessioni e propostesull’agricolturaperiurbana Maggioli Ed., 2010

M. De Gasperi Malacittà. La finanzaimmobiliare controla società civileMimesis, 2010

G. Chiesa D. PandakovicPaesaggio e risorseenergetiche. Le trasformazionisostenibili nelterritorio montanoPolipress, 2007

PER CAPIRE QUALE POSSA ESSERE IL “VALORE” DEL TERRITORIO, al di là di quelloimmobiliare, le città costituiscono un luogo di osservazione privilegiato. Nonostante la costante espansione che le città occidentali hanno avuto dopo la rivoluzione industriale,l’esplosione delle megalopoli del Sud del mondo, la crescita abnorme delle grandimetropoli-regione cinesi che consumano enormi quantità di risorse, da qualche anno in diverse parti del mondo si stanno introducendo obiettivi e strumenti per rivedere la scala delle priorità nella pianificazione delle città e per misurare la capacità dei contestiurbani di creare valore anche al di là dei meccanismi fondiari legati all’edificazione.

La città è da pensare come un ecosistema fatto di acque, suolo, popolazione, oggetti e flussi complessi, che vanno governati nel loro insieme, per individuare valori non connessial consumo delle risorse, bensì alla loro rigenerazione. Ciò che è direttamente o indirettamentelegato all’agricoltura acquista un ruolo e un valore importante, perché quest’attività da unlato consuma, dall’altro produce e rigenera valori essenziali per il mantenimento dell’uomo e del suo ecosistema: basti pensare al cibo, alla fertilità, all’acqua e alla biodiversità.

In diverse città del mondo si sono avviate esperienze nelle quali la promozione di sistemi agroalimentari, che siano in grado di generare questi valori, diventa parteintegrante delle politiche per le città; unendo produzione di cibi di qualità, aumento della salute alimentare e miglioramento dell’ambiente urbano in termini di biodiversità e di vivibilità. Come a Londra con la London Food Strategy promossa a suo tempo dal sindaco Ken Livingston e gestita mediante politiche ambientali e per la salute delle persone e criteri per la gestione degli spazi aperti cittadini.

Con approcci diversi la Regione Île-de-France, che comprende Parigi, sta lavorando da anniper associare la pianificazione del territorio al governo complessivo dell’ecosistema, orientandola produzione agricola per aumentare la biodiversità e la quantità di alimenti biologici prodottilocalmente. La Regione promuove politiche attive per supportare la costituzione di sistemiagroambientali comprensivi di produzione, distribuzione e consumo locale, pensati come parteintegrante della pianificazione a scala regionale. Se ne misura la capacità di contribuire alla qualità ambientale e al benessere delle persone mediante l’impiego di specifici indicatori.

Restando in contesti occidentali con un’urbanizzazione pervasiva, interessanti sono le foodpolicies inserite nei piani regolatori di città canadesi come Vancouver e Ottawa, del RandstandHolland - il cuore dell’Olanda densamente urbanizzata - di Monaco di Baviera in Germania e,perfino, di New York. Casi diversi tra loro, ma dove il ruolo dell’istituzione è centrale per definireregole e scale di priorità nei valori della città. In molti altri casi, invece, sono le esperienzesociali che producono effetti apprezzabili a livello urbano: si pensi all’aumento del fenomenodei community gardens in Gran Bretagna e nell’intero mondo anglosassone e tedesco, fino ad arrivare ad esperienze di acquisto collettivo delle terre da parte dei cittadini, come accade a Bordeaux, in Francia, o in diverse città del Canada. Andrea Calori Politecnico di Milano

DAL CANADA ALL’OLANDA, VIA PARIGITANTE IDEE PER SALVARE IL SUOLO

URBANIZZAZIONE SI ESPANDE,divorando il paesaggio el’ambiente. Per compete-

re con la speculazione edilizia è necessarioprodurre ricchezza, anche economica, dalterritorio». È questa la strada tracciata daGiorgio Ferraresi, nelle ricerche che guida, alPolitecnico di Milano, in relazione con leesperienze sociali sul territorio.

Che cosa significa produrre valoreterritoriale?

La condizione che viviamo ci offre periferiee merci prodotte in serie che non hanno ca-ratteri propri del territorio in cui siamo; ven-gono da dovunque e devono valere per qua-lunque consumatore/abitante. Produrrevalore dal territorio significa, invece, valo-rizzare le differenze. Perché il valore del ter-

ritorio consiste nelle qualità ambientali, nel-la biodiversità e nelle diversità culturali. Chiproduce la “Bonarda dell’Oltrepò pavese”,non vende “un vino”, ma propone una crea-zione specifica con quel nome, che contie-ne la ricchezza del territorio che l’ha gene-rata e il sapere dei contadini che l’hannoprodotta. Un prodotto che si riconosce e siapprezza per la sua origine, il modo/costo diproduzione e la sua storia.

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La Franciacorta degli spumanti o le Langhe del Barolo. In questi territori l’urbanizzazione ha perso.Giorgio Ferraresi,ordinario di Urbanisticapresso il Politecnico di Milano.

Una distesa di villette costruitein uno splendidopaesaggio rurale consuma e distrugge valore.Coltivare quelle campagne con metoditradizionali produce ricchezza

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ra di Slowfood e il Farmer market della Coldi-retti a Milano o i mercati di Abbiategrasso eLodi, ndr), alle mense scolastiche».

E in questo ventaglio di alternative di ri-lancio della propria attività, prosegue Oli-vero, «da circa sette mesi abbiamo scelto diprivilegiare i gruppi d’acquisto solidale,mettendo in piedi un processo di trasfor-mazione del latte in formaggio diretto a lo-ro, un giorno ogni quindici di lavoro. Conun riscontro economico accettabile: siamopassati dal perdere qualche centesimo perogni litro di latte prodotto a guadagnarequalcosa su ogni chilo di formaggio vendu-to. Un processo che copre oggi meno del10% del nostro ricavo, ma che pensiamo diestendere dal prossimo anno a tutti i nostriprodotti (farine, birra, miele)».

Facciamo rete... fra i campiSe è vero che il Parco deve produrre reddito perle sue aziende agricole, per evitare che il valo-re della terra crolli e i campi vengano lasciatiagli speculatori, va anche detto che il rilanciodell’economia del più grande parco agricolo

d’Europa (47mila ettari di cui l’80% di suolocoltivabile) si gioca molto anche su una rete esu canali di distribuzione che sappiano colle-gare efficacemente produttori e consumatori.Per questo il gruppo di lavoro del Politecnicodi Milano (Giorgio Ferraresi e i suoi colleghi

Andrea Calori e Francesco Coviello) ha evi-denziato l’intenso scambio di merci e relazio-ni tra Gas e cascine del Parco (vedi pag.seguente). Per questo è nato il Distretto di eco-nomia solidale rurale del Parco Sud, cui aderi-scono oggi 15 aziende agricole, 25 Gas e qual-che ente locale. Per questo, infine, sono statiattivati progetti come BuonMercato, luogo fisi-co per l’incontro di contadini e consumatori,concesso dal comune di Corsico, e centro ser-vizi che svolge attività di prenotazione e con-segna dei prodotti alimentari e non. Finanzia-to dalla Fondazione Cariplo, BuonMercato fagià scuola: un progetto simile, la Casa della so-stenibilità, si sta avviando nel vicino Comunedi Cesano Boscone.

Sarà il biologico a salvarel’agroindustria?Solo nel 2009 hanno chiuso circa 70 aziendedel Parco, anche di grandi dimensioni, so-prattutto tra quelle legate alla produzione dellatte. Motivo principale? Del prezzo di vendi-ta al dettaglio in media il 17% va al produt-tore – e non copre i costi sostenuti –, il 23%va alle imprese dell’agroindustria di trasfor-mazione, il 60% va alla grande distribuzione.Visto che però il biologico è uno dei pochis-simi settori – insieme alla finanza etica – anon aver subito pesantemente la crisi econo-mico-finanziaria, non sono pochi i produtto-ri in difficoltà che cominciano a riconvertirel’azienda al bio (così anche “Isola Maria”) e arivolgersi ai Gas.

«Un’altra filiera che va ricostruita è quelladel pane», ricorda Vincenzo Vasciaveo del Desrurale, visto che i cereali coltivati attualmentesono destinati perlopiù a produrre mangimi.Dalla primavera scorsa, infatti, su richiesta deiGas si è riattivata una piccola produzione digrano da panificazione, ricominciando a ma-cinare la farina di due aziende agricole nelmulino di Abbiategrasso del 1200. È ancoraun esperimento da un’ottantina di pagnotte asettimana, ma l’aspetto di rilievo è la sua so-stenibilità economica: «Se l’agricoltura biolo-gica si sposa a “filiera corta” e “Km zero” - con-clude Vasciaveo - si abbattono i costi e quindii prezzi rispetto ai prodotti tradizionali e aquelli biologici “semplici”: il nostro pane biocosta 3,40 euro al chilo, contro i 3,50-4 eurodi quello convenzionale e rispetto al prezzoanche superiore del biologico classico». .

MAPPA

di Corrado Fontana

Il Parco Agricolo Sud sperimenta idee e modelli per ridare slancio economico e sociale alla terra e al lavoro contadino.

OME IN UN LABORATORIO, nell’a-rea del Parco Agricolo Sud mi-lanese si creano vaccini con-

tro la speculazione edilizia e si studiano curea base di frutta e formaggio biologico. Nientealambicchi, provette oprofessori in camice bian-co. Solo le mani segnatedei contadini-imprendito-ri, l’entusiasmo dei Gruppid’acquisto solidale, qual-che amministratore pub-blico illuminato e un grup-po di docenti universitaridell’università Statale e delPolitecnico di Milano.

Gas al formaggio«Negli ultimi 5-7 anni – spiega Dario Olive-ro, agricoltore della cascina “Isola Maria” erappresentante della Cia (Confederazioneitaliana agricoltori) – a causa del costo altodelle materie prime e dei prezzi di venditanon sufficienti a rientrare dei costi di produ-

zione, molte cascine han-no attuato meccanismi di-versi per recuperare “pezzidi reddito” altrimenti per-duti lungo la filiera. Cana-li di trasformazione e ven-dita diretta, soprattutto:rivolgendosi non solo aiGas, ma anche agli spacciaziendali, ai mercati con-tadini (il Mercato della ter-

PARCO DEL TICINELLOPensato a fine anni ’80, approvatopiù volte dal consiglio comunale di Milano (l’ultima nel 2007),riguarda 880 mila metri quadrati di terreno nel Parco Agricolo Sud, il 70% da lasciare per l’attivitàagricola e il rimanente come areaaperta al pubblico. Attualmente il progetto è sospeso, in attesa cheil comune si accordi per l’acquisizionedel 50% delle aree, di proprietà di società che fanno capo alcostruttore Salvatore Ligresti, e cheda questo derivi anche il salvataggiodella Cascina Campazzo, centroagricolo dell’area, il cui immobile è di proprietà della Altair (anch’essadi Ligresti) e sotto sfratto. Le ipotesidi accordo tra comune e costruttoresono inserite nel nuovo Pgt di Milano,già in fase di approvazione.

BOSCOINCITTÀStorica esperienza di parco nata con intenti più naturalistico-fruitivi e didattici che agricoli, è gestito da 37 anni da Italia Nostra, ma il comune milanese ha prorogato la convenzione solo fino a giugno2011 e propone una “messa a gara” del servizio. Italia Nostra ha commissionato in esterni unostudio di valutazione economica e sociale della propria gestione che ha quantificato in oltre 16 milioni di euro (contro meno di 5 milioni di spesa) il beneficiocollettivo per Milano, prodotto in quasi quarant’anni di presa in carico.

PIANO DI MITIGAZIONE NELL’AREADEL DEPURATORE DI NOSEDOSostenuto fin dal principio dal Comune di Milano, è un piano di contesto per il recupero delleacque pulite a valle del depuratore e per la ripianificazione paesisticadell’area, fino all’abbazia di Chiaravalle. Prevede, tra i suoiinterventi, in parte attuati, un laghettodi fitodepurazione, piantumazioni,il recupero di coltivazioni storiche, il recupero degli alvei della roggiaVettabbia e delle marcite. Da questoprogetto il recupero si è esteso, ma non ancora attuato, a un pianopaesistico per tutta la valle dellaVettabbia, prevedendo di concerto,sebbene non sia l’obbiettivoprincipale, anche un ripristino delleattività delle cascine e di scambiodelle merci agricole.

I 5 PIANI DI CINTURA URBANA È tra i progetti che lavorano in direzione non concorde colmodello di parco agricolo e riguardala parte del Parco Sud compresanell’area di Milano. «L’idea – ricordail professor Giorgio Ferraresi(Politecnico di Milano) – nasce da una proposta dell’assessoreprovinciale all’ambiente BrunaBrembilla, già presidente del ParcoSud, ed è stata accolta dal nuovoPgt (Piano di governo del territorio)milanese, che considera tali areetitolari di diritti di costruzione e pensa di dover creare un mercatoper trasferire l’equivalente valore di edificabilità altrove». È ciò che sidefinisce “perequazione urbanistica”ed «è come se – continua Ferraresi –su quei terreni ci fossero 50centimetri di potenziale cemento dadover spostare. Il comune sostieneche questo è un modo per salvarli,dando loro un valore immobiliare, ma si tratta di renderli “merce”,sperando che sia poi il libero mercato a risolvere la questione». SecondoVincenzo Vasciaveo (Gas di Baggio e Desr) «potrebbe capitare che,poiché l’area urbana milanese non è infinita, una volta saturata la città, i proprietari pretendano di costruiresui loro terreni all’interno del Parco».

IL PROGETTO DEL CERBANuovo centro ospedaliero che fa capoallo Ieo - Istituto Europeo di Oncologiadi Umberto Veronesi. Un’area da 630mila mq di cui il 50% saranno edificaticon strutture di ricerca e il resto saràdi parco pubblico attrezzato, nell’areadel Parco Sud. Sul sito web molta“atmosfera” ma solo informazionigeneriche sui temi ambientali e sui finanziatori.

PROGETTI PRO E CONTRONumerosi i progettinell’area del Parcoagricolo, alcuni in linea alcuni no, con il tema di ridarevalore al territorio.

Alcuni scorci del Parco agricoloSud Milano. Le foto sono staterealizzate dal gruppo di studentie ricercatori del Politecnico di Milano, impegnati nello studio di questo progetto.

LINK UTILI

www.provincia.mi.it/parcosudwww.buonmercato.infowww.desrparcosudmilano.itwww.nutriremilano.itwww.sperimenti.com/sperimentilab.com/cfuwww.parcoticinello.itwww.cerba.itwww.ilmetrobosco.itwww.borgodichiaravalle.it/il-parco-della-vettabbia.html

IL PARCO AGRICOLO SUDE I SUOI FORNITORI

METROBOSCOPiano di sviluppo ambientale in fortecontraddizione con l’idea del parcoagricolo in quanto prevede di riportarea bosco una striscia di verde intornoalle grandi infrastrutture con lo scopodi “sanificarle”. Il professor Ferraresiricorda come sia «un progetto di spesa e non di accumulazione di ricchezza, che riduce le areecoltivabili e distrugge le economiecontadine, se anche fosse affidato agli agricoltori».

Valori verdialla riscossa

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mento a cui hanno dato vita il mese scorsouna settantina di famiglie di Pisa e dintorni,formandosi per il momento come associazio-ne di promozione sociale, dopo essersi resiconto che non esiste una forma giuridica cherappresenti il Cap in modo esatto.

«Siamo un’esperienza pilota» spiega An-gelo, uno dei soci fondatori che lavora co-me avvocato e ha fornito il supporto legaleall’associazione, permettendole di nascerein circa due mesi. «La cooperativa sarebbelo schema giuridico che meglio ci si adatte-rebbe. Ma non esistono cooperative che sia-no insieme di produzione e di lavoro». Gi-no spiega, con un accento milanese che haun effetto straniante a Pisa: «Nel progettodel Cap i soci presteranno nel corso del-l’anno almeno 4 o 5 giornate di lavoro sulcampo, nello smistamento dei prodotti onella loro trasformazione, e si alternerannoanche negli organismi decisionali e orga-

nizzativi». Nessuno spazio alla delega, in-somma, ma la presa di coscienza diretta suiproblemi e nelle decisioni per cui nessunopotrà più chiedersi “perché non ci sono lefragole a Natale?”.

Una testa, un votoPer questo alcuni genitori hanno presenta-to i propri figli per questa “scuola sul cam-po”. Un passo in più rispetto ai Gas (Grup-pi d’acquisto solidali), dove molti sonoconsumatori che passano a ritirare la bustacon i prodotti, ma non conoscono le esi-genze dei produttori. «Il nostro obiettivo èrealizzare una comunità, un’azienda agrico-la compartecipata – spiega Ada, ricercatricedi Economia agraria all’università di Pisa –e chiediamo un impegno economico e di la-voro per almeno tre anni».

I soci possono sottoscrivere quote intere,da 50 euro al mese, oppure mezze quote da

25 euro, e versarle mensilmente, bimestral-mente, trimestralmente o in un’unica solu-zione. E, come nelle migliori tradizioni de-mocratiche, le mezze quote hanno lo stessopeso in sede assembleare: una testa, un voto.

Le quote serviranno a pagare le spese

per l’affitto dei due ettari da coltivare, l’ac-quisto delle piantine, dei tubi per l’irriga-zione, di un trattore (un 50 cavalli usato) eper ricompensare il lavoro di Riccardo,agricoltore rimasto senza lavoro che verràinquadrato a norma di legge.

Nell’assemblea costitutiva si respiravaun clima di grande ottimismo: riunire indue mesi su un progetto settanta famiglieè un successo, in un’epoca di dibattiti conle platee vuote. Ma, al di là dell’entusia-smo, nessuno ha nascosto che la gestionedi un gruppone del genere non sarà sem-plice, anche solo per mettere tutti d’accor-do se coltivare rape o verze. E allora si èparlato anche di risoluzione non violentadei conflitti, di banca delle ore lavorate inpiù, di serre fredde necessarie nelle colti-vazioni biologiche e di riuscire a produrretalmente tanto da dar lavoro anche a unaltro contadino. .

Parola d’ordine:compartecipazionedi Paola Baiocchi IA Pisa l’esperimento della Comunità agricola di produzione: 70 famiglie, un contadino e la terra da lavorare.

L LORO INDICE POTREBBE ESSERE ESPRESSO in fagio-lini e il rendimento in peperoni, ma nessunaagenzia di rating li prenderebbe in considera-zione perché vogliono lavorare la terra e darelavoro a un contadino. Si chiama Cap, Co-munità agricola di produzione. È un esperi-

Nel progetto “Cap” ogni sociopresta almeno cinque giorni l’anno di lavoro sul campo: un modo per confrontarsi con i reali problemi di chi produce,spesso ignoti ai consumatori

A QUATTRO ANNI DALL’EXPO NUTRIRE MILANO

LA CITTÀ ITALIANA CHE PIÙ DI TUTTE SA DI CITTÀ. È un progetto ambizioso per farladialogare con la campagna circostante. È il succo del progetto “Nutrire Milano, energieper il cambiamento”, avviato un anno fa e che deve arrivare nel 2015 con una serie di realizzazioni concrete. Intanto, in questo primo anno, Slow Food (con la consulenza di Politecnico, università di Scienze gastronomiche e il contributo di Fondazione Cariplo e Comune) ha messo in piedi il sito www.nutriremilano.it.

La parola d’ordine del progetto è km zero. È la distanza che separa (più o meno) il capoluogo lombardo dal parco agricolo Milano Sud, il serbatoio agricolo a cui il progettointende attingere, per portare ai consumatori milanesi, ma anche nelle mensescolastiche e negli ospedali, prodotti della terra, di qualità e a chilometro zero. Alcuneattività sono già partite, come il Mercato della Terra, che ogni terzo sabato del mesenell’ex largo Marinai d’Italia, fa incontrare agricoltori e cittadini. «Se Milano si metterà a consumare i prodotti del suo territorio allora avremo vinto», ha dichiarato Petrini.

AIUTI AL MERCATO. PUBBLICI E GREEN

SI CHIAMA GREEN PUBLIC PROCUREMENT (GPP) ed è una via per investire sulla sostenibilità, sfruttandoil peso delle pubbliche amministrazioni e delle loroscelte. A spiegarlo è il Commissario Ue per l’ambienteJanez Potonik, ricordando che «in Europa le autoritàpubbliche sono i principali consumatori, utilizzando il loro potere d’acquisto nella scelta di beni, servizi e lavori “amici dell’ambiente” esse possono dare un contributo importante per il consumo e la produzionesostenibili. Il Gpp può contribuire a stimolare una massa critica di domanda che altrimenti sarebbedifficile ottenere sul mercato». In Italia qualcosa si muove in tal senso, anche a partire da un’idea comequella nata nel comune lombardo di Pieve Emanuele(oggi sviluppata dalla facoltà di Agraria e dal Politecnicodi Milano) di puntare sul rapporto tra il grande consumoorganizzato (le mense di scuole e ospedali) e le produzioni agricole del Parco Sud. Risparmio delle risorse idriche o energetiche degli enti locali graziea tecnologie sostenibili, adozione dei principi di bioediliziaper nuove costruzioni pubbliche, introduzione di cibibiologici nelle refezioni scolastiche... sono tutte buoneprassi di GPP considerate dal premio Progetti sostenibilie green public procurement, recentemente promosso dal ministero dell’Economia e delle Finanze.

Qui accanto, due scenaridel parco agricolo. Nella pagina a fianco una raffigurazione dellerelazioni e degli scambitra i Gruppi di acquistosolidale e le cascine del parco.

Un incontro della comunità agricola di produzione di Pisa.

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finanzaeticaLa finanza parallela di Stato o, meglio, degli Stati >30 Ville ad Antigua: Berlusconi socio dell’operazione >34Febea. Finanza etica è: lavoro e inclusione sociale >36

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DA FACEBOOKA TWITTERLA SEC INDAGASUI WEB GIGANTI

Non sono ancora quotate in Borsa,ma ciò non toglie che possanoessere a rischio speculazione. Sono le grandi aziende del web, da Facebook a Twitter, passando per Zynga e Linkedin, vere miniered’oro per gli investitori, ma anche potenziali vittime di sopravvalutazioni nel mercato.Con tutte le conseguenze del caso.

A dieci anni di distanza dallo scoppio della bolla Dotcom, la commissione di controllo Usa ha avviato un’indagine per ottenereinformazioni utili prima che siatardi. Non è noto, tuttora, il motivodell’inchiesta, ma a molti sembragià di averlo intuito. Secondo i rumors, infatti, alcune società del web avrebbero preso a scambiare le proprie azionidestinate al mercato interno (come forma di compensazione ad esempio) coinvolgendo più di 500 azionisti, vale a diresuperando il limite legale imposto ai soggetti non quotati.

La paura è che il gioco possasfuggire di mano determinando una sopravvalutazione del titolo con il rischio di portarlo al debuttoborsistico ad un prezzo troppo alto.Più o meno l’ipotesi di RichardFriedman, numero uno di GoldmanSachs Capital Partners, che ha giudicato eccessiva la stima sul valore di Facebook. Nel quale,per altro, la stessa Goldman ha giàinvestito 450 milioni di dollari.

DERIVATI AL QUADRATORIPRENDE IL PROCESSOBARCLAYS-SAN MARINO

Riprende a febbraio presso l’Alta Corte di Londra il processo per frode avviato contro l’istituto di creditoBarclays su denuncia della Cassa di Risparmio di SanMarino. Il procedimento è prossimo alle arringhe finalie la sentenza è attesa per il mese di aprile. Nel 2004,ha ricordato la Reuters, la Repubblica del Titanoottenne un prestito da 700 milioni di euro dalla stessabanca britannica acquistando da quest’ultimaCollateralised debt obligation squared (Cdo-squared)per un controvalore totale di 450 milioni di euro. I Cdo-squared sono titoli derivati della famiglia dei Cdo,ovvero quei titoli di debito garantiti generalmente

da un portafoglio di crediti, tipicamentei mutui, che erano stati alla base dellabolla immobiliare negli Usa. Costruiti in questo caso su altre Collateralised(configurandosi quindi come “derivatisui derivati”, da qui la definizione di squared, “al quadrato”), i titoli eranostati definiti estremamente sicuri dalla Banca che aveva attribuito loro un rating tripla A, la migliore valutazione

possibile. Lo scoppio della crisi aveva successivamentegenerato un tracollo del loro valore penalizzandofortemente i conti dell’istituto centrale sammarinese e generando così sospetti sulla buona fede deglianalisti. Secondo l’accusa, la banca inglese sarebbestata consapevole che il livello di rischio dei Cdo era in alcuni casi anche 300 volte superiore rispetto aquanto indicato dal rating. La difesa respinge ogniaddebito. In caso di sentenza favorevole, rileva la Reuters, altri investitori sarebbero pronti a seguirel’esempio della piccola repubblica - ma anche della National Australia Bank e dell’istituto olandeseRabobank - citando in giudizio le banche con le qualiavevano sottoscritto i contratti derivati.

BILANCIO CONSOBNEL 2010 CRESCONO LE IRREGOLARITÀIN BORSA

Un ammontare complessivo di 99 segnalazioni alla magistratura (8 per abuso di mercato) contro le 53 dell’anno precedente, 489 delibere (nel 2009furono 360) e 241 sanzioni pecuniarie (addirittura+75% rispetto all’anno scorso anche se è diminuito il controvalore: 14,6 milioni rispetto ai 21,2 dell’annopassato) oltre all’incremento dei provvedimenti contro i promotori finanziari (146 persone sanzionate e 78 radiate). Sono questi, in sintesi, i numeri chiaveche fotografano l’azione della Consob, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari, nel corso del 2009. A riferirli un articolo del Corriere della Sera pubblicato

a gennaio. Nonostante sia stata costretta a lavorareper circa un semestre con tre commissari su cinque e priva di un presidente(problemi ora risolti con l’ingresso di GiuseppeVegas e Paolo Troiano)

la commissione di controllo ha svolto un’attivitàparticolarmente intensa. Che ha rivelato unapreoccupante crescita delle irregolarità operative di Borsa. Fanno eccezione, ma di poco, le sanzioni per gli abusi di mercato calate a 15 (nel 2009 eranostate due in più). Di queste 11 sono state comminateper insider trading, 4 hanno riguardato invece le manipolazioni di mercato. Tra i casi più significativigli 1,5 milioni di multa (su un totale 2010 di 4,2milioni) ai soggetti coinvolti nel fondo salva-impreseCdb Web Tech di Carlo De Benedetti, ma ancheMediobanca, Equita Sim e la filiale italiana di CréditAgricole, tutte e tre accusate di violazione del divietodi vendita allo scoperto (short selling) sul titolo di SeatPagine Gialle durante la ricapitalizzazione della societàstessa. Sanzionato nel 2010 (multa di 40 mila euro)anche l’ex presidente della Corte CostituzionaleAntonio Baldassarre, reo di aver organizzato una finta cordata per Alitalia nel 2007.

CREDIT SUISSE:PIATTAFORMACONTRO LA SPECULAZIONE

Un rifugio per gli investitori prudentinell’oceano della finanzaspeculativa. È il progetto dellabanca svizzera Credit Suisse, prontaa lanciare una piattaforma percompravendite basate su strategiedi lungo termine. Tuttora in fase di sperimentazione, la “Light Pool”,come è stata battezzata dai suoiinventori, dovrebbe debuttare negli Usa entro la fine di marzo.«Pensiamo che tra gli investitori si senta la necessità di un prodottodi questo tipo – ha spiegatoall’agenzia France-Presse DanMathisson, responsabile dellosviluppo tecnologico dell’istituto –. Il concetto è di generare unapiattaforma le cui regole sianofavorevoli a chi vuole orientarsi sul lungo periodo. E che siano anchepensate in modo da non essereconvenienti per chi effettua scambiad alta velocità». Il riferimento corre ovviamente alla praticadell’high speed trading, il sistemacomputerizzato di compravenditache, in base a complicatissimialgoritmi, esegue le operazioni in singole frazioni di secondosfruttando le oscillazioni dei titoli. Si stima che questo genere di trading interessi ormai oltre il 60% dei titoli quotati a New Yorkcompensando dal 50 al 75% degliscambi giornalieri. La “Light Pool”punta ad escludere chi opererà a intervalli di tempo troppo brevi.

UNICREDIT: 300 MILIONI PER FINANZIARECLUSTER BOMBS

Il Gruppo Unicredit ha investitoquasi 300 milioni di euro in aziendeche producono le cosiddette cluster bombs, i famigerati ordigni a frammentazione, simili alle mineantiuomo, utilizzati nei conflitti e pronti, una volta rimasti inesplosinei terreni, a mietere vittime anchein tempo di pace. Lo ha denunciatola Ong tedesca Urgewald nell’ambitodi una ricerca sulle banche locali(Unicredit è presente anche in Germania attraverso la controllataHypoVereinsbank - Hvb). Ad investire,in particolare, sono i fondi che fannocapo al marchio Pioneer, checomprende le società di gestione del risparmio di Unicredit. Secondola denuncia i fondi avrebberofinanziato produttori quali GeneralDynamics (104,79 milioni), Textron(73,57), L-3 Communications(43,41), Lockheed Martin (52,20),Raytheon (24,20) e, sebbene in misura assai minore, Ste (0,32) e Hanwha (0,08). La presenza della banca nel settore non è certouna novità. Nel 2005 il gruppo ha erogato finanziamenti diretti con scadenza 2011 alla Thales,anch’essa attiva nella produzione di cluster bombs, confermandosi al tempo stesso uno dei principalipartner finanziari di Finmeccanica.Per informazioni: www.vizicapitali.org

UK: FSA DICEBASTA ALLESCALATEPERICOLOSE

Mai più una nuova Royal Bankof Scotland, operazioni troppoavventate e conseguenti fallimentitecnici con i relativi costi di salvataggio da scaricare sui contribuenti. La pensa così Lord Adair Turner, presidente della Financial Service Authority(Fsa, la commissione che monitorale operazioni borsistiche del RegnoUnito) e sostenitore di una proposta che potrebbe segnare una clamorosa svolta: attribuire per legge alla Fsa il potere di proibire acquisizioni bancarieostili capaci di danneggiarela stabilità finanziaria. A differenzadelle aziende, legittimamenteimpegnate a massimizzare il valoreper gli azionisti, - ha spiegato Turnerin un intervento ripreso da DowJones Newswire - la predisposizionedelle banche a correre dei rischi e ad effettuare acquisizioni sbagliate può rivelarsi estremamentedannosa per il sistema economico e i cittadini. «Se oggi ci trovassimodi fronte al tentativo di una Rbs di comprare una Abn Amro,probabilmente adotteremmo misureper bloccarlo», ha detto il presidentedella Fsa richiamando alla memorial’impatto dell’operazione condottadall’istituto britannico nel 2007sulla società olandese. Collassatapoco dopo sotto il peso di 33miliardi di euro di debiti, Royal Bank of Scotland è ora controllataall’84% dallo Stato.

Da questo numero gli@ppuntamenti saranno sul sito www.valori.it Se volete segnalarcene qualcuno scrivete a: [email protected]

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A LUNGA INCHIESTA GIORNALISTICA

che ci ha portato alla pubblica-zione di “1994” spesso si è im-

battuta nell’aspetto “economico-finanzia-rio” dei traffici di armi, di esplosivi militari,di rifiuti tossici e radioattivi. Il libro si è oc-cupato soprattutto di questi ultimi in rela-zione a una serie di omicidi irrisolti e ai pia-ni di “normalizzazione” dell’Italia deiprimi anni ’90. Nel lavoro d’indagine èemersa la questione della “moneta di scam-bio” degli affari illegali. Si tratta di un mer-cato finanziario – poco sondato dagli ana-listi – parallelo, occulto, ma efficientissimo,che funziona con regole precise. Un mer-cato effervescente in periodi di crisi inter-nazionali e guerre locali: è la finanza paral-lela di Stato, o meglio, degli Stati, a cuiaccedono faccendieri, malavitosi, impren-ditori senza scrupoli, signoridella guerra, corrotti e via di-cendo. Si tratta, in particolare,di finanza legata alle transazio-ni di materiali strategici.

Per i più hanno un interesse numismatico: nei traffici più sporchi i Bond della Repubblica di Weimar o i dinari fuori corsodel Kuwait servono per creare fondi neri. In che modo avvenga lo spiegano gli autori di “1994”.

Ldi Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari Un esempio? Prendiamo in esame uno

dei filoni che ha riguardato i traffici su cuiindagarono Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, igiornalisti Rai uccisi il 20 marzo del 1994 aMogadiscio. Nel 2003 viene pubblicatol’annuale rapporto degli investigatori delleNazioni Unite membri del panel per il mo-nitoraggio sulle violazioni del traffico d’ar-mi con la Somalia, embargo sancito dallastessa Onu fin dal 1992, all’inizio dellaguerra civile somala. Il rapporto individuae documenta che, intorno al 1990-1991, laSomalia aveva ricevuto una cifra corri-spondente al valore di 70 milioni di dolla-ri dal Kuwait, depositata in Svizzera.

Cherchez l’argent Nonostante le indagini, gli investigatoriOnu non sono riusciti a ricostruire del tuttoi percorsi successivi del denaro, neppuretramite il governo svizzero, né specificano

in quale valuta abbia avuto origine iltrasferimento dei fondi. Nella relazionescrivono che gli indizi vanno nella direzionedell’utilizzo di buona parte di questo denaroin acquisto di materiale bellico sul mercatoillegale: 50 milioni di dollari sarebbero statiutilizzati dall’allora signore della guerrasomalo (nonché presidente ad interim delPaese) Ali Mahdi per comprare armi daMonzer Al Kassar, il trafficante sirianoprotagonista dello scandalo Iran-Contras.

C’è un problema, però, sulla data: tra il1990 e il 1991 Saddam Hussein invade ilKuwait e, tra gennaio e aprile, si combattee si conclude la guerra tra l’Alleanza occi-dentale, guidata dagli americani contro gliiracheni, e il piccolo Paese arabo viene li-berato. In Somalia, invece, nel gennaio1991 Siad Barre viene sconfitto e costrettoalla fuga. Il finanziamento è arrivato a de-stinazione proprio durante la prima guer-ra del Golfo, quando ormai gli iracheni inKuwait non ci sono più.

Com’è possibile che in una simile si-tuazione 70 milioni di dollari siano statiinviati dal Kuwait alla Somalia?

Una montagna di dinari Ecco come. Spostiamoci alla Procura di Asti,nel periodo tra agosto 1997 e febbraio 1998.C’è un’inchiesta, ci sono intercettazioni acarico di faccendieri che operano tra Italia eSomalia. Cosa scopre il sostituto procurato-re Luciano Tarditi? Che certi affari «investi-vano una serie di faccendieri per profili amio avviso inquietanti inerenti a un gigan-tesco traffico di titoli atipici, già comparsi innumerose altre indagini iniziate in tutta Ita-lia, sia di German Gold Bond, titoli del debi-to pubblico emessi dalla Repubblica di Wei-mar e pacificamente considerati defaultperché non pagabili, sia per un gigantescotraffico di dinari kuwaitiani razziati dalletruppe irachene durante l’invasione delKuwait nell’agosto 1990». Ecco dove ri-compaiono i dinari del Kuwait.

Continua Tarditi: «Con provvedimen-to presidenziale, nella primavera del 1991,(i dinari, ndr) furono messi totalmente fuo-ri corso, per cui il loro valore poteva esseresemplicemente numismatico. Invece dalleintercettazioni ci accorgemmo che esistevaun giro gigantesco di questi soldi, il cui va-lore nominale era circa tremila delle vec-chie lire per un dinaro. La sorpresa fu chequesta partita di soldi, pacificamente fuoricorso e di nessun valore, nelle conversazio-ni veniva trattata – con piena consapevo-lezza da parte dei soggetti interlocutori delfatto che erano fuori legge e che potevanoportare dei guai – come una merce di scam-bio con percentuali analoghe a quelle se-guite in caso di transazioni tramoneta buona e moneta catti-va». In sintesi, i dinari kuwai-tiani, come i German GoldBonds o altri titoli di credito de-positati in Somalia, vengonoutilizzati come valuta di “co-pertura” di denaro da riciclare.

L’ombra di Osama?Non è tutto. «Altrettanto in-quietante - aggiunge ancoraTarditi - era il fatto che uno deisoggetti dell’indagine risultava,dalle chiarissime e significativeintercettazioni telefoniche ef-fettuate, come colui che trami-te la struttura bancaria di Al Ba-rakaat stava effettuando ilcambio della valuta fuori corso

quello di creare «depositi neri di denaroche servono a fare le transazioni occulte»,da utilizzare per operazioni non trasparen-ti, come riciclaggio di denaro sporco, traf-fici di armi e rifiuti, operazioni coperte ge-stite dai servizi segreti.

«L’unico mezzo per poter cambiare i di-nari», dice al magistrato, «(è) attraverso unabanca... Qui si innesta il gioco delle banche.[…] (Ci) sono le banche privilegiate e le ban-che non privilegiate. Uno dei signori chegovernano queste cose è Osama Bin La-den». Attenzione alla data: Garelli ne parlanel 1999, quando Bin Laden è già ben no-to, ma ancora non è il nemico pubblico nu-mero uno. Un Bin Laden regista – secondoGarelli – nello smercio di dinari kuwaitianiprovenienti dal “bottino bellico” degli ira-cheni o dei liberatori del Paese arabo. Il fac-cendiere aggiunge: «È la banca centralekuwaita che determina il mercato nero...Scusi, chi può determinare il mercato nero?L’acquirente. L’unico acquirente che si co-nosca è o la banca centrale kuwaita – cosamolto improbabile – oppure tutti gli acqui-renti di petrolio che pagano il petrolio conquel denaro lì».

Questi quattrini, naturalmente, nonesauriscono il totale delle risorse finanziarieutilizzate e guadagnate nei traffici italo-so-mali. I canali di finanziamento sono diver-sificati. E, infatti, il governatore della BancaCentrale somala nel maggio del 1992 no-mina un italiano, Roberto Ruppen, procu-ratore fiduciario del governo somalo per losblocco di fondi in Italia e sul mercato in-ternazionale. È quel Roberto Ruppen, pro-tagonista con lo stesso Guido Garelli deitraffici di rifiuti del Progetto Urano e che stain affari con Garelli e altri per smerciare mi-liardi in titoli di credito internazionali, pro-missory note indonesiane, di proprietà delgoverno somalo di Ali Mahdi. Una bellacompagnia: amici e nemici, soci e concor-renti, tutti uniti nel grande business inter-nazionale della “finanza di Stato parallela”.

A proposito. C’è un particolare inquie-tante: Roberto Ruppen, nello stesso identi-co periodo in cui svolge queste simpaticheattività viene anche chiamato (maggio-giugno 1992) a far parte del gruppo di la-voro messo in piedi da Marcello Dell’Utria Publitalia per la creazione di Forza Italia.Su queste liaisons dangereuses, purtroppo,non ha mai indagato a fondo nessuno. .

La finanza parallela di Statoo,meglio,degli Stati

Moneta di scambio: un mercatofinanziario parallelo, occulto, ma efficientissimo, delletransazioni di materiali strategici

Luigi Grimaldi Luciano Scalettari1994. L’anno cheha cambiato l’ItaliaDal caso MobyPrince agli omicidiRostagno e IlariaAlpi. Una storia mai raccontataChiarelettere, 2010

Luigi Grimaldi: inchiesti-sta freelance e scrittoreinvestigativo. Tra i suoi libri: Traffico d’armi. Il crocevia jugoslavo(con Michele Gambino),Editori Riuniti e Da Gladio a Cosa nostra, Edizioni KappaVu.

Luciano Scalettari: gior-nalista, inviato specialedi Famiglia Cristiana.Consulente della Com-missione parlamentareAlpi-Hrovatin. Tra i suoiscritti: Ilaria Alpi. Un omi-cidio al crocevia dei traffi-ci (con Alberto Chiara e Barbara Carazzolo),Baldini & Castoldi.

LIBRIGLI AUTORI

kuwaitiana». Già Al Barakaat, sorta proprionel 1991, sospettata a partire dall’1 settem-bre 2001 di aver finanziato il terrorismo diAl Qaeda, la struttura finanziaria che dal no-vembre 2001 compare nella black list dellesocietà messe al bando nell’ambito dellalotta al terrorismo internazionale.

È sempre dall’inchiesta di Asti, che sioccupa di traffico internazionale di rifiutitossici e radioattivi, che emerge uno spac-cato di come funziona il meccanismo del-lo smercio dei dinari kuwaitiani e di cam-bio di valuta/titoli fuori corso. Lo spiega“candidamente” il faccendiere Guido Ga-relli, uno degli indagati, nonché “cervello”del progetto di traffico di materiale perico-loso denominato “Urano”, in un interro-gatorio del 1999. Lo scopo di queste ope-razioni, racconta il faccendiere, sarebbe

Osama Bin Laden e il trafficante d’armiMonzer Al Kassar.Sopra, Ilaria Alpi.Nella pagina a fianco,aerei Usa durante la guerra in Kuwaitsorvolano i pozzi di petrolio in fiamme.

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| finanzaetica | banca Arner | | finanzaetica |

L LAVORO DEL GIORNALISTA consiste nel-lo scavare, ponendosi e ponendo del-le domande. Però si può scavare per

portare alla luce i fatti oppure per seppellir-li meglio, magari sotto una montagna difango, come sempre più spesso succede nelmondo dell’informazione monopolizzatodai privati. Continuano, per nostra fortu-na, a esistere giornalisti che si pongono epongono delle domande e magari lo fannocon uno spirito di servizio pubblico, senzatogliersi il cappello davanti ai “potenti”.

Paolo Mondani è uno di questi: è unodegli autori di Report, la trasmissione di Rai-tre seguitissima dagli spettatori e anche dal-le querele, finora tutte vinte dall’emittentetranne una per la quale è in corso l’appello.

Recentemente Report si è anche attiratol’attacco preventivo dell’avvocato NiccolòGhedini, deputato Pdl e legale del presi-dente del Consiglio, che, prima della messain onda nell’ottobre scorso del servizio diPaolo Mondani di aggiornamento su Labanca dei numeri uno, voleva im-pedirne la trasmissione perchébasata su notizie «insussistenti ediffamatorie e senza alcun con-traddittorio». Una spericolata

azione pre-crimine di Ghedini, che, senzaaver visto la trasmissione, forse ha scam-biato Report per Minority Report, il libro diPhilip K. Dick in cui una polizia precogni-tiva prevede i reati.

Ingegneria finanziariaTutto il materiale raccolto per le puntatesulla Banca Arner e sulle ville di Antigua diproprietà di Silvio Berlusconi, più molti al-tri intrecci, che in un servizio televisivo nonsi riescono a spiegare, ma che si snodanodalla Sicilia agli investimenti in Gazprom,sono raccolti nel libro appena uscito I soldidi famiglia, che Paolo Mondani ha scritto as-sieme a Paola Di Fraia. Banca Arner è il no-me ricorrente ormai in parecchie indaginidella magistratura per sospette attività di ri-ciclaggio, di un istituto finanziario nato nel1994, fondato da Paolo del Bue, GiovanniGiacomo Schraemli, Ivo Sciorilli Borrelli eNicola Bravetti. Intestatario del conto nu-mero uno di Arner è Silvio Berlusconi e, as-

sieme a lui, ci sono molti nomi noti delmondo imprenditoriale italiano e dell’en-tourage del presidente del Consiglio. ComeEnnio Doris, patròn di Banca Mediolanum.In Arner ci sono i conti delle holding Quin-ta, Seconda e Ottava, che fanno capo a Ma-rina e Piersilvio Berlusconi, e lì ha il contoStefano Previti, figlio di Cesare Previti, e cisono anche i conti di famiglia di GiovanniAcampora, l’avvocato condannato insiemea Previti e Pacifico per aver corrotto i giudi-ci del lodo Imi-Sir.

La situazione è grave, ma non seriaBravetti, direttore di Arner Lugano, inter-vistato da Mondani, che lo contatta dauna cabina telefonica del lungolago di Lu-gano, è un capolavoro di “resilienza”: lesue argomentazioni richiamano sempre letecnicalità dell’ingegneria finanziaria, cheservirebbero a migliorare la vita, ma so-prattutto i rendimenti, dei capitali deisuoi clienti. Peccato però che il pubblicoministero di Como, Mariano Fadda, ascol-tando le intercettazioni delle telefonate diBravetti, abbia scoperto un contrabbandoclandestino di 53 chili d’oro, in lingotti efogli dorati, tra l’Italia e la Svizzera, ma an-che consegne di contanti in diverse valu-te e preziosi. In breve: evasione fiscale.

Ma la Procura di Como ascolta ancheBravetti, che parla d’affari con un certo si-gnor Moro, che gli telefona dalle cabine te-lefoniche di mezza Palermo e a tutte le oredel giorno. Telefonate che ci ricordano chein Italia la situazione è grave, ma non seria:

è una vitaccia infame per questo signor Mo-ro, che tratta l’apertura del trust Pluto alleBahamas dalle cabine in strada e anche perBravetti che, per farsi capire dalla sua segre-taria, deve alludere al famoso personaggiodi Disney... sì, quello che comincia per P.

Moro si scopre essere Francesco Zum-mo, un costruttore indagato per mafia aPalermo e con i beni di famiglia sotto se-questro. Como contatta la procura e man-da in Sicilia tutto il fascicolo che porteràall’arresto di Bravetti e degli Zummo nel-la primavera del 2008.

La tartaruga dietro alla lepreTutta la storia della Arner corre parallela aquella di Fininvest e ai conti della famigliaBerlusconi e si intreccia alle indagini giudi-ziarie sulle società off shore di Silvio Berlu-sconi. Quando il pool milanese di Mani pu-

lite indaga sulle società estere di Berlusconie di Fininvest (97 off shore) per verificare l’il-lecito finanziamento al Partito socialista diCraxi e la presenza di eventuali fondi neri,riappaiono Arner e i suoi soci, insieme al-l’avvocato David Mills: nella motivazionedella sentenza di primo grado che nel 2009ha condannato Mills (corrotto e prescritto,grazie alla legge ex Cirielli), il tribunalespiega che Mills si fece pagare per nascon-dere ai giudici italiani che due grosse cas-seforti off shore, la Century One e la Uni-versal One, facevano capo direttamente aSilvio Berlusconi ed erano gestite dal ban-chiere della Arner Paolo Del Bue.

«È come inseguire una lepre con il pas-so da tartaruga», racconta nel libro il pub-blico ministero Antonio Ingroia, titolaredel fascicolo a carico degli Zummo e di Ni-cola Bravetti per i tredici milioni del trustPluto. Ingroia allude alla lunghezza deiprocessi penali, contro la velocità con laquale si possono far circolare i capitali, masoprattutto parla della mancanza in Italiadi una normativa che persegua l’autorici-claggio: in Italia chi vende droga e rimet-te in circolo il denaro può essere punitoper traffico di stupefacenti, ma non peraver beneficiato del denaro sporco. La leg-ge di antiriciclaggio di impronta europealo prevede, ma ogni volta che si potrebbeadottarla, in Italia, si rinvia l’argomento.

E, oltre alla legge, ci vuole la volontàpolitica, perché anche la Svizzera ha unalegislazione antiriciclaggio apparente-mente poderosa «ma se nessuno la appli-ca», come spiega nel libro Gian GaetanoBellavia, consulente della Procura di Mila-no, «è come se non esistesse». .

Dire che Arner è una banca specializzata in gestioni patrimoniali è riduttivo. Il libro Soldi di famiglia, scritto da Paolo Mondani giornalista di Report, ci spiegaesattamente di che cosa si occupa e in quali indagini è al centro l’istitutofinanziario che ha come cliente numero uno Silvio Berlusconi.

I

La banca dei numeri unodove si mettono i soldi di famiglia

di Paola Baiocchi

Il presidente del Consiglio, SilvioBerlusconi, titolare del contonumero uno alla Arner Bank.

LA BANCA

HA UNA SEDE A NASSAU BAHAMAS, la Arner Bank & Trust Ltd.;una a Milano, aperta nel 2003, la Banca Arner Italia S.p.A.; un ufficio a Dubai, negli Emirati Arabi, a San Paolo in Brasile, e hada poco inaugurato una nuova sede a Ginevra. Si occupa di attivitàbancaria e gestione patrimoniale, di private equity, corporatefinance, di consulenza agli investimenti immobiliari, nell’arte e in fondi d’investimento, ed è collegata a due società di assetmanagement di prodotti di investimento di diritto lussemburghese:la Casa4Funds European Asset Management e Arkos Capitalsocietà indipendente, partecipata da Banca Arner.

Arner Bank compare in indaginidella magistratura per sospetteattività di riciclaggio e sullesocietà off shore del premier

In Italia manca una legge che persegua l’autoriciclaggio.Chi vende droga è punito per traffico di stupefacenti, non per il denaro sporco

Paolo Mondani con Paola Di FraiaSoldi di famigliaBur Rizzoli, 2011

Francesco ForgionePaolo MondaniOltre la cupola.Massoneria, mafia, politicaRizzoli, 1994

LIBRIGLI AUTORIPaolo Mondani Giornalista professioni-sta. Tra il 1999 e il 2002 era inviato perCircus, Raggio Verde,Sciuscià, EmergenzaGuerra. Nel 2003 è inviato e coautore di Report, su Rai3. Nel2006 collabora, comeinviato, ad AnnoZero suRai2. Nel 2007 tornanel team di Report. Tra i servizi realizzati per latrasmissione di Rai3: Il calcio in bocca (2003)sul doping nel mondodel pallone; Il misterodel faraone (2007) sulla privatizzazione di Wind; I re di Roma(2008) sulla speculazio-ne edilizia nella capita-le; Il boccone del prete(2010) in cui si fanno i conti in tasca al Vati-cano e alla Chiesa italiana; La famiglia Finmeccanica (2010),reportage collegato alleindagini sull’arresto conl’accusa di riciclaggio di Lorenzo Cola, consu-lente economico di Pier-francesco Guarguaglini,presidente e A.d. di Fin-meccanica. Si è occu-pato di Banca Arner nelservizio La banca deinumeri uno, del 2009,aggiornato nel 2010.

Paola Di FraiaGiornalista, lavora dal2004 per Nessuno Tv;conduce per Red Tv le trasmissioni Tribunapolitica e Global Watch.

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rilevanza della vicenda. A venirci in aiutosono i documenti ufficiali della Flat Point,rintracciabili nei registri delle Camere diCommercio e dei tribunali. È stata a lungouna scatola vuota, dormiente, poi improv-visamente si è accesa quando, dal 2005, ar-rivano copiose risorse finanziarie propriodai conti di Silvio Berlusconi, aperti pressoBanca Intesa e Mps. Il premier versa 22 mi-lioni di euro, correttamente da filiali italia-ne alla filiale italiana di Banca Arner, contanto di note descrittive. L’istituto elveticotrasferisce, poi, quei soldi da Milano a Lu-gano senza le dovute precauzioni in tema diantiriciclaggio, richieste da Banca d’Italia. Per l’entourage di Berlusconi quei soldisarebbero serviti per acquistare cinque ville,ma i numeri e le dichiarazioni noncoincidono con i contratti depositati pressola Banca Arner e neanche gli spostamentidi denaro. I legali di Berlusconi dicono diaver spiegato tutto, ma non hanno rivelatoil nome di chi si cela dietro la facciata dellaFlat point, amministrata da tre fiduciari trala Svizzera e l’Italia. Sui tre soggetti coinvoltiè Mario Caizzone a fare un po’ di chiarezza:«Nosotti e Rivolta sono i protagonistioperativi di questa vicenda, ma senza ilsocio Silvio Berlusconi non avrebbero maipotuto portare avanti il progetto».

Una storia “imprenditoriale” che par-te da lontano e che, incredibile, riguardaanche il Parco Agricolo Sud Milano e lalottizzazione della cascina Ronco di SanDonato Milanese. L’architetto Felice No-sotti e il geometra Piergiorgio Rivolta era-no i due soci dell’impresa edile Imprenoridi Abbiategrasso, fallita nel dicembre ’93lasciando decine di operai senza lavoro eun buco di decine di miliardi in banchedel magentino e dell’abbiatense. Nosotti eRivolta sono stati arrestati il 27 aprile ’94con l’accusa di associazione per delinque-re, truffa, bancarotta fraudolenta ed eva-sione fiscale. Condannati in primo gradohanno visto tutti i reati prescritti. L’unicoche si è opposto alla prescrizione è il com-mercialista Mario Caizzone, coinvoltonella vicenda suo malgrado e talmenteconvinto delle sue ragioni da chiedere dipoter arrivare alla fine del processo. .

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| finanzaetica | residenze off shore | | anteprima | finanzaetica |

ICHAEL BERRY ha sempresaputo che c’è Berlusco-ni nell’operazione Anti-

gua». Report e Valori hanno documentato,grazie alle rivelazioni del commercialistaMario Caizzone, che il Premier era sociodell’operazione. «Non come tutore, comesocio», risponde Caizzone, dicendo diaverlo appreso da Berry, il socio irlandesenelle società che realizzano le ville ad An-tigua. L’operazione è di scarso se non nul-lo interesse: Silvio Berlusconi può acqui-stare ville dove preferisce. Ma i soggettiscelti come venditori dal premier suscita-no più di un interrogativo. Alla vicenda diquesto megainsediamento nelle isole ca-raibiche si arriva attraverso un’inchiestaestremamente delicata, quella sulla BancaArner. I magistrati ritengono che, della so-cietà titolare dell’investimento immobilia-re, la Flat Point di Antigua, che ha conti inArner, non siano chiari i bene-ficiari. La società è controllatadalla Kappomar Holding, diCuracao, nelle Antille Olande-si. I nomi degli amministratori

ricorrono: Giuseppe Cappanera, ammini-stratore della Flat Point italiana; Carlo Po-stizzi, fiduciario svizzero; Giuseppe Pog-gioli, fiduciario con uffici a Lugano; ElisaGamondi, sorella dell’architetto milaneseche ha progettato il complesso di Antigua.

Carlo Postizzi sostiene di essere il pro-prietario della società che controlla FlatPoint. Ma Report e Valori hanno scovatoun professionista milanese che lo smenti-sce. Mario Caizzone dice che «Postizzi fa-ceva il fiduciario, il prestanome, è risapu-to. Almeno da quando l’ho conosciuto io.Per Berry l’avvocato Postizzi era un pre-stanome». E dice anche: «Berry non par-lava con Postizzi…ma con i soci veri».

Due passi indietro per comprendere la

di Andrea Di Stefano

La storia parte da lontano e riguarda anche il Parco AgricoloSud Milano e la lottizzazione di cascina Ronco a San Donato

Antigua:Berlusconisociodell’operazione

Le ville ad Antigua. In onore di Berlusconi, potrebbe esserebattezzata President Bay.

Grazie a un commercialista milaneseValori e Report possonodocumentarlo. Ma chi ha venduto le ville al presidente del Consiglio?

Dall’inchiesta Grameen/Norvegia ai suicidi tra i debitori indiani. Il microcreditoè sotto tiro. Questo e molto altro sul prossimo numero di Valori.

ALL’INDIA AL BANGLADESH, pas-sando per la Norvegia. Ov-vero, per usare altre espres-

sioni, dalla patria del grande mercato finoa quella del modello originario, attraver-so, si intende, quella della sua santifica-zione. Nel 2006 gli accademici di Oslo at-tribuirono a Muhammad Yunus il piùprestigioso riconoscimento del mondo,quel premio Nobel per la Pace che ha gio-vato alle casse della sua Grameen Bank intermini di fundraising non meno di quan-to non lo abbia fatto alla sua immagine. Aoltre quattro anni di distanza, l’inventoredel microcredito si conferma una dellepersonalità più rispettate del globo. Eppu-re nemmeno lui ha saputo mantenersiimmune da critiche e sospetti.

Scandali norvegesiLo scandalo, ironia della sorte, è scoppia-to proprio in Norvegia doveun’inchiesta giornalistica si ètradotta in una vera denuncia.Secondo il giornalista daneseTom Heinemann - autore del

documentario Fanget i Mikrogjeld (Intrappo-lato nel microdebito), trasmesso il 30 no-vembre scorso dalla televisione norvegese -alla fine del 1996 Yunus avrebbe trasferitocirca 608 milioni di corone (102 milionidi dollari) a una compagnia di sua pro-prietà: la Grameen Kalyan. Denaro fruttodi finanziamenti pubblici (Norvegia, Sve-zia, Olanda e Germania) e privati (FordFoundation) e, all’insaputa dei donatori,convogliato, per stessa ammissione dellaBanca, in un canale terzo con l’obiettivodi risparmiare sulle tasse. Sollecitata daOslo a tornare sui suoi passi, la Grameenha successivamente trasferito l’ammonta-re alla destinazione originaria - la casa ma-dre, in pratica - per la soddisfazione dei fi-nanziatori. Il problema, sostiene peròHeinemann, è che la Kalyan si sarebbe te-nuta 130 milioni di corone, utilizzati inparte per finanziare le attività di Grameen

Telecom/GrameenPhone, una societàcontrollata in parte dallo stesso Yunus eche, negli ultimi otto anni, ha distribuitooltre 140 milioni di dollari di dividendi.Dal Bangladesh negano queste ultime af-fermazioni ridimensionando, al tempostesso, le cifre della vicenda. La contesa,insomma, resta aperta.

Suicidi indianiMa il vento delle critiche non investe solola Grameen. Tremenda è l’accusa che hacolpito le società micro-finanziarie indiane,responsabili, secondo alcuni osservatori, diaver indotto al suicido 75 contadini della re-gione dell’Andhra Pradesh, nell’India cen-tro-orientale. 75 debitori che, ha conferma-to il governo locale, si sarebbero tolti la vitaperché non più in grado di restituire i pre-stiti contratti con le società stesse. Il gover-no della regione non ha formalizzato accu-se precise, ma ha imposto una nuovaregolamentazione al settore, il quale, a suavolta, rischia di collassare sotto il peso diuna crescita incontrollata, tradottasi di fat-to in una devastante bolla speculativa.

Di questo e molto altro si sta occupan-do un’inchiesta di Valori che sta racco-gliendo testimonianze dei diretti interes-sati e di varie fonti locali. L’esito del nostrolavoro nel dossier monografico in pubbli-cazione a marzo, nel prossimo numero. .

D

Tra scandali e accuse ilmicrocredito alla resa dei conti

Un’inchiesta sul microcredito, di Yunus e non solo. Per svelarele ombre che rischiano di oscurare questo strumento

Muhammad Yunusall’Annual Meeting

2009 del WorldEconomic Forum aDavos, in Svizzera.

di Matteo Cavallito

«M

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| finanzaetica |

L SETTORE FINANZIARIO non èun monolite. Da oltre 25 an-ni assistiamo alla nascita di

strutture finanziarie etiche e alternativeche hanno deciso di affrontare una sfidafondamentale: centrare l’economia sul-l’essere e non sull’avere, ispirandosi a prin-cipi di cooperazione, fraternità e sostenibi-lità. Oggi più che mai giochiamo il ruolodi leva economica al servizio dei cittadini,permettendo la creazione di imprese e diposti di lavoro stabili”. Così descrive la fi-nanza etica Febea, la Federazione europeadella finanza e delle banche etiche e alter-native (vedi ), nell’Appello per un’Eu-ropa attiva, creativa e solidale, che la stes-sa Federazione ha lanciato il 29 novembrescorso, all’interno del progetto “Europa at-tiva”. Obiettivo di Febea è arrivare alle isti-tuzioni europee per ottenere il riconosci-mento ufficiale della finanza etica, comestrumento per la creazione di posti di la-voro e per la coesione sociale.

Questione di fiduciaCome dimostrano le esperien-ze citate nell’Atlante delle buo-ne pratiche di creazione d’im-

MAPPA

piego e di inclusione sociale, realizzato daFebea (vedi ), spesso nel sostegno al-le imprese e all’occupazione il ruolo degliistituti di credito è fondamentale. E, sequelli “tradizionali” concedono a faticaprestiti a chi non ha garanzie patrimonia-li da presentare, le banche etiche premia-no i progetti validi, che abbiano un plus ditipo sociale, e permettono a soggetti chesarebbero esclusi dal mercato del lavoro omarginalizzati, come donne, giovani, por-tatori di handicap, ex carcerati di trovareuna propria collocazione, spesso con uncontratto a tempo indeterminato. «Quelloche la crisi ha distrutto di più è la fiducia,bisogna trovare il modo di ricostruirla», hadichiarato Luca Jahier, presidente del Co-mitato economico e sociale della Com-missione europea, durante la conferenzadi presentazione del progetto, il 29 no-vembre scorso a Bruxelles. Una fiducia cheinvece le banche etiche dimostrano di ave-re, concedendo prestiti anche a chi non

ARTICOLO

fornisce garanzie. «La storia di 20 anni del-la finanza etica è la storia del diritto al la-voro, della lotta alla disoccupazione. Di-mostra che dare credito serve a cerare postidi lavoro», spiega alla stessa conferenza Fa-bio Salviato, neo-presidente di Febea.

L’interesse dell’Europa«Seguo l’impegno sociale, politico ed eco-nomico della finanza etica e il mio soste-gno non è solo politico», ha dichiaratoLuigi De Magistris, ex magistrato italiano,presidente della commissione Controllosul bilancio al Parlamento europeo, concui Febea sta portando avanti un percorsoper ottenere il riconoscimento della fi-nanza etica presso il Parlamento europeo.«Nel vostro appello – continua De Magi-stris rivolgendosi a Febea – mettete insie-me economia, lavoro, sviluppo e legalità.Le iniziative delle banche etiche alternati-ve non possono che trovare supporto traparlamentari e giuristi europei»..

Una conferenza a Bruxelles lo scorso novembre per presentare l’Appelloper un’Europa attiva e un Atlante delle buone pratiche rese possibilidalle banche etiche.Obiettivo di Febea: il Parlamento

europeo per ottenere un riconoscimento della finanza alternativa.

Finanzaetica è: lavoro e inclusionesociale

di Elisabetta Tramonto

Oggi giochiamo il ruolo di leva economica al servizio dei cittadini per creare imprese e posti di lavoro stabili

REARE NUOVI POSTI DI LAVORO efar ripartire l’economia. Èl’obiettivo della maggior

parte dei Paesi, almeno in Europa, in que-sto periodo. Ma iniziative efficaci in talsenso esistono già, grazie alla finanza eti-ca. È quanto intende dimostrare Febea, laFederazione europea della finanza e dellebanche etiche e alternative, che ha raccol-to in un “atlante” le “buone pratiche per

la creazione di posti di lavoro e per l’inclu-sione sociale”. Una carrellata di 76 espe-rienze in tutta Europa, rese possibili grazieai finanziamenti ottenuti da banche e so-cietà finanziarie etiche. Progetti a cui il si-stema finanziario “tradizionale” nonavrebbe mai dato (letteralmente) credito,raccolte in 5 macro-categorie: riciclaggio,ambiente, energia e natura; rivitalizzazio-ne del territorio; servizi e innovazione; abi-tare; turismo; formazione, organizzazionee reti. Dal 2008, ad esempio, è attiva inSpagna la rete sociale Koopera (www.koo-pera.org), che tra i suoi 160 progetti ha lan-ciato Merkatua, iniziativa che nei Paesi Ba-schi garantisce un’offerta completa diprodotti ecosolidali riciclati da alcune fab-briche locali. Vestiti, libri, giochi e appa-recchi elettronici vengono ristrutturati e“rigenerati” da persone a rischio di esclu-

Cdi Andrea Barolini

L’Europa dei buoniprogetti in un atlanteUna panoramica delle buone praticheper la creazione di posti di lavoro e perl’inclusione sociale, realizzate grazie

ai finanziamenti delle

banche etiche europee.

| finanzaetica | Europa |

MAPPA: FEBEA I 24 membri della Federazione europea della finanza e delle

banche etiche e alternative (Febea). Una galassia compostada banche e società finanziarie, cooperative di risparmio e

credito, fondazioni, diverse per forma giuridica e perdimensione, ma accomunate dalla finalità sociale e

ambientale nell’uso del denaro. In tutto hanno 21 miliardi dieuro a bilancio e 528 mila tra soci e clienti.

APS Bank Ltd (M)Bilancio: 669 milioni di euro.www.apsbank.com.mt

Banca Popolare Etica (I) Bilancio: 612 milioni di euro.www.bancaetica.com

Bank Für Sozialwirtschaft (D)Bilancio: 5,2 miliardi di euro.www.sozialbank.de

BBK Solidarioa Fundazioa (E)Bilancio: 16 milioni di euro.www.bbk.es

C. Sol.du Nord-Pas-de-Calais (F)Bilancio: 9 milioni di euro.www.caisse-solidaire.org

Cassa Cen.Casse Rur.Trentine (I)Bilancio: 1,9 miliardi di euro.www.cassacentrale.it

Charity Bank (GB)Bilancio: 56 milioni di euro.www.charitybank.org

Colonya, Caixa Pollença (E)Bilancio: 14 milioni di euro.www.colonya.es

Groupe Crédal (B)Bilancio: 19 milioni di euro.www.credal.be

Credit Coopératif (F)Bilancio: 11,7 miliardi di euro.www.credit-cooperatif.fr

Cultura Bank (N)Bilancio: 43 milioni di euro.www.cultura.no

Etimos (I)Bilancio: 28 milioni di euro.www.etimos.it

Ekobanken (S)Bilancio: 31 milioni di euro.www.ekobanken.se

Femu Quì (F)Bilancio: 4 milioni di eurowww.femu-qui.com

Fiare (E)Bilancio: 1 milione di eurowww.proyectofiare.com

Hefboom (B)Bilancio: 23 milioni di euro.www.hefboom.be

Integra Co-op (SK)Bilancio: 1 milione di euro.www.integra.sk

La Nef (F)Bilancio: 182 milioni di euro.www.lanef.com

Oekogeno eG (D)Bilancio: 3,5 milioni di euro.www.oekogeno.de

SIDI (F)Bilancio: 17 milioni di euro.www.sidi.fr

SIFA (F)Bilancio: 28 milioni di euro.www.franceactive.org

TISE (PL)Bilancio: 2,5 milioni di euro.www.tise.pl

B. Alternative Suisse BAS (CH)Bilancio: 551 milioni di euro. www.abs.ch

“I

‘‘’’

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| finanzaetica |

DA NOVEMBRE FEBEA HA UN NUOVO PRESIDENTE. Dopo dieci anni di guidafrancese – prima con Jean-Paul Vigier, francese, poi con Karol Sachs, polacco, ma rappresentante di un istituto d’Oltralpe, il Crédit Coopératif – la Federazioneeuropea della finanza e delle banche etiche e alternative ha un italiano al vertice:Fabio Salviato, ex presidente di Banca Etica (fino a giugno dell’anno scorso).«Questo incarico è un onore – commenta – è un riconoscimento a Banca Etica,come realtà innovativa nel panorama della finanza etica europea, un modello da esportare, unico per la sua struttura e per l’organizzazione dei soci».

Quali sono gli obiettivi raggiunti da Febea in questi primi 10 anni e quali i prossimi in agenda?

Febea è una federazione operativa, con attività molto concrete nel suoprogramma, ognuna delle quali è seguita da una commissione dedicata: sui Fondi di garanzia, il microcredito, il commercio equo e solidale. Questa struttura ha permesso di ottenere interessanti risultati in questi primi 10 anni. Ora è arrivato il momento di spingere l’azione di lobbying sulle istituzioni, per ottenere un riconoscimento della finanza etica a livello europeo. Servono regolamenti o leggi che riconoscano e premino il carattere sociale delle attività svolte.

Quali sono i primi passi di questa attività di lobbying?Stiamo procedendo in due direzioni: da un lato dal basso, sul territorio, con una raccolta di firme all’appello che abbiamo lanciato (vedi nelle pagine precedenti, ndr). Dall’altro con una proposta di raccomandazione per il riconoscimento della finanza etica in Europa, che vorremmo presentare il prossimo settembre al parlamento europeo.

Il vostro obiettivo, al di là di un riconoscimento formale, è ottenere delle agevolazioni per la finanza etica?

Innanzitutto è importante che vengano definiti dei paletti, stabilendo che cos’è la finanza etica, quali sono gli operatori che la propongono, quali i criteri di trasparenza (definizioni che non esistono neanche in Italia). Ma non solo.Vorremmo che i protagonisti della finanza etica fossero coinvolti e consultati nel dibattito su Basilea 3, per stabilire regole e requisiti diversi da quelli richiestialle banche tradizionali. Altrimenti le realtà della finanza etica sarebberofortemente penalizzate. Per esempio per queste realtà bisogna legare ai requisiti di capitalizzazione minima il concetto di socialità. Per le banche etiche il capitaleha un valore sociale, che deve essere considerato al di là dei numeri. E, se dovesseessere introdotta a livello europeo una tassa sulle transazioni finanziarie, comesta avvenendo in alcuni Paesi, le banche etiche dovrebbero esserne esentate. www.febea.org Elisabetta Tramonto

ARTICOLO

SALVIATO: «LAVORIAMO PER ESSERERICONOSCIUTI DALLE ISTITUZIONI EUROPEE»

sione sociale (anziani, immigrati, senzatetto, ex tossicodipendenti), che così tro-vano un lavoro stabile.

Le Potager de Marianne (letteralmente,“L’orto di Marianna”), invece, non riciclaoggetti bensì cibi. O meglio li recupera dal-le aziende che operano nell’Ile-de-France,la regione che ospita Parigi.

L’Associazione nazionale per lo svi-luppo delle drogherie solidali (Andes,www.epiceries-solidaires.org) ha lanciatoil progetto due anni fa, con l’obiettivo diraccogliere frutta e verdura invenduta daibanchi del mercato di Rungis (il più gran-de al mondo per prodotti freschi) e farla ar-rivare ai più bisognosi: ben 5 tonnellate dicibo al giorno, che altrimenti sarebberoandate distrutte, recuperate dai 14 dipen-denti dell’associazione.

Dal 1996, sempre in Francia, grazie aicapitali della finanza etica lavora l’associa-zione (oggi società per azioni) Trait d’U-nion (www.trait-union.net), che si è postal’obiettivo di rispondere all’esigenza di in-dividuare nuovi modelli di trattamentodei rifiuti, dando lavoro a 147 persone, im-pegnate nella gestione di centri di raccoltadifferenziata, nella predisposizione di stu-di e campagne di sensibilizzazione rivoltealla popolazione locale (in particolare leregioni occidentali del Paese).

In Norvegia è stato creato un progettodi reinserimento degli ex detenuti del car-cere di Bastøy (www.bastoyfengsel.no),isola a Sud della capitale Oslo, basato sullacreazione di opportunità, sull’orienta-mento e sulla formazione, in particolare ri-volta all’agricoltura biologica.

In Italia, ancora, la Fondazione Messi-na (www.fondazioneperilsud.it), grazie adun finanziamento di 6 milioni di euro,punta a costruire un parco di energie rin-novabili (principalmente fotovoltaiche)su terreni confiscati alla mafia.

Mentre in Belgio Energiesnoeiers(www.energiesnoeiers.net) ha allestito unasquadra di tecnici che effettua piccoli egrandi lavori per il risparmio energeticonelle case (isolamento, installazione di il-luminazione ecologica, rinnovamento deisistemi idraulici). Ne fanno parte 36 im-prese sociali. Progetti e iniziative perun’Europa attiva, creativa e solidale. Aiquali il sistema finanziario “tradizionale”non avrebbe dato un centesimo. .

Dobbiamo portareavanti un’azione di lobbying a livelloeuropeo. Serve unadefinizione precisa di finanza etica

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’’L’ex presidente di Febea, Karol Sachs, e il suo successore, Fabio Salviato.

*LIPPER FUND AWARDS 2009Rendimenti a tre anni (2006-2008)Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto

Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito

*LIPPER FUND AWARDS 2010Rendimenti a tre anni (2007-2009)Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto

Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito

MILANO FINANZA GLOBAL AWARDS 2009Valori Responsabili Obbligazionario Misto - Rendimento a un anno (2008)

ETICA SGR: VALORI IN CUI CREDERE, FINO IN FONDO.

Etica Sgr è una società di gestione del risparmio che promuove esclusivamente investimenti finanziari in titoli diimprese e di Stati selezionati in base a criteri sociali e ambientali.L’investimento responsabile non comporta rinunce in termini di rendimento. È un investimento “paziente”, nonha carattere speculativo e quindi ben si coniuga con la filosofia di guadagno nel medio-lungo termine comunea tutti gli altri fondi di investimento.

Parliamo di etica, contiamo i risultati.

I fondi Valori Responsabili si possono sottoscrivere presso tutte le filiali e i promotori di Banca Popolare Etica, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio,Banca di Legnano, Simgest/Coop, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca della Campania,Eurobanca delTrentino, Banca Popolare di Marostica, Eticredito, Cassa di Risparmio di Alessandria, Banca di Piacenza, Online Sim e presso alcune Banche di Credito Cooperativo.Per maggiori informazioni clicca su www.eticasgr.it o chiama lo 02.67071422. Etica Sgr è una società del Gruppo Banca Popolare Etica. Prima dell’adesioneleggere il prospetto informativo. I prospetti informativi sono disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.it

Fondi etici: l’investimento responsabile

GIOCOLa borsanon è un

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| islamfinanzasocietà |

Origini perse nei tempi

Scontri religiosi

di Federica Miglietta*

ELLA RUBRICA DI QUESTO MESE TRATTIAMO UN ARGOMENTO SCOTTANTE e, allo stesso tempo, desolante: gli scontrireligiosi. A cavallo tra il 2010 e il 2011 abbiamo assistito alla strage in Egitto, perpetrata a danno dei cristianicopti, e agli attacchi ai cattolici in Nigeria. Alla base di questi episodi sembrano esserci odi e divisioniprofonde, alimentati dalla differente religione. Non mi soffermerò su scontate condanne e su considerazionidi tipo culturale ed etnico; molto hanno scritto i giornali e unanimi sono state le condanne. Vorrei, invece,articolare il mio contributo su quali possano essere le cause storiche alla base dell’attuale “inimicizia” tra cristiani e musulmani e tra musulmani ed ebrei. Perché le prime schermaglie, non solo verbali, sono già presenti all’interno del Corano.

Nei primi tempi del nascente Islam, il Profeta dimostra una certa condiscendenza nei confronti di cristianied ebrei, in virtù di una comune ascendenza da Abramo. La tradizione araba del tempo del Profeta, infatti,tendeva a riconoscere Ismaele, figlio primogenito di Abramo, come antenato delle tribù arabe mentre il secondo figlio di Abramo, Isacco, avrebbe dato origine alla stirpe di Mosè (dal quale nasce l’Ebraismo) e a quella di Gesù, che fonda il Cristianesimo. In virtù di questa comune ascendenza si ritrovano all’internodel Corano numerosi riferimenti alle Sacre scritture cristiane ed ebraiche e, studiando il Corano, in alcunicasi si ha la netta percezione che Muhammad avesse una conoscenza delle scritture antiche. Nel Corano si accenna molto spesso al fatto che Ebrei e Cristiani, le “genti del Libro”, hanno corrotto gli insegnamenti

ed ebrei, che vengono definiti “fratelli nella fede” (Corano, II: 62) e “gente del Libro” (Corano, V: 15). Nel periodo medinese, però, Muhammad accusa i clan ebrei di cospirare contro di lui insieme ai meccani

e di qui inizia un periodo di delusione (perché non lo accettano come Profeta) e di aperta ostilità e si spezzadefinitivamente quel regime di collaborazione e tolleranza che aveva caratterizzato i primi periodi di convivenza tra i nuovi fedeli musulmani e i clan ebrei. In risposta a questo cambiamento di opinione,Muhammad sposta la qibla, la direzione della preghiera, da Gerusalemme, città santa ebraica, a Mecca, verso la Ka’ba. Nella Sura della Mensa, la misura ormai è colma: Muhammad si scaglia contro gli ebrei che hanno “stravolto il senso della Parola e hanno obliato parte di quel che fu loro insegnato”. Non è piùtenero verso i Cristiani, ovvero coloro che affermano “il Cristo, figlio di Maria, è Dio”, che “rifiutan fede a Dio” (Corano, V:17). Dio, per bocca di Muhammad li ammonisce severamente, affermando “O gente del Libro! Voi non farete nulla di buono finché non metterete in pratica la Torah e il Vangelo e quello che è stato rivelato dal vostro Signore” (Corano, V:68).

L’inimicizia, dunque, nasce da lontano, ma vale forse la pena ribadire che altri erano i tempi e altre le vicende storiche alla base di questi scontri. Basarsi su queste tesi, oggi, vuol dire tradire la storiae non rispettare l’onnipresente ricerca di pace e di misericordia che permea il Corano. .

I primi scontri tramusulmani, da una parte,ed ebrei e cristiani,dall’altra, si trovano nelCorano. Ma il libro sacrodell’Islam cerca la pace

* Ricercatrice di Economiadegli intermediarifinanziari presso la facoltà di Economiaall’Università di Bari e presso l’UniversitàBocconi di Milano

N

di Dio e, proprio per questa ragione, Allah ha mandato Muhammad comeultimo e più importante Profeta per ricondurre alla religione le genti cheavevano tradito il suo messaggio originario. Muhammad prova a convincereEbrei e Cristiani della validità del proprio messaggio e propone l’Islam come una religione ultima, completa e perfetta che dovrebbe succedere al cristianesimo e all’ebraismo. Questa speranza spiega la tolleranza di Muhammad, dimostrata nel primo periodo, nei confronti di cristiani

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| inbreve || inbreve |

economiasolidaleViaggio nell’olio d’oliva. Una bottiglia insostenibile >44Neocon all’attacco: «Greenpeace e Wwf nemici dei poveri »>50La strana battaglia tra i paladini dei boschi >52

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WIKIPEDIA,LA RACCOLTAFONDI È UN SUCCESSO

Sedici milioni in sessanta giorni, per vincere una scommessa:Wikipedia, la più grande enciclopediadel mondo, scritta dagli stessi utenti,rimane gratuita e senza pubblicità. A novembre, i suoi vertici, come ogni anno, hanno chiesto sostegno ai lettori per non dover aprire le porteagli sponsor. L’appello deve avertoccato le corde giuste perché ha spinto mezzo milione di personeda 140 Paesi nel mondo a devolverein media 22 dollari a testa. L’annoprima erano stati “solo” 230 mila. I soldi serviranno alla WikimediaFoundation, l’organismo non profit che controlla Wikipedia e i progetticollegati (Wikibooks, Wikizionario,Wikiquote ma non Wikileaks comequalcuno erroneamente crede), per coprire innanzitutto i costi delle piattaforma tecnologica: il sito Wikipedia è consultato, ognimese, da oltre 400 milioni di persone.Ma permetteranno anche di renderel’enciclopedia più facile da usare e di ampliare la platea di “scrittori”volontari (100 mila, finora). Un modo per ridurre anche il numerodi informazioni errate (“più scrittori,più controllo delle fonti” è il ragionamento).

Aspetto da non sottovalutare:finora Wikipedia è riuscita anche a mantenersi economicamente sana.Il bilancio 2010 mostra un avanzo di gestione di 10 mila e 600 euro, che si aggiungeranno ai 67 milaaccumulati negli esercizi precendenti.

LEGNO CERTIFICATOE A CHILOMETRO ZERO: LA BELLA STORIA DELLA CASANELLA VAL PESARINA

Gli abitanti della Val Pesarina in Friuli hanno avuto mododi apprezzare la bontà del progetto fin dai suoi primipassi: non capita spesso di vedere una casa costruitacon legname interamente locale, adattando il progettoal legno che si ha a disposizione e non viceversa.

Ora questo esempio di “buona pratica” avrà econazionale e internazionale: il progetto di casa di legnoecosostenibile “Sa Di Legno”, realizzato a Sostasio di Prato Carnico (Udine) dall’ingegner SamueleGiacometti, ha ottenuto il certificato di progetto Pefc, lo schema di certificazione forestale più diffuso al mondo.

È la prima volta in Italia che un progetto ottienequesto riconoscimento. E la terza nel mondo (i primi due sono staticoncessi a una casa e una scuolaspagnole). Il certificato garantisce che i 140 metri cubi di legnameutilizzati per la costruzione della suacasa provengano da foreste gestite in maniera sostenibile secondo rigidistandard internazionali.

Ma c’è di più: nel caso dellacostruzione realizzata da Giacometti, non solo è possibilegarantire la quantità di legno certificato, ma anchesapere da quale ceppo arriva ogni singola trave.

Il logo Pefc permetterà poi di divulgare in Italia e nel mondo questa buona pratica, che, tra l’altro,valorizza il ruolo di chi quel legno lo gestisce in modosostenibile e lo lavora: non solo il legno infatti, maanche le 30 persone coinvolte nella costruzione (dallascelta di ogni singolo albero, al taglio, al trattamento e alla realizzazione della casa) sono “a km 0”. Un riconoscimento anche per il territorio friulano, nel quale il progetto è nato ed è stato trasformato in realtà: il Friuli Venezia Giulia infatti è, dopo Trentino e Alto Adige, la regione con la maggiore superficieforestale certificata (75 mila ettari su 300 mila totali,pari al 25% dei boschi regionali). In Italia, la percentuale si ferma all’8,5%.

OLIO, ARANCE E CLEMENTINEARMI ANTIMAFIA,NELLA LOCRIDE NASCEIL CONSORZIO GOEL BIO

Non è facile la vita di chi sceglie di fare l’agricoltore in Calabria: prezzi da fame, che spesso non permettonoal produttore nemmeno di coprire le spese sostenute né di poter pagare il lavoro come i contratti (e la dignità)esigerebbero. E poi, la pressione criminale della‘ndrangheta, che vive e prospera sul lavoro dei cittadini.Una risposta, forse piccola ma sicuramente positiva,arriva dal consorzio Goel, che da decenni si batte per una Calabria libera dalle mafie e che ha lanciato la cooperativa sociale agricola Goel Bio. «Una realtà che riunirà i produttori della Locride e della Piana di Gioia Tauro che offrano qualità dei prodotti

ed eticità», spiega il presidentedel consorzio, VincenzoLinarello. Molto spesso si fal’errore di pensare che solo i prodotti dei terreni confiscatialle mafie siano virtuosi. Ci sono invece molti agricoltori“normali”, che non aspettano

altro che potersi liberare dall’oppressione criminale.«Vogliamo favorire il loro accesso al mercato e la creazione di una rete virtuosa, che possa averericadute positive per lo sviluppo del nostro territorio».

I produttori di Goel Bio (www.goel.coop/bio)producono soprattutto arance biologiche e in conversione, proposte direttamente al consumatorefinale in tutta Italia, ad un prezzo equivalente ad una normale arancia non biologica. E poi, clementinebiologiche, olio extravergine biologico di alta qualità,prodotto tramite spremitura a freddo, utilizzandounicamente procedimenti meccanici. Oltre a garantireprodotti di alta qualità, l’iniziativa di Goel Bio punta a prevenire i fenomeni di sfruttamento dell’immigrazione:i soci dovranno infatti garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, la rigorosa osservanza dei disciplinaridi produzione biologica e l’estraneità a qualsiasi tipo di collusione con la criminalità organizzata.

COTA:COMMERCIO ETICO?NIENTE FONDI

«Nel bilancio preventivo del 2011 non è prevista alcuna spesa a caricodell’Ente a copertura di iniziative sul commercio equo e solidale».Tradotto: chi è impegnato a diffondere nuovi principi etici nel mercato non merita aiutieconomici. Le brutte notizie arrivanoda Torino, dove la giunta regionaleguidata dal leghista Roberto Cota ha deciso di azzerare i fondi previstidalla legge regionale 26/2009.

Già l’estate scorsa Cota avevaannunciato di voler ridurre glistanziamenti dai 350 mila euro previstia 30 mila. Ora arriva l’azzeramentototale. Ovviamente sconcertati dalladecisione i titolari delle oltre 60“Botteghe del Mondo”. «È deludente – dichiara Alberto Anfossi, portavoce del coordinamento delle organizzazionipiemontesi di commercio equo e solidale – che il lavoro di anni,realizzato in modo partecipato e condiviso a più livelli, sul pianopolitico e amministrativo, sia oggivanificato da un atto di prepotenzadella Giunta attuale, che dal suoinsediamento ha rispostonegativamente alle nostre richieste di incontro». I punti vendita gestiti da cooperative e associazioni non profitdanno lavoro a 150 persone, riunisconooltre 5000 soci e 700 volontari, hannoricavi per 4 milioni di euro e hannoinvestito 1,3 milioni in lavoro retribuito.Dati che fanno del Piemonte una delle regioni in cui il commercioequo è più diffuso e radicato.

A CAPANNORILA PRIMACOMPOSTIERADI QUARTIERE

Bucce di banana e altri residui di pranzi e cene ora si buttano in una macchina che mangia i rifiuti“in diretta”. La mensa comunale di Capannori, in provincia di Lucca, ha inaugurato il primo sistema per il compostaggio locale collettivo a uso pubblico. Il macchinario arrivadalla Svezia e può trattare oltre ventitonnellate l’anno di frazione organica,che corrispondono al fabbisogno di circa 250 abitanti.

Alta un metro e lunga tre, la compostiera è costituita da duesezioni separate. Produce compost in circa un mese a fronte di unperiodo medio di 4 mesi previsto dal compostaggio domestico. I rifiutiorganici vengono inseriti in un vanodella macchina e poi triturati insiemea pellet. I risparmi oscillano tra il 30 e il 70%. A beneficiarnesarebbero soprattutto i comunimontani e le isole, per i quali si ridurrebbero i costi di trasporto e le emissioni inquinanti causate dal traffico. Dopo l’acquisto del macchinario, le spese annuali sonodi mille euro, per la manutenzione, e 250 euro, per la corrente elettrica.

Il compost prodotto sarà utilizzatocome fertilizzante per le aree verdicomunali. Dopo Capannori, il macchinario potrebbe approdarepresto in altre città: sperimentazioniavanzate sono in atto a Torino e, nella sua provincia, a Carmagnola, e nel comune di Acquapendente, in provincia di Viterbo.

APPARECCHIENERGIVORI,UNO SU TRE È FUORI NORMA

Da ormai un anno, gli elettrodomesticiimmessi sul mercato devono rispettarela nuova direttiva europea che neriduce i consumi sotto a 1 watt quandosono in standby. Una scelta, quella di Bruxelles, presa per evitare che l’11%di tutta l’elettricità continui a esserebuttata dagli apparecchi mentre nonsono in uso: 43 terawattora in tuttaEuropa, pari all’energia prodotta da otto grandi centrali termoelettriche,oppure a quella consumata dai 2/3delle case italiane. Eppure, nonostantele norme siano in vigore da un anno,moltissimi italiani ancora nei prossimimesi compreranno prodotti ormai fuorinorma, che fanno lievitare le bollette.

Una recente ricerca, condotta dal Politecnico di Milano su seimilaprodotti in vendita nei diversi Paesieuropei, rivela che oltre il 30% non rispetta ancora le nuove norme per gli standby. Gli elettrodomestici più voraci, anche da spenti, sono le fotocopiatrici e le stampanti laser, i decoder per la tv digitale, i routerper internet, i televisori e soprattutto i videogiochi e le macchine del caffè.Ma attenzione anche ai forni, aglistereo, ai carica-cellulari che, anchesenza luci accese, attaccati alla presacontinuano a succhiare energia e soldi.

Per fare gli acquisti giusti, occhioall’etichetta energetica: obbligatoriaper gli elettrodomestici da cucina.Ancora facoltativa negli altri. Perstereo, tv e pc solo poche aziendedanno informazioni volontariesull’energia consumata.

Da questo numero gli@ppuntamenti saranno sul sito www.valori.it Se volete segnalarcene qualcuno scrivete a: [email protected]

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| A N N O 1 1 N . 8 6 | F E B B R A I O 2 0 1 1 | valori | 45 |

| economiasolidale |

| 44 | valori | A N N O 1 1 N . 8 6 | F E B B R A I O 2 0 1 1 |

| economiasolidale | made in italy a rischio | prima puntata |

CAFFALI COLMI di bottiglie ditutte le forme, i colori e iprezzi. Il reparto dedicato al-

l’olio nei supermercati è una babele in cui èdifficile districarsi. Solo per l’extravergined’oliva si possono trovare più di 70 marche,con prezzi che vanno dai 2,70 ai 10 euro allitro, senza considerare le promozioni. «Nonsi può dire che la qualità sia proporzionaleal prezzo, ma certamente se un extravergi-ne costa 2,70 euro al litro c’è qualcosa chenon va. Di certo non è italiano ed è possi-bile che non sia neanche extravergine», ri-sponde Benedetto Orlandi, responsabile delsettore Olio di Coldiretti. Oggi in Italia unlitro di extravergine viene pagato al produt-tore in media 3 euro. «Aggiungendo i costidi imbottigliamento, etichettatura, traspor-to e i margini di intermediazione - spiega Or-landi - non potrebbe essere venduto al det-taglio a meno di 6 euro al litro».

Un altro capitolo spinoso ri-guarda i prezzi all’ingrosso.Quei 3 euro al litro (in aumen-to dai 2,72 del 2009) permetto-no ai produttori di guadagna-re? L’Ismea (l’Istituto di serviziper il mercato agricolo alimen-tare) ha fatto i conti in tasca agliolivicoltori italiani. E il risulta-to è tutt’altro che rassicurante.

Costi alti e prezzi bassi«Negli ultimi quattro anni i prezzi all’ori-gine dell’olio d’oliva sono calati drastica-mente e, contemporaneamente, sono au-mentati i costi di produzione», spiega

Tiziana Sarnari dell’Ismea. Èun settore complesso, dove icosti di produzione possonovariare di molto a seconda del-la zona di coltivazione (ripidipendii o pianura) e delle tecni-che agricole usate (la raccolta amano, per esempio, costa an-che tre volte di più rispetto aquella con le macchine). L’I-smea ha calcolato che, consi-

derando tutte le fasi di gestione di un uli-veto (potatura, eventuale irrigazione,trattamenti fitosanitari), la raccolta e laspremitura, produrre un litro d’olio extra-vergine può costare a un olivicoltore ita-liano tra i 3,2 e i 9,6 euro (riferiti al 2009),senza considerare imbottigliamento edetichettatura, che farebbero salire il costoalmeno di 1 euro al litro. Si raggiunge unacifra che supera di gran lunga i 2,72 eurodi prezzo all’ingrosso (sempre riferito al2009). Come può un agricoltore venderel’olio a un prezzo inferiore a quanto haspeso per produrlo? «Un piccolo olivicol-tore - spiega Tiziana Sarnari - può recupe-rare le uscite solo se utilizza manodoperapropria o dei propri familiari e non la con-

teggia nei costi. Spesso raccolgono le olivequando il prezzo all’ingrosso permette dicoprire almeno i costi di raccolta e frangi-tura, non quelli di cura della pianta».

Ad assicurare un minimo reddito agliolivicoltori ci pensano gli aiuti comunita-ri, che dal 2004 non sono più collegati al-la produzione, ma dipendono da un cal-colo sulla resa che l’uliveto aveva tra il2000 e il 2003. L’introito per ogni olivi-coltore varia di molto, tra i 100 e i 2.000euro a ettaro all’anno. Finché dura, per-ché dal 2013 ci sarà la nuova Politica agri-cola comune e vedremo cosa succederà.

Qualità a rischioI produttori italiani arrancano sotto il pe-so della concorrenza internazionale, so-prattutto della Spagna (primo produtto-re mondiale), che, con una produzionestandardizzata e altamente meccanizza-ta, poche varietà di olive e poche grandiaziende olivicole, riesce a mantenere icosti di produzione molto bassi e a im-porre sul mercato prezzi che per l’Italiarisultano insostenibili (vedi nellapagina seguente). La struttura produttivadegli olivicoltori italiani è molto fram-mentata: 775 mila agricoltori per 160 mi-la ettari coltivati a ulivo, in media un et-taro e mezzo a testa. Una condizione chenon permette di beneficiare di economiedi scala, abbassando i costi, e riduce il po-

TABELLA

S

Viaggio nell’olio d’olivaUna bottigliainsostenibile di Elisabetta Tramonto

Gli ulivi monumentali della Masseria Brancati, a Ostuni (Brindisi). Ci si può immergere in questopezzo di storia, visitandola o gustando l’olio di talialberi meravigliosi (www.masseriabrancati.com).

PRIMA PUNTATAINGREDIENTI MADE IN ITALY A RISCHIO

INIZIAMO CON L’OLIO D’OLIVA. Per continuare con il formaggio, la carne, il vino, la birra, le arance, il pesce. Un patrimonio del made in Italy che rischiadi scomparire, schiacciato da concorrenzasleale, prodotti contraffatti, politiche dellagrande distribuzione che stritolano i piccoliproduttori, prezzi di mercato stracciaticontro costi di produzione in aumento. Tanto che i piccoli produttori sempre più spesso decidono di gettare la spugna. E con loro se ne va un capitale inestimabiledi biodiversità, di cultura del territorio, di prodotti italiani. A partire da questonumero di Valori iniziamo un viaggio dentroquesti prodotti, le loro filiere, le difficoltàche i produttori incontrano. Ogni mese un prodotto diverso. Da rivalutare, da salvare.

OLIO ON LINE DA ULIVI SECOLARI

www.masseriabrancati.comwww.masseriailfrantoio.itwww.masseriagiummetta.comwww.liberaterrapuglia.itwww.pantanelli.it

In una gara al prezzo più basso, anche a causa di una concorrenza internazionale spietata, a pagarne le spese

sono i piccoli produttori italiani e la qualità dell’olio. Ma i consumatori non badano a cosa mangiano.

2010 Guida agli extravergini Slow Food Editore

LIBRI

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tra bio, Dop e Igp, il 2% del totale dell’o-lio prodotto), ma negli ultimi 5 anni, tratutte le categorie di olio, secondo l’Ismeale vendite di biologico sono quelle cre-sciute di più. E nei primi nove mesi del2010 sono aumentate del 20%.

Produrre olio biologico può costare«tra il 15% e il 30% in più - spiega NinoPaparella - soprattutto per la perdita diprodotto a causa della rigida selezione edella caduta a terra di olive per colpa diinsetti». Anche il prezzo di vendita è me-diamente più alto, almeno il doppio del-l’olio non bio, secondo l’Ismea. «Per i pro-

duttori - spiega NinoPaparella - aver scelto ilbiologico è un vantag-gio competitivo per-ché il livello dei prezziè più stabile; il consu-matore è più fedele ele catene di distribu-zione di biologico ga-rantiscono un marginedi guadagno maggioreper i produttori». .

APPUNTAMENTO

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| economiasolidale |

tere contrattuale con le industrie dell’o-lio. I grandi marchi comprano olio dagrossisti, cercando di spuntare i prezzipiù bassi, in Italia o all’estero. E la qua-lità? «Passa in secondo piano», denunciaBenedetto Orlandi. In Italia esistono ol-tre 350 cultivar, che negli oli “industria-li” scompaiono in una “miscela” che per-de ogni caratterizzazione. «Per nonparlare dei casi, sempre più frequenti dioli spacciati per extravergini, ma chenon lo sono per niente», conclude Or-landi. In Spagna si sta affermando unapericolosa tendenza. I prezzi degli oli ex-travergine e lampante si stanno avvici-nando. Segno che i consumatori cercanoil basso prezzo a prescindere dalla qua-lità. «Il problema - spiega Dario Ferro, cu-ratore della guida agli extravergini diSlow Food - è che il consumatore cerca ilrisparmio senza domandarsi che cosa stamangiando».

Per l’Ismea sono tre le strade possibiliper i produttori di olio, di fronte alle enor-mi difficoltà che devono affrontare: gettarela spugna; abbassare la qualità per riuscire acompetere con i concorrenti internaziona-li; o puntare sull’alta qualità e sulla diffe-renziazione del prodotto, per esempio coni marchi Dop e con il biologico.

Vie d’uscita«L’unico modo per guadagnare è la ven-dita diretta, che ci riconosce un giustoprezzo», racconta Eugenio Lozzi, olivicol-tore di Tivoli (www.oliosanclemente.it).«Per sopravvivere evitiamo la grande di-stribuzione - racconta Giuseppe Geraci,produttore di olio di Corigliano Calabro(www.oleariageraci.it) - e puntiamo sulla

Streaming suwww.fondazionecariplo.it

Vent’anni insieme al non profit.Diamo credito ai progetti migliori,eppure non siamo una banca.

Fondazione

NUOVI BANDI 2011Si aprono i bandi di Fondazione Cariplo nei quattro settori di intervento: Ambiente, Arte e Cultura, Ricerca Scientifica, Servizi alla Persona.

I testi dei bandi e il calendario degli incontri di presentazione sul territorio sono disponibili sul sito www.fondazionecariplo.it

N UN MOMENTO di grande dif-ficoltà per gli olivicoltori,puntare sulla qualità è un

valore aggiunto, premiato dal mercato. Eil biologico è certamente una garanzia diqualità». Sintetizza così, Nino Paparella -presidente di Icea (Istituto per la certifica-zione etica e ambientale) e coordinatoredel premio Biol - le motivazioni per cui unproduttore dovrebbe optare per l’olio bio-logico. L’Italia è al primo posto al mondoper estensione di uliveti bio, con oltre 114mila ettari, il 10% degli uliveti italiani. «Laproduzione di olio bio – precisa Nino Pa-parella – è, in proporzione, molto più bas-sa. La certificazione comporta una sele-zione rigida e alcune partite vengonoescluse perché risultano inquinate daagenti esterni. Ma questa iper-selezionegarantisce l’alta qualità».

Qualità premiataLa produzione di olio bio è ancora limita-ta (circa 10 tonnellate all’anno in Italia,

Il comparto dell’olio bio è ancora di nicchia, ma le vendite stanno aumentando più di ogni altracategoria di olio. E i produttori sono premiati da prezzi superiori, canali di vendita riservati, clienti fidelizzati.

di Elisabetta TramontoC’È OLIO E OLIO

«I OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVAÈ l’olio che esce dal frantoio e deriva dallasemplice spremitura delle olive. Deve avereun’acidità massima dello 0,8% e superaretest organolettici. Il 60% dell’olio d’olivaprodotto in Italia è extravergine.

OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA DOP E IGPDop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta) sonodue riconoscimenti assegnati agli oli chevantano un forte legame con il territorio di origine. In Italia ci sono 39 Dop e 1 Igp.

OLIO D’OLIVANon deriva dalla semplice spremitura delleolive in frantoio. È una miscela tra olio raffinato(trattato chimicamente) e olio vergine.

OLIO DI OLIVA VERGINE LAMPANTEHa acidità elevata e altri difetti. Ne è vietatala vendita.

OLIO DI OLIVA RETTIFICATOProdotto dalla rettificazione chimica dell’oliolampante. Ne è vietata la vendita.

OLIO DI SANSADopo la spremitura delle olive per estrarrel’olio resta la sansa, da cui si può estrarrealtro olio, trattandola con solventi chimici.Per renderlo commestibile, viene rettificatoe miscelato con olio d’oliva vergine.

LE PRINCIPALI OPERAZIONI AGRONOMICHE NELL’OLIVETO E DELLA PRIMA TRASFORMAZIONE

VOCI DI COSTO CENTRO- ITALIA PUGLIA SETT. SALENTO

Piante/ha (n) 277,0 100/150 100/150

Produzione media/pianta (kg) 18,0 48,0 48,0

Produzione olive (kg/ha) 4.986 6.000,0 6000,0

Resa media in olio (%) 16,0 18,0 18,0

Produzione olio (kg/ha) 798 1.080,0 1080,0

Costo 3 interventi di gestione del suolo (€/ha) 391,3

Costo 4 interventi gestione del suolo (€/ha) 450,0 200,0

Costo concimazione (€/ha) 315,9

Costo 3 trattamenti fitosanitari (€/ha) 394,8 1.000,0 600,0

Costo totale frangitura (€/ha) 650,0 480,0 480,0

Quota ammortamento oliveto (€/ha) 300,0 100,0 100,0

Irrigazione 50,0 80,0

Spese generali (€/ha) 157,9 100,0 100,0

Costo raccolta1 (€/ha) 1.450-3.800 1.600,0 720-1.200

Costo potatura2 e spollonatura (€/ha) 650-1.060 650,0 960,0

Costo totale (€/ha) 4.300-7.080 4.438 3.240-3.720

1) La forbice dipende dal tipo di raccolta: manuale, agevolata o meccanica. 2) La forbice dipende dal tipo della potatura (manuale o agevolata) e dalla periodicità (annuale o biennale).

I PREZZI MEDI ALL’ORIGINE DELL’OLIO D’OLIVA ITALIANO (€/KG)

2007 2008 2009 VAR.% 08/07 VAR.% 09/08

Extravergine 3,16 2,91 2,50 -7,9 -14,1Vergine 2,55 2,37 1,94 -7,3 -18,0Lampante 2,17 2,10 1,76 -3,2 -16,1

I PREZZI MEDI ALL’ORIGINE DEGLI OLI D’OLIVA SPAGNOLI E GRECI (€/KG)

4,45 EUROCosto totale di produzione dell’olio

Unità di misura Euro al litro di olio (1 litro=0,920 kg)

Costi medi riferiti alla Puglia (dove si produce la quota più alta di olio in Italia: il 31% nel 2010)

1 EUROCosto bottiglia, tappoimbottigliamento ed etichettatura

0,48 EUROCosto frangitura (spremituradelle olive in frantoio)1,61 EUROCosto raccolta

0,65 EUROPotatura e spollonatura (ogni 2 anni)

1,00 EUROTrattamenti fitosanitari

0,45 EUROGestione suolo

0,26 EURO Altri costi gestione uliveti

Il biologicofa la differenza

9,65 EURO AL LITRO Prezzo più altosegnalatoin Italia

Prezzo più bassosegnalato (senzaconsiderareofferte e promozioni, a cui spesso è sottoposto)2,70 EURO AL LITRO

| economiasolidale |

L’INSOSTENIBILITÀDI UNA BOTTIGLIADI OLIO D’OLIVA I COSTI SUPERANOIL PREZZO PAGATOAL PRODUTTORE

I PREZZI ALLO SCAFFALE

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COSTI DI PRODUZIONE (CENTRO-ITALIA) PER TIPOLOGIA DI OPERAZIONE COLTURALE

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2,72 EURO Prezzo medio al litro per olioextravergine

in Italia, 2009

PREZZORICONOSCIUTOAI PRODUTTORI

26 aprile -1maggio ANDRIAPREMIO BIOLXVI edizione del concorsointernazionale che pone a confronto i migliori oli extraverginibiologici al mondo.www.premiobiol.it

Manuale21 3 4 5 6 7 8 9€/kg

Meccanizzata

Raccolta agevolata e potatura agevolata biennale

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2007 2008 2009 VAR.% 08/07 VAR.% 09/08

SpagnaExtravergine 2,57 2,38 2,05 -7,1 -14,0Lampante 2,40 2,28 1,94 -5,2 -14,7GreciaExtravergine 2,78 2,61 2,16 -6,0 -17,4Lampante 2,13 2,04 1,62 -3,9 -20,7

qualità del prodotto da far conoscere alconsumatore con un rapporto diretto.Abbiamo una rivendita in paese, abbia-mo sviluppato rapporti solidi con i Gasdel nord Italia e abbiamo trovato il mododi usare anche gli scarti. A partire dal noc-ciolo dell’oliva produciamo combustibiledomestico o industriale per il riscalda-mento o per forni per il pane». .

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Ciola, presidente della Co-munità degli oliveti secola-ri di Puglia - richiedonomolta più manodopera».«Quello che fa lievitare icosti - aggiunge CorradoRodio, olivicoltore di ulivimillenari della masseriaBrancati, a Ostuni - è il ri-spetto per la pianta. Perraccogliere le olive usiamopettini manuali, al posto dimacchine scavallatrici, chefanno risparmiare tempo,ma rischiano di spezzare irami. Per coprire tutti i co-

sti vivi non posso vendere l’olio a meno di8 euro al litro». Ma, con la concorrenza econ le basse quotazioni di mercato, non èfacile e sono sempre di più gli olivicoltoriche abbandonano gli uliveti, mettendo arepentaglio questo patrimonio.

Rispettare e risparmiare Per tutelare gli uliveti secolari pugliesi ènato il progetto Cent.Oli.Med. (www. li-fecentolimed.iamb.it), finanziato dallaComunità europea, gestito dall’IstitutoAgronomico mediterraneo di Bari. «Pro-teggono una risorsa di biodiversità incre-dibile e si è dimostrato che sono una ri-sorsa preziosa per contrastare gli effettinegativi dei cambiamenti climatici»,spiega Jenny Calabrese, dell’istituto

| economiasolidale |

La corruzione minaccia il prestigio

e la credibilità delle istituzioni,

inquina e distorce gravemente

l’economia, sottrae risorse de-

stinate al bene della comunità,

corrode il senso civico e la stessa

cultura democratica. Chiediamo al

Presidente della Repubblica, quale

garante della Costituzione e massi-

mo rappresentante delle istituzioni,

di intervenire affinché il governo e

il Parlamento attuino quanto prima

le direttive comunitarie in materia

di lotta alla corruzione e le norme,

introdotte con la legge Finanziaria

del 2007, per la confisca e l’uso

sociale dei beni sottratti ai cor-

rotti. In questo modo anche l’Italia

potrà finalmente fare ricorso a norme

chiare, strumenti e sanzioni efficaci

per contrastare davvero il diffondersi

di questa autentica piaga sociale,

economica e morale.

| economiasolidale |

MARCHI ITALIANI ADIOS

NEGLI ULTIMI ANNI i marchi dell’olio di oliva made in Italy hanno subito notevoli modifiche nelle proprietàdelle aziende, con un ingresso massiccio di capitalispagnoli. Protagonista assoluto il gruppo Sos, quotatoalla borsa di Madrid, oggi primo gruppo mondiale nel settore oleario. Da sei anni ha iniziato a fareshopping in Italia, acquistando, nel 2005, la Minervaoli, con lo storico marchio Sasso, e, nel 2006, il brand fiorentino Carapelli (che apparteneva ai fondiBs Private Equity, Arca Impresa Gestioni sgr e MpsVenture, che lo avevano rilevato nel 2002 da Cereol,braccio alimentare dell’allora Montedison). Lo shopping del gruppo spagnolo è continuato nel 2008 con l’acquisto del marchio Bertolli dallamultinazionale anglo-olandese Unilever e dei brandMaya, Dante (che nel 2009 è tornato in mani italiane,venduto all’azienda campana Mataluni di Benevento) e San Giorgio. Un buon metodo per conquistare quote di mercato in un Paese che consuma 700 milatonnellate di olio d’oliva e un ottimo biglietto da visitaper presentarsi sui mercati internazionali con marchiprestigiosi come quelli italiani.

ONDIRE L’INSALATA con uncucchiaio di storia, un filodi patrimonio naturale e

ambientale, un goccio di biodiversità. Èquello che accade ogni volta che si usa l’o-lio spremuto dalle olive degli alberi pluri-secolari che costellano la campagna pu-gliese. Un tronco imponente, che inalcuni casi può superare i 10 metri di cir-conferenza, che si avvinghia su se stessoin modo irregolare a formare una verascultura. Sui 50 milioni di ulivi pugliesi,quelli secolari sono circa 5 milioni, i mil-lenari 1 milione, concentrati soprattuttolungo la piana costiera tra Bari e Brindisi,non più di 40-50 per ettaro, contro i 200-300 alberi giovani degli uliveti intensivi. Regalano un olio di alta qualità (se pro-dotto con metodi appropriati, portando leolive al frantoio appena raccolte). Mahanno un valore aggiunto: cultura-le e storico di gustare un oliodalle stesse olive assaporatedagli antichi greci e roma-ni. E il valore naturale diun paesaggio antico ric-co di biodiversità.

Ma, purtroppo, sonoin pericolo. Non per i“furti”, che avvenivanofino a pochi anni fa, daparte di chi strappavaqueste piante dal loro ha-bitat per decorare una villanel nord Italia. Oggi non èpiù possibile: una legge regio-nale del 2007 vieta di espiantareulivi monumentali. Il nemico è un altro:di tipo economico. Se, negli ultimi anni,per i produttori di olio è difficile anche co-prire i costi, per i proprietari di uliveti ul-trasecolari la vita è ancora più dura. Le fa-si di coltivazione, dalla potatura allaraccolta, sono molto più costose. «Gli uli-veti monumentali - spiega Gianfranco

Agronomico mediterraneo. «Purtroppoperò sono esposti a numerose minacce,che possono arrivare dagli stessi olivicol-tori, che, per aumentare la produttività,adottano pratiche agricole aggressive».Scopo del progetto è anche insegnare lo-ro tecniche agricole che rispettino lepiante e l’ambiente e, contemporanea-mente, permettano di risparmiare.

«Gestire un uliveto secolare – spiegaJenny Calabrese - può costare fino a trevolte di più di uno intensivo. Ma è pos-sibile contenere i costi in modo natura-le. Per esempio la potatura dell’ulivo puòessere eseguita con interventi più fre-quenti (ogni 2 invece che ogni 4 anni):più leggeri per la pianta, più semplici erapidi per gli operai, quindi più econo-

mici. Oppure l’inerbimento, una sorta difertilizzante naturale, che riduce l’appor-to di sostanze chimiche, la lavorazionedel terreno e, quindi, la spesa. Bastamantenere l’erba alla base dell’ulivo e,con un’aratura superficiale, rovesciarlanel terreno per dare sostanze nutritivealla pianta: azoto, potassio, fosforo, co-me se fosse fertilizzato». .

Un olio che ha un valore aggiunto dovuto alla storia che racchiude. Produrlo costa di più. Un progetto

della comunità europea cerca di preservare questo patrimonio e di far risparmiare gli olivicoltori.

di Elisabetta Tramonto

C

Coltivare un ulivetosecolare può costare finoa tre volte di più. Ma contecniche naturali si può

anche risparmiare

Ulivi millenariun patrimonio a rischio

| 48 | valori | A N N O 1 1 N . 8 6 | F E B B R A I O 2 0 1 1 |

A destra, raccolta delle olive: per gli ulivimonumentali, è manuale. Sotto,masseria Brancati.

I NUMERI DELLA FILIERA DELL’OLIO IN ITALIA

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2008 2009STRUTTURAaziende (fase agricola)1 775.783 775.783superficie investita ad olivicoltura2 (ha) 1.160.959 1.156.289superficie media (ha) 1,5 1,5frantoi attivi 5.182 5.182imprese industriali3 220 220addetti industria3 4.200 4.200dimensione media aziendale (addetti/industria) 19 19OFFERTAproduzione2 (migliaia di tonnellate) 607 518fatturato industria olio d’oliva6 (mln €) 3.440 3.200incidenza sul fatturato industria agroalimentare6 (%) 2,9 2,9SCAMBI CON L’ESTERO2

Import (mln €) 1.291 997Import olio di oliva/consumi5 (% q.) 65,6 71,0Export2 (mln €) 1.169 1.009Export olio di oliva/produzione2 (% q.) 49,5 70,0saldo2 (mln €) -115 12DOMANDAspesa annua delle famiglie7 (mln €) 4.586 ndspesa annua pro capite8 (€/pro capite) 76,92 ndconsumo pro-capite apparente8 (lt) 12,60 12,501) Indagine SPA Istat 2007. 2) Istat e per il 2009 stima Ismea. 3) Stime Ismea su dati Federolio e Assitol. 4) Ismea-Nielsen. 5) Elaborazione Ismea su dati Istat e Coi. 6) Stima Ismea su datiFederalimentare. 7) Elaborazione Ismea su dati Istat e Nielsen. 8) Stima Ismea. 9) Ismea.

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| economiasolidale | imprese contro ong |

PARTITA IN SORDINA, senza grandeclamore, alla fine di agosto del2010. Un comunicato scarno,

poco più di 350 parole, per dire che “è natauna nuova coalizione per difendere e pro-muovere i veri interessi dei consumatori”.Si chiama Consumers Alliance for GlobalProsperity (Cagp, Alleanza dei consumatoriper la prosperità globale). Un nome ro-boante che promette soluzioni di portataepocale per la salvezza del mondo.

L’ennesimo gruppo che ci invita a rot-tamare la macchina o a fare la doccia fred-da per frenare i cambiamenti climatici? No,niente di tutto questo.

Anzi, secondo la Cagp, i veri nemici dacombattere non sono le emissioni di CO2

Èdi Mauro Meggiolaro e Claudia Apel o le perfide multinazionali. Al contrario: le

minacce alla prosperità globale si annida-no negli uffici dei gruppi ambientalisti edei grandi sindacati. “Lupi protezionistitravestiti da agnelli verdi”, si legge sul sitodella coalizione www.consumerprospe-rity.com. “Associazioni che si alleano conle grandi industrie dei Paesi sviluppati perbloccare il commercio con i Paesi asiatici invia di sviluppo”.

Eccola la nuova teoria del complotto fir-mata Cagp: visto che le grandi società delsettore manifatturiero nei Paesi sviluppati“non possono più invocare in modo esplici-to politiche protezionistiche”, il protezioni-smo viene spinto con altri mezzi, grazie allecontinue proteste di gruppi come Green-peace, Wwf, Rainforest Action Network(Ran) e dei sindacati americani.

Il complotto dietro la cartaUn chiaro esempio della supposta conni-venza tra ambientalisti, sindacati e grandeindustria viene riportato proprio nel comu-nicato di lancio di Cagp e riguarda il settoredella carta: «I grandi produttori di cartaamericani, i grandi sindacati come gli Uni-ted Steelworkers (metalmeccanici) e i movi-menti ambientalisti radicali come SierraClub e Ran sono al centro di un complottoper erigere barriere commerciali in modo dabloccare l’importazione di prodotti cartaceidalla Cina e dall’Indonesia», spiega AndrewLanger, portavoce di Cagp. «I consumatorisono i primi ad essere danneggiati da questaalleanza, perché il prezzo della carta aumen-terà, e con esso il costo di quasi ogni bene oservizio nei paesi sviluppati». «Quello che cipreoccupa di più», continua Langer, «è chele grandi industrie della carta degli Stati Uni-ti, che sono sull’orlo del fallimento per ilbasso livello di competitività, saranno sal-vate con i soldi dei cittadini americani».

Longa manusdell’ultradestra Nonostante sia partita solo cinque mesi fa, laConsumers Alliance ha un sito internet benstrutturato, dove si possono leggere decine dinews e scaricare almeno due rapporti: Envi-ronmental Protectionism. Greenpeace’s siege onthe world’s poor (Il protezionismo ambientale.

L’assedio di Greenpeace ai poveri del mondo) eEmpires of Collusion (Gli imperi della conniven-za), dedicato alla collaborazione tra ambien-talisti, sindacati e industria nella guerra con-tro i produttori di carta cinesi e indonesiani.

Ma chi finanzia le pubblicazioni e le cam-pagne di Cagp? Il sito internet principale e i si-ti collegati (come www.pulpwars.com) sonoregistrati anonimamente, ma sulla home diconsumerprosperity.com si può leggere che isostenitori sono l’Institute for Liberty e l’asso-ciazione Frontiers of Freedom. Fondato nel2005, l’Institute for Liberty è diretto da An-drew Langer, che è anche portavoce di Cagp.Sul sito non ci sono notizie sull’identità deifondatori, ma l’obiettivo del movimento sem-bra chiaro: “Difendere in modo aggressivo idiritti degli individui per perseguire il sognoamericano”. Sul sito di Frontiers of Freedom èinvece possibile risalire ai primi collegamentipolitici: il fondatore è infatti il RepubblicanoMalcolm Wallop, senatore del Wyoming pertre mandati fino al 1995, e coordinatore dellostaff di Steve Forbes nelle primarie del 1996(vinte da Bob Dole).

Secondo ExxonSecrets, un progetto di ri-cerca finanziato da Greenpeace sull’attivitàdi lobbying del gigante petrolife-ro Exxon, dietro a Frontiers ofFreedom (FoF) ci sarebbero inrealtà la stessa Exxon (che dal2002 al 2007 ha versato nelle

casse di FoF oltre un milione di dollari), Phil-lip Morris e i miliardari Charles e David Ko-ch, proprietaria di Koch Industries, un grup-po industriale da 100 miliardi di ricaviall’anno nei settori petrolifero, minerario,chimico, energetico e - guarda caso - nellaproduzione di carta, attraverso la controllataGeorgia-Pacific Llc. Presente in Indonesia dal

1982, Georgia-Pacific è stata recentemente co-stretta da Rainforest Action Network a pub-blicare una policy per lo sfruttamento soste-nibile delle foreste, che esclude l’acquisto dilegname dalle foreste vergini indonesiane. Se-condo il Center for Responsive Politics, istitu-to di ricerca di Washington che traccia i con-tributi dell’industria americana ai gruppipolitici (www.opensecrets.org), tra il 2008 e il2009 il Gruppo Koch avrebbe speso quasi 35milioni di dollari in attività di lobbying, ingran parte a favore di gruppi e movimenti chenegano gli impatti dei cambiamenti climatici.

La guerra è appena iniziata Ma i particolari sull’Alleanza dei Consuma-tori diventano ancora più interessanti se sianalizza il profilo del suo portavoce, il fu-nambolico Andrew Langer. Trentenne d’as-salto, Langer, oltre ad essere presidente del-l’Institute for Liberty, è stato coordinatoredella campagna per Sarah Palin e John Mc-Cain nella costa orientale ed è più volte in-tervenuto ai comizi del Tea Party, il movi-mento populista ultraconservatore di cui laPalin è uno dei maggiori esponenti.

Nonostante sia stato escluso, nel marzodel 2010, dalla corsa per diventare presiden-te dei Repubblicani nel Maryland, lo Statonel quale vive, Langer non si è perso d’ani-mo ed è saltato sul carro della Consumers Al-liance. Un movimento molto più vicino ai

Neocon all’attacco “Greenpeace e Wwf nemici dei poveri

e dei consumatori”

Rotoli di carta. Sono al centrodell’attacco a Greenpeace da parte di Cagp, che la accusa di erigere barriere commerciali per evitare l’importazione di carta da Cina e Indonesia.

Le campagne degli ecologisti,secondo Cagp, sarebbero un modo per riproporre nuovebarriere protezionistiche.

La connivenza tra Ong, sindacati, industrie e dettaglianti nella produzione e vendita di carta(tratto dal rapporto Empires of Collusion,http://pulpwars.com/empires_of_collusion).

Si chiama Cagp, Alleanza dei Consumatori per la prosperità globale: nasce per denunciare il complotto ambientalista contro il libero commercio tra Usa e Sud-Estasiatico. Ma dietro a questa sigla, si nascondono la Exxon, Philip Morris e gli ultrà del Tea Party.

2011, L’ONU LO DEDICA ALLE FORESTE

DAL 2000 OGNI ANNO il Pianeta ha visto diminuire il patrimonio forestale equivalenteall’area di un Paese come il Costarica. Deforestazione e degrado delle foreste sonoresponsabili di circa il 17% delle emissioni di gas serra a livello globale. Per celebrare e favorire le azioni in favore della gestione sostenibile del patrimonio boschivo, l’Onu ha dichiarato il 2011 Anno Internazionale delle Foreste. www.un.org/forests

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| economiasolidale |

grandi industriali repubblicani che ai consu-matori o, come ha dichiarato David Axelrod,il più influente consigliere di Obama, «unmovimento di base, al servizio dei cittadini,promosso da un gruppetto di petrolieri mi-liardari». Che però non deve essere sottova-lutato. Se, come scrive il Washington Post,l’Institute for Liberty è passato dall’essere for-

È UNA STRANA GUERRA incorso nel mondo dei di-fensori delle foreste. Il

conflitto vede contrapposti Greenpeace eil Pefc, lo schema di certificazione foresta-le più diffuso al mondo. E, attorno a que-sto conflitto, aleggia più di un paradosso:i “buoni” discutono per chiarire chi tra lo-ro sia più buono, l’ambiente non trae gio-vamento da questa battaglia, i consuma-tori responsabili sono disorientati eintanto gli sfruttatori del patrimonio bo-schivo mondiale continuano i loro affari.

Le classifiche dello scandaloA metà novembre Greenpeace ha presen-

tato il rapporto “Foreste a rotoli”, la suaconsueta classifica dedicata alle aziendeproduttrici di carta igienica e da cucina. Aiprimi posti figurano i (pochi) marchi cheusano carta riciclata o fibre vergini certifi-cate secondo lo schema Fsc (Forest Steward-ship Council), nato nel 1993 in Canada.Voti insufficienti a tutti gli altri(l’80% del totale), senza distin-guere tra i produttori che uti-lizzano anch’essi fibre certifi-cate (ma secondo lo schemaPefc, Programme for Endorse-ment of Forest Certification sche-mes, concorrente dell’Fsc) da quelli che in-vece si disinteressano dei temi ambientali.

Discorso analogo (voti alti a chi usa lacertificazione Fsc, stroncature a chi sceglie

Pefc) avviene con le altre due guide diGreenpeace: la classifica “Salvaforeste” ri-volta alle case editrici e quella per le azien-de di parquet.

La cosa, ovviamente, non ha fatto pia-cere ai vertici del Pefc Italia, secondo i

quali le ecoguide sarebbero «sordideoperazioni di marketing: sonoenormi spot pubblicitari in fa-vore dello schema Fsc, nel qua-le l’associazione ambientalistaè direttamente coinvolta, e del-le aziende che lo scelgono», ac-cusa il segretario generale An-

tonio Brunori. «Un mezzo per drogare ilmercato e ricattare le imprese del settore,perché si fa credere che i prodotti a mar-chio Fsc siano più ecologici, non asse-gnando la sufficienza a nessuna aziendache, pur usando fibra sostenibile e certifi-cata, non ha il marchio da loro promosso».

«È vero: noi sosteniamo la certificazio-ne Fsc», ammette Chiara Campione, dal2007 responsabile della campagna Forestedi Greenpeace. «Ma non lo facciamo perinteressi economici. Siamo suoi soci, co-me altre associazioni ambientaliste eprendiamo parte ai suoi tavoli di consul-tazione. Greenpeace non ha, però, maiavuto ruoli direttivi in Fsc». A onor del ve-ro nel 2001 l’allora responsabile foreste diGreenpeace, Sergio Baffoni, era membrodel comitato esecutivo all’atto della costi-tuzione di Fsc Italia ed è stato per vari an-ni vicepresidente dell’organismo (la suafirma è in calce allo statuto).

La discussione tuttavia rischia di farperdere di vista la questione più rilevante:“spingere” un marchio di certificazionepiuttosto che un altro è nell’interesse del-l’ambiente? E aiuta davvero il mercato ascegliere politiche virtuose?

Fra i due litiganti...all’ambiente chi pensa?«Ben vengano le discussioni tra soggetti giàattivi nel mondo della certificazione, se ciòpuò aiutare ad avere standard più rigorosi»,osserva Antonio Nicoletti, responsabileAree protette di Legambiente. «Ma il verotema su cui dibattere è come fare per au-mentare il numero di realtà che scelgono lavia della sostenibilità». Ad oggi, solo il 10%delle foreste mondiali è certificato (2/3 se-guendo lo schema Pefc e 1/3 quello Fsc).

In effetti sono gli stessi ambientalisti aspiegare che non necessariamente una car-ta prodotta da fibre Fsc è più sostenibile diuna con materie prime Pefc e che ridurre ildiscorso a una lotta tra i due schemi sareb-be sbagliato. «Conosco Greenpeace e sonocerto che non agisca per fini economici– commenta Massimiliano Rocco del WwfItalia – ma i criteri usati per stilare quelleclassifiche sono opinabili. Anch’io ho ungiudizio molto positivo dello schema Fsc,ma non mi sento di criticare a priori il Pefc,che, soprattutto per il legnamee le fibre prodotte nei Paesi oc-cidentali, dove gli standard so-ciali sono tutelati, offre ade-guate garanzie». D’altro canto,

anche Chiara Campione di Greenpeaceammette passi avanti dello schema con-corrente: «Pefc negli anni ha fatto senzadubbio un buon lavoro per migliorare ipropri standard ambientali. Ma deve farealtrettanto per tutelare i diritti sociali e ri-tirare i certificati ai criminali forestali co-me la multinazionale App (vedi )».

Aziende virtuose a disagioChi proprio non accetta il modo di “darei voti” da parte di Greenpeace sono leaziende che hanno scelto la via della cer-tificazione utilizzando lo schema “sgradi-to” all’associazione ambientalista. Alcu-ne, chiedendo l’anonimato, rivelano diaver abbandonato lo schema Pefc in favo-re dell’Fsc per essere “messi tra i bravi” eper vendere di più grazie alla pubblicità diGreenpeace. Altri fanno capire che nellascelta dello schema di certificazione ci so-no molti fattori in gioco: «Per alcuni pro-dotti utilizziamo fibre di cellulosa prove-nienti da Svezia e Finlandia, dove lamateria prima certificata Fsc praticamen-

BOX

te non esiste», spiega Riccardo Balducci,coordinatore ambientale del secondo pro-duttore europeo di carta igienica, la Sofi-del, azienda certificata da entrambi gli or-ganismi e proprietaria del marchioRegina. «Che cosa dovremmo fare? Cam-biare i nostri fornitori perché in Nord Eu-ropa sono certificati Pefc e importare la fi-bra dal lontano Sud America dove èprevalente lo schema Fsc? Queste campa-gne danno un’immagine sbagliata delleaziende. E sviano i pochi consumatori at-tenti, che sentono gli ambientalisti direche uno schema di certificazione è megliodell’altro, mentre le istituzioni pubblicheli ritengono ugualmente credibili».

Tutti gli Stati europei e gli organismi so-vranazionali giudicano infatti entrambe lecertificazioni in grado di assicurare la cor-retta gestione del patrimonio boschivo. IlParlamento europeo, già nel 2006, avevaapprovato una risoluzione che dichiaravaPefc ed Fsc “egualmente adatti a tale sco-po” e ne caldeggiava il mutuo riconosci-mento. Non a caso, nei bandi di gara pub-blici per la fornitura di prodotti cartari, nonsi danno punteggi diversi a seconda del ti-po di certificazione scelta.

«Per le istituzioni possono pure essereequivalenti. Noi la pensiamo diversamen-te e offriamo il nostro punto di vista e le no-stre classifiche», commenta Chiara Cam-pione. «D’altra parte, se ci appiattissimosulle posizioni dei governi, che motivoavrebbe Greenpeace di esistere?». Ai con-sumatori (responsabili) l’ultima parola. .

Nelle sue classifiche delle aziende cartarie,Greenpeace premia solo chi è certificato Fsc. I “rivali” del Pefc accusano: «È puro marketing. Le due certificazioni si equivalgono». E intanto il 90% delle foreste non è ancora certificato.

di Emanuele Isonio

C’

La strana battagliatra i paladini dei boschi

Chiedendo l’anonimato, alcuneaziende rivelano di esserepassate allo schema Fsc per essere “messe tra i bravi”

SITI INTERNET

www.consumerprosperity.comwww.pulpwars.comwww.instituteforliberty.orgwww.ff.orgwww.opensecrets.orgwww.exxonsecrets.org

«NESSUNO CERTIFICHI I CRIMINALI FORESTALI»

C’È UN CASO CONCRETO in cui lo scontro tra Greenpeace e Pefc diventa frontale: i certificati concessi ad alcuni prodotti della multinazionale App (Asia Pulp and Paper),considerata da tutte le associazioni ambientaliste una delle peggiori minacce alle forestetorbiere indonesiane. «Fsc si è dissociata da App già nel 2007. Quando Pefc farà lo stesso?» domanda Chiara Campione di Greenpeace. Replica Antonio Brunori, del PefcItalia: «È bene sapere che le piantagioni di App contestate dagli ambientalisti eranocertificate secondo le regole Fsc e, solo dopo le proteste di Greenpeace e di altre Ong, il certificato fu revocato. Nel caso del Pefc, invece, sono stati concessi certificati per prodottiche contengono esclusivamente fibre provenienti da piantagioni certificate sostenibili in Cile e Canada, quindi senza alcun collegamento con le foreste indonesiane incriminate,nelle quali il Pefc non esiste. Se le piantagioni americane sono gestite secondo i criteriprevisti dal nostro schema, perché dovremmo far ritirare il certificato?».

Ma Greenpeace teme che quei certificati siano usati da App come green washing, per ripulire la propria immagine. «Se le certificazioni devono servire a garantire la sostenibilità di un’azienda agli occhi dei consumatori, non si possono certificare i prodotti dei criminali forestali. In nessun caso».

LINK UTILI

www.pefc.itwww.fsc-italia.itwww.deforestazionezero.it

nito di una casella postale in Virginia e 25mila dollari di ricavi nel 2008 a un ufficio nelcentro di Washington e un milione di dolla-ri da spendere contro la riforma della sanitànel 2009, lo stesso potrebbe presto accadereper l’Alleanza dei Consumatori. La guerra de-gli ultraconservatori contro le Ong ambien-taliste e i sindacati è solo all’inizio. .

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I nuovi panda al servizio di Pechino

Occidente a rischio default| bancor |

dal cuore della finanza londinese Luca Martino

F INO ALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO, ultimo baluardo geopolitico che tutelava l’evoluzione del capitalismo dairischi di un’espansione senza controllo, nel monitorare le dinamiche dei mercati di scambio delle merci e deicapitali, la politica economica occidentale si serviva di assiomi fondamentali basilari: la legge della domandae dell’offerta, la teoria del monetarismo, il principio della struttura del capitale. A partire dall’ultima decadedel secolo scorso la tecnologia, la globalizzazione e il primato, ormai consolidato, della finanza sull’economiareale hanno reso molto più instabile il raccordo tra teoria e prassi nelle analisi economico-finanziarie: il trading automatizzato, la volatilità nella domanda di moneta, tipica dell’odierno mercato globale, lo sviluppoesponenziale dei mercati secondari hanno significativamente ridimensionato molte correlazioni sulle quali si era basata da sempre la logica dello sviluppo economico, almeno in Occidente. Gli effetti di questo mutamentoradicale, nel quale la teoria non riesce più né a spiegare né a condizionare la prassi, sono sotto gli occhi di tutti: i casinò banking di mezzo mondo hanno rischiato di chiudere, trascinando sull’orlo del baratrodecine di milioni di persone, che hanno poi lasciato cadere aggrappandosi alle cime di salvataggio lanciateloro dai rispettivi governi, che, uniti ieri nel salvare tutto e il contrario di tutto, sono divisi oggi sul comeaffrontare gli effetti, a volte disastrosi, dei loro piani di sostegno. L’assenza di un coordinamento globale negliinterventi di politica economica ha determinato nel mondo situazioni complesse e di difficile risoluzione.

L’Occidente appare oggi davvero a rischio default: lo dicono le condizioni sociali di gran parte della popolazione e i dati di bilancio degli Usa e di gran parte dell’Ue: se un’azienda, nel richiedere un credito bancario, presentasse indicatori di bilancio anche lontanamente comparabili a quelli di qualsiasi cancelleriaoccidentale, vedrebbe disattesa la propria richiesta e i creditori nondovrebbero procedere con istanze di liquidazione. Eppure anche oggi, che il ministro del Tesoro americano Geithner parla di rischio default, il ratingdegli Stati Uniti rimane il più alto, lo stesso di dieci anni fa quando il petrolio

costava meno di dieci dollari al barile, mezzo miliardo di indiani viveva con meno di un dollaro al giorno e i tedeschi pagavano quasi due marchi per un biglietto verde. Ma, al di là del giudizio di rating, la realtà è che gli Stati Uniti non falliranno, nonostante qualche fanatico del Tea Party la prospetti come l’unicasoluzione possibile per una vera ripresa, anche morale, del Paese. E questo per tre ragioni. Primo: su queldebito, contabilizzato centralmente dal Tesoro, ma spalmato a livello federale, ancora devono essere versatidai singoli Stati e da centinaia di aziende decine di anni di interessi passivi (quasi 81 lo scorso anno i miliardidi dollari entrati nelle casse della Fed). Secondo: gli Usa continuano a stampare una moneta usata da mezzoPianeta (Africa, Sudamerica e Medioriente) e venduta all’altra metà (India, ma, soprattutto, Cina). La terzaragione, la principale, sta nelle garanzie fornite da Pechino, che non intende (per ora) far fallire Washington,ma solo strapparle il primato di protagonista del nuovo ordine politico-economico globale. Nei cortili dellecancellerie occidentali, dove prima arrivavano da Pechino rarissimi panda giganti, oggi sbarcano tonnellatedi dollari gialli e, finché Pechino non avrà altri mezzi per consolidare il suo peso politico verso l’Occidente, le esternazioni di Geithner servono in realtà solo agli Stati Uniti per mantenere basso il dollaro nella assurdaguerra delle valute di questi anni e scaricare quasi esclusivamente sul vecchio continente tutto il peso del suosquilibrio commerciale, particolarmente gravoso, per l’appunto, nei confronti di Pechino.. [email protected]

Se una qualsiasi aziendachiedesse un prestitocon indicatori di bilanciosimili a una cancelleriaoccidentale le verrebbesubito rifiutato

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| internazionale |

iinternazionale| inbreve |

Haiti: un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita >58 Dopo Cancún: il conto salato del clima rovente >62Nel piccolo Benin la tratta degli schiavi esiste ancora >65

| inbreve |

IN AUSTRALIAUNA BANDALARGA DA PRIMATO

«Come le reti ferroviarie hannostimolato la trasformazioneeconomica del XIX secolo e le retielettriche quella del XX secolo, la banda larga ad alta velocitàtrasformerà le economie neiprossimi decenni». Sono le paroledel Primo ministro australiano Julia Gillard, a commento del pianonazionale australiano per dotare il 93% delle abitazioni e delleimprese della “massa continentale”della fibra ottica. Il restante 7%verrà coperto da tecnologie wirelesse satellitari. La rete richiederà un investimento stimato di 40miliardi di dollari e verrà realizzatada un’azienda statale, il Nationalbroadband network, in collaborazionecon il settore privato.

Prysmian ha acquisito unaprima commessa per la costruzionee gestione della nuova retenazionale a banda larga, per la fornitura di cavi in fibra ottica a elevata tecnologia. L’Ocse ha calcolato che i risparmi dovuti ad applicazioni in banda largapotrebbero consentire di ripagare la rete in fibra entro un decennio. Il Primo ministro ha anche aggiunto:«Le stime dell’incremento del Pildovuto alla banda larga per l’interaAustralia, variano dall’1,4% per i primi cinque anni al 6% entroun decennio».

MURO/2OBAMA ANNUNCIA L’ADDIOAL VERGOGNOSO PROGETTODELLA FRONTIERA MESSICANA

Gli Stati Uniti hanno annunciato un cambiamento di rotta nella sorveglianza della frontiera con il Messico:il progetto SBInet, lanciato nel 2005 da George W. Bush e gestito dalla Boeing, prevedeva di attrezzarei 3.200 chilometri del confine con telecamere, radar e sensori per la rilevazione di immigrati, contrabbandierie trafficanti di droga. Il Sistema SBInet si è rivelatotanto inefficace, quanto costoso: la spesa totaleavrebbe dovuto essere di 7 miliardi di dollari, ma solo per coprire 80 chilometri ne è stato speso 1.

Purtroppo la soluzione alternativa che è stataprospettata non si presenta nè economica, nè

ragionevole. Verranno infatti adottatidei droni, gli aerei radiocomandati privi di pilota. La spesa totale stimata è di 750 milioni di dollari.

Durante la presidenza di George W. Bush la situazione degli immigranti è costantemente peggiorata, a seguitodelle violentissime campagne condottecontro di loro. Il muro di dronicontribuirà probabilmente più a far

crescere il prezzo che gli immigranti devono pagare ai trafficanti di uomini per passare il confine, che a constrastare il traffico di droga. Ogni anno, secondole statistiche della Commissione per i diritti umani,almeno 20 mila immigranti vengono sequestrati dai cartelli criminali e obbligati a pagare dei riscatti,oltre alle quote per passare la frontiera.

Il Messico costruirà a sua volta un muro alla frontiera con il Guatemala.

GIACIMENTI DI GAS NELMEDITERRANEO ORIENTALE IN ACQUE LIBANESI,PALESTINESI E ISRAELIANE

In un’area già densa di tensioni come quella delMediterraneo orientale la scoperta di ingenti giacimentioff shore di gas di fronte alle coste libanesi, palestinesi e israeliane rischia di trasformarsi in una vera e propriabomba. In questa parte del Mediterraneo chiamataBacino di Levante, l’agenzia governativa statunitenseU.S. Geological Survey stima che vi siano riserve di gasper 3.500 miliardi di metri cubi e riserve di petrolio per 1,7 miliardi di barili. Secondo i rilievi eseguiti invecedalla Noble Energy, compagnia petrolifera texana, il principale giacimento di gas, il Leviathan, avrebbe una consistenza di almeno ottomila miliardi di metri

cubi. Sempre secondo la NobleEnergy in tutto il Bacino di Levante ci sarebbero 227 milamiliardi di metri cubi di gas. Unariserva che potrebbe rimetterein discussione anche il tracciatodei due gasdotti in costruzione:il Nabucco e il South Stream.

Sul problema del confine marino tra Libano e Israele è già cominciata una serie di schermaglie non molto diplomatiche. Ma tra i due litiganti chi rischia di restare del tutto fuori è la Palestina: secondo a carta redatta dalla U.S. Geological Survey risulta che la maggior parte dei giacimenti di gas si trova nelle acque costiere e nel territorio di Gaza. L’Autorità palestinese ne ha affidato lo sfruttamentoprincipalmente alla compagnia British Gas, che ha perforato due pozzi, Gaza Marine-1 e GazaMarine-2, mai entrati in funzione. Il governo israelianoha prima respinto tutte le proposte, presentatedall’Autorità palestinese e dalla British Gas, di esportare il gas in Israele ed Egitto. Nel corso del 2008, pochi mesi prima del lancio dell’operazionePiombo fuso su Gaza, ha aperto una trattativa direttacon la compagnia britannica, che detiene la maggiorparte dei diritti di sfruttamento, per arrivare a un accordo che escluda i palestinesi.

IL LAOSCOMUNISTAINAUGURA LA BORSA

A metà gennaio la Borsa dellaRepubblica popolare democraticadel Laos, il piccolo Stato comunistadel Sudest asiatico, ha iniziato le contrattazioni nella capitaleVientiane. Le prime matricole sono state una banca, la Banquepour le Commerce Exterieur, e unasocietà elettrica, la Edl Generation,che hanno concluso con successo il collocamento dei titoli. Il Laos ha circa sette milioni di abitanti: il 40% della popolazione ha un’etàinferiore ai 15 anni e guadagnapoco più di due dollari al giorno. Il Laos è retto da un governocomunista dal 1975 e ha iniziato le riforme del mercato nel 1980. Le reazioni internazionali nei confronti della Borsa di Ventiane sono state positive.Il Laos è ricco di risorse naturali e Mark Mobius, economistastatunitense e presidente del Templeton Emerging MarketsGroup, in un’intervista a Bloombergha affermato che nei prossimi annila crescita del Laos supererà il 7%,attestandosi sui livelli di altri Paesiemergenti, come Cina e Vietnam. La Cina già da tempo sta investendonelle aree di confine del Laoscostruendo alberghi e casinò che attirano turisti dalla Cina e dalla Thailandia dove il giocod’azzardo è illegale.

MURO/1ANTI IMMIGRATITRA GRECIAE TURCHIA

Christos Papoutsis, ministro grecoalla Protezione dei cittadini, ha annunciato in un’intervista alla Athens News Agency (Ana) che la Grecia sta progettando la «costruzione di una rete divisoriaai confini con la Turchia per impedirel’ingresso di immigrati illegali». La struttura presa a modello è quella del cosiddetto “muro dellavergogna” realizzato in California,Arizona, Nuovo Messico e Texaslungo la frontiera con il Messico.Anche la barriera greco-turca saràdotata di sofisticati sensorielettronici e strumenti per la visionenotturna. Uomini armati di tuttopunto presidieranno 24 ore al giorno il muro di lamiere e filospinato con l’ausilio di veicoliterrestri ed elicotteri. Sul murolungo il confine messicanol’amministrazione Obamarecentemente ha cominciato a fare marcia indietro, dopo averneconstatato il costo esorbitante e l’inefficacia. Per chi riuscirà a superare la nuova trincea militaretra la “civile” Europa e l’ignotouniverso del Sud ci sarà la deportazione in uno dei tanti campi-lager che popolano i centri di frontiera dell’Unione. Il confine tra Grecia e Turchia vieneattraversato da immigrati provenientidall’Asia e dall’Africa, soprattutto in seguito agli accordi di rimpatriosottoscritti da Spagna e Italia con diversi Paesi africani.

LA BPRESPONSABILEDELLA MAREANERA

“Errori significativi e giudizisbagliati” interni all’industria del petrolio e al governo americanoportarono alla catastrofe ecologicadel Golfo del Messico. Questa la conclusione della Commissioned’inchiesta istituita dalla CasaBianca sulle cause dell’incidentedello scorso aprile. Nel suo rapportofinale la commissione di espertiafferma che furono sistematicamentecommessi errori dalla Bp e dagli altri protagonisti delle attività di prospezione petrolifera oltre che da quanti all’interno del governoamericano sovrintendevano a queste operazioni.

«Siamo arrivati alla conclusioneche questi errori causarono mancanzeimportanti a livello di gestione», ha affermato l’ex senatore Bob Grahamcopresidente della Commissione. Gli esperti chiedono una normativapiù severa sulle trivellazioni offshorenegli Usa e l’istituzione di un’Agenziaindipendente per la sicurezzadell’attività estrattiva per evitare che nel futuro si ripetano disastri analoghi. Un rapportoimmediatamente attaccato dalla lobby dei petrolieri americani,l’American Petroleum Institute, che ha fatto appello ai Repubblicaniaffinché si oppongano al passaggiodella nuova normativa, perchémaggiore sicurezza vorrebbe direminore produzione.

Da questo numero gli@ppuntamenti saranno sul sito www.valori.it Se volete segnalarcene qualcuno scrivete a: [email protected]

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VEDERLO DALL’ALTO Parc Bo-bi, uno dei campi informa-li più grandi di Port au

Prince, la capitale di Haiti, è una distesadi colore blu, quasi compatta: sono i ri-fugi dei terremotati, ammassati l’uno al-l’altro, costruiti con teli di plastica sor-retti da pali. In alcuni casi l’apertura èuna porta in lamiera, che può esserechiusa con un lucchetto e sucui a volte viene segnato unnumero con il gesso, nel ten-tativo di dare un ordine al-l’accampamento. Ai rifugi co-

sì costruiti si mescola anche qualche ten-da, dono delle Organizzazioni non go-vernative (Ong). Hanno un aspetto deci-samente più solido, ma durante lastagione delle piogge si allagano esatta-mente come tutti gli altri ripari. Parc Bo-bi non è una tendopoli organizzata, maqui vive qualche migliaio di persone: èun campo spontaneo cresciuto veloce-mente subito dopo il terremoto. Le fami-glie hanno abbandonato in fretta a furia

le case pericolanti e dalla vicina bidonvil-le di Citè Soleil si sono accampate qui.

Tutto da costruire, ma manca il lavoroSotto il sole dei Caraibi i rifugi del campodiventano dei forni: larghi in media 4 me-tri per 5, dentro devono starci intere fa-miglie di 6, 7, anche 8 persone. Ma du-rante le ore del giorno fa così caldo chesotto i teli non si riesce nemmeno a respi-rare. Per questo gli haitiani, che da gen-naio sono accampati qui, vivono di fattoall’aperto: cucinano e mangiano cercandoun po’ di ombra sedendosi tra i tiranti deirifugi, si lavano vicino alle latrine costrui-

te da Medici senza Frontiere. Periodica-mente le organizzazioni umanitarie por-tano cibo e riforniscono di acqua le gran-di cisterne da cui tutti attingono. Ibambini riescono ad andare a scuola, magli adulti non lavorano. I terremotati fan-no parte di quel 70% di haitiani che nonha un impiego. Dal 12 gennaio 2010, difatto dipendono dagli aiuti umanitari. Apiù di un anno dal terremoto, la coopera-zione è ancora massicciamente impegna-ta nella prima emergenza: fornire acqua,cibo e assistenza sanitaria di base.

Il provvisorio permanenteMa è tutta la capitale ad essere ancora un

| internazionale | dopo terremoto |

A più di un anno dal sisma Haiti dipende dagli aiuti internazionali per la prima emergenza: acqua, cibo e assistenza sanitaria di base.

A

L’8 DICEMBRE SCORSO Haiti si è svegliata bloccata: i manifestanti avevano erettobarricate e chiuso tutte le principali vie di accesso alle città, con pietre, mattoni,tronchi, pneumatici incendiati. Manifestazioni di piazza nei maggiori centri e tutti gli aeroporti del Paese chiusi per giorni. Per una settimana il Paese è stato bloccatodalla reazione istintiva e aggressiva alla pubblicazione, la sera del 7 dicembre, dei risultati parziali delle elezioni del 28 novembre. Contraddicendo anche le previsionidegli osservatori internazionali, i due candidati a passare al secondo turno sonorisultati essere Mirlande Manigat, con il 31,37% dei voti, e Jude Celestin, l’uomo del presidente in carica, con il 22,48%. Se era scontata la vittoria della Manigat,candidata della borghesia, che incarna il cambiamento possibile, rimasta in testaai sondaggi per tutta la campagna elettorale, quella di Celestin, simbolo dellacontinuità con il potere, sostenuto dal presidente in carica René Préval, accusato

di brogli e di compravendita di voti, era esattamenteciò che la gente non voleva. Grande escluso dallacorsa verso il secondo turno, solo per un pugno di voti, Michel Martelly, cantante che ha tentato la politica, forte del sostegno di tantissimi giovaniche in lui vedono il nuovo. Per protestare di certoi motivi non mancano: la disorganizzazione è stato il leitmotiv di queste elezioni. In parte per insormontabiliproblemi logistici, in parte per evidente incapacità: le campagne di informazione sulle modalità di voto

e di registrazione sono state davvero insufficienti. E migliaia di haitiani non hannoquindi potuto votare. Non ci sono dati ufficiali, ma dal conteggio dei voti risulta che solo uno dei 4 milioni di aventi diritto (circa la metà della popolazione) ha votato. Le accuse di brogli e di frodi elettorali sono state documentate, ma la richiesta di ripetere il voto è caduta nel vuoto: l’Onu ha investito troppi soldi in queste elezioni,annullarle sarebbe un’ammissione di incapacità e porterebbe solo nuovo caos.

Dopo le elezioni di novembre e le proteste, una commissione indipendente dell’Oas (Organizzazione Stati Americani) è incaricata di indagare sulle accuse di brogli. Il rapporto, consegnato a Préval in gennaio, propone l’esclusione di Celestindal ballottaggio. Difficilmente il calendario che prevede l’insediamento del nuovopresidente a febbraio verrà rispettato. E l’arrivo di Jean-Claude Duvalier, sanguinariodittatore di Haiti dal 1971 al 1986, fa pensare al peggio.Sara Milanese

L’emergenza non è finita

Haiti

Reportage da Haiti di Sara Milanese

IL CAMBIAMENTO ATTESO NON ARRIVA CON IL VOTO

Solo un quartodegli aventi dirittoha votato: trafrodi, broglie difficoltà reali,le elezioni di novembre sonostate una farsa

| internazionale |

Port au Prince è ancora un unico, grande accampamento.I bambini vanno a scuola, ma gli adulti non hanno un impiego

Parc Bobi, Port au Prince: dopo il sisma gli haitiani hanno costruitoripari di fortuna. In questi campi, che in base ai piani di coordinamentodegli aiuti umanitari, avrebbero dovutoessere smantellati da mesi, tutte le attività si svolgono all’aperto a causa del caldo. Le foto del serviziosono di Sara Milanese.

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unico, grande accampamento: ogni spaziodisponibile, piazze, parchi, piazzole, areeverdi tra un edificio e l’altro, è occupato daripari di fortuna. Sono insediamenti infor-mali spuntati come funghi subito dopo ilsisma. In base ai piani di coordinamentodegli aiuti umanitari, avrebbero dovuto es-sere smantellati da mesi: i terremotati do-vevano essere trasferiti nelle tendopoli or-ganizzate nelle aree fuori dalla città. Manessuno ha voluto spostarsi: nei campihanno trovato alcune sicurezze, a partiredagli aiuti. Molti avrebbero potuto torna-re da tempo a quel che resta delle loro ca-

se, ma anche chi se ne va, spesso si fa tro-vare al campo nei giorni della distribuzio-ne di cibo. Alcuni nuclei famigliari sonoregistrati in 2, anche 3 campi; i loro rifugisono ormai vuoti, o crollati, ma loro con-tinuano a figurare nei censimenti. Ancheper questo, fare una stima del numero ef-fettivo degli abitanti dei campi come ParcBobi diventa davvero difficile.

Colera d’importazioneSmantellare i campi è da mesi una dellepriorità nell’agenda della cooperazione.La conferma di quanto sia importante agi-

re al più presto è arrivata con lo scoppiodel colera, a fine ottobre. Le drammatichecondizioni igieniche dei campi hannopermesso al contagio di diffondersi conuna velocità incredibile. In un mese il co-lera ha raggiunto tutte le regioni e le cittàdi Haiti, aggredendo facilmente un popo-lo che soffre di denutrizione, e non ha di-fese immunitarie contro il virus. In base aidati ufficiali, in poco più di 3 mesi si con-tano almeno 3000 vittime. Dati sottosti-mati: il numero reale, afferma l’Organiz-zazione mondiale della Sanità, potrebbeessere 4 volte superiore. .

IAO! TUTTO BENE?” Benoit, 12anni, risponde così al miobonsoir. Ha imparato l’ita-

liano a Milano: è uno dei bambini chehanno beneficiato del progetto della Cro-ce Rossa per Haiti. Dallo scorso febbraio,fino ad agosto è stato ospite in Italia, conla sua famiglia: papà, mamma, 3 fratelli.Con loro altri 130 haitiani, la maggiorparte minori, rimasti senza casa o biso-gnosi di cure mediche. E ora Benoit vivecon la sua famiglia all’interno della Mis-sione scalabriniana di Croix de Bouquet,a pochi chilometri dalla capitale, va ascuola e mangia tre volte al giorno, esat-tamente come un bambino italiano. Adun anno dal sisma i suoi genitori conti-nuano a beneficiare degli aiuti della Cro-ce Rossa, che paga alla Missione tutte lespese di soggiorno in attesa che venga co-struita la loro nuova casa. Non lavorano,non cucinano, non si preoccupano delfuturo. È il “rientro protetto” che la Cro-ce rossa ha deciso per loro.

Una sorte completamentediversa da quella di migliaia dialtri haitiani, che si trovanoappena fuori dai cancelli della

Missione. E che, a differenza della famigliadi Benoit, non sono stati baciati dalla for-tuna. Haiti è, infatti, il Paese più poverodell’emisfero occidentale, con l’80% dellapopolazione sotto la soglia della povertà.Dopo 200 anni di dittature e instabilità po-litica e le recenti catastrofi naturali, comele alluvioni nel 2004, o il terremoto del2010, la dipendenza degli aiuti rischia di

essere il nuovo male di Haiti. Paese in cuile contraddizioni tipiche del mondo dellacooperazione, legate soprattutto ai costidel mantenere in moto la macchina degliaiuti, si sommano alle difficoltà dettatedalla particolare situazione.

I costi della cooperazione Dichiarato in emergenza cronica nel2004, e da allora destinatario di attenzio-ni particolari da parte di tutte le agenziedell’Onu, Haiti da dopo il terremoto havisto aumentare le Ong presenti in ma-niera esponenziale, attirate dai fondi

messi a disposizione per gli aiuti. Solo perl’Italia ne sono arrivate 9. Ma per impa-rare a muoversi a Port au Prince c’è biso-gno di tempo. Prima di essere operativele nuove Ong hanno impiegato mesi pre-ziosi. Per essere efficaci, ancora di più.Per gli haitiani, però, in fondo, sono unamanna: rappresentano la maggiore pos-sibilità di impiego. I cooperanti hannobisogno di autisti, traduttori,guardiani, donne delle puli-zie, cuoche, qualche volta an-che di segretarie. Pagano benee regolarmente.

Manca la capacità di coordinamento I miliardi di dollari destinati agli aiuti uma-nitari sono stati spesi subito dopo il terre-moto. Ma quelli destinati alla ricostruzionesono ancora nelle casse dei Paesi donatori.Questo perchè da parte del governo e deglienti haitiani manca la capacità (o la vo-lontà) di visionare, scegliere, preparare eapprovare i progetti che devono essere fi-nanziati. Ma più che di ricostruzione, perHaiti, ed in particolare per Port au Prince,si dovrebbe parlare di costruzione: «Rimet-tere in funzione strutture danneggiate è unconto, ma qui dobbiamo costruire qualco-sa che non c’è mai stato prima» raccontaFiammetta Cappellini, responsabile perHaiti dell’Ong italiana Avsi, presente nelPaese da più di 10 anni. «Le strutture sani-tarie del post terremoto sono precarie, cer-to. Ma nella capitale, come nelle altrecittà, non esiste né una rete fognaria, nèun acquedotto: stiamo ancora distribuen-

do acqua con le autocisterne. Lo sgombe-ro delle macerie è lento, perché non c’èspazio nelle strade della città per far pas-sare i mezzi adeguati».

Gli appalti a imprese UsaE in questa costruzione, che fatica a parti-re, il grande escluso è l’impresa haitiana.Nonostante la produzione di mattoni siauna delle poche attività fiorenti nel Paese,la ricostruzione rischia di essere la grandeoccasione mancata, sia per l’impiego cheper l’industria.

Una recente indagine dell’agenzia distampa “Prensa Latina” afferma che perogni 100 dollari di aiuti stranieri destinatiad Haiti, le imprese locali ne ricevono so-lo 1,60. Dei 1.583 contratti che gli Usahanno stipulato per Haiti, per un totale di267 milioni di dollari, soltanto 20 sonostati affidati ad imprese haitiane. Sembraproprio che l’Usaid, Agenzia Usa per l’as-sistenza internazionale, non abbia bandi-to gare d’appalto aperte, ufficialmente perevitare la possibile appropriazione indebi-ta di fondi da parte delle imprese haitiane.E gli appalti sono andati quasi tutti ad im-prese statunitensi. .

L’economia di Haiti è azzerata e dipende dagli aiuti:le Ong rappresentano una delle principali fonti di lavoro nell’isola.

di Sara Milanese

SCHEDA “C

Haiti è il Paese più poverodell’emisfero occidentale, conl’80% della popolazione sottola soglia della povertà

I miliardi destinati allaricostruzione sono ancora nellecasse dei Paesi donatori,aspettando il via ai progetti

STORIA LA PRIMA REPUBBLICA NERA

HAITI OTTIENE L’INDIPENDENZA DALLA FRANCIA sotto la guida di Jean Jacques Dessalines nel 1804; è la primarepubblica nera, e subito supporta l’abolizionismo,appoggiando anche la rivoluzione di Simon Bolivar. La reazione delle potenze coloniali fu di formare una sorta di cordone sanitario intorno all’isola per evitare il propagarsidella rivolta degli schiavi. Haiti da allora conosce soloinstabilità, colpi di Stato e dittature. Quella di FrançoisDuvalier, detto “Papa Doc”, dal 1957 al 1971 è tra le piùcruente, assieme a quella del figlio, Jean Claude Duvalier,“Baby Doc”, che succede al padre, ma è costretto nel 1986alla fuga da una rivolta popolare. Alle elezioni legislative del 1988 partecipa però solo il 10% della popolazione, il presidente eletto viene deposto e si susseguono una seriedi giunte militari fino all’insediamento di Jean Bertrand Aristide,rieletto nel 1990. L’anno dopo un golpe militare lo costringeall’esilio, ma nel 1994 rientra ad Haiti, con il sostegno degliStati Uniti. Nel 1996, le urne premiano Réné Préval, uomo di Aristide: le elezioni del 2000 riportano alla presidenzaAristide. Il risultato elettorale viene duramente contestatodall’opposizione e inizia un periodo di scontri, con una derivasempre più autoritaria. Nel 2004 Aristide fugge da Haiti, e inizia la Minustah, la missione di stabilizzazione dell’Onu.Due anni dopo, nel 2006, la seconda presidenza di Préval.

Nome: Repubblica di HaitiIndipendenza:1° gennaio 1804, dalla FranciaPopolazione: 9.648.924Età media: 21,1 anniMortalità infantile: 77,26 morti/1.000 natiAspettativa di vita: 29,93 anniPopolazione sotto la soglia dellapovertà: 80%Tasso di alfabetizzazione tra i piùgrandi di 15 anni: 52,9%Pil pro capite: 1.200$ (stime 2009)

In attesa chevengano costruitele nuove case, la Croce Rossaeroga gli aiuti alleMissioni religiose,dove i bambini vanno a scuola e le famigliesono assistite per tutto.

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L’economia degli aiuti

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I INCONTRERANNO A TUNISI, ametà marzo, per mettere incampo un programma di

investimenti per combattere il cambia-mento climatico. Oltre 150 invitati in rap-presentanza di banche multilaterali per losviluppo, governi e istituzioni internazio-nali stanno rispondendo all’appello del-l’African Development Bank per un in-contro, quanto prima, del Forum 2011 sulClimate Investment Fund.

Sì, perché se non l’aveste capito, il cam-biamento climatico non è solo questionedi iceberg che si sciolgono, ma anche di as-segni che si staccano. E non per niente aCancún, all’ultima Conferenza delle Partisul cambiamento climatico, tra i passiavanti sostanziali c’è proprio la governancedel Fondo finanziario. Attenzione, però,non si è fatta chiarezza sulle fonti di fi-nanziamento o sul reale stanziamento (enon “mobilizzazione”) di risorse adeguate,ma su chi avrà voce in capitolo nella ge-stione dei fondi. E la Banca Mondiale hatrovato il suo posto al sole.

Le assicurazioni e i rischidel riscaldamento globaleGià poche settimane prima della Confe-renza messicana più di 150fondi d’investimento, pubbli-ci e privati, avevano spinto peruna risoluzione adeguata suifondi da stanziare. Il rischio di

Molti i punti lasciati indeterminati alla Conferenza sul clima dello scorsodicembre: il Trattato di Kyoto scade nel 2012. Per ora è stato prorogato: il resto è stato rinviato a Durban, alla fine del 2011.

Sdi Alberto Zoratti volatilità delle Borse è troppo alto, consi-

derata la sempre maggiore imprevedibi-lità di un sistema frattale come l’atmosfe-ra. Il conto era stato messo sul tavolo: 600miliardi di dollari entro il 2010, prove-nienza la più varia. E non si può dire chesia stato fatto senza l’oste, visto che corri-sponde alla richiesta che i Paesi in via disviluppo fecero a Copenhagen per com-battere il cambiamento climatico.

Ma anche a Cancún, come del resto aCopenhagen, si sono fatte orecchie damercante ipotizzando una mobilizzazio-ne nel breve termine di 30 miliardi di dol-lari entro il 2012 che possano arrivare a100 entro il 2020. Sarà per questo che Mu-nich Re, una delle maggiori compagnieassicurative al mondo, ha messo in guar-dia dai rischi del riscaldamento globale inun comunicato stampa diffuso nei primigiorni del 2011, mostrando come il 2010sia stato l’anno principe delle devastazio-ni naturali: oltre 950 eventi, nove decimidei quali legati a fenomeni atmosferici co-me alluvioni, tornado e ondate di calore.

Solo per l’alluvione in Pakistan si so-no registrate perdite per 9,5 miliardi didollari, in Europa a causa della tempestainvernale Xynthia, che ha colpito so-prattutto Spagna e Francia, le perdite so-no state di più di 6 miliardi di dollari,

mentre per le temperature eccezional-mente alte in Russia si sono registrate ol-tre 56 mila morti. Una tragedia umanache si somma a un bilancio economico arischio di caduta libera.

Produzione agricola a piccoE se cadono i bilanci, che spesso (nonsempre) sono collegati a produzioni oscambio di beni, figuriamoci le produzio-ni sottostanti. Il Tea Board of India, orga-nismo governativo collegato al ministerodel Commercio indiano, ha puntato lalente sulla regione dell’Assam, dove oltre320 mila ettari di terreno producono lamaggioranza del the indiano. L’ingrandi-

mento che ne fa è quanto meno sconcer-tante: dalle 512 mila tonnellate prodottenel 2007, si è passati a 487 mila nel 2008fino alle 445 mila del 2009. E tutto questononostante sia cresciuta l’area coltivata.La colpa? Metodi di coltivazione inade-guati ed eccesso di fertilizzanti, certamen-te, ma dietro a tutto ciò fa capolino il cam-biamento climatico, con il suo portato didiminuzione delle piogge (meno 20% ne-gli ultimi 60 anni) e aumento delle tem-perature minime (che hanno toccato que-st’anno i 19.5°C).

Quanto basta per dare ulteriori armi achi sostiene che l’impatto piùpesante di un mondo che cam-bia lo subiranno l’agricoltura ele comunità che di questa vivo-no (o sopravvivono). Una ri-

flessione interessante non solo per i deci-sion-maker o per le grandi industrie, ma an-che per chi sviluppa filiere equosolidalipensando possano bastare a se stesse.

Le variazioni nella produzione del theindiano sono lo specchio di quello che suc-cederà nei prossimi anni a livello di prezzimondiali delle commodities. Ha iniziato ilcotone, grazie alle alluvioni pakistane, chevede un prezzo in costante aumento. Se-guiranno, secondo gli studi appena pubbli-cati dall’Ifpri (International Food Policy Re-search Institute) materie prima più delicatecome il grano, il mais, la canna da zucche-

L’impatto più pesante deicambiamenti climatici lo subirannol’agricoltura e le comunità che di questa vivono o sopravvivono

Dopo CancúnIl conto salato del clima rovente

. FINANZA PER IL CLIMASi ribadisce, come nell’accordo

di Copenhagen, che i fondi saranno 30 miliardi entro il 2012 e 100 entro il 2020 (e non almeno 600 comerichiesto da più parti). Non ci sonospecifiche sulla provenienza dei fondi, in particolare al punto 99 chiarisce che “i fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo potrebbero provenire da un’ampia varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative”. Il rischio è che si dirottino alcuni fondi già stanziati (leggi Aiuto pubblico allo sviluppo) ribattezzandoli altrimenti. O che vengano mobilizzati come prestiti.Al punto 107 invita la Banca Mondialecome interim trustee del Green climate fund.

. PICCO DI EMISSIONI,CONCENTRAZIONE DI CO2

E TEMPERATURA MASSIMASparisce ogni riferimento al 2015,sostituito con “as soon as possible”, cosìcome il riferimento a 350 ppm di CO2e si conferma l’aumento massimo di temperatura dall’era preindustrialeentro i 2°C. Senza però sottolineare che picco, concentrazione atmosferica e temperatura sono intimamente collegati.

. DIRITTI DELLE COMUNITÀINDIGENE

Nella parte sul negoziato Redd(Reducing Emission from Deforestationand Forest Degradation) si richiede(requests), e quindi non si decide, che nelle strategie nazionali si assicurila partecipazione dei popoli indigeni e delle comunità locali.

. SECOND COMMITTMENT PERIOD

Kyoto scade nel 2012. Nulla è statodeciso per gli impegni nel periodosuccessivo. Tutto rimandato allaConferenza di Durban alla fine del 2011.

. TAGLIO DELLE EMISSIONISi riconosce l’autorevolezza

delle indicazioni dell’Ipcc di un taglio del 25-40% delle emissioni entro il 2020. Ma si concorda che c’è ancoradel lavoro da fare per rendere questitagli degli impegni quantitativi effettivi.

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LINEA MORBIDA NEL DOCUMENTO FINALE

La diplomatica messicana Patricia Espinosa,presidente della Conferenza Onu di Cancún sui cambiamenti climatici, durante i lavori.

Sparisce nel documento di Cancúnogni riferimento perentorio al 2015, sostituito da un blando“non appena possibile”

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Cotonou, sede del governo del Benin. Il Paese, che si affaccia sul Golfo di Guinea,è stato uno dei punti di partenza delle navinegriere dirette verso l’America.

RE FRONTIERE SFORACCHIATE, unaaccanto all’altra, a pochi chilo-metri di distanza, e a oriente il

confine con il gigante Nigeria, patria di tut-ti i traffici clandestini, di una corruzioneinestirpabile e generalizzata e di boss e ma-lavitosi potenti e tentacolari. Ecco la scenanella quale il piccolo Benin, l’antico e san-guinario regno del Dahomey, è costretto a

svolgere la sua parte nella scena mondialee africana. La collocazione geografica èquella del Golfo di Guinea, l’ascella dell’A-frica, come viene definita questa regione acausa del caldo opprimente, dell’umiditàinsopportabile e del puzzo prodotto dallamiseria della popolazione e dalla mancan-za endemica di servizi igienici e di fogne.

È proprio questo contesto che fa delpiccolo Benin un’anomalia: innanzituttoè quasi assente il settore agricolo. I circasette milioni di abitanti vivono soprat-tutto di commercio, lecito e non. Lo sicomprende subito se si percorrono le traf-ficate strade della capitale, Cotonou, uncaos totale dominato da frotte di motori-ni che, come sciami di mosche, a ogni se-maforo zigzagano impazziti tra auto dagliscappamenti pestiferi di fumo nero e ma-leodorante. Sulle bancarelle in ogni stra-da campeggiano grandi ampolle di vetrocon all’interno un liquido dal colore ver-de intenso che sembra olio extraverginedi oliva e, naturalmente, non lo è. Se si

Tdi Raffaele Masto

IL PESO DEL PASSATO CHE TORNA

LA STORIA HA IL SUO PESO e il Benin dei nostri giorni ne è un esempio lampante. Oggiquesto piccolo Paese - grande un terzo dell’Italia, con circa sette milioni di abitanti - sembraavere dimenticato il suo passato. Ha un presidente, Yayi Boni, riconosciuto dalla popolazione,ha un sistema democratico funzionante per gli standard africani ed elezioni che rispettano le scadenze. Ma la storia e l’attualità restano collegate: il Benin oggi viene indicato come uno degli snodi principali della tratta, il moderno schiavismo, così come nel passato è statouna delle arterie attraverso le quali l'Africa è stata dissanguata dai colonialisti. Oltre al portodi Ouidah, a pochi chilometri da Cotonou, infatti, gli altri luoghi africani dai quali milioni di nerifurono trasportati oltre Oceano sono: l’Isola di Gorée, in Senegal, davanti alla città di Dakar, il porto di Pointe Noire, nel Congo Brazzaville e Cape Cost, nel vicino Ghana. Se oggi è possibile stabilire che gran parte degli afro-americani ha origine dalle popolazioni del Golfodi Guinea, si capisce quale traffico passò dagli attuali Ghana e Benin.

Per l’Onu sono almeno

40 mila l’anno i bambini oggetto di tratta che passano per il Paese.Vengono venduti per i lavori agricoli,per la prostituzione o le adozioni.

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ro. E alla preoccupazione dei fondi di inve-stimento si somma quella delle comunitàpiù povere del Pianeta.

L’incertezza di CancúnDi tutto questo, nel percorso che porteràda Cancún alla prossima Conferenza diDurban nel 2011, si rischia di non parla-

re, perché le comunità indigene e quellecontadine sono troppo in basso nella sca-la delle decisioni politiche per poter sede-re ad un tavolo negoziale, mentre le gene-razioni future non ci sono ancora, e chi èassente ha sempre torto.

Intanto, per poter fronteggiare gli sce-nari che IFPRI e IPCC (il panel di scienzia-

ti Onu) ci delineano sarebbe stato utile de-finire a Cancún dei punti fermi. Come ilpicco massimo di emissioni che, come dadocumenti iniziali, si sarebbe dovuto rag-giungere nel 2015, per poi cominciare ascendere. Hanno tolto anche quel riferi-mento. E il 2015 è stato sostituito con“non appena possibile”. .

NA CINICA LEGGE dell’infor-mazione, che i mass mediaconoscono molto bene, di-

ce che più i disastri succedono lontani dacasa nostra, meno ce ne sentiamo tocca-ti. È una prospettiva miope questa, siache si tratti di una guerra ai confini delmondo, sia che si parli di disastri am-bientali, perché la Terra è un sistemachiuso e inevitabilmente quello che suc-cede in qualche suo sperduto angolo pri-ma o poi ci raggiungerà.

Il greggio che per 106 giorni l’annoscorso è fuoriuscito nel Golfo del Messico,come conseguenza dell’incidente allapiattaforma petrolifera Deepwater Hori-zon, utilizzata dalla Bp, non causerà dan-ni solo alle popolazioni che si affaccianosu quella parte dell’Oceano Atlantico, maall’intero ecosistema: i milioni di barili dipetrolio e i solventi utilizzati per contra-stare la marea nera stanno provocandodanni in quella zona del mondo e nel si-stema degli oceani.

È giusto quindi che di fronte a disastriambientali sempre più vasti, causati dauna famelica attività industriale privata, iPaesi siano lasciati da soli a cercare le so-luzioni per sanzionare i colpevoli o per in-tervenire sui danni? Dalle isti-tuzioni sovrannazionali larisposta che arriva è di istituireun Tribunale internazionalepenale dei crimini ambientali,

che possa riconoscere un danno collettivoal genere umano e al Pianeta, e possa an-che supplire alle asimmetrie che spesso cisono tra le dimensioni dei Pil di alcuniPaesi e i fatturati delle società multinazio-nali che vi operano.

L’Europa promotriceL’idea della Corte internazionale è stata ri-lanciata durante la quinta edizione delVinc, il Venice International News Confe-rence (il meeting delle televisioni all-newsdi tutto il mondo). Per la prima volta è sta-ta sostenuta da un esponente dell’Unioneeuropea, il tedesco Jo Leinen, presidentedella Commissione Ambiente, sanità pub-

blica e sicurezza alimentaredel Parlamento europeo(Envi), che nella stessa oc-casione ha candidato Ve-nezia a diventare il princi-pale polo di informazionesui temi del clima e del-l’ambiente.

Anche per Gunter Pau-li, l’economista belga fon-datore di Zeri (Zero Emis-sions Research Initiative,rete internazionale di tec-nologi ed economisti cheintendono sviluppare nuo-

vi processi produttivi), potrebbe esserel’Europa il propulsore di questa iniziativainternazionale: «Se gli Stati Uniti accon-sentissero, il tema potrebbe essere messoall’ordine del giorno a Durban, nella pros-sima Conferenza dell’Onu sui cambia-menti climatici che si terrà a fine anno.Ma gli Stati Uniti non lo faranno - conti-nua l’economista - per questo l’Europadovrebbe dare avvio alla nuova fase».

Una fase tutta da costruire che per Pau-li potrebbe anche passare dalla valutazio-ne economica delle risorse ambientali: «Èuna vera sfida, perché al momento il mer-cato funziona con la “penuria” – il valoredi un bene cresce in relazione alla sua scar-sità – ma questo è in contraddizione con iprincipi di conservazione». Anche se perstravolgere dalle fondamenta i principidel mercato, sicuramente non basta unTribunale internazionale. .

Sono in grado i singoli Paesi di risolvere danni ambientali sempre più vasti causati dall’attivitàindustriale? Gli Stati possono affrontare da soli cause contro multinazionali che spesso hanno fatturati più grandi dei loro Pil?

di Paola Baiocchi

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Un Tribunale per la Terra

Una Corte internazionale penaledei crimini ambientali è statasostenuta da Jo Leinen,esponente dell’Unione europea

Nel piccolo Beninla tratta degli schiaviesiste ancora

Attivisti in manifestazione durante la Conferenza sul clima in Messico, lo scorso dicembre.

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chiede si scopre che è benzina,venduta di contrabbando, ri-cavata dall’esportazione clan-destina di greggio dalla vicinaNigeria, che, come noto, è ric-ca di petrolio.

Affari sporchi: dal petrolio...Il business funziona così: nel vi-cino Delta del Niger i boss dellamalavita hanno al loro serviziofrotte di ragazzini che forano ecreano degli abboccamenti aglioleodotti di tutte le più grandiCompagnie del mondo che sol-cano quel territorio. Il greggiofatto uscire dagli oleodotti, poiviene raffinato rozzamente eimmesso sul mercato. Il lavorodei ragazzini è pericoloso, manon meno di quello dei lorocoetanei, che si incaricano deltrasporto e della vendita che,naturalmente, viene fatta so-prattutto nei Paesi vicini. Que-sti ultimi si mettono alla guidadi un motorino sul quale vienesaldata una cisterna di metalloche può contenere anche cen-to litri, una vera e propria bom-ba ambulante, un cubo viag-giante sul quale il ragazzino quasiscompare. Questi attraversa le frontiere, al-lunga mazzette ai doganieri e poi vende aldettaglio. La sera porta al boss il ricavato etrattiene per sè una percentuale minima.

...ai bambini in venditaQuello del greggio non è l’unico trafficosporco. Ce n’è uno odioso del quale il Be-nin ha una sorta di primato mondiale. Se-

condo le Nazioni Unite sono almeno qua-rantamila l’anno i bambini oggetto ditratta che passano per questo Paese per es-sere poi venduti come schiavi e impiegatinei Paesi vicini in lavori agricoli, oppureintrodotti nel mercato della prostituzioneo inseriti nel business delle adozioni, manon in Europa e Nord America dove que-sto settore è rigidamente controllato.

C’è anche un luogo, a Cotonou, dove,

si dice, si svolgono le trattative di questobusiness miliardario. È il mercato di Dan-tokpa, uno dei più grandi di tutta l’AfricaOccidentale, che si estende per quasi ven-ti ettari di terreno proprio nel cuore dellacittà ed è frequentato, ogni giorno, da cir-ca un milione di persone. A vederlo nonsi fa fatica a credere che questo sia il verocuore pulsante dell’economia del Benin:lo sguardo fatica a individuare i contornidi una sorta di magma che vive di vitapropria, una distesa di carrette, bancarel-le, tuberi, frutta, verdura, pezzi di motoriusati, utensili, semi, abiti e persone che siagitano immersi in un chiasso infernale eavvolti da un miasma di prodotti organi-ci in putrefazione e spezie.

La Porta del non ritornoSecondo le Nazioni Unite e i funzionaridella speciale “brigata dei minori” dellapolizia beninese, è proprio Dantokpa ilganglio vitale di questo traffico, che, no-nostante gli sforzi, non si riesce ad estirpa-re. Segnalazioni parlano addirittura di con-tainer pieni di bambini o adolescenti cheattraversano le frontiere e vengono poismistati nei luoghi dai quali proviene ladomanda.

Le bande che gestiscono questo trafficosono radicate, efficienti e possono conta-re su una vasta rete di corruzione e conni-venze che le rende quasi intoccabili. Il Be-nin, del resto, ha quasi una vocazionestorica. Basta andare nella città di Ouidah,città costiera, porto dell’antico Regno delDahomey, per comprendere che una buo-na parte della storia dello schiavismo pas-sa da qui. Sulla spiaggia campeggia la co-siddetta “Porta del non ritorno”, unmonumento eretto per ricordare che pro-prio da qui milioni di schiavi furono im-barcati sulle navi negriere e trasportati neiCaraibi o nelle Americhe. A catturare glischiavi non erano gli equipaggi dei velie-ri spagnoli, portoghesi, inglesi o francesi,ma i guerrieri dei sovrani del Dahomeyche intrattenevano un fiorente commer-cio con gli schiavisti.

Oggi quei tempi sono passati, il san-guinario Regno del Dahomey non esistepiù, al suo posto c’è un piccolo Paese, ilBenin appunto. Ma lo schiavismo non èancora stato riposto del tutto negli archi-vi della storia. .

IL BENIN IN CIFRE

Nome: Benin.Popolazione: 9.056.010Capitale: Porto-Novo.Forma di Stato: Repubblica.Indipendenza: 1 agosto 1960, dalla Francia.Pil 2009*: 13,6 miliardi di dollari.Pil 2009 pro capite: 1.500 dollari.Tasso d’inflazione: 2,2% (2009).Alfabetizzazione**: 34,7%.Popolazione sotto la soglia di povertà: 37,4% (2007).Mortalità infantile: 63,13 decessi ogni 1.000 nati.Tasso di crescita della popolazione: 2,944%.Speranza di vita: 59,42 anni.Export partner: India 19,72%, Cina 13,18%, Niger6,94%, Nigeria 6,56%, Indonesia 5,73%, Togo 5,63%,Namibia 4,17% (2009).Import partner: Cina 35,62%, Usa 7,51%, Francia7,38%, Tailandia 6,71%, Malesia 6,13%, Olanda 4,83%,Belgio 4,02% (2009).Debito estero: 1,2 miliardi di dollari (2007).* a parità di potere d’acquisto ** percentuale della popolazione con più di 15 anni di età in grado

di leggere e scrivere

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OCEANOATLANTICO

MEDITERRANEO

PER I MINORI ABUSATI IL PROGETTO FIORI CHE RINASCONO

TRA LE ORGANIZZAZIONI LOCALI E INTERNAZIONALI che operano in Benin c’è l’italiana Il Sole, con un progetto che chiamato “Fiori che rinascono”, rivolto ai casi di abuso e violenza sessuale sui bambini. Coinvolge e collabora con soggetti e associazioni dellasocietà civile e porta avanti azioni di prevenzione e sensibilizzazione sui diritti dei bambini. Il progetto “Fiori che rinascono” prevede anche interventi di cura e trattamento dei traumisubiti con assistenza psicologica, sanitaria, sociale e legale. Al termine di questo percorso Il Sole si occupa anche di reinserimento sociale.

I bambini del Progetto “Fiori che rinascono” possono essere sostenuti attraversol’adozione a distanza, con 516 euro all’anno, da garantire per almeno tre anni. Per informazioni: www.ilsole.org - [email protected] - tel. 031-275065

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altrevociFALLADA:RESISTENZAAI TEMPI DI HITLER

«Il libro più importante che sia mai stato scritto sullaresistenza tedesca al nazismo».Così Primo Levi commentòl’uscita di “Ognuno muore solo”ultimo libro di Hans Fallada(pseudonimo di Rudolf WilhelmFriedrich Ditzen), pubblicatoper la prima volta in Italia nel 1949, oggi rieditato dallaSellerio di Palermo. Unarielaborazione letteraria di unastoria vera legata a un’inchiestadella Gestapo che nel 1942portò all’arresto di Otto ed EliseHampel, due coniugi berlinesidi mezza età giustiziati per avere diffuso materiale anti-nazista. La vicenda stessa della pubblicazione dell’operadi Fallada ha qualcosa di romanzesco perché l’autoreconoscerà la notorietàOltreoceano solo molti annidopo con la pubblicazione di “Alone Berlin”. Fallada è rimasto in Germania duranteil nazismo nonostante potessescappare. Era, infatti, già allorauno scrittore famoso, ma restònonostante non fosse allineatoal regime nazista. Respiròquindi la stessa aria deiresistenti protagonisti di questastoria piena di dignità, simbolidella coscienza di un Paesespaccata in due.

HANS FALLADAOGNUNO MUORE SOLOSellerio, 2010

L’ATLANTE DELLE GUERRE PER CONOSCERE I CONFLITTI

Solo nel continente africano ci sono ben tredici paesi in conflitto. Dall’Uganda al Congo i signori della guerradominano, portando morte,fame e distruzione. Ma di tutto questo si conosce

poco, troppo poco. Ecco perché l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo è una pubblicazione da far conoscere e diffondere soprattutto nelle scuole.È stata appena pubblicata la seconda edizioneche comprende 35 schede di conflitti, una in più della prima edizione. La situazionepeggiora, dunque, e un ruolo determinante in questa situazione è giocato dall’Onu(Organizzazione delle nazioni unite), comespiega nella sua introduzione Raffaele Crocco:«Dei quasi 200 Paesi che formano l’Assemblea un altissimo numero ha governinon democratici a guidarli. Significa che chi siede al Palazzo di vetro per conto di questiStati è nominato da chi con diritti umani,democrazia, libertà, rispetto delle leggi e delle norme internazionali ha poco a che fare. Una contraddizione stridente per un organismo che dovrebbe garantiregiustizia». Tutto ciò ha una ricaduta negativasulle politiche di intervento dell’Onu stessa e dei suoi soldati, i caschi blu, che in teoriadovrebbero proteggere le popolazioni coinvoltenei conflitti, ma che in pratica rispondono a logiche di convenienza con regole d’ingaggio assai discutibili, come dimostrano i casi di Bosnia e Somalia.

A CURA DELL’ASSOCIAZIONE 46° PARALLELOATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI NEL MONDO B. C. Dalay editore, 2010

RIFORMEE RETIDI IMPRESEPER VINCERELA CRISI

Se il consenso sui limitistrutturali dellanostra economia(una legislazionefarraginosa,

un’amministrazione pubblicainefficiente, un sistemagiudiziario lento, scarsiinvestimenti in capitale umano e innovazione) è unanime, sulledebolezze del sistema produttivoe sulle possibili strategie per il suo rilancio le opinioni di economisti e osservatoridivergono. Secondo alcuni, gli intricati rapporti familiari,imprenditoriali e territoriali chelegano tra di loro le impreseitaliane sarebbero alla base di mali fondamentali della nostraeconomia: scarsa concorrenza,piccole dimensioni, bassapatrimonializzazione e debolepropensione alla crescita.Secondo altri, invece,capitalismo familiare, retid'imprese e radicamentoterritoriale sarebbero i fattori chehanno reso possibile il secondomiracolo industriale degli anniOttanta e che, se affiancati da un insieme di riformestrutturali, potranno ridareslancio alla nostra economia.

ALBERTO ZAZZARORETI DI IMPRESE E TERRITORIOTRA VINCOLI E NUOVEOPPORTUNITÀ DOPO LA CRISI Il Mulino, 2011

SI MUOREANCHE PER LA LINGUA

Il corpo di un vecchio è statoritrovato senza vita e con la lingua tagliata. La giovaneTherese Fossnes viene chiamatada Stoccolma a condurre le indagini. Respinta ed emarginata dagli abitanti di Pajala perché non parla la lingua locale, si trova per le mani un caso complesso:c’entra qualcosa l’ostinatabattaglia di Martin Udde controquesta lingua, reintrodotta di recente nelle scuole della regione? O la pista giustada seguire è quella che portaad una banda di rapinatorispecializzati in furti in casa di anziani? La rete di indizi e sospetti si fa sempre più fitta,ma l’indagine fatica a trovarerisposte. Tuttavia il ritorno a Stoccolma di Therese sembraoffrirle un nuovo e interessantespunto che potrebbe dare una svolta alle indagini. Mentrela soluzione si avvicina, la vitasentimentale della protagonistasi avvia su un binario che la conduce nuovamente verso il luogo del delitto. E anche il rapporto tormentato tra laragazza e la sua famiglia è sulpunto di evolvere radicalmente.E per la giovane investigatricenulla sarà più come prima.

MIKAEL NIEMI L’UOMO CHE MORÌ COME UN SALMONE Iperborea, 2011

L’ULTIMAPARTITA DEL CAMPIONETROPPO SOLO

Trenta maggio 1984. Allo stadioOlimpico la Roma allenata da Liedholm perde la finale di Coppa dei Campioni ai calcidi rigore contro il Liverpool.Trenta maggio 1994. Il capitanodi quella Roma, Agostino Di Bartolomei, si uccide con un colpo di pistola al cuorenella sua villa a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno. Due fatti così diversitra loro e così intimamentelegati. Per certi versi, infatti, è stata quella finale l’ultimavera partita di Agostino,costretto poi a lasciare la Roma, a terminare altrove la sua carriera. È la storia di “un campione troppo solo”,ma troppo orgoglioso per mostrarsi debole. È la storiadi un campione e della suacittà, dai campetti dell’oratorioa Tormarancia al provino per entrare nelle giovanili della Roma sotto gli occhi del “mago” Herrera, dall’esordioin prima squadra all’incontrocon il suo maestro Liedholm,dalla vittoria dello scudetto con la maglia giallorossae la fascia di capitano al braccio alla sconfitta per eccellenza contro i Reds.

GIOVANNI BIANCONI E ANDREA SALERNOL’ULTIMA PARTITAFandango, 2010

LA STORIA, LA POLITICA E L’AMORE NELLA DUBLINO DI DOYLE

Dublino 1916. È un lunedì di Pasqua. Un gruppo di indipendentisti si è rintanato nel palazzo delle poste centrali. Tra loro c’è anche Henry Smart,impettito e magnifico nella divisa dell’esercitodei cittadini irlandesi, pronto a combattere.Una divisa che si era comprato con soldiracimolati qua e là, venuti fuori da chissà dove. L’intervento dell’esercito britannico non si fa attendere e quel manipolo di uominiviene decimato. Henry scampa anche alle fucilazioni che seguono la repressione e diventerà uno degli uomini di fiducia del celebre Michael Collins (eroe nazionaleirlandese) e unirà il proprio destino a quello di un’indomita maestra rivoluzionaria. C’è molta invenzione in questo romanzo, ma anche tanta realtà. Ci sono la politica, la storia e una grande storia d’amore e passione. Con questo nuovo romanzo Roddy Doyle si conferma uno dei punti fermi della narrativa irlandese contemporanea.

RODDY DOYLEUNA STELLA DI NOME HENRYGuanda, 2010

IL FUTURO DI HAITI È STATORAPITO

Bois Caiman, 22 agosto 1791: il sacerdote vudùBoukman lancia la rivolta deglischiavi che porta

alla nascita del primo Paese“nero” indipendente del mondo.Port-au-Prince, 12 gennaio 2010:in 35 secondi un terremotodevasta Haiti. Sbarcano 20 milamarines. Oggi la comunitàinternazionale, Stati Uniti in testa,con la “scusa” della ricostruzionesta mettendo il futuro del Paesesotto tutela, rubandogli di fattol’indipendenza. E il popolohaitiano rischia, ancora una volta,di restare escluso dai piani per il proprio sviluppo. Gli autori danno,dunque, voce agli haitiani, fino a oggi esclusi dalla ricostruzione del loro Paese e relegati a soggettidegni solo di carità, mentre i grandidella Terra, insieme al governolocale, decidono del loro destino.Il bisogno di autodeterminazionedegli haitiani si scontra con i piani di ricostruzioneindirizzati a consolidare la dominazione esterna con il beneplacito delle istituzionifinanziarie internazionali, Banca Mondiale in testa.

MARCO BELLO ALESSANDRO DEMARCHI HAITI. L’INNOCENZA VIOLATACHI STA RUBANDO IL FUTURO DEL PAESE?Infinito Edizioni, 2011

| economiaefinanza | A CURA DI MICHELE MANCINO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] | | narrativa |

’NDRANGHETACON LE RADICI IN LOMBARDIA

Pensare chemafia, camorra e ’ndranghetasiano fenomenisolamentemeridionali

è un grave errore che porta a conseguenze disastrose, primafra tutte l’infiltrazioneindisturbata delle organizzazionicriminali nei territori, nelleistituzioni e nell’economia delNord. La ’ndrangheta, ormai datempo, ha dimostrato di essereben radicata in molte provincelombarde e, nonostante sia cosarisaputa, politici e amministratorilocali, con qualche eccezione,fingono di non vedere o neganospudoratamente l’evidenza. Gli ’ndranghetisti hanno ingenticapitali che investono,soprattutto nei settori costruzionie ristorazione (case, alberghi,bar, ristoranti, pizzerie,supermercati) e per gestire tutto questo hanno bisogno di manovalanza qualificata,i cosiddetti colletti bianchi(amministratori pubblici,professionisti, avvocati, manager),“uomini cerniera”, insospettabili.L’autore getta luce su questarealtà sommersa, partendo dainomi e dai cognomi di politici,imprenditori, professionisti legatia doppio filo alla ’ndrangheta.

ENZO CICONTE’NDRANGHETA PADANARubettino, 2010

Page 36: Mensile Valori n.86 2011

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MATTONI DI STAGIONEIN SARDEGNA:TRA ARTIGIANATOE BIOEDILIZIA

Tra artigianato e bioedilizia, coniugando l’uso di materiali e competenze della tradizione localepiù antica e l’applicazione dei più avanzatiprincipi di bioarchitettura: questo sintetizzal’esperienza, partita nel 2006, di Fedora, la prima rivendita bioedile in Sardegna. Nel suocatalogo di proposte per la casa figuranoelementi chiave della tradizione sarda come i mattoni in làdiri (terra cruda miscelata con la paglia della trebbiatura), fabbricati e seccatirigorosamente al sole d’estate, prodotti da unartigiano che aveva visto crollare la domandaper questa particolare produzione, “schiacciata”dalla diffusione di materiali industriali; e poi i rivestimenti in Tadelakt, diffusi in Arabia e Marocco, d’aspetto simile al nostromarmorino ma più duttili e impermeabili, adattisia in esterni che in interni. «Fedora - ci tiene a precisare il fondatore Nicola Tuveri - non è solouna rivendita. Organizza corsi di educazione alla bioedilizia che partono da aspetti teorici per concludersi con la realizzazione di manufatti».Gli operatori di Fedora si scontrano, tuttavia,con un mercato che spinge verso una direzionediversa e cercano di sfatare i luoghi comunisulla bioedilizia che ne descrivono le tecniche e i materiali come un ventaglio di soluzionid’elite. «Oltre al nostro impegno per applicaremargini ragionevoli sui prezzi - prosegue Tuveri -va detto che il costo di una casa non si calcolasolo sulla base dell’investimento iniziale, ma lungo un ciclo di vita fortemente influenzatoproprio dalla qualità dei materiali e delleprocedure». Insomma, spesso chi più spende.

www.fedorabioedilizia.it

SULLASTESSABARCA E IN GIARDINO

Sara IV è il nome di una motonave sequestratadalla Magistratura al narcotraffico, ora ormeggiataal porto di Sant’Antioco e donata alla Cooperativasociale San Lorenzo di Iglesias,in Sardegna. Un mare e unaterra meravigliosi, quelli sardi,dove il turismo sociale trovaterreno fertile e si sviluppa in progetti diversi checoinvolgono soggetti cosiddetti“svantaggiati” sia comeoperatori-lavoratori che comeospiti-fruitori. Ecco allora le attività della cooperativa,nata nel 1997: trasformare la barca da diporto in un progetto per i turisti per scoprire le bellezze della costa o imparare i segretidella pesca; ecco in arrivo un rifugio da gestire nella foresta del Marganai e “Casa Fenu”, a Tratalias (CI),palazzotto signorile della finedel 1700 destinato a diventareuna struttura ricettiva adatta a ospitare disabili e a diventarneluogo di lavoro. E per nonperdere di vista la ricchezza del paesaggio, ospiti e operatoridella cooperativa godono deicolori e imparano le professionilegate al floro-vivaismo nel giardino montano “Linasia”.

www.cooperativasanlorenzo.it

PALERMO:FINALMENTEUN’OASI…PER I RIFIUTI

Un ottimo segnale per la diffusione della cultura del rispetto ambientale. Così si può interpretare l’aperturanel comune di Santa Flavia (Pa)dell’Oasiecologica, gestita dallaSer.Eco di Bagheria. Un luogoche si pone l’obiettivo di sfruttare il ciclo dei rifiutiaddirittura come “strumento di rilancio del territorio”.Piattaforma riconosciuta daiconsorzi Conai e dal Centro di Coordinamento Raee (Rifiutida apparecchiature elettricheed elettroniche), l’Oasiecologicaserve il territorio di 5 comunicon circa 100 mila abitanti e svolge le normali operazionidi differenziazione dei rifiutiriciclabili. Nella stessa area si svolgono corsi di educazioneambientale per gli studentidelle scuole primarie,secondarie e superiori e vengono sviluppati progetti e campagne di sensibilizzazionesui temi della sostenibilità. Per questo Ser.Eco ha promossol’iniziativa-concorso “Ricicla e vai in bici”, che premia i partecipanti a seconda delpeso dei rifiuti (carta, alluminio,plastica e vetro) consegnati e destinati al riciclo. Per lo stessomotivo aderisce a un progettodenominato “Rifiuti Zero”.

www.oasiecologica.it

TURISTISOSTENIBILIEXPLORANDOLA PUGLIA

Turismo in Puglia? Sì, masostenibile. Uscendo dai circuititradizionali dei grandi touroperator e dalle logichecommerciali del viaggioconcentrato su metesovraffollate, con l’obiettivo di rendere l’esperienza turisticasocialmente inclusiva. Su questo modello lavora la cooperativa socialeExplorando di Bari, nata nel 2002 e affiliata al circuitoeuropeo Le Mat, che ha comeprimo obiettivo la costruzionedi sistemi turistici localimettendo in rete le piccoleagenzie di viaggio e le imprese(meglio se sociali) all’insegnadella sostenibilità. Idee chediventano realtà soprattuttonelle province di Bari, Lecce e Brindisi – più limitatamente a Foggia e Taranto – grazie a circa 70 piccoli operatorituristici che elaborano propostedi viaggio pensate per disabilisensoriali o minori a rischio, o avviano programmi di educazione ambientale.

www.explorando.orgwww.lemat.it

| A CURA DI CORRADO FONTANA | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] | terrafutura |

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Page 37: Mensile Valori n.86 2011

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PREVENIREL’INSICUREZZA:ON LINE LA MAPPADEI REATI DI MILANO

Negli Stati Uniti è un servizio garantito dalle autorità locali di polizia. In Italia, per ora, ha pensato a farlo un giovanegiornalista milanese. La mappa dei reati,legata a una Google maps, è uno strumentoutile per raffrontare i veri numeri del criminecon gli allarmi lanciati ad ogni tornataelettorale. E, siccome i tormentoni sulle prossime elezioni sono frequenti e si succedono ad ogni crisi di maggioranzadei governi locali, l’emergenza crimine sembraperenne. Ma è davvero così? La “mappa del crimine di Milano” curata da DanieleBelleri (ilgirodellanera.wordpress.com), con la sua semplice grafica e i coloridifferenziati per ogni reato, aiuta ognuno a riflettere e farsi una propria opinione. Dubbi sul rispetto della privacy e soprattuttoscarsa informatizzazione degli ufficicompetenti avevano rallentato in Italia lo sviluppo di analoghe applicazioni, diffuse nel mondo anglosassone dove i dati sono disponibili on line direttamentedalle forze di polizia, geolocalizzati e in tempo reale...

FONDI ON LINE PER ESSERESOLIDALI

Sono le storie più disparatequelle che affollano i raccontisul web di donazioni raccolteda sconosciuti. Dalla giovanegeek milanese cui è statarubata la bicicletta e chel’indomani ha recuperato il buonumore grazie alledonazioni via Paypal, ricevutenella notte. Al racconto del ragazzo italiano, ma madrelingua inglese, che, rientrato nei sobborghi di Londra, ha potuto raccogliere in sei mesi di donazioni quanto bastavaper il suo sogno di aprire un pub. Finanziatori, in questocaso, le decine e decine di amici in Italia e Inghilterra,che da anni sapevano del suosogno e che hanno risposto a un appello lanciato attraversola sua pagina su Facebook. Su questa scia si muove ancheil progetto ShinyNote, on line da fine marzo prossimo, che si rivolge in particolare al mondo della solidarietà di cui vuole raccogliere i progettiper portarli all’attenzione dei possibili donatori.

APP’S PER SAPEREDOVERICICLARE

Ci sono miriadi di applicazioniiPhone e iPad e ormai anche in formato open source Androidvisto l’exploit del tablet Galaxy.Servono un po’ per tutto, ma alcune meritano di esseresegnalate per il loro saperconiugare risvolti ambientali e praticità. Acuminate, negli Stati Uniti, aiuta a trovare i punti di raccoltadell’alluminio. E siccome a volte può servire, aiuta anchea fare il calcolo di quanto si può guadagnare ogni meseconsegnando le lattine vuote ai centri di raccolta. Tiricicloinvece nasce in Italia per aiutare a trovare comee dove smaltire il Tetra Paknelle diverse realtà territoriali.Unisce a questa funzionalità un supporto informativo sul riciclo dei contenitori per alimenti e informazioni utilisulle ripercussioni economichedi una corretta gestione dellaraccolta differenziata.L’applicazione, in questo caso,è parte di un più ampioprogetto di comunicazioneveicolato attraverso la Rete.

ECOVILLAGGISENZA DIGITAL DIVIDE

Molteplici i fattori che possonospingere, nell’era dellacondivisione tecnologica,ad abbandonare le città a favore della campagna o della montagna. Il fenomenoè in interessante espansione e riguarda sempre più ragazzi e ragazze molto giovani, che fanno magari seguire alla laurea un anno sabbatico di fatica fisica e concentrazione su di sé,oppure giovani famiglie che vorrebbero far crescere in un contesto e con ritmi e metodologie più vicine alla natura, i loro figli. I progettisono numerosi, sparsi in tuttaItalia e in Europa. Nel nostroPaese contribuisce a farliconoscere Rive, la Rete Italianadegli ecovillaggi. Interessantenotare come il superamentodel digital divide, reso possibiledalla implementazione di tecnologie di diffusione del segnale internet in localitàmontane, stia accompagnandouna nuova generazione di ecovillaggi che, allaradicalità della scelta, sannounire una capacità non banaledi comunicazione e interazionedella propria esperienza che attrae così un crescentenumero di nuovi soggettiinteressati e consapevoli.

| A CURA DI FRANCESCO CARCANO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] | future |

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Una nuova rubrica sugli azionisti attivi

| action! |

ABBIAMO BATTEZZATA “ACTION!”: una nuovarubrica per raccontarvi un mondo di azio-nisti in continuo movimento. Non solo

alla ricerca di utili e dividendi, ma anche di risposte su te-mi sempre più all’ordine del giorno: le paghe esorbitantidi manager e amministratori, i rischi ambientali o il man-cato rispetto dei diritti umani da parte delle multinazio-nali quotate in Borsa.

Li chiameremo azionisti “attivi”, “critici” o “respon-sabili”. Società di investimento o coalizioni, fondazioni ofondi pensione, con almeno una caratteristica in comu-ne: quella di non accontentarsi dei profitti finanziari e diesigere progressi e impegni precisi da parte delle imprese“anche” in campo sociale e ambientale. Ogni mese vi pre-senteremo un nuovo azionista critico e cercheremo dispiegarvi, in modo semplice, come sta cercando di farepressione su una o più imprese, incontrandone i mana-ger, intervenendo in assemblea, votando e, a volte, com’èil caso di questo mese, vendendo i titoli delle società perle quali, nonostante un lungo e paziente dialogo, non siriescono a ottenere progressi significativi.

Il primo azionista in vetrina è canadese: si chiamaNorthwest & Ethical (Nei) ed è controllato da un gruppo dibanche di credito cooperativo. Nel mirino di c’è Vedanta,società mineraria indiana, ma anche la nostra Eni. Com’èandata a finire? Scopritelo da voi. Mese per mese. .

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Il rendimento in Borsa di Vedanta negli ultimi dodici mesi, confrontato con l’indice DJ Eurostoxx 50 (Fonte: Thomson Reuters)

L’a cura di Mauro Meggiolaro

I valori, quando si fondano sulla fiducia e sulla credibilità di chi li possiede e li coltiva,si possono riassumere in una parola, in un segno, in un colore.

Dire è comunicazione d’intenti e di progettualità, trasmissione di idee, di conoscenza, d’esperienza.Fare è la sintesi dell’attività, energia verso nuove imprese, capacità di ascolto e di offrire risposte.

Ai nostri clienti e a quelli che lo diventeranno è dedicato il nostro lavoro quotidiano: un lavoro dove il dire e il fare sono tutt’uno e sintesi di una filosofia dell’operare.

L’AZIONE IN VETRINA VEDANTA

Vedanta Resources www.vedantaresources.comSede Londra – Gran Bretagna Borsa LSE - Londra

Rendimento negli ultimi 12 mesi -9,16%

Attività È la più grande società mineraria dell’India. Possiede miniere anche in Australia e Zambia. Rame, zinco, alluminio, piombo e minerali ferrosi.

Azionisti Famiglia Agarwal (tramite Volcan Investments Limited, Bahamas): 56,90%;Mercatov (fondi, banche, ecc.. che acquistano i titoli in borsa): 42,34%;

Perché interessa agli azionisti responsabili? Nel 2009 Vedanta è stata criticatada Survival International e Amnesty per lo sfruttamento di miniere di bauxite nella regione dell’Orissa (India) che metterebbe in seriopericolo la vita delle popolazioni native (tribù Dongria Kondh). La società è stata spesso criticata e condannata per inquinamento,incidenti sul lavoro ed evasione fiscale.

Numeri marzo 2009 - marzo 2010

Ricavi (milioni di dollari) 6.578,9 7.930,5

Utile (milioni di dollari) 900,5 1.511,2

Numero di dipendenti Oltre 30.000

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Northwest & Ethical www.neiinvestments.comSede Toronto – Canada

Tipo di società Società di gestione del risparmio che promuove fondi di investimentoetici. È controllata dal Desjardins Group (50%, banche di creditocooperativo canadesi) e dalla Provincial Credit Union Central (50%).

Asset gestiti ca. 3,4 miliardi di euro

L’azione su Vedanta Agli inizi di gennaio Northwest & Ethical (Nei) ha venduto dai suoi fondi tutte le azioni di Vedanta Resources a causa dei “scarsiprogressi registrati nel rispetto dei diritti umani in India, in particolarenella regione dell’Orissa”. La decisione di Nei è seguita a numerosiincontri con i manager della società (e con il suo presidente), che nonhanno sortito gli effetti sperati. Tra il 2009 e il 2010 avevano vendutotutte le azioni di Vedanta Resources anche la Chiesa d’Inghilterra e Pggm, il maggiore gestore di fondi pensione pubblici nei Paesi Bassi.

Altre iniziative Nei sta collaborando con altri investitori istituzionali per farepressione su Eni in relazione al progetto di estrazione di petrolio dalla sabbie bituminose in Congo-B. Un’operazione che avrebbeimpatti molto elevati sull’ambiente. Una prima lettera alla societàitaliana è stata spedita nell’autunno del 2010.